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Cibo e televisione: un percorso storico. Intervista a Maurizio Costanzo

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Il racconto del cibo non è solo legato alla trasmissione delle ricette, ma ricopre anche un ruolo culturale e sociale. E rispecchia una parte centrale della nostra vita, soprattutto da quanto il cibo è approdato in tv. Dai primi programmi degli anni '50 a oggi, ecco come è cambiata la televisione gastronomica secondo Maurizio Costanzo.

“Bello” importante quanto “buono”, il piacere del cibo che diventa ossessione e le ricette, che da protagoniste diventano comprimarie: i media, soprattutto web e tv, ci raccontano di come è cambiato il rapporto tra italiani e cibo. In questa trasformazione il “come si prepara” un piatto non è più la cosa più importante, o almeno non l’unica. La cura nell’impiattamento non è più esclusiva dei grandi chef e, dall'altra parte, prima di mangiare qualcosa bisogna fotografarla. Siamo nell’era del foodporn; ma quand’è che scambiarsi le foto del cibo ha preso il sopravvento sullo scambio di ricette?

 

Cibo e identità nazionale

Storicamente, prima ancora del Talismano della Felicità di Ada Boni(prima pubblicazione 1925, prima edizione originale 1927) la trasmissione delle conoscenze avveniva per tradizione orale, con raccolte di appunti casalinghi e attraverso i manuali. Se è alla tv che si attribuisce l’unità linguistica, è La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene a rappresentare la prima pietra miliare nella ricerca di un’identità gastronomica nazionale. Pellegrino Artusi nel cibo come Mazzini e Garibaldi nella politica; non solo per lo sforzo unificatore nell’aver censito 790 ricette, ma anche per aver dato voce a una sapienza che all'epoca (1891) era propria delle donne, col merito (oggi troppo spesso dimenticato) di essere ricordato anche come tappa significativa del percorso di emancipazione ed unificazione culturale del Paese.

 

Il federalismo gastronomico

Ma a ben guardare, a distanza di più di un secolo e malgrado la tv, ancora non è facile dare una definizione di cucina nazionale, a meno che non ci si limiti alla semplicità e alla freschezza degli ingredienti. Perché, anche e più di altre, quella italiana si caratterizza come una cucina delle regioni, delle centinaia di tipicità locali, e in questo si esalta. Fin dalle origini la tv ci ha raccontato di un’Italia caratterizzata da una sorta di federalismo gastronomico, dove l'unità è fatta dalla coesistenza di tante diversità, particolarità, e dove il campanilismo gioca da protagonista.

 

L’era moderna: dai tutorial ai talent

Anche in Italia è Gordon Ramsay che segna l'inizio dell'era moderna della cucina in tv. A lui si devono i format televisivi di successo degli ultimi anni. Con Ramsay l'attenzione non è più tanto sulla sapienza culinaria quanto sul protagonista. E malgrado sia uno chef pluristellato non propone una tv tutorial, tutt'altro. Insomma. Con lui cambiano la scena e le dinamiche: la cucina non è più un ambiente familiare con la morbida massaia che spiega, ma un inferno; non più un luogo dell'accoglienza ma una trincea, dove i concorrenti sono nemici da eliminare e il conduttore un Cerbero, il mostro a guardia degli inferi. Così il mosaico del cibo in tv si arricchisce di un altro tassello. Insomma: dai tutorial ai talent, oggi in Italia l'offerta televisiva di cibo è quanto mai variegata. “C'è cibo a qualsiasi ora e ogni volta mi chiedo se non ci sia del sadico nei confronti del pubblico, perché la tv non ha odori e sapori. Per me una tortura” dice Maurizio Costanzo “Ce n'è talmente tanto che si può anche ingrassare. Io poi sono a dieta da tutta la vita; conosco più dietologi che cuochi”.

 

Quando è che ci si accorge che il cibo in tv funziona?

Col giornalismo, col reportage d'autore, con Mario Soldati e il Viaggio nella valle del Po (1957). Quella era un tv colta, aveva uno spessore diverso, cercava le persone, i luoghi, le storie intorno e attraverso il cibo. Era però un periodo molto diverso da oggi.

 

Poi il tempo di Ave Ninchi e della sora Lella...

Una sora Lella oggi funzionerebbe ancora, magari in qualche talk show. Lei però era brava come ospite, ma attenzione: in tv sono molto diversi i ruoli di ospite e protagonista.

 

Lasciamo le origini: dopo gli anni delle ricette della tradizione, in tv arrivano le diete per dimagrire

Sì, consideri che negli anni ’50 e ’60 si doveva ingrassare, il benessere era associato all’opulenza, alla quantità, perché venivamo da periodi tremendi e di povertà. Negli ’80 e ’90 invece il contrario: i modelli di bellezza cambiano, arrivano Jane Fonda, l’aerobica e le diete per perdere peso.

 

Nel suo show non sono mai mancati dietologi, nutrizionisti ed esperti a vario titolo nel dimagrimento, come il dott. Lemme, quello che sostiene di poter far dimagrire specifiche parti del corpo, anche solo una caviglia o un gomito. Chi c’è in cima alla sua lista?

Pietro Migliaccio; mi ha fatto perdere 35 chili. E Sara Farnetti.

 

Con la tv contemporanea sono cambiate tante cose: dalla figura e il ruolo del cuoco ai nuovi stili alimentari, da una maggiore conoscenza diffusa ai temi etici.

Oggi in Italia i cuochi sono più famosi dei cantanti in hit parade: anche per loro ci sono le classifiche, chi sale chi scende, chi vince... E poi sono tanti e diversi, non c'è un unico modello di cuoco. Propongono cucine alternative e antagoniste fra loro, hanno riconoscibilità e credibilità, sono dei veri e propri personaggi; anche perché comunque sono bravi. Oggi un cuoco in vista è un leader carismatico. Sono anche loro che stimolano la disputa fra stili alimentari; sono diventati dei capi fazione.

 

Nel presente si è aggiunto un nuovo ruolo televisivo: dopo quello del cuoco, del concorrente e del dietologo ormai in tv c'è spazio per il ruolo del militante etico. Vegetariani, vegani, crudisti e tutte quelle appartenenze con marcate connotazioni ideologiche. Oggi nel cibo si è chiamati anche ad una scelta etica, di campo, di valori. È forse in cucina che si possono trovare alcuni spazi di confronto e scontro lasciati vuoti dalla politica?

In questi schieramenti c'è senz'altro una ricerca di identità, di appartenenza, consapevole o meno, soprattutto per le generazioni più giovani. È vero, è cambiato molto, e la politica non ha la stessa forza attrattiva di qualche decennio fa. Ma non è solo apprezzabile idealismo, le consideri anche come mode e opportunità di business. Ora ci sono i vegani? Benissimo: il mercato crea un segmento nuovo... Tutto sommato è buono per l’economia. Comunque il più bravo a fare il vegano è Crozza.

 

Ma lei in cucina…

No guardi, si fermi: io non so cucinare, non ho mai avuto la passione per la cucina, non so fare nemmeno il caffè.

 

D’accordo, niente cucina, ma il suo cibo di conforto?

Il gelato al cioccolato, ma siccome sono sotto tutela, senza zucchero.

 

a cura di Dario Pettinelli

 


In viaggio. Valtellina, relax gourmet tra terme, bresaola e nebbiolo

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Per gli appassionati della montagna la Valtellina resta una delle mete top e non solo in Italia. È ancora, però, poco conosciuta ai gourmet, salvo (forse) quelli lombardi che hanno maggiori possibilità di trovare le migliori espressioni della bresaola e dei formaggi locali come di apprezzare i vini anche a bassa quota.

Si entra in Valtellina appena dopo Colico, quando si imbocca la Statale 38 dello Stelvio che attraversa tutte le località principali, da Morbegno fino a Bormio, dove è possibile raggiungere gli impianti di risalita di Livigno, di Santa Caterina e dello Stelvio. L’alta Valtellina non è solo capitale degli sport invernali, ma anche del relax e del benessere, grazie ai Bagni Romani di Bormio, noti fino dal I secolo a. C., due centri termali che offrono panorami favolosi che spaziano dalle montagne della catena Ortles Cevedale, alla vetta della Cima Piazzi, con sullo sfondo la ridente vallata della Magnifica Terra di Bormio.

 

I crotti di Chiavenna

Rientrando verso Morbegno, imboccando la SS 36, si raggiunge la zona di Chiavenna, da dove è possibile proseguire verso la Svizzera e l’Engadina o verso Madesimo (un altro paradiso sciistico). Ma prima di cambiare la Valtellina, una tappa anche a Chiavenna è d’obbligo, sia per ammirare i tipici “crotti” locali (cantine naturali presenti anche in provincia di Como da cui spira il “sorel”, una corrente d’aria a temperatura costante che le rende ideali per la conservazione del vino e per la stagionatura di salumi e formaggi), sia per completare gli ultimi acquisti: bresaola, vini, formaggi.

 

Valtellina

Le terme

Bormio è da sempre conosciuta per le sue acque termali naturali” racconta Alberto Pelucchi, direttore QC Terme Bagni Vecchi di Bormio “Le fonti vantano oltre 2000 anni di storia. Le terme dei Bagni Vecchi offrono sei settori con differenti percorsi termali, tra cui una vasca panoramica a picco sulla roccia, le antiche vasche dei Bagni Romani e la grotta sudatoria di San Martino che conduce a una delle nove sorgenti. Costruiti sulla roccia, all’interno del Parco Nazionale dello Stelvio, i Bagni fanno parte del Resort QC Terme Bagni di Bormio, con due Hotel annessi alle SPA: l’Hotel Bagni Vecchi e il GrandHotel Bagni Nuovi, dove si trovano un ristorante gourmet, un ristorante tradizionale, un bistrot e due light café a disposizione dei clienti tutto il giorno. Dopo un’intensa giornata sulle piste da sci, una pausa benessere è quasi d’obbligo”.

 

bresaola

La bresaola

Relax ma non solo, perché vale la pena di spingersi appena più a nord di Bormio, a oltre 1.400 metri, per scoprire una delle specialità della Valtellina, la Bresaola Igp d’alta quota prodotta a Semogo nello storico stabilimento di AlessandroLazzeri,che da 60 anni lavora con passione e competenza queste carni pregiate. “Da ragazzo seguivo mio padre in paese, faceva il macellaio porta a porta; poi nel 1968 ho aperto un negozio mio in paese, e nel 1983 ho fatto un salto in avanti: questo stabilimento, dove ancora oggi lavoro – a 74 anni – con l’aiuto delle mie due figlie e da mio figlio”. Sorride, AlessandroLazzeri.“Ieri come oggi, per fare la nostra bresaola servono 4 elementi: materia prima selezionata, esperienza, professionalità e… questo paesaggio, l’aria pura che scende da Cima Piazzi, i nostri boschi e le nostre montagne”.

 

Materia prima

Ma da dove proviene questa materia prima selezionata? Mario Della Porta presiede il Consorzio della Bresaola della Valtellina Igp, che la valorizza dal 1998. “Per la produzione della Bresaola Igp vengono utilizzati solo tagli di prima categoria, che provengono da allevamenti Europei e Sud-Americani; il ricorso all’importazione è dettato dal fatto che in Italia non c’è una disponibilità di bovini capace di soddisfare contemporaneamente le esigenze di qualità e di quantità”.

I tagli scelti sono i più teneri e pregiati” spiega Paola Dolzadelli, coordinatrice del Consorzio “sono tratti esclusivamente dalla coscia di bovini di razze selezionate di età non inferiore ai 18 mesi, preferibilmente allevati all’aperto e al pascolo e nutriti con alimenti selezionati. Si tratta di una scelta di qualità, perché tutti questi fattori contribuiscono ad assicurare carni migliori”.

 

Lavorazione

Ma cosa è che rende un prodotto particolare, unico, la Bresaola della Valtellina? Come spiegava Lazzeri, il clima della zona, ideale per la stagionatura. Ma anche tutto il processo di lavorazione stabilito dal disciplinare della Igp: carni di prima qualità, salatura a secco e uso di aromi naturali (vino, spezie, zuccheri). Infine, la stagionatura: la bresaola riposa e matura a una temperatura tra i 12° e i 18° per un periodo dalle 4 alle 8 settimane, periodo in cui è indispensabile la capacità dell’uomo di verificare il processo ed eventualmente operare per ottimizzare il percorso.

Come degustarla? In Valtellina la bresaola si mangia “santa”, cioè al naturale, dopo un attento esame visivo (il colore deve presentarsi rosso uniforme) e olfattivo (l’odore deve richiamare gli aromi utilizzati durante il processo di lavorazione). Eppure, secondo una ricerca condotta da Doxa, le ricette preferite sono con olio e limone o con rucola e grana: 8 italiani su 10 la portano in tavola sia per il gusto, sia per la leggerezza e la digeribilità che la contraddistinguono.

 

vigneti

Viticoltura di montagna

Da nord a sud: ecco che scendendo dai 1.400 metri della bresaola d’alta quota giù per la vallata si scoprono le suggestive Strade del Vino della Valtellina, uno straordinario sistema terrazzato con muretti a secco in sasso che rendono possibile la coltivazione della vite in queste zone così ripide ma soleggiate.

La Valtellina è l’unica zona dove il nebbiolo (localmente chiamatochiavennasca) riesce a dare ottimi risultati, al di fuori del Piemonte e della Valle d’Aosta. Qui il vitigno è coltivato a guyot, su terrazze d’argilla e di silicio fino a 600 metri: si tratta di una viticoltura difficile e impegnativa, legata alla tradizione e tramandata di padre in figlio. Due sono le Docg della zona, il Valtellina Superiore e lo Sforzato (Sfursat) di Valtellina.

I vini Valtellina Superiore si distinguono in 5 sottozone – Maroggia, Sassella, Grumello, Inferno e Valgella – e si caratterizzano per intensi profumi di spezie e cuoio e per un gusto morbido e tannico insieme.

 

Valtellina Superiore

La Valgella deve il suo nome al termine Vagel, una forma dialettale che indica i piccoli torrenti che scorrono in zona”spiega Marco Fay, titolare con la sorella Elena della cantina di famiglia. “Si estende dal comune di Teglio per oltre 130 ettari. Su questi terrazzamenti il sole batte perpendicolare e la temperatura è più alta di 4-5 gradi rispetto al fondovalle, si tratta di un fattore fondamentale per i vigneti; come è fondamentale la raccolta a mano delle uve, faticosa ma che dà grandi risultati”. Come è andata l'annata 2016? “Annata tardiva spesso significa grande annata, ed effettivamente quest’anno ci sono tutti i requisiti per parlare di una delle più belle annate degli anni 2000. Ma aspettiamo i vini a fine fermentazione”.

La zona del Grumello si trova invece nei pressi di Chiuro: deve il suo nome Castello di Grumello, che è possibile ammirare dai terrazzamenti. “Sono proprio questi terrazzamenti l’elemento caratterizzante della Valtellina”racconta Luca Faccinelli che, dopo tanti anni di lavoro nel settore comunicazione, è oggi un produttore di vino “Queste viti vantano oltre 1.000 anni di storia e finalmente oggi si parla di questo nebbiolo di montagna anche fuori Valle, per quanto in questo territorio si producano solo 3 milioni e mezzo di bottiglie. Cosa abbinerei con i miei vini? I prodotti tipici della gastronomia locale, ma anche piatti di tutti i giorni”. Originario della zona, dopo anni all’estero Faccinelli è tornato nella sua Terra: perché proprio la Valtellina? “Perché è vero che è nota per le piste da sci, le terme e i prodotti del territorio, ma c’è anche una realtà nascosta tutta da scoprire nelle vallate laterali. Il mio consiglio è di non vivere questa strada delle Alpi come un corridoio, ma di andare a scoprire i piccoli artigiani, i castelli, le chiese e le cose più autentiche”.

 

Sfursat

Lo Sfursat è prodotto dalla raccolta delle uve nel mese di ottobre, con selezione dei grappoli più belli, e dall’appassimento su graticci in locali asciutti anche per oltre 3 mesi. Ne deriva un vino di notevole struttura, morbido e profumato, perfetto anche da meditazione. Gli abbinamenti? Prodotti del territorio in primis, naturalmente, come la polenta taragna, i pizzoccheri, la cacciagione e i formaggi stagionati, ma anche la pasticceria secca. Per scoprire dove acquistarli e dove assaggiarli, è possibile consultare il sito www.stradavinivaltellina.com

 

pizzoccheri

I pizzoccheri: la bandiera di Teglio e la ricetta originale

Proprio nascosta in una delle vallate laterali sorge Teglio, la patria dei Pizzoccheri, che dà il nome a “Valtellina”, che significa Valle di Teglio (Vallis Tellina). Qui, nel 2002, è stata costituita l’Accademia del Pizzocchero, che ha lo scopo di tutelare, promuovere e diffondere questa specialità nota e apprezzata in tutto il mondo. La ricetta dell’Accademia? Eccola: 400 g di farina nera di grano saraceno; 100 g di farina bianca; 200 g di verze; 250 g di patate a fette; 200 g di burro d’alpeggio; 250 g di Casera Dop; 150 g di formaggio Grana Padano da grattugiare; 1 spicchio d’aglio, sale e pepe.

pizzoccheri

Mescolare le due farine, impastarle con acqua e lavorare per 5 minuti. Con il mattarello tirare la sfoglia a 2-3 millimetri e ricavarne fasce di 7-8 centimetri. Sovrapporre le fasce e tagliarle nel senso della larghezza, ottenendo delle tagliatelle larghe circa 5 millimetri.

Cuocere le verdure (a pezzi e a tocchetti) in acqua salata, unire i pizzoccheri dopo 5 minuti (le verze possono essere sostituite, a secondo delle stagioni, con coste o fagiolini) e lasciar cuocere per 10 minuti.

Raccogliere i pizzocheri con la schiumarola e versarne una parte in una teglia ben calda, cospargere con formaggio Grana grattugiato e Casera a scaglie, proseguire alternando pizzoccheri e formaggio. Friggere il burro con l'aglio lasciandolo colorire per bene, quindi versarlo sui pizzoccheri: senza mescolare, servire i pizzoccheri bollenti con una spruzzata di pepe di molinello.

 

valtellina

Formaggio: Bitto e Casera, i due volti di un terroir

Il Casera Dop, insostituibile nella ricetta tradizionale dei pizzoccheri, si ottiene solo dal latte vaccino parzialmente scremato prodotto negli stabilimenti di Sondrio; la stagionatura avviene nelle tradizionali “càsere”, oggi come ieri, quando gli allevatori univano il loro latte nelle latterie sociali. Il suo sapore? Delicato nei primi mesi di stagionatura, più intenso dopo l’affinamento.

Il Bitto Dop deve il suo nome al celtico “bitu”, che significa perenne; può essere prodotto soltanto durante la stagione estiva, nei pascoli di alta quota, poiché le sue caratteristiche organolettiche dipendono dalla qualità delle erbe consumate dalle mucche, che variano da alpeggio ad alpeggio. Il Bitto viene prodotto esclusivamente con latte vaccino intero ottenuto da razze tradizionali della zona (a cui può essere aggiunto latte caprino in misura non superiore al 10%). È un formaggio da meditazione: da provarlo abbinato con i vini del territorio.

 

 

GLI INDIRIZZI

 

mangiare

 

La Brace | Forcola (SO) | s.s. dello Stelvio | 0342 660 408 | www.labrace.it

Hotel Ristorante Combolo | Teglio (SO) | via Roma, 5 | tel, 0342 780 083 | www.hotelcombolo.it

Sport Hotel Alpina Cantinone | Madesimo (SO) | via De Giacomi, 41 | tel. 0343 56120 | www.sporthotelalpina.it

Lanterna Verde | Villa di Chiavenna (SO) | fraz. San Barnaba, 7 | tel. 0343 385 88 | www.lanternaverde.it

Crotasc | Mese (SO) | via Don Primo Lucchinetti, 63 | tel. 0343 41003 | www.ristorantecrotasc.com

 

dormire

 

Grand Hotel Bagni Vecchi | Valdidentro (SO) | via Bagni Nuovi, 7 | tel. 0342 910131 | www.bagnidibormio.it

Eden | Bormio (SO) | via Funivie, 3 | tel. 0342 911 669 | www.edenbormio.it

La Meridiana | Madesimo (SO) | via Carducci, 8 | tel. 0343 53160 | www.hotel-lameridiana.com

Sanlorenzo | Chiavenna (SO) | c.so Garibaldi, 3 | tel. 0343 34902 | www.sanlorenzochiavenna.it

 

foodshop

 

Bresaola Dop | www.bresaoladellavaltellina.it

Lazzeri | Semogo (SO) | via Le Ponti, 58 | 0342 985 064 | www.lazzeri.it

Salumificio Rigamonti | Montagna in Valtellina (SO) | via Stelvio, 973 | tel. 0342.535111 | www.rigamontisalumificio.it

Salumificio Del Zoppo | Buglio in Monte (SO) | Via dell’Industria, 2 | tel. 0342.620019 | www.delzoppo.it

Vini Fay | San Giacomo di Teglio (SO) | via Pila Caselli, 1 | tel. 0342.786071 | www.vinifay.it

Azienda Agricola Faccinelli | Chiuro (SO) | via Cesure, 19 | tel. 347.0807011 | www.lucafaccinelli.it

Formaggi Del Curto | Gordona (SO) | Loc. Boggia, 2 | tel. 0343.41395 | www.formaggidelcurto.it

 

vini

 

3 bicch. | Valtellina Sup. Grumello Buon Consiglio Ris. 2007 | Ar.Pe.Pe. | Sondrio (SO) | www.arpepe.com

3 bicch. | Valtellina Sup. Valgella Cà Moréi 2013 | Sandro Fay | Teglio (SO) | www.vinifay.it

3 bicch. | Valtellina Sforzato Albareda 2013 | Mamete Prevostini | Mese (SO) | www.mameteprevostini.com

3 bicch. | Valtellina Sfursat 5 Stelle 2013 | Nino Negri | Chiuro (SO) | www.ninonegri.it

3 bicch. | Valtellina Sup. Sassella Ris. 2012 | Aldo Rainoldi | Chiuro (SO) | www.rainoldi.com

2 bicch. rossi | Sforzato di Valtellina Vign. di Spina 2011 | F.lli Bettini | Teglio (SO) | www.vinibettini.it|

2 bicch. rossi | Valtellina Sup. Dirupi 2014 | Dirupi | Montagna in Valtellina (SO) | www.dirupi.com

2 bicch. rossi | Valtellina Sup. Ortensio Lando 2013 | Luca Faccinelli | Chiuro (SO) | www.lucafaccinelli.it

2 bicch. rossi | Valtellina Sup. Grumello 2012 | Alberto Marsetti | Sondrio (SO) | www.marsetti.it

2 bicch. rossi | Numero 1 2013 | Plozza Vini | Tirano (SO) | www.plozza.com

2 bicch. | Valtellina Sup. Orante 2011 | Walter Menegola | Castione Andevenno (SO) | www.cantinamenegola.it

2 bicch. | Valtellina Sup. Sassella Grisone Ris. 2013 | Alfio Mozzi | Castione Andevenno (SO) | www.alfiomozzi.com

2 bicch.| Valtellina Sup. Essenza 2012 | Vinea Scerscé | Tirano (SO) | www.tenutascersce.it

 

 

a cura di Arabella Pezza

 

I migliori mieli d'Italia. Mariangela Prunotto di Alba

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Ad Alba, in provincia di Cuneo, l'azienda agricola Mariangela Prunotto è impegnata da oltre un secolo nella produzione di frutta fresca. Da 40 anni a questa parte invece, è il nettare degli dei il protagonista assoluto di questa realtà a conduzione familiare piemontese.

L'attività

La data ufficiale di nascita è il 1863, “ma l'attività di famiglia in realtà esisteva da molto prima”, racconta Roberto Lezzoso, attualmente a capo dell'azienda agricola Mariangela Prunotto. Siamo ad Alba, in provincia di Cuneo, una terra rigogliosa e ricca di prelibatezze agroalimentari, miele incluso. Qui, alla fine degli anni '70, l'azienda ha iniziato a produrre mieli di qualità di diverso tipo, affidandosi alle proprie colture e quelle di altri agricoltori del luogo, applicando i dettami dell'apicoltura nomade, che prevede lo spostamento dell'apicoltore con le sue api in vari terreni agricoli per recuperare il nettare necessario alla produzione di miele. “Inizialmente realizzavamo mieli solo a livello casalingo, per la famiglia. Col tempo poi la produzione è aumentata e così anche il nostro interesse, e di conseguenza le vendite. Oggi è il nostro prodotto di punta”.

La produzione e la vendita

Circa 1000 alveari per una produzione che si aggira attorno ai 15mila kg di miele l'anno: questi i numeri dell'azienda. Miele di acacia, di castagno, tiglio e millefiori di montagna, “prodotto oltre i 1500 metri” sono le specialità della casa, ma ci sono anche i mieli di agrumi, eucalipto, di abete e menta, e melata. I più venduti sono, come sempre, quello di acaciae quello di castagno, “dal sapore più amaro ma altrettanto apprezzato nella nostra zona”. I terreni sui quali l'azienda fa affidamento sono gli stessi da oltre 30 anni, “agricoltori locali molto attenti alla qualità e al rispetto del terreno, con i quali collaboriamo da tempo”. Niente pappa reale o propoli: Mariangela Prunotto produce solo mieli e altri prodotti derivati dalla frutta e dalla verdura, come passate di pomodoro, frutta sciroppata, conserve, confetture e salse. Con un totale di 30 ettari di terreno, l'azienda resta fortemente legata alla produzione ortofrutticola e ha recentemente inserito una nuova linea di succhi di frutta senza zucchero, “a base di sola frutta pressata in versione classica oppure in abbinamento a verdure”. Bevande da gustare in purezza oppure da utilizzare nella mixology per cocktail creativi e originali, “in qualsiasi caso, si tratta di succhi per adulti: difficilmente piaceranno ai più piccoli!”.Come canale distributivo, la famiglia ha scelto di affidarsi a delle piccole botteghe specializzate in prodotti artigianali, e anche a Eataly, “non siamo presenti nella Gdo e non siamo interessati a una produzione industriale”. Il 70% circa delle vendite, poi, è destinato all'estero, “in particolare ai paesi europei”.

La coltivazione biologica

Da diversi anni, l'azienda ha adottato nelle proprie coltivazioni il metodo dell'agricoltura biologica sostenibile e dal 1995 aderisce al “Programma Agro Alimentare di attuazione del Reg. CEE 2078/92”, “l'unico che consente al consumatore di ridurre al minimo il residuo tossico sulla frutta, nel massimo rispetto della natura”. L'agricoltura quindi è in pieno regime biologico, ovvero senza utilizzo di pesticidi, anche se non tutti i prodotti poi vengono certificati bio. Ma ha senso parlare di biologico in un prodotto che, teoricamente, dovrebbe essere 100% naturale come il miele? “Tecnicamente no, ma dipende come sempre dalla cura e l'attenzione che gli apicoltori hanno durante la fase produttiva”. In che senso? “Come in tutti gli allevamenti, anche in quello delle api può accadere che uno o più insetti si ammalino. In questo caso, un bravo apicoltore deve essere in grado di risolvere il problema quanto prima per non estendere la malattia all'intero alveare: alle volte, basta semplicemente allontanare momentaneamente le api malate dal resto del gruppo”. Un apicoltore professionista deve, dunque, avere il controllo totale sullo stato di salute delle proprie api, “e in questo caso la certificazione biologica è solo un'ulteriore informazione che non aggiunge nulla alla qualità del prodotto, che è già buona”. Ma quali sono gli altri ostacoli da osservare durante la produzione del miele? “La presenza di vespa velutina”, comunemente chiamata anche Calabrone asiatico, “un insetto originario dell'Asia che si nutre delle uova dell'alveare, danneggiando così tutto il lavoro delle api”.

Il panorama del miele in Italia

Un settore che sta crescendo, quello del miele italiano. Lo confermano i numeri delle vendite e anche gli apicoltori professionisti, compreso Roberto: “I consumatori sono molto più attenti ora, grazie anche all'aumento della comunicazione di questo prodotto”. Cresce la consapevolezza del pubblico, dunque, e anche la cura da parte degli apicoltori, “sempre più impegnati a realizzare un prodotto di qualità”. Il prossimo passo da compiere? “Far comprendere ai consumatori la differenza fra un miele artigianale e uno industriale, ma soprattutto fra mieli di qualità e non. Ci sono, purtroppo, tanti agricoltori che producono miele come hobby secondario e poi lo vendono a un prezzo che per noi è insostenibile, troppo basso e competitivo”. Serve, dunque, una maggiore considerazione del miele, “che non deve essere visto come una merce secondaria, ma come un prodotto nobile da valorizzare e lavorare con cura”. Un'esigenza, quella di formare il cliente che però al momento non può essere soddisfatta da Mariangela Prunotto: niente corsi da lei, “fra frutta e miele siamo impegnati tutti i giorni dell'anno e non abbiamo tempo per dedicarci alle lezioni”, ma i consumatori possono prenotare delle visite guidate in azienda per osservare gli apicoltori all'opera.

Gli abbinamenti

Come abbinare un buon miele agli altri ingredienti? L'accostamento formaggio/miele è un grande classico della cucina italiana e non solo, ma ogni miele, così come ogni latticino, ha le sue proprietà aromatiche ben definite e pronunciate che, se abbinate in maniera scorretta, possono risultare eccessive oppure, al contrario, non essere valorizzate a sufficienza. “Per i formaggi dolci e poco stagionati, consiglio il miele di melata, mentre l'acacia è più adatto sugli erborinati o anche col mascarpone”. E ancora miele di castagno con formaggi stagionati, eucalipto su quelli di media stagionatura e quello di menta sui latticini freschi. Ma non bisogna limitarsi ai soli formaggi: “il miele di tiglio, dai sentori leggermente mentolati, si sposa molto bene con i piatti di pesce, ed è un ottimo dolcificante per le tisane”. Il millefiori di alta montagna è indicato invece per la frutta fresca, mentre quello di agrumi è ottimo se abbinato ai cocktail o alla pasticceria secca.

Mariangela Prunotto | Alba (CN) | via Osteria, 14 | tel. 0173 441590 | mprunotto.com/

a cura di Michela Becchi

I migliori mieli d'Italia. Giorgio Poeta di Fabriano

I migliori mieli d'Italia. Carlo Amodeo di Termini Imerese

I migliori mieli d'Italia. Delizie dell'Alveare di Tornareccio

I migliori mieli d'Italia. Apicoltura Bianco di Guardiagrele 

Conoscere e capire il miele: glossario essenziale

La Roulosteria di Giulio Grotto a Schio. Un'osteria su ruote con piatti veneti e giapponesi

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Un po' veneta, un po' giapponese. È la curiosa proposta del food truck di Giulio Grotto, trentasettenne di Schio, in provincia di Vicenza, che dopo esperienze in cucine blasonate e viaggi in Giappone ha deciso di cambiar vita, mettendosi al volante della sua Roulosteria per portare il ramen, ma non solo, lungo le strade del Veneto.

Giulio Grotto

Non si può dire che non abbia fatto gavetta: frequenta l’alberghiero di Recoaro, che lascia al quarto anno per lavorare a tempo pieno in un ristorante di Schio, la sua città. Dallo scledense Da Beppino passa nelle cucine di vari hotel e approda a Isola Rizza al Ristorante Perbellini, dove però non si ferma. Continua la sua formazione sul campo, sia in Italia che in Giappone. “Spesso mi sono trovato fianco a fianco con colleghi giapponesi e da lì è nata la passione per la cultura nipponica. Ho cominciato a studiare la lingua, gli usi e i costumi, e ovviamente sono volato in Oriente”. Sei i viaggi turistici, con intermezzi lavorativi nelle cucine tradizionali, dai ramen ya agli izakaya (punti di ritrovo dei giapponesi, articolati in piccole salette private dove si azzerano le classi sociali, i ruoli e le formalità), prima di ottenere il visto. “Lì te lo danno solo se porti qualcosa al Paese, se fai un lavoro che un giapponese non sa fare”. Così, dopo un paio di esperienze tra Giappone, Italia e Londra (da Dolada Restaurant), decide di trasferirsi in pianta stabile a Nagoya, dove comincia a lavorare come sous-chef nel ristorante Le Gioie. “Esperienza utilissima, ho ampliato le mie conoscenze, già avviate a Tokyo e a Hiroshima, focalizzandomi sul rispetto nei confronti della materia prima, la precisione e la pulizia. Tutti aspetti che quando sono rientrato in Italia ho ritrovato alla Tavernetta All’Androna a Grado, prima, e all'Enoteca De Feo a Cividale del Friuli, poi”.

La Roulosteria

Poi per problemi familiari Giulio deve rientrare a Schio. Lasciandosi alle spalle l'esperienza da chef all'Enoteca De Feo, ma non la passione. “Così ho deciso di concretizzare un sogno che avevo in mente da anni: quello di guidare un’osteria con le ruote”. Una volta riunite le due passioni, viaggiare e cucinare, Giulio è partito in quarta. Ha comprato una Laverda degli anni '80, “la costruivano nella provincia di Vicenza”, l'ha dipinta di nero e l'ha allestita con tutto il nécessaire: “Gli interni sono in legno, come le vere osterie, ed è dotata di piastre a induzione, friggitrice, frigo, congelatore e un abbattitore, per quando vorrò preparare il sushi”. Costo totale? Circa 40mila euro, non proprio un giocattolino. Piuttosto la nuova sfida di Giulio, che a inizio maggio inaugurerà la Roulosteria, come l'ha chiamata, nelle piazze di Vicenza. “Una volta interpretato il mercato percorrerò il Veneto e perché no mi spingerò anche in Lombardia. Prima però voglio rodarla per capirne il limite, quel che conta è riuscire a mantenere la catena del freddo”.

La proposta gastronomica

Disponibile anche a organizzare eventi privati, dalle lauree ai matrimoni sui generis, lo chef scledense ha studiato un menu che viaggia su due binari, da una parte la tipica cucina veneta, dall'altra quella tradizionalmente giapponese. “Quando la stagione me lo permetterà comincerò a preparare i ramen, principalmente della tipologia Tonkotsu, dove il brodo è fatto con ossi e carne di maiale cotti a lungo distintamente e poi uniti”. Durante uno dei suoi viaggi ha comprato tutto l'occorrente per preparare “roulotte made” anche i noodles, compreso il kansui,una particolare acqua minerale alcalina che contiene carbonato di sodio e carbonato di potassio, che serve a dare maggior consistenza ai tagliolini. “Per la bella stagione ho ideato un menu ispirato alle korokke, le crocchette di patate giapponesi”. E la quota veneta? “È il ripieno, che varia dal baccalà mantecato agli asparagi di Bassano e salsiccia. Oltre alle crocchette, che proporrò su stecco, ci sono dei veri piatti, come lo sgombro affumicato, con riso, crema di finocchio e gocce di arancia, la pancia di vitello cotta a bassa temperatura, spinacino e patate schiacciate o la tartare di tonno su una crema di fagioli e cipolla caramellata”. Sul versante dolce per ora propone il tipico tiramisù e una cheesecake Monte Fuji, con crema inglese al tè macha e crumble al sesamo nero. Il prezzo?“Varia dai 6 agli 8 euro”. Non ci resta che augurare in bocca al lupo al primo ramen food truck d'Italia.

 

www.facebook.com/roulosteria

 

a cura di Annalisa Zordan

foto di apertura: Barbara De Martin

 

 

 

 

 

 

Iraqi Cuisine, da Londra a Firenze. Ecco cos'è e perché Philip Juma è una star della ristorazione inglese

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Dal 4 al 9 aprile Firenze ospita l'ottava edizione del Middle East Now, il festival dedicato alla cultura contemporanea del Medio Oriente, con decine di proiezioni e performance a tema. A rappresentare l'identità gastronomica mediorientale c'è Philip Juma, chef anglo-iracheno ideatore di Juma Kitchen, a Londra.   

Middle East Now. Il Medio Oriente a Firenze

Un festival dedicato al Medio Oriente e alla sua cultura nella città che come poche altre nella Penisola preserva l'eredità storica e artistica dell'Italia. A Firenze l'appuntamento con Middle East Now è ormai una tappa consolidata sul tracciato di uno scambio creativo che cerca di superare e abbattere le barriere. Le distanze geografiche, ma soprattutto quelle culturali, che oggi sembrano moltiplicarsi sotto il fuoco incrociato di provocazioni, diffidenza e ottuse politiche sociali. Alla festa del Medio Oriente contemporaneo in trasferta, invece, si arriva per riempirsi gli occhi (e il cuore) di arte, musica, film, cibo. Per incontrare artisti, designer, creativi e personalità che difendono la prospettiva di una delle zone più “calde” e tormentate del mondo. L'ottava edizione del festival organizzato dall'Associazione Culturale Map of Creation va in scena dal 4 al 9 aprile, in concomitanza con la Milano Design Week. E non ha nulla da invidiare al coté culturale del capoluogo lombardo, con un programma che annovera la proiezione di 45 pellicole prodotte in Medio Oriente (al Cinema La Compagnia e al Cinema Stensen), con focus sull'Egitto e sulla Siria, con l'anteprima italiana di The Last Men in Aleppo, una mostra sul coraggio delle donne saudite, installazioni e performance d'arte diffuse in città, serate dedicate alla musica contemporanea del Middle East, talk sul tema del festival - che quest'anno è dedicato all'Urban Middle East, la dimensione urbana della vita in Medio Oriente – e persino un mini corso di lingua araba. Ma anche la tavola rappresenterà un valido motivo di scambio e confronto.

Il Medio Oriente a tavola. Chi è Philip Juma

L'anno scorso, per l'edizione 2016, era arrivato a Firenze lo chef e attivista libanese Kamal Mouzawak, che a Beirut coltiva e sostiene la comunità gastronomica locale e le sue tradizioni. Stavolta il focus si sposta sull'Iraq, con la partecipazione dell'anglo-iracheno Philip Juma, che l'immagine della cucina mediorientale ha saputo riabilitarla a Londra, fino a farne quel fenomeno di tendenza che ha conquistato il pubblico inglese e prende il nome di Iraqi Cuisine. Nella capitale inglese lo chef è una vera celebrità, fondatore del progetto Juma Kitchen e columnist dell'Evening Standard, per cui cura una rubrica settimanale sostenendo la causa dell'identità culinaria irachena. A Londra l'intuizione giusta è stata quella di aprire una serie di ristoranti pop up, cavalcando l'onda dei supper club, con l'idea di raccontare un Iraq che è altro da conflitti a fuoco e devastazione, e a tavola può regalare grandi soddisfazioni.

Iraqi Cuisine da Ditta Artigianale. Cos'è

La sua cucina, per esempio, dichiara anche quelle influenze indiane (evidenti nell'abbondanza di spezie, dal cumino al cardamomo) che in Iraq hanno trovato terreno fertile per innestarsi sulla tradizione locale. Del resto anche se Philip è nato a Londra, da suo padre – arrivato da Mosul nel 1971 – ha scoperto tutti i segreti della cucina Muslawi, quella che da secoli si tramanda nel Nord dell'Iraq. Oggi, che di anni ne ha 33, e da cinque gestisce la sua cucina professionale, è riuscito a conquistare il palato occidentale facendo leva su una mediazione di ingredienti, tecniche, esperienze, ma soprattutto valorizzando ricette fino a qualche anno fa sconosciute alla platea londinese.

Le stesse che Juma porterà a Firenze, come il dolma – nella variante irachena la foglia di vite è ripiena di cipolle e peperoni marinati al tamarindo, aglio, succo di melograno e spezie (un mix sempre diverso che ogni famiglia custodisce gelosamente) – il pollo allo zafferano, il fattoush (un'insalata di verdure e pane). Lo chef sarà infatti protagonista di una cooking class ospitata dalla Scuola Cordon Bleu (sabato 8 aprile, 40 euro con degustazione finale, dalle 10.30 alle 14), ma soprattutto chiave di volta dell'Iraqi pop up dinner del 7 aprile da Ditta Artigianale in via dello Sprone. Quale migliore occasione per celebrare l'incontro tra culture se non intorno alla tavola di una cucina che della convivialità e della condivisione delle pietanze ha fatto un elemento distintivo?

 

Middle East Now | Firenze | dal 4 al 9 aprile 2017 | www.middleastnow.it

www.jumakitchen.com

 

a cura di Livia Montagnoli

Bar d'Italia 2017 del Gambero Rosso. 1300 indirizzi sull'app per portare la guida sempre con sé

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In collaborazione con illy, Gambero Rosso presenta la versione aggiornata dell'app dedicata ai migliori bar della Penisola, per scegliere sempre il posto più giusto per una colazione coi fiocchi, uno spuntino gourmet, un aperitivo all’italiana o una piacevole pausa pranzo.Ecco come scaricarla. 

La guida Bar d'Italia del Gambero Rosso presidia il territorio da ben 17 anni, da quando perlustra la Penisola da Nord a Sud per scovare e recensire le insegne che tramandano la passione tutta italiana per il bar, che scandisce la giornata dalla colazione al dopocena. Specialmente quando l'attività è stata in grado di rinnovarsi per restare al passo con i tempi, valorizzando la valenza culturale e sociale del bar, sotto il profilo gastronomico in primis, ma pure prestando attenzione all'ambiente e al servizio. Sono queste le qualità che la guida evidenzia (distribuendo riconoscimenti in Chicchi e Tazzine e premi speciali) per offrire un vademecum completo e capillare a chi non vuole rinunciare alla colazione fuori casa con lieviti d'autore, a un caffè che non è uguale a tutti gli altri, a una pausa pranzo leggera e gustosa, a un aperitivo che renda giustizia alla tradizione italiana.

 

Recentemente valorizzata da una nuova veste grafica e da un cambio di formato – più agile e facile da portare con sé – da un paio d'anni la guida è disponibile anche in formato app, al prezzo di 2,99 euro per iOS e Android. Nata dalla collaborazione tra Gambero Rosso e illy, l'app permette di navigare tra i migliori bar d'Italia per chiavi di ricerca specifiche e immediate: in base alla valutazione, alla tipologia, alla città, oppure cercare l'insegna più vicina specificando se cerchi un locale per colazione, pranzo o aperitivo. Inoltre l’app Bar d’Italiaoffre all'utente la possibilità di salvare i bar preferiti, e di interagire con la redazione, inviando segnalazioni e feedback sui locali visitati, o salvare note personali per tracciare una personale geografia dei bar da non perdere; attraverso una particolare grafica contraddistinta dai puntatori rossi, inoltre, sarà ancora più facile individuare tutti i bar d’Italia che propongono caffè illy. E sarà come portare sempre con sé l'ultima edizione della guida, con 1300 indirizzi corredati di scheda tecnica e valutazione.

 

Scarica l'app Bar d'Italia

 

Cibo a Regola d'Arte. La 5a edizione del festival del Corriere della Sera

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Torna l'evento annuale organizzato dal Corriere della Sera, quest'anno incentrato sul tema del linguaggio del cibo. Dal 31 marzo al 2 aprile, Milano ospita degustazioni, laboratori e convegni all'insegna della cultura del buon cibo.

L'evento

Il cibo è costantemente al centro di dibattiti, seminari, programmi televisivi, eventi e corsi di formazione: per questo oggi è importante scegliere le parole giuste per raccontare la cultura enogastronomica italiana e straniera. Un linguaggio del cibo corretto ed esaustivo è un fattore imprescindibile per promuovere e valorizzare le ricchezze agroalimentari e culinarie di un Paese ed è proprio su questo punto che ha deciso di insistere l'ultima edizione di Cibo a Regola d'Arte, il festival annuale del Corriere della Sera ospitato negli spazi dell'UniCredit Pavilion di piazza Gae Aulenti a Milano. Per il quinto anno consecutivo, il quotidiano si impegna a dare voce al settore della ristorazione e della gastronomia, questa volta puntando tutto sul racconto del cibo. Con incontri, seminari, showcooking, laboratori per bambini e adulti in una tre giorni all'insegna delle parole e del buon gusto. Esperti di gastronomia, scrittori, giornalisti, fotografi, attori, sportivi e naturalmente chef: l'evento chiama a raccolta tutti i personaggi coinvolti nell'universo dell'alimentazione per analizzare e comprendere i diversi tipi di linguaggio, dai testi ai contenuti audivisivi, attraverso i quali si può diffondere la cultura del mangiare bene. “Perché dietro a un vocabolo c’è sempre un’idea, una filosofia, una storia, un progetto”, spiega Angela Frenda, food editor del Corriere e direttore artistico della manifestazione.

Il programma

Un programma fitto di appuntamenti, quello di Cibo a Regola d'Arte, che si apre con un focus sul pesce curato dallo chef Andrea Berton, e prosegue con le masterclass sulla birra e il vino con degustazioni guidate da esperti assaggiatori e sommelier. Fra i volti noti del panorama gastronomico italiano, Antonino Cannavacciuolo, chef di Villa Crespi, che terrà un seminario sul concetto di sensibilità in cucina, e poi Ernst Knam, pasticcere e protagonista di diversi programmi tv che preparerà la sua famosa crostata al cioccolato e parlerà dell'effetto sorpresa in cucina. E poi food talk sul grano, insieme al chimico Dario Bressanini, il presidente di Alce Nero Lucio Cavazzoni, il professore di Agraria dell'Università di Bologna Giovanni Dinelli e il panificatore Davide Longoni, e ancora focus sulle verdure, la carne, il ruolo della memoria durante la degustazione, la mise en place, la cucina detox e le ricette tradizionali lombarde, in onore della regione che da anni ospita la manifestazione. Ma non solo cucina italiana: con lo chef Wicky Priyan del ristorante etnico Wicky's di Milano i visitatori potranno apprezzare e provare a replicare la complicata arte del sushi giapponese, con un'introduzione sull'argomento a cura di Andrea Poli, presidente della Nutrition Foundation of Italy. Durante l'evento, sarà inoltre presentata la guida Vignaioli e vini d'Italia 2017 del Corriere della Sera, manuale che valorizza le migliori etichette della Penisola. Spazio poi anche alla pizza, con una masterclass a cura di Ciro Oliva, e naturalmente al mondo dei food blogger, coinvolti in prima linea nel team del linguaggio in un talk show tenuto da Enrico Mentana e i vincitori del concorso Cucina Blog Award. Non mancheranno, poi, laboratori dedicati ai più piccoli, come il Taglia e Cuci-na, a cura degli atelieristi e cuochi di Reggio Children, progetto pedagogico innovativo per la formazione dei ragazzi, e il Ri-tratti di verdure.

Cibo a Regola d'Arte | Milano | piazza Gae Aulenti, 10 | dal 31 marzo al 2 aprile 2017 | www.corriere.it/reportages/cucina/2017/cibo-a-regola-d-arte/

a cura di Michela Becchi

Colombe solidali. Un modo diverso per festeggiare la Pasqua e fare del bene

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Tempo di Colombe. Ognuno cerca la migliore, secondo i propri gusti, le proprie esigenze e le possibilità. Fra le tante in commercio, artigianali e non, vogliamo ricordare quelle legate a progetti di beneficenza in cui il dolce tipico della Pasqua contribuisce a sostenere progetti di solidarietà. Eccone una lista.

Sfruttamento animale, reinserimento sociale dei detenuti, autismo: Pasqua, come altre festività, soprattutto quelle religiose, è anche un'occasione per fare del bene e pensare a chi è meno fortunato. Oltre ad acquistare le colombe dei grandi maestri pasticceri italiani, per la colazione della domenica di Pasqua ci sono una serie di lievitati solidali nati a scopo di beneficenza per sostenere delle associazioni di volontari o progetti specifici. Il ricavato della vendita dei dolci pasquali (tutto o parte di esso) è devoluto a favore di queste iniziative. Per questo vogliamo accendere un faro su questi dolci, che spesso non godono della firma di un grande pasticcere, ma non per questo sono meno buoni. Anzi, sono due volte buoni.

Admo

Dalla colomba classica a quella al cioccolato, dall'uovo extra fondente a quello di cioccolata al latte: l'assortimento di prodotti pasquali realizzati da Admo è davvero vasto. Scegliendo una di queste confezioni, si sostiene l'associazione Admo dell'Emilia Romagna che si occupa (da 25 anni) dei donatori di midollo osseo dalla fase di informazione e sensibilizzazione, all’iscrizione, al reperimento in caso di compatibilità fino alla donazione effettiva.

www.admoemiliaromagna.it

Associazione Christian Onlus

Colomba classica, uova di cioccolato fondente e al latte e confezioni regalo anche per l'Associazione Christian Onlus, nata nel '98 a Busto Arstizio per sostenere le comunità meno fortunate. Attualmente, la onlus è impegnata nell'iniziativa Promozione della pesca fluviale, dedicata ai pescatori e commercianti dei distretti di Mopeia e Morrumbala, nella provincia della Zambesia in Mozambico, e Raggi X per la vita, progetto nato per acquistare macchinari per radiografie per il Dispensario di Kariobangi gestito dalle Suore Missionarie Comboniane insieme all'Arcidiocesi di Nairobi.

www.associazionechristian.org

Buoni Dentro

Nasce all'interno dell'Istituto Penale Minorile Beccaria il laboratorio artigianale che ha dato vita al progetto Buoni Dentro. Un'iniziativa rivolta ai giovani e basata sul concetto di resilienza e superamento delle difficoltà del passato, che punta al reinserimento sociale dei ragazzi attraverso attività manuali e creative come la pasticceria che ha visto anche degli interventi nel carcere di San Vittore. Dal febbraio 2015 è attivo anche il laboratorio di panificazione con punto vendita Pezzi di Panei n Piazza Bettini a Milano, che impiega alcuni giovani detenuti sotto la guida e la supervisione di un maestro artigiano. Per la Pasqua 2017 ci sono focacce, colombe di vari gusti e biscotti presenti anche al festival meneghino L'uovo e la Colomba in scena in piazza Gae Aulenti il prossimo 2 aprile.

buonidentro.it/

Croce Rossa Italiana

Tornano anche le colombe della Croce Rossa Italiana, per promuovere le attività di questa associazione e chiedere il sostegno delle aziende attraverso una donazione. La colomba solidale non è disponibile per la vendita al dettaglio, ma tutti i comitati CRI e le aziende interessate possono richiedere un minimo di 96 lievitati da 1 kg da rivendere nelle loro sedi.

www.cri.it/home

Fondazione Bambini e Autismo

Attiva dal 1998, l'associazione si occupa di sostenere bambini e adulti affetti dal disturbo autistico, attraverso diversi centri dislocati in Friuli Venezia Giulia e in Emilia Romagna. Convenzionata con diversi atenei e scuole di specializzazione come sedi di tirocini, la Fondazione ha seguito l’implementazione di servizi per l’autismo in diverse parti d’Italia, ed è fornitrice di interventi formativi per aziende sanitarie e altri enti.

A Fidenza e Pordenone è già possibile acquistare colombe e uova di Pasqua, realizzati da un gruppo di pasticceri di Parma e Pordenone, e disponibili – a partire dal prossimo 2 aprile – presso i centri della Fondazione in occasione della Giornata Mondiale dell'Autismo. Novità di quest'anno è che le sorprese della uova sono state realizzate dai ragazzi delle strutture della Fondazione.

www.bambinieautismo.org/

Galup

La colomba Galup è dedicata alla FFC-Fondazione Ricerca Fibrosi Cistica Onlus, impegnata nella promozione di progetti avanzati di ricerca per migliorare la durata e la qualità di vita dei malati e sconfiggere definitivamente la fibrosi cistica. Disponibile presso oltre 300 punti vendita Simply Market, Punto Simply, La Bottega Simply, PrestoFresco e Supermercati Borello.

www.galup.it/galup/

La Stella di Lorenzo

Nata alla fine del 2012 per volontà dei genitori di Lorenzo Fabbri, venuto a mancare la notte del 29 settembre dello stesso anno a seguito di un malore, l'associazione è impegnata nella Promozione Sociale, ovvero nella realizzazione di un gruppo di persone che scelgono di mettere a disposizione le proprie capacità ed esperienze per aiutare chi ne ha più bisogno. Sport, istruzione, cultura, arte: sono tanti i settori che coinvolgono le attività dell'associazione, che si rivolge a famiglie, persone in difficoltà economiche, enti e organizzazioni di vario tipo. Con l'acquisto di una colomba, si può contribuire a sostenere La Stella di Lorenzo in tutti i suoi progetti.

www.lastelladilorenzo.org/

Lida Olbia

L'altra faccia della Costa Smeralda: questo il claim dell'associazione Lida Olbia, Onlus impegnata nella difesa e tutela dei diritti degli animali. Abbandono, randagismo, vivisezione, traffico di animali: questi e molti altri sono i disagi che l'organizzazione si impegna a combattere in Sardegna. Ma la Lida (Lega Italiana dei Diritti dell'Animale) è una realtà ben più grande ed estesa a livello nazionale nata nel '77 per frenare lo sfruttamento animale. E sono proprie le volontarie della Lida a realizzare le colombe per la Pasqua 2017, il cui ricavato sarà destinato al Rifugio della Lida di Olbia.

www.lidaolbia.it/

Trame Africane

Nata nel 2011 con l'obiettivo di dare voce a chi vive in situazioni di estremo disagio nel continente africano, Trame Africane Onlus è un'associazione di volontari impegnati nello sviluppo del settore dell'educazione, di quello sanitario e delle infrastrutture in Africa.

Specialità della casa per la Pasqua 2017 è il machakOvo, l’uovo nato dalla collaborazione con Wal-Cor, una delle più grandi aziende italiane produttrici di uova di cioccolata e personalizzato con sorprese made in Kenya realizzate dagli artigiani della periferia di Nairobi, dalle ragazze della scuola di taglio e cucito di Machaka e del laboratorio di perline di Kiirua. Ma ci sono anche le colombe artigianali, il vino e le ceste ricche di prelibatezze gustose e che fanno bene.

www.trameafricane.org

Pasticceria Giotto dal Carcere di Padova

Tema completamente diverso è invece quello della Pasticceria Giotto, rinomato laboratorio nato all'interno del Carcere di Padova nel 2005, nella Casa di Reclusione Due Palazzi. Un progetto attivo tutto l'anno, ideato per restituire dignità ai detenuti attraverso il lavoro. In occasione della Pasqua Giotto propone colombe artigianali di vari gusti, dal classico canditi e uvetta alla variante con pesca e albicocca oppure con gocce di cioccolato. Oltre alle colombe, la pasticceria offre anche uova di cioccolato e focacce veneziane, un'antica ricetta del territorio basata sull'impasto del pane arricchito con uova, burro e zucchero.

www.idolcidigiotto.it/it/

Semi di Pace

È il gigante dell'industria dolciaria Maina a realizzare le colombe per Semi di Pace, Onlus di Tarquinia impegnata in diversi progetti a sostegno dei bambini meno fortunati, nati in paesi dove la guerra o le calamità naturali mttono a repentaglio la loro vita. Un'associazione internazionale che promuove anche il sostegno a distanza dei bambini e che nel 1995 ha dato vita al Gruppo sorriso, un progetto dedicato ai ragazzi diversamente abili residenti nel comune di Tarquinia. Il ricavato della Pasqua 2017 questa volta sarà devoluto a sostegno della lotta contro la prostituzione, attraverso il progetto Maddalena, nato lo scorso 8 marzo in occasione della festa della donna.

www.semidipace.it

Sos Bambini

Fondata nel 2004 da un gruppo di amici con l'obiettivo di migliorare le condizioni di vita di bambini e adolescenti in difficoltà in Italia e nel mondo, la Sos Bambini Onlus si impegna per superare situazioni di emergenza e per mettere in campo progetti a lungo termine. Per la Pasqua 2017 Sos Bambini propone colombe artigianali, uova, ovetti e tavolette di cioccolato per raccogliere fondi per finanziare il campo estivo che si terrà a Menaggio, in provincia di Como, il prossimo agosto e offrirà ai ragazzi provenienti dalle case famiglia della Romania una serie di iniziative didattiche e ludiche.

www.sosbambini.it

ZeroTre Onlus

L'associazione è nata dall'iniziativa di un gruppo di genitori di bambini affetti da gravi patologie. Si chiama ZeroTre Onlus ed è una realtà di sostegno reciproco che aiuta ad affrontare la malattia dei figli e organizza attività per i piccoli malati. Anche quest'anno, l'associazione propone una campagna pasquale a favore della riabilitazione dei ragazzi con la vendita di cesti, uova e cioccolatini, tutti confezionati dalle mamme e dai volontari. A realizzare le colombe invece, l'azienda Bonifanti di Villafranca Piemonte, in provincia di Torino.

www.zerotreonlus.it/

a cura di Michela Becchi


Libri. Essenze: i profumi gastronomici di Antonella Bondi

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Alla scoperta delle food fragrances di Antonella Bondi, creatrice di profumi e autrice di un libro in cui unisce le sue fragranze alle ricette dei grandi chef contemporanei.

L’acquerello di Giuliano Della Casa, nelle prime pagine di Essenze, il volume di Antonella Bondi sui profumi della natura in cucina, è un invito alla lettura. Un cameo dell’artista modenese, cui l’universo culinario deve gratitudine per la delicatezza e l’intensità con cui ha illustrato due classici della letteratura gastronomica come La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene, di Pellegrino Artusi, e Gargantua e Pantagruel di François Rabelais.

 

Antonella Bondi

Un invito lieve e profondo a entrare nel mondo di Antonella Bondi, professione designer olfattiva e maestra nell’arte della creazione di fragranze e oli essenziali, ideatrice di un progetto sulle food fragrances che prende vita nel 2013 insieme a Piazza Grande 1564, il suo team di collaboratori e amici. Una ricerca che esplora il mondo delle sensazioni gustative e olfattive e valorizza un aspetto ancora non così studiato dalla moderna gastronomia – quello della relazione di gusto e olfatto - che invece è fondamentale nell’esperienza del cibo. Attraverso i profumi ci ritornano alla mente ricordi piacevoli lontanissimi, momenti di condivisione in famiglia, gioie e amori, senza contare il ruolo rivestito dall'olfatto nella percezione dei sapori.

 

Le food fragrances

Il lavoro di Antonella si concentra sulle essenze di spezie, fiori, piante, erbe aromatiche, ma anche cioccolato, caffè, agrumi, fieno. Ne estrae l'anima aromatica con tecniche antiche fino a ottenerne fragranze pure, assolute e prive di conservanti, al punto da poter essere usate in cucina, per arricchire ricette dolci o salate, piatti o bevande. Le fragranze alimentari permettono di aggiungere l'essenza di un ingrediente senza aggiungere l'ingrediente.

 

Essenze di Antonella BondiLa copertina del libro

 

Il libro

Il volume, dal titolo Essenze, dedicato alle figlie Beatrice e Carlotta, racconta le essenze gastronomiche di cui Antonella è specialista. Ne illustra l'origine e ne spiega le applicazioni contemporanee, con il ricettario storico della sua famiglia e le proposte dei grandi chef che impiegano le food fragrances di Antonella. Si tratta di contributi degli chef con cui Antonella collabora quotidianamente, da Heinz Beck (suoi i Medaglioni di astice su purea di piselli con olive disidratate e salsa al cappuccino nella foto in copetina) a Matteo Baronetto, da Davide Bisetto a Eugenio Boer, da Pino Cuttaia ad Oliver Piras, da Alfio Ghezzi a Norbert Niederkofler, solo per citarne alcuni, oltre ai testi firmati da esperti del gusto come Giulio Alberoni, Rodolfo Bianchi, Carol Francesca Blench, Marco Colognese, e numerosi altri. Essenze di Antonella Bondi, è un viaggio alla scoperta del profumo in natura e in cucina, edito da Leima e distribuito da Mondadori.

 

 

gragranze

L'universo degli odori

Ma quale è il ruolo dell'olfatto nella nostra vita di appassionati di buon cibo? Il nostro sistema olfattivo è una macchina complessa che si confronta con alcune migliaia di sostanze dotate di odore: in un frutto se ne contano svariate centinaia e in un vino si può giungere a 4.000; mentre la sterminata mappa degli odori percepiti complessivamente dall’olfatto umano può arrivare anche a 400.000 referenze. Questo rende bene l’idea della complessità del segnale che dopo ogni boccone giunge al cervello, attraverso il bulbo olfattivo e per via retronasale.

La ricerca di Antonella Bondi, che nella sua intensa attività collabora con affermati chef, importanti aziende ed esperti del gusto, riporta alla natura, svelandone i giacimenti più nascosti, creando un'interazione fra gusto e olfatto, per dare vita a emozioni e sensazioni autentiche, che arrivano dal personale tracciato olfattivo di ognuno.

 

AntonellaBondi_-DanielToechterle.jpgAntonella Bondi. Foto di Daniel Toechterle

Come nasce una essenza

I distillatori accolgono le foglie appena colte delle piante e, grazie al vapore acqueo, consentono alle pareti cellulari delle erbe di essere più aperte e permeabili, perché l’essenza sia trasportata dallo stesso vapore. Condensato in una serpentina raffreddata con acqua, si depositerà sotto forma di miscela, di acqua distillata ed oli essenziali i quali saranno successivamente separati, senza l’impiego di solventi ed estrattori chimici. Con questo procedimento artigianale si crea un'essenza che può diventare ingrediente non solo per i grandi chef, ma anche per un pubblico più ampio, dell’universo gastronomico e non solo. “Se oggi posso creare essenze su misura e condividere, attraverso i profumi, ricordi ed emozioni a me molto cari” spiega Antonella Bondi “lo devo a chi mi ha accolta con fiducia”. Come nascono le sue creazioni lo spiega facilmente:“Ogni fragranza è un’alchimia che nasce dall’incontro tra il mio mondo e quello delle persone che incrociano la mia strada e con cui collaboro, partner importanti che con passione ed entusiasmo hanno scelto di vivere insieme a me questo viaggio”. Un viaggio in cui convergono esperienze e ricordi.

 

AntonellaBONDI_foto_di_Daniel_ToechterleAntonella Bondi. Foto di Daniel Toechterle

 

Il ruolo della memoria

Nel giardino della casa di campagna della mia famiglia tutto era profumo” racconta Antonella “da quello delle piante aromatiche: rosmarino, salvia, mentuccia e basilico, a quello dei frutti, limoni, mandarini e aranci, amarene, lamponi e fragole. Nelle mie fragranze gastronomiche rivivono i profumi della mia terra, dei luoghi che ho visitato, dei ricordi indelebili della mia infanzia”. La casa dell’infanzia di Antonella è presente in ogni essenza da lei creata.

 

Boer-Risotto_alla_Cenere_Salmerino_di_Montagna-credits_Alice_Geminiani.Risotto alla cenere, salmerino di montagna di Eugnio Boer, ristorante Essenza. Foto di Alice Geminiani

 

L'impiego in cucina

Si tratta di fragranze delicate ed eleganti, dove si ritrovano le emozioni e i ricordi più piacevoli, che diventano ingrediente in piatti che hanno fatto la storia della gastronomia o in ricette innovative che entrano nell’immaginario. “Le fragranze di natura sono nuvole” continua Antonella “oppure gocce di natura che possono accompagnare un piatto, dare un tocco di magia a una torta oppure a una pizza, esaltare il profumo di un risotto, offrire una spinta gustativa a delle semplici tagliatelle. Ancora, vaporizzate su una pietra bollente, per sprigionare la forza di un’essenza e avvolgere un filetto di pesce con la leggera carezza della natura”.

 

Campani-Pappardella ripiena di lepre in salmì. Foto di Marco Badiani

Pappardella ripiena di lepre in salmì. Foto di Marco Badiani

 

Ogni spezia, fiore, pianta aromatica, durante la lavorazione dei preparati, è maneggiata rispettandone la natura perché gli oli essenziali siano facilmente vaporizzabili.

 

 

Essenze. I profumi della natura in cucina | Antonella Bondi | Edizioni LEIMA| pp. 192 |  € 29,00

Info su www.antonellabondi.com

 

a cura di Luca Bonacini

Stefano Callegari e Flavio al Velavevodetto insieme a Fregene. Pizza e cucina romana alla Spiaggia dei Coqui

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Il pizzaiolo romano e la celebre insegna della Capitale si ritrovano al mare per un nuovo progetto dedicato proprio alla pizza e alla cucina della tradizione romana. Si inaugura a Pasqua, con un menu speciale. E anche in spiaggia arrivano i Trapizzini. 

La notizia è di quelle che confermano il buon momento della ristorazione del litorale romano. E tutti avranno modo di sperimentarlo con mano prestissimo, già a partire dal pranzo di Pasqua. Quando potrà essere una buona idea partire alla volta di Fregene per scoprire l'ultima trovata di due fuoriclasse del panorama gastronomico capitolino: Stefano Callegari e Flavio al Velavevodetto. Per le prima volta insieme, al mare, “con una proposta in controtendenza, solo pizza e cucina della tradizione romana”, molta terra e condimenti abbondanti come sa bene chi almeno una volta si è seduto da Flavio. Il progetto sta già prendendo forma all'ex stabilimento il Gabbiano, che oggi si chiama Coqui Beach, e presto sarà ribattezzato La Spiaggia dei Coqui, sotto la gestione di Rosario dell'Albos. Il ristorante dello stabilimento, operativo dal giorno di Pasqua, sarà aperto tutto l'anno (per i primi mesi ogni giorno a pranzo e cena, poi probabilmente solo nel fine settimana fuori stagione), e proporrà una carta che dichiara le passioni di chi l'ha ideato: i classici di Flavio e la cucina romana più autentica, la pizza tonda (da forno a legna Valoriani, a pranzo e cena) e i Trapizzini, da mangiare anche in spiaggia. Esordendo con un menu di Pasqua che onora la tradizione in chiave originale, “oltre all'abbacchio, sto ideando anche un paio di pizza speciali” racconta Stefano. E noi presto vi racconteremo di più.

 

La Spiaggia dei Coqui | Fregene (RM) | Lungomare di Levante, 72 | dal giorno di Pasqua

Buone nuove dal Povero Diavolo. Spessore 2017 si farà: Fausto Fratti sulle prossime iniziative di Torriana

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Il patron del Povero Diavolo di Torriana ci racconta come sarà la prossima edizione di Spessore, all'inizio dell'estate. Con la collaborazione di Riccardo Agostini, dei produttori di Chef to Chef, l'alleanza con Al Meni. E la dedica a Bob Noto. Aspettando altre novità. 

La voglia di mettersi in gioco

Appena ci saranno novità ci racconteremo anche La Collina dei Piaceri...”. Cominciare dalla fine, quando la parola spetta a Fausto Fratti, è solo un modo per confermare che la voglia di mettersi in gioco del patron del Povero Diavolo è incessante. Qualora ci fosse bisogno di ribadirlo. Perché a Torriana, nei mesi scorsi, si è lavorato con la passione di sempre, per un mestiere non sempre gratificante, ma bellissimo, soprattutto se le soddisfazioni umane ancor prima che professionali sai come procacciartele. Ecco perché anche quest'anno, all'inizio dell'estate, Spessore si farà. E nel giardino della locanda di Torriana sarà ancora una volta festa. La festa della cucina d'autore, della condivisione tra chef che accettano la sfida - “qui è così, i cuochi arrivano solo con i coltelli, ogni mattina entrano in cucina per il briefing, poi si lavora insieme in vista del servizio serale. A noi spetta il compito di farli sentire a casa” - della buona tavola, e pure del territorio, “uno scrigno prezioso tra i molti del BelPaese, la Valmarecchia e il Montefeltro”. Come dei prodotti regionali, che da tempo popolano i banchetti di Spessore, in degustazione per gli ospiti che arrivano per cena, curiosi di sperimentare le creazioni inedite degli chef, dai 12 ai 16 piatti ogni sera.

 

Spessore 2017. Gli chef e Riccardo Agostini

Dal 20 al 23 giugno, dunque, la manifestazione segnerà la continuità con un impegno che si rinnova ogni anno, condividendolo con un parterre di 12 chef, molti in arrivo dal territorio regionale, che hanno già confermato la propria adesione: Maria Grazia Soncini (La Capanna di Eraclio di Codigoro), Alberto Bettini (Amerigo, Savigno), Remo Camurani (Cà Murani, Faenza), Luigi Taglienti (Lume, Milano), Luca Abbruzzino (Abbruzzino, Catanzaro), Christian Milone (Trattoria Zappatori, Pinerolo), Silvio Salmoiraghi (Acquerello, Fagnano Olona), Giuseppe Iannotti (Kresios, Telese), Tiziano Rossetti (Angolo di Vino, Urbino), Davide di Fabio (Francescana, Modena), Alessandra Favero Oliver Piras (Aga, San Vito di Cadore), Alessandro Rapisarda  (Cafè Opera, Recanati). Ad accoglierli e coordinarli, e questa è una novità che intercetta senza svelarlo fino in fondo il nuovo corso del Povero Diavolo - “presto potrebbero essercene altre, di novità da segnalare” - ci sarà Riccardo Agostini, che per quattro giorni trasferirà la brigata del Piastrino di Pennabilli a Torriana (nella cucina che è stata sua per anni e ha lanciato la sua carriera): “Avrà in mano le redini dell'ospitalità”, accanto al nuovo chef designato ancora top secret, per traghettare Spessore all'esordio di una nuova era. Ma le buone nuove non finiscono qui, cominciando dalla collaborazione con Chef to Chef, l'associazione di chef e produttori dell'Emilia Romagna che riunisce le eccellenze regionali, “perché Spessore non è solo cucina d'autore, ma anche prodotti di qualità e vini del territorio e dall'Italia, con molte cantine ospiti e la partecipazione di realtà che ci piace valorizzare”.

 

La valorizzazione del territorio. E la dedica a Bob Noto

Come il Parmigiano Reggiano, l'aceto balsamico, la mortadella di Bologna Igp. Che in un ideale gemellaggio si ritroveranno al fianco dei prodotti inviati dagli amici di sempre, il Pastificio dei Campi e le mozzarelle di Barlotti. Anche se è sulla valorizzazione del circuito territoriale che Fausto Fratti si sente di insistere: “Posso confermare l'alleanza con Al Meni, la manifestazione gastronomica che Enrico Vignoli coordinerà anche quest'anno a Rimini, qualche giorno prima di Spessore, che sarà presente nel cartellone degli eventi”. Per un passaggio di consegne nel segno della qualità regionale, “favorito dal sindaco di Rimini, che molto si sta spendendo per darci voce”, che a luglio replicherà con la Collina dei Piaceri. E poi c'è l'omaggio a Bob Noto, il grande fotografo gourmet recentemente scomparso, e l'amico di una vita per Fausto: “C'eravamo conosciuti 25 anni fa, in occasione di un pranzo in Piemonte. Lui sceglieva tutti i prodotti migliori, quelli che avrei voluto prendere io; glielo feci notare scherzando, lui apprezzò a modo suo. Da una battuta nacque una grande stima reciproca”. Tanto che quando si è trattato di elaborare la grafica di Spessore, la celebre fettuccia di metro giallo che scandisce le date dell'appuntamento, Noto non si è tirato indietro. E a lui spetta la paternità. “Un motivo in più per dedicargli la festa di quest'anno, un personaggio di Spessore e un grandissimo amico”.

 

Gli chef di Spessore 2017:

 

Martedì 20/06

Maria Grazia Soncini, La Capanna di Eraclio, Codigoro Ferrara
Alberto Bettini, Amerigo, Savigno Bologna
Remo Camurani, Cà Murani, Faenza Ravenna

Mercoledì 21/06

Luigi Taglienti, Lume,  Milano
Luca Abbruzzino, Abbruzzino, Catanzaro
Christian Milone, Trattoria Zappatori, Pinerolo Torino


Giovedì 22/06       

Silvio Salmoiraghi, Acquerello, Fagnano Olona Varese
Giuseppe Iannotti, Kresios, Telese Benevento
Tiziano Rossetti, Angolo di Vino, Urbino Pesaro/Urbino

Venerdì 23/06

Davide di Fabio, Francescana, Modena
Alessandra Favero Oliver Piras, Aga, San Vito di Cadore Belluno
Alessandro Rapisarda, Cafè Opera,  Recanati Macerata

 

Spessore 2017 | Torriana (RN) | Povero Diavolo, via Roma 30 | tel. 0541 675060 | dal 20 al 23 giugno 2017 | www.ristorantepoverodiavolo.com

 

a cura di Livia Montagnoli

 

Gastromixology. I cocktail diventano cucina liquida e conquistano il mondo

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Cotture, sottovuoto, fermentazioni… la creatività degli chef si trasferisce in sala e al bancone con miscelati sempre più cucinati, meno alcolici e ben calibrati per essere abbinati con i piatti dei menu degustazione.

C'era una volta l'abbinamento o, meglio, c'era una volta quello che noi gaudenti frequentatori di tavole d’autore credevamo essere il significato univoco di abbinamento: a ogni piatto il suo vino, nell'ambito di menu più o meno articolati nei quali, dalla bollicina al muffato, rintracciare note di sintonia o contrasto che facessero da contrappunto al pasto. Al massimo, e solo di recente, si è aggiunta una scelta di birre artigianali. Questi abbinamenti, ovviamente, sono sempre in voga e anzi sono la maggior parte di ciò che si ordina al ristorante. Ma ci sono nuove scuole di pensiero che li mettono in discussione, tavole e cucine che si dipanano tra Spagna, nord Europa, Asia e Stati Uniti e in cui si riflette (molto) sulla possibilità di sperimentare nel bicchiere al pari di ciò che si fa nel piatto. Oltre a ipotizzare uno stop all'eccessivo tenore alcolico sviluppato da abbinamenti vinosi con i tanti piatti (spesso abbondantemente oltre la decina) dei menu degustazione.

 

MunozDavid Muñoz

 

L’esperienza spagnola

Cocina liquida” la chiamano gli spagnoli per bocca del più estremo rappresentante dell'avanguardia iberica, David Muñoz del DiverXo di Madrid. Lo chef con la cresta da moicano aveva già illustrato qualche anno fa, insieme al sommelier Javier Arroyo, il progetto di rivoluzionare il mondo dell'abbinamento, giocando sui vini serviti in tavola con essenze e aromi che li avvicinassero allo spirito dei piatti interessati. Che fosse olio di semi d'uva (per dare untuosità) o un pizzico di sale di Maldon, il messaggio era chiaro: il vino non è più un mondo chiuso.

Sul palco dell'ultima edizione di Madrid Fusión, consesso internazionale di alta gastronomia, Muñoz è andato oltre, raccontando ciò che avviene nel suo neonato locale di Londra, lo StreetXo di Mayfair: qui, tra musica ad alto volume e piatti da condividere, l'esperienza culinaria si arricchisce di un ulteriore tassello con la parte liquida come vera e propria estensione dei piatti, cucina liquida appunto. “Una danza a due tra piatto e drink”, la definisce lo chef, in cui miscelati freddi, cucinati o fermentati giocano un ruolo di primo piano, paritario a quello del cibo. Un esempio è la sua versione del chili crab (granchio speziato tipico della cucina asiatica) che viene accompagnato da un cocktail ispirato alla Tom Kha Gai, un zuppa thai dalle note acide e dolci.

In questa concezione la componente alcolica dei drink solitamente è molto moderata e spesso i cocktail incorporano ingredienti con caratteristiche umami, come la bottarga o le uova di tobiko. “Cocktail e piatto sono due facce della stessa esperienza” puntualizza Muñoz “La nostra cucina è basata sull'armonia tra solido e liquido, il primo si fruisce con le posate, l'altro con la cannuccia”.

 

Le esperienze a Singapore

DiverXo e StreetXo non sono naturalmente gli unici (né i primi) format ad aver riformulato la questione abbinamenti: passi verso un'unione più sinergica tra piatto e bicchiere erano stati mossi tempo fa da Ryan Clift al Tippling club di Singapore. Con la stupefacente velocità di questo settore nel trovare brutti neologismi, il suo stile è stato ribattezzato gastromixology: un incontro tra cucina d’autore e cocktail sartoriali costruiti per stimolare mente e papille gustative. Tra i pairingin carta, ad esempio, c’è la trota oceanica con radici, lingua di vitello affumicata e crema di rafano, accompagnata dal Radicle Horse, un drink a base di gin con coriandolo, rafano e limone.

 

Matthew Abbick AteraMatthew Abbick di Atera

La scena newyorkese

Tentativi di abbassare il tenore alcolico degli abbinamenti nei menu degustazione sono stati fatti in più parti del mondo. È diventato noto sulla scena gourmet newyorkese il Temperance Pairing dell'Atera: un abbinamento tutto analcolico che, di pari passo con un lungo percorso di piccoli bocconi (una ventina di portate) servito prevalentemente intorno a un bancone, si spinge a sostituire il tradizionale abbinamento enologico (pure disponibile) con bevande analcoliche pensate per chi cerca sapori calibrati perfettamente al cibo e non vuole uscire dal ristorante con livelli di ebbrezza esagerati. Famosa, ormai più dei piatti dello chef Ronny Emborg, una delle preparazioni liquide con cui all'Atera si dà il via al pasto: lo Champine (calembour ispirato alle bollicine francesi) ovvero una bevanda fermentata (presentata a Madrid Fusión dal maître Matthew Abbick) ottenuta dagli aghi di abete Douglas, completamente alcol free, che accompagna con i suoi toni resinosi un boccone di caviale Osetra su gelato al pistacchio.

L'accompagnamento analcolico non è una novità per New York: anche al notissimo Eleven Madison Park dello chef Daniel Humm e del ristoratore Will Guidara, le portate si abbinano spesso a bevande fermentate che puntano a potenziare le sensazioni del cibo, così come nel ciclo eterno delle reinvenzioni della cucina globale le prime tracce di questa tendenza le ritroviamo nel juice pairing del Noma di René Redzepi, in cui ai piatti si abbinavano succhi ed estratti di erbe spontanee, frutta, verdura.

 

coktail di ostrica kresiosCocktail di ostrica Kresios

 

Le sperimentazioni in Italia

È chiaro che in un paese in cui la cultura del vino è così radicata non è semplice proporre giochi sul genere (e probabilmente non se ne avverte in modo così pressante la necessità): nella tradizione anglosassone appare normale accompagnare il cibo con i cocktail o altre bevande, mentre qui da noi il drink a tavola, fino a qualche tempo fa, era una vera e propria rarità. Ciò non vuol dire, però, che si sia fermi sull'argomento. Ma con l'età dell'oro che la miscelazione sta vivendo nella penisola è sempre più facile imbattersi in ottimi ristoranti in cui, a richiesta del cliente, si possa pasteggiare con l'accompagnamento di drink sartoriali, e sono numerosi i barman (o barchef, per essere più corretti) che utilizzano con disinvoltura gli strumenti della cucina molecolare.

A dare, ad esempio, un significato tutto suo al concetto di cucina liquida è Filippo Sisti, barman del bistrot di Carlo Cracco, Carlo e Camilla in Segheria di Milano. Più che l'abbinamento, che pure viene studiato con cura, qui è la fase della miscelazione in sé a innovarsi prendendo in prestito le preparazioni tipiche del cibo (come le cotture in forno, sottovuoto, l'utilizzo di padelle e abbattitori, spezie e aromi) senza pregiudizio alcuno, ma anzi trovando in esse nuova linfa per la creatività al bancone. Mentre per ritrovare un ragionamento concentrato sul pairingpotremmo citare il Punto di Vista di Torino, locale (fratello dell'american bar Barz8) in cui i piatti della tradizione piemontese vengono affiancati a cocktail realizzati ad hoc, il tutto ad opera di un team composto dallo chef Luca Tomaino e i barman Romano Salvatore e Luigi Iula. Un esempio della proposta? Tartare di fassona con gin tonic al pomodoro secco.

Per scovare una riflessione ancora più approfondita sull'evoluzione degli abbinamenti nell'alta cucina, però, bisogna scendere al sud, precisamente al Kresios di Telese Terme, nel beneventano. Qui Giuseppe Iannotti e la sua squadra, al lavoro su due menu degustazione dalle caratteristiche internazionali – con un crescendo di assaggi, una prima parte da mangiare con le mani, l'altra da fruire in maniera più classica, con le posate – hanno riformulato il concetto di abbinamento: non eliminando il vino, ma intervallandolo con altre tipologie di bevande. “Avendo solo i percorsi di degustazione e non la carta, il menu si ritaglia sulle esigenze dell'ospite nel divenire della serata”spiega Iannotti. E lo stesso accade per il beverage: “Cerchiamo di capire se i commensali tendono verso gusti acidi, se amano il dolce o prediligono l'amaro, ma al contempo studiamo il modo migliore per completare il piatto”.

 

Mizuwari di Kresios

 

Così nascono miscelati che amplificano in maniera evidente le caratteristiche di alcune preparazioni, come il Mizuwari (servito con agnello, funghi e crema di topinambur), cocktail di ispirazione giapponese. Il termine deriva da mizu (acqua) e wari (spezzare): nella ricetta originale si spezza il sochu (un distillato di patate dolci, orzo o riso) con 4 parti di acqua. La rivisitazione, a opera di Alfredo Buonanno,  maître del Kresios, invece prevede l'utilizzo di un whisky torbato, della Tau (acqua che nasce dai Monti Cambrici in Galles) e di una sfera di ghiaccio. “La bassa gradazione alcolica del miscelato” spiega Buonanno “ci permette di non avere alti e bassi con la gradazione dei vini e, grazie alla complessità, alla freschezzae al ricordo di torba, il Mizuwari prolunga la persistenza dell’agnello portando al tempo stesso freschezza e sapidità al palato”.

 

Cocktail di ostrica KresiosIl piatto di Ostrica Kresios

Altro esercizio tra il bere e il mangiare è il cocktail di vodka, acqua e purea di mela verde utilizzato in tavola per completare un'ostrica, con l'obiettivo di equilibrare la salinità spinta del crostaceo: un gioco che supera il concetto classico di accompagnamento per arrivare a una vera e propria fruizione contemporanea. Come auspicato 85 anni fa nei paradossi gastronomici del Manifesto della Cucina Futurista di Filippo Tommaso Marinetti, che con i suoi “bocconi simultaneisti” non è stato mai attuale quanto oggi.

 

Carlo e Camilla in Segheria | Milano | via G. Meda, 24 | tel. 02 8373 963 | www.carloecamillainsegheria.com

Punto di Vista | Torino | c.so Moncalieri, 5b | tel. 011 8193378 | www.puntodivistaristorante.it

Kresios | Telese Terme (BN) | via San Giovanni, 59 | tel. 0824 940 723 | www.kresios.com

DiverXo | Spagna | Madrid | Calle de Padre Damián, 23, NH Eurobuilding | tel. +34 915 700 766 | diverxo.com

StreetXo | GB | Londra | 15, Old Burlington St. | Mayfair | tel. +44 (0)20 3096 7555 | www.streetxo.com

Tippling Club | Singapore | 38, Tanjong Pagar Rd | tel. +65 6475 2217 | www.tipplingclub.com

Eleven Madison Park | Stati Uniti | New York | 11, Madison Ave. | Metropolitan Life North Building | tel. +1 (0) 212 889 0905 | www.elevenmadisonpark.com

Atera | Stati Uniti | New York | 77 Worth St | tel. +1 (0) 212 226 1444 | ateranyc.com

 

a cura di Pina Sozio

 
Articolo uscito sul numero di Marzo 2017 del Gambero Rosso. Per abbonarti clicca qui
 

Fuorisalone 2017. Agenda food: gli appuntamenti tra Tortona e i Navigli e Hungry for Design a Porta Romana

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Dal 4 al 9 aprile Milano si trasforma per l'appuntamento annuale dedicato al design, che in molte forme incontra e si confonde col cibo e la cultura gastronomica. Passiamo in rassegna gli eventi a tema nel distretto di Tortona, tra i più attivi e longevi della manifestazione. Outsider e all'esordio il circuito Hungry for Design al MuVac. 

SuperDesign Show con Oldani e Palmieri

Mentre il calendario degli appuntamenti continua a popolarsi di eventi dedicati al popolo della Milano Design Week 2017, il nostro viaggio tra le iniziative a tema gastronomico del Fuorisalone prosegue alla volta di uno dei distretti più vivaci della città, zona Tortona. È qui che Superstudio Più ha trovato pianta stabile da qualche anno a questa parte, proponendosi come icona del design all'ombra della Madonnina. Anche quest'anno torna a presentare il SuperDesign Show, dedicato al colore con Time to color, tra progetti a tema, installazioni museali, padiglioni nazionali, mostre indipendenti o collettive, grandi aziende consolidate ma anche giovani startup. Per raccontare il design a 360 gradi, focalizzandosi sugli autori e la creatività con People&Stories, sulla produzione italiana e internazionale di nicchia con Selected Objects, sulle Smart City con un padiglione dedicato. Offrendo diversi spazi di condivisione e intrattenimento, che al cibo fanno appello per confortare le numerose presenze attese in via Tortona 27 per tutta la durata della manifestazione. Per questo l'offerta gastronomica si articolerà in momenti diversi della giornata: dall'ora dell'aperitivo sul roof garden al food design di Symposiumlab, che presenta una linea di bracieri innovativi con la partecipazione di Giuseppe Palmieri e la brigata della Francescana.

Più articolato il progetto Mix It Up 2017 di PepsiCo, che con una schiera di collaborazioni eccellenti - Mathieu Lehanneur, Luca Nichetto, Fabio Novembre, Davide Oldani, Studio Job, Patricia Urquiola, Joshua Davis - propone al Superstudioun'esplorazione tra passato, presente e futuro, di come è cambiato il consumo di cibo e bevande. Cuore dell'installazione interattiva il Bar of Memories, che proporrà un viaggio culinario nel tempo agli ospiti e tanti momenti di intrattenimento creativo, con il pic nic interpretato da Patricia Urquiola, un'insolita cerimonia del tè, il porridge d'avena di Davide Oldani che omaggia il momento della colazione. Lo chef proporrà anche la sua idea di gazpacho.

Street food, birra e designer in cucina

Poco distante, al civico 37, via Tortona propone il cibo di strada di Casual Food allo Spazio Alatha, tra pizza fritta e ceviche al mojito, ramen e specialità al wok, con tanti food truck che ogni giorno si muovono in città: God save the food, Fuori di mente, Asian street, Gerosina, Monsters Cook. Ma il cibo non mancherà anche a Casa Stokke, con merende per tutta la famiglia nello spazio polifunzionale del brand norvegese, aperto dalle 10 alle 20, in collaborazione con Alce Nero. All'Hotel Magna Pars suites di via Forcella, invece, sabato 8 aprile sarà dedicato al mondo della cucina d'autore, in compagnia di Filippo La Mantia e Mattia Poggi (dalle 15 alle 19). In via Alessandria, da Acqua su Marte, si parla di birra e design con Design your Beer, in collaborazione con il birrificio Vetra: dal 4 all'8 aprile lo spazio ospiterà una mostra evento con 5 artisti chiamati a disegnare le etichette della birra. Un contest decreterà la prova migliore. Sempre in via Alessandria (alla Milano Fashion Library), il 7 aprile, prenderà forma una delle tappe della Berkel Red Week, che celebra il momento dell'aperitivo con prodotti dell'eccellenza salumiera italiana in diversi spazi della città durante tutta la settimana. Mentre in viale Gorizia Alla Carta presenta una collezione di piatti dedicati alla tavola conviviale, realizzati dagli artigiani del distretto ceramico di Santo Stefano di Camastra: il lancio della serie è previsto per giovedì 6 aprile, con un cocktail party. L'appuntamento con i Designer in cucina, invece, è da 28 posti, insieme allo chef Marco Ambrosino, che per tutta la settimana coordinerà un gruppo di creativi, ognuno protagonista di un servizio, nell'ideazione di un piatto. Tutti si cimenteranno con soli 4 ingredienti: ostrica, cavolo cappuccio, finocchietto e ravanello. Il piatto d'autore sostituirà una delle portate del menu degustazione del ristorante di via Corsico. In via Savona, invece, torna l'appuntamento con TiroVino, festival del vino e del design, che all'assaggio associa la vendita delle etichette in degustazione, con orario continuato dalle 11 a mezzanotte.

Hungry for Design

Fuori zona, al neonato distretto MuVac (il triangolo Muratori, Vasari, Corio che sta diventando meta prediletta di molti gourmet) di Porta Romana, il design incontra ancora una volta l'universo gastronomico in occasione di Hungry for Design, un happening di street food italiano che sposa la mostra mercato di oggetti di uso quotidiano ripensati da designer europei. L'appuntamento è nato spontaneamente dall'incontro tra residenti e imprenditori del quartiere; e infatti oltre ai food truck che si insedieranno nell'area, all'iniziativa partecipano molti dei ristoranti locali, da Trippa a Pastamadre, al cocktail bar MaM.

 

Superdesign Show | Milano | SuperStudio Più, via Tortona 27 

Casa Stokke | Milano | via Novi, 2 | dal 5 al 9 aprile | www.stokke.com/it

Casual Food Tortona Bites | Milano | Spazio Alatha, via Tortona 37, dalle 10 alle 24

Design your Beer | Milano | Acqua su Marte, via Alessandria 3 | dal 4 all'8 aprile

Berkel Red Week | Milano | dal 4 al 9 aprile | www.theberkelworld.com

Alla Carta Studio | Milano | viale Gorizia, 12 | www.allacarta.com

Designer in Cucina | Milano | 28 posti, via Corsico 1 | dal 4 all'8 aprile, a cena | www.28posti.org

TiroVino | Milano | via Savona, 61 | dal 4 al 9 aprile

Hungry for design | Milano | Porta Romana | https://www.facebook.com/HungryForDesignMi/?fref=ts

 

 

Gli appuntamenti di Ventura Lambrate e Isola

Gli appuntamenti di Parco Sempione e Sant'Ambrogio

Gli appuntamenti di Porta Venezia e 5Vie

 

a cura di Livia Montagnoli

Rural Market a Parma. La bottega della biodiversità con le specialità dell'Appennino Tosco-Emiliano

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Dal circuito Rural, che da tre anni organizza col supporto dell'azienda Rosa dell'Angelo di Rivalta il festival della biodiversità agricola, nasce una bottega nel cuore della cittadina emiliana, dove c'era la salumeria Grisenti. Ecco perché ci piace. 

Da Grisenti al circuito Rural

Per sessant'anni, a Parma, la vetrina di Borgo Tommasini 7 ha onorato la storia gastronomica della città, sotto l'egida dell'antica salumeria Grisenti. Poi, qualche mese fa – l'estate scorsa – la chiusura per ristrutturazione, per ripresentarsi completamente rinnovata all'inizio di marzo, in veste di collettore di bontà e rarità del territorio con il beneplacito del circuito d'eccellenza Rural, che ogni anno, a Lesignano de' Bagni, organizza uno dei più riusciti festival della biodiversità agricola (e recentemente la manifestazione ha raddoppiato a Gaiole in Chianti).

Radunando il meglio della produzione dell'Appennino Tosco-Emiliano, che da qualche settimana arriva anche nel centro di Parma, in vendita e degustazione sugli scaffali della rinata bottega. Del progetto avevamo parlato quand'era ancora in nuce, mentre Rural si apprestava a implementare anche il sistema dell'ospitalità in campagna, appoggiandosi all'azienda agricola Rivalta. Oggi il circuito così ripensato è diventato realtà, e il Rural Market accoglie ogni giorno chi vuole scoprire le specialità di stagione della food valley parmense, dai salumi di maiale nero al pomodoro riccio di Parma, dal formaggio mono razza di latte crudo intero di vacca Bardigiana, Grigia dell'Appennino, Ottonese al latte d'asina, alla zucca violina.

Rural Market. La bottega della biodiversità

Ma il paniere dei prodotti freschi (come il pane da grani biologici dei fratelli Lusignani o la Marocca cotta in forno a legna della Valle di Casola) e confezionati disponibili in negozio è potenzialmente sconfinato, e racconta bene così significhi onorare la biodiversità a tavola: yogurt al naturale biologico, uova di gallina Romagnola, fagioli Zolfini, farro della Garfagnana e orzo Leonessa già cotti, testaroli della Lunigiana, succo di mela fresco e verdure selvatiche, confettura di uva Termarina e prugna Zucchella, mostarde di anguria Bianca, pera Nobile e Cotogna, miele biologico di acacia della Lunigiana, o di tiglio dall'Emilia.

Con l'intenzione di dare voce alle aziende del territorio, che spesso saranno chiamate a raccontarsi in bottega, nel corso di degustazioni a tema ed eventi speciali. Ma sarà vero anche il contrario, perché spesso il Rural Market organizzerà visite sul territorio per scoprire personalmente le fattorie del circuito – una quarantina sono e realtà coinvolte - molte legate a tradizioni familiari decennali.

Prodotti, produttori e storie di cibo

Mentre direttamente dal piccolo laboratorio di supporto alla bottega arriva qualche preparazione di cucina presente a rotazione, secondo disponibilità delle materie prime, dalle vellutate al minestrone di verdure, ai panini farciti sul momento e confezionati per l'asporto. Per fare una spesa consapevole, ma pure per concedersi una pausa pranzo all'insegna della tipicità, appoggiati al piccolo corner attrezzato con mensola e sgabelli, lontano dalle trappole per turisti.

Perché al Rural Market ogni prodotto in vendita ha la sua storia, e in negozio sono felici di condividerla con il cliente. Sabato 1 aprile, dalle 10.30 alle 13.30, per esempio, toccherà a Valentina Cipelli del Podere Cristina svelare i segreti e le qualità della Gallina Romagnola e delle sue uova biologiche. Poi, come ogni domenica e lunedì, la bottega chiuderà per il riposo settimanale. Ma dal 2 aprile, e per le domeniche successive, l'area protetta di biodiversità vegetale e animale dell'Agricola Rosa dell'Angelo di Rivalta aprirà le porte al pubblico, con ingresso gratuito, dalle 9 alle 15. Un'ottima occasione per assaggiare proprio dove viene prodotto il prosciutto di maiale nero tagliato a mano.

 

Rural Market | Parma | Borgo Giacomo Tommasini, 7 | tel. 0521 237485 | www.rural.it

 

a cura di Livia Montagnoli

Foto di Lucio Rossi

ViniVeri 2017: a Cerea, la manifestazione dedicata al vino e ai prodotti naturali

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Torna, dal 7 al 9 aprile, la quattordicesima edizione della manifestazione che sposa la causa del vino naturale, spingendosi oltre i parametri minimi di certificazione biologica.

L'evento

Sarà la Primavera il tema della quattordicesima edizione di ViniVeri, in coerenza con un percorso maturato negli anni che ha visto la valorizzazione dei vini “secondo natura”, tutte quelle etichette (e prodotti alimentari) ottenuti da processi naturali. Una manifestazione promossa dal Consorzio Viniveri e ospitata ancora una volta nell'Areaexp La Fabbrica di Cerea, a pochi chilometri da Verona. Primavera intesa come rinascita, di territori, comunità e di tutto il tessuto produttivo duramente colpito dal sisma che lo scorso 24 agosto ha devastato diverse zone del Centro Italia. L'obiettivo che l'evento si prefigge quest'anno infatti è proprio quello di sostenere concretamente i contadini, vignaioli e agricoltori di queste terre: il costo del biglietto, di 5 Euro, sarà interamente devoluto all'Associazione “Per la Vita di Castelluccio di Norcia ONLUS”, nata per far rinascere quanto prima uno dei borghi più duramente colpiti dal terremoto. E non finisce qui: il Consorzio ViniVeri donerà anche un contributo in denaro direttamente dalle proprie casse, impegnandosi a raccogliere fondi da diversi privati. Un evento tutto giocato sulla collaborazione e cooperazione dall'inizio alla fine: la realizzazione dell'immagine di ViniVeri per questa edizione è stata affidata ai bambini della scuola dell'infanzia di Acquasanta Terme, comune terremotato in provincia di Ascoli Piceno.

Il programma

Una tre giorni all'insegna della solidarietà, dunque, ma anche del buon gusto, fra assaggi, degustazioni guidate e laboratori. Sono circa 100 gli artigiani del vino indipendenti, italiani e stranieri, che porteranno alla manifestazione le loro specialità, dall'Austria, Repubblica Ceca, Francia, Slovenia, Portogallo, Spagna, ma anche Italia naturalmente, tutti uniti da una filosofia comune, quella che va oltre la certificazione biologica europea e che pone al primo posto il rispetto per l'ambiente. Niente pesticidi, elementi chimici di sintesi, addizioni e stabilizzazioni forzate: i vini naturali sono realizzati solo secondo natura, e tutte le aziende coinvolte nel festival si impegnano a seguire i dettami della “Regola” del Consorzio Viniveri, una serie di principi che si propongono di rispettare il terreno, la biodiversità e l'agricoltura sostenibile. Dopo una prima conferenza internazionale tra i produttori sulla trasparenza delle informazioni riportate in etichetta, ci sarà la Degustazione-Memorial in ricordo di Stanko Radikon, protagonista della viticoltura italiana con le sue sperimentazioni estreme sulle uve del Collio friulano venuto a mancare lo scorso settembre 2016. In abbinamento eccellenze alimentari d'Italia, con un focus sulle specialità dei territori colpiti dal sisma. Da non perdere, poi, le cene si venerdì 7 e sabato 8 aprile, a cura di Enrico Bartolini (Mudec) e Martina Caruso (Signum), che prepareranno dei menu ad hoc studiati in abbinamento con i vini naturali. Non mancherà, inoltre, l'Enoteca ViniVeri, una bottega ricca di etichette in cui si potranno acquistare le bottiglie a prezzo di cantina. Durante i giorni della manifestazione, sarà inoltre possibile visitare l’esposizione permanente “L’anima e il volto” allestita nei locali adiacenti alla fiera organizzata da La Fabbrica; portata a Cerea dallo scultore GuerrinoLovato, la mostra raccoglie i calchi più famosi della celebre Fonderia Munaretti, l’officina di Emanuele Munaretti, noto come “scultore Muner”, attiva tra la fine dell’Ottocento e il 1945.

ViniVeri | Cerea (VR) | via Libertà, 57 | dal 7 al 9 aprile 2017 | ingresso 5 euro | www.viniveri.net/notizie/viniveri-2017

a cura di Michela Becchi

Foto di copertina di Pier Paolo Metelli Studio


Il Molise in 9 biscotti tradizionali

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Per la rubrica sui biscotti regionali andiamo in Molise, regione dalle tradizioni gastronomiche antiche e dal profilo dolce e rude allo stesso tempo, proprio come le sue specialità culinarie. Ecco 9 dolcetti tradizionali e la ricetta dei dei mostaccioli del Caffè Pantheon di Larino.

Biscotti dal sapore deciso, arricchiti da ingredienti come sugna, pepe e acquavite, ma anche ingentiliti dal miele, dalle mandorle e dalla cannella. Sono i biscotti molisani, 9 specialità tutte da provare, con la ricetta dei dei mostaccioli del Caffè Pantheon di Larino, Una Torta nell'edizione 2017 della guida Pasticceri&Pasticcerie.

 

Cacaruozze

Iniziamo da biscotti che non hanno una forma ben precisa, ma che ne assumono una diversa secondo la fantasia di chi li realizza. Sono diffusi in tutta la regione, soprattutto nella zona di Campobasso, e vengono consumati alla fine del pasto, associati a un vino dolce locale. Per prepararli servono farina, zucchero, uova più albumi, olio extravergine, scorza e succo di limone, lievito e acqua. Si amalgamano farina, metà dose di zucchero, olio, uova e scorza di limone. Si dà all’impasto la forma voluta (in commercio si trovano spesso a stella) e si inforna a 200 gradi per venti minuti. Nel frattempo si prepara la glassa facendo bollire lo zucchero rimasto con un po’ d’acqua e il succo di limone, finché non diventa filante. A parte si montano gli albumi e si incorporano alla glassa. Sfornati i biscotti si spalmano di glassa prima che si raffreddi. Infine si aggiungono (a piacere) codette di zucchero colorate.

 

cacaruozze

 

Cancelle o ferratelle

Diffusi sia in Molise che in Abruzzo, dove sono più conosciuti con il nome di ferratelle, si preparano con farina, uova, olio di semi, zucchero, scorza di limone e un pizzico di sale. Si inizia mescolando con una frusta alle uova l'olio, lo zucchero, il sale e la buccia del limone. Si aggiunge la farina poco per volta, per evitare che l’impasto diventi eccessivamente denso. Per la cottura occorre un particolare stampo, di solito in acciaio o ghisa, che viene scaldato e che dà l’inconfondibile forma ai dolcetti; in commercio se ne trovano di appositi, anche on line, ma in alternativa potete usare uno stampo per waffle. Si mette a scaldare lo stampo sul fornello e lo si spennella – solo la prima volta – con dell’olio di semi, si versa un cucchiaio di impasto al centro dello stampo, si chiude schiacciando per qualche secondo: saranno pronte quando i bordi risulteranno dorati (solitamente in un paio di minuti). Una volta cotte, si possono farcire con creme, miele, frutta fresca. Sono tradizionalmente preparati ai matrimoni per i quali spesso si realizzano stampi ad hoc, con le iniziali dei futuri sposi incise sopra.

 

 

cancelle o ferratelle

 

Castagnole agnonesi o loffe

Tipiche dalla provincia di Isernia, in particolare del comune di Agnone, le castagnole agnonesi, o loffe, sono dolcetti tipici di carnevale, comuni a diverse regioni d’Italia. La ricetta molisana differisce dalla “classica” per due caratteristiche: la copertura di cioccolato e la cottura il forno.

Per l’impasto servono farina, uova, olio extravergine, zucchero, alcol per liquori, mentre per la copertura acqua, zucchero, cioccolato fondente, albumi e un pizzico di sale.

Si inizia sbattendo le uova fino a farle diventare schiumose e aggiungendo poi l’olio e l’alcol. Poi si versa la farina a pioggia, tanta quanta ne assorbe il composto, che deve risultate consistente ma elastico. Una volta creata la massa si ricavano delle palline leggermente schiacciate da mettere su una teglia precedentemente unta e spolverizzata di farina. Si infornano a 170 gradi per circa 15 minuti.

Nel frattempo si prepara la copertura mescolando, in un pentolino, acqua, zucchero e cioccolato a pezzetti e sciogliendo tutto a bagnomaria. A parte si montano gli albumi a neve e si incorporano al composto, lasciandolo ancora cuocere a bagnomaria per qualche minuto. Una volta sfornate le castagnole, con una pinza si immergono una ad una nel cioccolato e si lasciano asciugare su una griglia. Quando sono fredde sono pronte per essere servite.

 

Castagnole agnonesi o loffecastagnole agnonesi o loffe

 

Ceppelliate di Trivento

Dolcetti di pasta frolla a forma di mezzaluna, ripieni di marmellata alle amarene, che si preparano nel periodo natalizio a Trivento, un comune collinare della provincia di Campobasso. Le c’pplieat, come le chiamano i molisani, hanno un gusto particolarmente intenso, dovuto alla sugna nell’impasto: le differenze con lo strutto ve le abbiamo già raccontate nell’Abc della cucina campana.

Per creare questi dolcetti occorrono farina, tuorli, zucchero, sugna, lievito, scorza di limoni, e poi zucchero a velo e confettura di amarene per completare. Per prepararli basta amalgamare gli ingredienti, e una volta che l'impasto è liscio avvolgerlo nella pellicola e raffreddare in frigo per almeno un’ora. Successivamente si stende la pasta in una sfoglia di 2-3 millimetri di spessore e si ricavano dei tondini di circa 10 centimetri, al centro dei quali si metterà un cucchiaio di marmellata. Si richiudono a mezzaluna e si infornano a 170 gradi per 15 minuti, o finché la superficie non diventa dorata. Si servono spolverizzati di zucchero a velo.

 

ceppelliate di Trivento

 

Colac

L’aroma di cannella e chiodi di garofano conferisce il sapore deciso a questi biscotti. La loro origine è incerta, ma pare che una prima versione di questi dolcetti sia stata sperimentata nel borgo di Montemitro, in provincia di Campobasso, intorno agli inizi del ‘900. La pasta è una semplice sfoglia fatta con farina, uova, zucchero, sugna e vino bianco secco. Una volta creato e steso l’impasto si tagliano dei dischetti da 10 centimetri ciascuno e si mette un cucchiaio di farcia all’interno. La farcitura cambia secondo la disponibilità della dispensa: di solito pezzetti di mele, fichi secchi, mandorle, noci, pane sbriciolato, scorza d’arancia e le due spezie immancabili, tutto amalgamato con miele. Si richiudono e si infornano per 30 minuti circa a 150 gradi.

 

Mostaccioli molisani

Abbiamo già parlato diverse volte dei mostaccioli, o mustaccioli, dolcetti diffusi in molte zone del nostro Paese con diverse varianti. Questa versione molisana è simile a quella campana, tranne che per l’assenza della marmellata di albicocche e del pisto, il mix di spezie che viene sostituito solo da cannella e chiodi di garofano.

Il procedimento non è lungo, ma l'impasto ha bisogno di riposare in frigo per un giorno intero, in modo da rassodarsi. Per la spiegazione nel dettaglio vi rimandiamo alla fine dell'articolo: è questa la ricetta che ci siamo fatti regalare dal Caffè Pantheon di Larino.

 

mostaccioli molisanimostaccioli molisani

 

Pepatelli

Una decisa nota di pepe è il sapore che caratterizza questi biscotti - come si capisce già dal loro nome - che viene però resa armonica dalla presenza del miele e delle mandorle dolci. È una ricetta semplicissima, che i molisani utilizzano fra Natale e Capodanno, per avere dei dolcetti che durino a lungo da bagnare nel vino dolce.

Per farli servono farina, miele, mandorle, un po’ di lievito, scorza d’arancia e cannella a piacere. Il miele deve essere fluido o, eventualmente, essere sciolto a bagnomaria con un po’ d’acqua. Si impastano gli ingredienti insieme, dopo aver tritato le mandorle in maniera grossolana, e si creano dei lunghi bastoncini, di circa 10-12 centimetri. Si mettono su una placca da forno precedentemente foderata e si cuociono a 170 gradi per 30 minuti. Una volta pronti si sfornano e si tagliano in senso obliquo, come si fa per i cantucci. Infine si mettono nuovamente in forno, questa volta spento, a biscottare per qualche minuto.

 

Roccocò alla molisana

Anche in questo caso una ricetta condivisa con la tradizione campana: i roccocò. La versione molisana differisce da quella della confinante Campania per la presenza del cedro candito e del duo cannella- chiodi di garofano, aroma tipico dei dolci locali, a cui a volte viene aggiunta anche la vaniglia. Inoltre, in Molise si usa il mosto cotto, come previsto dalle ricette più antiche, mentre nella versione campana è con vino moscato.

Gli ingredienti sono farina, acqua, zucchero, mandorle tostate e tritate, cedro candito, lievito, rosso d’uovo, scorza di arancia e il mix di cannella, vaniglia e chiodi di garofano. Si unisce la farina con mandorle, scorza d’arancia e cedro candito, poi si aggiungono i tuorli e l’acqua poco a poco, finché l’impasto non risulta omogeneo. A questo punto la massa dovrà riposare in frigo per un giorno intero, avvolta dalla pellicola trasparente.

Trascorso questo tempo si lavora di nuovo l’impasto per qualche minuto e si creano delle ciambelline o, in alternativa, delle palline leggermente schiacciate con una mandorla al centro. Si spennellano con un tuorlo d’uovo sbattuto e si infornano a 180 gradi per 15 minuti.

 

taralli dolci

 

Taralli alla molisana

Anche i taralli sono una pietanza diffusa in diverse regioni del sud: se in molti conoscono la versione salata anche al di fuori di queste zone, la variante dolce è meno nota. Ne abbiamo già parlato quando abbiamo raccontato i biscotti tipici della Basilicata, che con il Molise ha tanto in comune.

La particolarità dei taralli alla molisana è l’aromatizzazione all’acquavite e l’uso dello strutto al posto, che dona un sapore più deciso. Per farli a casa servono farina, zucchero, uova, strutto, olio extravergine, acquavite e un pizzico di sale. Si dispone la farina a fontana sul tavolo e si aggiungono gli altri ingredienti. Si impastano insieme fino ad ottenere una massa liscia e consistente, ma non troppo compatta. Si avvolge in un panno e si tiene in un luogo fresco e asciutto per un paio di ore (ma non in frigo, altrimenti diventa troppo rigido). Una volta trascorso questo tempo si rimpasta brevemente e si divide a pezzi, che diventeranno delle ciambelline. A questo punto, come nelle versioni più classiche, si fa bollire una casseruola colma d’acqua e vi si immergono i taralli per una decina di minuti. Si sgocciolano e si fanno riposare per qualche minuto. Infine si unge una teglia con olio e si cuociono ulteriormente in forno per altri 10 minuti a 170 gradi.

 

Ricetta dei mostaccioli del Caffè Pantheon di Larino (CB)

 

Per l'impasto

375 g di farina 00

250 g di farina grano duro

4 uova

3 tazzine di caffè

310 g di zucchero

375 g di miele

375 g di mandorle

bucce di arance,mandarino e limone

cannella

chiodi di garofano

mezza bustina di ammoniaca

 

Per la glassa

cioccolato fondente (o al latte, a piacere)

acqua

 

Procedimento

Impastare le due farine con le uova, lo zucchero, il miele, le mandorle. Aggiungere l'ammoniaca, le tazzine di caffè, le spezie e le scorze d'arancia, mandarino e limone. Far riposare il tutto in frigo per un giorno intero, avvolgendo con una pellicola.

Il giorno successivo togliere l'impasto dal frigo e stenderlo in una sfoglia di 1 centimetro e mezzo, ricavandone dei rombi. Infornare i biscotti a 175 gradi per 15-20 minuti.

In un pentolino far sciogliere il cioccolato a pezzi con l'acqua. Una volta sfornati i biscotti immergerli nella glassa e farli asciugare. Quando sono completamente freddi possono essere serviti.

 

a cura di Francesca Fiore

 

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La tradizione della cava del tartufo in Italia candidata a patrimonio dell'UNESCO

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Inviata la candidatura Cerca e Cava del Tartufo all'UNESCO a Parigi da parte del Mibact (Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo). Il presidente dell'Associazione nazionale Città del tartufo commenta: “Continueremo a promuovere la candidatura affinché diventi ancor di più patrimonio collettivo”. 

La candidatura

“Non si è candidato il ‘prodotto tartufo’, ma si sono candidate le memorie, le narrazioni, i saperi e le pratiche di un’attività molto ampia che coinvolge l’addestramento del cane e il suo utilizzo nelle fasi di cerca e cavatura, la cerca dei vari tipi di tartufi, la successiva conservazione e, infine, l’utilizzo gastronomico”. Ha commentato così l'Associazione nazionale Città del tartufo la candidatura inviata lo scorso 27 marzo 2017 all'UNESCO a Parigi per inserire la cultura del tartufo come patrimonio immateriale dell'umanità. Una richiesta che coinvolge non solo un singolo prodotto ma un'intera rete di conoscenze, tecniche, tradizioni e storia, parte della cultura agricola italiana, “tutti aspetti che la comunità ritiene indispensabile che siano raccolti, archiviati e comunicati al fine di consegnare alle future generazioni conoscenze preziose”. A occuparsi del coordinamento tecnico scientifico del dossier, il Mibact, Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo.

Il processo di consapevolezza, salvaguardia e condivisione che è stato alla base del percorso vissuto”, ha specificato il presidente dell'associazione Michele Boscagli, “contiene l'impostazione dell'attività associativa futura grazie al coinvolgimento dei singoli territori associati, sia in funzione alle relazioni interregionali, nazionali e internazionali individuate nel dossier di candidatura, sia in vista di un riconoscimento futuro”. E continua: “Durante tutto il 2017 continueremo a promuovere la candidatura affinché diventi ancor di più patrimonio collettivo dell’Italia intera e perché l’impegno sancito a candidare per il 2018 la nostra domanda possa essere portato a compimento”. La traduzione del lavoro svolto per il processo di candidatura è attualmente riconsegnata alla comunità associativa come patrimonio collettivo organizzato in indirizzi progettuali, per proseguire il processo di partecipazione e come strumento di valore aggiunto per i territori del tartufo.

 

L'Associazione nazionale Città del tartufo

Nata ad Alba nel 1990, l'Associazione nazionale Città del tartufo conta oggi circa 50 città iscritte e coinvolge 10 diversi territori della Penisola. Obiettivo comune delle Città del tartufo? Valorizzare e promuovere il proprio territorio attraverso le sue peculiarità ambientali, storiche, architettoniche, culturali ed enogastronomiche. Al tartufo è inoltre dedicata una via che unisce il Piemonte alla Campania, una strada che si sovrappone ad antichi tracciati commerciali lungo i quali in passato, per facilitare scambi e passaggi di merci preziose, si costituirono comunità di accoglienza, di ristoro e di ospitalità, organizzate in borghi e insediamenti abitativi, che valorizzarono il territorio preservandone le ricchezze. Alba, Castel di Casio, Millesimo, Norcia, San Giovanni d’Asso, San Miniato, San Pietro Avellana, Sant’Agata Feltria, Sant’Angelo in Vado, Alta Umbria, Monti Martani, Serano e Subasio: questi i territori appartenenti all'associazione. Uniti per tutelare una tradizione antica, quella della ricerca e della cava del tartufo, e per far conoscere questa usanza a tutto il mondo.

 

a cura di Michela Becchi

 

Export dei prodotti italiani: aumenti record per formaggi e farina di grano tenero

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Mentre Donald Trump avvia la stagione protezionistica, annunciando dazi del 100% sui prodotti europei, l’export italiano del settore agroalimentare vola, in particolare per quanto riguarda formaggi e farine. 

L’export italiano alla vigilia dei dazi USA

Non è certo un periodo roseo per le relazioni commerciali Europa-Usa, dopo le dichiarazioni del Presidente degli States che annunciano la preparazione di misure tariffarie elevatissime sui prodotti del Vecchio Continente. Malgrado la nuova stagione protezionistica, l’export italiano nel mondo non si arresta, ma compie un deciso balzo in avanti: è quello che dicono i dati Istat ripresi da Assolatte e le analisi di Federalimentare e Confindustria.

 

I formaggi

Secondo i dati riferiti al 2016 le esportazioni di formaggi sono infatti cresciute sia in termini di volume - superando le 388 mila tonnellate, con un aumento record dell’8,6% - che di valore, oltrepassando la soglia dei 2,4 miliardi di euro. A trainare di più il comparto sono prodotti che rappresentano territori specifici come Grana Padano, Parmigiano Reggiano, Gorgonzola, Pecorino Romano, ma anche prodotti come la mozzarella e il mascarpone, secondo una mappa di gusti ben precisa. “Non avevamo mai esportato tanto” ha spiegato Giuseppe Ambrosi, presidente di Assolatte, “non avevamo mai raggiunto un saldo della bilancia commerciale così elevato. Sembra ieri quando il valore delle importazioni di formaggi superava quello dell’export di quasi un miliardo di euro. Ora la situazione è quasi ribaltata”.

Ed è il modello che coniuga la produzione industriale con la qualità, secondo Ambrosi, quello che permette all’Italia di aumentare i numeri dell’export su questi prodotti anche in periodi incerti come questo. “Il nostro modello piace sempre di più in tutto il mondo. Questi prodotti sono in cima alla classifica dei più apprezzati e comprati nel mondo perché solo le nostre aziende sanno garantire specifiche caratteristiche di qualità”.

La farina

E nel 2016, anche il settore delle farine di grano tenero ha fatto registrare un incremento consistente, pari al 13%, con 150mila tonnellate in più rispetto al 2015. A dirlo è l’Associazione Industriali Mugnai d'Italia (Italmopa), che aderisce a Federalimentare e a Confindustria.

Il fatturato del settore del grano tenero tocca attualmente gli 1,8 miliardi di euro: solitamente sono prodotti destinati alla panificazione artigianale e industriale, alla produzione di pizza e alla produzione di prodotti dolciari. Ma il trend, in atto da un paio di anni, mostra anche un crescente uso domestico. Ed è anche grazie al rinnovato interesse per un’alimentazione più naturale che prodotti come le farine italiane riescono ad aumentare il proprio fatturato. “Un'ulteriore testimonianza dell’assoluta qualità delle farine italiane e della capacità unica dei mugnai di selezionare e miscelare i migliori frumenti”, ha precisato Ivano Vacondio. “Il bagaglio di conoscenza dell’industria molitoria è frutto di una storia, quella dell’arte della macinazione del grano, sviluppatasi da tempi quasi remoti e che si avvale ora di innovazioni tecnologiche all'avanguardia. Questo consente la produzione di farine di altissima qualità rispondenti alle esigenze dei consumatori. I nostri molini fanno parte della storia e della cultura dell’Italia e costituiscono un patrimonio inestimabile per il nostro Paese”.

www.istat.it/it/archivio/197852

 

a cura di Francesca Fiore

 

 

Anche illy a Montenapoleone. Il nuovo flagship store nel Quadrilatero della moda. E continua l’espansione negli States

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L’azienda triestina leader nel settore del caffè di alta qualità esordisce in concomitanza con l’inizio del Fuorisalone a pochi metri da Marchesi e Cova. Con un’offerta articolata nell’arco dell’intera giornata. Come a San Francisco, dove il brand conquista altri due importanti presìdi. 

Rod Arad per illy

Se a Milano per tutta la settimana che inizia saranno in molti a rendere omaggio al mondo del design, illy ha un motivo in più per festeggiare il Fuorisalone che battezzerà l’esordio di un nuovo ambizioso flagship store nel cuore del Quadrilatero della moda, in via Montenapoleone. E per farlo ha scelto il volto di Ron Arad, creativo e designer israeliano di fama internazionale che per l’azienda triestina del caffè firma la nuova Art Collection, con una linea di tazzine d’autore che proprio in occasione della nuova inaugurazione meneghina sarà presentata al pubblico. Ma la collaborazione con l’artista – protagonista anche con l’installazione Spyre all’Università Statale di Milano, ancora una volta sotto l’egida di illy, dal 3 al 15 aprile – non è l’unica fonte di soddisfazione per il brand giuliano, in un 2017 che si è aperto con la riconferma, per la quinta volta consecutiva, nell’elenco delle World’s Most Ethical Company stilato dall’Ethisphere Institute. L’azienda, infatti, non fa che confermare il buon momento con un’espansione commerciale che si articola su più fronti.

Un caffè a Montenapoleone

A Milano, per esempio, il nuovo store beneficia del prestigio e della posizione dell’immobile (al civico 19, non molto distante dalla pasticceria Marchesi in Prada del civico 9 e dalla confetteria Cova controllata di Lvmh, che si appresta a riaprire dopo due mesi di lavori per restyling, con dehors nel cortile interno), e potrà disporre di uno spazio di circa 140 metri quadri, più 60 di giardino d’inverno, protetto da una struttura in vetro. E una volta a regime, nel giro di un paio di settimane, il caffè sarà aperto con orario continuato dalle 8 alle 23, con una proposta gastronomica che spazia dalla colazione al dopocena, in più sale tematiche, ma sempre con il bancone del bar a giocare da protagonista. Replicando così il modello già testato in città in piazza Gae Aulenti. Del resto l’azienda triestina oggi vanta oltre 200 negozi a marchio illy in 43 Paesi del mondo. E i nuovi arrivi si registrano con frequenza.

L’espansione all’estero. Novità da San Francisco

Le ultime novità arrivano da San Francisco, dove il brand fondato nel 1933 ha recentemente inaugurato due punti vendita, salendo a quota nove in città e confermando la volontà di conquistare in modo capillare il suolo statunitense, dove attualmente presidia Chicago, Washington D.C., Detroit, Denver, Las Vegas, Los Angeles, Miami, Toronto. E particolarmente significativo è il negozio che ha preso forma al 220 di Montgomery Street, il più grande di illy nella metropoli californiana, ospitato nello storico Mills Building. Colori e arredi sono quelli d’ordinanza della casa, l’offerta porta in dote tutti i prodotti delle holding di proprietà della famiglia illy, dal cioccolato Domori (con cui ha appena lanciato un’innovativa macchina per fare il cioccolato dalla fava di cacao alla tavoletta, “per diffondere la cultura del cacao nobile”, secondo Riccardo illy) ai tè di Dammann Freres. Stessa storia per la seconda insegna all’esordio, che non dista molto dal celebre Museum of Modern Art di San Francisco, e anche per questo ha deciso di mettere in luce il legame che lega illy al mondo dell’arte e della creatività, sottolineandolo nel particolare allestimento degli interni. L’offerta, invece, non cambia. E la città californiana sembra apprezzarla molto.

 

Illy a Montenapoleone | Milano | via Monte Napoleone, 19 | dalle 8 alle 20 (fino alle 23 dal 18 aprile | www.illy.com

 

a cura di Livia Montagnoli

 

I rigatoni a base di farina di grilli di Riccardo Felicetti e Luciano Monosilio

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Riccardo Felicetti, del Pasticificio Felicetti, e lo chef Luciano Monosilio di Pipero l'hanno fatta di grilli. La pasta. E ci hanno raccontato in anteprima di che si tratta.

La pasta di farina di grilli non è una novità assoluta, ma è la prima volta, in Italia, che uno chef e un produttore di pasta firmano un sodalizio all'insegna del futuro. “È un’idea”, racconta Luciano Monosilio, “che ho elaborato nel corso dei tanti viaggi tra Cina, Vietnam e Thailandia, e che ho potuto realizzare grazie al mio amico Riccardo Felicetti. È un lavoro audace sia perché l’entomofagia in Italia è ancora considerata un tabù, sia perché stiamo profanando un piatto simbolo della tradizione italiana: la pasta”.

 

Il ruolo dell'entomofagia

Ma facciamo un passo per volta: che cos'è l’entomofagia? Lo abbiamo chiesto direttamente a Enzo Moretto, direttore di Butterfly Arc di Montegrotto, e di Esapolis, il Museo degli insetti di Padova, che ha seguito da vicino il progetto. “Gli insetti non rappresentano un cibo nuovo nel mondo: circa due miliardi di persone già se ne nutrono, pensiamo alle comunità rurali del Sud America, alcune popolazioni dell'Indonesia e della Cina, l'Angola o la Nuova Guinea, per esempio. Che non si nutrono di insetti come conseguenza della povertà, ma perché fa parte della loro cultura da secoli e li considerano buoni da mangiare”. Ma l'entomofogia moderna non vuole entrare nel merito della questione culturale, si muove piuttosto sul canale dell'ecologia e della sostenibilità, ponendosi come obiettivo l'utilizzo di una risorsa, oggi non sfruttata, per sfamare il pianeta. “Stiamo diventando 9 miliardi, quindi bisogna iniziare a trovare delle alternative”.

Anche perché l'Europa (e l'Italia) è rimasta indietro: “Quando si è trattato di definire i novel food, gli insetti non sono nemmeno stati presi in considerazione quindi per ora c'è un vuoto legislativo in attesa di essere colmato”. Si riferisce al Regolamento CE 258/1997, in cui si parla per l'appunto di novel food e sicurezza alimentare, di alimenti di origine animale non convenzionali quali rane e lumache, ma non si nominano gli insetti.Successivamente, il Regolamento, è stato abrogato dal nuovo Regolamento UE 2015/2283 che incrementa la lista dei novel food, inserendo anche gli insetti. Ma la questione, in pratica, è cambiata di poco, dato che prima di essere inclusi e registrati in un unico elenco europeo, gli insetti in questione devono essere da parte dell’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA). “Con l'entomofogia moderna stiamo cercando di sensibilizzare l'Efsa (Autorità Europea per la sicurezza alimentare)per cercare di recuperare il tempo perduto, senza voler assolutamente imporre alle persone di sfamarsi con le cavallette. Per farvi capire faccio una similitudine: oggi se un imprenditore inizia a produrre vino, sicuramente non lo fa come lo si faceva una volta, ai tempi di Noè. Comincerà la sua impresa appoggiandosi alle più recenti tecnologie. Questo è l'assunto dal quale partiamo”. In soldoni, nessuno vuole imporci larve o grilli interi sul piatto, ma si stanno progettando dei cibi, culturalmente accettati, che contengano farine di queste specie ma siano percepiti come tradizionali.

Le proprietà degli insetti

È l'assunto dal quale sono partiti Monosilio e Felicetti quando hanno ideato una pasta secca con farina di grilli, ottenuta grazie alla preziosa collaborazione degli ingegneri e tecnici di laboratorio del Gruppo Pavan (leader nella costruzione di linee integrate per la produzione di pasta). Lo ribadisce lo chef di Pipero: “Una pasta con farina di grilli è un concetto ben diverso da un piatto di grilli interi fritti. Vorremmo provare a sensibilizzare il settore dell’alta ristorazione, come già alcuni colleghi stanno facendo, dimostrando che intraprendere questo percorso è possibile: gli insetti non rappresenteranno la nostra dieta del futuro, ma saranno un’alternativa sana, salutare ed ecosostenibile”. Da una ricerca effettuata presso il museo Esapolis, in collaborazione con Università di Padova, si evince che gli Acheta domesticus (questo il nome scientifico dei grilli domestici) sono ricchissimi di proteine, hanno un basso indice glicemico e un doppio apporto di calcio. I dati cambiano a seconda di come vengono alimentati, come spiega Enzo Moretto: “L'unico problema della farina di grilli è che contiene molti grassi, ciò implica una shelf life più breve. Ma andando a modificarne l'alimentazione sicuramente riusciremo a controllare anche questo aspetto, altrimenti si cambia specie, non dimenticate che è solo la punta dell'iceberg di un processo tutto in divenire”.

 

farina di griliFarina di grilli

 

I rigatoni con farina di grilli

La quantità più elevata di grassi, rispetto a una normale pasta, non ha conseguenze solo nutrizionali ma ha rappresentato una sfida per Riccardo Felicetti. Prima di arrivare alla miscela composta dall'80% di semola di grano duro e dal 20% di farina di grilli domestici, allevati a Monselice dai fratelli gemelli Antonio e Giuseppe Bozzaotra, ha dovuto eseguire una serie di prove. “All'inizio non sapevo quale fosse la capacità di assorbire acqua”, racconta Felicetti,“poi, dato che la farina di grilli contiene più grassi (idrorepellenti), abbiamo provveduto ad aggiungere più acqua all'impasto, cambiando anche la lavorazione visto chein fase di trafilatura dava parecchi problemi. Alla fine li abbiamo risolti cambiando i filtri durante la macinazione”. Una volta raggiunto lo spessore di trafilatura ed essiccazione voluti, il tempo di cottura risulta di poco minore rispetto a dei rigatoni di sola semola.

Il prodotto - che sarà presentato al pubblico il 20 aprile, in occasione dell’edizione 2017 di LSDM a Paestum – ha un colore ambrato (ricorda la pasta di grano saraceno), una texture ruvida e leggermente puntinata, con un gusto intenso e un finale lievemente tostato. A oggi rappresenta un progetto-pilota, in attesa di una normativa italiana adeguata che regoli la produzione e la commercializzazione dei novel food, ma loro si vogliono far trovare preparati. “Ritengo che un produttore debba addentrarsi nella ricerca, per essere preparato a diversi scenari futuri. L’esperienza maturata assieme a Luciano e Pavan sarà molto importante per un’eventuale futura produzione. Nel frattempo continueremo a raccogliere tutti gli elementi per sviluppare ulteriormente i necessari accorgimenti, al fine di arrivare a una standardizzazione del processo”.

 

Pipero | Corso Vittorio Emanuele, 246 | Roma | www.piperoroma.it

Pasta Felicetti | Predazzo (TN) | via Felicetti, 9 | tel. 0462 508600 | http://www.felicetti.it/it/

 

a cura di Annalisa Zordan

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