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A Prato apre Koto-Lab. Ecco cosa si mangerà nel nuovo ramen bar con laboratorio di ricerca

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Il team di Koto Ramen, dopo aver conquistato Firenze, cresce e raddoppia a Prato, con una nuova sfida: non più solo ramen bar, ma centro di sperimentazione all’insegna della contaminazione tra Giappone e Italia. Alla guida della cucina c’è sempre Shoji Minamihara. Si inaugura il 7 aprile, ecco il menu d’esordio. 

Il laboratorio dei ramen

Una cucina dove la tradizione giapponese e quella italiana si incontrano, un laboratorio di sperimentazione votato alla ricerca sul prodotto e alla formazione, un ramen bar quanto più autentico possibile a migliaia di chilometri di distanza da dove la cultura del ramen è nata. Nell’ordine Koto-Lab è tutto questo. Ma pure mescolando gli addendi il risultato non cambia, perché l’insegna che si appresta a inaugurare in via Valentini a Prato segna il secondo step di un percorso che poco più di un anno fa si avviava a Firenze per testare la risposta della città ai ramen e alla cucina giapponese, con l’idea di trasformare il locale di via Verdi – non distante da Santa Croce – in un rifugio gastronomico (e culturale) di qualità. A distanza di un anno, in molte città d’Italia, è tutto un fiorire di ramen bar, segno che l’ennesima tendenza ha fatto breccia nei costumi alimentari di chi sceglie di mangiare fuori casa, concedendosi una parentesi “esotica”.

E il team di Koto Ramen, forte del bagno di folla raccolto nel capoluogo toscano, ingrandisce l’impresa alzando la posta in gioco: non più solo spazio destinato all’ospitalità all’insegna del cibo di qualità a prezzi accessibili, ma centro di ricerca che alimenti il progetto, garantendo, se possibile, un ulteriore salto di qualità della proposta gastronomica.

Koto-Lab inaugura. Orari, prenotazioni e menu

Della grande cucina-laboratorio che i ragazzi avranno a disposizione a Prato avevamo parlato anticipandone l’apertura qualche mese fa. E così anche dell’impegno rinnovato per Shoji Minamihara, lo chef giapponese con 15 anni di esperienza nelle cucine italiane che resta alla guida della brigata e dai prossimi giorni sarà pure coordinatore dei nuovi cuochi coinvolti nel centro di formazione. Nel frattempo, poche settimane fa, Koto-Lab ha esordito a porte chiuse, rivelando agli ospiti della prima una impostazione già molto convincente. E finalmente da venerdì 7 aprile, con qualche settimana di ritardo sui tempi previsti, tutti potranno averne conferma: l’ex azienda di tessuti trasformata in ramen bar ospiterà 30 posti a sedere, proponendo al pubblico i piatti classici di Koto oltre alle creazioni sviluppate in laboratorio, prima che entrino nel menu fiorentino.

Il locale sarà aperto solo a cena, dalle 19 alle 23 in tre turni (19, 20.15, 21.30), prenotabili online dalle 8 alle 18 del giorno stesso. Un accorgimento che si è reso indispensabile per far fronte al gran numero di richieste che ci si aspetta. Noi, intanto, vi sveliamo il menu d’esordio che tra qualche giorno segnerà l’inizio dell’avventura Koto-Lab: 5 le varianti di ramen tra cui scegliere, dallo Shoyu tradizionale al più elaborato Paitan ramen con anatra, e diversi antipasti in stile giapponese (che già caratterizzavano la carta di Koto ramen) per cominciare.

Tapas Giapponesi

Edamame e bottarga

Tofu alle mandorle e sesamo nero

Gyoza classici

Gyoza integrali vegetariani

Vongole nel sakè

Kara Aghe

 

Ramen

Shoyu Ramen

Miso Ramen

Tan Tan Ramen

Shio Ramen vegetariano

Paitan Ramen con anatra

 

Dolci

Matchamisù

Panna cotta al basilico

 

Koto-Lab | Prato | via Valentini, 102 | dal 7 aprile, dalle 19 a chiusura. Chiuso il lunedì | www.kotoramen.it

 

a cura di Livia Montagnoli

Foto di Martino Dini

 


Gasdotto Tap e la strumentalizzazione degli ulivi in Puglia: il patrimonio agricolo italiano non è un ostacolo allo sviluppo economico

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È necessario l'espianto temporaneo di 211 ulivi secolari in Salento, nella provincia di Lecce, per realizzare un progetto iniziato lo scorso anno che si propone di portare miliardi di metri cubi all'anno di gas naturale dalla frontiera greco-turca all'Italia. È il Gasdotto Trans-Adriatico, iniziativa che ha incendiato gli animi di ambientalisti e agricoltori pugliesi. Perché gli ulivi non sono un ostacolo, ma un patrimonio da tutelare. Ma prima del Tap chi si è mobilitato per il territorio pugliese?

Il Tap

878 chilometri di lunghezza per un'altitudine massima di 1800 metri tra i rilievi albanesi e una profondità massima di 820 metri sotto l'Adriatico: sono queste le misure del Tap (Trans-Adriatic Pipeline), Gasdotto Trans-Adriatico che dalla frontiera greco-turca attraverserà Grecia e Albania per approdare in Italia, nella provincia di Lecce permettendo l'afflusso di gas naturale proveniente dall'area del Mar Caspio (Azerbaigian) in Italia e in Europa. Un progetto con sede a Baar, in Svizzera, nato per iniziativa della Elektrizitäts-Gesellschaft Laufenburg (EGL), ora denominata Axpo, società attiva soprattutto nel trading di elettricità, gas e prodotti finanziari energetici; un'iniziativa che si propone di portare circa 10 miliardi di metri cubi all'anno di gas naturale, una quantità pari a quella utile per coprire il fabbisogno di 7 milioni di famiglie. Ad approvare il progetto, l'ex Ministro dello Sviluppo Economico Federica Guidi, che il 20 maggio 2015 ha firmato il Decreto di Compatibilità Ambientale di Autorizzazione Unica, abilitando la costruzione e l'esercizio dell'opera, iniziato lo scorso maggio 2016.

L'espianto e il re-impianto degli ulivi

211. È il numero degli ulivi secolari pugliesi che devono essere temporaneamente espiantati per la costruzione del piccolo tratto italiano del gasdotto, per essere poi ripiantati nello stesso posto a lavori ultimati. 60 milioni sono gli alberi (circa 300mila quelli definibili secolari) che caratterizzano il paesaggio della regione che, da sola insieme all'Andalusia, rappresenta il 33% della produzione olivicola mondiale. Stiamo parlando neppure dello 0,1% del patrimonio regionale. Su questo si svolgono scontri, isterismi e battaglie politiche. Per carità, una ricchezza inestimabile che porta con sé millenni di storia, cultura, civiltà e tradizioni va presa sempre sul serio, anche si dovesse parlare di una sola pianta. Specie se ci sono rischi. Ma ci sono?

Abbiamo cercato di capire se è possibile re-impiantare gli alberi senza deteriorare l'eco-sistema del territorio e la pianta stessa. “Se viene conservato con cura, l'ulivo non subisce grandi danni”, spiega il professore di Scienze e Tecnologie Alimentari all'Università degli Studi di Perugia Maurizio Servili. “Occorre tenere bene inumidite le radici ma quella del re-impianto è ormai una tecnica assodata. Potrebbe esserci una piccola crisi dovuta al trapianto per il primo anno e mezzo, ma la produzione poi – prese le dovute accortezze necessarie alla cura dell'albero, dalla potatura al trasporto – ripartirebbe normalmente”. E continua: “Le vere emergenze dell'uliveto Puglia sono ben altre e le conosciamo tutti”.

La vendita di ulivi: il silenzio che va avanti da anni

Le conoscono anche i politici, manifestanti, poliziotti, attivisti coinvolti nelle proteste? Il patrimonio agroalimentare pugliese e nazionale viene strumentalizzato già da tempo: quello del Tap non è certo il primo episodio che vede le nostre piante minacciate da decisioni di governi e amministrazioni locali. Da anni, migliaia e migliaia di ulivi secolari vengono espiantati ed esportati verso le ville del resto d’Italia, dove sono utilizzati come ornamento, elemento di arredo a scopo puramente estetico. Pagati minimo 4-5mila euro l'uno, a discapito della produttività regionale. “Quante piante dalla Puglia sono partite per il Nord Italia?”, continua Servili. E aggiunge: “E quante invece si stanno seccando? Quante sono stati uccise dalla Xylella?”. Un esempio su cui riflettere che invita a ragionare sul silenzio che da anni oscura la vendita di ulivi specie in Lombardia e nel Nord Italia. Perché abbiamo dovuto attendere il Tap per prendere coscienza della rimozione di centinaia di piante? Perché gridare allo scandalo solamente ora? Perché il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano, gli attivisti o i ministri non si sono mobilitati prima contro lo sradicamento degli ulivi? “Se qualcuno avrà sradicato o avrà abbattuto un olivo, sia di proprietà dello Stato sia di proprietà privata, sarà giudicato dal Tribunale, e se sarà riconosciuto colpevole verrà punito con la pena di morte.” (Aristotele, Costituzione degli Ateniesi, 330-322 a. C.). Risale a secoli fa questa norma del regime politico dell'antica Atene pensata dal filosofo Aristotele e oggi più che mai attuale. Ma se l'eradicazione delle piante è una pratica da eliminare, o quantomeno contenere e svolgere secondo parametri rigorosi da agronomi competenti, allora deve essere denunciata sempre, non solo quando fa comodo per strumentalizzare masse inconsapevoli.

Le proteste: i No Tap e le risposte dei politici

Le proteste anti-Tap in Salento non sono mancate. Venerdì sera (31 marzo 2017) due bombe carta sono esplose a Lecce, in piazza Carmelo Bene, vicino all’Hotel Tiziano nel quale alloggiano in questi giorni i poliziotti impegnati nelle operazioni di ordine pubblico al cantiere di San Foca, località costiera del Salento, parte della marina di Melendugno. Si chiamano No Tap e sono l'ultima forma di attivisti nata per difendere il patrimonio ambientale salentino. Il gasdotto transita per centinaia di chilometri in molti altri paesi, ma solo gli 8 km italiani stanno generando proteste. Sassi dei manifestanti e manganelli della polizia: questa la scena che si è consumata negli ultimi giorni di fronte ai cantieri e che ha coinvolto oltre 300 protestanti, con 8 feriti (nessuno in maniera grave) fra agenti e attivisti. In risposta,Emiliano ha commentato: “Il Governo dà la misura della sua incapacità di ascoltare e elaborare politicamente le richieste di una regione intera che ha nel suo programma di governo, elaborato dal basso e votato da centinaia di migliaia di pugliesi, lo spostamento dell’approdo del Tap in un’altra area”. E ha aggiunto: “La battaglia del Tap è diventata per il Governo un simbolo della sua volontà di non dare alcun peso al parere delle popolazioni residenti che devono ricevere grandi opere pubbliche ad alto impatto ambientale”. Ma il Decreto di Compatibilità Ambientale era già stato firmato, come ricorda il Ministro dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare Gian Luca Galletti: "La commissione Via, organismo di valutazione indipendente dal ministero e da ogni indirizzo politico, ha prima valutato per mesi con il massimo rigore scientifico e poi dato parere favorevole con prescrizioni al progetto Tap: ciò significa che questo, ottemperate le prescrizioni della Via , rispetta in pieno le normative a tutela dell'ambiente".

I dubbi, la mancanza di chiarezza, la strumentalizzazione del patrimonio agricolo

Tanti gli interrogativi e i dubbi sul progetto. Sull'attuale tracciato (chi lo ha deciso?), sui finanziamenti pubblici europei (perché sono stati incamerati da una società-veicolo con azionisti svizzeri?) e sui privati (perché sono le aziende private a progettare dove, come e con chi costruire una grande opera tanto costosa?). E soprattutto: “È davvero necessario far passare miliardi di metri cubi di gas tra spiagge meravigliose e oliveti secolari, anziché dirottare i maxi-tubi in zone già industrializzate, che si potrebbero disinquinare con una minima parte dei fondi del Tap?”. Queste e altre criticità sono state analizzate sul numero attualmente in edicola de L’Espressoin un'inchiesta approfondita, mirata a fare luce sulle personalità coinvolte. Un'iniziativa che – non dobbiamo dimenticarlo – porterà nelle casse del comune di Malendugno circa 3 milioni di euro durante gli anni dei lavori che, se gestiti con intelligenza, potranno contribuire a migliorare l’infrastrutturazione fisica e digitale del territorio. Ma che certamente porta con sé perplessità, domande, critiche. Una sola la certezza: far passare il nostro straordinario patrimonio agroalimentare come un elemento di ostacolo allo sviluppo economico del territorio è quanto di più sbagliato si possa immaginare come strategia. Ogni protesta è utile per aumentare consapevolezza e attenzione su una questione, ma quando si travalica nella strumentalizzazione o addirittura nella violenza si ottiene esattamente il risultato opposto. Danneggiando ciò che si pretende di tutelare.

Pasqua in Francia. Gigot d’agneau, osterlammele, tourteau fromager

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L'agnello è il simbolo per antonomasia della Pasqua cristiana, in ricordo del sacrificio di Cristo. In Francia, le ricette di festa più tradizionali, sia nella versione dolce che salata, sono fortemente legate a questo simbolo. Ecco le tre specialità tipiche del Paese.

Pasqua in Francia

Le campane francesi smettono di suonare dal giovedì fino al sabato mattina della Settimana Santa: un religioso silenzio per rispettare il dolore della crocifissione di Cristo. È questa la tradizione più antica e popolare del Paese che, come tutte le nazioni di cultura cattolico, sente fortemente la Pasqua, festività carica di simbologie e significati complessi. Che, come in tutti i paesi neo-latini, si accompagnano a diverse tradizioni gastronomiche. Oltre alle uova di cioccolato – che come abbiamo visto sono comuni a quasi tutti i paesi – nella zona sud della Francia, a Haux per la precisione, ogni anno il lunedì di Pasquetta viene servita nella piazza principale della città una frittata gigante, realizzata con oltre 4500 uova. La storia di questo rituale è incerta, ma secondo una delle ipotesi più accreditate sembra che l'insolita usanza sia legata a Napoleone che, di ritorno dalla guerra, riuscì così a sfamare con pochi ingredienti tutti i suoi soldati. E si fa, inoltre, ricollegare al significato simbolico delle uova, emblema di benessere, rinascita e vita eterna.

Nella terra di alcuni dei più grandi mâitre chocolatier del mondo, non possono mancare le creazioni di cioccolato: oltre alle uova, anche agnelli e praline, ma la forma più tipica di questo periodo dell'anno è il pesciolino di cioccolato, solitamente preparato in occasione della Pasqua e poi ancora per il Poisson d'Avril, Pesce d'Aprile.

 

Poisson d'Avril

 

Usanze e consumi a parte, le ricette principali della domenica di Pasqua sono tre, e tutte golose.

L'agnello nella simbologia cristiana: il cosciotto arrosto con le erbe

Piatto indiscusso della tavola, l'agnello è la carne simbolo della Pasqua. La ricetta tipica francese è quella del gigot d'agneau, cosciotto d'agnello arrosto solitamente condito con le erbe di Provenza, un mix di erbe aromatiche essiccate che si è iniziato a diffondere a Sud del Paese all'inizio degli anni '70, a base di timo, rosmarino, basilico, finocchio, salvia, maggiorana, menta, origano, e santoreggia. Ad accompagnare la carne, asparagi – i primi della stagione - scottati in padella e insaporiti da una vinaigrette, salsa tipica della cucina d'oltralpe a base di olio, aceto e sale. Un piatto che, come la maggior parte delle ricette tradizionali, varia di paese in paese e che può essere accompagnato da diversi ingredienti e verdure di stagione, a seconda della presenza o meno delle primizie primaverili.

 

Gigot d'agneau

Una carne diffusa in tutte le culture di tradizione cattolica, quella dell'agnello, impiegata per simboleggiare il sacrificio di Gesù e celebrare la sua resurrezione. Ma la figura dell'agnello è da sempre carica di significati simbolici, e se ne trova traccia già nell'Antico Testamento: “Ciascuno si procuri un agnello per famiglia, un agnello per casa”, queste le parole di Dio a Mosè e Aronne nel libro dell'Esodo. “In quella notte ne mangeranno la carne arrostita al fuoco; la mangeranno con azzimi e con erbe amare. Non lo mangerete crudo, né bollito nell’acqua, ma solo arrostito al fuoco con la testa, le gambe e le viscere”. Cottura arrosto ed erbe, sono queste le basi della preparazione dell'agnello nella maggior parte dei paesi cattolici, Francia inclusa.

Osterlammele, gli agnelli in versione dolce

E l'agnello è un simbolo talmente forte nella religione cristiana da essere riprodotto, in Francia, anche in versione dolce. Due le specialità che si richiamano a questo emblema: i biscotti di pasta frolla a forma di agnello e un dolce soffice, chiamato osterlammele, o semplicemente lammele (letteralmente, “piccolo agnello”), molto simile al nostro pan di Spagna. In un certo senso ricordano i nostri agnelli di pasta di mandorle, diffusi soprattutto nel Sud Italia. L'impasto ricorda quello del gâteau de Savoie, torta soffice e leggera tipica di Chambéry, capoluogo della Savoia, a base di albumi e zucchero. Gli osterlamelle son originari dell'Alsazia e vengono cotti in stampi di terracotta invetriata, prodotti nelle fabbriche di Soufflenheim, a Nord dell’Alsazia, paese vocato da secoli alla produzione ceramica. La tradizione vuole che ogni bambino e adulto, al ritorno dalla messa della domenica di Pasqua, abbia il suo personale lammele che, oltre a simboleggiare il sacrificio di Cristo, rappresenta anche una soluzione efficace per utilizzare tutte le uova avanzate durante il periodo di digiuno quaresimale.

 

Agnello dolce

Tourteau fromager, la torta dalla crosta bruciata

La tourte au fromager è un dolce a base di formaggio di capra dall'impasto alto e soffice, senza lievito. Sono molte le città francesiche rivendicano la loro paternità su questa ricetta - Sepvret, Saint-Romans-lès-Melle, Leza, La Mothe-Saint-Hérayo Brioux-sur-Boutonne– ma l'origine di questa specialità è della storica provincia Poitou, nella parte occidentale della Francia. La torta rappresenta un simbolo di buon augurio e ringraziamento, tanto da essere usata spesso, in passato, come regalo di nozze. In ogni caso, questo dolce veniva consumato solo in occasioni speciali, Pasqua in primis, per festeggiare la ricorrenza religiosa ma soprattutto l'arrivo della primavera.

Si tratta di una base di pasta brisée ripiena di formaggio di capra zuccherato e uova, cotta senza l'aggiunta di lievito: questa la versione canonica della tourteau fromager, che viene preparata in una pentola di terracotta dal fondo arrotondato.

Si narra che la nascita di questa torta fu casuale. Si deve a un cuoco del diciannovesimo secolo che mise l’impasto del dolce in un forno molto caldo dove cuoceva del pane. La torta raddoppiò di volume e si bruciò in superficie. Una volta tolta dal forno e tagliata, però, il cuoco scoprì che la torta era perfettamente cotta all'interno, senza alcun sentore di bruciato. La particolarità di questa specialità sta infatti nella crosta, che forma sopra al dolce una sorta di cupola scura, volutamente bruciata, che nasconde al suo interno una pasta molto soffice e chiara, di un leggero giallo paglierino. La crosta rigida permette all'impasto – che non contiene alcun lievito – di non collassare una volta tolto dal forno.

a cura di Michela Becchi

Leggi anche Pasqua nel Regno Unito: hot cross buns e simnel cake

Leggi anche Pasqua in Spagna: sopa de ajo, torrijas, monas

Anteprima Oli d'Italia 2017. Nord: ecco gli extravergine premiati

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Ultima tranche delle etichette al top nella guida Oli d’Italia 2017 del Gambero Rosso: sono gli oli extravergine di oliva del Nord. La guida viene presentata il 10 aprile prossimo al Sol di Verona.

Presentando le anticipazioni delle Tre Foglie e delle Due Foglie Rosse assegnate al Nord Italia, pubblichiamo anche un articolo di Paolo Cuccia, presidente di Gambero Rosso spa, che affronta il tema dell’importanza dell’olio di oliva nella ristorazione italiana, in Italia e all’estero: l’extravergine è un segno identificativo e distintivo di chi punta al made in Italy di qualità.

 

Il carrello dell’olio, bandiera tricolore

Confesso una forte passione per l'olio. Questo meraviglioso prodotto naturale che la maestria degli uomini ci dona ha infatti la capacità di arricchire un ingrediente semplice e di trasformare un piatto complesso. Per questi motivi sono particolarmente affezionato alla Guida che è stata la prima novità della mia gestione. L'impegno del Gambero, e il mio personale, però non si fermano qui, infatti aiutato dall'ottimo Stefano Polacchi, cultore della materia, e da tutte le redazioni abbiamo deciso di lanciare la sfida della carta degli Oli. Chi altro poteva fare altrettanto? Temo solo chi come noi è stato il primo gruppo editoriale a realizzare una guida tradotta anche in inglese e che mette sul tavolo la credibilità di innumerevoli guide di prodotto e dei più vari segmenti della ristorazione di qualità italiana.

 

Poche etichette per distinguersi

In questa guida ai migliori Oli d’Italia in cui recensiamo centinaia di etichette eccellenti e descriviamo le miglior aziende agricole olivicole, ci sono i più importanti marchi dell’olio artigianale di alta qualità. Basterebbero solo alcune – 4 o 5 – di queste etichette proposte insieme al menu per fare la differenza in un ristorante e anche in una trattoria. Ci sono professionisti della ristorazione che lo fanno, che da tempo offrono ai loro ospiti una rassegna di oli extravergine da degustare in diversi modi: sull’insalata, sulle patate o più semplicemente sul pane (non necessariamente tostato e rigorosamente senza sale). Quando si entra in un ristorante francese o in un bistrot non vi aspettate il piattino di burro (spesso strepitoso!) con tanto di coltellino ad hoc con cui tagliarne una fettina e spalmarla (o adagiarla) su una fetta di buon pane? E perché in Italia non accade una cosa simile con i grandissimi oli di oliva che abbiamo e di cui si possono vantare e raccontare pregi e storie che si trovano magari a pochi chilometri dal ristorante o dalla trattoria?

 

Piccolo investimento, grande ritorno

L’investimento in termini di budget sarebbe pressoché insignificante con un altissimo risultato dal punto di vista culturale e di immagine da parte del ristoratore. Con un gradimento assicurato dei clienti.

Un ragionamento, questo, che non vale solo per l’Italia: tanto più i nostri ristoratori all’estero dovrebbero (e in diversi già lo fanno) sventolare sui propri tavoli la bandiera dell’olio extravergine di oliva italiano. Una carta di identità, un segno di riconoscimento forte quanto quelli del vino e della pasta. Basta l’assaggio di uno solo di questi grandi oli perché l’emozione che ci fa provare rimanga indelebile. Anche così l’Italia della biodiversità e della qualità può vincere nel mondo.

 

a cura di Paolo Cuccia

 

 

TRE FOGLIE | NORD

 

 

Liguria

 

 

Extremum Cru Monocultivar Taggiasca | Paolo Cassini | Isolabona (IM) | www.oliocassini.it

 

Monocultivar Razzola | Belfiore | Castelnuovo Magra (SP) | www.agricolabelfiore.it

 

Pria Grossa Monocultivar Colombaia | Domenico Ruffino | Finale Ligure (SV)

 

Tumai Monocultivar Taggiasca | Olio Anfosso | Chiusavecchia (IM) | www.olioanfosso.it

 

 

Lombardia

 

 

Monocultivar Casaliva | Comincioli | Puegnago sul Garda (BS) | www.comincioli.it

 

Monocultivar Leccino Denocciolato | Comincioli | Puegnago sul Garda (BS) | www.comincioli.it

 

Nepos Monocultivar Sbresa | Maurizio Ribola| Monte Isola (BS)

www.oliomonteisola.it

 

Roncaccio Dop Laghi Lombardi | Olio Gaiatto | Perledo (LC) | www.oliogaiatto.com

 

Selezione Monocultivar Casaliva | Casa del Tempo Ritrovato | Toscolano Maderno (BS) | www.casadeltemporitrovato.com

 

Supremo Special Blend | Figini | Olginate (LC) | www.oliosupremo.it

 

 

Trentino Alto Adige

 

 

46° Parallelo Monocultivar Casaliva | Frantoio Di Riva | Riva del Garda (TN) | www.agririva.it

 

Lab | OlioCRU | Arco (TN)  www.oliocru.it

 

 

Veneto

 

 

Dop Garda Orientale | Paolo Bonomelli Boutique Olive Farm | Torri del Benaco (VR) | www.paolobonomelli.com

 

Dop Garda Orientale Monocultivar Drizzar | Paolo Bonomelli Boutique Olive Farm | Torri del Benaco (VR)| www.paolobonomelli.com

 

Dop Veneto Valpolicella | Frantoio Bonamini | Illasi (VR)| www.oliobonamini.com

 

Dop Veneto Valpolicella Monocultivar Grignano | Montenigo | Verona | www.agricolamontenigo.it

 

La Passione per l'Olio Dop Veneto Valpolicella | Monica Vaccarella | Verona | www.vaccarellamonica.it

 

Monocultivar Grignano | Frantoio di Cornoleda | Cinto Euganeo (PD) | www.frantoiodicornoleda.com

 

Monocultivar Grignano | Sisure | Mezzane di Sotto (VR) | www.sisure.it

 

Olio Extravergine di Oliva | Erminio Cordioli | Verona | www.oliodiolivacordioli.it

 

Olio Extravergine di Oliva | Agostino Vicentini | Colognola ai Colli (VR) | www.vinivicentini.com

 

 

Emilia Romagna

 

 

I Calanchi Dop Brisighella Monocultivar Nostrana di Brisighella | Cantine Intesa | Modigliana (FC) | www.cantineintesa.it

 

Metodo Monocultivar Nostrana di Brisighella Bio | Donna Livia | Brisighella (RA) | www.donnalivia.it

 

Podere Pratale Monocultivar Nostrana di Brisighella | Giovanni Bettini | Imola (BO) | bettinig@fastwebnet.it

 

Selezione Alina Monocultivar Nostrana di Brisighella | Tenuta Pennita | Castrocaro Terme e Terra del Sole (FC) | www.lapennita.it

 

Valdoleto Monocultivar Ghiacciola | Tenuta Pennita | Castrocaro Terme e Terra del Sole (FC) | www.lapennita.it

 

 

DUE FOGLIE ROSSE | NORD

 

 

Piemonte

 

Robur | Piero Veglio | Moncalvo (AT) | www.olioveglio.it

 

 

Liguria

 

 

Monocultivar Lantesca | Belfiore | Castelnuovo Magra (SP) | www.agricolabelfiore.it

 

Monocultivar Prempesa | Belfiore | Castelnuovo Magra (SP) | www.agricolabelfiore.it

 

Mortedo | Zangani | Santo Stefano di Magra (SP)  www.zangani.it

 

S'ciappau Gran Cru Monocultivar Taggiasca | Paolo Cassini | Isolabona (IM) | www.oliocassini.it

 

S'ciappau Monocultivar Taggiasca | Paolo Cassini | Isolabona (IM)| www.oliocassini.it

 

 

Lombardia

 

 

Casaliva Plus | La Zadruga | Toscolano Maderno (BS) | www.lazadruga.it

 

Corona del Monte Barro Dop Laghi Lombardi Lario | Tentori | Galbiate (LC) | tentori@tiscali.it

 

Dop Laghi Lombardi - Lario | Stefania Mattarelli | Perledo (LC) | stefaniamattarelli@virgilio.it

 

Monocultivar Frantoio | Figini | Olginate (LC) | www.oliosupremo.it

 

Numero Uno | Comincioli Puegnago sul Garda (BS) | www.comincioli.it

 

Olio Extravergine di Oliva | Valerio Giacomini | Gargnano (BS) | www.oliogiacomini.com

 

Tondello Dop Laghi Lombardi | Olio Gaiatto | Perledo (LC) | www.oliogaiatto.com

 

 

Trentino

 

Origini Monocultivar Casaliva | Olio CRU | Arco (TN) | www.oliocru.it

 

Ulìva Dop Garda Trentino Monocultivar Casaliva | Frantoio Di Riva | Riva del Garda (TN) | www.agririva.it

 

 

Veneto

 

 

Campo delle Marogne| Erminio Cordioli | Verona | www.oliodiolivacordioli.it

 

Dop Veneto Valpolicella | Redoro | Grezzana (VR) | www.redoro.it

 

Terravegra Dop Colli Euganei e Berici | Frantoio di Cornoleda| Cinto Euganeo (PD) | www.frantoiodicornoleda.com

 

Trefort | Paolo Bonomelli Boutique Olive Farm | Torri del Benaco (VR) | www.paolobonomelli.com

 

Un'Opera Dop Veneto Valpolicella | Tenuta Pojana | Cazzano di Tramigna (VR) | www.tenutapojana.it

 

 

Emilia Romagna

 

Poggio al Monte | Tenuta Pennita | Castrocaro Terme e Terra del Sole | www.lapennita.it

 

 

Per leggere Anteprima Oli d'Italia 2017. Sud&Isole: ecco gli extravergine premiati clicca qui

Per leggere Anteprima Oli d'Italia 2017. Centro: ecco gli extravergine premiati clicca qui

Fuorisalone 2017 a Milano. Gli ultimi suggerimenti per non perdere gli appuntamenti più golosi

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Ultima puntata della rassegna alle iniziative gourmet selezionate tra gli oltre mille eventi previsti in città per la Settimana del Design. In scena grandi chef e tanto street food. 

Quando ormai gli eventi registrati in vista del Fuorisalone 2017 che inaugura tra qualche ora a Milano sono saliti a sfiorare le 1500 valide alternative per sentirsi parte della grande festa del design che si protrarrà dal 4 al 9 aprile in tutta la città, ci concediamo un'ultima rassegna degli appuntamenti più golosi e curiosi da scovare tra distretti di tendenza, food hall estemporanee e nuovi centri di aggregazione. E alla vigilia del taglio del nastro abbandoniamo la perlustrazione ordinata per quadranti e quartieri della città, scompaginando le carte con una lista di suggerimenti dell'ultim'ora in ordine sparso. Ce n'è per tutti i gusti.

 

Marco Sacco al Fuorisalone: La partecipazione alla Settimana del Design dello chef del Piccolo Lago di Verbania è tutta all'insegna dell'uovo, che negli anni ha ispirato molti dei suoi piatti, come la carbonara ou koque, l'uovo al tegamino con bagna cauda e banana, la frittata di cipolla in chiave gourmet. Due gli appuntamenti in programma: alla Statale di Milano, nell'ambito della rassegna Interni, presenterà per la serie Ego Library una testimonianza sull'uovo tratta dal libro sul Piccolo Lago; mentre il 6 aprile (alle 19.30) la carbonara ou koque, con tajarin piemontese e prosciutto della Val Vigezzo, sarà protagonista della cooking class al Chiostro della Chiesa di San Marco, zona Brera.

Piazza San Marco, 2 | il 6 aprile, alle 19.30

 

Berberè, la pizza e il circolo: Dal 7 al 9 aprile, nel cuore di Isola, la corte interna dell'ex Circolo Sassetti ospiterà la festa della pizza di Berberè nell'atmosfera di una balera degli anni Cinquanta, tra campo di bocce e musica in vinile. Dalle 12.30 alle 23.

Via Sebenico, 21 | dal 7 al 9 aprile, dalle 12.30 alle 23

 

Da Panino al Superstudio Più: Al Roof garden Terzo Paradiso di via Tortona 27, dal 4 al 9 aprile, si mangiano Tortellini alla superpanna, pane di Matera condito, salumi, formaggi e sott'olio e i panini d'autore di Beppe Palmieri&Co.: Formaggio fuso alla piastra, nocciole e funghi cardoncelli, Pesto ligure, uova sode e bufalina affumicata, Salsiccia di maiale alla griglia, peperoni dolci sott'olio e salsa barbecue truccata. Dalle 10 alle 21, aspettando l'inaugurazione di Panino Milano prevista per il mese di maggio.

Via Tortona, 27 | dal 4 al 9 aprile, dalle 10 alle 21

 

Lo street food di Enrico Bartolini all'Opificio 31: Il Fuorisalone 2017 segna l'esordio dell'ennesimo progetto dello chef del Mudec, davvero in un momento d'oro della sua carriera. L'idea è stata ribattezzata Bartolini Street Gourmet, sotto la supervisione di Milano Space Makers, e proporrà specialità street food d'autore all'Opificio 31 di via Tortona, dalla parmigiana di melanzane al vitello tonnato, ai bomboloni alla crema.

Via Tortona, 31 | dal 4 al 9 aprile

 

Brianza che nutre a Lambrate: Ospite dello spazio Din- Design In, il food truck firmato da Alberto Casiraghy (un Bedford vintage anni '70 decorato a mano) proporrà le specialità degli chef del consorzio brianzolo, con piatti della tradizione del territorio rivisitati in chiave street, dai mondeghili alla cassoeula con polenta.

Via Massimiano, 6 | dal 4 al 9 aprile, dalle 10 alle 21.30

 

EastRiver: Nel giardino di un'ex carrozzeria in zona Ventura Centrale, dove i binari incontrano il canale, dalle 11 alle 22 per tutta la settimana va in scena il Community Design Garden, con installazioni, outdoor design, spazio lettura, area relax e molte proposte di street food.

Via Jean Jaures, 22 | dal 4 al 9 aprile, dalle 11 alle 22

 

Market for All: In collaborazione con gli studenti della Naba, l'iniziativa ideata da T 12 Lab utilizza materiali di riuso e scarti della produzione industriale per realizzare oggetti non convenzionali per degustare il cibo. L'evento prenderà forma il 6 aprile all'interno del Mercato Comunale di via Monza, con la partecipazione del designer Diego Garcia.

Viale Monza,54 | il 6 aprile, dalle 18 alle 23.30 | www.t12-lab.it

 

Il menu design di Babek: L'insegna di via del Torchio che ha reinventato il kebab in versione gourmet propone per tutta la settimana un menu speciale a 15 euro: BabeK Biancoun kebab a base di pane arabo con pollo ruspante Bio, insalata di cavolo cappuccio viola e mele, pancetta alla piastra e yogurt, servito in abbinamento a una porzione di Arancine sbagliate e Birra Lurisia.

Via del Torchio, 3 | www.babekmilano.it

 

Capperi...Che pizza: Inaugura il 4 aprile il nuovo progetto dedicato alla pizza gourmet della famiglia Acciaio, che dal Vesuvio porta a Milano i prodotti di qualità a marchio L'Orto di Lucullo e i Sapori di Corbara, che finiscono sulle pizze del locale di piazza Santa Maria di Suffragio, aperto al pubblico dal 5 aprile. In vista di Salerno e Lugano, dove il brand replicherà nelle prossime settimane.

Piazza Santa Maria del Suffragio, 3 | dal 5 aprile | www.capperichepizza.com

 

Belvedere Garden: Torna a Palazzo Borromeo D'Adda il lounge bar pop up di Belvedere Vodka, allestito per l'occasione dal floral designer Thierry Boutemy, tra segale, erbe aromatiche, agrumi e cetrioli. Aperto dalle 12 alle 22, si beve e si mangia.

Palazzo Borromeo D'Adda, via Manzoni, 41 | dal 4 al 9 aprile, dalle 12 alle 22

 

Snitch Design Market: Va in scena al The Room di via Giulio Romano il mercato del design nomade e fuori dalle regole, che ospiterà pure show cooking, aperitivi, brunch e street food, dal 4 al 9 aprile, dalle 12. Ingresso libero.

Via Giulio Romano, 8 | dal 4 al 9 aprile, dalle 12 | tel. 02 58319839

 

A letto con il design: Originale l'idea del Politecnico di Milano, che nel distretto di Bovisa darà vita al primo ostello temporaneo per designer. Il Design Hostel nascerà all'ultimo piano di un'ex fabbrica e ospiterà mostre, eventi, talk e workshop. Ogni giorno dalle 19 alle 24 l'Aperitivo con il Design aperto al pubblico.

Via Cosenz 44/4 | dal 4 al 9 aprile, dalle 10.30 alle 00.30

 

Gli appuntamenti di Ventura Lambrate e Isola

Gli appuntamenti di Parco Sempione e Sant'Ambrogio

Gli appuntamenti di Porta Venezia e 5Vie

Gli appuntamenti di Tortona, Navigli e MuVac

 

a cura di Livia Montagnoli

Coltiviamo talenti. Giovani chef, sperimentazione e pomodori per il premio di LSDM

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Il congresso gastronomico che quest'anno celebra il suo decimo compleanno e tra pochi giorni aprirà una nuova edizione a Paestum, dove tutto è cominciato, si fa promotore di un concorso che vuole premiare i giovani chef più intraprendenti. Quelli che sapranno cimentarsi con l'innovazione in cucina, applicata a un pomodoro.

Il pomodoro in cucina

Il pomodoro e la ricerca gastronomica. Il pomodoro al cuore della sperimentazione dei giovani talenti, gli chef decisi a competere per aggiudicarsi la vittoria nel contest che premia l'innovazione in cucina. È l'ultima idea di LSDM, che in collaborazione con Così Com'è (che sulla coltivazione del pomodoro ha fondato un marchio di qualità, da raccolta rigorosamente manuale) e con il blog di Luciano Pignataro indice la prima edizione del premio Coltiviamo talenti. Alla competizione, nel rispetto del tema Innovazione in cucina, potranno partecipare gli chef professionisti che vorranno elaborare una ricetta che preveda l'utilizzo di una delle varietà di pomodoro a marchio Così Com'è – datterino giallo o rosso in più varianti, al naturale, in succo, all'acqua di mare o in doppio concentrato - e l'applicazione di tecniche innovative che ne valorizzino le qualità. Le candidature dovranno pervenire via email entro il 15 aprile 2017, corredate di breve presentazione del percorso professionale e idea di massima sulla tecnica che si intende utilizzare.

 

Il premio ai giovani talenti

Poi, una prima selezione porterà il numero dei partecipanti ammessi a 20 chef, di età non superiore ai 35 anni, che entro il 10 maggio dovranno presentare un massimo di due ricette corredate di foto. Seguirà la pubblicazione online su Mysocialrecipe (oltre che sul sito di Lsdm, Così Com'è e sul blog di Luciano Pignataro), così da renderle fruibili al pubblico web. Ma spetterà alla giuria di qualità composta da Allan Bay, Luciano Pignataro e Francesca Romana Barberini valutare i piatti tenendo conto dello studio fatto sul pomodoro, della chiarezza nell'esporre la ricetta e dell'abbinamento con gli altri prodotti. Quattro le ricette finaliste che accederanno alla serata prevista per la prima settimana di giugno presso la Sala del gusto di Finagricola, dove andrà in scena l'ultima selezione: il vincitore volerà a New York il 28 e 29 giugno tra i relatori di LSDM New York. Mentre un premio speciale sarà destinato a chi tra i 20 otterrà il maggior numero di like sulla pagina Facebook della manifestazione.

 

Il futuro della cucina italiana a Paestum

Del resto, quest'anno, accanto a grandi nomi internazionali che animeranno la due giorni di LSDM Paestum dedicata a Qualità e Quantità (come conciliarle nella ristorazione d'autore? In Italia è possibile fare grandi numeri col fine dining e mantenere la bussola della sostenibilità economica?), il congresso gastronomico ideato da Barbara Guerra e Albert Sapere ha scelto di celebrare il suo decimo compleanno chiamando sul palco anche molti giovani che rappresentano il futuro della cucina italiana, da Marco Ambrosino a Floriano Pellegrino, a Martina Caruso, che apriranno la prima giornata del Savoy Beach Hotel, il 19 aprile, in sala blu. E allora spazio alle nuove leve. La competizione è aperta.

 

Il regolamento del concorso

LSDM | Paestum | Savoy Beach Hotel | il 19 e 20 aprile 2017 | www.lsdm.it

 

a cura di Livia Montagnoli

Fish Dependence Day. Cos'è e perché l'Italia lo raggiunge sempre prima

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Se avessimo mangiato solo pesce proveniente dalle acque italiane, le scorte sarebbero finite all’inizio di questo mese. A partire dal primo aprile, infatti, gli italiani hanno iniziato a mangiare pesce proveniente dall’estero, quantomeno ipoteticamente: è il Fish Dependence Day, il giorno in cui termina l'autosufficienza di prodotto ittico, cioè la capacità di soddisfare la domanda interna con il pescato dalla flotta nazionale.

Cos’è il Fish Dependence Day

Con l'obiettivo di monitorare la salute del nostro settore ittico ogni anno si analizza quanto pesce nostrano si consuma e quanto se ne importa. Per farlo si considera il totale della produzione interna e lo si “spalma” sul calendario, in base ai dati sugli acquisti. È il Fish Dependence Day, il giorno in cui – immaginando di consumare prima tutti i pesci pescati dai nostri pescherecci - l’Italia esaurisce la produzione autoctona, cioè la capacità di soddisfare la domanda interna con i prodotti pescati dalla flotta di casa nostra. A dirlo l'associazione ambientalista MedReAct, sulla base del rapporto NEF Fish Dependence 2017, pubblicato dalla New Economics Foundation: dalle analisi risulta evidente come la situazione del nostro Paese sia nettamente peggiorata negli ultimi 25 anni, con un grado di autosufficienza quasi dimezzato. Di fattori scatenanti ce ne sono diversi, ma la pesca indiscriminata e priva di regole è sicuramente la causa che incide di più. “Per soddisfare la richiesta di pesci e frutti di mare fino a fine 2017 sul calcolo della quota complessiva annuale, si passa all’import” ha spiegato il Wwf commentando i dati “Questo è un segnale di quanto questi Paesi, non da soli, consumino molto più pesce di quanto possano pescare nelle loro acque nazionali”.

 

La dipendenza dal pesce estero e l’Europa

Secondo i dati del Wwf lo Stivale è al settimo posto della top ten dei Paesi europei con la più alta dipendenza da prodotti ittici da acque estere: l’anno scorso il Fish Depencence Day è stato il 3 aprile, mentre a livello europeo si è arrivati fino al 13 luglio. Ma la situazione, dagli anni ‘90 ad oggi, è notevolmente peggiorata: se si escludono i prodotti derivanti dall'acquacoltura, il giorno in cui termina l'autosufficienza italiana è passato dal 3 maggio del 1990 al 13 febbraio del 2014, il picco più basso degli ultimi 50 anni. In pratica, consumando solo pesce nostrano, saremmo indipendenti dai 2 ai 4 mesi all’anno.

In Europa, però, c’è anche chi sta peggio: Austria, Slovenia, Slovacchia, Belgio, Romania e Lituania hanno toccato il loro giorno della dipendenza a febbraio, mentre Germania e Spagna lo toccheranno fra la fine di aprile e l’inizio di maggio. Insieme a noi, invece, il Portogallo.

Ed è proprio il Portogallo a classificarsi primo in Europa per consumo medio di pesce pro capite, con 53,8 kg all’anno, seguito dalla Lituania (43,6 kg) e dalla Spagna (42,4 kg). Al quarto posto troviamo la Finlandia (36,4 kg) e al quinto la Francia (33,5 kg): questi 5 Paesi da soli rappresentano circa un terzo del consumo di pesce in tutta Europa.

Sono davvero pochi i Paesi considerati autonomi, cioè quelli che riescono a consumare la stessa quantità di pesce prodotta internamente: Danimarca, Estonia e Irlanda.

 

Il sovrasfruttamento dei mari

Secondo i dati della Commissione europea il Mediterraneo non è più in grado di sostenere la richiesta di pesce locale. Secondo Donatella Bianchi, presidente del Wwf Italia “Tre quarti del pesce consumato in Europa, Italia compresa è di origine selvatica, il resto di allevamento. Il problema è che le scelte del 42 per cento dei consumatori si concentrano solo su sei specie, ignorando molte di quelle provenienti da stock disponibili”. Per invertire questo trend negativo “è fondamentale che le autorità rafforzino le norme sulla tracciabilità e l’etichettatura, che le imprese e il mondo della ristorazione le rispettino e i consumatori siano più attenti nella scelta dei prodotti, selezionando quelli locali - meno nobili magari ma più disponibili - anche di allevamento”.

 

http://neweconomics.org/wp-content/uploads/2017/03/NEF_Fish_Dependence_2017_2.pdf

 

 

a cura di Francesca Fiore

 

Pizzerie d'Italia 2017. Pierluigi Police di O' Scugnizzo

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È di origini campane uno dei migliori pizzaioli della Toscana e di tutta la Penisola. Premiato per la prima volta quest'anno con i Tre Spicchi (massimo riconoscimento) dalla guida Pizzerie d'Italia del Gambero Rosso, Pierluigi Police ha portato ad Arezzo l'autentica pizza napoletana.

L'Associazione Verace Pizza Napoletana si impegna da anni a promuovere le antiche tradizioni dell'arte bianca partenopea: per entrare a far parte di questa realtà, i professionisti devono rispettare i canoni dell'impasto napoletano e promettere di valorizzare al meglio le specialità della loro terra. Un campano doc come Pierluigi Police non poteva rimanere fuori dal gruppo: nato e cresciuto a Mondragone, in provincia di Caserta, il pizzaiolo si è trasferito ad Arezzo nel '95, dove ha iniziato ad addentrarsi nel complesso mondo della lievitazione. Qui, ha creato una delle migliori insegned'Italia secondo la nostra guida Pizzerie d'Italia: O' Scugnizzo, che tiene alto il valore della tradizione napoletana.

Come nasce l'attività?

Quando sono arrivato ad Arezzo ho aperto dapprima un ristorante di pesce chiamato Masaniello e poi, in seguito, la pizzeria insieme a un mio ex dipendente. Questo ragazzo ha poi lasciato l'attività, mentre io, dopo la nascita di mio figlio, non sono più stato in grado di seguire da solo entrambi i punti. Così ho chiuso Masaniello e i sono dedicato solo a O' Scugnizzo.

Come hai imparato a preparare la pizza?

Sono autodidatta: prima di trasferirmi lavoravo nel settore dei tessuti e dell'abbigliamento. Ho imparato per necessità e poi mi sono appassionato: il mio senso estetico e la mia tendenza al perfezionismo mi hanno portato a specializzarmi e ricercare sempre di più.

Cosa contraddistingue il tuo impasto?

Faccio parte dell'Associazione Verace Pizza Napoletana, per cui l'impasto è quello classico della tradizione campana. Ultimamente però mi sto aprendo molto anche ad altri tipi di farine e lievitazione, per andare incontro alle sempre crescenti esigenze della clientela, dalle intolleranze alle allergie. Sto sperimentando con il lievito madre, la biga, grani antichi e simili: propongo più tipologie di impasto, ma rimango sempre fedele alla tradizione.

Che farine utilizzi?

Al momento un po' di tutti i tipi, dall'integrale alla multicereali; come mulini? Mi affido a Mulino Vigevano e Dallagiovanna.

Come selezioni le materie prime?

La maggior parte degli ingredienti sono campani: ho rapporti diretti con i fornitori e i prodotti arrivano freschi ogni settimana. Utilizzo anche qualche ingrediente toscano, perlopiù salumi della zona. Anche per le verdure mi rifornisco localmente, ma ho intenzione di affittare a breve un piccolo terreno alle porte di Arezzo per coltivare il mio corto.

Cosa offri da bere?

Fin dall'inizio ho puntato molto sulla birra artigianale: ho aperto nel 2000, anno in cui le realtà birricole italiane stavano iniziando a muovere i primi passi e ho creduto da subito in questa nuova tendenza. Oggi abbiamo 200 etichette in bottiglia, sia italiane che straniere, e 9 birre italiane alla spina. Ho anche una piccola selezione di vini, principalmente campani e qualche bollicina italiana e francese.

Qual è la pizza che va per la maggiore?

Difficile da stabilire. Cambiamo spesso il menu a seconda della stagionalità e abbiamo diverse proposte del giorno: spesso creo le ricette al momento in base agli ingredienti che trovo al mercato che più mi ispirano.

E fra le vostre pizze classiche, qual è la più richiesta?

In inverno probabilmente quella con salsiccia e friarelli, un connubio intramontabile della tradizione campana, oppure quella con la scarola.

Quanti siete nel team?

5 in tutto fra sala e cucina. Dell'impasto mi occupo io in prima persona.

Quanti coperti avete?

40 all'interno e circa una 15ina all'esterno.

Fate anche asporto?

Inizialmente sì, poi abbiamo smesso perché non riuscivamo più a gestire entrambi i prodotti: secondo me, in questi casi si devono avere due forni separati, uno per il locale e uno per il take-away, altrimenti non si può garantire una qualità costante.

Progetti per il futuro?

Ho tanti sogni nel cassetto, ma preferisco non anticipare niente per il momento.

Che consiglio daresti a un giovane aspirante pizzaiolo?

Di lavorare con passione, amore, dedizione. E soprattutto di confrontarsi con i propri colleghi: è fondamentale!

Consigliaci un buon locale ad Arezzo.

Purtroppo non sono molto preparato: in centro città ci sono perlopiù ristoranti turistici e di qualità mediocre. Non saprei indicare un locale tradizionale, ma come innovazione e ricerca sicuramente spiccano Mest Osteria e I Tre Bicchieri.

O' Scugnizzo | Arezzo | via De' Redi, 9/11 | tel. 0575 333300 | www.lo-scugnizzo.it

a cura di Michela Becchi

Pizzerie d’Italia del Gambero Rosso 2017 | pp 352 | euro 8,90 | La guida è acquistabile in edicola, libreria e on line.

Pizzerie d'Italia 2017 del Gambero Rosso. Ecco i risultati

Pizzerie d'Italia 2017. Guglielmo Vuolo di Eccellenze Campane

Pizzerie d'Italia 2017. Marzia Buzzanca di Percorsi di Gusto

Pizzerie d'Italia 2017. Francesco Martucci de I Masanielli

Pizzerie d'Italia 2017. Giovanni Santarpia di Santarpia

Pizzerie d'Italia 2017. Giovanni Mandara di Piccola Piedigrotta

Pizzerie d'Italia 2017. Pierluigi Fais di Framento

Pizzerie d'Italia 2017. Domenico Martucci di Perbacco

Pizzerie d'Italia 2017. Patrick Ricci di Terra, Grani, Esplorazioni 

 


Firenze e Venezia unite nel segno del decoro urbano: stop alle licenze per ristoranti e attività di somministrazione nel centro storico

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La battaglia in difesa della qualità e dell'identità culturale della città, il sindaco Dario Nardella l'ha intrapresa da tempo. E ora Firenze si appresta a varare la seconda fase di un sistema di regole che limitano le attività di vendita e produzione di cibo. Segue l'esempio Venezia, che lascia uno spiraglio aperto solo alle gelaterie artigianali. Considerazioni e perplessità. 

In nome del decoro e della qualità. I precedenti

Riappropriarsi dei centri storici, valorizzandone cultura, prospettiva temporale, funzione sociale. E destinazione d'uso. Da tempo Dario Nardella e la città di Firenze sono diventati il simbolo di un'Italia che vuole far fronte comune, almeno nelle intenzioni, sulla tutela di un patrimonio che accomuna tessuti urbani anche molto diversi tra loro, ma sempre testimonianza di un legame profondo con il territorio e le tradizioni artigiane e commerciali che raccontano la storia del BelPaese. E allora nel capoluogo toscano prima è arrivato il vincolo di identità territoriale per gli imprenditori interessati a ottenere una licenza di ristorazione, con tanto di commissione deputata a valutare la bontà dei progetti sottoposti al Comune. Il provvedimento faceva appello al regolamento Unesco approvato solo qualche mese più tardi (nella primavera 2016), che vietava l'esercizio di attività incompatibili con il decoro e l'immagine della città nelle aree tutelate da vincolo culturale. Kebabbari, minimarket, fast food e specchietti per le allodole acchiappaturisti in primis. Da lì ad arrivare alla dibattuta questione Mc Donald's in piazza Duomo c'era voluto poco, con code polemiche e inevitabile gioco delle parti, tra i difensori della patria a oltranza e i possibilisti aperti alla mediazione.

 

La normativa nazionale salva centri storici

Poi, alla fine del 2016, il dlg Scia 2 presentato dal ministro Madia nell'ambito della riforma della Pubblica Amministrazione, la cosiddetta norma salva centri storici esordiva su scala nazionale, garantendo ai sindaci la facoltà di vietare l'esercizio di attività commerciali “non compatibili con le esigenze di tutela e di valorizzazione del patrimonio culturale”, quando in presenza di aree “di particolare valore storico, archeologico, artistico e paesaggistico”. Lasciando di fatto ampia discrezionalità ai primi cittadini, che in accordo con le soprintendenze, acquisivano mandato per adottare regolamenti in merito (non retroattivi), sull’esempio di quanto il Codice dei Beni Culturali già stabiliva in materia di ambulanti. A Firenze, per esempio, il 2017 si è aperto con l'inasprimento delle posizioni di Palazzo Vecchio: è di pochi giorni fa l'approvazione della delibera di modifica al regolamento Unesco che prende le mosse dell'iniziativa del nuovo assessore allo Sviluppo Economico Cecilia Del Re per imprimere un altro giro di vite al proliferare di minimarket e ristoranti nel centro della città.

 

Stop alle nuove aperture. La fase 2 di Firenze

E in attesa dell'ok del Consiglio Comunale, l'idea mostra il suo limite nell'intransigenza del metodo (a patto che sarà possibile farlo rispettare): stop per tre anni all'apertura di nuovi ristoranti e attività che producono e somministrano cibo in tutto il centro di Firenze. E, a seguire, il divieto di trasferire attività già aperte dentro l'area Unesco in alcune piazze riconosciute di particolare interesse, da Santa Croce a Santo Spirito, dal Carmine a Pitti, in quanto “principale luogo di aggregazione sociale e simbolo dell'identità della città”, ribadisce la Del Re. Risultato? Per ora gli uffici preposti sono praticamente invasi dalle pratiche di tutti quegli imprenditori che in vista del giro di vite si affrettano a richiedere la Scia, per aggirare l'entrata in vigore effettiva della delibera.

 

Venezia. Stop a fast food e kebab, graziate le gelaterie

Ma intanto anche Venezia si muove nella direzione indicata da Firenze. Negli ultimi giorni la Giunta ha approvato una delibera che limita l'esercizio di attività non compatibili “con le esigenze di salvaguardia del decoro e delle tradizioni di Venezia”, in tutto il centro (la città è patrimonio Unesco del 1987) e sulle isole di Burano e Murano. Con particolare riferimento alle attività di vendita e produzione di prodotti alimentari “finalizzate a consumo su pubblica via”. E quindi soprattutto kebabbari e pizzerie a taglio che invadono le calli di molti sestieri. Ma non finisce qui, perché analogamente a Firenze, anche l'assessore al commercio veneziano Francesca Da Villa ha intenzione di vietare l'apertura di nuove attività di somministrazione e produzione di cibo, a eccezione, si precisa nella delibera, delle gelaterie artigianali. In attesa che il provvedimento riceva approvazione definitiva, anche in questo caso una perplessità sorge spontanea: partendo dal presupposto che la definizione di gelateria artigianale è ancora una delle più controverse del mercato alimentare italiano – il vincolo di produrre in loco non impedisce di usare polverine o simili, per esempio, rivelandosi di fatto non sufficiente a garantire la qualità del gelato – perché la normativa mira a salvaguardare solo questa categoria merceologica? E più in generale, ha senso bloccare tout court gli investimenti nella ristorazione, compresi quelli virtuosi? Perché si possa davvero parlare di tutela della qualità e salvaguardia del decoro bisognerà precisare (più di) qualche punto. Ce lo auguriamo.

 

a cura di Livia Montagnoli

Salumi da Re 2017. Cosa abbiamo imparato e come li abbiamo abbinati

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Si è concluso lunedì 3 aprile Salumi da Re, il raduno nazionale di allevatori, norcini e salumieri ospitato dall’Antica Corte Pallavicina. Ecco cosa abbiamo imparato.

Anche quest'anno - il quarto - Salumi da Re è stata un'occasione preziosa per scambiare idee, opinioni, osservazioni, conoscenze. Coinvolgendo norcini e salumieri di tutta la Penisola, ma anche gli istituti alberghieri, che hanno partecipato al concorso Il panino teen-ager: una cosa buona tra le mani, e le gastronomie, che si sono sfidate nella gara di taglio del prosciutto, sia sul morsetto che a macchina. Sul Gran Palco del maiale gli esperti del settore si sono poi alternati per parlare di salumi di ricerca, salami, additivi e conservanti, salumi da pentola, prosciutti crudi e cotti. Il nostro non vuole essere un report ma un punto di partenza, schematizzato in dieci punti, dal quale iniziare per comprendere meglio il ricco mondo dei salumi. Ovviamente non sono mancati gli abbinamenti, con birra e vino, pensati per l'occasione dal Presidente Unione Degustatori Birre Mauro Pellegrini e Giorgio Melandri, collaboratore della guida Vini d'Italia del Gambero Rosso. Ve li raccontiamo per suggerirvi di sperimentare anche voi e mettere sul tavolo ancora nuovi incontri di sapore.

10 pillole da Salumi da Re

Recupero di animali in via di estinzione. Abbiamo degustato una mortadella di asino ragusano, un salume che è riuscito a salvare questo animale a rischio estinzione e che ha dato la possibilità a dei giovani siciliani di rimanere nella propria terra proprio per allevare asini. Stessa filosofia dietro a tutti quei salumi preparati con razze suine autoctone. Il recupero di queste razze, dalla Cinta Senese alla Casertana, dalla Mora Romagnola al Nero di Parma, è cosa recente, cominciata negli anni '90 facendo i conti con i pochissimi capi rimasti e con problemi di consanguineità, che davano un animale impossibile da trasformare. Grazie al lavoro di allevatori ed esperti di genetica si è riusciti a recuperare queste razze. E di conseguenza i salumi.

Rivalutiamo i prosciutti e le spalle cotti. Una volta la cottura serviva a sopperire a una stagionatura andata male, oggi ci sono prodotti eccellenti che nascono per essere cotti. Evviva dunque i salumi cotti, che siano della parte anteriore o posteriore del maiale.

Metodo empirico per capire se l'impasto del salame è amalgamato bene. Dando per scontata la bontà della materia prima, un buon salame ha un impasto omogeneo, dove le parti grasse (come quelle della pancia, della guancia o della schiena) e quelle magre (come la coscia) sono impastati alla perfezione. Un modo per capirlo? L'impasto amalgamato bene rimane incollato alle dita.

La salama da sugo. Per la prima volta a Salumi da Re si è degustata la salama da sugo, un salume unico che risale al '500: pensate che Lucrezia Borgia la inviò a Lorenzo Il Magnifico e lui ne rimase così colpito da osannarla. È fatta con capocollo, pancetta, gola, lingua e una piccola parte di fegato, aglio e vino rosso molto tannico. A differenza del salame, viene insaccata nella vescica del maiale e cotta a bagnomaria, prima di essere immessa sul mercato. Non rientra nemmeno nella categoria dei “salumi da pentola” perché non c'è presenza di cotica. Come consumarla a casa? Va scaldata per 40 minuti in acqua bollente, e servita con del purè o una composta di frutta, per smorzare il suo sapore pungente. O la ami o la odi. Noi l'abbiamo amata.

Per i più schizzinosi. Tranquilli, la parte di budello (meglio se di maiale) che va a contatto con l'impasto è quella esterna. A buon intenditor, poche parole.

Il salame è cosa seria, ed è tutt'altro che facile da fare. Ci sono moltissime variabili che possono rovinarlo, dalla materia prima non di qualità, agli errori durante la produzione, che include diverse fasi: macinazione, impasto, riempimento del budello, legatura, asciugatura. Venendo a quest'ultima, l'errore più comune è la fretta. Se si asciuga il salame rapidamente si rischia di creare la cosiddetta “camicia”, ovvero si asciuga solo la parte esterna, lasciando quella interna piena d'acqua. Il risultato? Bisogna buttar via il salame.

È tempo di innovare. C'è la necessità di creare prodotti nuovi, senza troppa riverenza nei confronti della tradizione. D'altra parte i gusti cambiano, e la tecnologia avanza.

Non solo l'industria utilizza nitriti (E249-E250) e nitrati (E251-E252). Ciascun salume, se parte da ingredienti sani, è di per sé sano, anche i salami che spesso vengono considerati più “pericolosi” di altri. A maggior ragione oggi che si lavora in condizioni igienico sanitarie molto più restrittive di un tempo, quando forse l'utilizzo del salnitro (le sue prime testimonianze risalgono agli egiziani che lo usavano per mummificare) era giustificato. Eppure non solo l'industria usa nitriti e nitrati, ma anche gli artigiani. Solo che, mentre le industrie alimentari li usano spesso (non sempre, sia chiaro) perché partono da materie prime inadatte, l'artigiano si piega a questi conservanti principalmente per due motivi: primo, perché così è certo di non buttar via nessun prodotto; secondo, per assecondare il consumatore che vuole e cerca colori omogenei e tendenti al rosso.

Le regole d'oro per fare a meno di additivi e conservanti. Partire da una carne sana e matura, la tradizione dice che il maiale è pronto per essere macellato se ha visto almeno due agosti, rispettare le regole igienico sanitarie e lavorare al freddo: sempre secondo tradizione, i salumi vanno preparati durante l'inverno (un po' come le birre).

Un monito per i consumatori. Abituiamoci a giudicare per quel che mangiamo e non per quel che vediamo. Il colore bellissimo di un salume spesso è dovuto alla presenza di nitrati.

Gli abbinamenti pensati da Giorgio Melandri (vino) e Mauro Pellegrini (birra)

L'abbinamento tradizionale

Prosciutto di Parma e Trento Rotari Cuvee 28 +. Delicatezza e finezza si sommano in un insieme di sfaccettature e piccole sorprese. Una bocca infinita tra dolcezza e sapidità.

Speck di suino nero - Affumiada, weizen rauch del birrificio Lara. Tradizionale è l'affinità tra i due sentori affumicati, ma in realtà entrambi i prodotti sono talmente ricchi che il fumo fa da complemento, più che da protagonista. Intensità coeve, come gli abbinamenti vocati richiedono, in una trama di sentori che giocano tra le note di nocciola e di frutti di bosco. Il fumo? In fondo, garbato ma persistente: una carezza gentile a ricordarci che un'altra fetta e un altro sorso sarebbero cosa buona e giusta.

L'abbinamento Nord-Sud

Mortadella di asino e Pietro Cassina Erbaluce di Caluso M. Cl. Brut '12. La freschezza dell'Erbaluce con la bocca piena e suadente della mortadella, tutto in salsa agrumata, con il cedro del vino a firmare il finale.

Lardo con pepe di sichuan, grappa austriaca del '92 e fiori di genziana e Sibaris, saison del birrificio La Tresca. Non è la geografia dei produttori che ci interessa, ma quella dei sensi, e qui portiamo tutto il mediterraneo delle arance di Sibari utilizzate nella birra verso le atmosfere mitteleuropee di un lardo eccelso, bagnato con pregiata grappa austriaca di annata, peraltro già preparato al viaggio verso sud dalle note citriche e piccanti del pepe di Sichuan. Matrimonio d'amore, officiato al primo sole dell'alba in riva a una bella spiaggia della Calabria ionica.

Il rischia tutto

Lardo di Colonnata ed Emilio Vada Moscato d'Asti '16. È la gara dei profumi, la sfida possibile di due anime italiane meravigliose. Da una parte i profumi mediterranei e salmastri del lardo, dall'altra la dolcezza fiorita del moscato. In bocca a ruoli invertiti, dolcezza per il lardo, freschissima acidità per il moscato. Gli opposti che si attraggono.

Prosciutto di pecora e Fortemalto, tripel del birrificio Svevo. Una scommessa tra degustatore e birraio, vinta dal primo ma con grande soddisfazione del secondo. Uno stile belga rivisitato in ottica particolarmente muscolare, quindi con la capacità di tener testa a un prosciutto dai sentori quasi ferini di pascolo e di gregge. Una sapidità arrembante addomesticata dalla birra, che poi lascia il proprio contrappunto nel finale, con un fiore di tiglio lieve a profumare la bocca. La quiete, dopo la tempesta.

Oriente... o quasi

Prosciutto San Daniele e Cantina Sociale Cooperativa di Quistello Gran Rosso del Vicariato '16. Le aromaticità, sapide e floreali, del prosciutto animate dal ritmo altissimo di questo lambrusco (uve Grappello Ruberti con un piccolo saldo di Ancellotta) che asciuga e rilancia. Frutto, tannini, sogni. Una trama tutta delicatezza e ritmo in pura salsa adriatica.

Lardo con scannello di maiale e Avanti march, saison al pepe rosa e zenzero del birrificio Hibu. Prendiamo tutta la scioglievole complessità del lardo e lo immergiamo nelle atmosfere speziate e orientaleggianti di questa saison che di brianzolo ha veramente poco, nonostante l'ubicazione del birrificio. Cosa ne scaturisce? Una sinfonia di sentori che virano verso un oriente misterioso, pieno di contraddizioni ma al tempo stesso dal fascino così coinvolgente. Un magnetismo che diventa compulsivo: fino all'ultimo boccone, all'ultimo sorso, e poi...chissà? Ne chiederemo sicuramente ancora.

La tradizione rivisitata

Salame cotto e Monte delle Vigne Colli di Parma Malvasia Selezione '15. Il grande classico delle trattorie parmensi, la malvasia, servito con il prosciutto, tradisce lo storico compagno di tavola con un prodotto che esplode di profumi e cuce insieme le tante tradizioni italiane. Un prodotto che non tradisce l'anima popolare che la ha ispirata.

Salama da sugo ed Equilibrista di Birra del Borgo (Italian Grape Ale): Da proporre nelle osterie sul Po di Volano, piuttosto che tra le curve del Polesine, in paesini dimenticati dal GPS accerchiati da argini, stallatico e zanzare. Qui, dove domina la succulenta salama da sugo, con la sua speziatura ruvida e la sua intensità che sa di festa sull'aia, andiamo a proporre una birra intensa (10.9 gradi alcolici), con il 39% di mosto Sangiovese lavorata con metodo Classico. Il tutto a creare una bollicina e un non so che di uva schietta, fresca e sincera, che ricorda il Fortana frizzante, compagno ideale della salama in mille avventure gastronomiche tra le brume della Bassa.

Andar per boschi

Salumi di selvaggina e Villa Rosa Gutturnio frizzante '16. La selvaggina, inaspettatamente elegante con gli odori di bosco e il frutto algido e fragrante del Gutturnio. Un richiamo ai piatti della grande cucina che hanno sempre abbinato ai “temi forti” della selvaggina i profumi più arditi.

Pancetta cotta di nero di Parma e Strada san Felice, birra alla castagna del birrificio Grado Plato. Andare per boschi dell'appennino tosco-emiliano, a cercare le castagne migliori, e imbattersi in un gruppo di maialini neri al pascolo brado: ecco l'immagine perfetta per questo abbinamento. Le note di maquis si fondono a quelle vegetali e lievemente affumicate della birra, che con il suo corpo rotondo e pieno supporta molto efficacemente l'esuberanza della pancetta. Boccone dopo boccone, scopriamo i sentori provenienti dall'alimentazione del tutto naturale di questi maiali, e li ritroviamo nella birra: memorie vichiane, per un piacere infinito.

L'abbinamento impossibile

Speck e Illica Colli Picentini Malvasia Passito Archeus '13. L'affumicatura dello speck e la muffa nobile di questo passito fanno sognare un paesaggio inedito, pieno di colori e scorci che viaggiano in profondità. La bocca è materica, con un gioco di sapidità e freschezza. La dolcezza, in questo caso, è solo un inganno.

Mariola e Morning Glory, American Pale Ale del birrificio Retorto. Il sacro e il profano, il ballo liscio e la salsa caraibica, le scarpe di pelle nera lucida e le infradito: la gioia di vivere in due luoghi così diversi del mondo, ma alla fine così simili quando ci si ritrova tutti insieme a far festa. Sulle tavole della Bassa Padana viene servita la mariola fumante, mentre nelle piazze caraibiche scintilla la frutta fresca e succosa. Il connubio: un melting pot di sentori, con l'ananas, la pesca e il mango che avvolgono a ritmo di salsa una mariola sulle prime un po' spaesata, ma che ambientatasi offre il meglio del suo repertorio di calore e sentimento, scatenandosi in una danza appassionata.

Senza pensieri

Salame e Tomasetti Lambrusco Maestri Fidanzata Rifermentato in bottiglia '15: Un abbinamento che profuma di pergole e pomeriggi in campagna, rassicurante e familiare. Un omaggio alla convivialità italiana, alla nostra tradizione contadina, a un grande vino della nostra storia. La nota terrosa della rifermentazione in bottiglia si lega ai grassi e l'acidità ficcante pulisce e prepara alla fetta successiva.

Testa in cassetta alla canapa e La St'Orta di Ibeer, Hemp Ale. Come poter mantenere pensieri lucidi in testa, dopo un abbinamento del genere? Un po' psichedelico e un po' funk, questo connubio sembra strizzare l'occhio alle feste in costume anni '70. E infatti va consumato così, con un mix di James Brown e dei Pink Floyd di Sid Barrett sullo stereo a palla, mentre con la mente si va a toccare lidi lontani, di vacanze impossibili o di amori passati. Ben poco THC, in realtà: è tutta sana fantasia, ben stimolata dall'erbaceo e dall'acidità della birra, che asseconda e sorregge al meglio il profumo suadente di una testa in cassetta di irreale eleganza.

Un pensiero finale

Abbiamo voluto dedicare un pensiero brassicolo a Norcia e alle ferite infertele dal terremoto, a questa importante capitale della gastronomia mondiale, così seriamente toccata dalla tragedia nei mesi scorsi. Lo abbiamo fatto con una birra presentata al pubblico proprio a Salumi da Re: la J.I. B. del birrificio Hibu, una Belgian Dark Strong Ale veramente sui generis, che grazie a qualche grado alcolico in meno e a una luppolatura generosa, rispetto allo stile di riferimento, si abbina perfettamente alle tradizionali creazioni norcine. J.I.B. è l'acronimo di Jesus Is Back: un pensiero pasquale genuino e sincero, tra il sacro ed il profano, per persone e imprese che hanno veramente bisogno di un aiuto vero. Per non disperdere un patrimonio infinito, oggi così gravemente in pericolo.

www.salumidare.it

a cura di Giorgio Melandri, Mauro Pellegrini e Annalisa Zordan

 

Le aziende di salumi

Antica Corte Pallavicina

Bardana

BBS

Azienda Agricola Ca' Mezzadri

Aziende Agricole Cerati

Corrado Benedetti

Dal Massimo Goloso

Devodier Prosciutti

Dok Dall'Ava

F.lli Beretta

Gastronomia Contini

Gerini

Gianferrari

Il Chiaramontano

Italgroup Alimentari - Prosciutto di Parma

La Rocca

Larderia Fausto Guadagni

Masé

Macelleria Salumeria Giacobbe

Macelleria Simone Fracassi

Paganoni

Poggio San Giorgio

Ruliano

Salumi Martina Franca - Antica Tradizione

Laboratorio dei salumi Tre T

Vtali Re Norcino

Gli istituti alberghieri

Alberghiera Ial del Friuli Venezia Giulia

Cefal di Bologna

Centro Prof. Nazareno di Carpi

Fomal di Bologna

I.I.S. Scappi di Castel San Pietro Terme

Istituto Alberghiero Zappa Fermi di Bedonia

La Cremeria Cavriago

Magnaghi di Salsomaggiore

Pellegrino Artusi di Forlimpopoli

S.P. Malatesta di Rimini

 

 

 

 

 

Indagine interregionale tra i migliori Vermentino in commercio

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Un vitigno, tante espressioni. Così il Vermentino, non solo di Gallura, è un vino che restituisce l'anima di ben tre regioni: Liguria, Toscana e – come suggerito già – Sardegna. Abbiamo cercato le migliori etichette

Alcuni vini delle cantine citate in questo articolo sono acquistabili su Tannico.it, l’enoteca online partner di Gambero Rosso. 


Il vermentino

Il vermentino è uno dei vitigni più noti e conosciuti in Italia e si trova nel registro delle varietà nazionali anche col sinonimo di carbesso, favorita e verlantin. In passato confuso con la vernaccia, ha origini ancora dibattute, anche se sembrerebbe plausibile una sua nascita nella parte nord-orientale della Spagna e una successiva diffusione lungo le coste del Tirreno; prima in Francia, nel Roussillon, dove prende il nome di malvoisie à gros grains, successivamente in Liguria (soprattutto nel Levante e sui Colli di Luni), Toscana (perlopiù sulla costa), Corsica e Sardegna, dove ha subito una forte diffusione; anche grazie all'istituzione della Docg Gallura (nel 2010), il vitigno oggi sull'isola, rappresenta il 12% della produzione regionale.

 

Caratteristiche

Il grappolo è medio grande (sui 400 grammi) con forma cilindrica o tronco conica. L’acino è di grandi dimensioni, con buccia abbastanza spessa e molto pruinosa. La polpa ha sapore semi aromatico, fattore che caratterizza molto la complessità gusto olfattiva dei vini ottenuti da questa varietà: spesso offrono note di mandorla, anice e frutto a pasta bianca tropicale. In alcune zone molto vicine al mare, in Sardegna così come anche in Liguria o sulla costa toscana, non mancano sentori marini e iodati, mentre nella Docg Gallura, la particolare conformazione del terreno granitico, sommata alle importanti altitudini delle vigne (nonostante ci si trovi vicino al mare) conferiscono ai vini profumi molto fini ed eleganti di erbe aromatiche, agrumi e fiori bianchi.

 

Liguria

La Baia del Sole-Federici – Colli di Luni Vermentino Sarticola '15

I due fratelli Andrea e Luca, il primo addetto ai vigneti e al commerciale, il secondo al comparto enologico, hanno ormai preso le redini di un'azienda moderna, strutturalmente efficiente, tecnologicamente avanzata con un occho all'ambiente e aperta all'enoturismo. La cantina guarda al futuro, con nuovi investimenti e grandissima qualità di cui il Sarticola è un segno concreto. L'annata 2015 ha regalato un vino complesso, intenso, con note di rosmarino e salvia, di fiori gialli e frutti maturi, di salmastro ed erbe officinali. Importante e strutturato ha una grande personalità e un incisivo carattere.

 

Ottaviano Lambruschi – Colli di Luni Vermentino Il Maggiore '15

Quando si pensa alla Liguria di Levante dal punto di vista enologico uno dei primi nomi che balzano alla mente è quello di Ottaviano Lambruschi. Capostipite della famiglia e lungimirante nella ricerca della qualità, ancora coordina i lavori, lasciando sempre più la gestione al figlio Fabio in vigna e alla giovane nipote Ylenia in ufficio e al marketing. Il Maggiore '15 è un vino regale e raffinato, con note di frutta ed erbe officinali, complesso e rotondo, capace di incantare la mente distraendola nella ricerca della sublime piacevolezza.

 

Lunae Bosoni – Colli di Luni Vermentino Et. Nera '15

Paolo è il lungimirante capostipite di una famiglia unita nella vita e nel lavoro. Lui lavora in vigna e in cantina, mentre la moglie Antonella e i figli Diego e Debora si occupano dell'accoglienza, delle vendite e delle relazioni commerciali.

L'Etichetta Nera è il vino bandiera dell'azienda: di un bel color paglierino con riflessi verdognoli, si distingue per l'ampiezza dei profumi che dal vegetale si aprono ai frutti tropicali di mango e ananas, su un corpo vellutato e strutturato, armonico e infinito nel retrogusto.

 

Toscana

Poggio al Tesoro – Bolgheri Vermentino Solosole '16

La crescita qualitativa e la definizione stilistica degli ultimi anni, sempre piuttosto originale, sta lanciando Poggio al Tesoro tra le realtà più interessanti di Bolgheri. Grande importanza ha ovviamente il parco vigneti: le uve tipiche della denominazione poggiano su terreni eterogenei, in alcuni casi piuttosto pesanti, in altri sabbiosi o ricchi di scheletro. L’azienda fa parte del gruppo Allegrini, firma celebre del vino italiano con base in Valpolicella. In una gamma che vede protagonisti grandi rossi, spicca questo Vermentino Solosole '16, dalle nitide note di salvia e basilico al naso che tornano in bocca altrettanto nettamente, unite a un sottofondo di limone verde; molto fresco e piacevolmente sapido.

 

Poggioventoso – Poetico '15

Una realtà relativamente nuova, sorta ormai da più di dieci anni a Riparbella, nel pisano. Il luogo è splendido e il progetto vitivinicolo poggia su un contesto pedoclimatico ideale (il nome non è casuale, qui l’influenza dei venti, sia in estate che in inverno, è molto forte), oltre che su una solida conduzione tecnica. Impresa pensata, realizzata e portata avanti con passione da Maricla Affatato e famiglia, con vini in costante crescita qualitativa e stilistica. Il Poetico ‘15 deriva da vermentino con saldo di malvasia e petit manseng; i profumi sono freschi e fragranti e virano tra i fiori bianchi, agrumi e frutti gialli. In bocca attacca morbido, poi scatta con freschezza e sapidità.

 

Tenuta di Valgiano – Colline di Lucchesi Palistorti di Valgiano Bianco '15

Valgiano è un mondo. Moreno Petrini e Laura di Collobiano hanno disegnato e realizzato un progetto fantastico sotto ogni punto di vista. Il luogo è magico e regala il nome alla tenuta. L’agricoltura biodinamica, di cui Saverio Petrilli è tra i massimi esperti in Italia, asseconda e valorizza le attitudini agricole e viticole della zona. Lo stile dei vini è diretta conseguenza di tutto questo, oltre che della sensibilità di ogni interprete, progetto armonioso e impresa del vino italiano tra le più lucenti. Come lucente è questo vino, vermentino per l'85%, con il saldo rimanente di chardonnay, malvasia, trebbiano e sauvignon. Profumi di frutta a polpa bianca, finemente uniti a cenni agrumati di pompelmo danno spazio a un vino dai ricordi mediterranei e solari, dal palato scorrevole e fresco.

 

Sardegna

Capichera – Vermentino di Gallura Vign'angena '15

Il nome Capichera è noto in Italia e nel mondo, e non stupisce se pensiamo che i fratelli Ragnedda sono stati tra i primi nell’Isola a imbottigliare e a esportare in tante nazioni grandi bianchi a base vermentino. Questo ha decisamente contribuito a far conoscere la Sardegna e la Gallura vinicola, area in cui operano. Eleganza, carattere, territorialità ma soprattutto longevità sono le caratteristiche dei bianchi e dei rossi a firma Capichera. Il Vermentino di Gallura Vign'angena è la versione più giovane dei grandi Gallura aziendali, e offre freschezza e piacevolezza di beva pur con grande complessità.

 

Cherchi - Vermentino di Sardegna Tuvaoes ’15

Il Tuvaoes è un riferimento per il Vermentino in Sardegna. Quest’anno arriva alla sua trentesima vendemmia, un grande traguardo per un bianco isolano. Nasce a Usini, un territorio particolarmente vocato per questa varietà che qui riesce a dare complessità aromatica, bella freschezza, ma soprattutto un bel potenziale d’invecchiamento, cosa ancora rara nei Vermentino prodotti in Sardegna. La versione 2015 profuma di elicriso, anice, scorza d’arancio e non mancano tocchi iodati. La bocca è vibrante e slanciata, ritmica grazie a un bell’equilibrio tra la parte avvolgente e morbida data dall’alcol e quella sapida e fresca data un’acidità integrata magistralmente alla materia. Ottimo da bere ora, ma – siamo sicuri – regalerà ancora tanto nei prossimi anni.

 

Pala – Vermentino di Sardegna Stellato '15

Pala è una grande famiglia del vino, capitanata da Mario che, con la moglie e i tre figli, gestisce una delle cantine più convincenti della Sardegna. Tutto si basa su un grande patrimonio vitato, fatto di vecchie vigne, suoli particolarmente vocati (l’azienda possiede anche alcuni impianti a piede franco su sabbia nell’oristanese) e un lavoro in cantina sopraffino, volto a ottenere vini eleganti, profondi e longevi.Il Vermentino di Sardegna Stellato dimostra di essere un grande bianco isolano. Figlio dell'annata 2015 profuma di fiori bianchi, erbe aromatiche e limone candito, in bocca è sapido, fresco agile e vitale.

 

Vigne Surrau – Vermentino di Gallura Sup. Sciala '15

A pochi passi da Arzachena, in piena Gallura, troviamo una delle più belle novità degli ultimi anni, Vigne Surrau, che in poco tempo è divenuta un riferimento per la produzione vinicola gallurese. Dotata di una cantina tecnicamente attrezzatissima, può vantare una bellissima struttura ricettiva, aperta tutto l’anno, in cui si organizzano mostre, convegni e incontri culturali.Lo Sciala '15 prosegue il suo percorso che lo ha visto eccellere negli ultimi anni. È un Vermentino di Gallura molto tipico per le note iodate, di agrume e fiori bianchi. In bocca la sua struttura è ben equilibrata da vena acida e buona sapidità e il finale è profondo, pulito e freschissimo.

 


Alcuni vini delle cantine citate in questo articolo sono acquistabili su Tannico.it, l’enoteca online partner di Gambero Rosso. 


www.tannico.it

Seeds&Chips 2017. A Milano torna il salone dedicato alla food innovation, con Barack Obama

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Torna Seeds&Chips, the Global Food Innovation Summit, il salone internazionale ideato e curato da Marco Gualtieri, dedicato alle aziende e start up digitali che innovano nella filiera dell'agroalimentare e nell'universo dell'enogastronomia. Molta carne al fuoco per l'appuntamento in programma a Milano all'inizio di maggio. E dall'America arriva l'ospite a sorpresa.

Alla Fiera Milano (Rho) tutto è pronto per ospitare conferenze, pitch, incontri di business. Con un unico obiettivo: rappresentare e sviluppare la food innovation, ovvero tutte quelle soluzioni tecnologiche volte a migliorare il modo in cui il cibo è prodotto, trasformato, distribuito e comunicato.

L'obiettivo della Food Innovation

L’aumento della popolazione mondiale e del consumo di proteine, i cambiamenti climatici e la crescente scarsità di risorse disponibili, i mutamenti sociodemografici e la tutela della salute, l’evoluzione irreversibile e conclamata nei processi di scelta e acquisto, impongono un cambiamento dei modi in cui il cibo è prodotto, trasformato, distribuito, comunicato e consumato. Un cambiamento che può contare su un'infrastruttura tecnologica avanzata. Da qui nasce il concetto di food innovation, il tema principale delle quattro giornate organizzate da Seeds&Chips, che quest'anno è ospitato all'interno di Fiera Milano (Rho) durante Tutto Food, da lunedì 8 a giovedì 11 maggio. Ampio spazio è infatti dedicato a come affrontare questa cruciale sfida mondiale: dalla nutrizione del futuro alle nuove tecniche di produzione alimentare, fino alla food security e al diritto al cibo, sano, sostenibile e accessibile a tutti.

Gli appuntamenti

Seeds&Chips propone un calendario di una quarantina di conferenze. Le sessioni di approfondimento spaziano dai temi caldi dell’hi-tech, come i big data, le applicazioni delle stampanti 3D nel food o le tecnologie nel ristorante e il supermercato del futuro, a quelli di marketing e di scenario, quali la crescita della sharing economy, l’impatto dei millennials o l’innovazione dei superfood. Tra gli appuntamenti centrali: “Feeding the Cities – Urban and Vertical Farming” dedicata alla coltivazione sostenibile nelle grandi metropoli. Si parlerà anche di e-commerce, grazie al Consorzio del Commercio Elettronico che promuove l’e-Commerce Food Lab, un hub di 1.000 mq in collaborazione con Digital Events per favorire il networking tra operatori, e dove si svolgeranno workshop e conferenze. Tra i partecipanti, l’ex Presidente USA Barack Obama, il suo chef-consigliere Sam Kass e il Sindaco di Milano Giuseppe Sala che dichiara di essere orgoglioso di accogliere Barack Obama, un uomo verso cui nutre una grande ammirazione, a Milano: “Seeds&Chips sarà un’occasione per riportare all’attenzione di tutti un tema estremamente importante e profondamente legato alla nostra città che, con il Milan Urban Food Policy Pact, ha dimostrato di avere la capacità e la forza di guidare e farsi portavoce di un cambiamento più che mai necessario”. Il documento, che ha saputo tradurre in azioni le politiche alimentari al centro di Expo 2015, si fonda non solo su progetti concreti per ridurre lo spreco e garantire l’accesso al cibo sano, ma anche sulla collaborazione tra tutte le grandi città del mondo. “Si tratta dei due ingredienti fondamentali per raggiungere l’obiettivo e la presenza dell’ex Presidente degli Stati Uniti non potrà che dare ancora più forza al nostro messaggio”.

Presenza di start up

Due i padiglioni dedicati all'innovazione, dove aziende e realtà istituzionali presentano le loro proposte tecnologiche. Spazio anche alle start up, che restano al cuore del summit. È infatti da qui che arrivano le idee e le soluzioni più innovative, capaci di rappresentare una vera e propria rivoluzione nel settore agroalimentare. Qualche esempio? Addento e Mi Green Food o le internazionali Seamore Food e New Wave Foods. Addento, per esempio, sta sperimentando una linea di alimenti con farina di grilli, nutrizionalmente superiore e più sostenibile rispetto ad altri cibi. I grilli rappresentano infatti una fonte alternativa proteica (hanno un contenuto proteico pari al 69% sul peso secco, contro il 32% della bresaola che è già di per sé considerato iper-proteico), sono ricchi di vitamina B12 e di acidi grassi come Omega-3 e Omega-6. Inoltre hanno un bassissimo impatto ambientale in termini di emissioni di gas serra e di consumo di risorse: per produrre un chilo di carne di manzo servono più di 15 mila litri d’acqua, per produrre l’equivalente di grillo ne serve soltanto uno. Non è un caso che uno chef blasonato come Luciano Monosilio e uno dei più eccellenti produttori di pasta italiani, Riccardo Felicetti, stiano sperimentando dei rigatoni proprio con la farina di grilli. Tornando a Seeds&Chips, anche Mi Green Food parte dal presupposto che l'alimentazione attuale non è sostenibile, basti pensare che secondo recenti stime delle Nazioni Unite, entro il 2050 la popolazione mondiale passerà dagli attuali 7 a 9,7 miliardi. Da qui l'avvio di una produzione di micrortaggi, ovvero plantule (piante da poco germinate dal seme) con una più elevata concentrazione di vitamina C, E e K rispetto agli ortaggi maturi. Coltivati in ambiente indoor con metodo intensivo, grazie all’utilizzo di un sistema multistrato e led specifici e un processo produttivo altamente tecnologico e sostenibile, i micrortaggi rappresentano una nuova tendenza del mercato agroalimentare. Al pari di questi, anche le alghe sono tra gli alimenti più sostenibili del pianeta: per la loro produzione infatti è richiesto solo il sole, niente acqua né terra e soprattutto niente fertilizzanti né pesticidi. Esemplari sono le esperienze dell'olandese Seamore Food e della statunitense New Wave Foods.

 

Seeds&Chips | Milano | Fiera Milano | Piazzale Carlo Magno 1 | dal 8 al 11 maggio | www.seedsandchips.com/

 

a cura di Annalisa Zordan

 

Registro telematico. Ecco perché alle cantine serve più tempo

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Non solo cantine e consulenti. Anche le aziende informatiche sono coinvolte nella dematerializzazione del mondo vitivinicolo. Ecco come funzionano i software che hanno messo a punto e quanto costano. Ma soprattutto ecco perché entro il 30 aprile non si potrà digitalizzare tutto il settore.

Il ruolo delle software house nella dematerializzazione

Registro telematico, quanto ci costi? È questa la domanda che molti produttori si stanno facendo, mentre il cronometro della dematerializzazione continua a scorrere inesorabile, segnando meno un mese al 30 aprile: data entro cui (salvo ulteriori proroghe, a questo punto molto probabili) tutti i produttori dovranno adeguarsi. Avevamo già affrontato il tema dal punto di vista delle cantine e dell'Icqrf, ma c'è un terzo attore fondamentale in questo passaggio al digitale: le software house. Ovvero coloro che si sono rapportate al Mipaaf in questi mesi di sperimentazione, potendo contare su una fase di debug, e che hanno quindi progettato dei sistemi ad hoc che si interfacciano con il sito del Sian, permettendo alle cantine inmolto meno tempo (e con qualche investimento economico in più) di essere in regola con quanto previsto dal decreto Campolibero n. 293 del 20 marzo 2015. Tra l'altro, il supporto di un programma di gestione, rispetto alla compilazione direttamente dalla piattaforma Sian, presenta un ulteriore vantaggio: una dilatazione dei tempi di trenta giorni. Quelli necessari ai sistemi di gestione per elaborare i dati e sincronizzarsi, infine, alla piattaforma ministeriale.

 

Le aziende coinvolte

Tra i soggetti in questione ci sono aziende storiche già focalizzate su vino o comunque sull'agroalimentare, ci sono gruppi di consulenza che hanno aggiunto all'offerta anche il pacchetto Sian (assumendosi anche le eventuali sanzioni dell'errata compilazione, com'è il caso di Codivin) o grandi software company che hanno visto nella nuova normativa vitivinicola una possibilità di fare business. Oggi sono loro stesse a interrogarsi sulla capacità delle singole cantine di poter gestire, senza l'apporto di software o consulenti ad hoc, il passaggio al digitale tramite il solo accesso al Sian. E se da una parte ci dicono, all'unanimità, che la dematerializzazione è una grande opportunità per il settore, dall'altra non nascondono che le difficoltà incontrare lungo il cammino sono state molteplici: da ultimo le nuove modifiche rilasciate dal Sian solo nei giorni scorsi, dopo mesi di confronti e di richieste in tal senso dall'associazione di categoria Assosoftware (vedi dopo).

 

Le problematicità già emerse

Partiamo da uno dei leader di mercato: la software house di Torino, Sistemi (30 mila clienti, 274 dipendenti, 40 anni di esperienza), il cui referente per il settore vino, Massimo Marietta, è anche il coordinatore della categoria al tavolo di confronto con il Ministero. “Quello del Mipaaf” dice “è un progetto ambizioso e complesso ed era prevedibile che lungo il cammino arrivassero diverse modifiche da apportare. Tuttavia i nuovi aggiornamenti hanno risolto una serie di criticità ma ne restano ancora di aperte”. Quali sono? “Per esempio, la gestione del pregresso per poter lavorare in continuità con quanto comunicato sul registro telematico fino ad ora. Ovviamente adeguare i software in poco tempo di per sé non rappresenta un problema, ma aggiornare i clienti in tempi brevi, nella fattispecie trenta giorni, potrebbe esserlo”.

Non è l'unica problematica emersa in questi mesi ai tavoli di confronto con tutta la filiera, così come ci ricorda lo stesso Marietta: “Il passaggio al registro telematico ha digitalizzato e messo in chiaro l'interanormativa italiana del vino, con tutte le casistiche possibili, tradotte in valori, codici, tabelle. Tutto fattibile dal punto di vista tecnico, più complesso l’aspetto interpretativo: si tratta di diffondere una nuova cultura normativa legata al vino, e non è una mera questione tecnica ma una questione applicativa che coinvolge anche consulenti enotecnici, associazioni di categoria e gli stessi enti istituzionali”.

 

La vendemmia: il vero banco di prova

Ma cosa bisogna prevedere nei prossimi mesi? “Altro quesito a cui a oggi è impossibile rispondere è cosa succederà con la prossima vendemmia: di fatto nessuno ha potuto testare il sistema durante la fase di trasformazione del prodotto, che sarà la vera sperimentazione sul campo del registro telematico. I nostri software sono pronti, certo servirà verificare l’impatto sul Sian anche nella fase di vendemmia”.

Qual è stata, invece, la risposta delle aziende vitivinicole in questi mesi di adeguamento? “La risposta è stata in linea con le aspettative” dice Marietta. “Sistemi oggi ha oltre 500 clienti nel mondo vitivinicolo, ai quali propone una soluzione completa e modulare (Sistema Enologia), con la possibilità di scegliere se acquisire solo la parte telematica, con un canone di utilizzo di poche decine di euro al mese, o attivare un progetto di informatizzazione più ampio che può riguardare la campagna, la cantina, la commercializzazione e l’amministrazione, con una spesa - va da sé – commisurata ai processi gestiti”.

 

Come cambia la figura del consulente

Con la dematerializzazione” conclude il responsabile di Sistemi “vediamo un’interessante opportunità di supportare le aziende del vino nella riorganizzazione dei loro processi in ottica di maggiore efficienza. Questo ha rivitalizzato il mercato del software gestionale specializzato nel settore enologico: clienti di vecchia data hanno integrato la soluzione già in utilizzo con la nuova gestione dei telematici e molte aziende che utilizzavano software obsoleti hanno scelto di investire in una soluzione organizzativa integrata, come la nostra”.

Per quanto riguarda l'altro versante? “Dall'altra parte si è mosso il mercato dei consulenti: anche loro hanno dovuto affrontare questo importante cambiamento, e aggiornare gli strumenti di lavoro. Di fatto la dematerializzazione avvicina ancora di più queste figure professionali all'attività di cantina e a tutto il processo organizzativo e produttivo”.

Insiste sul ruolo dei consulenti anche Marco Battaglia, amministratore delegato di Jsotftware srl di Grosseto: “Credo che per un'azienda mediautilizzare la piattaforma del Sian, senza software appositi o senza esperti della materia sia molto complicato. Molti, infatti, preferiscono rivolgersi a dei consulenti. Figure, queste, cheprima guardavano ai software gestionali come a delle minacce, e che adesso, a loro volta li comprano e utilizzano. Per questo, nel pacchetto che proponiamo abbiamo creato anche delle versioni multi soggetto, con la possibilità finale per gli stessi tecnici di emettere fattura a fine prestazione”.

La soluzione brevettata dal gruppo toscano si chiama da J-Mipaaf vino, anche qui un sistema modulare:il programma può, quindi, essere utilizzato come semplice data entry fino a diventare gestionale. E anche qui i costi sono variabili: dai 200 ai 1000 euro per il solo data entry, cui bisogna aggiungere il canone annuo (circa il 20-25% del prezzo). Nel caso di gestionali veri e propri, invece, si parte dai 3 mila euro fino a 15 mila. Al momento le cantine che hanno già comprato il pacchetto J-Mipaaf sono più di 200, cui bisogna aggiungere le altre strutture (quasi un centinaio) che hanno comprato il prodotto finito e lo rivendono con il loro marchio e la propria assistenza. “A un mese dal termine ultimo per mettersi in regola” rivela il nostro interlocutore “mancano ancora diverse cantine all'appello, ma è un atteggiamento tipico italiano, per cui non ci sorprenderebbe un boom di richieste a partire dal primo maggio”.

 

Il precedente: la digitalizzazione per l'export

Guardando al passato, lo stesso Battaglia ci ricorda come non sia la prima volta che l'agroalimentare si trova alle prese con passaggi epocali legati alla digitalizzazione. Era il 2011 quando entrava in vigore la Direttiva 118/2008/EC, ovvero l'obbligo per tutti gli Stati membri di aderire all'Emcs, un sistema informatizzato, che mandava in pensione il vecchio documento cartaceo di accompagnamento. “Quello per il nostro gruppo fu il primo banco di prova”ci dice“E anche in quel caso, nelle fasi iniziali, si brancolava nel buio. Poi il passaggio è stato abbastanza naturale. E allora come oggi, noi sviluppatori finiamo per diventare dei consulenti, degli intermediari tra aziende e legislatori, se non addirittura interpreti delle norme. Non di rado ci è capitato di interfacciaci con funzionari di uno stesso ufficio che interpretavano in modo differente la stessa normativa”.

Ha iniziato a “frequentare” il settore agroalimentare con il sistema accise, anche Taweb, la software house con sede ad Avezzano, che nasce nel 1992 per la gestione del settore petrolifero, per poi continuare il suo percorso anche in altri ambiticon l’attribuzione del marchio IBM Business partner. “Per adattarci al sistema vino” ci spiega Marcello Gallese abbiamo semplicemente adattato al vino i nostri gestionali. Lavoriamo per lo più in cloud - ma offriamo anche soluzioni su licenza – in modo che il sistema risulti accessibile da qualunque piattaforma, senza problemi di salvataggio. Molto congenito, ad esempio, ai consulenti, che possono, così, gestire più aziende a distanza. Dal canto nostro, una volta che il cliente ha firmato il contratto, gli forniamo le credenziali e prepariamo l'ambiente in cui andrà a lavorare. Per iniziare normalmente bastano quattro ore di formazione. Dove possiamo, andiamo anche a domicilio”. Poi, come con gli altri programmi, avviene la sincronizzazione al portale ministeriale, che può essere fatta manualmente, o in automatico, scegliendo precedentemente la tempistica. Il tutto supportato da un sistema di tracciabilità per registrare i tentativi di collegamento al Sian, nel caso quest'ultimo non funzionasse. La forbice di prezzo per il prodotto di Taweb va dai 590 euro ai 2800 annuali, mentre i codici Icqrf già lavorati sono circa un migliaio, tra quelli di singole cantine e quelli che fanno capo ai consulenti. “Il problema è che ci si sta attardando un po' troppo” continua “le prime vendite concrete sono arrivate a novembre e prevediamo che molte arriveranno nelle prossime settimane, proprio sul gong. Mentre c'è chi spera ancora in un'ulteriore proroga. Ovviamente i tempi così stretti potrebbero causare dei piccoli problemi di gestione, soprattutto nel seguire tutte le cantine. Ma noi siamo pronti”.

 

Il progetto troppo ambizioso del Mipaaf

C'è poi chi, in tempi non sospetti, aveva già puntato sulla digitalizzazione dell'agricoltura, com'è il caso - lo dice anche il nome stesso - della cesenate Agronica. “Da sempre proponiamo soluzionisoftware per la gestione del vigneto, della cantina e della contabilità” dice l'amministratore Valerio Raggi un autentico erp all-in-one per le aziende. Da cinque anni abbiamo registrato i primi brevetti e adessol'arrivo del registro telematico è andato a modificare solo il nostro approccio tecnico per poterci interfacciare con il Sian: è stata una sorta di completamento della piattaforma”.

Anche in questo caso le soluzioni, quindi, sono molteplici e corrispondono a diversi moduli, mentre il target è alquanto variegato. “Il target migliore” continua Raggi “è quello delle cantine mediamente strutturate, perché difficilmente le piccole percepiscono il vantaggio di una piattaforma integrata. In generale, comunque, l'approccio del vino italiano alla digitalizzazione è stato un po' scompigliato: c'è chi non ne ha voluto sapere nulla e si è rivolto a consulenti, c'è chi si è dotato di software esclusivamente legati alla compilazione dei registri, e poi ci sono i nostri clienti storici che sono andati in continuità, o ancora i nuovi arrivati che hanno accolto la nostra proposta, cogliendo soprattutto l'opportunità della dematerializzazione. Facendo un bilancio, posso comunque dire che non c'è stato il boom post-registro che ci si poteva aspettare”. Ad oggi, sono in circa 300 ad aver utilizzato il software Agronica per la compilazione del registro telematico, mentre le soluzioni proposte variano dai 2 mila euro fino ai 30 mila, anche qui in base alle esigenze e alla struttura aziendale.

Domanda d'obbligo: entro il 30 aprile, riusciranno “i nostri eroi”? “Senz'altro quello del Sian non è un sistema semplice” conclude il responsabile Agronica“forse il Mipaaf ha chiesto troppo in modo troppo ambizioso.Tuttavia noi, dal canto nostro, ce la stiamo mettendo tutta per gestire questa complessità. Siamo fiduciosi”.

 

Il ruolo da intermediario di Assosoftware

In questo passaggio epocale per il mondo vitivinicolo, fondamentale è stato il ruolo di Assosoftware, associazione aderente a Confindustria,scelta dal Mipaaf come referente istituzionale e intermediario tra lo stesso ministero e le software house. “Sono state una ventina le aziende che hanno seguito tutta la difficile fase di sperimentazione seguita passo passo dalla nostra associazione anche tramite un forum di supporto” dice il direttore generale Roberto Bellini. “È stato un lavoro enorme che ha anche presupposto grossi investimenti dalle stesse software house, che adesso sperano di poter rientrare nei costi”.

Ma ancora non è finita e Bellini non nasconde le difficoltà incontrate nel percorso:“Prima di tutto da un punto di vista tecnico, dove il problema è a monte, generato dalla poca flessibilità del sistema normativo. Noi avevamo chiesto al Mipaaf meno vincoli. Un esempio su tutti: per ogni operazione è necessario seguire una logicadifferente. Non si possono caricare tutti i dati e mandarli al Sian, perché quelli che non riguardano l'operazione specifica vengono conteggiati come errori, invece di essere ignorati come avevamo auspicato. Errori che ricadono, e sono già ricaduti, sugli stessi sviluppatori, sia in termini di tempi, sia di oneri. L'altro problema è sulla tempistica: solo pochi giorni fa sono arrivate le ultime modifiche che avevamo concordato col Sian per gennaio scorso. Adesso bisognerà fare tutte le revisioni del caso e testarle entro un mese”.

In quest'ottica uno slittamento dei termini al 30 giugno, come richiesto da più parti, non sembrerebbe insensato, sebbene l'ad di Assosoftware ci tiene a specificare che “da un punto di vista logistico l'estate non sarebbe il periodo migliore, vista la vicinanza del momento più impegnativo dell'anno per le cantine, ovvero la vendemmia. Forse sarebbe meglioposticipare all'autunno. Ma” sottolinea “noi ci occupiamo degli aspetti tecnici,il resto lo decida il settore vino. Senza contare che le nostre associate non hanno nessun interesse a tirarla ancora per le lunghe, dopo tutto il tempo e gli investimenti fatti”. Ultima,ma non meno importante problematica: la gestione della comunicazione e della formazione rivolte all'utente finale, le cantine: “Non possiamo essere solonoi a farci carico di questa parte” conclude Bellini “e ci saremmo aspettatiun maggiore supporto da parte di tutta la filiera agricola in un momento così decisivo”.

 

Le associazioni di categoria: “Alle cantine serve più tempo”

Intanto, continua il confronto in Commissione Agricoltura delle Camere per fare il punto sul registro telematico. Nel corso dell'ultima audizione, Agrinsieme (Alleanza delle Cooperative Agroalimentari, Cia, Confagricoltura e Copagri) e Coldiretti hanno chiesto una proroga della fase transitoria. Proposta già avanzata qualche giorno fa da Massimo Fiorio e altri esponenti della stessa Commissione, con l'ipotesi del 30 giungo come data ultima per adeguarsi.

Ad oggi” sottolinea Agrinsiemecirca la metà degli operatori non è ancora iscritto, mentre l’altra metà ha già investito risorse finanziarie e umane per lo sviluppo del registro”. Inoltre, l'auspicio del gruppo è che la telematizzazione costituisca una opportunità e non un onere. “Per farlo” continua “sarà necessario che la cantina, una volta immessi i dati nel Registro telematico, non sia più tenuta a fare comunicazioni, mail, fax e pec, incluse le comunicazioni agli organismi di controllo”. Per Coldiretti “Lo slittamento consentirà ai produttori e operatori di avere maggior tempo a disposizione per familiarizzare con il nuovo strumento e i nuovi meccanismi, ridurre gli errori e operare in serenità”.

 

a cura di Loredana Sottile

 

 

Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri del 30 marzo

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La Reggia di Caserta e il brand culturale. L'idea di Felicori dalla mozzarella al miele, all'Amaro

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Tutela dell'identità storica e culturale, valorizzazione artistica e promozione territoriale. È una visione integrata, che unisce interessi pubblici e privati, quella promossa da Mauro Felicori per riabilitare l'immagine della Reggia di Caserta. E molto può fare la produzione agroalimentare: dalla bufala all'ultima iniziativa che valorizza le erbe del giardino storico. Presto la Reggia avrà il suo Amaro. 

Il brand Reggia di Caserta

La rivoluzione che Mauro Felicori sta conducendo alla Reggia di Caserta - che proprio nei prossimi giorni ospiterà il G8 delle residenze reali europee per discutere di turismo di massa e Regge - procede spedita senza clamori, né colpi di testa. Ma è molto concreta, e fa bene al patrimonio culturale italiano e campano. Da quando ha assunto la direzione del complesso vanvitelliano (era l'autunno del 2015), che il mondo ci invidia ma prima di lui giaceva in stato di colpevole incuria, la Reggia è tornata a far parlare di sé per la serie positiva di iniziative degne di nota che accrescono il prestigio del “brand”. Perché in fondo di brand si può (si dovrebbe?) parlare di fronte a un circuito museale che nel 2016 ha fatto registrare incassi per quattro milioni di euro, portando alle porte di Caserta oltre 650mila visitatori. La Reggia e il suo giardino, l'anno scorso, sono stati il nono monumento più visitato d'Italia. E proprio la scorsa estate Felicori sottoscriveva, con il plauso del sottosegretario ai Beni Culturali Antimo Cesaro, un progetto pilota in collaborazione con il presidente del Consorzio della Mozzarella di Bufala Campana Dop Pier Maria Saccani, per la concessione in affitto delle Cavallerizze (la scuderia borbonica del Palazzo Reale) per dodici anni all'organismo di tutela, dietro compenso di 80mila euro annui. Al Consorzio l'onere di ripristinare lo spazio per trasferirci il proprio quartier generale, così da unire le forze tra eccellenze del territori, valorizzando il patrimonio del casertano. Come succederà il 6 aprile, quando il Consorzio, con lo chef Peppe Daddio, organizzerà la cena a base di prodotti tipici per gli invitati al summit delle Regge.

Dalla bufala all'Amaro. La nuova sfida

L'idea, già allora, era quella di riabilitare uno dopo l'altro tutti quegli spazi rimasti inutilizzati o abbandonati al degrado, in sinergia con l'iniziativa privata. Con ricadute positive sul fronte culturale, commerciale e occupazionale. Così, mentre sul progetto bufala il Consorzio prevede di investire complessivamente un milione di euro senza escludere che un giorno si possa arrivare a produrre una mozzarella a marchio Reggia di Caserta, Felicori torna all'attacco per sollecitare nuove collaborazioni. La prima, che valorizzerà erbe ed essenze del giardino inglese progettato alla metà del Settecento da Vanvitelli, si è concretizzata circa un mese fa tramite avviso per manifestazione d'interesse (chiuso il 14 marzo) con l'obiettivo di selezionare un produttore di liquore che per quattro anni potrà disporre del marchio per imbottigliare un amaro made in Italy unico nel suo genere. Una volta perfezionata la ricetta – con erbe e profumi del giardino come furono messi a dimora nel 1786 con la supervisione del giardiniere di corte John Graefer: canfora, citronella, arancia amara, camelia, cicoria, finocchietto, bacche di mirto, ulivo, bergamotto e limoni - il distillato della Reggia sarà venduto presso il bookshop del museo e nei punti vendita indicati dalla distilleria. E le royalty garantiranno un utile in più per la gestione del complesso. Ma il direttore punta anche a riabilitare la vigna borbonica di San Silvestro, che presto sarà assegnata in gestione per quindici anni e permetterà di produrre il Pallagrello della Reggia. E poi c'è l'Aperia di corte, da riportare in auge per ottenere il miele “reale”.

I precedenti. Il Potager Royal della Venaria

Sul modello di quanto con successo avviene da anni nei Giardini della Reggia di Venaria, a Torino, dove è stato rimesso a coltura il più grande Potager Royal d'Italia, dieci ettari di terreno già coltivati nell'Ottocento dall'Azienda Agricola della Real Casa che oggi ospitano nuovamente orti e frutteti allestiti secondo le descrizioni dell'epoca. Le Delizie del Potager Royal - composte, salse e una linea di purea di frutta per bambini – sono tra i prodotti più apprezzati al Caffè degli Argenti, e attraverso la valorizzazione gastronomica tutelano l'identità del luogo. Speriamo che alla Reggia di Caserta possa consolidarsi lo stesso circuito virtuoso.  

 

a cura di Livia Montagnoli

World's 50 Best Restaurants 2017. Vince Eleven Madison Park, Bottura perde lo scettro. Soddisfazione Romito

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Dal Royal Exhibition Building di Melbourne la cerimonia di premiazione dei migliori 50 ristoranti nel mondo. Per l'Italia un quartetto nell'Olimpo, ma Massimo Bottura perde lo scettro. Bene gli altri italiani, che salgono: Enrico Crippa, Massimiliano Alajmo e, per la prima volta, Niko Romito, che entra al 43. 

Da New York a Melbourne il passo è breve. Almeno quando ti chiami World's 50 Best Restaurants. E così, un anno dopo il Cipriani Wall Street, il gotha della ristorazione internazionale si trasferisce in Australia per celebrare una nuova classifica nel segno del genio gastronomico, che nel 2016 ha visto trionfare il nostro Massimo Bottura. E con lui la cucina italiana. Da tempo la lista dei 50 partorita nel 2002 dalla rivista inglese Restaurant Magazine, e stilata sotto l'egida di vari sponsor tra cui Diners e ovviamente San Pellegrino con il contributo di una giuria di 837 esperti del settore di tutto il mondo, è in grado di ridisegnare gli equilibri dell'alta cucina globale, premiando di fatto non tanto la qualità e il talento intrinseci quanto l'autorevolezza internazionale raggiunta dagli chef ammessi tra i migliori. Se questo sia un limite o semplicemente una peculiarità della classifica più mediatica dell'universo gastronomico non spetta a noi dirlo, anche perché facciamo classifiche anche noi con un approccio però totalmente diverso.
Di fatto anche Melbourne negli ultimi giorni si è fatta contagiare dall'entusiasmo per l'arrivo dell'esercito di chef che fino a qualche minuto fa, nella prima serata australiana, ha onorato la cerimonia del Royal Exhibition Building ai Carlton Gardens. La più attesa, la quindicesima nella storia del premio - e per il 27 giugno William Drew annuncia una grande festa a Barcellona con i vincitori di tutte le edizioni - dopo le anticipazioni che negli ultimi mesi (anche l'annuncio cadenzato fa parte di una riuscita strategia di comunicazione, che mantiene sempre alto l'hype) avevano portato all'attenzione nell'ordine il riconoscimento per la miglior chef donna del 2017 – la slovena Ana Ros, che sul palco parla di planning intelligente, rete virtuosa di produttori, donne che lavorano nella ristorazione, “tutto è possibile, e questo è il miglior messaggio che posso trasmettere” – il premio alla carriera per Heston Blumenthal, il One to Watch Award (il ristorante da tenere d'occhio) assegnato al catalano Disfrutar, e, solo qualche giorno fa, la parte bassa della classifica, i primi esclusi dai 50, con le posizioni dalla 51 alla 100 (con per l'Italia vede Davide Scabin al 59).

 

La cerimonia. Il podio, Bottura perde lo scettro

E così, mentre la città seguiva la cerimonia degli Oscar della ristorazione sui maxi schermi allestiti in Federation Square, la platea in sala (poco meno di mille persone) accompagnava trepidante il count down, fino al primo gradino del podio (prima però la sfilata sul tappeto rosso di rito, con l'omaggio del quartetto italiano al fotografo torinese Bob Noto, recentemente scomparso). Ed eccolo il terzetto di testa, in ordine crescente: El Celler de Can Roca, Osteria Francescana, Eleven Madison Park. Con Daniel Humm e Will Guidara che scippano nella geopolitica globale, dopo solo un anno, lo scettro a Massimo Bottura. Ma la delusione per lo chef modenese è compensata da risultati buoni o buonissimi degli altri italiani: Enrico Crippa sale al 15 rosicchiando due posizioni, i fratelli Alajmo al numero 29 (dieci posti avanti rispetto al 39 dell'anno scorso). Gran bel salto per Niko Romito, che esordisce nei 50 al numero 43 con il suo Reale. Nel 2016 era all'84. Finalmente un bel riconoscimento internazionale per uno degli chef più talentuosi della ristorazione italiana e per uno dei luoghi di ristorazione più straordinari al mondo.
Soddisfazione generale, certo, ma sempre misurata dalla costatazione che l'Italia pesa, nei 50, neppure il 10%. 

 

Chi sale, chi scende, chi entra

Buona annata per il messicano Enrique Olvera, che sale con Pujol, dal 25 al 20, ma soprattutto esordisce con l'insegna newyorkese Cosme. E alle porte di New York festeggia anche Dan Barber, che fa registrare la scalata più alta con Blue Hill at Stone Burns, che lambisce la top ten passando dal 48 all'11. Chi entra tra i migliori dieci è la cucina nikkei di Maido, dal Perù (da 13 all'8), ma soprattutto Gaggan Anand, migliore dell'Asia e ora al numero 7 (nel 2016 era al 23). Mentre Alain Ducasse ritorna ai piani alti con Plaza Athenee, entrando al numero 13 (ma in generale l'annata sembra positiva per tutta la ristorazione francese, con il Pavillon Ledoyen di Yannick Allenò che si piazza al numero 31). Tra le new entry anche l'australiano Brae e l'argentino Tegui. Scendono pur restando nei 50 Quintonil, The Ledbury, Boragò, Alinea, D.O.M., Narisawa (che esce dalla top ten).

 

Gli altri premi speciali

Tra una posizione e l'altra, ecco i premi speciali svelati nella notte di Melbourne: Miglior pastry chef è il francese Dominique Ansel, ma anche il premio per la sostenibilità finisce in Francia, a Parigi, tra le mura di Septime (che dal 50 passa al 35). Mentre il preferito dagli chef è il peruviano Virgilio Martinez. E il premio per l'arte dell'ospitalità va a El Celler de Can Roca.

 

La classifica dei 50

1 Eleven Madison Park, New York, Stati Uniti

2 Osteria Francescana, Modena, Italia

3 El Celler de Can Roca, Girona, Spagna

4 Mirazur, Mentone, Francia

5 Central, Lima, Perù

6 Asador Etxebarri, Axpe, Spagna

7 Gaggan, Bangkok, Thailandia

8 Maido, Lima, Perù

9 Mugaritz, San Sebastian, Spagna

10 Steirereck, Vienna, Austria

11 Blue Hill at Stone Burns, Pocantico Hills, Stati Uniti

12 Arpege, Parigi, Francia

13 Alain Ducasse a Plaza Athenee, Parigi, Francia

14 Restaurant Andrè, Singapore

15 Piazza Duomo, Alba, Italia

16 D.O.M., San Paolo, Brasile

17 Le Bernardin, New York, Stati Uniti

18 Narisawa, Tokyo, Giappone

19 Geranium, Copenaghen, Danimarca

20 Pujol, Città del Messico, Messico

21 Alinea, Chicago, Stati Uniti

22 Quintonil, Città del Messico, Messico

23 White Rabbit, Mosca, Russia

24 Amber, Hong Kong, Cina

25 Tickets, Barcellona, Spagna

26 The Clove Club, Londra, Inghilterra

27 The Ledbury, Londra, Inghilterra

28 Nahm, Bangkok, Thailandia

29 Le Calandre, Rubano, Italia

30 Arzak, San Sebastian, Spagna

31 Pavillon Ledoyen, Parigi, Francia

32 Attica, Melbourne, Australia

33 Astrid e Gaston, Lima, Perù

34 De Librije, Zwolle, Olanda

35 Septime, Parigi, Francia

36 Dinner by Heston Blumenthal, Londra, Inghilterra

37 Saison, San Francisco, Stati Uniti

38 Azurmendi, Larrabetzu, Spagna

39 Relae, Copenaghen, Danimarca

40 Cosme, New York, Stati Uniti

41 Ultraviolet by Paul Pairet, Shangai, Cina

42 Borago, Santiago del Cile, Cile

43 Reale, Castel di Sangro, Italia

44 Brae, Birregurra, Australia

45 Den, Tokyo, Giappone

46 L'Astrance, Parigi, Francia

47 Vendome, Bergisch Gladbad, Germania

48 Restaurant Tim Raue, Berlino, Germania

49 Tegui, Buenos Aires, Argentina

50 Hof Van Cleve, Kruishoutem, Belgio

 

a cura di Livia Montagnoli


Dalle isole Lofoten a Vicenza: tutta la storia del bacalà alla vicentina

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La storia del bacalà alla vicentina nasce oltre 500 anni fa, parte dalla Norvegia e arriva ai giorni nostri, e si avvale di una Confraternita che certifica le ricette migliori e più fedeli alla tradizione. Ecco la sua storia.

Centinaia di pesci che ballano al vento

Le isole Lofoten, e le sorelle Versterålen, sono dei piccoli grandi fari sul Mare di Norvegia dove, in queste settimane, cominciano a riempirsi i fiskehjel, i caratteristici graticci di legno che ospitano centinaia e centinaia di merluzzi stesi ad essiccare. I norvegesi si arrampicano sulle impalcature di legno per appendere i merluzzi, due a due come fossero ciliegie. I fiskehjel rappresentano un vero e proprio tratto distintivo del paesaggio norvegese

 

merluzzo norvegia

Facendosi strada tra la neve e riempendosi gli occhi di immagini glaciali e cieli artici in questo periodo negli arcipelaghi boreali della Norvegia è possibile assistere alla primissima e affascinante fase del processo di lavorazione del merluzzo, che diventerà poi baccalà o stoccafisso. I due termini non sono equivalenti: con il primo si intende il merluzzo sotto sale, con il secondo quello essiccato. Attenzione, però: a Vicenza, la parola bacalà (con una sola C) individua lo stoccafisso.

I cod fish(ovvero i merluzzi) norvegesi, il cui nome scientifico è Gadus morhua, sono considerati, per la qualità e la purezza delle carni, i migliori al mondo e rappresentano un importante patrimonio culinario. Dal 2015 lo stoccafisso norvegese è stato insignito del riconoscimento IGP, Tørrfisk fra Lofoten IGP è quindi per l’unione Europea un prodotto con una Indicazione Geografica Tipica.

norvegia

Non c’è bacalà alla vicentina senza merluzzo artico

Per quanto possa sembrare strano, in Italia c'è una ricetta tradizionale che richiede l'impiego proprio del cod norvegese: il bacalà alla vicentina. Un piatto che esige la massima attenzione agli ingredienti e una delle ricette più antiche del nostro paese, che richiama a quello che già Pellegrino Artusi aveva definito un “montebianco di pesce artico e latte” dati i suoi ingredienti principali.

La preparazione ha come ingrediente imprescindibile il merluzzo delle isole Lofoten. Perché proprio quello? Perché secondo la tradizione il baccalà arriva in Veneto a metà del '400 portato da naviganti che, in seguito a un naufragio, approdarono sulle isole Lofoten e scoprirono gli stoccafissi locali che poi riportarono in Italia dove ebbe successo per bontà, qualità, per la possibilità di essere conservato, e il costo più contenuto rispetto al pesce fresco. Così divenne l'ingrediente prediletto del piatto simbolo della città. Mentre il soffritto di cipolla bianca rosola a fuoco medio e si fonde con l’acciuga, si prepara il bacalà per l’immersione. Trattato precedentemente con la classica e scrupolosa pratica della battitura, il pesce incontra l’olio caldo solo quando gli aromi si sono diffusi alla giusta temperatura. Dopo un breve rosolare nell’olio, il baccalà viene ricoperto di latte e qui resta a ‘pipare’ per almeno cinque ore.

Abbiamo conosciuto meglio questa materia prima con Antonio Chemello, chef della Trattoria Da Palmierino a Sandrigo, rinomata per il suo bacalà fedele alla tradizione. Chemello è membro del direttivo della Confraternita del Baccalà alla Vicentinae dal 2009 è stato insignito del titolo di Ambasciatore del Tørrfisk fra Lofoten IGP in Italia direttamente dall’Associazione Produttori dello Stoccafisso norvegese, Torrfiskforum, e dalla Commissione norvegese per l’Esportazione dei prodotti ittici in Italia, il Norwegian Seafood Export Council (NSEC).

Lo chef, per molti il Re del bacalà alla vicentina, racconta delle frequenti sortite all’isola di Røst e della terza via, dopo quella dell’olio e del vino: la Via del Baccalà la cui inaugurazione è attualmente sul tavolo della commissione Europea.

bacalà

Parliamo del cod norvegese. Cosa lo rende così prezioso?

A renderlo prezioso è la natura di cui si nutre, sia letteralmente prima di essere pescato, che metaforicamente una volta che viene lavorato. La Norvegia ha una antichissima tradizione nel trattamento del merluzzo. Complice la complessità organolettica del pesce in sé, l’utilizzo delle antiche pratiche restituisce un vero e proprio capolavoro del gusto; da trattare con cura.

 

Viaggia spesso verso quella che è l’isola più a sud dell’arcipelago artico norvegese, Røst. Esistono delle pratiche anche molto suggestive nella lavorazione del merluzzo artico…

I norvegesi sono una popolazione radicalmente connessa alla natura che vive, conoscono il progresso sapendo far tesoro della grande tradizione. Le pratiche di pesca che vengono utilizzate in Norvegia, e mi riferisco a quelle antiche, sono una risorsa di grandissimo pregio. Il merluzzo pescato coi metodi antichi conserva un sapore del tutto diverso rispetto a quello pescato in maniera massiva. Dividiamo quindi in primis il baccalà tra quello pescato all’amo e quello invece pescato in rete. Una volta pescati i merluzzi vengono lasciati al trattamento di Madre Natura e delle sue preziose correnti. È la natura a fare la differenza.

 

Il motivo della grande differenza tra il baccalà pescato all’amo e quello pescato con la rete?

La pesca con la rete è una pesca massiva, i pesci vengono catturati passivamente, con i loro movimenti vanno incontro alle reti rimanendo catturati per “ammagliamento”. Nella maggior parte delle volte capita che i merluzzi si ammassino nelle rete e che, quindi, in parte vengano soffocati dai compagni di sventura. Quando il pesce muore soffocato l’ossigeno non irrora i tessuti e ciò ha una incidenza sul sapore e sulla sostanza delle carni. Gli stessi norvegesi, per la tutela dell’IGP stanno tornando all’amo: pratica certamente meno conveniente in termini economici ma anche più consona a preservare il sapore inconfondibile dello stoccafisso norvegese.

 

Nel suo ristorante Trattoria da Palmerino a Sandrigo, si mangia il vero Bacalà alla vincentina. C’è un segreto nell’esecuzione di questa antica ricetta?

Il segreto del bacalà alla vicentina è la battitura del pesce, si tratta di una pratica antichissima e largamente conosciuta anche in Norvegia che serve a sfibrare il pesce. Se la pratica della battitura è ben fatta lo stoccafisso dovrà stare a mollo per un massimo di due giorni, se la battitura è fatta male allora occorreranno oltre otto giorni di ammollo. Qui c’è gran parte della differenza tra un buon piatto e uno mediocre. Sono poi banditi prodotti chimici di sbiancamento che sempre più spesso vengono utilizzati nelle cucine; il bacalà alla vicentina esige solamente prodotti naturali e di alta qualità. Il pesce viene messo in ammollo per un paio di giorni, in questo modo perde la componente salata che è stata fondamentale per la stagionatura. Il baccalà non deve sfaldarsi. Dal pesce maltrattato non si scappa: puoi accorgerti facilmente delle vicende che il pesce ha avuto prima di finire nel piatto dall’odore, dalla vista e anche dal tatto. Il baccalà non mente.

 

Il baccalà non mente?

Esatto, quello alla vicentina, poi, è cucinato con il latte, elemento fin troppo sincero. Intendo dire che ogni ingrediente utilizzato per la preparazione della ricetta originaria necessita grande attenzione. Poi si deve adoperare tutta la pazienza di cui disponiamo perché il bacalà alla vicentina è figlio di una preparazione sapiente, dalle dinamiche ben stabilite e dai tempi molto precisi.

 

Parliamo del gemellaggio tra Sandrigo e Røst, l’isola al largo dell'estremità sudoccidentale delle Lofoten.

Røst è l’isola prediletta per la stagionatura del baccalà. L'ultima in direzione sudoccidentale, immersa nell’Atlantico settentrionale. L’isola si differenzia dalle altre per la sua conformazione meno estrema: approdando a Røst dimentichiamo le montagne a picco sul mare, che lasciano spazio alle grandi distese. E proprio questa conformazione geofisica è il segreto della migliore stagionatura: grazie alle pianure di Røst i venti hanno una portata importante sul territorio. Il gemellaggio con Sandrigo, comune del vicentino dove la tradizione del Bacalà è leggenda, nasce dal 2002. Quando è stato suggellato il gemellaggio i norvegesi hanno donato a Sondrigo uno scoglio delle Lofoten e Sandrigo, per ricambiare il gesto di affetto e riconoscenza, ha intitolato una piazza a Røst.

 

Un conto il baccalà, un conto lo stoccafisso: il primo salato l’altro secco. Eppure a Vicenza anche la terminologia è un mondo a parte…

A Vicenza diciamo bacalà, con una sola ‘c’, per indicare lo stoccafisso. Per questo la ricetta di quello alla vicentina… perde una ‘c’”.

 

Come nasce l’idea di una confraternita?

La confraternita nasce 30 anni fa grazie alla passione dell’avvocato Michele Benetazzo, fondatore dell’associazione e ideatore del gemellaggio: lo spirito era quello di far rivivere un meraviglioso piatto della tradizione nella ricetta del Bacalà alla Vicentina, che – come molte altre – è una ricetta che ha rischiato di essere dimenticata. La confraternita si componeva, sin da allora, da gastronomi, anche molto esperti, un gruppo affiatato e appassionato. Arriviamo oggi a festeggiare il trentennale.Tutti gli anni viene organizzato un evento che si tiene le ultime due domeniche di settembre: si debutta con un gran galà al quale partecipano tutti i ristoratori che fanno parte dell’organizzazione, che sono oltre 50.

 

Sono eventi tutti dedicati al bacalà?

Il grande protagonista è chiaramente il bacalà alla vicentina, ma siamo anche aperti a sperimentare diverse proposte come gli gnocchi, i bigoli al torcio, il baccalà mantecato, il risotto con il baccalà. L’evento raccoglie un numero di presenze altissimo, anche 40 mila persone. Stiamo iniziando anche ad inserire diverse tipologie di baccalà: quello all’anconitana, quello alla messinese e quello alla ligure. I ristoratori della confraternita si impegnano anno dopo anno a preservare la tradizione senza mai un passo indietro sulla qualità. Presto, inoltre, sarà inaugurata la Via del Baccalà che, insieme con quella dell’olio e del vino, traccerà in maniera definita il percorso di una grande eccellenza.

 

La via del Bacalà. Spiegaci meglio

Sì. Vi parlo prima della Via Quirinissima: nasce dieci anni fa sulla scorta della mia curiosità sulla vicenda di Messer Piero Quirino,mercante che partì da Creta, allora Candia, per circumnavigare il Portogallo e alle Fiandre incontra la tempesta perfetta. Si mette in salvo su una scialuppa insieme con 11 marinai e viene trasportato dalla corrente del Golfo sulla meravigliosa isola di Røst. Siamo nel dicembre del 1431. A Rost viene messo in salvo e abita questa bellissima terra per cento giorni. Qui scopre lo stoccafisso.

Decide di ripartire alla volta dell’Italia e per affrontare il viaggio i norvegesi gli forniscono 60 stoccafissi. Per rendere omaggio alla vicenda del Quirino, dieci anni fa abbiamo deciso di replicare la sua rotta e siamo partiti da Piazza San Marco a Venezia. Abbiamo impiegato due mesi ad arrivare a Røst, due mesi di navigazione serrata. Cinque anni dopo abbiamo fatto il percorso inverso e con una cinquecento gialla da Røst siamo tornati in italia. Ci siamo caricati 60 stoccafissi per oltre 9 mila chilometri. È proprio questo il tracciato della via del Baccalà, sul tavolo del Consiglio d’Europa che è in procinto di deliberare in ultima istanza.

 

La ricetta del bacalà alla vicentina

Stoccafisso

olio extravergine di oliva

cipolla

sarda

latte

Per prima cosa si prepara un fondo di olio - circa mezzo litro per ogni chilo di stoccafisso - cipolla e una sarda. Una volta che il soffritto è pronto vi si adagia lo stoccafisso. Una volta insaporito il pesce con le cipolle e la sarda, si ricopre interamente di latte.

A questo punto il merluzzo deve ‘pipare’, come si dice in Veneto, per almeno cinque ore a fiamma bassissima e distante dal fuoco vivo. Attenzione agli ingredienti: uno dei segreti del Bacalà perfetto è l’olio, rigorosamente evo e dal sapore delicato. È indicato quello ligure per il sapore amabile, meno consigliato quello umbro dal sapore certamente robusto.

 

I ristoranti che vogliono aderire alla Confraternita del Bacalà alla Vicentina possono inoltrare richiesta accedendo al sito della Confraternita che accoglie le istanze e invia i propri ispettori per diverse volte prima della delibera. Fondamentale il rispetto della tradizione e l’attenzione alla materia prima. Se il Bacalà viene ritenuto idoneo allora il ristorante viene insignito della targa, riconoscimento di appartenenza alla Confraternita e quindi al circolo del Bacalà alla Vicentina. La targa però non è per sempre: le ricognizioni sull’utilizzo delle materie giuste e sulla procedura di lavorazione dell’antica ricetta sono continue. Ci sono ristoranti affiliati alla Confraternita in tutto il mondo: Londra, Australia e, chiaramente, Røst.

 

www.baccalaallavicentina.it

 

 

a cura di Valentina Capati

Vinitaly and the City. Appuntamenti collaterali, degustazioni e intrattenimento nella Verona del Vinitaly

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Dalle masterclass di Signorvino all'esclusiva asta del Comitato Grandi Cru d'Italia, dal concerto di Joe Bastianich al salone del biologico. Le iniziative collaterali che animeranno Verona durante il Vinitaly: qualche suggerimento. 

Verona e il Vinitaly

Si avvicina l'apertura del Vinitaly, che dal 9 al 12 aprile si appresta a celebrare l'edizione numero 51 nei padiglioni di Veronafiere. Ma, dal 7 all'11 aprile anche la città godrà del fermento che anima una delle più prestigiose fiere internazionali del vino, partecipando all'evento con una serie di iniziative riunite sotto il cappello di Vinitaly and the City. Il circuito, che coinvolge spazi pubblici, musei e insegne veronesi per cinque giorni di eventi all'insegna del vino, della musica e dell'intrattenimento è già collaudato e promette di regalare tanti spunti per continuare a godere dell'atmosfera del Vinitaly anche nelle serate veronesi. Sarà la Loggia di Fra Giocondo, venerdì 7, a ospitare l'aperitivo inaugurale a partire dalle 20. E già sabato 8 aprile, alla vigilia dell'apertura dei cancelli di Veronafiere, si segnalano interessanti opportunità di degustazione. Sempre alla Loggia di Fra Giocondo, dalle 16, va in scena Sorsi d'autore, con degustazione di Falerno del Massico in compagnia dello scrittore Valerio Massimo Manfredi, che presenterà il suo ultimo libro Teutoburgo. E più tardi, dalle 20, sarà Renato Bosco a intrattenere il pubblico con uno show cooking dedicato alla pizza gourmet in abbinamento al vino, a cura di I love Italian Food. Mentre alla Loggia Antica, dalle 17 di sabato, si degusterà il grande Pinot nero italiano per L'eleganza nel calice; la masterclass coinvolgerà Elena Walch, Pfitscher e Laimburg.

 

Wine Circus da Signorvino

I negozi Signorvino (in città a Corso Porta Nuova, e in Valpolicella a via Preare), invece, ospiteranno un ricco calendario di appuntamenti dedicati ad appassionati e amanti del vino per tutta la durata della manifestazione. Wine Circus è il tema dell'iniziativa che associa wine tasting e live music, con degustazioni per amatori a partire da 5 euro e corsi gratuiti (30 minuti, su prenotazione, fino al 15 aprile) per chi vuole avvicinarsi al mondo del vino in maniera semplice e divertente, sotto la guida dei Wine Specialist Signorvino. Il cartellone dell'8 aprile, per esempio, propone tre diversi momenti di approfondimento: come degustare un vino, imparare a leggere l'etichetta, come si produce l'Amarone; mentre domenica 9 si parlerà di bollicine, con Prosecco, Franciacorta e Trentodoc. E così a seguire nelle giornate successive, alla scoperta delle regioni vinicole più vocate, dalla Valpolicella alle Langhe, all'Etna. Aspettando la masterclass con Joe Bastianich in programma lunedì 10 presso l'insegna veronese dalle 17.30 alle 18.30, per una verticale di cinque annate di Vespa Bianco (50 euro e posti limitati). Mentre tutte le sere ci si ritroverà per l'aperitivo con dj set.

 

L'asta di Grandi Cru d'Italia e Biologic

Ma è la giornata inaugurale del Vinitaly quella che propone più attività collaterali meritevoli di segnalazione in città. Come la masterclass Women in red alla Loggia Antica (ore 19), con quattro grandi produttrici che presentano quattro grandi rossi d'Italia. O l'asta dei vini battuta da Christie's nelle sale cinquecentesche di Palazzo Giusti per i soci del Comitato Grandi Cru d'Italia. L'appuntamento, domenica 9 dalle 19, riunirà i 100 produttori che da almeno 20 anni producono vini ai vertici delle classifiche internazionali e nazionali, presentando un'asta di bottiglie di particolare pregio e formati speciali, ma anche annate eccellenti e verticali complete. Per un totale di 97 lotti, comprese quattro collezioni complete dei 100 vini Grandi Cru. E parte dei proventi sarà devoluto alla onlus Dynamo Camp. Seguirà cocktail conclusivo per gli ospiti concertato dal ristorante Da Vittorio. Festa di piazza, invece, si preannuncia al Cortile del Mercato Vecchio per Vinitaly and the Concert con Joe Bastianich e il suo complesso (domenica 9 alle 21). Chiudiamo con l'Arsenale di Verona, che dal 7 all'11 aprile ospiterà Biologic, tra degustazioni di vino biologico, biodinamico, food truck gourmet, presentazione di libri e incontri con i produttori.  

 

Per consultare tutti gli appuntamenti www.vinitalyandthecity.com

Wine Circus | Signorvino | Corso Porta Nuova, 2, Verona – Via Preare, 15, Valpolicella (VR) | www.signorvino.com

Asta Grandi Cru d'Italia | Verona | Palazzo Giusti, via Giardino Giusti, 2 | il 9 aprile |  www.grandicruditalia.com

Biologic | Verona | Arsenale di Verona | www.bio-logic.it

La migliore Colomba classica del 2017. Degustazione alla cieca

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Colombe in degustazione: un assaggio alla cieca tra e migliori colombe d'Italia alla ricerca della migliore. Ecco i risultati

Guida all'assaggio e guida alla scoperta delle migliori colombe classiche in Italia. Sono 12 i prodotti che abbiamo testato in una degustazione alla cieca. Come abbiamo lavorato? Un metodo semplice: abbiamo predisposto gli assaggi numerando le colombe tolte dall'incarto e da qualsiasi elemento potesse facilitarne l'individuazione. Chi ha preparato la degustazione non ha, successivamente, partecipato all'assaggio. Solo a valutazione avvenuta abbiamo scoperto i pasticcieri autori dei diversi campioni.

Nelle note, per ogni colomba, abbiamo indicato la confezione e il prezzo al pubblico, laddove comunicati.

Abbiamo messo a confronto solo colombe classiche, ma c'è da dire che – con questo termine – si trovano dolci anche diversi tra di loro, per esempio con aromi, mandorle amare o pezzetti di marzapane. Consigliamo dunque di leggere bene la lista degli ingredienti prima di procedere all'acquisto.

 

generica

Altre note su tempistiche e metodologie

Alcuni campioni sono arrivato fuori tempo massimo, e per questo esclusi. Si tratta di ottimi prodotti, alcuni li abbiamo testati fuori dal confronto. Altri, invece, non rientravano nella categoria richiesta. Quale era il taglio che abbiamo deciso di dare quest'anno alla nostra degustazione comparata di colombe? Semplicissimo: solo colombe classiche e solo firmate da grandi o giovani maestri, ma più o meno establish. Niente pasticcerie di nuovo conio, niente posti di tendenza o alla moda. Solo grandi vecchie realtà consolidate messe a confronto per la Pasqua 2017.

 

Per alcuni prodotti siamo riusciti a fare un tasting anche diverse ore dopo l'apertura (in certi casi anche a distanza di giorni) e abbiamo visto come, in taluni casi, gli aromi fossero più composti, come assestati negli equilibri, avendo smussato alcune note aromatiche che, appena uscite dalla confezioni, sovrastavano le altre. Una sorpresa che dimostra, se ce ne fosse stato bisogno, come siamo di fronte a dolci “vivi”, come è giusto che sia nel caso di prodotti artigianali.

In parte ci aspettavamo questo assestamento dopo l'apertura delle confezioni. Quel che non ci aspettavamo, però, è stata la pressione riguardo quando avremmo fatto la degustazione. Se appena arrivati i campioni o dopo, adottando maggiore o minore elasticità per la data di arrivo dei campioni. Il dubbio, a questo punto, è stato quanto possano cambiare questi dolci in 4 giorni, soprattutto visto che si tratta di prodotti non destinati a un consumo immediato dopo l'acquisto. Fatta salva la comprensibile apprensione per una valutazione abbiamo convenuto di posticipare la degustazione così da non avere nessun a colomba “fresca di giornata”. Ma di avere un confronto tra prodotti solo a circa una settimana dall'arrivo. In modo da assottigliare le differenze di “stagionatura” tra una e l'altra ed essere più fedeli all'esperienza del consumatore medio che in genere non si trova di fronte a dolci appena sfornati.


Troverete i prodotti suddivisi in quattro ambiti: 3 colombe per quanto riguarda il podio, 4 colombe in una seconda fascia di giudizio subito successiva al podio, altre 4 colombe in una terza fascia di giudizio. In fine un'ultima colomba fuori classifica.

 

Il podio

Primo classificato

 

tiri

Tiri 1957

La colomba, come deve essere. La più bella allo sguardo, gonfia, ben lievitata, netta, ache nella forma. Al taglio esprime un aroma pieno, di pasticceria, lievito, canditi, vaniglia, percepibile anche a occhio nudo. La struttura è pressoché perfetta. Il sapore è precisissimo: esattamente quel che è, nell'immaginario comune, una colomba. Con l'aggiunta di una lieve rimando acido del lievito in chiusura, appena percepibile e funzionale a lasciare la bocca equilibrata.

Confezione: 32 euro, 1 kg.

Ingredienti: farina di frumento, scorze d'arancia candita 30% (scorza d'arancia, sciroppo di glucosio, zucchero) burro, zucchero, tuorli d'uova fresche, lievito madre naturale (frumento) pasta d'arancia, miele malto, sale, vaniglia naturale Madagascar. Glassa 10%:: zucchero, mandorle, amido di riso, semola, albume, cacao.

 

Secondo classificato

Iginio Massari

Allo sguardo, la prima evidenza che appare è data dalle mandorle, presenti in dosi non proprio generose e disposte in modo molto irregolare. Per il resto la colomba è ben lievitata e di un colore giallo un po' timido. I canditi sono buoni, così come molto buono è i prodotto nel suo complesso, con un sapore pulito e pieno, e un profilo aromatico rispondente alla classica colomba. Rimane in coda un lieve rimando all'impasto e dei suoi ingredienti prima della cottura: buon risultato dell'unione tra freschezza, buona qualità degli ingredienti e umidità del prodotto e un uso perfetto del lievito. Un richiamo che comunque non è squilibrato né scomposto, al contrario.

Confezione: 38 euro, 1kg (anche in formato da 500 grammi)

Ingredienti: farina di grano tenero tipo 00, burro, zucchero, tuorli d’uova, scorze d’arancia candita, lievito naturale, miele, sale, pasta d’arancia, pasta di limone, baccelli di vaniglia. Glassa all’amaretto: zucchero, mandorle, albume, armelline, farina di mais, cacao in polvere.

 

Terzo classificato

Da vittorio

Da Vittorio

Alla vista la superficie appare umida, poco asciutta e friabile, e si differenzia dal classico aspetto della colomba. Così come all'interno, nei profumi e nella consistenza. Un prodotto indubbiamente differente dal classico, ma confortevole, che regala profumi piacevoli, aromi di caditi e burro fresco. L'interno invece, più asciutto delle colombe più convenzionali, è scioglievole e si apprezza per un'ottima masticabilità e la dolcezza ben misurata. Appena tagliata evidenzia una alveolatura più stretta e una trama meno elastica. L'impressione è che sia affiorata in superficie l'umidità.

Confezione: 1 kg

Ingredienti: farina di frumento, arance candite (scorzone di arancia, sciroppo di glucosio, zucchero di canna) burro, tuorli d'uovo pastorizzati, zucchero semolato, lievito naturale, miele d'acacia. Burro di cacao, malto d'orzo, sale, bucce d'arancia baccelli di vaniglia. Ghiaccia alle mandorle: zucchero semolato, albumi d'uovo pastorizzati, mandorle (11%), nocciole, cacao, amido di riso, fioretto di mais.

 

Gli inseguitori

 

Besuschio

In superficie la glassatura appare omogenea e croccante, le mandorle concentrate più verso la parte centrale, mentre lo zucchero, in alcune parti, risulta essere un po' frantumato. La fetta è compatta e la pasta ha un aspetto poco arioso, quasi a ricordare un buon pane, con alveolature più strette con una struttura serrata. Molto piacevole ma poco tipica sia al morso che nell'aroma, che richiama il caramello e i fiori di arancio.

Confezioni: 32 eur dal chilo; da 100 gr. 500 gr. 750 gr. 1000 gr. 1500 gr. 2000 gr.

Ingredienti: (primo impasto) farina 00 panettone, zucchero, burro, acqua, tuorlo d’uovo, lievito madre; (secondo impasto) farina 00 panettone, zucchero, miele, burro, sale, tuorlo d’uovo, pasta arancio, bacca di vaniglia, arancia candita, acqua. Per la ghiaccia: mandorle armelline, mandorla grezza, zucchero semolato, farina di grano, farina di mais, fecola, albume.

Produzione: dalle 150 alle 200 al giorno

 

Biasetto

La nota dei canditi è decisa, sapore è preciso, pulito. Le mandorle molto buone, un po' meno i canditi che appaiono ordinari. Struttura equilibrata: morbida e tenace come deve essere con una alveolatura omogenea. Denota una cottura ben gestita, un uso corretto di aromi e profumi naturali che ben invogliano all'assaggio.

Confezione: 1kg

Ingredienti: farina di grano tenero tipo 00, cubetti di arancia canditi 18% (scorza d'arancia, sciroppo di glucosio, zucchero) burro fresco, zucchero, tuorlo d'uovo fresco, lievito naturale, miele d'acacia (4,1%), vaniglia naturale, arancia, limone, sale. Glassa: zucchero, mandorle (100% Italia), albume d'uovo fresco, farina di mais, farina di grano tenero tipo00, cacao.

 

Martesana

Una colomba che all'esterno appare bagnata ma che all'interno è un po' secca. Le mandorle in superficie danno un richiamo più rustico e deciso che interrompe e crea dinamismo rispetto al sapore complessivo, e sovrastano in parte i canditi che mancano un po' di struttura. La glassatura è frammentata ed evidenzia l'emergere in superficie di aree di umidità. In bocca risulta di buona masticabilità e di gusto piacevole, ma note non del tutto precise ritornano al naso.

Confezione: 20 euro, 500 gr; 34 euro, 1 kg; 46 euro, 1,5 kg

Ingredienti: sono burro, scorza d'arancia candita, farina di grano tenero tipo "00", acqua, zucchero, tuorlo d'uova fresche, lievito naturale, granella di zucchero, albume d'uova fresche,mandorle, farina di mandorla, miele, farina di mais, armelline di albicocca, cacao in polvere, sala, estratti naturali di limone, arancia e vaniglia.

salderiso

 

Sal De Riso

Appena tirata fuori dalla confezione si notano tracce di eccessiva umidità affiorate in superficie. La dolcezza è spiccata, ma anche il suo profilo aromatico, inizialmente poco convincente. Mentre all'apertura risultava panosa e con una nota acida importante, dopo un paio di giorni si è conservata morbida e ha conquistato maggior gentilezza al gusto, per quanto sempre con una dolcezza decisa. Rimanda alla costiera e alla pasticceria, sa di agrumi e burro.

Confezione: 34 euro, 1 kg.

Ingredienti:farina di grano tenero tipo 00, burro fresco (12,85%), tuorli d’uova freschi pastorizzate (9,70%), acqua, zucchero, lievito naturale (glutine), miele di acacia italiano, sale marino, latte in polvere, malto d’orzo, bacche di vaniglia in polvere delle Isole Bourbon e Tahiti. Farcitura: cubetti d’arancia candita (cubetti d’arancia, zucchero, bianco, glucosio, acqua) 23,10 %, pasta di arancia (1,9%). Glassa: zucchero, mandorle italiane (1,4%), albume, mandorle amare, farina di grano tenero tipo 00, farina di mais, amido di mais, granella di zucchero e mandorle intere.

Produzione: 500 pezzi

 

Gli altri

 

Pietro Macellaro

Un aspetto molto classico, che non evidenzia in superficie eccessi di cotture né di umidità ma appare molto regolare pur con una parte più esposta che lascia intuire la trama dell'impasto. L'aroma di mandorle è molto deciso insieme alla sensazione alcolica che emerge al naso, eccessiva. Un prodotto corretto nel complesso ma che manca un poco di umidità, con l'interno che appare asciutto, quasi friabile, e che si sbriciola al taglio ed evidenzia un naso scomposto.

Confezione: 33 euro 1 kg.

Ingredienti: farina di grano tenero 00, farina di grano tenero Carosella, zucchero, tuorlo d'uovo fresco, acqua del monte Cervati, burro di bufala, miele del Cilento, lievito naturale, frutta secca, albume d'uovo, sale, pasta d'arancia, arancia candita (22%), vaniglia naturale Madagascar, aromi naturali.

Produzione: 1500 pezzi

 

Pavè

Impasto molto asciutto e compatto, superficie brunita, il nostro campione risulta in alcuni punti staccato dalla cornice dello stampo di carta. Prima dell'assaggio i profumi risultano sbilanciati e nel complesso non del tutto piacevoli, con note poco pulite. Alveolatura disomogenea e insolita, struttura serrata e asciutta. Più equilibrato il sapore, comunque non perfettamente pulito.

Confezione: 36 euro, 1kg

Ingredienti: farina di frumento, scorza di arancio candito, burro, zucchero, acqua, tuorlo d'uovo, glassa (zucchero, farina di mandorle, albume d'uovo, amido di mais, cacao in polvere), mandorle, lievito madre (farina di grano tenero tipo 00, acqua) miele, sale, vaniglia.

Produzione: circa 500pz.

 

Alfonso Pepe

Una colomba dai toni bruniti e la cottura evidente in superficie. Al taglio la struttura è buona anche se un poco asciutta, ha un naso esuberante, poco pulito. La dolcezza è importante, forse anche per i pezzetti di marzapane presenti nell'impasto insieme ai canditi.

Confezione: 33 euro, 1 kg

Ingredienti: farina, burro, arancia candita (scorza d'arancia, sciroppo di glucosio, zucchero), zucchero, tuorli d'uovo, lievito naturale, pasta d'arancia (scorza d'arancia, sciroppo di glucosio, zucchero), marzapane (mandorle e zucchero), miele, burro di cacao, sale, bacche di vaniglia del Madagascar. Glassatura: zucchero, albume, mandorle, nocciole, cacao farina di mais e fecola di patate, decoro con granella di zucchero e mandorle.

 

Perbellini

La superficie brunita è caratterizzata da una tonalità tendente al giallo. L'elemento caratterizzante è un deciso aroma di mandorle amare, che risulta predominante all'olfatto e in parte domina anche l'assaggio. Nella pasta non vi sono canditi, è scioglievole e di buona elasticità molto piacevole. È una colomba che non teme di giocare la carta della dolcezza più evidente.

Confezione: 16 euro, 750 g. 19,50 euro, 1050 g.

Ingredienti: farina di grano tenero tipo 0, zucchero, burro, tuorlo d'uovo, uova fresche cat. A, mandorle dolci e amare scelte a mano, lievito naturale, burro di cacao, farina di mais, aromi naturali, vaniglia in bacche.

 

 

Fuori concorso

Claudio Gatti

Nuvoloso: è così l'impasto di questa colomba. Fuori concorso perché, anche se ha la forma tipica del dolce pasquale, non ne ha le caratteristiche. A partire dall'impasto, soffice e aromatico, passando per i canditi molto succosi, lasciati a pezzettoni oversize lavorati e tagliati in proprio, fino allo alcolico. Già al taglio ci si accorge della struttura lievitata soffice e ariosa. Paga lo scotto di un'eccessiva bagna: alcune parti del dolce sono letteralmente intrise di sciroppo. Nelle note si legge che si consiglia di consumare la colomba almeno 20 giorni dopo la sua produzione, trascorsi quali l'impasto ha raggiunto il giusto equilibrio aromatico, ed è al massimo delle sue caratteristiche organolettiche di gusto, morbidezza, umidità, equilibri aromatici.

Prezzi: 33 euro, 1 kg.

 

 

Enrique Olvera raddoppia a New York. Colazione da Atla per la sfida informale dello chef messicano

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Dopo il restyling di Pujol a Città del Messico, lo chef messicano continua a investire sulla scena newyorkese. E circa due anni dopo l'apertura di Cosme, apprezzata tavola fine dining di Flatiron, ora ci prova con un concept informale aperto da colazione a tarda sera. Ecco cosa si mangia da Atla. 

Casual d'autore. A New York

Si chiama Atla, è operativo da qualche giorno al 372 di Lafayette street (NoHo), e segna il raddoppio newyorkese di Enrique Olvera dopo il successo di Cosme (new entry nella World's 50 Best 2017 appena resa nota a Melbourne). Ma soprattutto, la sfida dello chef messicano più famoso nel mondo alla ristorazione informale, piccoli prezzi e specialità che rivendicano le proprie origini per conquistare una volta di più una piazza gastronomica estremamente dinamica. Non il primo esperimento del genere, né l'ultimo, a giudicare dal desiderio contagioso che sta portando tanti chef blasonati ad approcciare una cucina più democratica che risponda a istanze culturali e sociali, oltre che gastronomiche. Format semplici, che non spaventano per costi ed etichetta, dal fast food d'autore (leggi Fuku e David Chang, ma pure Roy Patterson con Locol, in uno dei quartieri più desolati di Los Angeles) alla ristorazione divertita e pret a manger (tra gli ultimi esempi Topa Sukalderia di Andoni Aduriz, ma pure le Mercerie di Igles Corelli che presto si cimenterà con Roma, o, per restare a New York, il concept dedicato alla pasta di Mark Ladner).

 

La colazione da Atla

Atla è così: in cucina c'è Hugo Vera, che da Cosme si è formato al fianco del braccio destro di Olvera, Daniela Soto-Innes, l'atmosfera è calda e curata, il menu modulato sulla leggerezza di una proposta incline al vegetale, ma golosa, adatta per tutta la giornata. Così tra polpette di farro, molletes con salsa guacamole e formaggio di capra, tostadas e yogurt al cocco con mirtilli, molti a New York già indicano Atla come il rifugio perfetto per una colazione con i fiocchi. Da bere espresso o cafè con leche, ma pure il più caratteristico cafè de olla, con cannella. E poi orzata al sesamo e acque aromatizzate all'ibisco o all'ananas con cannella. Dalle 8.30 del mattino. A pranzo si cambia registro, ma l'ambiente resta rilassato, e la carta invitante: hummus di fagioli bianchi, sandwich messicani, quesadillas, chile ripieno con tartare, zuppa di pollo; e i primi cocktail della giornata, a base mezcal o tequila. Molte delle proposte non superano i 20 dollari (tra i 9 e i 16 spaziano le singole voci), e il menu cambierà con molta frequenza. E l'idea è quella di aprire le porte anche a chi dopo una giornata di lavoro non desidera altro che una birra e qualche sfizio prima di tornare a casa. E dalle 22, il locale da 60 coperti si trasforma di nuovo, in cocktail bar, con guacamole e mandorle salate d'accompagnamento alla drink list.

Così mentre a Città del Messico Pujol ha appena trovato una nuova anima grazie al restyling dello spazio che ha battezzato l'esordio di Olvera nel mondo della ristorazione che conta, lo chef continua a farsi ambasciatore della cucina messicana sulla scena internazionale. Sempre nel segno della riabilitazione delle ricette più semplici e popolari. E con un occhio di riguardo a usi e costumi di New York.

 

Atla | New York | 372 Lafayette street | www.atlanyc.com

 

a cura di Livia Montagnoli

Il Molise in 9 biscotti tradizionali e la ricetta dei mostaccioli del Caffè Pantheon

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Per la rubrica sui biscotti regionali andiamo in Molise, regione dalle tradizioni gastronomiche antiche e dal profilo dolce e rude allo stesso tempo, proprio come le sue specialità culinarie. Ecco 9 dolcetti tradizionali e la ricetta dei dei mostaccioli del Caffè Pantheon di Larino.

Biscotti dal sapore deciso, arricchiti da ingredienti come sugna, pepe e acquavite, ma anche ingentiliti dal miele, dalle mandorle e dalla cannella. Sono i biscotti molisani, 9 specialità tutte da provare, con la ricetta dei dei mostaccioli del Caffè Pantheon di Larino, Una Torta nell'edizione 2017 della guida Pasticceri&Pasticcerie.

 

Cacaruozze

Iniziamo da biscotti che non hanno una forma ben precisa, ma che ne assumono una diversa secondo la fantasia di chi li realizza. Sono diffusi in tutta la regione, soprattutto nella zona di Campobasso, e vengono consumati alla fine del pasto, associati a un vino dolce locale. Per prepararli servono farina, zucchero, uova più albumi, olio extravergine, scorza e succo di limone, lievito e acqua. Si amalgamano farina, metà dose di zucchero, olio, uova e scorza di limone. Si dà all’impasto la forma voluta (in commercio si trovano spesso a stella) e si inforna a 200 gradi per venti minuti. Nel frattempo si prepara la glassa facendo bollire lo zucchero rimasto con un po’ d’acqua e il succo di limone, finché non diventa filante. A parte si montano gli albumi e si incorporano alla glassa. Sfornati i biscotti si spalmano di glassa prima che si raffreddi. Infine si aggiungono (a piacere) codette di zucchero colorate.

 

cacaruozze

 

Cancelle o ferratelle

Diffusi sia in Molise che in Abruzzo, dove sono più conosciuti con il nome di ferratelle, si preparano con farina, uova, olio di semi, zucchero, scorza di limone e un pizzico di sale. Si inizia mescolando con una frusta alle uova l'olio, lo zucchero, il sale e la buccia del limone. Si aggiunge la farina poco per volta, per evitare che l’impasto diventi eccessivamente denso. Per la cottura occorre un particolare stampo, di solito in acciaio o ghisa, che viene scaldato e che dà l’inconfondibile forma ai dolcetti; in commercio se ne trovano di appositi, anche on line, ma in alternativa potete usare uno stampo per waffle. Si mette a scaldare lo stampo sul fornello e lo si spennella – solo la prima volta – con dell’olio di semi, si versa un cucchiaio di impasto al centro dello stampo, si chiude schiacciando per qualche secondo: saranno pronte quando i bordi risulteranno dorati (solitamente in un paio di minuti). Una volta cotte, si possono farcire con creme, miele, frutta fresca. Sono tradizionalmente preparati ai matrimoni per i quali spesso si realizzano stampi ad hoc, con le iniziali dei futuri sposi incise sopra.

 

 

cancelle o ferratelle

 

Castagnole agnonesi o loffe

Tipiche dalla provincia di Isernia, in particolare del comune di Agnone, le castagnole agnonesi, o loffe, sono dolcetti tipici di carnevale, comuni a diverse regioni d’Italia. La ricetta molisana differisce dalla “classica” per due caratteristiche: la copertura di cioccolato e la cottura il forno.

Per l’impasto servono farina, uova, olio extravergine, zucchero, alcol per liquori, mentre per la copertura acqua, zucchero, cioccolato fondente, albumi e un pizzico di sale.

Si inizia sbattendo le uova fino a farle diventare schiumose e aggiungendo poi l’olio e l’alcol. Poi si versa la farina a pioggia, tanta quanta ne assorbe il composto, che deve risultate consistente ma elastico. Una volta creata la massa si ricavano delle palline leggermente schiacciate da mettere su una teglia precedentemente unta e spolverizzata di farina. Si infornano a 170 gradi per circa 15 minuti.

Nel frattempo si prepara la copertura mescolando, in un pentolino, acqua, zucchero e cioccolato a pezzetti e sciogliendo tutto a bagnomaria. A parte si montano gli albumi a neve e si incorporano al composto, lasciandolo ancora cuocere a bagnomaria per qualche minuto. Una volta sfornate le castagnole, con una pinza si immergono una ad una nel cioccolato e si lasciano asciugare su una griglia. Quando sono fredde sono pronte per essere servite.

 

Castagnole agnonesi o loffecastagnole agnonesi o loffe

 

Ceppelliate di Trivento

Dolcetti di pasta frolla a forma di mezzaluna, ripieni di marmellata alle amarene, che si preparano nel periodo natalizio a Trivento, un comune collinare della provincia di Campobasso. Le c’pplieat, come le chiamano i molisani, hanno un gusto particolarmente intenso, dovuto alla sugna nell’impasto: le differenze con lo strutto ve le abbiamo già raccontate nell’Abc della cucina campana.

Per creare questi dolcetti occorrono farina, tuorli, zucchero, sugna, lievito, scorza di limoni, e poi zucchero a velo e confettura di amarene per completare. Per prepararli basta amalgamare gli ingredienti, e una volta che l'impasto è liscio avvolgerlo nella pellicola e raffreddare in frigo per almeno un’ora. Successivamente si stende la pasta in una sfoglia di 2-3 millimetri di spessore e si ricavano dei tondini di circa 10 centimetri, al centro dei quali si metterà un cucchiaio di marmellata. Si richiudono a mezzaluna e si infornano a 170 gradi per 15 minuti, o finché la superficie non diventa dorata. Si servono spolverizzati di zucchero a velo.

 

ceppelliate di Trivento

 

Colac

L’aroma di cannella e chiodi di garofano conferisce il sapore deciso a questi biscotti. La loro origine è incerta, ma pare che una prima versione di questi dolcetti sia stata sperimentata nel borgo di Montemitro, in provincia di Campobasso, intorno agli inizi del ‘900. La pasta è una semplice sfoglia fatta con farina, uova, zucchero, sugna e vino bianco secco. Una volta creato e steso l’impasto si tagliano dei dischetti da 10 centimetri ciascuno e si mette un cucchiaio di farcia all’interno. La farcitura cambia secondo la disponibilità della dispensa: di solito pezzetti di mele, fichi secchi, mandorle, noci, pane sbriciolato, scorza d’arancia e le due spezie immancabili, tutto amalgamato con miele. Si richiudono e si infornano per 30 minuti circa a 150 gradi.

 

Mostaccioli molisani

Abbiamo già parlato diverse volte dei mostaccioli, o mustaccioli, dolcetti diffusi in molte zone del nostro Paese con diverse varianti. Questa versione molisana è simile a quella campana, tranne che per l’assenza della marmellata di albicocche e del pisto, il mix di spezie che viene sostituito solo da cannella e chiodi di garofano.

Il procedimento non è lungo, ma l'impasto ha bisogno di riposare in frigo per un giorno intero, in modo da rassodarsi. Per la spiegazione nel dettaglio vi rimandiamo alla fine dell'articolo: è questa la ricetta che ci siamo fatti regalare dal Caffè Pantheon di Larino.

 

mostaccioli molisanimostaccioli molisani

 

Pepatelli

Una decisa nota di pepe è il sapore che caratterizza questi biscotti - come si capisce già dal loro nome - che viene però resa armonica dalla presenza del miele e delle mandorle dolci. È una ricetta semplicissima, che i molisani utilizzano fra Natale e Capodanno, per avere dei dolcetti che durino a lungo da bagnare nel vino dolce.

Per farli servono farina, miele, mandorle, un po’ di lievito, scorza d’arancia e cannella a piacere. Il miele deve essere fluido o, eventualmente, essere sciolto a bagnomaria con un po’ d’acqua. Si impastano gli ingredienti insieme, dopo aver tritato le mandorle in maniera grossolana, e si creano dei lunghi bastoncini, di circa 10-12 centimetri. Si mettono su una placca da forno precedentemente foderata e si cuociono a 170 gradi per 30 minuti. Una volta pronti si sfornano e si tagliano in senso obliquo, come si fa per i cantucci. Infine si mettono nuovamente in forno, questa volta spento, a biscottare per qualche minuto.

 

Roccocò alla molisana

Anche in questo caso una ricetta condivisa con la tradizione campana: i roccocò. La versione molisana differisce da quella della confinante Campania per la presenza del cedro candito e del duo cannella- chiodi di garofano, aroma tipico dei dolci locali, a cui a volte viene aggiunta anche la vaniglia. Inoltre, in Molise si usa il mosto cotto, come previsto dalle ricette più antiche, mentre nella versione campana è con vino moscato.

Gli ingredienti sono farina, acqua, zucchero, mandorle tostate e tritate, cedro candito, lievito, rosso d’uovo, scorza di arancia e il mix di cannella, vaniglia e chiodi di garofano. Si unisce la farina con mandorle, scorza d’arancia e cedro candito, poi si aggiungono i tuorli e l’acqua poco a poco, finché l’impasto non risulta omogeneo. A questo punto la massa dovrà riposare in frigo per un giorno intero, avvolta dalla pellicola trasparente.

Trascorso questo tempo si lavora di nuovo l’impasto per qualche minuto e si creano delle ciambelline o, in alternativa, delle palline leggermente schiacciate con una mandorla al centro. Si spennellano con un tuorlo d’uovo sbattuto e si infornano a 180 gradi per 15 minuti.

 

taralli dolci

 

Taralli alla molisana

Anche i taralli sono una pietanza diffusa in diverse regioni del sud: se in molti conoscono la versione salata anche al di fuori di queste zone, la variante dolce è meno nota. Ne abbiamo già parlato quando abbiamo raccontato i biscotti tipici della Basilicata, che con il Molise ha tanto in comune.

La particolarità dei taralli alla molisana è l’aromatizzazione all’acquavite e l’uso dello strutto al posto, che dona un sapore più deciso. Per farli a casa servono farina, zucchero, uova, strutto, olio extravergine, acquavite e un pizzico di sale. Si dispone la farina a fontana sul tavolo e si aggiungono gli altri ingredienti. Si impastano insieme fino ad ottenere una massa liscia e consistente, ma non troppo compatta. Si avvolge in un panno e si tiene in un luogo fresco e asciutto per un paio di ore (ma non in frigo, altrimenti diventa troppo rigido). Una volta trascorso questo tempo si rimpasta brevemente e si divide a pezzi, che diventeranno delle ciambelline. A questo punto, come nelle versioni più classiche, si fa bollire una casseruola colma d’acqua e vi si immergono i taralli per una decina di minuti. Si sgocciolano e si fanno riposare per qualche minuto. Infine si unge una teglia con olio e si cuociono ulteriormente in forno per altri 10 minuti a 170 gradi.

 

Ricetta dei mostaccioli del Caffè Pantheon di Larino (CB)

 

Per l'impasto

375 g di farina 00

250 g di farina grano duro

4 uova

3 tazzine di caffè

310 g di zucchero

375 g di miele

375 g di mandorle

bucce di arance,mandarino e limone

cannella

chiodi di garofano

mezza bustina di ammoniaca

 

Per la glassa

cioccolato fondente (o al latte, a piacere)

acqua

 

Procedimento

Impastare le due farine con le uova, lo zucchero, il miele, le mandorle. Aggiungere l'ammoniaca, le tazzine di caffè, le spezie e le scorze d'arancia, mandarino e limone. Far riposare il tutto in frigo per un giorno intero, avvolgendo con una pellicola.

Il giorno successivo togliere l'impasto dal frigo e stenderlo in una sfoglia di 1 centimetro e mezzo, ricavandone dei rombi. Infornare i biscotti a 175 gradi per 15-20 minuti.

In un pentolino far sciogliere il cioccolato a pezzi con l'acqua. Una volta sfornati i biscotti immergerli nella glassa e farli asciugare. Quando sono completamente freddi possono essere serviti.

 

a cura di Francesca Fiore

 

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