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Non solo arte alla Biennale di Venezia. Il cibo che ispira la creatività in 4 appuntamenti collaterali

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Mentre la Laguna già respira il clima della Vernice, la 57esima edizione della Biennale d'Arte si appresta ad aprire le porte al pubblico. Al via il 13 maggio con tanti appuntamenti in città: un'agenda insolita per gli amanti dell'arte che non rinunciano al gusto. 

Tavola Aperta. Pranzi con l'artista

È tutto pronto a Venezia, per l'apertura della 57esima edizione della Biennale d'Arte, che dal 13 maggio al 26 novembre trasformerà i Giardini e l'Arsenale della città lagunare in una rassegna quanto più esaustiva possibile dello stato dell'arte contemporanea. Curata da Christine Macel, al motto di Viva Arte Viva, l'Esposizione – un percorso in nove capitoli e 120 artisti da 51 Paesi - ospiterà 85 partecipazioni nazionali (tre le new entry, Antigua e Barbuda, Kiribati, Nigeria), e il Padiglione Italia alle Tese delle Vergini in Arsenale sarà curato da Cecilia Alemani. Ma come di consueto tutta la città beneficerà del fermento artistico che per i prossimi sei mesi si respirerà in Laguna, e tanti sono gli appuntamenti collaterali di un calendario che mira a coinvolgere un pubblico trasversale, facendo leva sull'interazione tra linguaggi creativi di ambiti diversi. Esempio calzante tra tutti l'iniziativa Tavola Aperta, che ogni venerdì e sabato (a partire dal 13 maggio) proporrà al pubblico un pranzo con l'artista nei Giardini e presso le Sale d'Armi dell'Arsenale: un'opportunità per condividere un'esperienza informale con gli artisti protagonisti della Biennale, con diretta streaming sul sito della manifestazione per permettere a tutti di apprezzare la bontà degli incontri. Chi invece vorrà prenotare un posto (gratuito) tramite il circuito vivaticket può consultare il calendario delle presenze, approfittando dell'elevata frequenza degli appuntamenti durante il mese di maggio: gli incontri inaugurali del 13 e 14 maggio sono riservati agli ospiti invitati, ma già mercoledì 16, alle 13, si terranno due nuovi pranzi con l'artista, in compagnia del turco Cevdet Erek e del coreano Lee Wan. Si prosegue per l'intera settimana, dal 18 al 20 maggio, e poi ancora dal 24 al 27 (il 26 appuntamento con l'Italia e Giorgio Griffa).

 

Il Breakfast Pavilion

Chi invece fosse già approdato a Venezia, dal 10 al 12 maggio, in occasione della Vernice della Biennale, può partecipare all'happening del Breakfast Pavilion, nello spazio di A Plus A, trasformato in caffetteria perché l'arte possa essere non solo discussa e prodotta, ma anche “mangiata”. Curato da Marco Campardo, Lorenzo Mason e Luca Lo Pinto, il progetto fa leva sul simbolismo e il ruolo sociale della colazione nella consuetudine italiana: per tre giorni, dalle 9 alle 12, gli artisti coinvolti prepareranno una colazione speciale per i propri ospiti (solo su invito). Poi lo spazio resterà aperto e accessibile al pubblico per la vendita di oggetti di design legati alla ritualità della tavola, realizzati da creativi internazionali coinvolti nella kermesse. E dalle 12 alle 19, al padiglione temporaneo di Calle Malipiero si potrà anche mangiare una fetta di torta e bere un caffè, chiacchierare con gli artisti, visitare la galleria.

 

Vitel Tonnè. Arte golosa

Da qualche ora, intanto, e fino al 25 giugno, a Palazzo Cesari-Marchesi ha inaugurato Vitel Tonnè, la rassegna d'arte ideata da The Pool Nyc che fa il verso al piatto tipico della tradizione piemontese – il mitico girello di vitello ricoperto di salsa tonnata, eventualmente guarnito con capperi e limone – per presentare una mostra ghiotta che vuole rompere le regole, esattamente come l'accostamento tra carne e pesce che si rivela sorprendentemente gustoso in una delle ricette più replicate della cucina italiana. In mostra una selezione di artisti indipendenti, legati dall'appartenenza alla stessa “cucina dell'arte”, per un percorso espositivo ricco di spunti, tra ceramiche e acquerelli, diorami, fotografie e installazioni. Un banchetto d'arte ben assortito, come recita il manifesto della mostra: “Siamo aperti al Femminismo, allo Spazialismo, all’Astrattismo, alla Pop-Art; usiamo Olio Extra Vergine d’Oliva e acrilico; ci ritroviamo tutti insieme allegramente e divoriamo tutto quel che ci viene proposto”.

 

Le lattine di Flavio Favelli

E ancora, fino al 14 maggio, Flavio Favelli porta a Venezia il suo Bar non Bar, un temporary shop che vende lattine e bottiglie, al confine tra negozio metafisico e bottega di quartiere, per portare in Biennale l'idea dell'effimero che sta dietro alla moltiplicazione degli spazi pop up. L'opera-ambiente, intitolata Univers – Negozio Metafisico, sarà aperta presso Fondamenta Sant'Anna per vendere una collezione di oggetti unici e firmati Favelli – 250 lattine e altrettante bottigliette - al costo di 20 euro al pezzo. Insistendo quindi sulla qualità e l'originalità del prodotto, di contro alla mediocrità di tanti temporary store.

 

Tavola Aperta | Venezia | Giardini dell'Arsenale | www.labiennale.org/it/arte/esposizione/tavola-aperta/index.html

Breakfast Pavilion | Venezia | A Plus A, Calle Malipiero, 3073 | dal 10 al 12 maggio, dalle 12 alle 19 | www.aplusa.it

Vitel Tonnè | Venezia | Palazzo Cesari-Marchesi, Calle Rombiasio, 30124 | fino al 25 giugno, dalle 11 alle 19 | www.thepoolnewyorkcity.com

Univers | Venezia | Castello 944 | fino al 14 maggio, dalle 12 alle 22

 

a cura di Livia Montagnoli


Appunti di degustazione. Il Vintage Tunina in 16 assaggi, dal 2014 al 1979

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Un bianco decisamente longevo, capace di sostenere, con disinvoltura, quasi 40 anni di vita. È il vino creato da Silvio Jermann nel 1975. Ve lo raccontiamo in 16 assaggi.

È uno dei bianchi più amati dagli italiani, e non solo. È il Vintage Tunina di Silvio Jermann, che già alla sua prima uscita nel 1975 fece scalpore per la finezza espressiva, per la freschezza e la ricchezza dei profumi, e per la sua suadente e armonica eleganza. Un vino straordinario, che nasce in una terra meravigliosamente vocata, il Collio, e che grazie alle intuizioni di Silvio, allora appena uscito dalla scuola enologica, ha aperto un capitolo nuovo nella storia del vino bianco in Italia. Uvaggio di chardonnay e sauvignon blanc, con un apporto di ribolla gialla, malvasia e picolit a sottolinearne la territorialità, è ormai un archetipo che ha ispirato tutte le successive generazioni di bianchisti, friulani e non.

Se è un vino straordinariamente godibile sin dalla sua uscita in commercio, questa verticale di venti annate, che affonda fino al 1979, vi sorprenderà. Avete mai pensato che un grande vino bianco potesse essere così longevo?

Silvio e Michele JermannSilvio e Michele Jermann

Storie, tappi e imvecchiamento

Oggi il vino, dedicato da Silvio Jermann a Tunina (Antonia) che faceva a domestica a Venezia, l'antica proprietaria di quella vigna e la più povera delle amanti di Casanova, è tappato con una chiusura tecnica, che sta dimostrando di poter mantenere ancora più a lungo del sughero (come risulta dall’assaggio di campioni della stessa annata con tappi diversi) la magia del suo fascino.

Un grande vino, ma soprattutto il frutto dell’intuizione di un grande uomo del vino, che ha saputo leggere, con incredibile sensibilità, le potenzialità della sua terra, e le istanze dei tempi nuovi, creando qualcosa che prima non esisteva. È una delle grandi verticali organizzate per il trentennale de Gambero Rosso: 16 assaggi dal 2014 al 1979.

 

2014

Il naso apre elegante e fresco, con note di fiori bianchi e frutta tropicale, albicocca e prugna bianca, con piacevoli note vegetali a comparire e sparire, poi agrume e un leggero tocco di botrite. La bocca, come nello stile classico di questo vino, è fresca e grassa allo stesso tempo, con lunghezza e complessità crescente.

Valutazione: 88/100

 

2011

Sulla falsariga del precedente ma con più maturità e concentrazione, dovute all’annata calda. Si sente perciò in modo maggiore la nota agrumata e di botrite, la frutta tropicale e di cera d’api, una certa dolcezza del legno. La bocca è possente, alcolica ma bilanciata da una bella dose di acidità, con una leggera sensazione di carbonica sul finale che contribuisce a snellire e a dare al vino una certa austerità.

Valutazione: 90/100

 

2010

L’annata fresca fa sentire il suo carattere soprattutto nella componente acida, che dà a questo vino un che di avvincente. Al naso ai classici sentori di frutta bianca – mela e susina – e di frutta tropicale, con una particolare e insistente nota di banana, si aggiunge un intrigante nota fumé. La bocca è dolce nelle note di vaniglia e spezie ma affilata nell’acidità, decisa, che definisce un finale lungo e teso.

Valutazione: 92/100

2006 (tappo in sughero)

Un naso poco intenso e un po’ spento, con note di orzo e grano, legno dolce e cera d’api, una certa mineralità, caratterizzano il naso di questo campione che regala una bocca ricca e grassa, evolutiva ma affascinante, soprattutto nelle note di cioccolato bianco regalate dal retrogusto.

Valutazione: 86/100

 

2006 (tappo a vite)

Versione più fresca e vitale della stessa annata, dove alle note di albicocca e fiore di campo si aggiunge la sensazione di pietra focaia e marzapane, cedro candito e idrocarburo. Bocca in cui la componente minerale prende il sopravvento, l’acidità è sferzante e il finale lungo e complesso.

Valutazione: 93/100

 

2002

Naso su due tempi, che regala dapprima sensazioni evolutive, di mela grattugiata, per poi aprirsi a note di uva spina, pompelmo, scorza d’agrume. La bocca invece rimane un po’ compressa dall’alcol, che scinde il finale facendo mancare lunghezza e tensione.

Valutazione: 87/100

 

2001

Un naso molto intenso e complesso, dove la frutta bianca in confettura è accompagnata da sensazioni di miele e affumicate, l’agrume candito, il ribes bianco e il melograno. La bocca non è grassa, piuttosto dolce, condizionata dalla speziatura del legno, con una buona dose di acidità.

Valutazione: 88/100

 

2000

Torna un Tunina di grande concentrazione, con intense sensazioni di frutta in confettura, albiccocca, susina, arancia, e tropicale, con la banana a emergere decisa, con sbuffi affumicati. La bocca, intensa e alcolica, non manca della consueta acidità, che gestisce perfettamente anche la buona dose di legno.

Valutazione: 92/100

1997

Decisamente intenso, con particolari note di polvere di caffè, sentori animali, fiammifero ed erbe secche, evolutivo ma per nulla stanco, offre una bocca notevole non solo per densità e pienezza ma anche per tenuta acida, responsabile di un finale lungo e affusolato.

Valutazione: 92/100

 

1995

Un vino ancora giovane e in crescita, che si esprime soprattutto su un registro minerale, con note di idrocarburo e anice, semi di finocchio e aneto secco, poi cedro e spezie orientali – cardamomo e cumino. Al palato dissimula in una sorta di pacatezza la sua grande forza estrattiva, bilanciata da acidità e sapidità.

Valutazione: 95/100

 

1993

Un’intensa evoluzione caratterizza il naso, con note di biscotto e zafferano, miele e forest floor, grano e caramella d’orzo, zucchero filato. La bocca è gestita più dall’alcol che dall’acidità, risultando un po’ svuotata da centro bocca, a causa della sensazione di diluizione.

Valutazione: 88/100

 

1991

Un profilo molto particolare definisce questo Tunina, mai così vegetale. Estremamente giovane nelle note di asparago ed erbe secche, fieno e animale, con cenni di torrefazione e cedro. Anche la bocca ripercorre lo stesso registro, mancando della solita grassezza ma offrendo grande grinta e longevità.

Valutazione: 90/100

 

1990

Un Tunina più classico, che propone le note più fruttate e tropicali in chiave evolutiva. La frutta è perciò in confettura – agrume, frutto della passione, ananas - con note di pane appena sfornato e lievito, su un affascinante tono botritizzato. L’alcol non manca di far sentire la sua presenza ma l’acidità non è da meno e il risultato è molto convincente.

Valutazione: 91/100

1988

Decisamente evoluto ma per nulla ossidato, questo Tunina tira fuori le migliori carte dell’invecchiamento. La cera d’api si contamina di fresche note di macchia mediterranea, i cenni di torrefazione di foglia bagnata e zafferano, caramella d’orzo e zucchero di canna. La bocca è molto ricca, armonica nell’insieme, e mostra un grande equilibrio tra alcol e acidità.

Valutazione: 93/100

 

1983

Un vino tanto sfuggente quanto intrigante. Al naso le note evolutive sono nitide e complesse, e al solito tandem di torrefazione e cioccolato, confettura e botrite, si aggiunge un tono iodato molto particolare e decisamente rinfrescante. La bocca mostra solo un piccolo cedimento in chiusura, dovuto alla scissione alcolica, ma è un bellissimo vino. Crepuscolare con fascino.

Valutazione: 89/100

 

1979

La sensazione che inizialmente sembra essere dovuta a un problema di tappo si trasforma nel bicchiere in note di fungo secco e spezie dolci, tabacco da pipa e cioccolato bianco. La bocca mantiene ricchezza e persistenza, l’acidità gioca un ruolo determinante seppur non così evidente, regalando un finale ancora vitale e decisamente sapido.

Valutazione: 91/100

 

Vintage Tunina | Jermann | Dolegna del Collio (GO) | www.jermann.it

 

di Marco Sabellico e Eleonora Guerini

foto Andrea Ruggeri

Radici da mangiare. Come conservarle e usarle in cucina

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Alcune sono molto conosciute, come lo zenzero o la liquirizia, altre sono più insolite, come le carote selvatiche, la scorzonera, la pastinaca. Sono radici, o meglio, piante di cui si utilizzano le radici, non solo in piatti salati ma anche dolci. Abbiamo chiesto qualche consiglio per capire come trattarle al meglio in cucina.

Lungi dall’essere una moda del momento, l’uso delle radici in cucina accompagna l’uomo da sempre. Rafano, liquirizia, topinambur, ma anche radice di genziana o di tarassaco, sono stati fra i primi prodotti protagonisti del nostro sviluppo alimentare. Da qualche tempo, tornate in auge, le si vede far capolino in molte pietanze, che siano salate o dolci, con abbinamenti a volte sorprendenti. Ma come si usano in cucina?

 

Radici e non radici

Chiariamo subito una cosa: la definizione di radice in botanica e in cucina non coincidono. In botanica le radici sono quella parte della pianta che assorbe sali minerali e acqua dal terreno - permettendo così lo sviluppo della pianta stessa - oltre ad ancorarla al terreno. I tuberi, invece, sono parti del fusto sotterraneo che servono come “dispensa”, cioè fanno da accumulatori di sostanze nutritive (così come lo fanno i bulbo-tuberi, chiamati anche cormi). Radici tuberizzate sono, ad esempio, le patate, le rape, le barbabietole. Infine, ci sono i rizomi, dei fusti sotterranei simili alle radici ingrossate ma in grado di emettere germogli a ogni nodo.

In cucina questa distinzione cade: tutto quello che cresce sottoterra e dà nutrimento ad una pianta viene considerato, più genericamente, radice.

Per questo troviamo accanto a radici in senso stretto come daikon o maca, ma anche bulbi come aglio e cipolla, cormi come il taro o il konjac, rizomi come la curcuma, lo zenzero e il loto. Infine, diverse piante aromatiche possono essere utilizzate tout court, mangiando le foglie ma anche le radici: è il caso del tarassaco, del trifoglio e della liquirizia.

 

zenzerozenzero

Radici in cucina

Dalla patata alla carota, passando per la rapa, siamo abituati a cucinare con radici molto comuni, ma spesso ignoriamo il complesso mondo nascosto dietro a una definizione così vaga. Sul nostro territorio, sono le cucine tradizionali a rivelarci quanto sia antico l’uso di questi alimenti: da piatti come il capretto alla radice di genziana, tipico di alcune zone del Trentino, al gelato alla scorzonera, un antico gusto molto diffuso i tempo a Palermo, ormai caduto in disuso. “In passato erano una fonte di sostentamento essenziale”racconta Alessandro Gilmozzi, che nella cucina del ristorante El Molin (premiato con Due Forchette nell’edizione 2017 della guida Ristoranti d’Italia) da anni lavora non solo con le radici, ma anche con tutti i prodotti del bosco. “C’erano ricette che con il tempo sono andate perse, complice anche l’industria alimentare e i nuovi prodotti che sono arrivati dall’estero. Negli ultimi anni però c’è una riscoperta di questi alimenti, non solo nell’ambito della cucina d’autore, ma anche nelle cucine casalinghe”. Nel suo ristorante di Cavalese, provincia di Trento, Gilmozzi sperimenta da più di vent'anni materie prime come licheni, bacche, erbe di montagna, riuscendo a dare nuovo slancio a una cucina che lui ama definire “dolomitica”. Così sul suo piano di lavoro sfilano la radice di genziana e quella di tarassaco, il topinambur, la radice del trifoglio e del nasturzio, fino ad approdare alle più comuni rapa e liquirizia. In un cortocircuito tra tradizioni antiche e le istanze della nuova cucina contemporanea.

 

topinamburtopinambur

 

Radici selvatiche e radici coltivate

Bisogna fare una distinzione a monte: una cosa è cucinare con alimenti coltivati, acquistabili sui banchi dei mercati, altra cosa è andare alla ricerca delle piante e cucinare quelle spontanee. “Ogni radice ha caratteristiche specifiche, consiglio di fare attenzione soprattutto per quanto riguarda quelle selvatiche: prima di sperimentare, serve una buona conoscenza di botanica”, precisa lo chef. Ad esempio, la radice di genziana: “ottima per dare equilibrio ai toni amari, se la si raccoglie nel bosco è facile da confondere con piante molto simili nell’aspetto, ma che risultano velenose per l’uomo”.

 

radice di tarassacoradice di tarassaco

Sono naturalmente coltivabili le più comuni come la carota, tuberi come la patata o piante come la liquirizia, di cui si possono usare anche le foglie. Non ha senso però farlo con prodotti come la carota selvatica, la genziana o la felce dolce (Polypodium vulgare L., chiamata anche “falsa liquirizia”),“sarebbe come privare il prodotto delle caratteristiche fondamentali che lo rendono speciale, e che si trovano solo in ambienti selvatici”.

 

Conservazione e uso in cucina

Candite, essiccate, sottolio. Sono diverse le preparazioni da fare con questi alimenti, che ben si prestano a essere conservati e usati in tempi successivi. “La radice del tarassaco, molto usata nella cucina di una volta, è ottima se pulita e fatta fermentare. Il suo germoglio si può staccare e mangiare così com’è, con la sua straordinaria croccantezza, mente le radici possono essere anche scottate in olio e aceto, come si fa con le verdure in agrodolce”. La radice di nasturzio, invece“viene raccolta, scorticata, lavata e candita”, in particolare con il miele di melo, che ha un leggero sentore di muschio e si sposa perfettamente con questo prodotto. “Una volta candita resiste per mesi e, quando è il momento di utilizzarla, basta pulirla dalla copertura esterna e regalerà a chi la mangia il suo spiccato sapore salato e piccante allo stesso tempo, simile a quello del wasabi”.

 

genzianagenziana

 

Ma esiste una regola generale che tutti possono seguire quando si tratta di conservare le radici? “È importante prima di tutto pulirle bene, per eliminare tutti i residui di terra attaccati. Dopo si riducono a pezzi o listarelle, si scottano in aceto e acqua e si mettono sotto olio. In questo modo il prodotto conserverà tutto il suo sapore a lungo”. Questo vale per la gran parte degli alimenti, ma ci sono delle tipologie che invece è meglio essiccare, come si fa con lo zenzero o la curcuma. E ancora,“la macchina del sottovuoto o l'abbattitore sono strumenti perfetti per preservare aroma e sapore”. Infine, “per i più coraggiosi e creativi”, esiste anche la distillazione, che permette di ottenere “non solo una base per dei liquori, ma anche oli essenziali e acque profumate da sfruttare in cucina”.

 

Gli abbinamenti migliori

Alcuni dei piatti di Gilmozzi sono apprezzati per gli abbinamenti insoliti, come Border-line, al confine tra dolce e salato - realizzato con sorbetto di larice, gel di topinambur, miele di melo, polvere di mais, licheni seccati e resina - o Miniature wild un tris di entrée con radice di tarassaco, lichene bianco e rapa appassita su rami di betulla. Ma quali sono gli abbinamenti migliori da fare nella cucina di casa? “Consiglio sempre di provare a sperimentare, fidandosi anche dell’intuito” spiega lo chef. “Per quanto riguarda la carne, si può dire che la liquirizia si sposa perfettamente con il coniglio, ma anche con l’agnello. Per il maiale si può usare la radice di genziana, magari mischiata con quella della liquirizia, per dare un particolare equilibrio ai toni amari”. E poi il capretto, che si abbina bene con la radice di tarassaco o nasturzio, mentre il manzo si può associare a ingredienti come il rafano, di cui si mangiano anche le foglie.

 

pastinaca

E il pesce? “Pesci come il salmerino, ad esempio, stanno benissimo con le radici di nasturzio o tarassaco, ma anche con la curcuma”, la trota si accosta spesso alla scorzonera, il salmone e la ricciola alla liquirizia; invece per molluschi come le capesante è più indicata la scorzobianca che, grazie a suo sapore leggermente amarognolo, è in grado di esaltare meglio la delicatezza di questi prodotti. Alcune radici, infine, si possono mangiare come piatto unico: è il caso della pastinaca, ma anche della scorzonera, della scorzobianca e delle carote selvatiche. Per gustarle al meglio basta scottarle in acqua e limone e associarle a insalate a foglia, rispettando la rotazione stagionale. Infine, con le radici si possono creare anche abbinamenti dolci: “Il nasturzio è ottimo sul gelato alla crema o su quello allo zenzero. Esalta il sapore dolce in maniera inaspettata, proprio come farebbe un cristallo di sale”.

El Molin | Cavalese (TN) | piazza Cesare Battisti, 11 | tel. 0462.340074 | www.alessandrogilmozzi.it

 

 

a cura di Francesca Fiore

 

Bonus Food: nelle missioni spaziali il cibo è gourmet

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Dall'insalata di quinoa per Samantha Cristoforetti alla lasagna di Paolo Nespoli, ecco cosa mangiano oggi gli astronauti in missione sulla ISS, la Stazione SpazialeInternazionale.

A 400 Km dalla terra, in uno spazio di circa 100 metri quadrati, sei astronauti di diverse nazionalità vivono per sei mesi nell'ISS, la Stazione Spaziale Internazionale a stretto contatto l'uno con l'altro, condividendo ricerche scientifiche e nostalgie di casa.

L'orbita intorno alla Terra dura il tempo di una partita di calcio e in 24 ore, dagli oblò della stazione, si possono vedere 16 albe e altrettanti tramonti.

In questo contesto il cibo gioca un ruolo fondamentale per le esigenze nutritive in un ambiente di micro gravità, per l'umore e, perché no, anche per una serena e pacifica convivenza.

Ma a differenza di quanto si vociferava negli anni '80, gli astronauti non si nutrono di insipide pilloline. Certo, il fabbisogno quotidiano sarà sempre soddisfatto da cibi studiati più per rispondere alle esigenze nutrizionali che a quelle del gusto. Ma ormai le cose sono molto cambiate, ci raccontano gli esperti dell'Agenzia Spaziale Italiana (ASI).

 

Gourmet a gravità zero

Riso integrale al pollo, lasagna, insalate e dolci sono oggi una realtà che non è stato facile inserire nelle scorte di bordo. Per farlo si sono dovuti risolvere problemi come la deperibilità dei cibi, l'assenza di frigoriferi, la lontananza per ogni eventuale approvvigionamento. E poi esistono dei dettagli tutt'altro che trascurabili ma che difficilmente si prendono in considerazione quando si cucina sulla Terra. Uno su tutti? I cibi che si portano nello spazio non devono creare molliche. Non si devono sbriciolare perché le particelle, in assenza di gravità, potrebbero fluttuare in ogni dove e compromettere il funzionamento delle strumentazioni di bordo.

Insomma, mangiare nello spazio non è facile. Eppure i cibi in dotazione all'equipaggio sono oggi di buona qualità, ricercati e ben più simili di un tempo a quelli comuni.

Oggi, infatti, a integrazione del cibo fornito dalla NASA, gli astronauti italiani ed europei a bordo della Stazione Spaziale Internazionale dispongono di prodotti extra, il cosiddetto Bonus Food. Una specie di integrazione consolatoria studiata in maniera personalizzata per ogni astronauta che non consiste in un razione predefinita, ma in un quantitativo variabile secondo le richieste dell’astronauta stesso e le sue preferenze gastronomiche, con diverse specialità dei paesi di origine dell'equipaggio internazionale della ISS. Insomma: è il comfort food dello spazio. Un cibo per il corpo, e molto più per lo spirito.

A raccontarlo è Paolo Nespoli, astronauta italiano dell'Agenzia Spaziale Europea (ESA), all'alba della sua terza missione organizzata dall'Agenzia Spaziale Italiana ASI che, non a caso, è stata chiamata VITA, acronimo di Vitalità, Innovazione, Tecnologia, Abilità.

 

I profumi nello spazio

Tra le questioni legate al cibo e alla sua percezione, del fattore olfattivo, quando si tratta di missioni spaziali, non si parla mai. O se ne parla poco. Eppure tra i cinque sensi, quello legato agli odori è forse il più evocativo e tra i più compromessi dalle particolari condizioni dello spazio. In ambienti di microgravità la redistribuzione dei fluidi corporei genera un accumulo nella parte superiore del corpo in corrispondenza di naso e bocca simulando l’effetto di congestione dato dal raffreddore: questo provoca una variazione nella percezione dei profumi e dei sapori. Bisogna poi considerare che l'astronauta in missione si trova per lunghi periodi di tempo in spazi ristretti dove è difficile “cambiare aria”. Ecco quindi che scartare la bustina del Bonus Food dopo averla scaldata al microonde può regalare agli occupanti della Stazione Spaziale qualche momento di piacevolezza.

Paolo Nespoli racconta infatti del piacere che suscita il profumo della lasagna appena scaldata e di come questo si spanda per tutto il modulo spaziale. E non si tratta solo di un istante spensierato, in cui i profumi fanno tornare per un momento ai pranzi della domenica in famiglia: avvolgente e corposo, l'odore della lasagna mette in secondo piano attriti e tensioni che inevitabilmente possono venirsi a creare in situazioni estreme.

 

 

I giovani di Argotec e il cibo per lo spazio

Argotec S.r.l. è un’azienda aerospaziale che si occupa di ricerca, innovazione e sviluppo in vari settori, quali ingegneria, informatica, integrazione di sistemi, nanosatelliti e “Human Space Flight and Operations”. Il cuore pulsante è costituito da un gruppo di giovani la cui età media si attesta intorno ai 29 anni. In Argotec si sperimentano e nascono i cibi che andranno poi a comporre il Bonus Food.

Le ricerche, oltre che sull'aspetto nutrizionale e quindi sul calcolo delle giuste quantità di nutrienti che le razioni devono avere, si concentrano sulle conseguenze che la permanenza nello spazio produce sull'organismo: la condizione di microgravità provoca effetti degenerativi sul corpo umano e sulla sua fisiologia come atrofia muscolare, indebolimento del tessuto osseo e invecchiamento cellulare. Una permanenza di sei mesi sulla Stazione Spaziale Internazionale provoca un invecchiamento cellulare che, sulla Terra, si verificherebbe in dieci anni. Insieme a medici e nutrizionisti sono stati scientificamente studiati alimenti idonei a contrastare e prevenire gli effetti negativi dati da questo tipo di ambiente.

 

ReadyToLunch

ReadyToLunch è un brand di Argotec nato nel 2014 per la distribuzione sulla Terra dei prodotti sviluppati per lo spazio. Le attività di ricerca e sviluppo in ambito alimentare sono state avviate nel 2010 nello Space Food Lab di Argotec, responsabile della fornitura del cibo spaziale per gli astronauti europei. All’interno del laboratorio, primo in Europa, un team che include chef (Stefano Polato è il responsabile dello Space Food Lab di ReadyToLunch, all'attivo anche collaborazioni con Davide Scabin, Harald Wohlfahrt e altri grandi chef), nutrizionisti, tecnologi alimentari e ingegneri collabora in modo sinergico per lo sviluppo di prodotti a elevato contenuto tecnologico, coniugando l’innovazione all’eccellenza culinaria italiana per creare il cibo degli astronauti. Che è possibile anche acquistare e mangiare a casa nostra.

Il cibo pensato per lo spazio, infatti, è ideale anche per altri tipi di situazioni in cui l'approvvigionamento risulti difficile se non impossibile. Si addice, per esempio, a realtà come quelle dei centri di ricerca artici e antartici, alle piattaforme petrolifere o alle esigenze degli sportivi che compiano traversate oceaniche, scalate o attività nei deserti. In tutte quelle circostanze estreme in cui il corpo umano vive una condizione di stress e ci siano difficoltà nei rifornimenti.

 

Il futuro

Lo sguardo delle missioni spaziali è rivolto ora a Marte. Il pianeta rosso è sempre più oggetto di attenzioni e la prospettiva che l'essere umano possa raggiungerlo si fa ogni giorno più realistica. Ma con l'aumentare delle aspettative aumentano anche i problemi. La shelf live del cibo, che oggi si attesta tra i 18 e i 24 mesi, potrebbe non essere più sufficiente a garantire scorte anche per il ritorno. Si stanno studiando sistemi alternativi. Per esempio nell'ultima missione, a bordo della ISS, è stata consumata la prima insalata coltivata direttamente nello spazio e le patate, così come nei film di fantascienza (e forse non proprio per una pura coincidenza), sembrano essere le prossime destinate a coltivazioni 'zero gravity'.

 

L'appello di astro_Paolo

Tra le tante provviste che è riuscito - solo dopo lunghi studi e ricerche - a portare a bordo della ISS ne manca una che a Paolo Nespoli piacerebbe tanto avere con sé. Non si tratta di un piatto pronto quanto di un momento legato al cibo, un attimo di convivialità intorno a una preparazione ben specifica. Alla vigilia della sua terza missione nello spazio, astro_Paolo - così si fa chiamare su Twitter - avrebbe un desiderio e per realizzarlo ha lanciato un appello rivolto ai giovani. Che siano ricercatori o scienziati, chef o tecnici la missione è una: permettere all'astronauta di “farsi una bella spaghettata di mezzanotte”. Difficile ma non impossibile visti i traguardi raggiunti dall'inizio delle missioni spaziali.

 

http://www.readytolunch.com/it/

 

testo e video di Saverio De Luca

montaggio video di Francesca Naccarato

 

 

I corsi sulla Birra di Gambero Rosso Academy in collaborazione con UDB. Alla Città del gusto Roma

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Otto appuntamenti da non perdere con la birra, alla scoperta della complessità del panorama brassicolo artigianale. Da maggio gli incontri e le lezioni con gli esperti docenti dell'UDB alla Città del gusto Roma. 

La birra alla Città del gusto

Otto appuntamenti alla Città del gusto Roma per scoprire l'universo della birra, mentre il panorama brassicolo artigianale italiano si infittisce di belle realtà che interpretano con originalità gli stili birrari. E allora come orientarsi davanti al bancone a tu per tu con il publican di turno? Conoscere e riconoscere una buona birra può essere anche molto divertente, e la nuova partnership tra la Gambero Rosso Academy e UDB (Unione Degustatori Birre) è pronta a dimostrarlo. Dal mese di maggio, nelle aule di via Ottavio Gasparri, a pochi metri da Villa Pamphili, i docenti UDB condurranno un ciclo di appuntamenti dedicati alla degustazione e all'approfondimento teorico sulla birra, a cominciare da martedì 23 maggio, quando protagoniste della serata alla Città del gusto saranno le cosiddette Italian Grape Ale, lo stile birrario made in Italy che è riuscito a imporsi e trovare conferme anche nel panorama internazionale per la qualità e l'originalità della proposta. Due ore, dalle 20 alle 22, per avvicinarsi allo stile attraverso un percorso di degustazione in 6 tappe, con la guida dell'esperto.

 

Dalle basi all'abbinamento in tavola

Per chi invece preferisse cominciare dall'Abc, il primo appuntamento è per il 21 giugno, con il Corso Base di degustazione, articolato in tre incontri da due ore ciascuno, iniziando dagli elementi di degustazione per proseguire con le basi di produzione della birra e poi addentrarsi nella degustazione vera e propria, forti di quanto imparato. Tra gli incontri tematici, il 13 giugno si parlerà di birra e formaggi, per approfondire le caratteristiche dei due mondi e scoprirne le affinità in termini di abbinamento, con 5 birre e 5 formaggi da scoprire. Ancora abbinamento a tavola, il 31 ottobre, per la lezione su Birra e salumi, e poi, in prossimità del Natale, la lezione del 6 dicembre per scoprire le birre di Natale, nel corso di un'orizzontale di 7 assaggi dedicata allo stile natalizio. Ma dal prossimo autunno partiranno anche due corsi articolati in quattro incontri ciascuno, che non lasciano nulla al caso.

Abc e birra in cucina

Dal 20 settembre all'11 ottobre, ogni mercoledì, appuntamento con l'ABC della Birra, corso di livello base che spazia dall'introduzione all'analisi sensoriale all'approfondimento su materie prime e stili brassicoli, dall'analisi dei difetti all'abbinamento in cucina. E proprio sull'importanza del giusto abbinamento a tavola si concentra il corso Biere Cuisine, quattro incontri nel mese di novembre, ogni giovedì, per scoprire i segreti della birra in cucina. Durante le lezioni i partecipanti impareranno tre ricette per ogni abbinamento ideale, ma pure come utilizzare la birra per la preparazione di gelatine, arie, riduzioni, in compagnia di Michele Fiano, chef ed esperto di birra alla guida del laboratorio gastronomico capitolino Giano. Si replica il 13 dicembre con la Christmas Edition Birra e Dolci, per imparare a realizzare dolci natalizi con la birra. Prenotazioni e acquisto dei corsi già disponibili sullo store online del Gambero Rosso e presso la Città del gusto di Roma.

 

Per informazioni www.gamberorosso.it/it/store/scuole/accademia-del-vino/corsi-birra

I fratelli Adrià e Josè Andrés per l'Eataly spagnolo di New York. E tutti gli chef di Hudson Yards

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L'inaugurazione è prevista per la fine del 2018, ma la conferma del debutto dei fratelli Adrià nella ristorazione USA ha già infiammato gli animi. Anche loro, insieme a Josè Andrés, David Chang, Thomas Keller e molti altri sono coinvolti nella grande operazione immobiliare che trasformerà il volto del West Side. Ecco cosa si mangerà agli Hudson Yards. 

Hudson Yards. Il progetto

Il cuore di Hudson Yards, mirabolante impresa immobiliare nel cuore di Manhattan, sarà il cosiddetto Vessel di Thomas Heaterwick, che per i giardini del grande complesso che prenderà forma entro il 2018 ha progettato una architettura-scultura interattiva in acciaio e bronzo, fabbricata peraltro dalle maestranze italiane della Cimolai. Ma il progetto di riqualificazione di un ampio spazio urbano nel West Side, è ben più articolato e ambizioso della singola opera, ed entro l'autunno 2018 regalerà ai newyorkesi una lunga sequenza di spazi aperti concatenati tra loro, tra piante sempreverdi, fontane, piazze ed aree commerciali, tra cui un gigantesco mall destinato in buona parte alla ristorazione.

La ristorazione ad Hudson Yards

Il cantiere dell'edificio che ospiterà circa 25 attività tra ristoranti e food hall, sotto la direzione dello studio Elkus Manfredi, è già partito diversi mesi fa, e procede di gran lena. Ma il risultato sarà apprezzabile solo alla fine del 2018, quando gli imprenditori coinvolti saranno tutti schierati dietro al nastro di partenza di quella che si candida a rivendicare un posto tra le piazze gastronomiche più desiderate della città. E infatti, nell'elenco dei nomi già confermati spiccano pure David Chang - con un doppio concept tra la caffetteria in stile Momofuku Ssam Bar e un inedito ristorante gourmet al quinto piano - e Thomas Keller, che nel complesso ribattezzato semplicemente Shops and Restaurants a Hudson Yards gestirà due insegne, importando in città il format consolidato della Bouchon Bakery di Yountville, in California, e proponendo al contempo un nuovo concept fine dining dedicato alla tradizione americana – TAK Room l'insegna che si ipotizza – al sesto piano con terrazza all'aperto. Con loro anche il greco Costas Spiliadis, a capo di un influente gruppo di ristorazione, che proporrà l'Estiatorio Milos in un bello spazio con terrazza affacciata sul parco e lo skyline di Manhattan, i classici della cucina americana di Michael Lomonaco (già alla guida di una celebre steakhouse al Time Warner Center), il punto vendita di D&D London, e poi caffetterie, pasticcerie, un juice bar e un format incentrato su insalate e cibo bio. La quota italiana, che i newyorkesi hanno a più riprese dimostrato di apprezzare molto, sarà rappresentata da Cipriani, che in città conta già numerose insegne, e dal casual dining all'italiana di Gabby Karan De Felice e Gianpaolo De Felice, già proprietari del ristorante Tutto il giorno a TriBeCa e nel Southampton. Ma si preannunciano ulteriori sorprese.

L'Eataly spagnolo di Andrés con i fratelli Adrià

Chi invece parteciperà di sicuro all'impresa è Josè Andrés. Lo chef spagnolo di stanza a Washington D.C. e a capo di un impero da 29 insegne approderebbe così per la prima volta a New York (anche se già tra qualche mese dovrebbe inaugurare il ristorante dell'SLS Hotel progettato da Philippe Starck, che porta in menu la firma di Andres) con un grande progetto che ha già raccolto il sostegno dei fratelli Adrià, partner del progetto al debutto assoluto negli Stati Uniti.

Al numero 10 di Hudson Yards (sotto l'High Line), infatti, vedrà la luce il mercato con food hall dell'orgoglio iberico, al motto di “Eat, drink, laugh, love”: un Eataly in salsa spagnola dotato di spazi all'aperto, pensato per evocare lo spirito della Boqueria di Barcellona, con la partecipazione di artigiani del gusto e produttori vinicoli in rappresentanza dell'eccellenza spagnola, e un'ampia scelta di tapas e wine bar. E si aspettano effetti speciali dalla partecipazione di Ferran e Albert Adrià. Una food hall di tutto rispetto, dunque, a breve distanza dal mercato gastronomico in stile asiatico che Anthony Bourdain progetta di aprire entro il 2019 al molo Pier 57. Chi vincerà la sfida? Tra un anno sapremo di più.

 

a cura di Livia Montagnoli

Storie di grande ristorazione: intervista ad Alfonso Iaccarino

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È stato uno dei primi grandi ristoranti campani, cucina d'autore e accoglienza impeccabile, grande scuola e calore umano. È il Don Alfonso, un tempio dell'ospitalità completamente immerso nei fasti gastronomici, paesaggistici, culturali della Penisola Sorrentina.

Il Sud non ha avuto, negli ultimi trent’anni, una vita gastronomicamente molto facile. “Oggi finalmente i nostri prodotti e le nostre tradizioni hanno cominciato ad affermarsi nei ristoranti importanti del Nord e nel mondo… Ma per anni non è stato così”. La parola ad Alfonso Iaccarino, da sempre ai vertici della guida Ristoranti d’Italia e tra i primi ad avere le Tre Stelle in Italia. Oggi Iaccarino è un nome noto anche lontano dalla Campania: a partire da Roma, dove nel tempo hanno collezionato esperienze in grandi strutture alberghiere (e a breve dovrebbe unirsi anche il St. Regis) fino a Marrakech, Macao ed Helena Bay in Nuova Zelanda.

In realtà, nonostante le ricchezze agroalimentari e la profondità della sua cultura gastronomica, il Mezzogiorno d’Italia ha sofferto molto una marginalizzazione dovuta al fatto che, dall’Unità d’Italia a qualche anno fa la misura è sempre stata fortemente improntata agli standard del Nord. Qui ci sono stati i Greci e i Romani, qui sono nati i primi trattati di cucina e di gastronomia, qui la raffinatezza dell’Islam ha incontrato l’opulenza borbonica, qui è passato Federico II. E qui sono arrivati i Savoia, a conformare – forse eccessivamente – la cucina sui parametri piemontesi e dell’Europa continentale delle grandi corti, nella seconda metà dell’800.

Qui, purtroppo”esclama Iaccarino “molti prodotti di altissimo livello e di grande efficienza sono stati abbandonati nel corso degli anni. E devo dire che il Gambero Rosso ha sempre difeso le nostre produzioni, anche contro una standardizzazione industriale che l’ha fatta da padrona e che ora, per fortuna, vedo un po’ meno egemone”.

alfonso iaccarino ed ernesto iaccarinoAlfonso ed Ernesto Iaccarino

La scelta e la passione

Alfonso, figlio di albergatori importanti della Penisola Sorrentina, sceglie di diventare ristoratore alla metà degli anni ’70. “L’ho fatto per passione, per scelta: non certo per soldi”sorride “Quando mio padre stava morendo mi chiamò per dirmi due cose: che nel mondo ci sono persone per bene e persone non per bene e che io avrei dovuto essere per bene; che la vecchiaia è brutta, ma ha un grande valore: la forza, la saggezza dell’esperienza. E devo dire che, pur non sentendomi affatto vecchio, oggi credo sia di aver assolto sia a quel consiglio, sia di apprezzare la saggezza dell’esperienza”. È un racconto sentito, il suo, che si conclude con una riflessione sul suo territorio: “Credo che il nostro sia stato un percorso importante, per noi ma anche per tutto il Sud. Oggi tanti ragazzi e professionisti che si sono formati da noi e con noi sono nelle cucine di ristoranti importanti e mi sembra che tutta la ristorazione e la gastronomia del Sud sia cresciuta e molto”.

 

La tavola e la campagna

Nord e Sud, oggi, sono più vicina a tavola? O le differenze si sono acutizzate? “Non c’è un ristorante, oggi, che non ti presenti i pomodorini del Vesuvio o i paccheri di Gragnano. Prima (parlo di 30-40 anni fa) non c’era nulla del genere. Oggi tutti i ristoranti del Sud hanno un piatto col tartufo di Alba, prima era sconosciuto. A Napoli trovi piatti col gorgonzola e a Milano la mozzarella di bufala” e via un elenco di rimandi tra territori e prodotti, per concludere“C’è stata evoluzione e affratellamento della cucina. I pistacchi di Bronte o la colatura di alici li trovi nei ristoranti o nelle pizzerie più importanti della Lombardia. Così come di frequente trovi al Meridione la pizza con la bresaola… Questi scambi hanno aperto nuovi orizzonti. Io spero che i giovani tornino di più all’agricoltura, a coltivare i campi e gli orti, ma anche a conoscerli”.

orecchiette don alfonso

Un'economia basata sul capitale umano

Qual è il valore aggiunto che l’economia della ristorazione può offrire al Paese nel suo insieme? “Noi ristoratori siamo stati una delle categorie che si sono sacrificate di più in Italia. Noi oggi abbiamo un’azienda con 50 dipendenti e fatturiamo, facciamo un esempio, 10; un’azienda tessile o metalmeccanica fatturerebbe 100 se avesse le nostre dimensioni”. Un dato che fa riflettere.“Questo per far capire come nel nostro settore è sempre e ancora l’uomo al centro del lavoro: è l’investimento maggiore”spiega “E questo sarà un settore che avrà sempre più bisogno di personale, specialmente in sala: oggi tutti vogliono fare lo chef, ma c’è una centralità incredibile della sala. È fondamentale. Ed è uno spazio, una funzione in cui serve cultura, capacità di interazione, di scambio”.

 

Don Alfonso, la terra, la cucina e la coscienza critica

Parliamo però anche di come sarà, il Sud. Da Punta Campanella l’orizzonte sembra tingersi di ottimismo, nelle parole di Alfonso. “Viviamo in un mondo in cui Internet ha cambiato la sostanza delle cose, dei rapporti, delle relazioni e della conoscenza. Una volta le multinazionali potevano fare il lavaggio del cervello e importi i loro prodotti. Oggi è un po’ diverso: c’è la possibilità di formarsi una coscienza critica, vedo che le persone sono più consapevoli e complessivamente cercano di più la qualità. Si mangia di meno e si sceglie con più attenzione, c’è più cura del proprio benessere e del proprio piacere”.

Oggi Don Alfonso vorrebbe fare il contadino, curare più l’origine degli ingredienti che non la loro manipolazione. “Sì, ma sono i miei figli (Mario ed Ernesto ndr) a volermi ancora qui! Non so, probabilmente serve ancora qualcuno che ribadisca con forza le idee che ci hanno fatto diventare ciò che siamo”.

E sono idee chiare che partono dalla terra ma fanno un giro ampio: “Non ho mai ceduto a compromessi sulla qualità: per far crescere un pollo dall’uovo al piatto, una volta serviva almeno un anno; oggi, con l’allevamento intensivo, bastano 45 giorni” e da riflessione nasce riflessione: “Dicono che costa meno, ma per chi? Una parte di mondo si arricchisce, ma un’altra grande parte si impoverisce: pensate ai grandi costi sanitari delle malattie legate alla cattiva alimentazione. La verità è che una volta i ricchi mangiavano la carne e i poveri fagioli e patate; oggi i ricchi mangiano prodotti di alto livello tra cui legumi e verdure di qualità, i poveri mangiano la carne” e conclude avendo ben chiaro il binomio tra qual che si mangia e lo stato di salute “Io cerco di dare alla cucina, allo sviluppo della mia cucina, un valore di benessere e di arricchimento per la salute dei miei ospiti. E credo che in questo sia anche il motivo del grande successo che qui a sant’Agata sui Due Golfi stiamo vivendo, sia a livello italiano che internazionale”.

 

La cucina italiana e quella del Don Alfonso

Quale futuro per la cucina italiana? Dove andiamo? “Ci sono stati, negli anni, tentativi di farla diventare sempre più chimica. Ma io sono convinto che il futuro sarà sempre più ricerca della qualità, perché cresce la consapevolezza. Che non significa per forza prezzi alti. Oggi i cuochi, quando danno le ricette, dicono: prendete un pollo, un uovo, un etto di farina… Domani diranno: prendete un pollo di Nicola dalla Toscana, le farine del mulino umbro, la pasta del pastificio tale”. Insomma, un po’ il percorso che ha portato alla centralità del vino: non basta dire Barolo, per capire servono il produttore, il cru, l’annata. Ed è un percorso che, da qualche parte, inizia a già a essere visibile.

Ma a questo punto, torniamo alla cucina: i piatti che per Alfonso raccontano l’inizio e quelli che vanno verso il futuro. “A cambiare, davvero, il mio percorso sono stati i vermicelli pomodori e basilico. Erano gli anni della nouvelle cuisine, delle pennette al salmone o alla vodka, dei soufflé. Io non capivo la cucina della Dolce Vita. Così risposi con l’estrema, solare, semplicità. Allora, siamo stati i primi a sfilettare i pesci, le pezzogne (ma chi le conosceva?) il pesce bandiera” e guardando a domani, invece? “Di evoluzione, invece, parla lo gnocco alla sorrentina rivisto oggi: una pasta di patate ripiena di fondente di mozzarella, un piatto che richiede molta cura, tecnica e tecnologia nella preparazione. Sempre nel massimo rispetto di prodotti importanti, selezionati, pieni di sapore”.

 

Don Alfonso | Sant'Agata ai Due Golfi (SA) | corso Sant’Agata, 11-13 | tel 081.8780026 | www.donalfonso.com

 

a cura d Stefano Polacchi

 

 

Nuove aperture a Roma. Il ristorante di Marzapane all'Opera, la Santeria di Mare, il trasloco di Acquolina

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In vista dell'estate la ristorazione capitolina dà fuoco alle polveri. Tra qualche giorno inaugura il nuovo ristorante del Teatro dell'Opera, con la supervisione di Alba Esteve Ruiz. E intanto anche il ristorante di pesce della famiglia Troiani si trasferisce in centro città, al The First Luxury Art Hotel. Già operativo Nino Graziano con la sua Osteria Siciliana. Tra le novità più informali il bistrot del Maritozzo Rosso all'Eur e presto la Santeria di Mare di Gioia Di Paolo al Pigneto. 

Il Ristorante di Marzapane all'Opera

Chi l'estate scorsa ha avuto l'opportunità di sedersi alla Crostaceria del Teatro dell'Opera, al riparo dal caos dell'Esquilino sotto il porticato dell'edificio progettato da Domenico Costanzi, sa quanto preziosa e strategica possa essere l'area di piazza Beniamino Gigli, colpevolmente abbandonata a se stessa negli ultimi anni. In questa luce, il progetto di ristorazione affidato al team di Marzapane, che da oltre un anno ha preso in gestione il Caffè dell'Opera all'interno del teatro (seguendone le attività anche nella stagione estiva, alle Terme di Caracalla), e ora è in procinto di alzare la posta in gioco, si prospetta decisamente interessante. Da martedì 16 maggio, e con molto ritardo sui piani per qualche lungaggine burocratica di troppo, Mario Sansone e Angelo Parello concretizzeranno l'apertura del Ristorante di Marzapane all'Opera: uno spazio all'aperto, proprio nel piazzale antistante il teatro, che segue il rodaggio della formula pret-a-manger del Caffè, ma avrà vita propria ben oltre il cartellone degli spettacoli. Il menu, firmato da Alba Esteve Ruiz, interpreterà la tradizione italiana con il twist della giovane chef spagnola, proponendosi di raggiungere un pubblico trasversale con un'offerta fresca e immediata – e tanti piatti di mare - che cambierà spesso, per una rilassata cena estiva all'aperto nel centro di Roma.

La cena sotto le stelle in piazza Gigli

Dalla prima carta, per esempio, l'Insalata di lingua, curcuma, capperi e senape, le Mezze maniche all'amatriciana, il Filetto di rombo con finocchi, arance e olive, ma pure qualche retaggio della tradizione iberica, come il Pan tomate con jamon de bellota. Una cucina solida, dunque, lontano dalle sofisticazioni gourmet, e a prezzi accessibili. Con materie prime di qualità (Pasta Mancini, Barlotti, i vini di Trimani, tra i nomi coinvolti) e una linea di dessert estivi studiata per l'occasione. Così, mentre il Caffè dell'Opera continuerà a servire anche la colazione, operativo dalle 8.30 della mattina con i prodotti da forno di Roscioli e i gelati di Stecco Lecco, e poi per la pausa pranzo e merenda, dalle 19 alle 23 entrerà in servizio il ristorante sotto le stelle, con apertura dal martedì alla domenica. Ma non sono poche le novità che si profilano in vista dell'estate romana.

Ceviche, Acquolina

Centro città. La Sicilia di Graziano, il trasloco di Acquolina

Fresca di inaugurazione, annunciata da tempo, l'Osteria Siciliana di Nino Graziano ha aperto i battenti in via del Leoncino, con piccolo dehors su via dell'Arancio. Posizione centralissima, a breve distanza dalla scalinata di Trinità dei Monti, dunque, per lo chef palermitano che ha fatto fortuna a Mosca proprio con la tradizione della sua terra. E a Roma, Graziano ripropone la formula affiancato in sala da sua moglie Sabine Bour: in cucina con lui – al rientro sul suolo nazionale – il sous chef Manuele Croce; dal menu Caponata di verdure e Polpette di sarde con pinoli e menta, Macco di fave con ricotta e Tonno abbuttunato, panelle e Minestra d'aragosta con spaghetti pizziati. Un'altra tavola siciliana che merita attenzione in città dopo l'arrivo di Tischi Toschi nel 2016, ma punta sin dal menu, in buona parte improntato al fine dining, a conquistare pure la clientela internazionale che gravita in centro città. Tutti i giorni, a pranzo e cena.

Se parliamo di cucina d'autore, la buona nuova che ha già messo in allerta i gourmet capitolini è il trasloco eccellente di Acquolina all'interno del The First Luxury Art Hotel (quello che fino a non molto tempo fa ospitava All'Oro, oggi rinato non molto distante, in forma indipendente, boutique hotel con tavola fine dining). A oggi, e dopo un lungo percorso che ha visto passare nella cucina di via Serra zona Fleming pure Giulio Terrinoni, Acquolina è l'unico ristorante stellato di pesce in città. Ma l'insegna di mare della famiglia Troiani – che ne condivide la proprietà con lo chef Alessandro Narducci e il restaurant manager Andrea La Caita – ha pagato a lungo lo scotto di una posizione fin troppo defilata per il ruolo di prestigio che ricopre sulla piazza romana. Ecco perché il passaggio in piazza del Popolo dopo 12 anni di attività è davvero una bella notizia. Dal 10 maggio, il team del ristorante è al lavoro sulla terrazza al sesto piano dell'hotel con il format Acquaroof, finger food e tacos in variante mare, terra e vegetariana. Ma tra qualche settimana sarà proprio Acquolina a traslocare al piano terra di via del Vantaggio 14 (ne riparleremo).

 

La Santeria di Mare al Pigneto

Intanto ci spostiamo al Pigneto, dove nei prossimi mesi prenderà forma il nuovo progetto firmato La Santeria. Gioia Di Paolo, già molto amata in città per la proposta ricercata e informale al contempo del suo delizioso bistrot anni Venti in via del Pigneto, ha rilevato lo spazio attiguo con giardino segreto – ex Yakiniku – per trasformarlo in una Santeria di Mare molto particolare: “Cercavamo da tempo l'occasione giusta, il nuovo spazio ci permette di disporre di una cucina, anche se la formula resterà quella del bistrot, carta agile, dinamica, divertente, a tema marino”. L'apertura è prevista per l'inizio dell'estate, ma le idee, tante, sono già ben chiare: Oyster bar con bancone in marmo e sgabelli all'ingresso, dove prenderà vita la Pizzicheria di pesce, con le ostriche di Corrado Tenace, salumi di mare homemade, crudi, scarpette e pagnottelle di mare. Per l'aperitivo con bollicine e vini naturali, principalmente Riesling e rifermentati in bottiglia. Dal menu fisso, analogamente alla Santeria (che resterà un'esperienza separata), anche polpette di pesce, tomino caldo con trota salmonata, parmigiana di mare. Mentre la carta del bistrot – 40 coperti in sala più una trentina nel giardino sul retro – giocherà con il tema esotico, “intenso come curiosità di scoprire il mondo, dall'Oriente alla Lapponia, con gli occhi di chi a cavallo tra XIX e XX secolo esplorava per la prima volta mondi nuovi”. Il tema, non a caso, caratterizzerà anche il design e gli arredi del locale. Dal menu, concentrato sulle cotture, tra vapore, fermentazioni, marinature e affumicature, gli Spaghetti alle vongole con latte di mandorla, il Pesce al vapore con cipollotto, zenzero e soia, il Ceviche allo zenzero con maionese al pepe vanigliato, il Polpo e la sua maionese in tre cotture. Ma anche cartocci di fritto, tanto pesce povero, le spezie dell'Emporio delle spezie a corroborare il tema. E “l'intruso della Santeria, dal Pata Negra alla porchetta”, che farà capolino tra le proposte. Dolci su misura, come lo Gnocco di ricotta con ganache al cioccolato e caramello salato, e cocktail all'italiana, con una selezione di vermouth e gin.

Il Bistrot del Maritozzo Rosso all'Eur

Ancora periferia romana, di tutt'altro respiro, per il Maritozzo Rosso Bistrot che inaugura in viale Europa, all'Eur, quartiere residenziale e ricco di uffici del quadrante Sud. Il format, battezzato un paio d'anni fa in occasione di This is Food e recentemente protagonista da Eataly con un corner dedicato, approda all'interno della libreria Mondadori, “in attesa di trovare un locale tutto nostro, stiamo cercando in zona piazza Fiume”, racconta Edoardo Fraioli. In realtà anche l'esperienza in libreria, dove il bistrot è già operativo da qualche giorno in soft opening, nasconde basi solide: un anno di contratto rinnovabile per stupire con una pausa pranzo alternativa e una proposta aperitivo golosa. Si apre dalle 9 alle 20, ma un giorno a settimana fino alle 23 il bistrot resterà aperto per eventi culturali. La mattina e durante il giorno crostate, torte, maritozzi dolci (come il Maritamisù bagnato al caffè con crema di tiramisù), e le miscele di caffè di Misceliamo, anche per caffè filtro. A pranzo, per 30 coperti, la carta dei maritozzi salati – tra gli altri, il signature con coscia d’anatra in cbt e datterini confit alla maggiorana, spinaci a crudo e maionese all’arancia home made, senza tuorli, il Cacio e Pepe con pere, guanciale croccante, ricotta di pecora e pecorino, Stracciatella e alici, quello con Mousse di mortadella, totani, olive taggiasche e pistacchi, il Picchiapò - il pumpernickel (toast di segale farciti con originalità, salmone a bassa temperatura, zenzero e mela verde, uovo a 68° con cialda di parmigiano e verdure, formaggio di fossa e verdure), le InsalaTozze e qualche piatto caldo, dal Baccalà con insalata di carciofi allo Stinco di maialino alla birra, con cotture sottovuoto e a bassa temperatura. Per l'aperitivo selezione di formaggi e minimaritozzi (tre per 10 euro), birra artigianale e vini abruzzesi alla mescita, bollicine e una breve carta dei cocktail.

Fusion e trend gastronomici

Proseguiamo con la quota che intercetta i trend gastronomici in arrivo da fuori città, molti ormai ampiamente rappresentati nella Capitale. Per la serie ramen bar, Akira, che la moda del ramen giapponese l'ha portata per primo al quartiere Ostiense, sta per raddoppiare a piazza Bologna. Mentre a piazzale Flaminio è appena approdato Finger's, ennesima variazione sul tema della cucina nippo brasiliana, in arrivo da Milano, dove Roberto Okabe ha battezzato il format nel 2004 (oggi le sedi meneghine sono due, più un locale a Porto Cervo e uno nella località sciistica di Megeve). In via Francesco Carrara sono 85 i coperti, tra sala e cocktail bar; si apre solo a cena, con il menu consolidato in anni d'esperienza, per la serie cucina creativa giapponese: pizza di riso croccante con caviale e maionese piccante, gyoza con pollo e salsa ponzu, sashimi, aragosta con verdure al wok, yuzu e chips di patate viola, sushi. Dell'esordio del primo Avocado Bar in Italia, zona Monti, abbiamo già parlato.

 

Le nuove gelaterie

E chiudiamo con le nuove gelaterie che provano a conquistare un posto al sole in un panorama già molto affollato (con tanti nomi meritevoli). All'inizio di via Tiburtina, da qualche giorno, c'è il Gelato San Lorenzo, laboratorio che scommette sulla naturalità del prodotto e riduce la quantità di zuccheri usata in lavorazione. Disponibili anche gusti vegan e gluten free. In piazza Cola di Rienzo, zona Prati, da qualche mese c'è G Like, che della spettacolarità fa il suo punto di forza: sedici mantecatori a vista e una lastra raffreddante per coinvolgere il pubblico nella realizzazione del gelato, anche in versione salata. Con l'idea di replicare il format in Italia e all'estero. In via Tuscolana 853, zona Don Bosco, invece, ha appena aperto Biolée: accento su prodotti bio e preparazioni per celiaci e vegani. Il format, all'esordio romano, non è nuovo, e conta già 11 punti vendita nel Lazio. Prossimo obiettivo: Madrid.  

 

Il Ristorante di Marzapane all'Opera | Roma | Teatro dell'Opera, piazza Beniamino Gigli, 7 | da martedì 16 maggio | tel. 06 48160504 | www.marzapaneroma.com

Osteria Siciliana | Roma | via del Leoncino, 28 | tel. 06 68805283 | www.osteriasiciliana.it

Acquolina e Acquaroof al The First Luxury Art Hotel | Roma | via del Vantaggio, 14 | tel. 06 45617070 | www.thefirsthotel.com

La Santeria di Mare | Roma | via del Pigneto, 209 | dalla fine di giugno | www.facebook.com/LaSanteriaPizzicheriaBistrot/

Il Maritozzo Rosso Bistrot | Roma | Libreria Mondadori, viale Europa, 90 | www.ilmaritozzorosso.it

Ramen Bar Akira | Roma | piazza Bologna | prossima apertura

Finger's | Roma | via Francesco Carrara, 15 | tel. 06 3234453 | www.fingersrestaurants.com

Avocado Bar | Roma | via della Madonna dei Monti | dalla fine di giugno | www.avocadorestaurantbar.com

Gelato San Lorenzo | Roma | via Tiburtina, 6 | tel. 06 4469440 | www.gelatosanlorenzo.com

G Like | Roma | piazza Cola di Rienzo | tel. 06 96035196 | www.glikegelato.com

Biolée | Roma | vi Tuscolana, 853 | tel. 06 7612653 | www.biolee.it

 

a cura di Livia Montagnoli

 


Care’s a Salina. La summer edition della manifestazione ideata da Norbert Niederkofler

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È la prima edizione al mare di Care’s. Appuntamento dal 21 al 24 maggio a Salina, nel suggestivo scenario tra l'Hotel Signum e il Capofaro Malvasia & Resort.

Il programma e i 3 focus: terra, mare, energia

Dalla neve al mare, dalle montagne ai vulcani: la versione estiva della manifestazione ideata dallo chef di San Cassiano si sposta dall'Alta Badia e approda a Salina, nei suggestivi scenari dell'Hotel Signum, del Capofaro Resort e dell'Hotel Ravesi a Malfa. Una scelta coerente considerata l'affinità tra i due territori, entrambi patrimonio UNESCO, entrambi tutelati grazie alle politiche di valorizzazione delle regioni a Statuto Speciale. Ovviamente c'è una sostanziale differenza: l’energia dell’isola e del mare, ad accompagnare i partecipanti, pronti nuovamente a scommettere sulla sostenibilità e su una ristorazione del futuro più sana e più giusta. Quattro le giornate di lavoro, dove si cercherà di andare oltre il tema “cucina”: nella prima sezione mattutina del 23 maggio è la terra l’elemento dominante, con un focus sul consumo responsabile di quelli che sono i suoi frutti. A seguire il mare e come gestire al meglio le sue risorse, sottolineando le importanti sinergie nate con l’Aeolian Islands Preservation Fund e la Blue Marine Foundation, da tempo impegnate nella promozione di un’Area Marina Protetta nelle Isole Eolie. E infine si parlerà di energia, con l’esperto d’innovazione Alessandro Garofalo, cercando di far chiarezza sul suo futuro al servizio dell’era digitale. Il programma include anche escursioni in mare su piccoli pescherecci per provare l’emozione della pesca con le reti, trekking guidati nella Riserva Naturale “le Montagne delle Felci”, visite alle architetture Eoliane, ma anche showcooking sull’utilizzo del pesce crudo che vede coinvolti lo chef peruviano Rafael Rodriguez e il giapponese Yoji Tokuyoshi a confronto con uno chef siciliano e un pescatore di Salina.

Gli chef coinvolti

Sono 18 gli chef da tutto il mondo che portano alla summer edition di Care’s la propria esperienza per fonderla e confonderla in un pensiero etico comune con focus inevitabili sui prodotti locali e sulla stagionalità, sul riciclo e il riutilizzo degli scarti alimentari; ma soprattutto riflettori puntati su una coscienza ecologica in tema consumi, mobilità e tecnologie. Tra gli “chef etici”, ovviamente Norbert Niederkofler e la resident Martina Caruso (vincitrice della borsa di studio Young Ethical Chef in occasione della prima edizione di Care's), i siciliani Pino Cuttaia, Filippo La Mantia e Corrado AssenzaAndreas Caminada, Giuseppe Iannotti, Giancarlo Morelli, Andrea Berton, Moreno Cedroni e David Kinch del Manresa di Los Gatos, negli Stati Uniti. Tutti con un solo obiettivo: Take Care’s!

 

Care's 2017 – Summer Edition | Salina | dal 21 al 24 maggio 2017 | www.care-s.it

 

a cura di Annalisa Zordan

 

 

I sapori della costa: miniguida gastronomica alla Riviera di Ulisse

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Una terra che racconta di eroi mitologici e storie leggendarie, che offre splendide coste sabbiose e tratti rocciosi a picco sul mare. È la Riviera di Ulisse, la striscia di costa che va dal sud della provincia di Latina al confine con la Campania. Vi portiamo qui, alla scoperta splendidi borghi e paesaggi suggestivi, con gli indirizzi per mangiare e fare acquisiti gastronomici in zona.

La Riviera di Ulisse

Un territorio di oltre 80 chilometri nel basso Lazio che offre una grande varietà di paesaggi: spiagge di sabbia bianca finissima, calette che nascondono grotte e anfratti, fino a promontori rocciosi a strapiombo sul mare. E, in mezzo, la natura incontaminata del Parco regionale della Riviera di Ulisse e del Parco nazionale del Circeo. È il tratto che va da San Felice Circeo, abbraccia il Golfo di Terracina e quello di Gaeta, e arriva a Marina di Minturno al confine con la Campania. Una terra protagonista di racconti mitologici e storie leggendarie, come quella che narra dell’incontro fra Ulisse e i lestrigoni, popolo di giganti antropofagi che, per ordine del loro re Antifate, distrussero la flotta dell’eroe omerico e uccisero, infilzandoli con enormi spiedi, tutti gli uomini. E ancora l’isola della maga Circe, al cospetto del monte Circeo, o Caieta, la nutrice di Enea, che venne qui a morire dando origine al villaggio che poi diventerà l’attuale Gaeta.

 

Promontorio del Circeo - foto di Italia.itPromontorio del Circeo - foto di Italia.it

 

Da San Felice Circeo a Terracina

Ai confini del Parco nazionale del Circeo, San Felice è un comune di circa 10 mila abitanti con una storia antichissima: è qui che negli anni ‘30 del ‘900 vennero ritrovati i resti dell’uomo di Neanderthal, in una delle tante grotte naturali del Promontorio del Circeo, per la precisione la Grotta Guattari. Sono proprio le grotte a rendere questa zona così particolare, prima fra tutte la Grotta delle Capre, lunga 9 metri e con 12 diversi livelli, lì vicino, immersa nelle acque cristalline, c’è la statua di bronzo conosciuta come il Cristo inabissato. Famosa è anche la Grotta Azzurra, accessibile solo dal mare, che prende il nome dagli splendidi riflessi che il sole le dona in alcuni momenti del giorno.

Chi decide di visitare Sa Felice non può perdere due dei punti più suggestivi di tutta la costa: il Faro, una torre di 18 metri a 3 chilometri dal centro abitato, e Crocette, una località che ospita le Mura ciclopiche, resti di mura poligonali del V secolo a. C., da cui si può ammirare tutto il golfo fino a Gaeta e all'isola di Ischia.

 

Terracina, foto di Auxur TimeTerracina, foto di Auxur Time

A 20 chilometri da San Felice c’è Terracina, una località che, grazie alle sue lunghe spiagge bianche e ai suoi numerosi monumenti storici, sa accontentare diverse tipologie di turisti. La sua struttura urbana si articola su due due livelli: la parte bassa, fondata in epoca romana e poi sviluppatasi soprattutto nel corso del XIX e XX secolo, e la parte alta della città, in cui ci sono tracce del periodo pre romano e diverse testimonianze di quello medievale, e dove si trova anche l’antico Foro Emiliano. Il Tempio di Giove Anxur, del I secolo a. C., è il vero simbolo di Terracina: è situato sulla vetta del Monte Sant’Angelo in una posizione molto suggestiva e caratterizzato da cunicoli e arcate che costituivano il basamento e i sotterranei dell’edificio.

 

Da Sperlonga a Gaeta

Uno dei borghi più affascinanti della costa, Sperlonga, sorge su uno sperone di roccia a picco sul mare, la parte finale dei Monti Aurunci, che si allunga verso il Mar Tirreno e il Golfo di Gaeta. Le sue spiagge di sabbia bianca si alternano ai punti rocciosi formando delle splendide calette, spesso raggiungibili solo via mare. Fra queste c’è la Grotta di Tiberio, il cui nome suggerisce come questa località fosse fra le preferite dell’imperatore romano. Situata all’estremità della spiaggia dell’Angelo, nasconde i resti delle antiche piscine in cui Tiberio amava soggiornare a lungo, oltre che diversi reperti scultorei che raccontano delle gesta di Ulisse, oggi conservate nel Museo archeologico nazionale di Sperlonga. La grotta è contigua alla Villa romana, costruita nel I secolo d.C, una residenza imperiale che si estendeva per oltre 300 metri di lunghezza lungo la spiaggia di levante e comprendeva, oltre alle abitazioni e alle case di servizio, anche un impianto termale, manufatti per le riserve d'acqua e un attracco privato.

 

Sperlonga, foto di Radio ArtistaSperlonga, foto di Radio Artista

 

I 10 chilometri che separano le spiagge di Sperlonga da quelle di Gaeta - inframezzate da punte rocciose e contraddistinte da diverse torri di avvistamento - offrono ai visitatori uno dei tratti più belli della zona. Qui si trovano anche i lidi di Fondi, area dalla spiaggia sottile in cui si incontrano diverse correnti, luogo ideale per gli amanti del windsurf e del kitesurf.

Come Sperlonga, anche Gaeta è stata meta di assalti e scorribande di pirati e conquistatori per secoli, fino a diventare una roccaforte borbonica del Regno di Napoli. Visitando il suo centro storico, sembra quasi di essere testimoni delle sue travagliate vicende: accanto alle strutture imponenti del Castello Angioino-Aragonese sorgono templi risalenti al primo periodo di diffusione del cristianesimo, monumenti medievali e strutture rinascimentali.

La costa di Gaeta è caratterizzata da una folta vegetazione mediterranea che fa da contorno alle sue suggestive spiagge, come quella dell’Ariana, racchiusa fra due promontori, e quella di Sant’Agostino, particolarmente turistica.

 

Grotta di Tiberio, foto di Visit LazioGrotta di Tiberio, foto di Visit Lazio

 

Da Formia a Marina di Minturno

L’ultimo tratto di costa della Riviera di Ulisse è spesso il più sottovalutato. Non commettete questo errore e proseguite fino al confine regionale, per godervi un ambiente altrettanto suggestivo quanto la parte più a nord.

Formia è una cittadina dagli antichi natali: fondata dal popolo dei laconi, le sue origini si legano alla città di Troia e alle peregrinazioni di Ulisse, perdendosi fra storia e mito. Proprio qui, secondo il racconto di Omero, vivevano i già citati lestrigoni, immaginario popolo primitivo che distrusse le navi dei compagni dell’eroe, la cui imbarcazione si salvò per miracolo.

 

Matrimoni subacquei, il Cristo sommerso - foto di Latina TodayMatrimoni subacquei, il Cristo sommerso - foto di Latina Today

Proseguendo sulla costa si incontra Scauri, con la sua bellissima Baia dei sassolini, scelta come location per diversi film, fra cui anche “Per grazia ricevuta”, interpretato da Nino Manfredi (1971). Sul Monte Oro, continuando dal centro abitato verso il mare, si trova la Torre Quadrata o Torre dei Cavallari, una struttura alta 14 metri risalente alla seconda metà del XVI, eretta per difendere il litorale dalle invasioni dei turchi.

 

Dal lungomare di Scauri si accede al Parco regionale di Gianola e al Monte di Scauri, una porzione di territorio perfetta per gli amanti del trekking, con diversi percorsi organizzati secondo il livello di difficoltà.

Infine approdiamo a Minturno, con la sua zona balneare, Marina di Minturno, l’antico porto Minturnae e il teatro romano, risalente al I secolo d. C. Da visitare anche il suo Castello Baronale del IX secolo d.C., dove soggiornarono personaggi del calibro di Tommaso d’Aquino, Isabella Colonna e Giulia Gonzaga.

 

CONSIGLI DALLA GUIDA RISTORANTI D’ITALIA 2017

 

Acqua pazza (Ponza)

Se è vero che quella di Gino e Patrizia Pesce è una posizione privilegiata dal punto di vista turistico, è altrettanto vero che in un contesto del genere non è facile tenere alta l’asticella della qualità senza deludere i clienti abituali. Loro ci riescono e lo fanno grazie alla cucina: comprensibile da tutti ma mai banale, forte di prodotti di qualità elevatissima, non priva di qualche azzardo creativo. La cantina è ampia e fornita di etichette da ogni dove, mentre il servizio resta impeccabile anche in periodi particolarmente intensi. Due Forchette nell’edizione 2017 della guida Ristoranti d’Italia.

 

Bottega Sarra 1932 (Terracina)

Una garanzia di qualità da decenni, quella della famiglia Sarra. L’ambiente è accogliente - con una meravigliosa vista sulle isole pontine - la cucina si divide fra piatti classici e proposte più creative, in grado di valorizzare la materia prima di mare. Punto di forza del locale anche i prezzi, sia per i menu degustazione (due le proposte, a 25 e 35 euro) che per i vini, molti dei quali regionali. Chiusura piacevole con i dessert, che richiamano i sapori del mediterraneo. Due Forchette nell’edizione 2017 della guida Ristoranti d’Italia.

 

Chinappi (Formia)

La cucina di pesce della famiglia Chinappi, sul litorale come a Roma, non delude mai gli avventori. La materia prima regna su tutto, la tecnica è asservita al sapore, la cura dei dettagli è maniacale. Ma qui si mangia anche un’ottima pizza, croccante e ben lievitata allo stesso tempo. Tanti i menù degustazione, con idee dedicate anche ai più piccoli. La cantina non è ampissima, ma si sposa perfettamente alla proposta gastronomica. Due Forchette nell’edizione 2017 della guida Ristoranti d’Italia.

 

Claudio Petrolo (Gaeta)

Una ventata di ricerca e voglia di innovare sul litorale pontino, zona ricca di prodotti e tradizioni. In cucina Claudio Petrolo si mette sempre alla prova e gioca con il suo prodotto d’elezione - il pesce del golfo di Gaeta - mescolando sapientemente ricette locali con le sue esperienze europee al fianco di chef del calibro di Martín Berasategui e Joan Roca. Per completare il tutto, dolci gustosi e più tradizionali, e un’ampia cantina con referenze da tutto il territorio italiano, anche al calice. Due Forchette nell’edizione 2017 della guida Ristoranti d’Italia.

 

Il granchio (Terracina)

Una veranda sul Golfo di Terracina con una vista mozzafiato, una proposta di stampo classico e dalle linee impeccabili, un servizio formale ma accogliente, senza sbavature. È questa la formula del Granchio, con la cucina di Daniela Onorato a farla da padrona, con i suoi sapori semplici ma ben definiti e un grande uso delle erbe. Due le opzioni per i clienti: quella del ristorante, con l’ampio menu, e quella de bistrot, a cui è dedicata una sala ad hoc, con una formula più snella sia per il pranzo che per la cena. Carta dei vini importante, con un’attenzione particolare per Francia e Germania. Due Forchette nell’edizione 2017 della guida Ristoranti d’Italia.

 

CONSIGLI FUORI GUIDA

Il Caminetto (Terracina)

Una cucina che punta sul pescato di qualità, piatti dai sapori semplici ma ben costruiti, voglia di giocare e stupire il cliente. È questa la formula dello chef Nazareno Fontana, che propone la sua gastronomia mediterranea, sempre alla ricerca di accostamenti nuovi e sorprendenti. Ampia la cantina, con referenze da tutte le regioni d’Italia e qualche etichetta estera. L’ambiente è informale e accogliente, il servizio cortese. Graziosa veranda per i mesi più caldi.

 

La Bottega di via Sarti (Terracina)

Una bottega dove trovare il meglio dei prodotti italiani, non solo locali o regionali. Qui potrete assaggiare e comprare la mozzarella di bufala di Sessa Aurunca, la burrata pugliesi, i caciocavalli podolici, tonno dalla Sardegna e dalla Costiera Amalfitana, i salumi di Cinta senese. E se siete indecisi sugli abbinamenti fra queste specialità chiedete pure al personale, saprà consigliarvi al meglio.

 

Pescheria Azzurra (San Felice Circeo)

Una pescheria gestita da Santino Spagnardi, pescatore di settima generazione, di cui abbiamo già parlato consigliandovi i 7 migliori posti dove acquistare pesce nei dintorni di Roma. Il punto vendita di San Felice (nella Capitale c’è n’è uno su in zona Marconi e uno a Ponte Milvio) propone una selezione ampia e ricercata di prodotti, tutti provenienti dal mare del Circeo: pesce azzurro come alici, sgombri e acciughe, ma anche molluschi e crostacei. In vendita anche qualche specialità dalla Sicilia come il pistacchio di Bronte o i capperi sotto sale.

 

indirizzi

Acqua pazza | Ponza (LT) | piazza C. Pisacane, 10 | tel. 0771 80643 | www.facebook.com/AcquaPazzaPonza

Bottega Sarra 1932 | Terracina (LT) | ia S. Francesco Nuovo, 54 | tel. 0773 702045 | www.bottegasarra.it

Chinappi | Formia (LT) | via Anfiteatro, 8 | tel. 0771 790002 | www.chinappiformia.it

Claudio Petrolo | Gaeta (LT) | piazza Conca 20 | tel. 0771 65129 | www.claudiopetrolo.com/it

Il Caminetto | Terracina (LT) | via Cavour, 19 | tel. 0773.702623 | www.ilcaminetto1981.it

Il granchio | Terracina (LT) | via S. Francesco Nuovo, 80 | tel. 0773 709696 | www.ristoranteilgranchio.it

La Bottega di via Sarti | Terracina (LT) | via Sarti, 5 | tel. 0773 700753 | www.facebook.com/pages/La-Bottega-di-via-sarti/588480461327387

Pescheria Azzurra | Roma | via Terracina Km 11.800 | tel. 06 55380166 | www.facebook.com/Pescheria-Azzurra-Circeo-Roma

 

 

a cura di Francesca Fiore

Food a Sud. A Lecce la nuova rassegna sulla comunicazione enogastronomica

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Comunicare un patrimonio culturale come quello gastronomico e le molteplici relazioni che intrattiene con il territorio di riferimento. È l’obiettivo di Food a Sud - Conversazioni sulla comunicazione enogastronomica, rassegna dedicata alla comunicazione e al giornalismo sui temi del food and wine. Prima edizione in Puglia, il 12 e 13 maggio prossimi.

Food a Sud

La formazione è una condizione essenziale per un settore delicato e complesso come quello della gastronomia e dell’informazione alimentare, che spesso scatena paure viscerali tanto quanto entusiasmi incontenibili. L’obiettivo di Food a Sud è proprio questo: comunicare cibo e vino per comunicare il territorio, affrontando in maniera critica tutte le tematiche collegate. Due giorni di formazione, previsti per il 12 e 13 maggio alle Officine Cantelmo di Lecce, metteranno la cultura gastronomica salentina al centro dei dibattiti, delle lezioni aperte e dei seminari della rassegna. Un patrimonio di risorse culturali, economiche e produttive che, per essere ben comunicate, hanno bisogno di professionisti che usino una terminologia appropriata e che abbiano una conoscenza approfondita e aggiornata della materia.

 

La rassegna di Lecce e i protagonisti

 

Il progetto è stato realizzato grazie alla collaborazione fra l’associazione Food a Sud - fondata dalle giornalisteLeda Cesari e Rosaria Bianco - l’Ordine dei Giornalisti di Puglia e l’Istituto capofila Ipseo Aldo Moro di Santa Cesarea Terme (LE). L’evento sarà anche il momento conclusivo del progetto cui hanno preso parte gli istituti “Elsa Morante” di Crispiano (TA) e “Gaetano Salvemini” di Fasano (BR): gli studenti hanno partecipato ai laboratori dedicati ai temi chiave dell’universo enogastronomico, animati dai giornalisti/foodblogger pugliesi Michele Bungaro (UNAPROL Consorzio Olivicolo), Sonia Gioia (Repubblica) eMichele Peragine (giornalista Rai e presidente dell’Agap – Associazione giornalisti agroalimentari Puglia).

Il sud Italia negli ultimi anni sta facendo enormi progressi nella comunicazione enogastronomica, nella promozione del territorio e nell'informazione dedicata al food&wine” racconta Leda Cesari. “Ma abbiamo notato che mancano ancora dei momenti di formazione, confronto e approfondimento su temi importanti, a differenza del nord Italia dove questi eventi sono frequenti”

Durante la due giorni pugliese saranno diversi i protagonisti della rassegna: Marcella Gabbiano, giornalista di Repubblica,Marcello Masi, giornalista e conduttore di “I Signori del Vino” e “Linea Verde”, Paola Sucato, blogger ed esperta di comunicazione, ed Enzo Vizzari, giornalista e direttore delle Guide L’Espresso.

In un momento storico in cui chiunque può accedere alla scrittura e avere grande visibilità sul web, c'è la necessità di portare creare un sistema che pensi alla formazione del giornalista gastronomico -ma anche del blogger - una rete di risorse professionali che può aiutare l'intero settore a fare una comunicazione approfondita, attenta e verificata” precisa Cesari. “La rassegna vuole essere un momento positivo di confronto fra professionisti del settore, con l'obiettivo di capire qual è il modo più corretto per comunicare il grande patrimonio di risorse del nostro territorio”.

Food a Sud | Lecce | viale M. de Pietro, 12 | tel. 0832 304896 | 12 e 13 maggio 2017 | www.officinecantelmo.it

 

a cura di Francesca Fiore

 

 

 

 

Il migliore Pinot Nero del 2014: report dalle Giornate Altoatesine del Pinot Nero

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Due giornate completamente dedicate al Pinot Nero, vino che ha, dalla sua, eleganza, freschezza e un profilo espressivo agile e di incredibile armonia espressiva.


Alcuni vini delle cantine citate in questo articolo sono acquistabili su Tannico.it, l’enoteca online partner di Gambero Rosso. 


I due borghi di Egna e Montagna, dal 6 al’8 maggio hanno ospitato la XIX edizione delle Giornate Altoatesine del Pinot Nero. Gli appassionati del nobile vitigno di Borgogna si sono ritrovati per festeggiare i vincitori del Concorso del Miglior Pinot Nero italiano del 2014 e per partecipare a due interessanti seminari d’approfondimento dedicati alla Nuova Zelanda e alla Borgogna.

 

L’annata 2014

Il 2014 è stato un millesimo caratterizzato da condizioni climatiche piuttosto difficili in quasi tutta la penisola. In Alto Adige la stagione era cominciata bene, con una primavera calda e precoce, a cui ha fatto seguito un’estate fresca e piovosa, che ha influito negativamente soprattutto sulle varietà a maturazione precoce. I vitigni tardivi e le uve coltivate a quote medio-alte hanno potuto giovarsi, sul finire della stagione, delle belle giornate di settembre e d’inizio ottobre. Le vendemmie sono state caratterizzate da rese piuttosto basse ma grazie a un’accurata selezione, sono arrivate in cantina uve sane e mature. Il calo medio della produzione rispetto all’annata precedente è stato del 17%, con punte che sono arrivate fino al 30%.

In linea generale, i vini del 2014 presentano un profilo fine e delicato, con bouquet freschi e viva acidità. Per quanto riguarda il Pinot Nero, è stato un millesimo da interpretare cercando d’assecondare la naturale predisposizione del vitigno verso espressioni improntate all’eleganza quasi eterea. Un lavoro non sempre facile, che ha messo a dura prova i produttori e che ha esaltato le qualità di chi ha saputo leggere l’annata e trasferirla al meglio nel bicchiere. Il livello medio della produzione è stato sicuramente un po’ penalizzato, anche per la presenza di vini un po’ troppo esili e fragili, con un corpo scarno e dalla spigolosa acidità.

I seminari d’approfondimento e i vini internazionali

Le Giornate Altoatesine del Pinot Nero si sono aperte con un omaggio alla Borgogna. Gianpaolo Gravina ha condotto una bella verticale dedicata ai vini Pommard 1er Cru Gran Clos des Epenots Monopole del Domaine de Courcel. In degustazione le annate: 2014, 2013, 2010, 2008, 2007, 2003 e 1999. Tra i millesimi più convincenti sicuramente il 2013, vino raffinato, sottile e di grande fascino espressivo, il 2010 per l’eleganza del bouquet, il sorso armonioso, complesso e persistente e il 2008, che si è fatto apprezzare per raffinata freschezza e viva tensione espressiva.

Molto interessante anche il seminario d’approfondimento sul Pinot Nero della Nuova Zelanda, condotto dall’enologo kiwi Jeffrey Chilcott. Dieci vini provenienti da diverse regioni del Paese, che hanno regalato un assaggio di una delle realtà emergenti nel panorama del Pinot Nero. Le due isole della Nuova Zelanda possono avvalersi di condizioni climatiche che spaziano dal sub-tropicale al continentale e di suoli molto vocati. Se consideriamo la breve storia enologica della nazione e la presenza di vigneti ancora molto giovani, con un’età media di 12/15 anni, nei prossimi anni possiamo aspettarci piacevoli sorprese da questo Paese. Tra gli assaggi più convincenti della degustazione il Marlborough Pinot Noir 2013 Churton e il Gisborne Clos de Ste. Anne Naboth's Vineyard Pinot Noir2013.

Le Giornate del Pinot Nero sono state l’occasione anche per un confronto tra la produzione italiana e 32 Pinot Nero provenienti da 13 Paesi stranieri: Austria, Svizzera, Germania, Francia, Olanda Belgio, Ungheria, Repubblica Ceca, USA, Argentina, Cile, Nuova Zelanda e Australia. Tra le etichette internazionali abbiamo trovato particolarmente interessanti: il Weingut Bernhard Huber Spätburgunder Alte Reben, Baden (Germania), Gubler Möhr Matthias & Sina Pilgrim Graubünden (Svizzera) i vini francesi Domain Louis Chenu Savigny les Beanes Bourgogne, Domain Terres de Velle Volnay Bourgogne, Domaine Trapet Marsannay Bourgogne, il pinot nero dell’OregonEyrie Willamette Valley, quello argentinoBodegas Salentein Barrel selection Mendoza, infine i due neozelandesi Mission Estate Winery Marlboroughe e Urlar Wairarapa.

 

 

Il Concorso

Pur arricchita dalla presenza di etichette di Aziende di altre regioni italiane - Lombardia, Valle d’Aosta, Piemonte, Veneto, Toscana, Friuli Venezia Giulia e Sicilia - la selezione dei vini in concorso presentava ben 42 etichette su 58 di cantine del Trentino Alto Adige. A conferma della vocazione della regione per queste uve. Il vitigno borgognone è presente in quest'area dalla metà dell’800 e nel corso dei secoli si è acclimatato così bene da farne una vera terra d’elezione. Le vigne di pinot nero coprono oggi circa 260 ettari, che equivalgono al 7% della superficie coltivata con varietà a bacca rossa in Trentino Alto Adige. I vini presentati in concorso che ha incoronato il Miglior Pinot Nero Italiano del 2014 sono di alto livello qualitativo, con alcune eccellenze in grado di competere anche con le migliori espressioni internazionali.

La giuria, composta di una quarantina di membri, tra enologi, sommelier, giornalisti ed esperti di settore, dopo aver degustato tutte le etichette in competizione, ha scelto i migliori Pinot Nero dell’annata 2014. Da sottolineare la presenza al primo e al terzo posto di vini di piccoli produttori, a conferma della grande qualità raggiunta dai vigneron dell’Alto Adige.

1. Alto Adige Pinot Nero Riserva DOC 2014 - Klosterhof

2. Alto Adige Pinot Nero DOC Ludwig 2014 - Elena Walch

3. Alto Adige Pinot Nero Riserva DOC Exclusiv 2014 - Tenuta Plonerhof

4. Alto Adige Pinot Nero Riserva DOC Burgum Novum 2014 – Castelfeder

4. Alto Adige Pinot Nero DOC Sanct Valentin 2014 – Cantina San Michele Appiano

5. Alto Adige Pinot Nero Riserva DOC Trattmann 2014 - Cantina Girlan

6. Alto Adige Pinot Nero Riserva DOC Maglen 2014 - Cantina Tramin

7. Alto Adige Pinot Nero DOC Pigeno 2014 - Tenuta Stroblhof

8. Trentino Pinot Nero Superiore DOC Maso Elisi 2014 - Cantina Riva del Garda

8. Alto Adige Pinot Nero DOC Kollerhof 2014 - Kollerhof

9. Alto Adige Pinot Nero Riserva DOC Linticlarus 2014 - Tiefenbrunner

10. Venezia Giulia Pinot Nero IGT Red Angel 2014 - Jermann

10. Toscana Pinot Nero IGT Melampo 2014 - Azienda Agricola Casteldelpiano

 

Appuntamento al 2018 per la XX edizione delle Giornate Altoatesine del Pinot Nero, che si annuncia ricca di interessanti novità.

 

a cura di Alessio Turazza

 

 

Cammini e Percorsi. Masserie, monasteri e locande agli under 40 per progetti su turismo e ristorazione

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Concessione gratuita per 9 anni + 9 con l'obiettivo di valorizzare oltre 100 immobili demaniali lungo i percorsi pedonali e ciclabili che attraversano la Penisola. È l'ultimo progetto dell'Agenzia del Demanio, che incentiva il turismo lento e promuove l'imprenditoria giovanile. 

 

Valore Paese. L'incentivo al turismo lento

Si chiama Cammini e Percorsi, ma non è l'ultima carta dei sentieri diramata dal CAI. Eppure con gli itinerari storico-artistici e naturalistici che attraversano la Penisola il progetto promosso dall'Agenzia del Demanio con il sostegno di MiBACT e Mit ha molto a che fare. L'iniziativa è stata presentata qualche giorno fa a Roma, in Sala Spadolini, alla presenza di molte figure istituzionali e del Direttore dell'Agenzia del Demanio Roberto Reggi, e segue l'idea già promossa a pieni voti di Valore Paese, per la concessione di fari e case cantoniere abbandonate da ripensare come attività ricettive e di promozione turistica. Un anno dopo, la nuova iniziativa riguarda il recupero di 100 immobili pubblici per la salvaguardia e il riuso del patrimonio tipico della tradizione locale, e quindi masserie e rifugi, piccole stazioni e caselli idraulici, ma pure monasteri, castelli e ville (da restaurare e restituire alla collettività) lungo i cammini e i percorsi ciclopedonali e storico-religiosi italiani. Nella pratica, tramite bando di gara (pubblicato entro l'estate), il Demanio si ripromette di assegnarli in concessione gratuita agli imprenditori under 40, perché possano trasformarli in ostelli, alberghi, ristoranti e ciclofficine, dal momento che tutte le strutture individuate – 103 da Nord a Sud della Penisola – si trovano lungo arterie percorribili a piedi o in bicicletta.

100 immobili lungo cammini e percorsi storico-religiosi

Il progetto garantirebbe così di portare a casa un duplice risultato: favorire la ricettività e l'indotto turistico di territori di pregio culturale e naturalistico e, al contempo, stimolare l'imprenditoria giovanile, con agevolazioni pure per cooperative e associazioni intenzionate a candidarsi. Per informarsi c'è tempo fino al 26 giugno 2017: in collaborazione con il Touring Club Italiano, il sito del Demanio elenca e illustra nel dettaglio gli immobili a disposizione, 44 lungo percorsi storico-religiosi (dalla via Francigena alla via Appia, al Cammino di San Benedetto e di San Francesco, ma pure il Regio Tratturo Pescasseroli-Candela, il Cammino Celeste, il Cammino Micaelico) e 59 lungo le ciclovie (Vento, Sole, Acqua). E nelle prossime settimane si apriranno gli Openday in movimento lungo i tracciati, per visitare preventivamente gli edifici.

La concessione gratuita prevede lo sfruttamento del bene per nove anni (+9) rinnovabili a favore degli under 40, ma possono candidarsi pure gli imprenditori intenzionati a ottenere la concessione in valorizzazione dell'immobile, tramite lo strumento del partenariato pubblico-privato, per sfruttarne le potenzialità fino a 50 anni. E per incentivare un ritorno al turismo lento - tra le modalità di fruizione più premianti per un Paese ricco di storia, tradizioni e patrimonio diffuso come l'Italia – dopo la prima tranche di concessioni, il progetto sarà replicato nel 2018 e nel 2019, mettendo al bando 100 nuovi immobili demaniali ogni anno.

Il Mibact, dal canto suo, stanzierà 3 milioni di euro per garantire sostegno alle start up vincitrici del bando, accompagnandole nei primi due anni di attività.

 

Qui tutte le informazioni http://www.agenziademanio.it/opencms/it/ValorePaese/camminiepercorsi/ 

 

a cura di Livia Montagnoli

Oli d'Italia 2017. Miglior monocultivar: Doria di Cassano Allo Ionio

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Un'olivicoltrice con le idee chiare, una studiosa con un pallino per gli oli monocultivar: 9 anni fa, Alessandra Paolini ha preso in mano le redini dell'azienda di famiglia, puntando tutto sull'alta qualità dell'oro verde. Diventando negli anni un punto di riferimento per l'olivicoltura calabrese.

 

Gli oli monovarietali

Fra i premi speciali della guida Oli d’Italia del Gambero Rosso ce ne è uno dedicato al miglior monocultivar, olio composto da un'unica varietà di oliva. Ma cosa rende un olio monovarietale speciale? L'identità ben definita, il profilo aromatico ampio e articolato in grado di restituire tutti gli aromi tipici del frutto e una rete complessa di profumi netti e unici. Nell'edizione 2017, questo riconoscimento è stato assegnato ex aequo a due diverse aziende, entrambe nel Meridione: Sebastiano Fisicaro Oleificio Galioto di Ferla (Siracusa), per il suo un monovarietale di moresca, varietà autoctona siciliana diffusa soprattutto nella parte centro-orientale della regione, e Doria, realtà olivicola a conduzione familiare di Cassano Allo Ionio, in provincia di Cosenza, attualmente gestita da Alessandra Paolini. A stupire per il suo profilo olfattivo elegante ed equilibrato è stata Lei, monocultivar di grossa di Cassano (o cassanese), un olio che racchiude in sé il carattere della terra calabrese, con sentori di erbe aromatiche mediterranee e note di pomodoro, cardo ed erba tagliata. Proprio per la forte personalità degli oli, a ognuna di queste due aziende abbiamo voluto dedicare uno spazio singolo, a cominciare dalla storia di Doria.

 

Le origini

Sono trascorsi decenni da quando la famiglia Rizzo ha iniziato la sua attività agricola, ma è solo da sedici anni a questa parte che, con l'ingresso in azienda di Alessandra, si è iniziato a produrre olio extravergine di oliva. Dodici ettari di uliveto, “che a breve diventeranno quindici” per un totale di 6200 piante: l'olio è oggi protagonista assoluto di Doria, che ha cominciato a commercializzarlo ufficialmente nel 2008. Cuore e anima della realtà olivicola, Alessandra ha studiato fin dall'inizio per realizzare un prodotto di alto livello, “attraverso il corso di analisi sensoriale presso l'Umao (Unione Mediterranea Assaggiatori Olio) e quello di sommelier dell'olio”, oltre a una ricerca continua e costante delle tecniche produttive. “Abbiamo puntato tutto sulla grossa di Cassano, una varietà autoctona solitamente consumata come oliva da mensa, in cui fin dall'inizio ho visto un gran potenziale anche per l'extravergine”.

 

Le cultivar e la scelta dei monovarietali

Oltre alla grossa di Cassano, nell'azienda ci sono anche la roggianella, la nocellara etnea, la nocellara messinese, la carolea, la coratina, la nocellara del Belice, il cipressino, “e da qualche tempo a questa parte anche l'ottobratica”. Varietà destinate quasi esclusivamente alla realizzazione di oli monocultivar come Lei (grossa di Cassano), L'Altra, monovarietale di roggianella, e poi monocultivar di carolea, coratina, nocellara messinese, cipressino “e dei piccoli quantitativi di nocellara etnea”, più un blend, Sud, a base di coratina, nocellara del belice e roggianella. Una scelta impegnativa, quella di valorizzare le singole varietà, che comporta una conoscenza profonda delle diverse olive, uno studio mirato e attento a comprendere le caratteristiche di ciascun frutto, le differenti reazioni che ha durante il processo di estrazione, i tempi di invaiatura (inizio della maturazione con conseguente cambiamento di colore), quelli di raccolta, le cure di cui ha bisogno in campo e in frantoio. Il segreto per realizzare un ottimo monocultivar? “Con i monovarietali è tutta una questione di esperienza. Sono prodotti che non possono essere addomesticati: ogni drupa ha le sue tipicità, che possono essere amplificate, smorzate, bilanciate, ma non annullate”. Ed è proprio questa la sfida:“Il monocultivar è sempre un'emozione, perché siamo solo noi a confronto con la natura, nient'altro. È un esame a cui la terra ci sottopone ogni anno, senza possibilità di essere rimandati a settembre”. Le piante vanno monitorate costantemente, perché anche alberi della stessa varietà possono comportarsi in maniera diversa:“Non nego che inizialmente qualche difficoltà l'abbiamo incontrata”. Con la nocellara messinese, per esempio: “Dopo il primo tentativo andato male, per due anni abbiamo smesso. Alla fine, siamo riusciti a ottenere un buon prodotto”. Un consiglio per chi vuole puntare sui monocultivar? “Non dare mai niente per scontato. Un olivicoltore deve sempre porsi delle domande, mettersi in dubbio. Cosa mi può donare questa oliva? E soprattutto, io cosa voglio ottenere dalla sua lavorazione? Una volta capito questo, bisogna cercare di far sviluppare al massimo tutto il potenziale di una pianta”.

 

Il lavoro in campo

E per farlo, è necessario cominciare dalle basi, dalla cura degli ulivi e del terreno. “Il lavoro in campo è alla base di tutto, ma avere olive sane non è sufficiente”. Perché oltre alla salubrità, la pianta deve avere “vigoria, forza, carattere”. Tutto comincia con la potatura, differenziata a seconda delle varietà: “Conosciamo la pianta e facciamo i tagli laddove necessario in base a come vogliamo che sviluppi nel tempo”. Per esempio la grossa di Ccassano necessita una potatura a globo, “ovvero molto piena e con una vegetazione che parte dal basso in maniera che anche i rami più inferiori siano carichi”. La chioma, poi, va tenuta sempre pulita e con lo spazio adatto per consentire l'immissione di luce e aria. La nocellara messinese invece ha bisogno di un sesto d'impianto (disposizione geometrica della pianta) più stretto “e quindi la potatura deve essere intensificata”. Da Doria si pota subito dopo la raccolta, che dura tutto il mese di ottobre, e si utilizzano sistemi meccanizzati uniti al lavoro manuale dell'uomo. L'irrigazione è costante, “specialmente se siamo – come ora – in un periodo di siccità” e viene interrotta prima della raccolta. La coltivazione è a regime biologico e, oltre al rame, come trattamento Alessandra utilizza lo Spintor Fly, un'esca a base di spinosad (insetticida naturale) e di sostanze attrattive specifiche sviluppata per il controllo della mosca.

 

E quello in frantoio...

Dopo la raccolta, le olive vengono portate immediatamente in frantoio a Bisignano, comune in provincia di Cosenza, presso l'azienda agricola Le Conche. L'impianto è una macchina Pieralisi a due fasi, gestita dal frantoiano locale con la supervisione di Alessandra. Come abbiamo già ripetuto più volte, ogni varietà – a seconda dell'annata e del livello di maturazione – ha bisogno di essere lavorata in maniera diversa. La raccolta della grossa di Cassano comincia attorno al 10 ottobre, “quando l'invaiatura è già avviata perché la curva di inolizione (processo di formazione dell'olio all'interno dell'oliva, Ndr) ha tempi più lunghi rispetto a quelli della colorazione del frutto”. Le rese sono molto basse, “unica pecca”. Parliamo di un quintale di olive per produrre appena 6 litri, “ma quando si sceglie la qualità difficilmente si ottengono quantitativi elevati”. In gramola, viene lavorata attorno ai 24°C per un massimo di 20 minuti, “il passaggio più importante è quello nel frangitore.”. L'olio ottenuto viene poi decantato per un periodo che va dai 7 ai 10 giorni e infine filtrato.

E le altre cultivar? “La roggianella e il cipressino hanno bisogno di tempi di gramolazione ancora minori” e non solo: il cipressino necessita anche di un diverso settaggio del frangitore, ma come sempre tutto dipende dalle annate, per esempio “quando piove molto, specie se nel periodo di raccolta, questa cultivar tende ad appesantirsi molto, risulta meno carica e, in questo caso, ha bisogno di una frangitura più veloce”. La nocellara etnea invece è una varietà “dura e compatta, con la buccia molto turgida” e anche difficile da gestire, per problemi legati all'allegagione (passaggio da fiore a frutto): “È l'ultima pianta a fiorire e l'ultima a mettere i frutti. Richiede tempistiche un po' più lente e un processo di lavorazione diverso ma, una volta trovato il sistema giusto, è una varietà in grado di dare origini a oli dal profilo aromatico elegante e affascinante”.

 

Le etichette e i nomi

Una cura del dettaglio dall'inizio alla fine, bottiglie comprese. Originali e personalizzate, le etichette dell'azienda sono state ideate interamente da Alessandra e i suoi collaboratori: “Su ogni bottiglia è rappresentata la collina della nostra terra, e i colori variano a seconda dell'intensità e delle caratteristiche dell'olio”. Lei, per esempio, si contraddistingue per il rosso, “intenso e vivace”, nel blend Sud è il giallo a dominare, mentre L'Altra gioca sulle tonalità del viola, “più cupe, misteriose, forti”. Simbolo dell'azienda è il sole, raffigurato accanto al nome, ma ogni olio si distingue poi per un fiore particolare “che cresce nella parte di terreno dove nascono anche le olive”. La scelta dei nomi, invece, è legata alla necessità di differenziare Lei da tutte le altre etichette: “Inizialmente Lei era chiamata semplicemente 'grossa di Cassano', ma i clienti faticavano a memorizzare questo nome. È sempre stato il prodotto di punta e tutti quanti la chiamavano semplicemente 'lei' e così è nata l'idea”. Sud è dedicato al territorio, mentre L'Altra viene chiamata così in contrapposizione a Lei: “La rogganiella, insieme alla grossa di Cassano, è l'unica cultivar autoctona che abbiamo, ed è completamente diversa”.

 

La vendita e il panorama olivicolo calabrese

Prodotto più richiesto è Lei, ma perché? “Lei è lei: elegante, precisa, raffinata, ricca di profumi e sentori gradevoli. Piace a tutti”. L'Altra, invece, “è più difficile, complessa, amara. Al naso si sentono molto la nota di mandorla, di mela verde, ma in bocca sono l'amaro e il piccante a prevalere. Non è un olio per tutti, ma questo non significa che sia meno buono”. Tutte le etichette sono presenti all'estero, “in particolare Svezia, Finlandia, Giappone e Lussemburgo”, mentre in Italia gli oli Doria possono essere acquistati presso le oleoteche e nei negozi specializzati, e “presto anche online”. Un canale di vendita importante per l'azienda è quello della ristorazione:“Per fortuna, gli chef e i pizzaioli stanno iniziando a porre maggiore attenzione all'extravergine di qualità ma la strada da fare è ancora lunga”. Gradualmente, però, si iniziano a intravedere alcuni miglioramenti, “soprattutto fra i cuochi più giovani”. Anche in Calabria? “Qualcosa si sta muovendo ma è ora che la nostra terra faccia qualche passo in avanti, soprattutto per promuovere le tante eccellenze enogastronomiche di cui è ricca”. Dal punto di vista olivicolo, la situazione generale è migliorata: “Quando ho cominciato a produrre io, pratiche come la raccolta anticipata erano viste come delle scelte folli 15 anni fa. Oggi invece sono, fortunatamente, delle tecniche che rientrano nella norma e che si sono diffuse quasi ovunque”.

 

Doria | Cassano Allo Ionio (CS) | c.da Mandria di Nola | tel. 345 6503780 | www.agricoladoriasrl.it

 

a cura di Michela Becchi

Per acquistare la guida clicca qui

Guida Oli d'Italia 2017. Ecco tutti i premi speciali

Oli d'Italia 2017. Azienda dell'anno: Agrestis di Buccheri

Oli d'Italia 2017. Frantoio dell'anno: Nicolangelo Marsicani di Morigerati www.gamberorosso.it/it/food/1045024-oli-d-italia-2017-frantoio-dell-anno-nicolangelo-marsicani-di-morigerati

Olio extravergine di oliva. Glossario essenziale per conoscere l'oro verde

 

Mercerie. I finger food di Igles Corelli agli Internazionali di Tennis di Roma

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Il maestro dell'Atman ci racconta i dettagli della sua partecipazione agli Internazionali di Tennis, dal 10 al 21 maggio al Foro Italico, dove porterà un catering di finger food d'autore che battezza l'esperienza di Mercerie. In attesa dell'apertura in Largo Argentina, prevista per metà settembre. 

Il catering delle Vip Lounge agli Internazionali di Tennis di Roma è stato affidato a Mercerie.

La neonata avventura di due giovani imprenditori di 30 e 36 anni che hanno voluto trasformare i piatti del maestro Igles Corelli in un’offerta finger food (qui tutti i dettagli, in attesa dell'apertura a Largo Argentina, slittata a settembre), dovrà provvedere a soddisfare i palati degli ospiti di alto livello – è atteso anche il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella – che si recheranno alle Vip Lounge tra una partita e l’altra.

E non solo. Anche il pubblico di appassionati che visiterà il Foro Italico in occasione della kermesse potrà assaggiare la nuova proposta comodamente seduto presso lo stand allestito appena fuori dallo stadio ‘Centrale del tennis’.

Una sfida non da poco se si considera che in soli otto giorni sono previste, nelle Lounge, più di settemilacinquecento presenze. E alla stima vanno aggiunti tutti quelli che passeranno per lo stand dedicato al pubblico.

Ecco quindi che il maestro Igles Corelli, affiancato da Alessandro Candiano (già allo Chalons d'Orange di Alvito e dal prossimo autunno chef delle Mercerie)ha messo in campo tutta la sua esperienza per coordinare una brigata di sei persone (che raddoppierà nei giorni di maggiore afflusso) chiamata a realizzare le versioni finger dei piatti, più o meno classici, del grande chef.

La proposta gastronomica

Praline salate e bottoni, lasagnette croccanti e ben 22 tipi di gelati sono parte integrante dell’offerta che prevede anche una versione rivisitata della ricciola - tipico pane ferrarese - farcito in tre differenti modi e servito, come le altre voci in menu, in eleganti scatoline pensate per l’asporto.

Un banco di prova, quindi, decisamente importante per un progetto che ha grandi ambizioni. Dopo il debutto nel centro di Roma, infatti, il progetto è destinato a prendere la via internazionale, niente meno che da New York, anche se per la messa a punto dell'esordio nella Grande Mela bisognerà aspettare ancora un anno, perché per adesso tutta la concentrazione è sull'evento tennistico. D’altra parte non c’è molto spazio per pensare ad altro quando ci si appresta a preparare 26mila lasagnette, 14mila bottoni, 22mila praline. Tutto il resto Igles Corelli ce lo racconta nel filmato.

 

Testo e video a cura di Saverio De Luca

Montaggio di Francesca Naccarato


Ibiza Sabor 2017. Alla scoperta della cucina dell'isola con il Foro di Gastronomia Mediterranea

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Ibiza richiama da sempre turisti da ogni parte del mondo per l'ampia offerta di locali alla moda e club esclusivi, oltre alla bellezza delle sue spiagge. Ma un viaggio nell'isola è anche l'occasione perfetta per scoprire la cultura gastronomica locale. Fino al 28 maggio, il festival Ibiza Sabor si propone di valorizzare la cucina del territorio attraverso una serie di eventi. 

La cucina di Ibiza

Un'isola popolare per la sua movida notturna, fra locali di tendenza e discoteche moderne, una delle mete turistiche più gettonate per l'estate, specialmente dai giovani, ma ancor prima una terra rigogliosa, ricca di materie prime d'eccezione, tratti di natura incontaminata e coltivazioni che rispettano il ritmo delle stagioni. È una località dalla doppia anima Ibiza, ma se l'industria dell'intrattenimento isolana è ormai ben nota ai turisti di tutto il mondo, ancora sconosciuta è la sua tradizione gastronomica. La cucina ibizenca rispecchia in pieno la storia dell'isola, crocevia tra la cultura spagnola e quella del Nord Africa, ed è il risultato di una serie di contaminazioni culturali diverse. Ci sono le tapas, il chorizo, i montaditos, piatti tipici della Penisola Iberica che qui vivono di un'identità propria. Grande attenzione ai prodotti ittici, naturalmente, fra fritti di pesce, bullit de peix - uno stufato di frutti di mare - e tonyna a l'eivissenca, tonno con pinoli, spezie, uva passa, uova, succo di limone e vino bianco secco. E poi i dolci, primo fra tutti il flaó, a base di formaggio fresco, uova, zucchero e menta.  Peculiare anche la produzione vitivinicola e quella di liquori a base di anice e altre erbe aromatiche e spontanee del territorio. 

L'evento

Per far luce sull'affascinante storia enogastronomica del luogo, l'isola di Ibiza ospiterà, fino al prossimo 28 maggio, Ibiza Sabor, manifestazione giunta alla quinta edizione che si propone di valorizzare i prodotti tipici ibizenchi e le ricette più antiche, attraverso una serie di seminari, forum, degustazioni guidate, assaggi, showcooking e forum dedicati. Un festival iniziato lo scorso 20 aprile, che in poche settimane ha già raccolto l'entusiasmo di appassionati gastronomi, addetti ai lavori, chef e consumatori più curiosi, con eventi, visite alle cantine locali e tour gastronomici all'insegna del gusto. 51 i ristoranti coinvolti, della costa e delle zone interne, che per l'occasione propongono a prezzi speciali menu degustazione e tapas da ricette tradizionali. Cuore pulsante della manifestazione è il Foro Professionale di Gastronomia Mediterranea, in scena il 15 maggio presso il Gran Hotel dell’isola, un appuntamento con chef e produttori locali rivolto alla stampa specializzata nazionale ed estera. Dibattiti tematici, showcooking e laboratori presenteranno ai giornalisti di settore il gusto e il sapore delle ricette locali. Ad accompagnare i piatti, vini del territorio, biologici e naturali, tutti realizzati con una particolare attenzione al territorio. A introdurre e presentare l'evento, due figure d'eccezione, i critici gastronomici e organizzatori di uno dei più importanti congressi culinari a livello mondiale, Madrid Fusion, José Carlos Capel e Julia Pérez Lozano.

Al forum parteciperemo anche noi del Gambero Rosso, che presto vi racconteremo in maniera più approfondita la storia e la complessità di questa isola, che stupisce per personalità e carattere.

 

Ibiza Sabor | fino al 28 maggio 2017 | www.ibizasabor.es/

 

a cura di Michela Becchi

 

Arriva il primo bus gourmet di Roma con la cucina firmata da Marco Bottega

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Si chiama Drive me Tasting ed è l'ultimo bus della flotta Citysightseeing. Obiettivo? Far salire l'asticella dell'offerta culinaria turistica della Capitale. Ecco cosa si mangerà e i trucchi dello chef di Aminta Resort per gestire una mini-cucina itinerante a prova di traffico. 

Drive me tasting

Prendete l'esperienza decennale di un bus operator come Citysightseeing, aggiungeteci la competenza di uno chef della portata di Marco Bottega (ristorante Aminta di Genazzano, Due Forchette del Gambero Rosso) e, a completare il tutto, la bellezza monumentale della Città Eterna. Ed ecco che viene fuori “Drive me Tasting”, il primo bus gourmet della Capitale, un prima assoluta in Italia che, fresco di arrivo in quel di Roma, da questa settimana guida i turisti alla scoperta delle bellezze – artistiche e culinarie – della città. Ma dimenticate gli open-bus rossi con le scritte gialle, ormai ben riconoscibili ai più: per la nuova esperienza è stato scelto uno stile più elegante, luci soffuse e musica di sottofondo, ampie vetrate e tetto panoramico, tavoli da quattro e da due al piano superiore (in totale 30 posti) e finanche piccola enoteca e cucina a bordo. Ovviamente con servizio di “sala” curato e attento. Prezzo 135 euro, con partenze dal giovedì al lunedì (per ora solo la sera alle 20) da piazza della Repubblica per toccare i maggiori luoghi turistici della Capitale: Santa Maria Maggiore, Colosseo, Circo Massimo, piazza Venezia, Castel Sant'Angelo, San Pietro, piazza Barberini, via Veneto. Quando si dice una cena con vista!

In questo modo” spiega il presidente di City Sightseeing Roma, Giuseppe Cilia abbiamo voluto completare la ricca gamma di tour e percorsi che già proponiamo a Roma. Un modo per invitare i visitatori, ma anche gli stessi romani, a mangiare contemporaneamente con occhi e bocca”.

La proposta di Marco Bottega

Ma la vera novità è, che un servizio che, per forza di cose, ammicca ai turisti, si sia dotato di un'offerta culinaria che di turistico ha ben poco. A metterci la faccia, e soprattutto le mani, c'è infatti una giovane promessa della ristorazione italiana, alle prese con una tra le sfide più difficili del suo percorso: cucinare in uno spazio di pochi metri quadrati (dove non si entra in più di tre persone!), cercando di mantenere equilibrio e nervi saldi, mentre il bus affronta traffico, incroci, salite, e sanpietrini della Capitale. “Roma mi ha sempre fatto traballare” scherza Bottega “e questo va al di là dell'esperienza specifica. Sono sempre stato famoso per essere lo chef chiuso nel suo piccolo paese sui monti Prenestini, una dimensione in cui mi ci trovo bene”. Esembra quasi un paradosso, per uno abituato agli spazi sconfinati della natura, ritrovarsi adesso compresso in uno spazio così ridotto. “La maggiore difficoltà della cucina itinerante?” ci dice “Resistere alle oscillazioni e allo stesso tempo sostenere i ritmi espressi di un tour di due ore, dove ad ogni pausa bisogna essere pronti per il servizio al tavolo. Stiamo ancora mettendo a punto le piccole cose, come il lavoro sulle temperature, ma credo che dietro tutto questo ci sia un fine importante: riqualificare l'offerta turistica della città che, nella maggior parte dei casi è quasi vergognosa. La nostra proposta - lungi dal voler essere pretenziosa - è semplice, onesta e corretta”.

 

Il menu e la carta dei vini

La scelta del menu può sembrare un po' inusuale a chi conosca la cucina di Aminta, molto incentrata su sapori di terra legati al territorio, ma ci sono alcuni tratti distintivi che si possono facilmente riconoscere: “Ho cercato di seguire la stagionalità – in un anno prevediamo la rotazione di quattro menu – e l'uso di materie prime che in parte cercheremo di far arrivare dalla mia azienda agricola di Gennazano. Ovviamente i piatti sono stati pensate per un cliente internazionale, che in tavola vuole ritrovare il cosiddetto Italian Sytle”.

Così, la partenza è affidata a un menu che abbina pesce e verdure: benvenuto dello chef a base di gazpacho di pomodoro, crema di mozzarella di bufala e basilico. Poi si continua con insalata di crostacei con passion fruit, rapa rossa e aceto balsamico e risotto al nero di seppia con calamari e limone. Per secondo, filetto di spigola con crema di bietole e insalata di funghi. E si chiude con torta di ricotta e pere e piccola pasticceria. Con la possibilità di andare incontro alle particolari esigenze di vegani, vegetariani, celiaci e così via. E ci tiene a precisare Bottega: “Tutto viene rigorosamente preparato a bordo, salvo pane e grissini che richiedono tempi ben più lunghi di un paio d'ore”.

La carta dei vini, serviti in abbinamento ai piatti, vuole essere un piccolo excursus nella viticoltura italiana: Valdobbiadene Prosecco Superiore le Contesse; Sauvignon Ca' di Rajo; Moscato Docg Le Frande Fontanafredda. “Anche in questo caso la priorità è ricaduta sul made in Italy” spiega lo chef “a partire dalle bollicine. Iniziamo con questo trittico per poi cercare di diversificare l'offerta anche in base ai menu”.

La ristorazione secondo lo chef di Aminta

Tra Roma e Genazzano ci sono 60 km di distanza, due ore andata e ritorno. Non sarà, quindi difficile per lo chef di Aminta seguire il nuovo progetto da pendolare. Tuttavia, per dare continuità, sul bus gourmet ci saranno fissi due ragazzi della sua brigata, sotto la guida del suo secondo, Matteo.

A Genazzano, invece, continua il lavoro di Bottega, legato soprattutto alla materia prima: tre anni fa ha anche deciso di introdurre l'allevamento di agnelli suffolk e di firmare un accordo con la lega della caccia per avere selvaggina sempre fresca e certificata: “Vorrei diventare indipendente al 100% dall'esterno, per fare quella che si definisce cucina circolare: dall'orto alla macellazione”. E sul futuro della ristorazione lo chef, che è cresciuto alle “scuole” di Genovese, Tassa e Bottura ha le idee ben chiare:“Il rispetto della materia prima davanti a tutto: è questa la vera sostenibilità. Usare tutte le parti dell'animale, trovando nuove formule e abbinamenti (si pensi al suo cannellone con stinco di agnello, ortiche e passion fruit; ndr). In fondo, credo che sia questa la vera cucina del futuro”.

 

a cura di Loredana Sottile

Latte, erbe aromatiche, tecnica e intuizione. Il gelato buono si fa così

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A un passo dalla rivoluzione. Quella che riscrive il libro degli ingredienti secondo i principi di benessere, salute, naturalezza. Un fermento e un nuovo credo che regala un'immagine sempre più lontana e sfocata delle gelaterie tutte grassi e coloranti, in virtù di gelati sani ed eseguiti a regola d’arte.

Che sia sul cono, in coppetta o su un piatto a comporre una portata vera e propria, il gelato si propone come un’esperienza gastronomica a tutto tondo. Per valorizzare un ingrediente in ogni sua sfaccettatura organolettica, per giocare con consistenze e abbinamenti, attraverso l’incredibile fascino di scoprire trasformazioni dei più diversi alimenti nella sfera del freddo. La strada è ancora lunga, ma a fare da traino possono essere i grandi artigiani, i trecento nomi che si ritrovano nella prima edizione di Gelaterie d’Italia del Gambero Rosso: dalla vecchia scuola sempre in grande forma, agli avanguardisti del gelo che più di altri giocano ed estremizzano con tecniche e ingredienti.

Da nord a sud, stili e scuole si incontrano e si contaminano in prodotti che, proprio come accade in cucina, sanno di territorio, di erbe e frutti spontanei, di ricerca e sperimentazione.

gelato

Le materie prime e il territorio

Le erbe spontanee e officinali, i fiori e le spezie entrano nel gelato di Giancarlo Timballo (Fiordilatte, Udine) ben trent’anni fa, quando il talentuoso gelatiere riscopre il fascino dei sorbetti e dei gelati alle erbe attraverso lo studio di antichi ricettari. Il legame con il territorio, eletto oggi valore imprescindibile di molte attività del gelato, è stato il punto di partenza di importanti luoghi del sottozero, dai Soban (la famiglia del gelato per eccellenza), ai fratelli Cuomo. I primi, a Valenza (AL), non hanno mai smesso di setacciare la loro terra ricca di delizie per realizzare gelati che partissero da ingredienti come la nocciola di Lù, la pesca di Volpedo, le ciliegie di Rivarone o la fragola di Viguzzolo.

I Cuomo nella loro bottega dedicata al latte in tutte le sue declinazioni, (Cremeria Gabriele, Vico Equense) hanno scelto sin dall’inizio di valorizzare in sorbettiera i preziosi prodotti della Costiera: dalla ricotta ai limoni, dai fichi alle nocciole.

E dell’importanza del territorio e del forte legame con le realtà agricole, si era accorto in tempi non sospetti anche Alberto Manassei dei Gracchi a Roma. Già vent’anni fa il grande gelataio romano stringeva accordi e visitava personalmente i campi e le realtà in cui venivano coltivati gli ingredienti del suo gelato, a cominciare dalle mandorle e i pistacchi. E anche nei gelati salati, quelli detti gastronomici? Anche qui gioca un ruolo da protagonista la tradizione locale: come dimostra Dario Rossi di Greed Avidi di Gelato a Frascati (RM), con il suo ricotta di pecora ai fiori di zucca e alici.

 

Il valore del latte

Sviscerate tendenze, valori e scuole di pensiero, tutti i riflettori sono puntati sul cartello degli ingredienti: dagli stabilizzanti e gli emulsionanti (che siano naturali e di nessuna altra origine) alle uova e al latte, che finalmente si differenzia per zona e qualità. Per fare il gelato, o almeno la maggior parte dei gelati ci vuole il latte e sulla qualità del latte finora si erano interrogati ancora in pochi, troppo pochi. Oggi però qualcosa si sta muovendo. Dagli studiosi italiani che propongono classificazioni sulla base della qualità dell’alimentazione delle mucche, agli inglesi che nel mese di febbraio hanno commercializzato nelle maggiori catene di supermercati il latte “Pasture promise”, munto da bestie che passano al pascolo almeno 180 giorni l’anno. Perché per fare il latte buono ci vuole l’erba, del pascolo ovviamente. Il latte è (finalmente) uno dei grandi protagonisti della nostra alimentazione e della tavola.

Questioni di genere

Tra i nomi di spicco della gelateria italiana, figurano tante donne che stanno facendo scuola con progetti che tengono insieme, gusto, salute ed educazione alimentare. Una nicchia nel mondo della cucina, da sempre preso a modello delle disparità di genere presenti nel mondo del lavoro e in quello della ristorazione in particolare. L'universo delle brigate di cucina non lascia molto spazio, con le dovute eccezioni, al contributo femminile, per varie cause. La gelateria che parrebbe pacificare i due mondi (e anche un terzo, quello dei giovani): attività imprenditoriale “leggera”, non per quantità di lavoro, ma per consistenza dell'investimento iniziale e ottimizzazione dei processi produttivi, che, con la giusta competenza, possono essere seguiti in toto da una sola persona. E non parliamo di scorciatoie come franchising e catene, ma di imprese di eccellenza. Ecco, allora, che tra i nomi di spicco della gelateria italiana troviamo tante donne, spesso giovani, che stanno facendo scuola con uno stile personalissimo e una cura dei dettagli in cui la raffinatezza del tocco femminile è il valore aggiunto al rigore della pasticceria e della competenza chimica.

 

Di esempi portabili a sostegno di questa tesi, sfogliando la prima edizione della guida Gelaterie d'Italia, se ne trovano davvero tanti, in primis nel palmares dei premiati. Storia interessante, ad esempio, quella di Veronica Fedele, avvocato specializzato nel settore agroalimentare, che due anni fa decide di coniugare alla competenza sviluppata nel combattere le agromafie la passione per il cibo di qualità. Nome favolistico per la sua gelateria, la Gretel Factory di Formia, in cui sono banditi gli ingredienti di sintesi e entrano solo materie prime di qualità e locali. Tre Coni (il massimo del punteggio) per questo progetto, in cui il gelato naturale, oltre a essere buono da mangiare, è anche un veicolo pedagogico perfetto, con un'attività educativa dedicata a scuole e famiglie su alimentazione consapevole e sostenibilità dei processi produttivi che stanno dietro al cibo.

Altro premio in rosa, quello Gusto & Salute - dedicato all'artigiano che punta sull'equilibrio e la salubrità del prodotto, ma anche a una corretta comunicazione sulle linee dedicate a intolleranze o esigenze particolari - è andato a Candida Pelizzoli, presidente dei Maestri della Gelateria Italiana. Sua un'attività trentennale, l'Oasi American Bar di Fara Gera d'Adda, nella campagna bergamasca, in cui ottime materie prime fanno il paio con una rodata creatività, che si concretizza in ricette innovative, equilibrate e salutari: nelle sorbettiere gelati con erbe e piante benefiche, carota viola e more, pesca e zafferano, spinacino e kiwi. Un condensato di delicatezza e golosità, da godere senza sensi di colpa.

Rivoluzione in rosa anche per Pavé, nota insegna del formidabile trio milanese formato da Luca Scanni, Giovanni Giberti e Diego Bamberghi: i tre hanno scelto di affidare il loro secondo locale, dedicato all'arte fredda, a Simona Carmagnola, giovane e talentuosa gelatiera formatasi alla corte di Gianfranco Cutelli, riconosciuto maestro della gelateria De' Coltelli di Pisa. La Carmagnola, tecnica precisa per un gelato leggero e digeribile, ha fatto i conti (con immediato successo) con i pezzi forti della pasticceria di casa Pavè: da qui nascono gusti come tonka o pane, burro&160, ispirati, rispettivamente, a una torta e a una mitica marmellata all’albicocca maison.

Legata per via ereditaria alla pasticceria, attività di famiglia, anche Carmela Grotta della gelateria Ciocolat di Toscolano Maderno, sul lago di Garda (Premio Gelatiere Emergente). Approdata all'universo dolce in modo atipico, dopo aver iniziato gli studi di Ingegneria Civile, la Grotta – figlia d'arte, il padre è pasticcere – si è formata alla CAST Alimenti (dove oggi è tra le pochissime donne docenti) e, dopo una gavetta in laboratori molto noti, ha capito che il centro del suo lavoro doveva essere il gelato. Ricerca continua la sua, per un gelato dalla forte personalità, articolato in abbinamenti complessi ed eleganti, come nell'Oro di Sicilia (mandorle crude e stracciatella di pistacchio) o nella pastiera napoletana (crema all'uovo, grano cotto e ricotta variegata con arancia candita e limone).

Gelaterie d'Italia | Gambero Rosso, 2017 | pp. 208, 8,90 euro | già disponibile on line, in libreria dalla fine di marzo 2017

 

Fiordilatte | Udine | via Cividake, 53 | tel. 0432502072 | www.gelateriafiordilatte.it

Soban | Valenza (AL) | piazza Gramsci, 23 | tel. 0131941806

Cremeria Gabriele | Vico Equense (NA) | corso Umberto I, 8 | tel. 0818798744 | www.gabrieleitalia.com

Gelateria de Gracchi | Roma | via dei Grachi, 272 | tel. 063216668| www.geelateriadeigracchi.it

Greed Avidi di Gelato | Frascati (RM) | via Cernaia, 28 | tel. 347623679

Gretel Factory | Formia (LT) | via Abate Tosti 51 | tel. 0771268293 | ww.gretelfactory.it

Oasi American Bar | Fara Gera d'Adda | via Treviglio, 341 | loc. Badalasco | tel. 0363399977 | www.gelateria-oasi.it

Pavé Gelati&Granite | Milano | via Cesare Battisti, 21 | tel. 02 94383619 | dalle 12 alle 21, tutti i giorni | www.pavemilano.com

Ciocolat | Toscolano Maderno (BS)| via Statale, 130 | tel. 0365541699

 

di Sara Bonamini e Pina Sozio 

 

Vino, cocktail e tendenze. Massimo D'Addezio a tutto tondo

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Mixology, l'isola felice dei consumi: a trainare la crescita giovani, donne e aperitivi a base di Aperol. Ma quali sono i trend della miscelazione? Dalla dittatura del Prosecco alla riscoperta del vermut: il più celebre barman romano ci racconta i segreti del bancone

Oggi è un barman affermato in tutto il mondo, una colonna della mixology italiana. Il suo locale capitolino, sulla via che porta a San Pietro, sembra il confine da superare prima di ritrovarsi in una dimensione trascendentale. E qui, dietro il bancone di Chorus, dove è approdato da due anni, Massimo D'Addezio domina la scena, studia i gusti dei presenti, elargisce consigli, promette raffinate evasioni, carpisce le tendenze in corso e le interpreta alla sua maniera.

D'altronde il mondo del beverage lo conosce bene: “Mio zio era un commerciante di vino, mio padre aveva un'enoteca-osteria nel quartiere romano di Centocelle. In mezzo all'alcol ci sono cresciuto: è come un circo che si tramanda in famiglia. Ricordo ancora le botti di legno nella cantina e il vino che arrivava da Velletri”. A lui - protagonista della seconda serie di Spirtis, i maestri del cocktail su Gambero Rosso Channel -   abbiamo chiesto di parlarci del mondo dei cocktail, uno dei settori che, al contrario del vino, gode di un momento particolarmente positivo: i consumi italiani sono in salita soprattutto nella fascia 18-44 anni, con particolari picchi per le donne fino a 24 anni. In dieci anni (2006-2016), la voce “aperitivi, amari, superalcolici” è cresciuta del 19,6%, mentre vino e birra hanno perso complessivamente il 16,5%.

 

Rispetto al vino, dove i consumi interni sono in calo ormai da diversi anni, come va sul fronte cocktail?

Siamo in controtendenza: i consumi sono in aumento e soprattutto cresce la consapevolezza. Il cliente adesso ha capito che quando si parla di cocktail non ci si riferisce solo a Mojito o Caipirinha, così come non si parla solo di Rum, ma anche di Mezcal, Vodka, Tequila, Gin, ognuno con le proprie caratteristiche e le proprie varianti. Per questo è anche disposto a pagare di più. E mentre cresce la richiesta, crescono anche i prodotti e cresce la loro qualità.

 

L'etilometro non ha creato dei problemi?

Sì, ma ha anche fatto cambiare il modo di bere: più ricercato, consapevole e attento.

 

È possibile trovare un punto di contatto tra vino e cocktail?

Certo, pur tenendo presente che la base alcolica del vino è molto più bassa rispetto a quella dei superalcolici. Ad ogni modo molti dei più celebri cocktail prevedono l'uso di vini, soprattutto di bianchi e bollicine.

 

Bollicine francesi o italiane?

Dipende. Quelle italiane stanno vivendo un momento positivo, per esempio con il mio Japanese75, nella cui ricetta originale c'è il French75, mi son preso la licenza di usare Trento Doc al posto dello Champagne. In fondo quel che mi interessa è l'uvaggio e quello del metodo classico italiano consente di arrivare a risultati ottimali.

 

Significa che anche nella mixology, la territorialità inizia ad avere lo stesso valore aggiunto che ha nell'ambito del vino?

Esatto. Penso ad esempio ai cocktail fatti con i vini bianchi, come il Kir. Di solito quelli che si prestano di più a questa miscelazione sono i vini giovani con spiccata acidità, in molti casi internazionali. Ma una delle tendenze in corso è l'uso di vini che interpretano il territorio: il Grillo se ci si trova in Sicilia o il Greco di Tufo in Campania. E non mancano neppure gli esempi con il vino rosso. Uno su ttuti, il New York Sour, per il quale si prediligono vini più corposi, pieni, che qui in Italia possono variare dal Montepulciano d'Abruzzo al Sangiovese.

 

Cosa ci dici, invece, del Prosecco?

Sul Prosecco c'è poco da aggiungere rispetto all'evidenza: per capire la portata del fenomeno basti un aneddoto. Quando ero allo Stravinskij Bar del De Russie avevo deciso di puntare tutto sulle bollicine di fascia medio-alta: champagne-metodo classico italiano. Insomma, niente Prosecco. E com'è andata a finire? Dopo poco tempo son dovuto tornare sui miei passi: tutti i clienti, soprattutto gli stranieri, ci chiedevano l'“italian champagne”, che per loro era, appunto, il Prosecco. All'estero ormai è diventato un must.

 

Dal Prosecco allo Spritz il passo è breve ...

Quando vado all'estero è uno dei cocktail che mi chiedono più spesso di realizzare. E pensare che in principio, nella ricetta originale il Prosecco non c'era: era semplicemente un vino allungato con acqua, nato nel Nord Italia durante ladominazione asburgica. La prima evoluzione fu l'uso dell'acqua di Seltz, che arrivava dalla città tedesca di Selters. Ma la vera svolta l'ha segnata la Campari, che ha introdotto prima l'Aperol e poi anche il Prosecco, riscrivendo di fatto la ricetta, diventata, così, un successo mondiale.

 

Oltre all'Aperol Spritz, quali sono gli altri cocktail italiani più conosciuti e diffusi all'estero?

Nell'ordine di nascita: Milano-Torino; Americano; Negroni. La base è la stessa per tutti e tre e la loro storia è un susseguirsi di eventi, aggiunte e casualità. Parte tutto dal Vermut, che in origine si beveva semplicemente liscio, poi per renderlo più aromatico si è evoluto nel Vermut Chinato, per arrivare, infine, all'aggiunta di bitter Campari. Da qui il nome di Milano (patria del Campari)-Torino (patria del Vermut). O il contrario, Torino-Milano: a seconda dai punti di vista e della città di appartenenza di chi ne parla! L'altro step è la nascita dell'Americano, semplicemente con l'aggiunta di Soda. Ma la storia evolutiva non è finita: nel1920 ritorna a Firenze, dal suo soggiorno americano, il Conte Camillo Negroni. Dice che Oltreoceano va di moda il Gin e lo fa aggiungere alla ricetta. Da allora è boom: tutti vogliono l'Americano alla moda del conte. Nasce il Negroni.

 

E la storia potrebbe continuare con la leggendaria “invenzione” del Negroni sbagliato...

… che nasce al Bar Basso di Milano. Narra la leggenda che il barman inforcò il Prosecco (ancora lui! ndr) al posto del Gin. Il risultato fece impazzire la cliente cui era destinato.

 

Nei racconti di questi cocktail, oltre al Prosecco, c'è anche un altro grande protagonista: il vino ippocratico a base di assenzio, meglio conosciuto come Vermut. Un prodotto italianissimo e antico, che, però, oggi rappresenta quasi una novità. Com'è che per tanti anni ce ne eravamo dimenticati?

La sua riscoperta risale a 5/6 anni fa. E il merito non è italiano: come era già avvenuto 150 anni fa, furono i barman americani a riconoscere nel Vermut un valido alleato, grazie alla sua componente aromatica importante. Il primo arrivo del Vermut in America aveva portato alla nascita del Manhattan, a base di whisky di segale, Vermut rosso e angostura. Chiaramente negli anni de Proibizionismo americano, il Vermut, così come il Campari o il Fernet Branca per citarne alcuni, non potevano entrare in Usa se non come medicinali, per poi essere utilizzati sotto banco nella preparazione di cocktail. Per quanto mi riguarda e in tempi decisamente più recenti, ricordo che quando 15 anni fa andavo a comprare il Vermut in enoteca le bottiglie erano ricoperte da una coltre di polvere.

 

Oggi sarebbe impensabile. Tanto che la sua riscoperta ha portato alla nascita dell'Istituto del Vermut e al riconoscimento del Mipaaf. Come lo vedi il suo futuro?

Lo vedo roseo. Senz'altro è il suo momento. Dall'originale ricetta di Carpano, ricco di caramello e vaniglia, a mano a mano sono nate nuove interpretazioni, più secche e meno dolci. Anche se in questo momento la vera novità è il ritorno alle origini.

 

Qual è, invece, la novità nei gusti dei consumatori in fatto di cocktail?

Anche qui la tendenza è di andare verso gusti più aromatici e più dolci. Una tendenza che non condivido troppo, perché per me la mixology è anche sour.

 

Altro trend in corso. Se dico foodpairing cosa mi dici?

Non ci credo molto in rapporto ai cocktail. Ogni preparazione presuppone quella che si definisce tecnologia: preparazione, scelta del bicchiere, tipo e quantità di ghiaccio da utilizzare in rapporto alla quantità di alcol e poi tempi di assunzione. Tutte cose che andrebbero completamente stravolte per adattarsi ai piatti. Oggi molti grandi chef hanno introdotto l'abbinamento dei loro piatti ai cocktail, in sostituzione del vino, ma siamo davvero sicuri che il cliente riesca ad arrivare al quarto/quinto bicchiere senza sentirsi appesantito? Per me non funziona. Senza contare che l'abbinamento è relativo: il vero bevitore, se inizia con un cocktail finisce con lo stesso.

 

Allora, anche noi, finiamo da dove abbiamo iniziato. Com'è che non hai continuato l'attività di enotecario nel locale di famiglia?

La vecchia Osteria Tranquilli - era il nome del primo proprietario che decidemmo di tenere quando rilevammo l'attività - la chiudemmo nel 1987. Lo scandalo del metanolo fu un colpo durissimo per il vino: i consumi caddero a picco e non reggemmo il colpo.

 

Allora (come oggi?) il futuro era nella mixology ...

Vedremo. Intanto, oggi nei locali dell'Osteria del quartiere Centocelle ci hanno messo un McDonald's.

 

 

a cura di Loredana Sottile

Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri del 11 maggio

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Poche sorprese per la Michelin Rio&San Paolo 2017. Ancora due stelle per Atala, la prima all'italiano Picchi

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19 ristoranti stellati, tre new entry - fra cui anche l’italiano Picchi a San Paolo - e la conferma per il D.O.M. di Alex Atala in cima alla lista. L'ultima edizione della Michelin Rio&San Paolo presentata senza grandi colpi di scena. Ecco i migliori ristoranti brasiliani per la Rossa.

Michelin Rio&San Paolo 2017

 

Alex Atala e il suo D.O.M. di San Paolo restano i protagonisti indiscussi della ristorazione brasiliana, aggiudicandosi ancora una volta le due stelle. Ma non ci sono grandi novità per la terza edizione della guida che la Michelin dedica alle due metropoli più popolose del Brasile, ferma a registrare qualche piccolo movimento tra i neostellati e qualche fuoriuscito dalla lista. In totale, sono 19 i ristoranti premiati dalla Rossa, numero invariato rispetto al 2016, ma viene ribaltato il peso specifico delle due città: ora è San Paolo a contare il maggior numero di ristoranti stellati, 13 in tutto. Manca ancora, per il terzo anno consecutivo, il riconoscimento delle tre stelle.

 

Chi entra e chi esce

Sono 3 le insegne che festeggiano la prima stella, due novità e un rientro: si tratta di Laguiole e Picchi, entrambi all'esordio stellatoa San Paolo, mentre rientra in corsa il ristorante Oro di Rio de Janeiro. Brutte notizie invece per Le Pré Catelan e Attimo, fuori dalla lista 2017, come Roberta Sudbrack, che ha chiuso di recente. I nuovi entrati vanno a raggiugere Eleven Rio, Lasai, Mee e Olympe a Rio, Dalva e Dito, Esquina Mocotò, Fasano, Huto, Jun Sakamoto, Kan Suke, Kinoshita, Kosushi, Manì, Tệtệ à Tệtệ e Tuju a San Paolo. Soddisfazione soprattutto per l'italiano Pier Paolo Picchi, che al Regent Park Hotel di San Paolo guida la cucina del ristorante omonimo, un fine dining di impostazione italiana per lo chef cresciuto in Brasile, che vanta esperienze a Casa Vissani, Balzi Rossi e Mugaritz. Tra i piatti in carta caprese e tortelli al tartufo e asparagi, risotto Carnaroli al pomodoro e pici, stracotto al Barbera e l'immancabile tiramisù.

 

I Bib Gourmand

Nella classifica dei Bib Gourmand, la selezione che guarda alla qualità ma anche ai prezzi, segnalando i migliori indirizzi intorno ai 30 euro, sono 8 i nuovi locali selezionati, fra cui un solo ristorante a Rio e 7 a San Paolo, a confermare la vitalità della metropoli nel sud-ovest del Brasile. Entrano nella sezione Bottega del Vino (Rio de Janeiro, ancora una soddisfazione per l'Italia, con l'enoteca con cucina di Nicola Giorgio) e Bistrot de Paris, A Casa do Porco, Niaya, La Peruana Cevicheria, Piu, Tanit e Ton Ton (San Paolo).

 

a cura di Francesca Fiore

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