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Milano: affitti alle stelle per i ristoranti in Galleria. Chi sono i vincitori del bando di Palazzo Marino

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Molino 6-678 e Lupita sono gli aggiudicatari del bando che porterà alla riassegnazione dei locali finora in uso al Salotto e alla Locanda del Gatto Rosso. Maxi offerte per conquistare una vetrina prestigiosa nel Salotto della città, con l'idea di aprire ristoranti ambiziosi. Ma fioccano i ricorsi. Ecco perché. 

Tutti vogliono la Galleria

Tra i gourmet più irriducibili, è sempre il trasloco imminente di Cracco in Galleria a tenere banco nel Salotto di Milano. Anche perché la data di inaugurazione del nuovo ristorante (con bistrot, caffetteria e pasticceria al primo piano, fine dining al secondo, spazio eventi ancora più su, per un totale di oltre 1000 metri quadri), prevista per il mese di ottobre, si avvicina a grandi passi, mentre lo chef segue l'altro chiacchieratissimo cantiere che lo vedrà socio di Lapo Elkann in piazza Accursio, garage laboratorio con ristorante di carne – il Custom Garage Italia – in apertura a giugno. Il cantiere, negli ex spazi della Mercedes, prosegue di buona lena, privilegiando gli affreschi antichi e il restauro di gran parte degli arredi che rendono la Galleria Vittorio Emanuele II unica nel suo genere. E molto appetibile per chi vuole fare impresa sfruttando la visibilità e il prestigio di uno dei luoghi più identitari di Milano, dove la Camera di Commercio ha recentemente stimato il passaggio di 22 milioni di persone ogni anno. Gli ultimi stregati dal fascino della Galleria sono gli assegnatari del bando di gara indetto da Palazzo Marino alla fine dell'anno scorso per aggiudicare gli spazi gestiti da due noti ristoranti, il Salotto e La Locanda del Gatto Rosso.

 

L'ultimo bando. E le maxi offerte

Solo qualche giorno fa, l'apertura delle buste ha rivelato chi, tra le sei società partecipanti, ha avuto la meglio, in base alla valutazione dell'offerta tecnica e di quella economica, che ha finito per fare la differenza a fronte dell'assegnazione del punteggio massimo (60 punti) per specifiche qualità “tecniche” - aprire 365 giorni l'anno e impiegare almeno il 50% del personale già occupato – accordate da tutti i partecipanti. Ma la Molino 6-678 sas e la Lupita srl hanno presentato sul piatto garanzie economiche più allettanti, preparandosi a sborsare, rispettivamente, 300mila euro di canone annuo per rilevare lo spazio del Salotto e 720mila euro per aggiudicarsi la Locanda. Ma l'iter burocratico che porterà al passaggio di consegne sin qui è stato piuttosto burrascoso, e i prossimi mesi non si preannunciano facili. Sulle vetrine in questione, infatti, pende il ricorso al Tar di chi quegli spazi continua a gestirli, non disposto ad accettare il bando indetto dal Comune, né l'assegnazione provvisoria ai vincitori della gara, che per spuntarla hanno presentato affitti difficilmente eguagliabili dagli altri contendenti, compresi i gestori uscenti.

 

Ambizioni e ricorsi

Per il lotto 2, quello della Locanda, la base d'asta era fissata a poco meno di 300mila euro: Lupita ha sbaragliato i concorrenti – tra loro anche il titolare dell'hotel dei Cavalieri di piazza Missori – più che raddoppiando la posta. Intanto, in attesa di scoprire se la procedura si concluderà a lieto fine, Mauro Tiberti, referente per Lupita e già proprietario di OdStore (un outlet dolciario con tre punti vendita in città, in piazza Duomo, corso Buenos Aires e via Torino) fa sapere di essere intenzionato ad aprire nello spazio della Locanda un ristorante d'alta fascia, con ambizioni stellate, che rafforzerebbe l'alta concentrazione di insegne di rilievo nel giro di qualche centinaia di metri (oltre a Cracco, ricordiamo anche Felix Lo Basso al Townhouse, e poco distante da Gaia Giordano e dai ragazzi di Niko Romito con Spazio). Ma i tempi di attesa sono destinati ad allungarsi, almeno fino all'11 dicembre prossimo, quando il Tar si pronuncerà sul ricorso. Fino ad allora è probabile che tutto resti com'è, con gli attuali gestori ancora fiduciosi di riuscire a spuntarla. Dal canto suo, il Comune – che nel 2016 ha ricavato dagli affitti in Galleria 27 milioni – punta a incrementare gli incassi, sfondando il tetto dei 30 milioni. E le offerte avanzate dai vincitori del bando fanno davvero gola.  

 

a cura di Livia Montagnoli


Il bando per i giovani pescatori dell'Emilia Romagna. La regione finanzia l'acquisto del peschereccio

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Sulla scia di tanti provvedimenti a favore del settore agricolo e dell'occupazione giovanile, l'Emilia Romagna investe parte dei fondi europei a sostegno di una delle voci più significative del bilancio regionale: la pesca. E chiama in causa i giovani pescatori under 40, aiutandoli a comprare una barca. Ecco chi può partecipare.  

Valorizzare la pesca

Dietro l'acronimo Feamp si nasconde il Fondo europeo per gli affari marittimi e per la pesca. Una materia che l'Italia, con i suoi chilometri di coste, la riguarda molto da vicino. E infatti l'attività ittica, in molte aree della Penisola, continua a costituire una voce importante dell'economia regionale, nonostante le difficoltà di un mestiere tanto soggetto allo stato di salute dei nostri mari quanto al mancato ricambio generazionale, che negli ultimi anni ha finito per affliggere gran parte delle attività produttive meno appetibili, almeno sulla carta, per un giovane in cerca di affermazione. Eppure la pesca marittima e la trasformazione dei relativi prodotti potrebbero garantire uno sbocco occupazionale sicuro in tante regioni italiane. Come in Emilia Romagna, dove ora si punta al rafforzamento del comparto grazie alle risorse assicurate dal Feamp, quasi 40 milioni di euro nel complesso, per rispondere a diversi obiettivi: favorire la competitività delle piccole e medie imprese nel settore della pesca e dell’acquacoltura, sostenere uno sviluppo equilibrato del territorio, incentivare l’occupazione e il miglioramento dell’ambiente costiero. Così, mentre 2,5 milioni saranno destinati dalla Regione all'ammodernamento  delle infrastrutture dei porti di pesca e delle sale per la vendita all’asta del pesce, comprese le strutture per la raccolta di scarti e rifiuti marini (il bando scade l'11 luglio, e il contributo potrà coprire l'ammontare complessivo delle spese), ben più interessante è la decisione di destinare parte del finanziamento all'avviamento nel settore per i giovani pescatori.

 

Il bando per i giovani pescatori

Un bando, dunque, che investe nel sostegno della pesca sostenibile sotto il profilo ambientale, efficiente in termini di risorse, innovativa, competitiva e basata sulle conoscenze, rivolgendosi ai giovani di età compresa tra i 18 e i 40 anni che vogliono acquistare un'imbarcazione. A disposizione dei vincitori del bando – le domande dovranno pervenire entro il 17 maggio 2017 – una cifra pari al 25% delle spese sostenute, fino a un massimo di 75mila euro. Per ora la Regione investirà nel progetto 136mila euro, in attesa che nuovi fondi siano sbloccati per raggiungere quota 500mila euro, e “premiare” così un numero maggiore di interessati. Per partecipare, oltre all'età anagrafica, è necessario dimostrare che si tratta del primo acquisto di un'imbarcazione, attrezzata per la pesca in mare e di lunghezza inferiore ai 24 metri. Ed essere iscritti al Registro Gente di Mare e al Registro dei Pescatori Marittimi, in attività da almeno 5 anni o detentori di una laurea in nautica. Tutti i dettagli sul sito Agricoltura e Pesca dell'Emilia Romagna.

 

Il bando e come partecipare 

 

a cura di Livia Montagnoli

 

Nasce l'Istituto del Vermouth di Torino

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A conclusione di un lungo iter che ha portato alla definizione legale della denominazione “Vermouth di Torino” attraverso il decreto attuativo, inviato a Bruxelles dal Ministero dell’Agricoltura, nascel'Istituto del Vermouth di Torino.

Il Vermouth di Torino è conosciuto nel mondo per la tradizione e la storicità della produzione indissolubilmente legata al Piemonte e alla città. Ciononostante, al di là di una denominazione che non ne indicava né le caratteristiche né i processi produttivi, è notizia recente (22 marzo 2017 ) il decreto 1826 con cui il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali ha accolto la richiesta di protezione presentata nei mesi scorsi dalla Regione Piemonte, riconoscendo l’indicazione geografica Vermouth di Torino / Vermut di Torino. E notizia di pochi giorni fa la nascita dell'Istituto del Vermouth di Torino.

Il Vermouth di Torino

Vermut, vermutte o vermouth? Vermut di Torino o semplicemente vermut? Fatto con qualsiasi tipo di vino? Sono molteplici le domande che ruotano attorno a questo prodotto, la cui fama è legata al Piemonte e a Torino, dove nel XVIII secolo si sviluppò una aristocrazia di vermuttieri che lo diffusero in tutta Europa. E finalmente, con il decreto 1826 del 22 marzo 2017, il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali ha accolto la richiesta di protezione presentata nei mesi scorsi dalla Regione Piemonte, riconoscendo l’indicazione geografica Vermouth di Torino / Vermut di Torino. Nel decreto si legge: “Il Vermouth di Torino è il vino aromatizzato ottenuto in Piemonte a partire da uno o più prodotti vitivinicoli italiani, aggiunto di alcol, aromatizzato prioritariamente da Artemisia unitamente ad altre erbe, spezie”. Non solo, finalmente è stato indicato l'intero territorio del Piemonte come unica zona di produzione.

Le caratteristiche

Il Vermouth di Torino deve avere un colore che va dal bianco al giallo paglierino, fino al giallo ambrato e rosso. La tonalità dipende da una serie di fattori: il vino utilizzato, le sostanze aromatizzanti e l'eventuale impiego di caramello (unico colorante permesso). Mentre per dolcificare è consentito l'utilizzo di zucchero, mosto d'uva, zucchero caramellato e miele. Il vermouth in questione deve avere un titolo alcolometrico tra 16 e 22% di alcol in volume e deve assolutamente contenere le piante del genere Artemisia, più specificatamente delle specie absinthiume/o pontica,coltivate o raccolte in Piemonte. Che possono essere estratte tramite vino, alcol, acqua o soluzioni idroalcoliche. A completare la denominazione, tre diciture: Extra Secco o Extra Dry, per prodotti il cui tenore di zuccheri è inferiore ai 30 grammi per litro, Secco o Dry, per vermouth con meno di 50 grammi per litro. E infine Dolce per tutti quei prodotti il cui tenore è pari o supera i 130 grammi per litro. Questione vino: non c'è nessuna limitazione, ma nella lista degli ingredienti è possibile indicare il riferimento ai vini base impiegati con le specifiche denominazioni d'origine o indicazioni geografiche, solo lì dove rappresentino almeno il 20% in volume del prodotto finito. A tal proposito, il disciplinare prevede la tipologia “Vermouth Superiore” se composto da vini prodotti in Piemonte (pari ad almeno il 50%) ed è aromatizzato anche (se non esclusivamente) con altre erbe, oltre all'assenzio, coltivate o raccolte in Piemonte.

L'Istituto del Vermouth di Torino

Il riconoscimento della denominazione è solo l'inizio di un percorso dedito alla valorizzazione e promozione della qualità del Vermouth di Torino. Percorso al quale si è aggiunto un ulteriore tassello: venerdì 7 aprile a Torino, davanti al notaio Paolo Bonomo e al Presidente Roberto Bava, si è costituito l'Istituto del Vermouth di Torino, i cui primi soci sono BertoBordiga, Del ProfessoreCarlo AlbertoCarpanoChazalettesCinzanoGiulio Cocchi, DrapòGanciaLa CanelleseMartini & RossiMulassano, Sperone, Torino Distillati,Tosti. Che hanno nominato tre soci onorari: Piero Miravalle, memoria storica del Vermouth, lo studioso Pierstefano Berta e il barman Fulvio Piccinino. Soci e fondatori che rappresentano diverse storie e dimensioni aziendali, ma che condividono un unico obiettivo: rivalutare un prodotto che per troppo tempo non ha avuto una vera identità. Sono infatti più di 20 anni che i produttori di Vermouth, consapevoli della necessità di una regolamentazione, cercano di definire un disciplinare di produzione. Pare ci siano riusciti.

 

a cura di Annalisa Zordan

 

 

   

Pasquetta last minute, gli eventi enogastronomici in Italia

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Non vi siete ancora organizzati per Pasquetta 2017? Niente paura: sono diversi gli appuntamenti enogastronomici sul territorio italiano, che garantiscono di trascorrere una golosa giornata di festa. Ecco 7 suggerimenti da non perdere.

Birra a Pasquetta (Guspini)

Iniziamo da un evento in Sardegna, per coloro che trascorrono la Pasqua sull'isola. Anche quest'anno, infatti, il Birrificio 4 Mori organizza per il Lunedì dell’Angelo una giornata a tema birra, per far assaggiare ad appassionati e visitatori le proprie specialità. Una location suggestiva quella del borgo di Guspini, nella provincia del Sud Sardegna. Birre, musica e anche tanto street food a cura della chef Clelia Bandini (Lucitta Street Food) che, per l'occasione, propone piatti della tradizione sarda come i culurgionis ogliastrini, il fritto misto del Golfo di Arbatax, l’hamburger di pecora, i ravioli di ricotta. Il tutto da abbinare alle birre Pozzo20 , Pozzo16, Pozzo9 e Pozzo5.

Birra a Pasquetta | Guspini | loc. Sciria Montevecchio Levante | SP 66 km 5,6 | tel 070 7539362 | www.birrificio4mori.it

 

Mercato Europeo (Salerno)

Per chi si trova nel salernitano è l’occasione giusta per assaggiare cibi e prodotti diversi da quelli tradizionali del periodo pasquale. Sul lungomare di Salerno, infatti, si terrà il Mercato Europeo, con i migliori prodotti del Vecchio Continente, con oltre 50 operatori in rappresentanza di diciotto diversi Paesi. Dallo strudel austriaco alle birre tedesche, dal goulash ungherese alla paella spagnola, passando per le specialità della cucina greca e polacca. Inoltre, qualche chicca da oltreoceano, come i prodotti messicani e argentini.

Mercato Europeo | Salerno | lungomare Marconi | dal 14 al 17 aprile 2017 | www.facebook.com/events/732111040289401

 

Roma International Street Food 2017 (Roma)

Con la bella stagione il cibo di strada torna a invadere le piazze delle nostre città, portando profumi stuzzicanti e colori intensi. Nella capitale, dal 14 al 17 aprile si terrà il Roma International Street Food 2017, con 80 tra truck, furgoncini e chioschetti, che proporranno le migliori specialità dello street food. Tre le zone in cui è suddiviso il festival: l’area truck food italiana, quella internazionale e l’area beverage con i birrifici artigianali. E per l'occasione il Colle Oppio ospiterà anche il palco che darà spazio ad artisti di diversa nazionalità. Sono tantissime le specialità previste per l’occasione: panzerotti, gnocco fritto, panini con la chianina, arrosticini, ma anche carni argentine, brasiliane, cubane, hotdog e hamburger al barbecue, paella e molto altro ancora.

Roma International Street Food 2017 | Roma | l viale del Monte Oppio | dal 14 al 17 aprile 2017

 

Pasquetta alla Città dell’Altra Economia (Roma)

Se restate in città ma avete comunque voglia di pic nic, la Città dell’Altra Economia è quello che fa per voi: un’occasione unica per una “scampagnata” in piena Roma. Prodotti del mercato equo e solidale, specialità da varie zone d’Italia e tante uova di cioccolato in regalo per i più piccoli, per cui sono organizzati anche giochi come la caccia al tesoro. Inoltre, buona musica a cura della World Spirit Orchestra.

Pasquetta alla Città dell’Altra Economia | Roma | largo Dino Frisullo | tel. 06 575 8272 | www.facebook.com/events/151499402042283/?active_tab=about

 

Streeat food truck festival (Rimini)

Da venerdì 15 a lunedì 17 compreso, il festival itinerante Streeat food truck farà tappa a Rimini, con le sue apecar e i furgoncini pronti a sfornare specialità di strada italiane e internazionali. Dalle polpette alle carni cotte nello smoker americano, dai fritti napoletani alle olive ascolane, passando per arancini, lumache e pucce pugliesi. Ma anche tante specialità dolci, come i cannoli siciliani, muffin e pancake dai migliori trucker d’Italia. Inoltre, birre artigianali, vini naturali e gluten free, centrifugati e frullati di frutta fresca.

Streeat food truck | Rimini | parco F. Fellini | viale Ruggero Baldini, 2a | www.streeatfoodtruckfestival.com

 

Terre del Sagrantino (Montefalco)

Siamo ormai alla 16esima edizione di questa rassegna che promuove le eccellenze del territorio di Montefalco e, in particolare, del Sagrantino. Il Chiostro di Sant’Agostino, nel cuore della Città di Montefalco, ospiterà prodotti locali di alta qualità come olio, formaggi, salumi ma anche tessuti e ceramiche, oltre alla sezione “Gemelli di Gusto”, in cui saranno presentate specialità del panorama delle Dop italiane in abbinamento al Sagrantino di Montefalco. Il Consorzio Tutela Vini Montefalco curerà il Banco d’assaggio dei vini DOC e DOCG, con un focus speciale sul Sagrantino Passito. Infine, la Passeggiata dei Sapori porterà alla scoperta delle migliori cantine locali, limitrofe al Comune.

Terre del Sagrantino | Montefalco (PG) | Chiostro di Sant’Agostino | corso Goffredo Mameli | dal 14 al 17 aprile 2017 | www.facebook.com/pg/terredelsagrantinomontefalco

 

Urban Distric (Napoli)

Ancora un evento in Campania, questa volta a Napoli, che nasce dall’incontro di diverse realtà ristorative della città. Lunedì 17 aprile dalle 12 alle 24 presso il "Club Partenopeo" di Coroglio Urban District una giornata all’insegna dell'enogastronomia di qualità e della buona musica. Oltre al pranzo di gala a Terrazza Calabritto (solo su prenotazione), ci sarà un’area dedicata allo street food con le roulette di Muu Mozzarella Lounge, Lelena burger, Sand Sandwich & More, Giappo Sushi. Inoltre, grande spazio al beverage con la degustazione di birre curata dal gruppo Leffe e gli aperitivi di qualità realizzati da Barrill, Bisi e Cantine Sociali. Guest star dell’iniziativa, il dj Stèphane Pompougnac direttamente dall'Hotel Costes di Parigi.

Urban Distric, Brunch di Pasquetta | Napoli | Club Partenopeo | via Coroglio, 144 | tel. 081 762 8283 | www.facebook.com/events/785420911607508

 

 

a cura di Francesca Fiore

 

 

 

 

Il menu di Pasqua 2017 firmato da Giancarlo Perbellini

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Giancarlo Perbellini svela le ricette di tre piatti ideali per il pranzo di Pasqua. In un tripudio di fave, erbe di stagione e l'immancabile agnello.

Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi. Purché si celebri la festa intorno a un tavolo. E si mangi bene. Se state pensando di organizzare un pranzo per l'occasione e volete fare bella figura, seguite i consigli di Giancarlo Perbellini, uno dei volti del Gambero Rosso Channel (in onda dal lunedì al venerdì alle ore 22,30) chef e imprenditore patron di quel Casa Perbellini che porta impressa in modo chiaro la sua origine, alle altre insegne, tutte propaggini di uno stesso organismo multiforme. Che include trattorie, pizzerie, ristoranti di cucina di pesce, pasticcerie e così via. A coordinare il tutto, Giancarlo Perbellini Proprio a lui abbiamo chiesto le “sue” ricette di primavera: un antipasto, un primo e un secondo legati alla stagione, con tutti i prodotti tipici dei menu dei giorni di festa, perfetti dunque per la Pasqua. Per dolce, invece, non può mancare la colomba.

Insalata di cicorietto ed erbette

Un piatto molto semplice, primaverile, fresco. la base è composta da insalatine miste e varie erbette, tra cui dragoncello e cerfoglio, alle quali aggiungo il cremoso di mais, che spicca per una nota di croccantezza, e l’aringa che ha un gusto ovviamente ben più deciso. Finisco con una spruzzata di aceto di lamponi”.

Ingredienti per 4 persone

Per la crème brulée di mais

80 g di mais

250 g di panna

100 g di latte

60 g di tuorli

1 foglio di colla di pesce

Mettere in un pentolino la panna, il latte, il mais e i tuorli; frullare il tutto e portare a 80° C continuando a mescolare. Togliere dal fuoco e aggiungere la colla di pesce precedentemente ammollata in acqua fredda, lasciar riposare in frigo.

Per le chips di polenta

100 g di farina per polenta

500 g di acqua

Cuocere la farina in acqua, poi stendere il composto sul silpat o carta da forno. Una volta essiccato in forno friggere a 180° C.

Per l'insalata

200 g di crème brulée di mais

12 foglie di cicorietto

4 foglioline di dragoncello

12 foglie di radicchio

4 foglie di melissa al limone

8 chips di polenta

4 foglioline di erba limoncina

8 fettine di aringa affumicata

8 foglioline di nasturzio

8 foglioline di cerfoglio

8 petali di fiore di begonia

4 foglioline di acetosella

Per l’impiattamento utilizzare una fondina ampia, fare sette punti di crème brulée di mais sulla base del piatto poi disporre le insalate leggermente condite con olio, sale e limone, poi aggiungere l’aringa, le erbe aromatiche e per finire le chips di polenta.

Risotto mantecato al grana, limone e…metamorfosi di liquirizia

Una pietanza nata da poco e per caso. In realtà la liquirizia non viene utilizzata nella preparazione ma se si mangia il risotto a occhi chiusi sembra sia presente, ecco perché ho dato questo nome particolare al piatto. Nella mantecatura entrano in gioco Grana Padano e acido di limone, poi si finisce con polvere di grano arso, emulsione di pizza, pistilli di zafferano e limone. Una combinazione di elementi ben riuscita per la vista e per il palato”.

Ingredienti per 4 persone

Per la polvere di grano arso

175 g di grano arso

250 g di farina 00

210 g di acqua

70 g di olio

9 g di zucchero

9 g di sale

Impastare gli ingredienti aggiungendo olio e sale alla fine. Far riposare per 30 minuti. Stirare l’impasto a fogli e farli lievitare per 40 minuti. Cuocere poi in forno a 170° C con 100% d’umidità per 4 minuti e a 170° C con ventola media per 6 minuti. Lasciare poi in ambiente caldo a far seccare, quindi frullare fino a ottenere una polvere.

Per la salsa pizza

200 g di passata di pomodoro

1 spicchio d’aglio

60 g di mozzarella di bufala

Origano, sale, olio extravergine di oliva q.b.

In una pentola far rosolare dolcemente l’aglio, aggiungere il pomodoro e far cuocere per 15/20 minuti. Aggiungere a caldo l’origano, la mozzarella e frullare con un filo d’olio extravergine d’oliva sistemando di sapore.

Per il riso

240 g di riso Carnaroli

100 g di grana

30 g di burro

1 limone

Sale, pistilli di zafferano e brodo vegetale q.b.

Tostare il riso a secco, bagnare con brodo vegetale, cuocere per 10 minuti. Mantecare con grana, burro e succo di limone sistemando di sapore e acidità. Servire il riso all’onda spolverandolo di grano arso, guarnire con delle gocce di salsa di pizza, qualche pistillo di zafferano e una leggera grattugiata di limone.

Agnello, spuma di pecorino, pesto di fave ed emulsione di aglio orsino

Abbiamo scelto la carne proveniente dai Pirenei perché quella dell’Alpago, che la ricorda, al momento non ha produzione. Una sella eccezionale, delicata, reperibile per un breve periodo, alla quale abbiniamo una spuma di pecorino e un pesto di fave”.

Ingredienti per 4 persone

Per l'emulsione di aglio orsino

50 g di aglio orsino

Olio extravergine di oliva q.b.

Frullare l’aglio orsino con un filo d’olio ottenendo così una purea.

Per il pesto di fave

150 g di fave

20 g di pecorino

20 g di parmigiano

Olio, sale, pepe, succo limone q.b.

Sbianchire le fave, sbucciarle, raffreddarle poi tritarle ottenendo un pesto. Condire il pesto ottenuto con pecorino, parmigiano, emulsione di aglio orsino, sale, pepe e un po’ di succo di limone.

Per la spuma di pecorino

200 g di panna

100 g di latte

200 g di pecorino

Bollire il latte e la panna, aggiungere il pecorino grattugiato e frullare; passare poi al setaccio e mettere in un sifone.

Per l'agnello

200 g di controfiletto d’agnello (pulito)

50 g di salsa agnello

Burro e timo q.b.

Scottare l’agnello su tutti i lati, far riposare. Al momento del servizio riprendere l’agnello con del burro spumoso e timo. Tagliare a metà il controfiletto dal lato lungo. Adagiare sul piatto l’agnello; alternare le fette d’agnello con la spuma di pecorino e il pesto di fave, aggiungere delle gocce di emulsione di aglio orsino e poi la salsa di cottura dell'agnello.

 

Casa Perbellini | Verona | Piazza San Zeno, 16 | tel. 045 8780860 | www.casaperbellini.com | Chiuso a Pasqua

Locanda 4 Cuochi | Verona | via Mario Alberto, 12 | tel. 045 8030311-8021705 | www.locanda4cuochi.it

Al Capitan della Cittadella | Verona | piazza Cittadella, 7 | tel. 045 595157 | www.alcapitan.it

Pizzeria Du De Cope | Verona | Galleria Pelliciai, 10 | tel. 045 595562 | www.pizzeriadudecope.it

Tapasotto | Verona | Galleria Pelliciai, 12 | tel. 045 591477 | www.tapasotto.it

Dolce Locanda | Verona | via Catullo Valerio, 12 | tel. 045 8004211 | www.dolcelocanda.it

Cinque | Verona | piazzetta Portichetti, 3 | tel. 045 597004 | www.cinquerooms.it

Dopolavoro del JW Marriot Venice Resort | Isola delle Rose (VE) | laguna di San Marco P.O. Box 731 | tel. 041.2968111 | www.jwvenice.com

Locanda by Giancarlo Perbellini | Hong Kong | Ocean Centre | Harbour City | Kowloon | tel. +852 2785 9600 | www.diningconcepts.com/LaLocanda

 

 

 

 

 

Cocktail di Pasqua, Like a Cross Bun di Carlotta Linzalata

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Qualche giorno fa il magazine inglese Indipendent ha pubblicato un articolo sulla tradizione tutta locale di proporre cocktail a tema pasquale, con tanto di uova di cioccolato. Abbiamo chiesto alla barmaid Carlotta Linzalata di creare per noi un cocktail sullo stampo dell’usanza inglese. Ecco la ricetta del Like a Cross Bun.

 

La tradizione inglese dei cocktail pasquali

Ci sono il White Rabbit e il Chocolate Martini del Dirty Martini, Cardiff, c’è il Cadbury Creme Egg del The Lost Paradise Bar, Bournemouth. Oppure il Bueno del Be At One di Manchester, o ancora il Loopy Fiasco del London Cocktail Club, Londra. Sono tutti cocktail a tema pasquale, che tanto spopolano nel Regno Unito. L’Indipendent, in collaborazione con DesignMyNight, ha sondato l’ambiente dei cocktail bar inglesi per eleggere i migliori 5.

 

Il nostro cocktail: Like a Cross Bun di Carlotta Linzalata

La curiosa notizia ci ha portati a chiedere a Carlotta Linzalata - attualmente barmaid del Piano 35 lounge bar di Torino - di realizzare un cocktail per l’occasione, sulla scia di questa divertente usanza made in UK. “Dovendo pensare un cocktail ispirato alla tradizione pasquale inglese, ho fatto una ricerca sulle usanze nell'isola e ho trovato diversi piatti, soprattutto dolci tipici, che mi ispirassero nella costruzione della ricetta e che fossero caratterizzati da sapori e accostamenti che potevano essere ‘trasportati’ in un bicchiere” racconta Carlotta. Tra questi c’è l’hot crossbun, che vi abbiamo già raccontato, le pagnotte dolci speziate (con cannella, chiodi garofano, noce moscata, peel di agrumi e altro), spesso anche con ribes o uvetta, tipiche del periodo pasquale. “Così ho pensato a una ricetta che richiamasse quei sapori, partendo da una base alcoolica profondamente radicata nel Regno Unito, il whisky. L’ho preferito al Gin, perché più adatto a livello gustativo/aromatico, ma anche perché è un prodotto che copre tutto il territorio, da Nord a Sud”. Ma non finisce qui, perché Carlotta ha deciso di “servirlo in un ovetto di cioccolato che, per iconografia della tradizione, si avvicina anche alla nostra, e perché la struttura del drink mi sembrava prestarsi al ‘mangia e bevi’ con il cioccolato, che si abbina molto bene al whisky e alle spezie contenute nel dolce”.

 

Eccovi dunque la ricetta del Like a Cross Bun, un cocktail basato sullo stir and strain, letteralmente “mescolato e filtrato”, una tecnica che si usa per cocktail come il Martini ed il Manhattan e che prevede l’uso del mixing glass con ghiaccio. Inoltre prevede come ingrediente un decotto di spezie, diverso dall'infuso - come ci ha spiegato Carlotta - perché le erbe sono immerse a freddo e portate a ebollizione con l'acqua.

 

Like a Cross Bun

Ingredienti

30 ml di Johnny Walker "Black Label"

40 ml di decotto di spezie

20ml sciroppo di zenzero

 

Stir and strain

Ovetto di cioccolato

 

 

a cura di Francesca Fiore

Vinitaly 2017, mai così internazionale. Il bilancio di questa 51esima edizione

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Da una parte la minaccia Brexit, il protezionismo Usa e il disgelo russo, dall'altra le potenzialità del mercato cinese e del canale e-commerce. Ecco tutti i temi caldi di cui si è parlato alla 51esima edizione della Fiera di Verona

Finisce anche questa 51esima edizione di Vinitaly che porta a casa - oltre a 128mila presenze da 142 nazioni - la proroga del periodo di transizione del registro telematico del vino (spostato dal 30 aprile al 30 giugno) e la promessa del ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina di un Codice Agricolo Unico sul modello di quello del vino, con una prima bozza entro il mese di luglio. Rimane, poi, la passerella del Commissario dell’Agricoltura Ue Phil Hogan, che ha inaugurato la Fiera e che ha confermato la necessità di rendere più semplice la Pac, facilitando l’accesso al credito degli imprenditori e riducendo i rischi per i redditi agricoli, anche attraverso la nuova piattaforma di garanzia multi regionale, già introdotta in via sperimentale in otto regioni italiane.

Sul fronte commerciale, invece, è stata una Fiera molto “oriente-oriented”: diverse le delegazioni dagli occhi a mandorla in missione tra gli stand, e presenti in maniera direttamente proporzionale agli incontri con focus Cina. Lo sguardo a Oriente è stato anche un modo per esorcizzare le due incognite che aleggiano sul comparto vitivinicolo e che hanno accompagnato anche questo Vinitaly: l’american first di impronta trumpiania e la Brexit dall’altra parte della Manica. Ma, al di là di tutto, probabilmente la parola più ricorrente sulla bocca di operatori e istituzioni è stata “e-commerce”, con le principali enoteche online (italiane e straniere) ben schierate in Fiera per non mancare l’appuntamento dell’anno con il vino italiano.

 

Mercati. Outlook 2020

Iniziamo dal futuro. Con l’outlook 2020 presentato da Ismea proprio a Vinitaly, in una sorta di “prova tecnica” di collaborazione con la Fiera scaligera, come ha annunciato lo stesso direttore dell’ente veronese Giovanni Mantovani. La sintesi dello studio mette in evidenza la crescita per il prossimo quadriennio sia della produzione (+2,4%), con l’Italia ancora al primo posto della classifica, sia dei consumi mondiali (+ 4,3%), con picchi soprattutto in Cina (+21,6%), Russia (+6,1%) e Usa (5,7%). “Non abbandoniamo gli Stati Uniti che continueranno per l’Italia ad essere il primo mercato di riferimento” è stato il monito di Mantovani“sebbene bisognerà guardare non solo alle aree tradizionali, come ad esempio la costa atlantica, ma spostarsi anche verso le zone ancora inesplorate dell’interno”. In un contesto europeo pressoché stabile, il direttore di Veronafiera ha posto l’accento sull’incognita Regno Unito: “Bisogna riannodare i fili del post Brexit, che a oggi rappresentano una variabile sconosciuta. Ma questi giorni di Fiera hanno dato un segnale positivo, con 500 buyer in più dalla Gran Bretagna, a dimostrazione di come questo mercato non voglia abbandonare l’Italia”.

 

Disgelo russo? L'incontro tra i due viceministri dell'agricoltura

Senza, infine, dimenticare la Russia: “Le questioni geopolitiche” ha detto Mantovani“hanno creato qualche instabilità, ma nonostante tutto il 2016 si è chiuso con una ripresa delle esportazioni. Un dato da cui ripartire”. E infatti, proprio in Fiera, il viceministro dell’agricoltura Andrea Olivero ha incontrato il collega russo Sergey Levin per fare il punto sulle collaborazioni future e sugli interscambi agroalimentari. In particolare, oltre al rafforzamento delle esportazioni di vino italiano, si sono delineate nuove vie di cooperazione, generate dall’avvio della produzione vitivinicola nella Repubblica Russa, grazie al know-how che l’Italia vanta nel settore. Segno che possiamo lasciarci alle spalle il capitolo “guerra fredda agroalimentare”, combattuta fino ad ora a colpi di dazi ed embarghi? Lo scopriremo nei prossimi mesi.

Infine, sul fronte produttori, l’outlook Ismea svela le maggiori sorprese dei prossimi anni. Tra tutte, l’avanzata della Cina che incrementerà le quantità di vino nazionale del 10%. “Per quanto riguarda i produttori storici“ ha evidenziato il direttore generale di Ismea Raffaele Borriellol’Italia confermerà la sua leadership, con un -1%; la Francia si riallineerà con l’ultimo quinquennio; la Spagna consoliderà le sue posizioni, dopo la ristrutturazione dei vigneti e l’Australia tornerà su livelli medi dopo le recenti accelerate”. Non ci saranno grossi cambiamenti in fatto di prezzi medi. “Il valore medio all’esportazione dell’Italia“ ha proseguito Borriello “rimane ancora basso rispetto alla Francia, ma c’è da sottolineare come il nostro Paese sia cresciuto del 20% nel biennio 2014-2016 rispetto al 2011-2013, contro il +9% del nostro principale competitor”.

 

A Verona profumo d'Oriente

Sicuramente al di là degli altri mercati, la Cina è stata la protagonista assoluta della Fiera di Verona. La forte propensione verso la Grande Muraglia è emersa già dal pre-Vinitaly: il fil rouge scelto per OperaWine è stato “La via della seta per il vino italiano”. “Una strada da percorrere in senso contrario rispetto al passato”, ha detto il dg di Veronafiere Mantovani che ha, poi, parlato di “emergenza Cina, nel senso di mercato emergente dove è bene agire in fretta”. Le statistiche, infatti, dicono che diventerà in pochi anni il quarto Paese consumatore, raggiungendo la Germania. In questa direzione vanno gli accordi stretti in Fiera dall'ente veronese. Quelli con Castle Li, ceo del gigante dell’agroalimentare Cofco e con 1919, il più grande distributore di vino nel Paese del Dragone che si impegnerà a incrementare entro il 2020 le vendite italiane di oltre 2 milioni di bottiglie per almeno 68 milioni di euro di fatturato. Mentre prosegue la collaborazione con Alibaba che, dopo l’apertura della prima filiale in Italia, adesso punta a consolidare la propria posizione.

 

E-commerce: Alibaba annuncia la seconda edizione del 9/9

E proprio un anno fa, a Vinitaly Alibaba aveva siglato un accordo con il Governo italiano, mentre il suo fondatore – Jack Ma – annunciava il lancio del 9/9, la giornata dedicata esclusivamente alle vendite di vino. Quest’anno il gruppo si è ripresentato in fiera, forte della prima filiale aperta in Europa, proprio nella città di Milano, e dei tanti accordi già stretti con le cantine italiane per l’apertura dei flag store sulla piattaforma Tmall. E ha anche annunciato la seconda edizione del Wine & Spirits Festival Day, che si terrà sempre il 9 settembre, con l’obiettivo di superare i 100 milioni di ordini effettuati lo scorso anno.

Ma le novità non sono finite. All’attivo ci sono anche l’accordo con Marco Polo (che mette insieme Intesa San Paolo, Unicredit e gruppo Cremonini), l’e-shop made in Italy su Alibaba, che fa da tramite tra i marchi italiani di food e wine e i consumatori finali; e la collaborazione con l’enoteca italiana online vino75.it, che, dopo aver portato 10 cantine italiane sulla piattaforma cinese in occasione dello scorso 9/9, da maggio sarà presente in modo stabile su Tmall Global, dove conta di portare oltre 100 etichette, ma con l’obiettivo di arrivare a 2500.

Ancora, a completare il quadro tricolore, c’è anche l’Italian Pavilion, che raggruppa l’agroalimentare italiano in un’unica vetrina, divenendo anche un vero e proprio educatore al made in Italy. Infine, a dimostrazione di come la Cina – e nella fattispecie Alibaba - sia ormai molto vicina e interessata al mercato italiano, da pochi giorni il gruppo ha lanciato anche in Italia Alipay, l’unico sistema di pagamento consentito sulla piattaforma cinese. “Grazie ad un accordo con Unicredit” ha annunciato Rodrigo Cipriani Foresio, managing director per il Sud Europa di Alibaba Group “adesso i turisti cinesi potranno effettuare i propri pagamenti anche in Italia, negli aeroporti di Roma”. Sistema, per altro, già testato dentro la Fiera di Verona.

 

I numeri di Vinitaly 2017

Infine, diamo uno sguardo ai numeri di questa edizione della Fiera di Verona: 4.270 aziende espositrici da 30 Paesi (+4% rispetto allo scorso anno); 128mila presenze da 142 nazioni; 400 convegni, seminari, incontri di formazione sul mondo del vino; 250 degustazioni (quelle organizzate direttamente da Veronafiere e dai consorzi delle Regioni). In crescita gli operatori esteri, in particolare da: Stati Uniti (+6%), Germania (+3%), Regno Unito (+4%), Cina (+12%), Russia (+42%), Giappone (+2%), Paesi del Nord Europa (+2%), Olanda e Belgio (+6%) e Brasile (+29%). Da segnalare anche il debutto di buyer da Panama e Senegal. Fuori dai cancelli della Fiera, invece, Vinitaly and the City ha visto un afflusso di 35mila wine lover tra il centro storico di Verona e il comune di Bardolino. L’appuntamento con la 52esima edizione è dal 15 al 18 aprile 2018.

 

a cura di Loredana Sottile

 

Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri del 13 aprile

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Pasqua 2017. Ecco le uova di cioccolato più belle e originali

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Uova di Pasqua: ci sono quelle al cioccolato fondente, al latte, bianco, con nocciole. E poi? Poi ci sono le altre: piccole opere d'arte. Quasi un peccato mangiarle.

 

Una volta le uova di Pasqua erano tutte uguali, o quasi: cambiava il cioccolato, la sorpresa e l'incarto. In alcuni casi erano decorati con fiorellini di zucchero decorato. Ma a parte questo, le varianti si esaurivano qui. A un certo punto, però, qualcuno ha provato a fare qualcosa di diverso. E sono nate le uova artistiche. Ecco le più belle

 
Bompiani
 

Bompiani

Le nostre uova sono tutte realizzate in cioccolato fondente 55% Valrhona, un tipo di cioccolato non troppo forte, che possa incontrare i gusti di tutti” dicono dalla Pasticceria Bompiani di Roma. Ma la cosa che caratterizza le loro uova, oltre alla qualità del coccolato, è il loro valore estetico. “La nostra clientela ormai viene sapendo che troverà qualcosa di particolare e di qualità altissima, si fidano ciecamente delle nostre proposte, che possiamo anche personalizzare e decorare sempre con il nostro stile, molto minimale e pulito”. Quest'anno l'ispirazione è legata ai grandi personaggi del mondo della musica: Maria Callas, David Bowie, Madonna dei tempi di Vogue (con riferimenti a Tamara de Lempicka) e i Sex Pistols, Ludwig Van Beethoven “che ha il volto di Alex Delarge, nato dal genio di Stanley Kubrick”. Una sintesi di astrazione espressiva incredibile.

Pasticceria Bompiani | Roma | largo Benedetto Bompiani, 8 | tel. 06 5124103 |www.facebook.com/pasticceriabompiani

 
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Pasticceria De Belis
 

De Bellis

Come ogni anno l'ispirazione e il protagonista delle nostre uova è l'arte moderna e il cioccolato”. spiega Andrea De Bellis dell'omonima pasticceria nel cuore di Roma “Uova ispirate a Fontana e Pomodoro, per citarne alcuni”. Riferimenti chiari, che Evidente dalle linee . “ma anche uova dai gusti particolari come quelle aromatizzate al rhum e quelle con cioccolato bianco, cocco e lime” questo per quanto riguarda gli aromi. Ma tra le suggestioni estetiche ci sono anche altre: “Per finire con quelle ispirate alla natura dove l'uovo completa le altre forme di cioccolato creando un insieme naturalistico e visivo sorprendente”.

Pasticceria De Bellis | Roma | Piazza del Paradiso | tel. 06 6880 5072 |http://www.pasticceriadebellis.com

 
{gallery}uova de bellis{/gallery}Andrea De Bellis
 
 
 
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Ernst Knam
 

Ernst Knam

Anche per la Pasqua 2017 abbiamo elaborato delle uova e dei personaggi in cioccolato, che si differenziano dalle proposte dello scorso anno, mantenendo però lo stile Knam” racconta il cioccolatiere di stanza a Milano. Tra le novità di maggior rilievo, il 'Kubismo di Knam', con il Pollo, il Maiale e il Coniglio, realizzati in una forma squadrata invece che della solita forma ovale. Questa serie si unisce, in un ideale filo conduttore, al Knam Pollo e al Pollo Pollock, decorati con la tecnica dripping resa celebre dall’artista statunitense Jackson Pollock, come alle pecore Botero e ad altri soggetti, per creare un percorso di reinterpretazione artistica attraverso il cioccolato”.

Per quanto riguarda le uova ci sono delle proposte 2017: l’Uovo Fior Di Pesco, in cioccolato bianco decorato e con applicazione di fiorellini in pasta di zucchero, e l’Uovo Mondo, che prevede l’inserimento dei Mondi di Knam, sempre in cioccolato fondente. “Tutte le nuove proposte, compreso il Gufo Herrmann in cioccolato fondente, sono state molto richieste dal pubblico, insieme alle classiche uova confezionate”.

Ernst Knam | Milano | Via Augusto Anfossi, 10 | tel. 02.55194448 | http://www.eknam.com/

 
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Giraudi
 

Giraudi

È una Pasqua ricca di sorprese quella proposta da Giraudi, azienda storica piemontese guidata da Giacomo Boidi, pluri-premiato maestro dell’arte del cioccolato

Per la Pasqua 2017 Giacomo Boidi ha ideato, per Giraudi, una collezione di uova sorprendenti e di alta qualità, “uova nelle quali il cioccolato Giraudi realizzato esclusivamente con il più pregiato cacao dell’America Latina viene esaltato da inattese contaminazioni con ingredienti preziosi quali le bacche di goji, i pistacchi di Sicilia, i lamponi freschi disidratati o le straordinarie nocciole piemontesi, rigorosamente tostate e spaccate a mano”. Oltre alle classiche collezioni la Pasqua 2017 si arricchisce di novità: “a cominciare dall’Uovo di Pasqua Nocciolato e quello alla Frutta Secca della collezione Giraudi Maya, per arrivare alle uova Bianco&Lampone, Bianco&Pistacchio e Latte&Nocciole della collezione Giraudi Azteche, che non mancheranno certamente di soddisfare i gourmet più esigenti e di esaltare i palati più sopraffini”.

Giraudi | Castellazzo Bormida (AL) | Via Baudolino Giraudi, 498 | tel. 0131 278472 | www.giraudi.it

 
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castagna
Guido Castagna
 

Guido Castagna

Per la Pasqua 2017 anche Guido Castagna ha firmato un prodotto speciale: “l’uovo Hondurasrealizzato con l’omonimo cioccolato maturato per 24 mesi, capace di sprigionare notevoli parti aromatiche.Un regalo per intenditori” così lo chiama il cioccolatiere piemontese, a sottolineare la particolarità di questo prodotto. Proprio per questo la proposta è ampia, “sonoofferte pensate per tutti i palati, che siano quelli di semplici appassionati o raffinati gourmet”. Tra le uova di cioccolato oltre a quelle con soggetti particolari, ci sono uovo Bigiuinott (cioccolato fondente ricoperto di gianduiotto realizzato senza latte né grassi animali) e le uova fondenti o al latte granellate con Nocciola Piemonte Igp e pistacchio di Bronte. Per il quarto anno sorprese home made: “le realizziamo direttamente noi riportando alla luce vecchi giochi da tavola troppo spesso dimenticati come Tris o Memory che abbiamo utilizzato negli anni passati. È un modo, il nostro, per aiutare i più piccoli (e non solo) a staccarsi dalla realtà virtuale e a riscoprire la bellezza del gioco con le mani e con le persone”.

Guido Castagna | Giaveno (TO) | via Torino, 54 | tel. 011.9766618 | www.guidocastagna.it/index.php/it/

Guido Castagna | Torino | via Maria Vittoria 27/c | www.guidocastagna.it/index.php/it/

 
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Guido Gobino
 

Guido Gobino

In occasione della Pasqua 2017, Gobino propone una linea di uova in edizione limitata (soli 200 pezzi) collaborazione con Quercetti, azienda storica torinese di giocattoli, famosa per i giochi educativi e tradizionali: “Le uova di Pasqua sono da sempre un oggetto magico nella mente dei bambini e rappresentano il simbolo di un momento speciale vissuto con la famiglia” afferma Guido Gobino “mi fa molto piacere proporre non solo con un cioccolato di qualità e una sorpresa divertente, ma anche un giocattolo educativo”. Ma non solo. Oltre alle classiche uova di cioccolato sia in cioccolato extra bitter blend 63% sia con il classico cioccolato al latte finissimo 35% ci sono anche proposte più originali, a forma di animali, come la gallina o la rana.

Guido Gobino | Torino | via Cagliari, 15 b | tel. 011 2476245 | guidogobino.it/

Guido Gobino | Torino | via Lagrange, 1 | tel. 011 5660707 | guidogobino.it/

 
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Paolo Brunelli
 

Paolo Brunelli

Le richieste del pubblico ogni anno sono sempre più esigenti. Quest’anno, come d’altronde negli ultimi, è il formato delle uova fa la differenza. Vengono richieste sempre più piccole, compromesso al quale non si scende in fatto di qualità”dice PaoloBrunelli,gelatiere e mâitre chocolatiermarchigiano per introdurre le novità di quest'anno: “Un uovo di Pasqua dove ho utilizzato un cioccolato caramellato leggermente salato, un omaggio alla città di Senigallia” la sua Senigallia. “In questo caso è stata utilizzata una tecnica che prevede il raffreddamento dell’uovo di Pasqua in congelatore e, successivamente, gli è stato spruzzato sopra del cioccolato allungato con del burro di cacao creando così l’effetto ‘velluto’ che ricorda, appunto e non solo nel gusto salato, la spiaggia di questa città”. L’altra proposta gioca soprattutto sui colori e sulla lucentezza dell’uovo. “In questo caso il burro di cacao è stato spruzzato nello stampo. Entrando nel dettaglio, si tratta di un cioccolato bianco dove lo zucchero da elemento ‘funzionale’ diventa anche caratterizzante sostituendolo con dello zucchero integrale mascobado. Il cioccolato così ha un evidente gusto di liquirizia pur non contenendola”.

Paolo Brunelli | Senigallia (AN) | Via Carducci, 7 | tel. 07160422 | http://www.paolobrunelli.me/

{gallery}uova brunelli{/gallery}galleria

 

a cura di Antonella De Santis

 
 
 
 
 
 

Tutto sulle uova. Proprietà nutritive, aneddoti e 5 idee regalo

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Rappresentano uno dei cibi cardine della nostra alimentazione. Da gustare assolute, in camicia, fritte, sode, strapazzate o alla coque. Fondamentali per preparazioni che le vedono protagoniste, come la maionese e la frittata. Comprimarie essenziali in dolci e paste fresche. Parliamo delle uova.  

Sulle uova è già stato detto tutto e il contrario di tutto. Che fanno bene e che fanno male, che le migliori sono quelle del contadino e che invece bisogna fidarsi solo di quelle industriali, che quelle con il guscio scuro sono più saporite di quelle a guscio bianco e che il colore del tuorlo è indice della qualità. E allora precisiamo subito che il colore del guscio dipende soltanto dalla razza delle galline che hanno deposto l’uovo, e la tonalità del tuorlo dalla quantità di carotenoidi che hanno mangiato le galline. Quello che è certo è che le uova, alimento proteico per eccellenza, piacciono quasi a tutti e sono una risorsa per quando si ha poco tempo per cucinare, perché una frittata o due uova al tegamino o alla coque si preparano in pochi minuti.

Le proprietà nutrizionali

È uno degli alimenti più bersagliati dall'opinione pubblica per l'alto contenuto di colesterolo. In effetti, sotto questo punto di vista, l'uovo si contende con burro, frattaglie e crostacei il primato tra gli alimenti più ricchi di questa molecola. Ma in sua difesa precisiamo alcuni punti. Primo: è vero che determina un aumento del colesterolo ematico, ma il colesterolo che circola nel nostro sangue è per gran parte di natura endogena, prodotto dal nostro stesso organismo a partire da un eccessivo consumo di grassi saturi e di zuccheri semplici. Secondo: è l'alimento contenente proteine con più alto valore biologico, tanto da rappresentare il punto di riferimento per indicare un valore biologico pari a 100. Che vuol dire? Che possiede il miglior rapporto fra gli amminoacidi essenziali. Terzo: è un alimento a basso apporto calorico e ricco di minerali, contiene lecitina (che abbassa il colesterolo), leucina (che tiene sotto controllo il peso e previene il diabete) e, tra le altre, le vitamine A, D e K (che fanno bene alla vista e alle ossa).

Quante uova mangiare in una settimana?

Anche 4 (5 o 6 se siete degli sportivi), intere, quindi comprendendo il tuorlo e chiaramente tutti gli alimenti che le prevedono tra gli ingredienti. Con la consapevolezza che solo quest'ultimo contiene il tanto temuto steroide, l'albume ne è totalmente privo. Poi, per completezza di informazioni, il colesterolo alimentare è un ottimo alleato della crescita, del funzionamento dell'apparato riproduttivo femminile e della crescita muscolare negli sportivi. Mentre è controindicato l'abuso per i problemi alla cistifellea. Detto questo, va fatta una distinzione tra le uova di galline allevate in maniera intensiva e quelle che razzolano libere, magari in grandi spazi all’aperto, lontani dal traffico e dall’inquinamento. Con totale libertà di uscire, razzolare e accoppiarsi. Che da un punto di vista nutrizionale si traduce in quantità più alta di antiossidanti e grassi nobili.

Tolte le solite note, pensiamo alle uova di San Bartolomeo o di Paolo Parisi, vi segnaliamo 5 idee regalo che le vede coinvolte. Al naturale, di quaglia in salamoia, protagoniste di un libro. E ancora da colorare, grazie a un'ingegnosa macchina, o da abbinare al vino, se di cioccolato.

5 idee regalo

Le uova di quaglia in agrodolce di Morgan Pasqual

Sono la novità dell'autore de La Giardiniera di Morgan (che si è aggiudicata il primo posto della nostra classifica delle giardiniere). Un prodotto che mette in vaso le uova di quaglia insieme alle verdure, dai funghi pioppini agli asparagi bianchi, dalla salicornia ai pomodorini e olive taggiasche; con la consueta preparazione di Morgan in agrodolce e sale marino integrale di Cervia. E come per tutta la linea dei suoi prodotti, la scelta delle verdure è certificata grazie a un progetto che ha come partner l’Organizzazione Produttori Ortofrutticoli Veneto, con una preferenza per le produzioni ortofrutticole tipiche della regione che coltivano in modo sostenibile. Anche le uova non sono uova qualunque, ma provengono da Quaja Veneta, la società cooperativa agricola che si trova proprio di fronte al laboratorio di Morgan.

Tutti i rivenditori sono elencati nel sito: www.lagiardinieradimorgan.com

In alternativa l'acquisto può essere fatto direttamente in azienda: Malo (VI) | via Pacinotti, 2 | tel. 0445607976

 

Le uova di galline alimentate con semi di canapa dell'Azienda agricola Silvia O.

L'azienda agricola certificata bio conta 700 galline livornesi, con una produzione di circa diecimila uova al mese, allevate in pollai fatti con legno di castagno e rispettando le caratteristiche di spazio richieste per un allevamento biologico. Ovviamente questi sono all’interno di un terreno più grande a Massa d'Albe, in provincia de L'Aquila, dove le galline possono scorrazzare, mangiare insetti e scavare vermi nella terra, volare, allungare le ali senza problemi di gerarchia. La particolarità risiede nel tipo di alimentazione, che Silvia Bambagini Oliva integra con semi di canapa. Il risultato sono uova che contengono più acidi grassi polinsaturi rispetto a quelle provenienti da galline alimentate con mangimi normali, diventando fonti preziose di Omega-3. Siamo entrati nel dettaglio nutrizionale qui.

luovoelacanapa.com/uova

 

Il libro All About Eggs edito da Lucky Peach

È l'asso nella manica tirato fuori al rush finale dalla rivista più irriverente del food system. Parliamo di Lucky Peach, che a maggio uscirà con l'ultimo numero, e del libro uovo centrico di Rachel Khong che celebra questo prodotto raccontando saggi, aneddoti e ottantotto ricette infallibili. A base di uova ovviamente. Dal pisco sour al tamagoyaki (omelette giapponese) alle kwek kwek filippine (uova di quaglia pastellate e fritte), al shakshuka, un piatto tunisino e algerino, introdotto poi nella cucina israeliana, con cipolla, aglio, pomodori, peperoni e uova. E ancora il kookoo sabzi (frittata persiana) o una più familiare quiche Lorraine. In poche parole un eggbook che cavalca l'egg trend (passateci i due termini) su cui ogni giorno ci si imbatte scrollando semplicemente la bacheca di Instagram.

luckypeach.com/magazine/all-about-eggs/

 

Il robot decora uova: Egg-Bot

Secondo una leggenda, quando Maria Maddalena annunciò agli apostoli che Cristo era risorto, Pietro la guardò scettico e disse: “Crederò a quello che dici solo se le uova contenute in quel cestello diverranno rosse!”. Subito le uova si colorarono di rosso. Da lì, per i cristiani, l’uovo è simbolo di Resurrezione e per questo, a partire dal Medioevo, si usa regalare uova in periodo pasquale. Al di là della simbologia delle uova – paese che vai simbologia che trovi, per esempio in Ucraina sono considerate un talismano dove la pittura imprime sul guscio i desideri, i ringraziamenti e le preghiere di chi lo ha realizzato – è innegabile la soddisfazione che ti dà poggiare un centro tavola pieno zeppo di uova decorate alla perfezione. A tal proposito esiste un macchinario che decora le uova con assoluta precisione, Egg-Bot, che a dire il vero è in grado di fare disegni e stampe su qualsiasi oggetto sferico. Vedere il video per credere.

 

 

I vini (e la birra) da abbinare all'uovo di cioccolato

Quello con il cioccolato è uno dei campi più insidiosi nell'ambito degli abbinamenti con il vino. Fino a qualche tempo fa il consiglio era quello di sorseggiare un distillato, con il vino che cedeva mestamente il passo a prodotti più intensi dal punto di vista gustativo. Ma la grande tradizione dei vini dolci italiani può venire in nostro aiuto anche nei casi più estremi e quindi anche con le uova di cioccolato è possibile scovare qualche abbinamento azzeccato.

Il percorso parte dal cioccolato bianco, più delicato ma anche molto più grasso rispetto al cioccolato al latte e a quello fondente. Il compagno adatto potrebbe essere un vino da uve moscato appassite, come il Colli Euganei Fiori d'Arancio Passito Alpianae di Vignalta, il Piemonte Moscato Passito La Bella Estate di Vite Colte o un Valle d'Aosta Chambave Moscato Passito come il Prieuré de La Crotta di Vegneron, con dolcezza e acidità sapientemente in equilibrio per pulire la bocca. Con il cioccolato al latte saliamo un po' di intensità olfattiva e gustativa: ci vengono in soccorso gli Elba Aleatico Passito, come l'Alea Ludendo della Tenuta delle Ripalte, e i Primitivo di Manduria Dolce Naturale, come per esempio il Madrigale dei Produttori Vini di Manduria. Quando poi arriviamo al campo dei fondenti, le cose si fanno più complesse. Molto, anzi, tutto dipende dalle percentuali di cacao. Per cioccolato fino al 60-70% possiamo optare per alcuni Vin Santo di Montepulciano Occhio di Pernice – classico nello stile il Sinfonia di Bindella - o per i Recioto della Valpolicella, come il trascinante La Roggia di Speri. Se andiamo ancora più su con le percentuali dovremmo cercare in Umbria il Montefalco Sagrantino Passito più adatto al nostro scopo: Adanti, Brunozzi e Tenuta Castelbuono, sono tra i migliori assaggi dello scorso anno. Da non sottovalutare gli abbinamenti con la birra: quadrupel (come quella di Extraomnes) per il cioccolato più dolce, imperial russian stout o baltic porter (Songs From The Wood di Foglie d'Erba) per quelli più amari.

Vignalta: www.vignalta.it

Vite Colte: www.vitecolte.it

La Crotta di Vegneron: www.lacrotta.it

Tenuta delle Ripalte: www.fattoriadelleripalte.it

Produttori Vini Manduria: www.cpvini.it

Bindella: www.bindella.it

Speri: www.speri.com

Adanti: www.cantineadanti.com

Brunozzi: www.aziendagrariabrunozzi.it

Tenuta Castelbuono: www.tenutelunelli.it

Extraomnes: www.extraomnes.com

Foglie D'Erba: www.birrificiofogliederba.it

 

a cura di Annalisa Zordan e William Pregentelli

Pasquetta 2017. 3 ricette d’autore per il pic nic

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Anche quest’anno il Lunedì dell’Angelo porterà tanti italiani per parchi e aree verdi, complici anche le temperature primaverili. È il tradizionale pic nic di Pasquetta, abitudine che nasce nel dopoguerra e che rimane viva dopo tanti anni. E se quest’anno siete a corto di idee per il menu della gita fuori porta niente paura: ecco 3 ricette con cui organizzare la vostra scampagnata.

La tradizione della Pasquetta

In Italia la festività del Lunedì dell’Angelo fu introdotta a livello statale nel dopoguerra, per allungare la festività della Pasqua. Per la tradizione religiosa questa ricorrenza è una fra le più importanti: è questo infatti il giorno in cui il miracolo della Resurrezione è diventato pubblico. Secondo le Sacre Scritture, infatti, dopo essere risorto, Gesù appare a due discepoli in cammino verso Emmaus, località a pochi chilometri da Gerusalemme: è proprio per ricordare quel viaggio che questa giornata si trascorre facendo una passeggiata o una scampagnata fuori dalle città. In pochi però conoscono il significato dietro questo rito: per tutti Pasquetta è semplicemente un giorno in cui godere della natura.

Sono diverse le abitudini degli italiani a Pasquetta: c’è chi fa una una passeggiata all’aria aperta, chi ne approfitta per scoprire posti nuovi o per praticare sport. Ma per i fedelissimi del pic nic ci sono poche regole da osservare: individuare la zona preferita, preparare il pranzo da asporto, partire alla volta della meta con largo anticipo e godersi la giornata.

E se quest’anno siete a corto di idee per un menu da pic nic che soddisfi tutti, non temete: abbiamo chiesto ai protagonisti della nostra guida Street Food 2017 di regalarci qualche ricetta per la scampagnata.

 

Boccacciello Bistrot

Pietro Parisi (Era Ora di Somma Campania) e Luca Capuano propongono le specialità della tradizione campana in comodi vasetti monoporzione. Aperto da poco più di un anno nel quartiere Monti a Roma, il bistrot offre le ricette classiche rivisitate in versione aperitivo, dalla parmigiana di melanzane alle polpette al sugo, tutto rigorosamente secondo il modello del food jar, cibo sottovetro in barattolo cotto a vapore. Per la Pasquetta, invece, ci hanno suggerito la ricetta di una frittata di grano.

 

La ricetta: frittatina di grano antico con ragù bianco e piselli

 

Ingredienti

Per il grano

300 di grano antico

250 g di macinato misto

100 g di guanciale

1 l di latte

150 g di piselli

sedano

carote

cipollotto

olio extra vergine q. b.

1 l di olio arachidi

sale

pepe

 

Per la pastella

1 l di acqua frizzante

200 g di farina

100 g di amido

sale

 

Procedimento

Mettere a bagno il grano per una notte con un cucchiaio di sale. Il giorno dopo bollirlo per circa 40 minuti. Nel frattempo preparare un soffritto con due cucchiai di olio extravergine d'oliva, sedano, carote e cipollotto tritati finemente. Fare rosolare anche i piselli con un po' di guanciale, bagnare con un po' di vino bianco e cuocere per 20 minuti. Far rosolare il tutto per bene e, quando inizia ad attaccarsi al tegame, bagnare con il latte. Lasciare cuocere finché il composto non sarà diventato denso, come fosse una crema. Condire con sale e pepe, aggiungere il grano e amalgamare bene il tutto sopra al fuoco ancora acceso. Trasferire il composto in una teglia alta e farlo raffreddare il più a lungo possibile (l’ideale sarebbe per 12 ore).

Preparare una pastella con l’acqua frizzante fredda, l’amido e la farina, aggiustando di sale.

Tagliare dei quadrati dal composto, passarli nella pastella e friggerli in olio ben caldo, a circa 165 gradi, per qualche minuto. Quando le “frittatine” saranno ben rosolate farle asciugare su un foglio di carta assorbente.

 

Boccacciello Bistrot | Roma | via del Boschetto, 129 | tel. 06 90232531

 

 

Hamburgeria Da Gigione

La tradizione della famiglia Cariulo, macellai da generazioni, sposa l’idea dell’hamburgeria gourmet. A Pomigliano d’Arco, in provincia di Napoli, l’offerta è davvero ampia: dalle insalate ai fritti - fra cui crocché, frittatine di pasta, fiori di zucca - fino alle polpette di Chianina, tutto è fatto con i migliori ingredienti dei produttori locali. Ma sono i panini con gli hamburger - creativi, succulenti e con abbinamenti non scontati - a farla da padrone. Premiato come miglior street food campano nell’edizione 2017 della guida Street Food.

 

La ricetta: Cesar Salad sandwich

 

Ingredienti

1,5 kg di girello di coscia di manzo (lacerto)

30 g di cheddar westcombe presidio Sslow Food a scaglie

120 g di pane tipo ciabatta fatta con farina tipo 1

50 g di misticanza, possibilmente selvatica

1/2 cipollotto fresco

3 cucunci dissalati(capperi sbocciati)

4 pomodorini ciliegini semi dried(pomodorini asciugati parzialmente al sole, in commercio se ne trovano di già pronti)

1 cucchiaino di gin

1 cucchiaino di salsa di soia giapponese

olio extravergine q.b

sale

 

Per la maionese al sedano

250 g di olio di semi di girasole

2 tuorli d'uovo

1 gambo di sedano

1 cucchiaio di succo di limone

1 cucchiaio aceto di vino.

 

Procedimento

Massaggiare la carne intera con sale e pepe, rosorarla in padella con olio extravergine e aglio per 3 minuti. Chiuderla in una busta sottovuoto e cuocerla in un bagno d'acqua a 56 gradi per 6 ore, in modo da raggiungere la stessa temperatura al cuore.

In alternativa, impostare il forno a 60 gradi e cuocere il pezzo intero finché la temperatura al cuore non raggiunga i 56/57 gradi (aiutarsi con un termometro). Lasciare riposare per un’ora e tagliare a fette non troppo spesse.

Nel frattempo preparare la maionese, tritando finemente il sedano. Procedere frullando gli ingredienti e inserire il sedano solo quando il composto sembrerà montato al 75-80%.

Unire le cucinci alla misticanza e ai pomodorini, condire il tutto con un’emulsione fatta con il gin, la salsa di soia, l’olio e il sale.

Tagliare la ciabatta nel senso della lunghezza e comporre il panino solo al momento, stendendo prima un velo di maionese al sedano e alternando poi il roastbeef, il cheddar e l’insalata.

Da Gigione | Pomigliano d'Arco (NA) | via Trieste 71 e via Roma 307 | tel. 081 8844599 | www.dagigione.it

 

Ciclofocacceria Maam

Come sarebbe un matrimonio una focaccia pugliese e una bicicletta? A raccontarlo ci pensano Roberto e Chiara Notarnicola, che si sono inventati questa originale idea a Udine. Tutto qui è eco friendly, dall’arredamento alle posate, dalle vettovaglie al packaging per l’asporto. Il menu è incentrato sulla tradizionale focaccia pugliese, con le proposte classiche - con pomodoro, olive, olio extravergine e origano - affiancate a idee più fantasiose, come la focaccia con crema di fave, cicoria appassita e pomodorini Fiaschetto di Torre Guaceto. E poi ancora hamburger, polpette, piatti più tradizionali e qualche proposta creativa. Insieme alle focacce, un'ampia scelta di birre artigianali regionali.

 

 

La ricetta: tostaccia farcita

Ingredienti

 

Per la focaccia a lunga lievitazione

700 g di farina semintegrale tipo 1 (farina forte circa 300 / 330 w)

300 g di semola rimacinata

200 g di lievito madre

2 g di lievito di birra fresco (in alternativa al lievito madre 7 g di lievito di birra fresco)

100 g di di patate farinose già lessate

25 g di olio extravergine

20 g di di sale

1 cucchiaino di miele o malto d’orzo

750 g di acqua molto fredda

pomodorini a piacere per farcire la focaccia

 

Per la salsa rosa Maam

1 uovo intero

200 ml di olio di semi di girasole

50 g di pomodorini semi secchi

5 g di senape

1 cucchiaino di succo di limone

5 g di sale

 

Per la farcitura

100 g di prosciutto cotto

80 g di mozzarella fiordilatte

insalata croccante a piacere (tipo iceberg)

 

Procedimento

Per la focaccia

Iniziare impostando la planetaria a velocità media per 4-5 minuti. Mettere le due farine con 600 g di acqua, il lievito, il miele e avviare. Quando l’impasto inizia a formarsi, aumentare la velocità della planetaria (quasi al massimo) e aggiungere prima le patate lesse, poi l’olio e infine il sale, lasciando assorbire ogni ingrediente: il tutto entro 6 minuti dall’aumento della velocità. Aggiungere piano piano l’acqua restante (150 g) che deve essere molto fredda.

Dopo circa 10 minuti dall’aumento della velocità l’impasto dovrà essere incordato, liscio e molto idratato. Trasferirlo in una ciotola ben oliata e lasciare riposare a temperatura ambiente per circa 45 minuti (se la temperatura esterna è molto alta ne bastano anche 30).

Trascorsa questo periodo suddividere l’impasto in tre parti e trasferirle in altrettanti contenitori ben oleati. Chiudere i contenitori e riporre in frigo per 18/20 ore, nella parte più fredda, generalmente in basso. Trascorse le 18 ore, tirare fuori dal frigo la massa, lasciare che torni a temperatura ambiente, ci vorranno circa 2 ore. In questo modo si otterrà un impasto molto morbido.

Tagliare i pomodorini a metà, distribuirli sulla superficie della focaccia, premendo leggermente per incastrarli nella pasta, far lievitare ancora qualche minuto. Versare un filo d’olio e condire la focaccia con il sale. A questo punto metterla nel forno precedentemente riscaldato a 230 gradi per circa 20-30 minuti. Per la prima parte della cottura lasciare la focaccia nella parte più bassa del forno, mentre per gli ultimi 10 minuti di cottura trasferirla al centro.

Nel frattempo preparare la salsa rosa Maam mettendo gli ingredienti, ad eccezione dei pomodorini, nel bicchiere del frullatore a immersione. Frullare il tutto per pochi minuti e aggiungere i pomodorini semi secchi.

Farcire la focaccia aprendola “a libro”e alternando strati di insalata condita con olio e sale, prosciutto cotto, mozzarella e salsa rosa.

 

Mamm Ciclofocacceria | Udine | largo del Teatro | tel. 342 6191801 | www.facebook.com/MammCiclofocacceria

 

 

a cura di Francesca Fiore

 

 

 

 

 

 

Local Food Market. Storia della bottega con cucina (e pizza) di Lucca

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Ha festeggiato da poco i 4 anni di attività la bottega con cucina che ha conquistato il palato dei lucchesi. In occasione dell'anniversario, abbiamo ripercorso insieme ai proprietari la storia di Local Food Market.

Il progetto

Quattro primavere di intensa ricerca, selezione scrupolosa, assaggi, esperimenti e sacrifici per gli ideatori del Local Food Market di Lucca, un negozio con cucina ma ancor prima un progetto che nasce dalla passione per il buon cibo e il rispetto per il territorio, e che si propone di valorizzare, attraverso i suoi prodotti tipici, una terra rigogliosa e ricca di prelibatezze come la Toscana. “L'idea era quella di saltare la filiera lunga, ponendoci come intermediari fra produttori e consumatori”, racconta Laura Grassi, ideatrice del locale insieme alle sorelle Beatrice e Barbara, non più coinvolte nell'attività. Oggi, Laura gestisce la bottega insieme al marito, Andrea Cicala, con cui seleziona le materie prime e si impegna a promuovere i piccoli agricoltori, allevatori e vignaioli della regione, quelli “meno noti e più difficili da raggiungere”. Dando così voce a chi da anni lavora duramente per portare in tavola cibo di alta qualità. Con queste premesse, nel cuore di Lucca, non distante dal Museo Nazionale di Palazzo Mansi, il 5 aprile 2013 nasceva quella che la coppia chiama affettuosamente “la bottega dei produttori”.

 

Local Food Market

I prodotti

Tutte specialità toscane, dunque, a eccezione di due prelibatezze campane, la mozzarella di bufala della Fattoria dell'Alento in provincia di Salerno, e il limoncello: "Abbiamo adornato il locale con tanti alberi di limone, non potevamo non avere questo liquore". Salumi di Gombitelli di Triglia di Camaiore, quelli dell'Antica Norcineria di Piano di Coreglia, “che produce il prosciutto di Bazzone, presidio Slow Food della Garfagnana”, formaggi del Caseificio Bertagni di Pieve Fosciana, farine del Podere Pereto, pasta del Vecchio Pastificio Toscano, birre artigianali de La Petrognola e tutti i vini del territorio toscano, dal Chianti classico al Morellino di Scansano, che cambiano a rotazione. “La nostra regola è non creare conflitto fra i produttori: teniamo una sola etichetta per tipologia di vino alla volta, cambiando spesso aziende”. Ogni realtà produttrice è stata selezionata personalmente dalla coppia: “Andiamo a fare visita ai produttori, conosciamo ogni campo e allevamento dal quale provengono gli ingredienti che vendiamo. Il rapporto e il confronto diretto per noi sono alla base del lavoro”. La selezione è contraddistinta da una predilezione per il biologico, “ma più che la certificazione, guardiamo la trasparenza e la tracciabilità della filiera”.

 

Prodotti

La cucina e la pizzeria

Un amore innato, quello per la buona tavola, che accompagna Laura fin dall'infanzia: “A casa mia si è sempre mangiato bene e la cucina è una parte fondamentale della mia vita e la mia famiglia ha avuto per anni un pastificio e un oleificio. La ricerca delle materie prime è sempre stata scrupolosa”. E si è intensificata ancora di più dopo la nascita della figlia: “La dieta in età infantile è un argomento molto delicato e quando si tratta dei bambini occorre la massima attenzione”. Da questa passione per il cibo nasce il ristorante di Local Food Market, “fin dall'apertura”, e la pizzeria, “8 mesi dopo l'inaugurazione”. In tavola piatti e prodotti classici della tradizione toscana, come la zuppa di farro, il filetto al merlot e tanti taglieri misti di salumi e formaggi. Il menu è contenuto, cambia a seconda della stagionalità degli ingredienti e ogni volta comprende almeno un prodotto in vendita al negozio. Le altre materie prime sono sempre toscane, come la pasta fresca de La Sfoglia d'Oro di Lucca, “un pastificio artigianale di ottima qualità”, oppure il caffè della torrefazione livornese Le Piantagioni del Caffè. Le pizze, da gustare in loco oppure da asporto, seguono lo stile napoletano e sono realizzate da un artigiano partenopeo con farine di diverso tipo, da quella integrale a quella di farro. Cinquanta i coperti all'interno, e altri cinquanta circa nella zona esterna.

 

Cucina

La comunicazione e i progetti futuri

Degustazioni, incontri con i produttori, serate a tema: Local Food Market si propone non solo come bottega, ma come punto di incontro per tutti gli appassionati gastronomi della città. “Cerchiamo di essere attivi il più possibile sui social media, organizzare eventi e soprattutto di instaurare con i clienti un rapporto di fiducia per poter così promuovere il lavoro delle aziende”. E a 4 anni dall'apertura, Laura e Andrea possono ritenersi soddisfatti: “Hanno aperto tanti supermercati nel centro storico di Lucca ma questo non ha rappresentato un disagio per noi. Cerchiamo, nel nostro piccolo, di fare informazione e devo dire che fin da subito abbiamo raccolto l'entusiasmo dei lucchesi”. Tanti i clienti abituali, poi, in secondo piano, i turisti. “La nostra soddisfazione più grande è accogliere clienti nuovi che ci hanno raggiunto su consiglio degli amici”.

Possibilità di replica? “Pensiamo spesso di aprire in altre città, ma per il momento è solo un'idea”. Attualmente però, la coppia rimane focalizzata sull'attività ancora giovane e tutta da sviluppare, in una città che ha tanto da offrire: “Lucca è molto viva, ci sono tanti giovani e anche tanti indirizzi validi. E poi è ricca di cultura, storia, fascino”.

Local Food Market | Lucca | via S. Paolino, 116 | tel. 0583 311077 | www.facebook.com/localfoodmarketsrl/

a cura di Michela Becchi

Flavio Angiolillo e Marco Russo lanciano il servizio di cocktail delivery

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È attivo da pochissimi giorni su Deliveroo il delivery dei cocktail in bottiglia targati Mag Cafè, 1930 Cocktail Bar e Barba. Tre nomi, una garanzia: il bere miscelato di qualità. Ecco come funziona.  

A Milano non è propriamente una novità, pensiamo alla start-up che ti porta a casa gli ingredienti giusti giusti per preparare un cocktail (Drinkvery), recapitando un kit con le materie prime necessarie, e offrendo anche la possibilità di chiamare un barman a domicilio. Oppure a chi “il barman a domicilio” lo fa di mestiere (Alessandro De Luca alias Monsieur Coquetelle). Ma quel che ci fa ben sperare sono gli ideatori di questo nuovo servizio di cocktail delivery: Flavio Angiolillo e Marco Russo, ovvero i barman di tre templi meneghini del miscelato. Parliamo del Mag Cafè, 1930 Cocktail Bar e l'ultimo arrivato (ha aperto il primo marzo del 2016) Barba, che è anche bistrot con proposte che spaziano dalle tartare, al ceviche ai panini. Li abbiamo intervistati per capire come funziona.

Come è nata l'idea?

Dal fatto che spesso le persone non preparano cocktail a casa perché non hanno il ghiaccio, di conseguenza “ripiegano” sul vino o su un whisky liscio.

Così avete deciso di imbottigliare i cocktail già diluiti.

L'idea di imbottigliare i cocktail non è nuova, la novità è per l'appunto renderli pronti all'uso. Con le nostre bottiglie basta semplicemente un frigorifero.

Come avete studiato le ricette “già diluite”?

In maniera matematica: abbiamo calcolato la differenza tra la quantità di liquido, di alcol e altri ingredienti, aggiunta nello shaker e quella che si versa poi nel bicchiere. La differenza è data dal ghiaccio sciolto, ovvero dall'acqua. Considerando ovviamente che il ghiaccio si scioglie sia nel momento in cui ci verso sopra dell'alcol, sia nel momento in cui shakero, e infine quando verso il drink nel bicchiere.

Quali drink sono disponibili al momento?

Sono tre. C'è il Coffee Manhattan con Wild Turkey 81, Cinzano rosso 1757, Old Sailor Coffee, gum syrup, orange bitter. Nato da una ricetta già esistente, l’Improved Whisky Cocktail, icona dell'avvento del vermouth nella miscelazione americana. Poi il #FarmilyNegroni3, una rivisitazione del Negroni,con Campari, Cinzano rosso 1757, Bankes, Farmily 2016, creole bitter e lavanda bitter. E il Cinzano cocktail con Cinzano rosso 1757, Farmily 2017, gum syrup, aphrodite bitter e angostura bitter.

A chi è rivolto il servizio?

Sia ai privati che ai ristoranti, che non hanno un bar o un bartender, o ai negozi, come per esempio un parrucchiere che vuol fornire un servizio in più ai suoi clienti.

Come funziona?

Ci si collega nella piattaforma di Deliveroo e si procede con l'ordine. Nel giro di 25-30 minuti vengono recapitate a casa le bottiglie.

Formati e prezzi?

12,5 € per la bottiglia di 250 ml, che corrisponde a tre cocktail. E 20 € per quella da 500 ml.

Gli orari?

Seguono quelli del Mag Cafè, aperto dalle 12 alle 23,30. Se l'ordine è serale, il cocktail proviene dal Mag, dal 1930 o dal Barba, a seconda della vicinanza con il fattorino.

 

deliveroo.it

Mag Cafè | Milano | Ripa di Porta Ticinese, 43 | tel. 02 3956 2875 | www.facebook.com/Mag-Caf

Barba | Milano | via San Gregorio 40 | tel. 02 3651 5846 | www.facebook.com/BarbaMilanoBar

1930 | Milano | Zona Cinque Giornate | www.facebook.com/1930milano

 

 

 

10 vini per una regione. La Puglia

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L’unicità della Puglia del vino in 10 assaggi. Grandi-piccole bottiglie da scoprire, con caratteristiche diverse, ma tutte capaci di raccontare la regione, con panorami, vitigni, tradizioni unici. A partire dagli storici impianti ad alberello.

Alcuni vini delle cantine citate in questo articolo sono acquistabili su Tannico.it, l’enoteca online partner di Gambero Rosso. 


La Puglia è una regione così estesa e complessa che è difficile valutarla come se fosse un’unica realtà produttiva. Da diversi anni infatti affermiamo come ci sia una crescita costante del livello qualitativo del comparto vitivinicolo pugliese, sia per quanto riguarda i vini di punta che per la produzione di vino quotidiano.

Il successo dei vini realizzati con uve primitivo, in particolare quelli a denominazione di origine come Gioia del Colle o Manduria continua a consolidarsi nel mercato nazionale quanto su quello estero, ormai un passe-partout che suggella il boom di questi vini ricchi di frutto e toni speziati, freschi, non troppo tannici, raramente maturati in legno. L’altro brand pugliese è rappresentato dal magico nome Salento, sotto il cui ombrello troviamo in realtà tutta la produzione del Grande Salento, l’area più vasta rispetto a quella storica, che ingloba tutta la parte peninsulare della regione al di sotto della direttrice Bari-Taranto, a prescindere dal vitigno e dalla zona specifica di produzione.

Altro tema su cui non ci stancheremo mai di insistere quando si parla di Puglia è la salvaguardia dei vecchi impianti ad alberello e il ritorno nei nuovi vigneti a questo sesto d’impianto, almeno nelle zone che tradizionalmente lo utilizzavano grazie a pochi e lungimiranti produttori (ma il numero è in crescita) che hanno creduto nel plus qualitativo che le vecchie vigne allevate ad alberello davano al loro vino e che hanno fortemente voluto e realizzato etichette che sapessero rendere al meglio questa realtà ormai quasi abbandonata.

 

Gioia del Colle Primitivo Muro Sant'Angelo Contrada Barbatto '13 - Tenute Chiaromonte

La storia delle Tenute Chiaromonte risale al 1826, ma è con Nicola, che ha preso in mano l’azienda famigliare nel 1998, che questa cantina ha saputo fare il cambio di passo che l’ha portata ai vertici dell’enologia pugliese. La maggior parte dei vigneti aziendali è composta da impianti ad alberello, con vigne che vanno da 60 a più di 100 anni di età, ed è situata a oltre 300 metri, su terreni calcarei molto ricchi di minerali, con un sottile strato superiore di terre rosse e argillose. Il Gioia del Colle Primitivo Muro Sant’Angelo Contrada Barbatto ’13, Tre Bicchieri e premio di miglior Rosso dell'Anno, si conferma un riferimento per chi vuole realizzare un Primitivo che non sia solo fitto e ricco di frutto, ma anche di grande eleganza e bevibilità. E così ai toni di frutti neri con sfumature speziate del naso risponde un palato in cui l’alta gradazione alcolica viene equilibrata dalla freschezza acida e dalla sapidità.

 

Five Roses 72° Anniversario '15 - Leone De Castris

Fondata nel 1665 dal conte di Lemos, la Leone de Castris inizia a imbottigliare i suoi vini nel 1925, nel 1943 crea il Five Roses, il primo rosato imbottigliato d’Italia, ed è la protagonista principale della nascita della denominazione Salice Salentino nei primi anni Settanta. Nato nel 1993, nel 50° anniversario dal primo imbottigliamento del 1943, la versione Anniversario del Five Roses viene realizzata con l'80% di negroamaro e il 20% di malvasia nera e proviene dalle vigne più vecchie della contrada Cinque Rose. Il Five Roses Settantaduesimo Anniversario '15 si presenta al naso con profumi floreali e speziati, accompagnati da sentori di fragoline di bosco, mentre il palato è fresco, con note di frutti rossi, di buona lunghezza e sapidità. 

 

Salice Salentino Rosso Selvarossa Ris. '13 - Cantina Due Palme

La Cantine Due Palme è un’azienda cooperativa costituita nel 1989 da Angelo Maci nel cuore del Salento e che da allora ha saputo diventare una delle più importanti realtà vitivinicole di tutta la Puglia. Gli oltre 1000 soci conferitori coltivano circa 2500 ettari vitati situati in un triangolo di terra che abbraccia le province di Brindisi, Taranto e Lecce. Si conferma ai vertici della tipologia il Salice Salentino Rosso Selvarossa Riserva, che nella versione 2013 ha un naso da cui emergono sentori di tabacco, frutti neri e spezie orientali, mentre il palato è fitto, ricco di frutto e di buona materia e lunghezza.

 

Primitivo di Manduria Passo del Cardinale '14 - Paolo Leo

Alla quarta generazione di vignaioli, Paolo Leo ha dato una svolta all’attività aziendale, costruendo nel 1989 una nuova cantina e imbottigliando vini che valorizzassero i vitigni autoctoni salentini, dal primitivo al negroamaro alla malvasia, sia nera che bianca. I vigneti di proprietà si trovano su terreni tufacei e calcarei nel territorio del comune di San Donaci e sono composti per la maggior parte da impianti ad alberello che superano i 40 anni.Il Primitivo di Manduria Passo del Cardinale ’14 presenta profumi di china, prugna, tabacco e sfumature di tapenade di olive nere, mentre il palato è severo, fitto e compatto.

 

Metiusco Rosato '15 - Palamà

Cosimo Palamà, oggi affiancato da tutta la famiglia, guida da più di un quarto di secolo l’azienda fondata dal padre Arcangelo nel 1936. I vini prodotti sono ottenuti esclusivamente da vitigni autoctoni pugliesi, dal negroamaro al primitivo, dalla malvasia nera all’aleatico, dalla malvasia bianca alla verdeca, coltivati fra Cutrofiano e Matino su terreni di medio impasto, tendenzialmente calcareo. La gamma aziendale è piuttosto ampia e propone vini ben realizzati tecnicamente e d’impianto tradizionale. Il Metiusco Rosato '15, da uve negroamaro, al naso evidenzia sentori floreali di rosa, mentre il palato è fresco, sapido, con note di piccoli frutti rossi, immediato e di piacevole beva. Come spesso in questi ultimi anni, uno dei migliori vini rosati di Puglia.

 

Gioia del Colle Primitivo 17 '13 - Polvanera

La Polvanera di Filippo Cassano in poco più di 10 anni ha saputo portare in primo piano il territorio di Gioia del Colle e il suo primitivo. I vigneti aziendali sorgono fra Acquaviva e Gioia del Colle, a più di 300 metri di altitudine, su terreni di tipo carsico, in cui un sottile strato di terra si appoggia direttamente sulla roccia viva, e vedono la presenza sia di vigneti relativamente giovani, tra i 10 e i 15 anni, con sesto d’impianto a Guyot o a cordone speronato, che di vigne ad alberello che raggiungono i 60 anni di età.Il Gioia del Colle Primitivo 17 si presenta con profumi di frutti neri, china e macchia mediterranea, mentre il palato è ricco, pieno e di grande struttura, profondo e succoso.

 

Amoroso '15 - Produttori Vini Manduria

Fondata nel 1932, questa cantina sociale oggi conta su 400 soci per 900 ettari vitati, più della metà allevata ancora con il tradizionale sistema ad alberello. L'Amoroso ‘15 è uno dei migliori vini rosati dell'annata. Da primitivo in purezza nasce in vigne che vanno dai 20 ai 40 anni di età, si propone con toni leggermente aromatici e note di albicocca e di frutti rossi freschi, mentre il palato, di grande precisione e nitidezza, è lungo e sapido, per un vino dalla beva particolarmente piacevole.

 

Castel del Monte Aglianico Cappellaccio Ris. '10 - Rivera

Risale alla fine degli anni Quaranta la creazione da parte della famiglia De Corato della Rivera, nell’omonima tenuta presso Castel del Monte. Oggi l’azienda conta su differenti vigneti all’interno della denominazione, situati su terreni che vanno dal calcareo tufaceo al calcareo roccioso, e su alcuni fornitori di fiducia per quanto riguarda i vini provenienti da altre zone. La gamma di vini proposti infatti è molto ampia – più di 20 etichette – e spazia da Castel del Monte al Salento alla Valle d’Itria.Il Cappellaccio al naso evidenzia sentori di frutti rossi e pepe, con sfumature di radici, ha un palato equilibrato, di buona tenuta, lunghezza e sapidità, con un tannino elegante e ben integrato.

 

Nardò Rosso Roccamora '14 - Schola Sarmenti

Con l’85% di vigne ad alberello, che raggiungono anche gli 80 anni di vita, l’azienda vinicola di Luigi Carlo Marra e Benedetto Lorusso è diventata una sorta di presidio a tutela del territorio salentino e in particolare della denominazione Nardò, zona che negli ultimi decenni ha visto diminuire vertiginosamente la sua superficie vitata. Nei vigneti aziendali prevalgono nettamente i vitigni autoctoni: primitivo, negroamaro, malvasia nera. I vini sono caratterizzati da ricchezza di frutto e bevibilità.Il Nardò Rosso Roccamora ’14 presenta al naso i tipici sentori di frutti neri, mentre il palato è un po’ rustico ma di buona materia e spessore.

 

Castel del Monte Chardonnay Pietrabianca '14 - Tormaresca

Gli Antinori hanno creato questa azienda vinicola nel 1998. Composta da due tenute (la Bocca di Lupo a Minervino Murge, all'interno della denominazione Castel del Monte, e la Masseria Maime a San Pietro Vernotico, nell'Alto Salento), Tormaresca si concentra soprattutto sui vitigni autoctoni, dal nero di Troia all’aglianico, dal negroamaro al primitivo, per vini di stampo moderno, di grande godibilità e buon equilibrio. Completano l’ampia gamma i vitigni internazionali, come chardonnay e cabernet sauvignon. Chardonnay (affinato in barrique) con un piccolo saldo di fiano, nonostante la difficile annata il Pietrabianca ’14, si rivela molto piacevole e gradevole nei suoi toni puliti e nitidi di frutta a polpa bianca e spezie dolci, grazie anche a una bocca elgante e fresca.

 

foto Cantina Due Palme 

 

Alcuni vini delle cantine citate in questo articolo sono acquistabili su Tannico.it, l’enoteca online partner di Gambero Rosso. 


www.tannico.it

Mangiare al mercato a Bologna. Il futuro della Bolognina, tra formaggi di pecora e vignaioli eretici

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Non c'è solo il mercato delle Erbe, o quello di Mezzo. Bologna investe sulla riqualificazione dei suoi antichi mercati rionali, e ora tocca alla struttura di via Albani, una delle più antiche in città. Che potrebbe rilanciare l'area della stazione con un progetto di somministrazione serale e l'arrivo di nuove realtà gastronomiche. 

Il mercato della Bolognina

Alla fine del 2015, per il mercato di via Albani, era arrivata la qualifica di Mercato Storico. Ma perché la struttura potesse rialzare la testa e competere con i progetti di riqualificazione (di ben altra mole) intrapresi alle Erbe e al Mercato di Mezzo, o nel complesso di San Donato trasformato in un centro dedicato alla musica, il quartiere della Bolognina ha dovuto aspettare il 2016. Quando per la prima volta l'amministrazione cittadina ha preso in carico il rilancio della struttura, con l'auspicio che proprio il mercato potesse rappresentare un polo d'aggregazione importante per riqualificare un'area della città sottovalutata, poco distante dalla stazione ferroviaria di Bologna. Un lavoro lungo, e complesso, che a distanza di un anno sta portando i primi risultati, mentre cresce la consapevolezza di un quartiere che il mese scorso ha varato il logo dell'orgoglio rionale, I love Bolognina, rivendicando un'identità sociale e culturale che vale la visita. E infatti anche sul versante gastronomico non sono poche le novità destinate ad attrarre chi è in cerca di un indirizzo per andare a colpo sicuro. Qualche tempo fa, per esempio, raccontavamo di una rosticceria giapponese molto particolare, Yuzuya. E anche il mercato sembra intenzionato a metterci la faccia.

La riqualificazione del mercato

La primavera scorsa 36 artisti avevano ridipinto le serrande del complesso in occasione del festival delle Arti Urbane Baum. Nel frattempo la Giunta approvava un progetto di qualificazione commerciale orientato ad attirare tra i box di via Albani laboratori artigianali alimentari e non alimentari, garantendo quattro postazioni per la somministrazione di alimenti e bevande, e indicando l'intenzione di prolungare l'orario d'apertura delle attività, così da coprire anche una fascia serale, dalle 17 fino alla mezzanotte. Forte della consapevolezza che la struttura inaugurata nel 1934, una delle più longeve in città, dista solo 350 metri dall'uscita della stazione Alta Velocità. E potrebbe richiamare un gran numero di persone. Dopo i lavori strutturali dei mesi scorsi, la primavera 2017 dovrebbe finalmente portare le prime nuove aperture. Ad anticiparlo è il blog A pranzo con Bea, e i nomi garantiscono tutti la qualità dell'offerta gastronomica che si concentrerà al mercato.

I nuovi box

A cominciare dai formaggi del Caseificio Morandi di Anguillara Veneta, dalla provincia di Padova, che proprio in questi giorni sta approntando gli ultimi preparativi per inaugurare il suo box, con tanto di facciata dipinta d'autore. Del resto la famiglia Morandi è originaria dell'Appennino modenese, e sui pascoli emiliani, cinque generazioni fa, avviava l'allevamento ovino. Oggi l'azienda, nel frattempo approdata in Veneto, produce pecorini freschi e stagionati, ricotte, giuncata, robiola, stracchini e molto altro; presto in vendita alla Bolognina. Ma al mercato approderanno anche i succhi e le centrifughe di Zazie, una “catena” votata al benessere e diffusa in molte città italiane, che a Bologna gestisce già due punti vendita, al motto di “senti il gusto libero della frutta”. Mentre un box se l'è aggiudicato Gusto Nudo, con i suoi vignaioli eretici, presto protagonisti del festival omonimo, che quest'anno prenderà forma dal 24 aprile al 1 maggio, con una settimana di eventi diffusi in città – tra le Serre dei Giardini e l'Orto Botanico, il Cinema Lumiere e la Velostazione Dynamo - per promuovere la cultura agricola. Poi, anche questo collettivo di produttori e vignaioli troverà uno spazio stabile al mercato della Bolognina.

 

Il Mercato Ritrovato

E a proposito di prodotti della terra e cultura contadina, all'inizio di aprile, in piazzetta Pasolini, ha visto la luce il Mercato Ritrovato, evoluzione del mercato della terra finora gestito da Slow Food. Ogni sabato mattina, dalle 9 alle 14, con i prodotti locali (da un raggio di 40 km circa) e tante iniziative culturali, dalla degustazione di olio extravergine all'assaggio del pane del mese del Forno Calzolari, ai laboratori per bambini.

 

Mercato Albani | Bologna | via Francesco Albani

Mercato Ritrovato | Bologna | via Azzo Gardino, 65 | sabato dalle 9 alle 14

 

a cura di Livia Montagnoli

Pani dal mondo. Una ricercatrice italiana alla scoperta del pane peruviano

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Dalla “patria del pane”, l’Italia, fino in Perù, per studiare la panificazione locale, le sue tipologie e le funzioni di questo prodotto a tavola. È quello che ha fatto Vanessa Malandrin, ricercatrice dell’Università di Pisa, che per tre mesi ha viaggiato da sola attraversando il Paese, alla scoperta delle specialità peruviane più tradizionali, ma anche delle novità.

La rinascita gastroculturale del Perù

Una rinascita culturale trainata dalla gastronomia, è quella che sta vivendo da qualche anno il Perù. Selezionato dai World Travel Awards 2016 come prima destinazione culinaria del mondo per il quinto anno consecutivo, il territorio peruviano, con i suoi molteplici ecosistemi e le diverse tradizioni autoctone, spinge molti ricercatori e appassionati di gastronomia a studiare le produzioni locali. Così Vanessa Malandrin, ricercatrice dell’Università di Pisa, si è messa in viaggio per scoprire l'arte della panificazione peruviana. Ma perché? “La società peruviana, per molti anni, ha vissuto una condizione di frammentazione, a causa delle barriere geografiche e naturali, il che ha favorito lo sviluppo di cucine regionali anche molto diversificate” racconta Vanessa. Ma ora che la globalizzazione ha parzialmente abbattuto le barriere “il cibo fornisce al Paese un elemento di coesione, un senso di identità e appartenenza a una nazione che sta rifiorendo. È un momento importante, un vero rinascimento, sia dal punto di vista socio culturale che gastronomico. Fino agli anni '60 l'elite di Lima non mangiava cibo peruviano, le famiglie più importanti avevano uno chef francese a casa. Il messaggio era chiaro, la cucina peruviana parlava di povertà, quella francese era uno status symbol”.

 

Pane peruviano

 

Gli anni ‘80, la crisi e la rinascita

Ma poi qualcosa è cambiato: dopo la grave crisi economica e politica subita dal Paese negli anni ‘80, nel decennio successivo molti sono tornati in patria, compreso chi “ era andato a studiare nelle cucine europee”. Gli “sperimentatori”, come Gaston Acurio o Virgilio Martinez, hanno permesso che nascesse una consapevolezza forte sulla ricchezza delle tradizioni culinarie locali e dei cibi nativi, proiettando il Perù nell’epoca attuale. “La rinascita della cucina peruviana è stata sostenuta dai piccoli agricoltori e dai pescatori, che hanno lavorato molto e seriamente per poter fornire i prodotti che i ristoratori chiedevano. Tutta la filiera è importante e deve funzionare bene per poter contribuire alla riuscita finale: quando uno chef peruviano ottiene un riconoscimento internazionale, è tutta la società peruviana a goderne”.

 

pane peruviano

 

Il pane in Perù, le tipologie più diffuse

Ma cosa ha scoperto Vanessa sul pane peruviano? “Il pane è arrivato in Sud America durante il periodo coloniale, con gli spagnoli e, prima ancora, con gli indigeni che cuocevano la farina di mais in forma di tortillas, spesso avvolte in foglie e arrostite sulle pietre. Da allora, l'arte della panificazione è decollata e oggi possiamo trovare tante diverse varietà di pane”, da quelle destinate al consumo quotidiano ai pani devozionali, prodotti per le festività. Uno di questi è il pan cachanga, che viene fritto ed è consumato la domenica nel Nord del Perù, in particolare a Piura e Trujillo. D’uso quotidiano sono invece il pan chuta- pagnotta leggermente dolce e piatta, tipica di Oropesa, la “capitale nazionale del pane”, a solo un'ora da Cusco - e il pan chapla: un pane dolce con semi di anice, tradizionale ad Ayacucho e nella provincia di Huamanga, dove si accompagna con formaggio locale (paria queso) e marmellata di sambuco. Poi ci sono i prodotti nati dall'incontro con altre culture, come il pane arabo, importato qui dalla comunità mediorientale, il pan de yema (un pane dolce d’origine messicana, fatto con molti tuorli d'uovo che vengono utilizzati anche per decorarne la superficie), il pane francese e perfino il pan chapata: la versione peruviana della nostra ciabatta. O le antiche specialità pre coloniali, come il pan de maiz fatto di farina mais e farina di grano duro, eredità dal pane degli Incas, e il pan vinco, un prodotto che riesce ad attraversare i fiumi amazzonici mantenendosi friabile, grazie alla sua crosta dura che lo protegge dall’umidità.

Ma queste, spiega Vanessa“sono solo alcune delle oltre 400 specialità di pane che i peruviani producono: un mondo tutto da scoprire perfino per loro”. Tutto il mondo è paese.

 

a cura di Francesca Fiore

 

La filiera del vino a confronto: “Bisogna cambiare passo”

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Da un unico interlocutore per i decreti attuativi del Testo Unico allo sblocco dei fondi Ocm. Da un maggiore coordinamento delle attività all’estero agli strumenti per la dematerializzazione. Da Vinitaly le richieste del settore vino al ministro Martina. Che però non si è presentato all'incontro.

L’urgenza di condividere i decreti attuativi che renderanno operativo il Testo Unico del Vino (Tuv), insieme alla pressante richiesta di risolvere il blocco dei fondi della promozione nei Paesi Terzi, è andata di pari passo con la richiesta di programmare a lungo termine interventi e investimenti, per rendere sempre più competitivo il nostro sistema. Al dibattito intitolato Strategia di filiera: insieme per la competitività. Le sfide del vino italiano verso il 2020, a cui hanno partecipato tutte le principali organizzazioni del vino italiano (Federvini, Unione Italiana Vini, Confagricoltura, Alleanza delle Cooperative, Federdoc e Assoenologi) l’assenza del Ministro si è fatta particolarmente sentire perché le questioni che richiedevano delle risposte, erano - e sono – molte.

 

Chi si occuperà dei decreti attuativi del Testo Unico?

Ruenza Santandrea, coordinatrice del settore vitivinicolo dell’Alleanza Cooperative Agroalimentari, dopo avere ricordato i positivi risultati del lavoro di squadra a proposito del Tuv, ha reiterato la richiesta “di avere al Ministero delle politiche agricole un interlocutore unico che coordini i diversi Dipartimenti e Uffici coinvolti” per un confronto sull’elaborazione dei decreti attuativi “perché la semplificazione annunciatadiventi reale”. Anche a proposito della richiesta Ue di inserire le informazioni nutrizionali sulle etichette del vino, Santandrea ha messo in evidenza che “i produttori dovrebbero cambiare tutte le etichette, per arrivare ad una sorta di bugiardino che, alla fin fine, non vogliono neanche i consumatori”.

 

Dematerializzazione sì, ma con gli strumenti giusti

Dino Scanavino, presidente della Confederazione Italiana Agricoltori, chiede “nuove regole che dovranno consolidare la leadership qualitativa delle nostre produzioni, contrastando la polverizzazione imprenditoriale, favorendo l’organizzazione e incentivando le innovazioni. Va bene dematerializzare, ma è altrettanto importante che ci siano gli strumenti adatti ed efficaci per raggiungere l’obiettivo”. Sandro Boscaini, presidente di Federvini, chiede uno “sforzo collettivo per rafforzare la nostra presenza nei mercati. Ma serve anche maggiore efficacia e tempestività delle istituzioni, non solo proclami di principio, deve esserci un atteggiamento collaborativo e fattivo. Serve un alleggerimento normativo, ma anche cose pratiche: si parla tanto di digitalizzazione, ma ancora ci manca la banda larga in molti territori”. A tal proposito, intanto, il ministro Martina nella giornata inaugurale della Fiera di Verona ha annunciato lo slittamento del termine ultimo per passare al registro telematico: dal 30 aprile al 30 giugno. Basteranno due mesi per risolvere tutte le criticità?

 

Export, si può fare di più?

Altro tema caldo del dibattito è stato quello delle vendite all’estero. “Sull’export vinicolo italiano dobbiamo avere il coraggio della verità” ha affermato Antonio Rallo, presidente di Unione Italiana Vini “dopo alcuni anni di crescita, nel 2016 perdiamo colpi sui mercati internazionali, dove i vini fermi in bottiglia calano del 4,5% in volumi e dello 0,7% in valore, solo il Prosecco cresce. Gli asset su cui ci giochiamo il futuro dell’export sono tre: strategie di sistema con Ice per orientare con efficacia le azioni di promozione e comunicazione sui mercati; recupero della capacità di spesa dei fondi Ocm promozione; spinta della Ue verso gli accordi di libero scambio”. Secondo il presidente di Federdoc, Riccardo Ricci Curbastro viviamo un momento di grande confusione, di incapacità di progettare a lungo termine. È il quarto anno che a questo tavolo c’è tutta la filiera a chiedere di poter progettare, discutere programmare con capacità, concretezza, visione.Ma ci mancano delle risposte”. Il neo eletto presidente di Confagricoltura Massimiliano Giansanti, nel fare il punto sullo stato dell’arte del comparto, ha sostenuto che “è un settore che coniuga perfettamente tradizione e innovazione e per questo è un esempio per molte produzioni. Per il futuro, nella misura in cui la politica vitivinicola europea e nazionale sarà in grado di appoggiare i processi innovativi e di rispondere alle esigenze strutturali e di mercato delle aziende, appoggiandole, i margini di crescita sono incoraggianti”.

 

L'enologo, una figura trascurata dal Testo Unico

La riflessione di Riccardo Cotarella, presidente di Assoenologi è partita, invece, dal ruolo dell’enologo che, nonostante il contributo fattivo di idee lungo tutto l’iter legislativo da parte dell’associazione “è una figura trascurata dal Testo Unico, e di questo faccio pubblica ammendaespero che rimedieremo con i decreti attuativi”. Cotarella ha poi proseguito sulla scia dei precedenti interventi: “Sono contrario” ha detto “a questo entusiasmo sui primati dell’Italia del vino perché, in realtà, sono primati tristi. Noi facciamo guerra sul mercato con Australia, Cile, Argentina, Paesi che hanno iniziato ieri a fare vino, a cui spesso noi stessi abbiamo insegnato. Siamo il Paese con più ricchezza culturale e storia legata al vino, con più diversità, ma il mercato non ci riconosce questo plus valore. Ed è colpa nostra, perché non ci raccontiamo come ‘Paese del vino’ come invece fa la Francia”.

Quello di Vinitaly è stato un lungo ed articolato dibattito che ha dimostrato quanto la nostra filiera sia compatta nel richiedere misure per incrementare e rilanciare la nostra competitività sui mercati. Le imprese, però, hanno bisogno di un sistema Paese che funzioni sempre meglio e soprattutto collabori.

 

Nuovo tavolo di confronto a Roma

L'assenza del ministro delle Politiche Agricole all'incontro di Verona con tutte le associazioni di categoria ha fatto molto discutere e preoccupare il mondo del vino. Ma lo stesso Martina ha rilanciato, annunciando che il prossimo 26 aprile a via XX settembre ci sarà nuova riunione del Tavolo di filiera del settore vitivinicolo per analizzare le tematiche relative al comparto a partire dall'attuazione del Testo Unico del vino e del nuovo decreto Ocm promozione 2017/2018.

 

a cura di Andrea Gabbrielli

 

Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri del 13 aprile

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Organic Food Incubator. Da New York la storia dell'acceleratore che aiuta le start up del cibo salutare

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Sei anni fa nasceva nel Queens la fabbrica-laboratorio ideata da Michael Schwartz per sostenere le giovani imprese decise a scommettere sul cibo buono, salutare, preferibilmente veg e biologico. Da allora l'incubatore ha sviluppato i progetti di oltre 50 realtà, e continua a scommettere sulle nuove tendenze, dalla fermentazioni al caffè cold brew. 

Organic Food Incubator. Le origini, gli obiettivi

Ha compiuto sei anni pochi mesi fa, e oggi, recentemente riallocato nel nord del New Jersey (30 minuti di auto da New York), l'Organic Food Incubator fondato nel 2011 da Michael Schwartz rappresenta un riuscito esempio di imprenditoria illuminata del settore alimentare. Quand'è nato (e fino all'inizio del 2017), con l'idea di offrire una piattaforma super accessoriata alle piccole realtà del food & beverage in cerca di un trampolino di lancio sul mercato, l'incubatore si trovava nel Queens, e metteva a disposizione delle società interessate uno spazio fisico con cucina e struttura produttiva di supporto, ma pure un pacchetto di servizi di consulenza e orientamento all'impresa. La particolarità, che è la peculiarità più significativa del business avviato da Mr. Schwartz (già chef a Le Cirque e poi docente all'Institute of Culinary Education) tra tanti acceleratori del food sorti negli ultimi anni a Long Island, è legata al comparto di interesse dell'OFI, che si rivolge esclusivamente alle aziende interessate a sfondare nel panorama dell'healthy food, tra condimenti fermentati, alimenti proteici poveri di grassi, produttori di curcuma e tè kombucha. Un'oasi felice che supporta lo sviluppo del cosiddetto organic food di fronte alla miriade di attività destinate a immettere sul mercato junk food e snack di dubbia qualità, sostenendo al contempo l'innovazione tecnologica applicata alla ricerca alimentare. Con il vantaggio di lavorare in coworking, influenzandosi positivamente a vicenda. E in uno spazio che oggi si presenta attrezzato di tutto punto, e all'avanguardia, dalla stanza adibita alla fermentazione all'area anti allergeni, alla moltitudine di cucine che le società possono affittare per condurre le proprie sperimentazioni sul prodotto.

Investire nell'organic food. Come funziona

Ecco spiegato come negli anni passati molte delle start up passate attraverso le maglie dell'OFI sono riuscite a trasformarsi in un business di successo (arrivando, per esempio, ad essere distribuite sugli scaffali di Whole Foods), facendo crescere rapidamente il numero di aziende interessate a partecipare al progetto. Con l'impegno a rispettare le regole della casa: tutto quello che entra in produzione nella fabbrica del cibo salutare di Bloomfield (l'indirizzo del nuovo quartier generale) dev'essere di origine vegetale, gluten free e preferibilmente biologico, senza conservanti e a ridotto contenuto di zuccheri. Ma come funziona, quindi, l'Organic Food Incubator? Ogni giorno la struttura può ospitare dieci ospiti di passaggio, che affittano lo spazio solo per qualche ora. Ma il vero core business dell'OFI è garantito dalle resident start up che si alternano per un periodo di diverse settimane, o mesi, fino a nove realtà differenti che spesso finiscono per interagire tra loro, scambiandosi suggerimenti e consigli per sviluppare un prodotto buono, salutare, orientato alle esigenze del mercato. L'acceleratore, dal canto suo, garantisce supporto per ottenere l'HACCP e, quando possibile, la certificazione biologica o quella kosher. I progetti che vanno per la maggiore? Prodotti fermentati, caffè cold brew, salse di origine certificata pensate per la ristorazione. E in passato, diversi progetti incubati tra le mura dell'OFI sono arrivati sulle tavole più importanti della città; come il pane gluten free di Free Bread, basato sulla ricetta sviluppata da Karen Freer (che lavorava in una banca e dopo la diagnosi di celiachia si è riscoperta panificatrice), che è approdato a Le Bernardin e sulla tavola di Dan Barber, al Blue Hill at Stone Barns. A oggi sono 55 le imprese che hanno collaborato o collaborano con l'incubatore, che, nonostante il trasloco fuori città, continua ad attrarre potenziali imprenditori del settore alimentare.

 

Whole Foods. È crisi?

E testimonia che il business dell'organic food non sembra ancora destinato a passare di moda, nonostante le recenti difficoltà economiche della più celebre catena di supermercati bio degli Stati Uniti – Whole Foods – tengano banco da settimane sui principali quotidiani statunitensi. Nell'ultimo anno e mezzo, infatti, la storica catena texana avrebbe perso quasi 14 milioni di clienti, per l'incapacità di restare competitiva di fronte all'avvento di nuovi concorrenti, Kroger in primis. E ora, dopo aver rallentato un piano d'espansione arrembante, il management dell'azienda annuncia un ridimensionamento dei prezzi. Mentre comincia a circolare insistentemente l'ipotesi che Amazon, sempre più influente nel segmento grocery, potrebbe essere interessato all'acquisto del gruppo. Per ora solo voci di corridoio, come finirà?

 

www.organicfoodincubator.com

 

a cura di Livia Montagnoli

A cena da Ikea. La multinazionale svedese aprirà ristoranti e caffè indipendenti

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Dai mobili modulari alla gastronomia. Dopo aver rivoluzionato il mondo dell’arredamento per la casa, da qualche anno Ikea sta puntando sempre di più sulla ristorazione, a partire dalla valorizzazione dell’offerta gastronomica dei ristoranti interni ai punti vendita fino ai pop up restaurant. E adesso il colosso svedese si prepara ad aprire caffè e ristoranti indipendenti.

Ikea e il food

Qualche anno fa uno scandalo travolse le kottbullar, le famose polpette svedesi di Ikea, a causa del ritrovamento di carne di cavallo nell’impasto, costringendo l’azienda a sospenderne per qualche tempo la distribuzione nei punti vendita europei. Furono in molti a pensare che il modello di ristorazione della multinazionale fondata da Ingvar Kamprad fosse in crisi. Niente di più sbagliato: oltre al repentino reintegro delle polpette in menu - sempre più amate dai clienti del mobilificio fai da te - Ikea ha implementato la sua offerta gastronomica basata sui sapori del Nord Europa, valorizzando i ristoranti all’interno dei punti vendita.

Non solo: i lungimiranti dirigenti hanno deciso di puntare in maniera decisa sul cibo, aprendo temporary restaurant in diverse città d’Europa. Adesso, l’annuncio della nuova iniziativa: aprire caffè e ristoranti indipendenti.

 

I precedenti: i Temporary a Milano e Parigi

Lo spirito imprenditoriale e la capacità di anticipare i tempi in alcuni settori, come quello della ristorazione, sono due caratteristiche fondamentali. Ne è un esempio Ikea, che già da molti anni propone i sapori nordeuropei, cavalcando il trend che dal consumo indiscriminato di junk food ci ha spinto sempre di più verso piatti semplici, leggeri e considerati “sani”. Il tutto condito da una visione del cibo come collante delle relazioni familiari e affettive sempre ben raccontata e da un pizzico di esotismo. Così, dopo il successo della formula caffetteria più ristorante self service e bottega per l'acquisto di prodotti made in Sweden, Ikea ha puntato sull'offerta gastronomica, aprendo diversi temporary restaurant associati a iniziative di vario tipo. Da quello di Milano, nell'ambito delle iniziative di Expo con un ricco calendario di appuntamenti sulla cucina, oltre che con l’offerta gastronomica, a quello di Parigi, che ha visto 15 aspiranti chef sfidarsi ai fornelli per 15 giorni. E diversi esperimenti si contano anche a Londra e Oslo.

 

Caffè e ristoranti stand alone

Adesso Ikea si prepara a compiere il passo definitivo, lanciando l’idea di ristoranti e caffè stand alone, indipendenti dal punto vendita “tradizionale”. “Speriamo che nel giro di pochi anni i nostri clienti cambino visione del marchio” ha raccontato con un pizzico di ironia l’amministratore delegato di Ikea, Michael La Cour. “Ci piacerebbe sentirgli dire che Ikea è un ottimo posto per mangiare e, tra un pasto e l’altro, anche per comprare qualche bel mobile”.

Del resto come dargli torto: secondo i dati dell’azienda, l’aumento e il perfezionamento dell’offerta gastronomica ha fruttato circa l’8% di fatturato in più rispetto al 2015, e una ricerca di mercato su scala globale riporta che il 30% dei clienti abituali si recano da Ikea semplicemente per consumare un pasto. Senza escludere che questo possa essere pretesto per fare acquisti non previsti. Ecco perché secondo le ultime stime nel 2016 Ikea ha servito 650 milioni di commensali, in 48 diversi Paesi del mondo.

Malgrado questi numeri, però, lo stand alone resta una scommessa: Ikea sarà in grado di fare numeri importanti solo con il cibo, conquistando autorevolezza nel segmento della ristorazione? E ancora, l’azienda punterà ancora su una visione “familiare” della tavola o deciderà di chiamare qualche chef di livello per sponsorizzare i suoi locali? Il progetto è ancora tutto da decifrare, le città predestinate ad avviare i giochi anche, come i tempi necessari a concretizzare una sfida tanto ambiziosa.

 

 

a cura di Francesca Fiore

 

 

Pastifici a Palermo. 6 indirizzi per comprare la pasta fresca in città

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Tumminia, Russello, Senatore Cappelli. Sono alcuni dei grani antichi utilizzati per la produzione di pane e pasta in Sicilia, oggi protagonisti di una vera rinascita. Per la rubrica sui pastifici in città vi portiamo a Palermo, alla scoperta dei formati locali e delle migliori produzioni artigianali della città.

La pasta in Sicilia

Il rapporto dei siciliani con la pasta affonda le radici in epoche lontane. È qui che si ritrova la prima testimonianza scritta sulla pasta secca, che si sarebbe poi diffusa in tutto il continente: nel 1154 il geografo arabo Al-Idrisi, nel Libro di Ruggero, racconta come a Trabia, località vicina Palermo, si producessero i tryia, progenitori degli spaghetti.

Da questa tradizione nascono tanti formati, provenienti da territori diversi, che si mischiano spesso nelle produzioni locali: gli anelletti palermitani, quasi impossibili da rintracciare al di fuori della Sicilia, le lasagne cacate, dai bordi arricciati, in uso soprattutto nel palermitano e nel trapanese, i cannaruzzuni (rigatoni molto grandi), i busiati trapanesi, gli agnolotti siciliani (dalla forma quadrata o rettangolare, ripieni solitamente di ricotta e salsiccia).

Questa storica vitalità fa il paio con la recente riscoperta dei grani antichi siciliani, nell'ottica della valorizzazione della biodiversità, grazie alle loro proprietà organolettiche, dopo essere stati soppiantati per decenni dalle colture di grano duro. Per la rubrica sui pastifici in città vi portiamo nel capoluogo della Sicilia, alla scoperta dei formati locali e delle migliori produzioni artigianali di Palermo.

 

Fabio Serina Pastificio

Iniziamo da un “one man band”: Fabio Serina, nel suo laboratorio artigianale, fa tutto da sé. Una passione nata da piccolo, osservando le donne di casa tirare la sfoglia, che poi è diventata una professione. “Sono io a selezionare i prodotti, a impastare, a confezionare e anche a consegnare la pasta” ci racconta, “qui utilizziamo solo materie prime locali, o comunque made in Sicily, di elevata qualità, puntando a conservare le loro proprietà”. Aperto dal 1999 nel quartiere adiacente la stazione, produce formati diversi: da gnocchi, sia in versione classica che aromatizzata al nero di seppia, a tagliatelle e fettuccine, passando per tortellini ripieni di carne, ravioli ricotta e spinaci, ravioloni ai carciofi. “Utilizzo sia la semola rimacinata di grano duro che la farina di Tumminia (o Timilia), un grano antico siciliano che dà una consistenza e un sapore particolari alla pasta. Per l’impasto impieghiamo solo uova fresche, garantendo così quella consistenza tipica tradizionale”. I prezzi? Dai 5 euro al chilo delle tagliatelle, ai 12-13 euro dei ravioloni giganti e tortellini.

Fabio Serina | Palermo | via F. P. Perez, 60/h | tel. 091 6160025 | www.facebook.com/pg/fabioserina2

 

Mastro Pastaio

Un pastificio nato nel 1989 grazie alla passione per la cucina di Francesca e Gabriella, le due titolari.Le specialità vanno dai formati più semplici (busiati, paccheri, tagliolini, fettuccine, caserecce) ai ravioli ripieni (con funghi e tartufo, cacio e pepe, cernia), passando per i cappelli ripieni (pistacchi e formaggi, patate e salsiccia, zucca rossa, verdure miste), fino alle paste speciali, che sono per lo più stagionali, come i papillon di triglia o i ravioli ai crostacei. Spazio anche alla creatività, con formati originali come le calle, che riproducono le fattezze del fiore. Ma si trovano anche sughi pronti, per esempio il ragù di cinghiale, il sugo di triglie o quello ai carciofi, e alcune proposte di gastronomia come torte e bignè salati, timballi di pasta, gateau, tabouleh di verdure. E se ancora non siete sazi, c’è spazio anche per i dolci: strudel, gelo di anguria, crostate con varie farciture. I prezzi della pasta vanno dagli 8 euro al chilo delle più semplici ai 23-24 delle paste ripiene.

Mastro Pastaio | Palermo | Via Principe di Belmonte, 40 | tel. 091 321598 | www.facebook.com/pg/Mastro-Pastaio-216308961886185

 

l'offerta di Mastro Pastaiol'offerta di Mastro Pastaio

 

Pasta Giglio

Un'attività che va avanti da 30 anni, secondo un principio di filiera certificata, oggi diventata una delle caratteristiche di punta del pastificio. Pasta Giglio propone specialità prodotte a partire da una miscela di grani siciliani come Duilio, Iride e Simeto, ma anche formati integrali con Tumminia e Russello. E la produzione, se la sono fatta certificare: “Siamo gli unici a essere certificati dalla Regione e per suo tramite dal Consorzio Gian Pietro Ballatore per l’uso di grani siciliani antichi, un marchio di qualità (Pasta di grano duro siciliano - Qualità Certificata) che contraddistingue la nostra produzione” spiega Girolamo Giglio, che a Palermo chiamano tutti Mimmo. “Abbiamo una filiera certificata che parte dalla terra, quindi da chi coltiva il grano, e finisce al consumatore finale. Questo principio lo applichiamo a tutta la produzione, anche alla gastronomia”. Una produzione basata sulla stagionalità “nei limiti della ragionevolezza e mediando sempre con le richieste del cliente”, che hanno reso il pastificio Giglio famoso in città.

 

tortellini di Pasta Gigliotortellini di Pasta Giglio

 

L’offerta gastronomica va dalle paste semplici come le tagliatelle e gnocchi (anche al nero di seppia, al cacao, alle melanzane) ai formati speciali come busiati, creste di gallo, boccolotti, anelletti siciliani, fino alle paste ripiene, come i ravioloni mele e mandorle dolci, quelli carciofi e agnello, o allo stracchino ed erba cipollina. La tipologia più particolare? I ravioli alla trazzera, con un ripieno di mortadella di vacca cinisara, prosciutto cotto al naturale e crudo di Suino Nero dei Nebrodi. Dalla gastronomia proposte come caponata di pesce spada, polpette di sarde, involtini di vario tipo, carpacci.

I prezzi della pasta, al chilo, vanno dai 7-10 euro delle paste semplici ai 13 delle farcite fino ai 18 euro del raviolo con polpa di aragosta e riccio.

Pasta Giglio | Palermo | via Cala, 62/D | tel. 091 326111 | www.pastagiglio.it

 

Pastando

Un pastificio-gastronomia ideato da un team di 30enni e aperto a settembre 2016 in una delle zone più centrali di Palermo. “Prima di aprire il locale abbiamo studiato per tre anni” racconta Christian Giuliano, titolare dell’azienda “per realizzare un concept che unisse la produzione artigianale con la cucina e riuscisse a valorizzare anche i prodotti del territorio”. Gli artigiani di Pastando realizzano pasta fresca di semola di grano duro - anche con grani antichi come Tumminia, Russello e Senatore Cappelli - senza uova, adatta anche a chi ha fatto la scelta vegana. Inoltre, piatti di gastronomia da asporto o da consumare in loco, sul lungo bancone all’americana (con charge point) che permette di dialogare anche con lo chef. “Per l’asporto abbiamo progettato un packaging apposito, con box e piatti in polpa di cellulosa e posate di legno, 100% biodegradabile, che permetta di conservare la fragranza dei nostri piatti”.

 

spaghetti quadrati di tumminia, Pastando

 

Ma cosa si può gustare da Pastando? Caserecce, tagliatelle, spaghetti quadrati, gnocchi per quanto riguarda i formati più semplici; ravioli alla ricotta, radicchio e speck, quelli alla Norma (con melanzane, pomodoro e ricotta salata), con pesto di pistacchio di Bronte e gamberetti, agnolotti alla zucca o alle melanzane, o i classici con ripieno di carne di manzo stufata. I prezzi vanno dai 7-9 euro delle paste base ai 15-18 euro delle ripiene, secondo il grano utilizzato e le farciture.

Pastando | Palermo | via Valerio Villareale 21 | tel. 091 765 4787 | www.facebook.com/Pastando.Palermo

 

Pastificio Conigliaro

Un pastificio a conduzione familiare aperto dal 2004 nel quartiere Malaspina. Qui si produce pasta con semola di grano duro, sia con uova che senza, dai formati più semplici come fettuccine, maccheroni, gramigna, busiati e calamarata, ai formati speciali come le margherite, le mezzelune e i cuori, tutti in versione classica, aromatizzati al pomodoro o al nero di seppia. Per la sezione pasta ripiena sono diverse le specialità proposte ai clienti: vanno a ruba i ravioli con mandorle, ricotta e basilico, ma anche quelli ripieni di pesto di pistacchi e gamberi, o quelli carciofi e prosciutto crudo. Per coloro che non hanno voglia di cucinare, inoltre, tanti piatti pronti da portare a casa come cannelloni, pasticcio alle melanzane, anelletti al forno, gateau. Infine i dolci della tradizione, su richiesta: sfinci di San Giuseppe, cannoli e sospiri di monaca. I prezzi vanno dai 4,50 euro di fettuccine e maccheroni ai 13 delle paste ripiene.

Pastificio Conigliaro | Palermo | via Giovanni Zappalà, 49 | tel. 091 685 9603 | www.facebook.com/Pastificio-Conigliaro-699067013605982

 

gnocchi classci e al nero di seppia, Pastificio Conigliarognocchi classci e al nero di seppia, Pastificio Conigliaro

 

Past’ovo

Il pastificio della famiglia Sabatino, nel quartiere Nortarbartolo, vicino agli splendidi Giardini inglesi è aperto dal 1968 e da quasi 50 anni è il punto di riferimento della zona, distinguendosi per qualità e disponibilità verso le richieste del cliente.“Fu mia madre ad aprire il negozio” racconta Attilio, figlio della signora Angela, “con fatica e forza di volontà ha creato un’attività per tutta la famiglia, attività che per me è anche una vocazione”. Past'ovo propone pasta con farine di grano duro, ma anche con farine Russello, Tumminia e Perciasacchi (chiamato anche farro lungo) macinate a pietra naturale, tutte rigorosamente integrali e biologiche.

 

ravioli e busiati, Past'ovoravioli e busiati, Past'ovo

 

Tantissimi i formati in listino: dalle classiche come ravioli e tortellini, a specialità regionali come trenette, capellini e paccheri, ma anche formati tipici siciliani come i busiati trapanesi, gli anelletti palermitani, i maccheroncini, fino alle sfoglie da utilizzare per cannelloni e lasagne. E poi le “paste speciali” come i ravioli con la cernia o il pesce spada, quelli mozzarella e carciofi o ricotta e pistacchi. Infine la gastronomia da asporto, tutta incentrata sulle tradizioni palermitane: maccheroncini con ricotta e melanzane, rollé di pasta con ricotta e spinaci, anelletti al forno con mozzarella e carne, panelle e crocché, involtini di melanzane, torte rustiche di vario tipo, tabouleh di verdure e caponata di melanzane. I prezzi vanno dai 6 euro ai 14-15 euro al chilo.

Past’ovo | Palermo | via Cesareo, 48/50 | tel. 091 6250009 | www.pastovo.com

 

 

a cura di Francesca Fiore

 

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Aprire un ristorante a Roma? Prima passa da Acea (se hai il coraggio)

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Tra le mille e più lungaggini e difficoltà che si incontrano per aprire un ristorante, a Roma il premio dell'ostacolo più ostico va spesso ad Acea, il più grande gestore di energia elettrica della Capitale.

Il mistero degli scavi e della centralina

Roma, 28 aprile 2016: “Stiamo lavorando con la 220, metà attrezzatura non funziona”. Ma quando avete chiesto l'aumento di corrente elettrica?“A dicembre 2015, e abbiamo pagato 3800 euro più Iva per ampliamento di potenza da 6 a 50kw e di tensione a 380v”. A parlare Andrea Dolciotti, cuoco e patron di Pigneto 1870. Una situazione non unica né rara, la sua: chiunque abbia un'attività può facilmente confermare che tra gli ostacoli più grandi all'apertura ci sono lungaggini legate a utenze e burocrazia. 

Andrea Dolciotti a fine 2015 si prepara a spostarsi dall'Aurelio al Pigneto, una delle zone più animate della Capitale. Inizia i lavori, compila pratiche, inoltra richieste. E aspetta. Non si sa bene cosa e quanto. Perché avere una risposta chiara è praticamente impossibile: “ci rimpallano da un telefono all'altro”. A dicembre 2015 danno 22 dei 50kw richiesti. Sempre nello stesso periodo individuano una centralina cui attaccarsi per la corrente e fanno un preventivo (poi non confermato). È il primo di una lunga serie distribuiti nel tempo. “Poi c'è stata la Soprintendenza, abbiamo atteso la nomina dell'archeologo che deve sovrintendere gli scavi”. Poi? “Poi si è visto che la cabina individuata non andava bene. Altro preventivo e altro tempo. Al momento non sappiamo dove sia la nostra pratica” diceva ad aprile 2016, “sappiamo solo che hanno individuato la centralina adatta a 10 metri dal locale, dal civico 25 al 17. Invece no, neanche quella va bene." Come è possibile? “Venivano a fare i sopralluoghi per il preventivo senza le strumentazioni necessarie" racconta.

I giorni passano, il ristorante è pronto (al netto dell'energia elettrica) e l'attività ferma. Quindi non solo non guadagna, ma perde soldi, quelli per gli affitti e il personale. A inizio aprile, non potendo tergiversare oltre, Dolciotti apre, con meno energia e a regime ridotto. Perché senza un aumento di corrente si può fare poco: le piastre vanno a 380, la friggitrice anche, e praticamente tutti gli strumenti in cucina sono elettrici, e non solo quelli. Mentre se non c'è il gas (comunque arrivato dopo 4 mesi dalla richiesta) qualcosa ci si può inventare tra forno, roner, e piastre a induzione, senza corrente elettrica o senza la potenza necessaria, si rischia di non poter lavorare. “Considera che ora sto facendo il pane in un altro locale, idem per crumble, meringhe e piccola pasticceria. Lavoro con un forno per i cornetti, un giocattolino da bar con tre teglie 25x40, senza friggitrice, induzione e anche senza condizionatore” diceva. Una ristorazione di fortuna che può servire meno coperti (lavorando con 4 soli fuochi non è facile fare numeri necessari per sostenere l'attività e pagare gli stipendi) e con un menu diverso rispetto al previsto, non potendo usare tutti gli strumenti su cui aveva investito, beffa oltre al danno, quasi 20mila euro.

Passano mesi e altri preventivi, “a ottobre dopo tanto battagliare siamo riusciti ad arrivare al funzionario, preventivista e al responsabile della zona di Areti” così si chiama da luglio 2016 l'ex Acea Distribuzione che gestisce la rete elettrica, pianifica ed esegue gli interventi per l’ammodernamento e l’ampliamento delle infrastrutture. Si scopre che la prima centralina andava bene, e c'è anche un modo per raggiungerla “abbiamo trovato una canalizzazione sotto il manto stradale ”. Perché pare anche che quando è stata risistemata la vicina piazza non siano stati predisposti su entrambi i lati allacci e cunicoli di ispezione di servizio. “La cosa più assurda è che la piazza è stata fatta pochi anni fa”. Ma questa è un'altra storia. Passano altre settimane, “a dicembre 2016 pensavamo di andare via”. Per i lavori del manto stradale ovviamente servono l'ok della Polizia Locale (si chiude una parte di strada) e del Municipio, inoltre lì c'è il mercato dunque la mattina non si può lavorare, poi c'è la fascia oraria per il rispetto della quiete “non si capiva neanche quando poterli fare, questi scavi”. Infine, dato che in terra c'è il mattonato, si scopre che il costo di queste mattonelle è a carico dell'intestatario dell'utenza e non di Acea, che sostiene solo le spese per il ripristino del manto stradale ordinario, dunque dell'asfalto e non delle mattonelle: una patacca. “Abbiamo dovuto fare un'offerta all'associazione della piazza per farci dare delle mattonelle”.

Ma non ci sono dei limiti di tempo per queste cose? “Hanno 6 mesi per attaccarti l'elettricità da quando hai pagato, sempre che tutti siano d'accordo, dai vigili urbani per l'occupazione del suolo pubblico, al preventivista, al Municipio” e voi? “La richiesta è stata fatta e pagata a dicembre 2015 e la 380 ce l'hanno data il 23 dicembre 2016”. Un anno!

La pratica scomparsa

Un fatto più rumoroso fu quello di Osteria Fernanda un anno prima; in una zona, quella di Porta Portese, ugualmente animata, che pare particolarmente sfortunata per i ristoratori. Il locale si spostava dalla vecchia sede di via Ettore Rolli alla nuova, a poche centinaia di metri. Tutto era stato fatto con il misurino, per chiudere da una parte e riaprire dall'altra nel minor tempo possibile: ogni giorno chiuso è un incasso mancato a fronte di spese (dall'affitto al personale) che invece non si fermano.

Quando si tratta di 380 il problema vero può essere, molto banalmente, la persona che gestisce le pratiche” dice Andrea Marini, sommelier e patron insieme allo chef Davide del Duca e a Manuela Menegoni. “non conta né il dirigente Acea, né la Soprintendenza Archeologia delle Belle Arti” ma il “camminatore” quello che ha in mano i fascicoli e li segue nel loro iter. La richiesta dall'Acea va alla Soprintendenza Archeologica per il nulla osta che deve essere portato poi al Municipio per la firma per il permesso dei lavori, poi torna in Acea che chiama la ditta appaltatrice per lo scavo. Tempo previsto: 3 mesi”. In teoria. Dopo questo tempo, infatti, per il team di Fernanda iniziano i solleciti, ma nessuno sembra sapere nulla della pratica. Vi eravate mossi per tempo? “La richiesta di corrente è stata fatta a settembre, a dicembre abbiamo pagato circa 2300 euro”. Poi il limbo. Nel frattempo la vecchia Fernanda chiude, è il 15 marzo, “abbiamo aspettato altre 5 settimane sperando di sapere quando sarebbero cominciati i lavori, il 25 aprile comunicano che sarà verso metà maggio, a quel punto abbiamo aperto con la 220 e un trasformatore”. Anche loro un po' arrangiati. La pratica che pareva scomparsa alla fine si scopre essere nelle mani del camminatore, che l'ha depositata all'ultimo, “poco prima che scadessero i termini oltre i quali l'Acea deve pagare una penale”. Una volta depositata la pratica i tempi sono stretti e a fine maggio i lavori sono completati, a locale già aperto (“abbiamo messo la centralina della 380 nel nostro locale”). Nel mezzo, però, ci sono stati mille giri, giornate perse tra uffici, esasperazione e danni economici che per piccole realtà di qualità sono un massacro autentico. Quanto ci avete perso? “Due mesi circa di lavoro, sui 70mila euro”.

Come è possibile che un anello qualsiasi della catena blocchi tutto? Evidentemente le maglie dei controlli e il malfunzionamento sono tali che nessuno verrà a chiedere conto dell'avanzamento di tutti i lavori in coda. E forse nessuno sa realmente quali siano. E proprio qui si crea lo spazio aleatorio e discrezionale in cui chiunque può perdere, imboscare, dimenticare, trascurare una pratica o l'altra. “Oltre a totale negligenza e disorganizzazione” spiega un ristoratore che preferisce restare anonimo “è chiaro che molti imprenditori sono indotti a oliare gli ingranaggi”. La cosa ovviamente riguarda tutte le società che distribuiscono servizi a rete e non di certo solo Acea, e tra l'altro riguarda soprattutto le società che lavorano “per conto di...” e non la casa madre direttamente.

Insomma tra le migliaia di attività che aprono ogni anno, non tutti hanno la forza (anche economica) di aspettare fino all'ultimo giorno. E qualcuno cerca scorciatoie: gli imprenditori col pelo sullo stomaco si garantiscono da soli, ma chi porta avanti piccole imprese d'eccellenza non ha margini di guadagno per contrastare ritardi e ricatti.

Giorno più, giorno meno... ma soprattutto giorni più

A poca distanza anche Flavio al Velavevodetto, uno dei punti di riferimento della romanità, lamenta tempi dilatati oltre il previsto per un aumento di potenza, e l'impossibilità di comunicare con qualcuno per capire a che punto fossero i lavori. “Avevo chiesto un aumento di potenza” dice Flavio De Maio che da 15 giorni lavorativi, come preventivato, si sono trasformati in un mese e mezzo”. Ma il pagamento? Quello si fa subito “nel mio caso 1200 euro”. Come spiega questi tempi? “Non ho idea, dovrebbero avere una macchina con satellitare e Ipad per verificare gli spostamenti dei camminatori, in teoria dovrebbe essere facile individuare le falle”. In teoria sì, ma un reale efficientamento non viene posto in essere.

La bolletta impossibile

Ancora Pigneto, ancora un'incredibile storia di malagestione. Lo scenario cambia, ed è Rosti, il secondo locale di Marco Gallotta (già patron e chef di Primo) che si scontra con la disorganizzazione delle aziende di servizi. La richiesta di aumento la fanno alla firma del contratto di affitto, di mezzo ci sono mesi di lavori in cui vanno a 3kw. Ma la dotazione richiesta (e ottenuta) è di 150kw, con un contatore nuovo “anche perché c'è un cavo che è tre volte uno normale”.

Andiamo diritti al momento in cui il locale è aperto e funzionante. Le prime bollette sono basse, troppo: “400 euro o giù di lì, contatto Acea per dire che c'è qualcosa che non va: come può essere pagare solo 400 euro al mese di corrente?”. Passano mesi e poi anni, continua a segnalare la cosa, ma nessuno sembra dargli retta, fino a un paio di anni fa, quando decide di cambiare gestore e allora si scopre il mistero: “il contatore non era mai partito: le bollette erano sul consumo presunto”. A quel punto si quantificano gli arretrati da saldare, pena il depotenziamento e l'interruzione della fornitura come abitualmente accade se non si è in regola con i pagamenti. “Arrivano con una bolletta da 65mila euro da pagare in 60 giorni” racconta “senza possibilità di discutere o verificare. Bisogna pagare e poi, eventualmente, contestare” sostenendo dunque anche le spese di un avvocato. E voi? “Noi ci eravamo già staccati” dice, e continua“comunque quel conteggio non torna: secondo noi ci sono circa 20mila euro di troppo”. Il caos, proprio quello di cui gli imprenditori onesti non avrebbero bisogno e in effetti in tutto il mondo le società di servizi sono amiche e partner, non matrigne. Ma trovateci a Roma una sola attività di ristorazione che non abbia avuto problemi con le utenze. Non finisce qui: “quella fattura è arrivata dopo 3 anni, quindi significa che non posso scaricare l'Iva. Il 22% su 65mila euro sono più di 10mila euro. Persi. Mettici poi pure le spese dell'avvocato...”. Perché ovviamente la cosa è andata per vie legali. Ma cosa rispondono da Acea? “Magari rispondessero! In questi mesi non c'è stato modo di capire con chi interfacciarsi. Al mio avvocato hanno risposto che non potevano indicare l'ufficio reclami. Come se fosse segreto”. Ora è stato individuato un ufficio per la conciliazione, “sperando che stavolta qualcuno risponda e si sieda con noi a risolvere questa cosa”. Nel frattempo, però, ad Acea cambiano le posizioni amministrative, i dirigenti, i vertici e capire con chi parlare si fa sempre più complicato. Un'azienda che fa utili record grazie ad un management capace, un'azienda che rinnova il suo brand e le sue interfacce tecnologiche (app e sito) con l'utenza retail, come mai non riesce a trovare un livello di collaborazione sana con il mondo dell'utenza azienda in particolare per quanto riguarda in particolare la ristorazione e le sue esigenze?

Poche risposte, spesso sbagliate

13 mesi. È questo il tempo che è servito a Francesca Barreca e Marco Baccanelli (anche conosciuti come The Fooders) per avere l'aumento di energia necessario per aprire Mazzo. All'epoca fu un ritardo memorabile. In mezzo la solita trafila fatta di mancanza di risposte certe e di pratiche arenate chissà dove. “La maggior parte del tempo è passata aspettando l'autorizzazione agli scavi”, un centinaio di metri, o poco più. Mazzo si trova a Centocelle, nella zona est della città, anche qui la trafila prevede diversi passaggi, nei quali non è raro – come abbiamo visto - che documenti e autorizzazioni sembrino svanire per un po'. “C'è una persona incaricata a portare le pratiche da un ufficio all'altro” spiega Francesca, e racconta anche lei dell'impossibilità di tracciare il percorso fatto da questi incartamenti: sembra che nessuno ne sappia mai nulla. E chi è addetto a portare le pratiche? “Non sai mai il suo nome, e non si capisce neanche se sia effettivamente lui a rallentare le cose, o se non sia magari un capro espiatorio”. Passano dei mesi, e alla fine riescono ad avere l'autorizzazione agli scavi, “ma per errore il permesso è dato a Italgas anziché Acea”. Realtà inefficienti che dialogano con altre realtà inefficienti. Devono attendere ancora del tempo per l'autorizzazione giusta.

Ma poi le cose sono andate lisce? “Non proprio. Avevamo chiesto la 380” ricorda Francesca “ma al primo sopralluogo tecnico ci hanno comunicato che lì non si poteva portare”. Iniziano i lavori, a Mazzo realizzano la cucina e prendono i macchinari per lavorare con la 220, cablano il locale, sempre per la 220, “poi quando finalmente portano la corrente scopriamo che è proprio la 380”. E a quel punto? “Abbiamo dovuto rifare i lavori per ricablare per la 380, e richiedere una nuova certificazione”. Solo per questo passaggio la spesa si aggira sui 600 euro. “Alcuni macchinari siamo riusciti a cambiarli, altri no, e infatti lavorano male e consumano più di quanto dovrebbero”. Ma voi avete fatto reclami o altro? “Quando abbiamo finalmente potuto, ci siamo messi a lavorare, non potevamo aspettare ancora, né continuare a girare da un ufficio all'altro”. C'è da dire che in questa storia anche loro hanno trovato, alla fine, qualcuno che ha saputo dare risposte certe, che nell'ultimo mese ha seguito la pratica con efficienza risolvendo una situazione kafkiana. Ma possibile che avere un servizio dovuto sia questione di fortuna o di casualità?

Domande lunghe un anno

Arriviamo a oggi. A un'apertura che ha smosso il panorama gastronomico di Roma. Torniamo nel quartiere Testaccio, dove ha aperto da poche settimane Romeo, il nuovo megaprogetto firmato Cristina Bowermann-Fabio Spada: 2000 metri quadrati e 120 chilometri di cavi elettrici per una potenza di circa 500kw. “Siamo partiti un anno e 9 mesi fa con le prime richieste” inizia così Fabio Spada un racconto fatto di risposte mancate, pratiche scomparse, documenti sbagliati, assurde perdite di tempo: “ogni volta che pareva che la trafila fosse finita si scopriva qualcosa che mancava o che bisognava ancora risolvere”.

La storia inizia il 23 maggio 2015, con la domanda ad Acea a cui è seguita una prima richiesta di documentazione, “con una procedura che ci è sembrata irrituale” e che si è rivelata inefficace. Inviato quanto richiesto a giugno 2015, a fine luglio la pratica non risulta ancora neanche aperta, passa ancora del tempo, “abbiamo fatto nuovamente domanda a settembre”. Da allora ogni passo è stato solo a seguito di interventi, richieste, sollecitazioni. “Nulla è mai andato avanti naturalmente, ma solo dietro solleciti”, che significa lunghe ore spese tra uffici o attaccati al telefono.

Arriva finalmente il momento della richiesta del preventivo “fatta a dicembre 2015” è una richiesta che ha un costo: “oltre 5mila euro finalizzati alla verifica generale della possibilità di fare un allaccio” in pratica una verifica sommaria di fattibilità per l'aumento di potenza, necessaria per procedere al preventivo vero e proprio. A gennaio 2016 ancora nessuna risposta “ma abbiamo saputo lo stesso che era andato a buon fine e si andava avanti”, passano due mesi; a marzo c'è finalmente il preventivo: il progetto può essere realizzato. La spesa è di circa 27 mila euro “ovviamente pagati”. Passa ancora un po' di tempo: “siamo andati in commissione in Comune per il progetto di scavo il 9 o 10 aprile”. A questo punto sono passati 10 mesi dalla prima richiesta e ancora di lavori neanche l'ombra. Ma almeno si sa che si possono fare.

Mentre si lavora dentro al locale, si attende di veder rompere il manto stradale, segnale che dà il via all'intervento di Acea. Passa anche la primavera del 2016.“Il primo anno lo abbiamo passato a fare domande”; gli scavi partono in piena estate. “Da lì in poi c'è stata una accelerazione”, si procede con i lavori della centralina e di tutta la parte tecnica. Ma al momento della verifica dei documenti si scopre che ce ne è uno sbagliato: uno di quelli chiesti (e subito presentati) a maggio 2015, più di un anno prima; evidentemente nessuno ha verificato il fascicolo. Passano altri 4 mesi, da settembre a gennaio. Gennaio 2017: un anno e 10 mesi dopo la prima richiesta. Da lì in poi è storia recente: dopo poco c'è l'allaccio e Romeo a piazza dell'Emporio avvia i motori e inizia il rodaggio. L'apertura al pubblico è il 13 marzo 2017. “Nelle previsioni più pessimistiche avevamo messo in conto un anno”. Invece sono stati quasi due. Quanto è costato questo ritardo? “Circa 100mila euro solo di costi aggiuntivi”. Ma Acea non risponde di niente? “In teoria ci sarebbero dei termini di tempo oltre i quali scatta una penale. Ma partono da quando ogni documento e autorizzazione è a posto”: i mesi precedenti passati tra domande inevase, richieste senza risposta, pratiche scomparse, evidentemente non contano.

Avete avuto la sensazione che qualcuno volesse mettervi i bastoni tra le ruote? “Sì. Come credo l'abbiano tutti gli imprenditori che si trovano ad avere a che fare con una società di servizi che non agevola il normale andamento dei lavori”. In mancanza di controlli e di un sistema di verifiche efficiente, si è in balìa di chi capita. Devi sperare di incappare in uno bravo, perché ci sono: “tra tutte le persone che abbiamo incontrato in questa storia, ci sono state anche alcune molto competenti che, resesi conto della situazione, si sono spese per rimettere a posto in tempi brevi i problemi emersi, per quanto possibile in una macchina lenta come Acea”. Insomma, per uno che non fa bene il suo lavoro ce ne è un altro che deve lavorare doppio per risolvere i danni creati, una metafora dell'Italia. Che si riversano tanto sul singolo quanto su Acea stessa, che rimanda di mesi, talvolta di anni, la fornitura. E il conseguente suo stesso guadagno, perché paradossalmente tutte queste lentezze mortificano il business e il fatturato dell'azienda stessa prima ancora che dei suoi clienti.

Al di là della proverbiale inefficienza romana, presente non di certo solo in Acea, ma protagonista in moltissime tra le attività che abbiano a che fare con la capitale, ci si chiede perché tutto questo possa accadere. Ci si chiede perché Acea, addirittura contro il proprio interesse, si comporti in questo modo incomprensibile con i suoi clienti. Ci si domanda quanti siano gli imprenditori (anche internazionali) che sentendo i racconti di queste storie – perché i ristoratori romani non parlano d'altro, quando gli si chiede conto dei problemi che hanno vissuto per aprire – abbiano rinunciato a intraprendere un'attività, e quanti capitali dall'estero abbiano scelto anche (e non solo) a causa di tutto ciò di atterrare altrove lasciando Roma e l'Italia.

Stiamo cercando di porre queste domande anche ad Acea, appena riusciremo a interfacciarci con qualcuno daremo il più ampio diritto di replica. Per ora i tentativi di contattare l'ufficio stampa si sono purtroppo infranti contro un muro di gomma.

 

Pigneto 1870 | Roma | via del Pigneto, 25 | tel. 06 7021401 | http://ristorantepigneto1870.it

Osteria Fernanda | Roma | via del Monte Crescenzo, 18 | tel. 347.4459593 |www.osteriafernanda.com

Flavio al Velavevodetto | Via di Monte Testaccio, 97| tel. 06 5744194 | http://www.ristorantevelavevodetto.it/

Rosti | Roma | via B. d'Alviano, 65 | tel. 06 2752608 | www.rostialpigneto.it

Mazzo | Roma | via delle Rose, 54 | tel. 06 64962847 | http://www.thefooders.it/mazzo/

Romeo | Roma | piazza dell'Emporio, 28 | tel. 06 32110120 | www.romeo.roma.it

 

a cura di Antonella De Santis

 

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