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Bloomberg: l’Italia è il Paese più sano al mondo grazie alla dieta mediterranea

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Gli italiani sono il popolo più sano al mondo. A sancirlo è la classifica di Bloomberg, il Global Health Index, un indice stilato dal confronto tra 163 Paesi, che pone l’Italia al primissimo posto davanti a nazioni come Islanda, Svizzera, Singapore, Australia. E il merito? Va tutto, o quasi, alla dieta mediterranea.

Il Bloomberg Global Health Index

L’aspettativa di vita è una delle variabili principali per determinare il benessere generale di un Paese. E se gli italiani vivono più a lungo il merito è sostanzialmente della dieta mediterranea: uno stile alimentare a base di frutta e verdure fresche, legumi, cereali, olio d’oliva, tanto pesce e poca carne. Sono i dati del Bloomberg Global Health Index a dimostrarlo: mentre svetta nelle classifiche sulla disoccupazione giovanile e sul deficit pubblico, l’Italia conquista la palma per il Paese in cui si sta più in salute al mondo. Almeno secondo le stime di Bloomberg. Appena dietro di noi Paesi come Islanda, Svizzera, Singapore, Australia e, più in basso in lista, gli Stati Uniti, che sono solo al 34esimo posto al mondo.

Ogni Paese è stato classificato non solo in base all'aspettativa di vita, ma anche in base a variabili come la malnutrizione, disponibilità di acqua pulita, diffusione di patologie come la pressione alta, l’uso di alcol e tabacco.

 

Dieta mediterranea, la chiave della longevità

È la dieta mediterranea la chiave del nostro benessere, grazie alla sua capacità di prevenire malattie come l’obesità ma anche patologie neurodegenerative e cardiovascolari. Il consumo quotidiano di frutta e verdura di stagione, legumi, cereali, pesce, uova, olio di oliva, limitando la carne e i formaggi, è quello che fa la differenza in contesti anche simili ai nostri. A differenza degli italiani, invece, canadesi, americani e inglesi, presentano tutti livelli più alti di colesterolo e pressione sanguigna, oltre ad essere più colpiti da disturbi psichiatrici.

La dieta mediterranea non solo favorisce l’assunzione di acidi grassi monoinsaturi rispetto a quelli saturi, ma anche il consumo di prodotti con proprietà anti infiammatorie che aiutano a diminuire il livello di colesterolo “cattivo”, lo stress ossidativo e i trigliceridi.

 

Il livello di salute degli altri paesi

La classifica di Bloomberg contribuisce a sfatare qualche mito. Sono solo 3 i paesi del Vecchio Continente nei primi 5 risultati dell’indice: oltre l’Italia, l’Islanda si classifica al secondo posto, mentre la Svizzera al terzo. La Spagna sfiora la top 5, guadagnando un sesto posto, mentre all’ottavo posto troviamo la Svezia e al decimo il Lussemburgo. Per trovare paesi come la Francia, la Finlandia e la Germania dobbiamo scendere al 14esimo, 15esimo e 16esimo posto. La Grecia, patria della cultura occidentale anche in termini gastronomici, è solo al 20esimo posto, seguita dal Portogallo. Subito dopo Irlanda e Regno Unito, rispettivamente al 21esimo e al 22esimo posto. La Danimarca ottiene solo un 28esimo posto.

Anche il Giappone, generalmente considerato uno dei paesi asiatici più equilibrati dal punto di vista dello stile alimentare, è solo al settimo posto, superato di gran lunga da Singapore, che merita la medaglia di bronzo.

Per quanto riguarda il continente americano, è il Canada il Paese più sano, con un 17esimo posto, mentre gli Stati Uniti ottengono solo il 34esimo posto. In mezzo il Cile (29esimo), Cuba (31esimo) e il Costa Rica (33esimo).

Sui gradini più bassi della classifica troviamo paesi molto diversi fra loro come Slovacchia, Barbados, Oman, e Pamana, mentre l’ultimo classificato è l’Albania. Segno forse che, malgrado il benessere generale dei paesi europei rispetto ad altre aree più conflittuali del pianeta, il problema della corretta alimentazione è ancora un tema su cui lavorare anche da noi.

 

L’ossessione per i medici

Una nota di colore in fondo alla classifica. Malgrado lo stato di salute migliore, sembra che gli italiani siano “ossessionati” dalla medicina. Secondo Bloomberg, infatti, i cittadini dello Stivale sarebbero troppo focalizzati sulla figura del medico: l’agenzia cita come riferimento il fatto che uno dei programmi televisivi più longevi e di maggior successo sia la fiction “Un medico in famiglia”, che vede come protagonista proprio un medico di base. Ma forse, è proprio il fatto di preoccuparsi molto, a volte anche troppo, per la propria salute a rendere così efficace il modello alimentare del nostro Paese.

 

www.bloomberg.com/news/articles/2017-03-20/italy-s-struggling-economy-has-world-s-healthiest-people

 

 

a cura di Francesca Fiore

 

Spesa dal contadino. La piattaforma gratuita che mette in rete le fattorie d'Italia

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Una vetrina senza scopo di lucro su scala nazionale, che oggi raduna oltre mille piccole aziende agricole a vendita diretta della Penisola. Per chi ha ancora voglia di scoprire il territorio e i suoi prodotti migliori con la meraviglia di un bambino. È l'idea di Luca Bianchini, che ci racconta come funziona. 

La meraviglia del cibo. Che ci circonda

Luca Bianchini di mestiere fa il tour operator. Per sei mesi l'anno lavora in Grecia, sull'isola di Zante, poi torna a casa, non molto distante da Milano, dove con la famiglia ha trovato rifugio a Cavenago d'Adda, provincia di Lodi e tante realtà agricole intorno. Del resto la curiosità di perlustrare il territorio alla scoperta di piccole aziende e prodotti della terra Luca l'ha sempre avuta, conscio che quella grande passione per il cibo vissuta sin da piccolo si sarebbe trasformata un giorno in qualcosa di più concreto. E infatti circa un anno e mezzo fa è nato il portale Spesa dal Contadino, non il solito sito di e-commerce a tema enogastronomico. Anzi, di commerciale la piattaforma ideata da Luca con la complicità della compagna graphic designer non ha proprio nulla, se non le possibilità che una vetrina online può offrire a chi decide di presentare agli utenti del web la propria attività. Un sito no profit, quindi, che finora è rimasto nell'ambito dell'hobby per il tempo libero (soprattutto per mancanza di tempo), ma è pure riuscito a crescere grazie al passaparola e all'ottimo lavoro di posizionamento su scala nazionale operato da chi col web ci lavora ogni giorno. Senza perdere però la sua dimensione più genuina, e autentica. “L'idea è arrivata quasi per caso. Io sono capace di fare anche 200 chilometri per scoprire i prodotti di un norcino di cui ho sentito parlare, e un giorno tornando a casa da Cremona su una rotta diversa dal consueto mi sono imbattuto in un caseificio di cui ignoravo l'esistenza. Praticamente dietro casa”. Una situazione tutt'altro che insolita per l'italiano medio, che spesso – nel migliore dei casi – conosce appena la punta dell'iceberg del territorio agricolo che circonda le grandi città.

Una rete di fattorie

Insomma, mi sono reso conto che se avessi voluto trovare qualche riscontro su internet, qualcuno che mi indicasse le realtà meritevoli di essere visitate intorno a me, sul web non avrei trovato nessun progetto sistematico che indicizzasse i piccoli produttori”. E allora ecco l'idea, “dedicata a chi come me ha ancora voglia di meravigliarsi delle cose che lo circondano, di stupirsi per il buon cibo. Per chi quando torna da una vacanza non si accontenta di acquistare lo speck del Trentino al casello dell'autostrada, e vuole entrare nel vivo delle cose, magari ben indirizzato”. Spesa dal contadino, in concreto, è una vetrina per fattorie e aziende agricole, completamente gratuita per chi si iscrive e per chi la naviga. Con il desiderio di dare spazio a chi produce, e metterlo a confronto diretto con il consumatore che lo sta cercando. Il sito è in rete dalla fine del 2015, ma solo recentemente un restyling ne ha aggiornato la struttura, semplificandone la fruibilità sulla base di modelli ben avviati come AirBnB - “a cui mi sono ispirato per la mappatura delle attività sul territorio” - e Tripadvisor: “L'ultimo aggiornamento mi ha consentito di introdurre un sistema di recensione, fino a 5 stelline, a disposizione degli utenti, che è utile anche per me, per verificare l'affidabilità delle aziende iscritte”. Oggi le “fattorie” a vendita diretta iscritte sono più di mille, gli accessi mensili toccano i 20mila utenti, e la piattaforma comincia a profilarsi come valido strumento a supporto del turismo enogastronomico nazionale.

Spesa dal contadino. Come funziona

Del resto le regioni italiane sono tutte ben rappresentate, e la ricerca intuitiva: non occorre essere iscritti (mentre la registrazione è richiesta per recensire) per consultare il database, filtrando per regione, provincia, tipologia di prodotto (dalle erbe a latte e derivati, dal pollame alle birre, dai prodotti dell'alveare ai salumi, a vini e liquori), filiera biologica. Poi la scrematura può proseguire sulla mappa, fino ad approdare sulla scheda della singola attività. Ogni realtà cura personalmente la sua scheda, fornendo dettagli utili su filosofia dell'azienda, produzione, eventuale ospitalità e cucina: “L'ideale è quando i produttori sfruttano questa vetrina per raccontarsi, e invogliare gli utenti a una visita diretta”. Per il momento non c'è una scrematura preventiva, ma il sistema di recensioni sul lungo periodo agirà da filtro. Nel frattempo le attività più votate vengono presentate per prime in ordine di visualizzazione. E le richieste di iscrizione aumentano costantemente: “Ormai si iscrivono anche 10 nuove attività al giorno”. Anche perché, oltre a essere gratuita, la procedura è semplice e veloce. Lo stesso può dirsi per l'altra parte, “sono tantissimi gli utenti che mi contattano per avere consigli, o raccontarmi la loro esperienza sul campo. Peccato non avere tempo e risorse economiche per fare di più”. Sì, perché Luca avrebbe tante idee da sviluppare, dall'app che permette alle aziende di comunicare iniziative speciali agli utenti nei paraggi all'ipotesi del blog per condividere la passione per il cibo e per la terra. Al market place online, “ma la logistica è l'ostacolo maggiore”. Intanto il sito è ottimizzato anche per piattaforma mobile.

E ognuno può testare con mano la genuinità del progetto, magari in vista della prossima gita fuori porta per festeggiare all'aria aperta l'arrivo della primavera.

 

www.spesadalcontadino.com

 

a cura di Livia Montagnoli

Foto di copertina Contrada Bricconi (BG)

I consigli dell'oste. Luca Casablanca di Tischi Toschi a Taormina e le conserve ittiche di Adelfio

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Continua il nostro viaggio alla scoperta di prodotti e produttori selezionati dagli osti più bravi d'Italia, quelli premiati dalla nostra guida Ristoranti d'Italia 2017 con i Tre Gamberi. Approdiamo in Sicilia, a Taormina, per conoscere qual è il produttore consigliato da Luca Casablanca, patron di Tischi Toschi.

Le trattorie, quelle degne di nota, si fanno spesso ambasciatrici del loro territorio, valorizzando prodotti e produttori. Non è un caso che non appena abbiamo chiesto a Luca Casablanca, patron di Tischi Toschi di Taormina, di consigliare ai lettori del Gambero Rosso un prodotto, lui ha risposto senza esitazioni: “Provate le conserve ittiche di Adelfio a Marzamemi. È un'azienda storica che oltre a lavorare le parti più canoniche, utilizza anche il quinto quarto del tonno, consegnando prodotti eccezionali”.

 

Luca Casablanca

Luca Casablanca

All'inizio era un gioielliere poi ha deciso di far da supervisore al locale messo su da un gruppo di amici a Messina. Ma si sa come vanno queste cose, presto gli amici si stancano e cominciano a mollare, mentre in Luca cresce sempre di più la voglia di stare dietro ai fornelli, non tanto per il guadagno ma per una sorta di missione: custodire e tramandare le ricette tradizionali siciliane elaborate con gli ingredienti del passato. Missione che lo porta anni dopo a Taormina, in un delizioso vicolo nel centro, dove risiede tuttora e che, lo scorso anno, lo spinge fino a Roma, per aprire una seconda sede, poi gestita dal figlio. Da appassionato ricercatore delle tradizioni, dedica il suo Tischi Toschi alla memoria siciliana, alla ricerca dei prodotti migliori dell'isola e delle ricette originarie: un paradiso per chi vuole andare alla scoperta di sapori intatti, introvabili altrove. I suoi fornitori sono sparsi ovunque nell'isola, dai Nebrodi a Pachino, dalle Madonìe a Trapani. Ed è a Marzamemi che si trova l'azienda di prodotti ittici Adelfio.

 

Tonno

 

Adelfio

La storia dell’azienda inizia nel 1931, quando un allora giovane Gaetano Adelfio giunge a Marzamemi da Palermo, dove aveva una bottega di pesce a Ballarò. Si stabilisce in questo piccolo borgo marinaro dal passato arabo, come rivela il nome (secondo alcuni dall'arabo marza e memi cioè piccolo porto, secondo il glottologo Corrado Avolio da marsà ‘al hamam, cioè baia delle tortore), popolato da una esigua comunità la cui vita ruotava attorno all'omonima tonnara.

Gaetano decide di costruire il suo stabilimento di trasformazione proprio adiacente l'antica tonnara. Salvo Ferrara, genero dell'attuale proprietario Francesco Adelfio, racconta: “Erano gli anni in cui la pesca del tonno rosso di Sicilia era ancora fiorentissima. Ciononostante anche oggi, malgrado le regole di pesca stringenti, i tonni sono tutti del Mediterraneo e non appena vengono pescati, sono lavorati in giornata secondo tradizione”. Le barche da cui si riforniscono, sia di tonno che di pesce azzurro, sono quelle di sempre: “pescatori fidati che lavorano in regola, e che ogni giorno ci riservano il pesce migliore prima di commercializzarlo negli altri stabilimenti di Sciacca o Bagheria”. Il bottino del giorno viene stoccato, lavorato “lo svisceriamo, sporzioniamo e sezioniamo”, bollito in salamoia e separato dalle impurità, man mano che cuoce. “Una volta raffreddato lo puliamo ulteriormente dalle spine che sono rimaste, e lo inseriamo nei vasi, poi colmati d'olio e sterilizzati”. Per la lavorazione viene impiegato solo personale del posto che conosce bene i metodi e i sistemi della lavorazione e conservazione del pesce, come tramandato da padre in figlio.

 

I prodotti

Il tonno e i suoi derivati sono prodotti secondo le preparazioni classiche, trasmesse da secoli. Unica regola: di questo pesce non si butta via nulla. “Del tonno utilizziamo tutto, in ossequio all'antica tradizione marinara. Da esso vengono ricavati, oltre ai filetti tradizionali: la ventresca (parte bassa del tonno) che è la parte di primissima scelta del tonno, la più delicata e pregiata; la bottarga (uova di tonno) nota anche come il caviale del mediterraneo, ottenuta dalla sacca ovarica del tonno, pressata, salata ed essiccata; il mosciame, ovvero le parti molli del tonno, che noi lavoriamo con pepe nero”. E ancora il lattume (il liquido seminale del tonno), la suppizzata o salamini di tonno, in cui la carne del pesce è macinata e successivamente insaccata in budella di vitello, e la buzzonaglia “ricavata dalle parti scure del tonno, quelle più vicine alla lisca centrale e quindi più irrorate di sangue, che risulta molto saporita. Utilizzata tradizionalmente come companatico dai contadini che vendemmiavano nei pressi di Pachino”. Insieme al tonno vengono lavorate anche acciughe, alaci, sgombri e ricciole. Tutti prodotti acquistabili online o presso lo stabilimento, “chi viene a trovarci e vede come lavoriamo, o ritorna o compra solo i nostri prodotti. Acquisiamo clienti con la bontà di quel che facciamo!”.

 

 

Tischi Toschi | Taormina (ME) | via F. Paladini, 3 | tel. 339 3642088 | www.tischitoschitaormina.com

Tischi Toschi | Roma | via Gadames, 9 | tel. 06 83662023 https://www.facebook.com/tischitoschiroma/

Adelfio | Marzamemi (SR) | Via Marzamemi 7 | tel. 0931 841307 | www.adelfionline.com

 

 

a cura di Annalisa Zordan

 

I consigli dell'oste

 

Michele Vallotti e i salumi di Vanni Forchini

Gherra e Vergano del Consorzio di Torino e la carne della Macelleria Brarda

Giovanni Milana di Sora Maria e Arcangelo e i formaggi di Marzia Molinari

 

 

Controlzeta lab reinventa il brand Amarelli. Una nuova veste per le storiche liquirizie

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Tre ragazzi campani sono gli artefici della nuova confezione limited edition di Amarelli, che si trasforma in un teatrino portatile. 

Il contest per innovare il brand Amarelli

Dress the Black è il contest voluto dall'azienda Amarelli, in collaborazione con Talent Garden Cosenza e Rubettino Print, con l'obiettivo di innovare il brand storico, confrontandosi con le idee e le creazioni di giovani designer, grafici, illustratori, artisti. Che dovevano rappresentare un racconto, mantenendo da una parte la riconoscibilità e lo stile tipico dell'azienda di Rossano, dall'altra modificando sia l’aspetto grafico che quello narrativo. 130 i giovani partecipanti, ai quali è stato chiesto di vestire e reinterpretare la tradizionale scatolina di latta Amarellli. Il concorso era infatti finalizzato alla progettazione di una nuova veste grafica della confezione limited edition di liquirizia, ovvero quattro scatoline in metallo e la confezione in cartone che le contiene.

Alla fine solo tre gruppi sono stati selezionati per la final competition, che si è svolta a Rossano a diretto contatto con il management dell’azienda, al termine della quale la giuria - composta dall'AD Fortunato Amarelli, dal Direttore Commerciale e Marketing Margherita Amarelli, da Anna Laura Orrico (Cofounder e Event Manager Talent Garden Cosenza), da Marco Rubbetino (Direttore Generale Rubbettino Print) e dall'architetto Fiorentino Sarro – ha decretato la vittoria del gruppo di designer Controlzeta lab.

 

Il vincitore

Controlzeta Lab è un laboratorio creativo che si occupa di grafica, design, illustrazione, fumetto e soprattutto di cartoni animati, fondato nel 2014 da tre artisti napoletani Andrea Accennato, Luca Poce Andrea Moriello. “Ci siamo conosciuti alla Scuola Italiana di Comix di Napoli. Eravamo gli unici tre a seguire il corso di animazione, un settore in cui è molto difficile lavorare da soli: è un lavoro di dettaglio che si compone di molte fasi, soprattutto quando fai un tipo di animazione, come la nostra, che si compone di 12-24 frame al secondo. Così è stato abbastanza naturale iniziare una collaborazione”. Da lì hanno fondato un laboratorio che si occupa principalmente di creare cortometraggi, videoclip musicali e fumetti. E l'anno scorso hanno partecipato al bando emesso da Amarelli. “È stato un segno del destino, veniamo dall'animazione e si richiedeva di costruire un racconto da condensare sulle scatoline di latta, che noi amiamo”. La loro voglia di raccontare storie e di fondere diversi stili illustrativi con la tecnica dell’animazione tradizionale li ha portati alla produzione della confezione limited edition intitolata “La casa sull’albero”.

 

La nuova confezione limited edition

Ma come approcciarsi per ripensare l'identità di un brand storico? “Il cuore del progetto è l'animazione: abbiamo usato il nostro modo di lavorare, unendo lo stile che ci caratterizza con il background di Amarelli, trattando dunque le scatole di latta come fossero oggetti da collezione”. Per il resto, non avendo avuto direttive rigide, hanno dato libero sfogo alla fantasia. “Attraverso le quattro scatole in metallo e la confezione in cartone che le contiene abbiamo raccontato una piccola storia quasi fosse un libro per bambini”. Non solo, la limited edition è anche una sorta di gioco, in cui le lattine e la scatola che le contiene rappresentano rispettivamente i personaggi e l’ambientazione per immaginare, creare e raccontare delle storie. “È una sorta di teatro portatile, dove ciascuna scatola di latta riporta un personaggio che compie un’azione, e il design su ognuna di essa è stato pensato per completarsi con le immagini della lattine adiacenti”. Il coperchio della scatola Amarelli poi, una volta svuotata delle lattine, diventa il disegno di un bosco, con chiome folte, alberi e piante di liquirizia. “È stata un'esperienza formativa sia dal punto di vista professionale che umano. Amarelli si è rivelata un'azienda seria, disponibile e positiva (internazionale se vogliamo), che ci ha dato la possibilità di trascorrere tre giorni di creative empowerment, affiancati dalla proprietà e dal management, osservando il processo produttivo, visitando il Museo aziendale della Liquirizia, vivendo il territorio di Rossano nel quale l’azienda opera, per perfezionare così le nostre proposte grafiche”. I grandi marchi dell'alimentare italiano – e Amarelli è uno dei principali – rimarranno grandi solo se continueranno a mettersi in discussione, ad avere il coraggio di cambiare e, perché no, a coinvolgere i giovani talenti sì nella produzione, ma anche nella sfida del packaging e della comunicazione.

 

http://controlzetalab.com

http://www.amarelli.it

 

 

a cura di Annalisa Zordan

 

Dalla cucina di tradizione alla rivoluzione della nuova tradizione. Conversazione con Igles Corelli

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Col Trigabolo la cucina italiana scoprì le potenzialità di un'evoluzione fedele alla propria identità. Erano gli anni '80 e, tra le brume del Po, un nugolo di giovani cuochi sovvertiva le regole della ristorazione d'autore tracciando uno spartiacque storico. Tra di loro un romagnolo: Igles Corelli.

Il Pacojet a Ferran Adrià glielo abbiamo fatto conoscere noi al Trigabolo, durante gli incontri di Saperi e Sapori. Erano quegli anni ruggenti a cavallo tra gli '80 e i '90”. È Igles Corelli a raccontare l'inizio della cucina italiana contemporanea. Gli anni '80 furono uno spartiacque per l'enogastronomia italiana.

Lo scandalo del metanolo esploso nell'86 portò al rinnovamento dell'enologia tricolore, ma in quegli stessi anni – anche se con una deflagrazione che avrà meno effetti immediati – anche la ristorazione aveva cominciato una sua nuova strada.

Corelli

La cucina italiana tra gli anni '80 e '90

C'era Bacco, a Barletta: grazie a lui il Sud aveva cominciato ad emergere, poi è arrivato il Don Alfonso 1890 con Iaccarino. C'erano Marchesi a Milano e il San Domenico a Imola, Paracucchi con la Locanda dell'Angel0 e Peppino e Mirella Cantarelli nella brumosa Bassa Parmense” ricorda “poi sono nati Vissani, con la sua saletta nel ristorante di famiglia sul lago di Corbara, e Pierangelini a San Vincenzo” è il ritratto di un'epoca che avrebbe cambiato il profilo della cucina di ieri e di oggi.

Ma a questo quadro manca un tassello fondamentale.“All'inizio di quel decennio nacque il Trigabolo ad Argenta, sul Delta del Po: siamo stati noi a inventare la moderna cucina di territorio”. Fu uno scossone: “Ricordo che la rivista tedesca Vif, una rivista gastronomica importante, ci considerava i più di tendenza, insieme a Pierangelini e Vissani. Altrove c’erano o cucine di impostazione italo-francese o proposte molto ben fatte ma molto tradizionali. Noi invece facevamo una cucina altamente creativa, a km0 (o quasi)”.

 

L'invenzione della cucina di territorio

Che significa cucina di territorio? Non è la cucina regionale italiana? “Ti racconto un aneddoto che può spiegarlo bene”sorride lo chef romagnolo ora trapiantato a Lamporecchio, sulle colline tra Firenze e Pistoia “Nel 1983 ci chiamarono per partecipare a un concorso di cucina dedicato alla cipolla di Cermide, nel Mantovano, una delle grandi cipolle italiane. Io realizzai un budino di cipolla con una salsa di fegato grasso e porri fritti: un piatto che arrivò primo e che poi restò in carta al Trigabolo tra i grandi classici. Non era un piatto regionale, ma utilizzava un prodotto tradizionale, tipico e molto povero di quel territorio rendendolo protagonista, mentre il fegato grasso dava sontuosità ma faceva da gregario. Gli altri concorrenti, ricordo, avevano tutti piatti impostati su una cucina d'albergo. Tranne Marchesi, la cui proposta era però ancora legata alla tradizione culinaria francese. Noi eravamo quelli più più legati al territorio”.

 

Un decennio di grandi nomi

E Vissani o Pierangelini? Come vi rapportavate tra voi? “Gianfranco faceva una cucina di tipo istintivo e di mercato diversa da tutti gli altri, una cucina maschia; Pierangelini aveva una cucina più raffinata e direi… femmina. Cantarelli invece era molto tradizionale, attentissimo nella selezione maniacale dei prodotti”.

Come si poneva i questo contesto il Trigabolo? “La nostra era una cucina per alcuni aspetti simile a quella di Vissani, maschia e ricca di elementi (mentre Pierangelini puntava più a togliere) ma tutta di territorio”. Il Trigabolo, poi, era famoso per la caccia“eravamo gli avanguardisti della cacciagione che era anch'essa un elemento caratterizzante del nostro territorio fatto di acqua e nebbia, stagni e canali. E la facevamo diversamente da tutti gli altri che erano molto più tradizionalisti… In quel momento stava cambiando tutto. E noi respiravamo quell'aria di cambiamento e cercavamo di ampliare gli orizzonti”. E lo avete fatto anche attraverso lo scambio con altri chef “con Saperi e Sapori, che organizzavamo lì da noi, eravamo sempre sull’onda di ciò che accadeva nel mondo: eravamo la modernità”.E poi c'era il vino, che aveva cominciato la sua nuova stagione:“avevamo 2.000 etichette di vino, era una follia. Pochissime altre avevano numeri come i nostri… solo che noi noi eravamo ad Argenta, tra le brume del Po”.

igles

La crisi della ristorazioni e le strategie per il futuro

Quale futuro per la ristorazione italiana? “La mia impressione è che non siamo ancora al centro del progetto. La ristorazione non è al centro del progetto gastronomico Italia. Se un ristorante lavorasse in regola con la legge, oggi sarebbe costretto a chiudere. Così nasce una domanda: il modello ristorante è vecchio? Di fatto, il lavoro costa troppo e per mandare avanti un ristorante servono tanti investimenti”. E in questo contesto che nascono i locali di nuovo tipo: con pochissimo spazio all’interno e con un tipo di offerta-food veloce. “Ma i ristoranti veri se in regola con la legge sono sempre in perdita, e non cambia che siano pieni o vuoti”.

Una sentenza che non lascia spazio a interpretazioni, ma solo alla necessità di riflettere su certe questioni: “Allora serve un tipo nuovo di organizzazione della ristorazione. Quando ci si trova a parlare tra di noi, che siamo considerati il vertice della ristorazione italiana, in realtà ci troviamo sempre tra morti di fame. È come se tu avessi un giornale, ma non potessi esprimere il tuo pensiero. Così, se vuoi fare qualità ed essere in regola con la legge, allora devi cambiare mestiere”.Di fronte a un grido di allarme così chiaro urge trovare delle soluzioni. Che fare? “La risposta non ce l’ho. So solo e con certezza, ripeto, che la ristorazione non è al centro del progetto gastronomico Italia. Come fare, non lo so, ma così non possiamo più valorizzare i prodotti di eccellenza della nostra terra”come si faceva prima?“Negli anni '80 era diverso perché anche i costi erano molto diversi: il lavoro costava meno e la gente spendeva di più. Anche se poi quello è stato un periodo che abbiamo cominciato a pagare a caro prezzo, dal 2000. Ma sicuramente c’era più margine e più dinamismo”.

 

Il futuro della cucina è fusion

Sul fronte cucina? Quali scenari e tendenze vede Igles per i prossimi anni? “Io credo che sarà sempre più fusion: all’inizio del 2000 se ne parlava, poi si è interrotto il trend. Ma sono convinto che tornerà e alla grande. Non c’è più innovazione, il territorio e il km0 hanno dato ciò che potevano dare”dice, e aggiunge “E hanno anche mostrato i loro limiti: il pomodoro è migliore se viene dal Sud, l’aglio è meglio di Nubia o di Sulmona e così via”. Insomma dovendo scommettere su qualcosa quale sarebbe la risposta: “Io credo alla fusion: e lo vedo anche da come comincia a organizzarsi la Grande distribuzione. Se vai da Coop o da Esselunga, il banco della gastronomia etnica è aumentato proporzionalmente di anno in anno: due anni fa erano due metri, l’anno scorso quattro e quest’anno sei metri”e da cosa dipende? “Questa forte influenza etnica è anche frutto dello sviluppo e di un circuito di culture e di idee.Un esempio: se per me la frutta di riferimento è l'albicocca, per i miei figli che hanno 20 anni il frutto è il kiwi”.

Igles

Il superamento del prodotto locale

Niente prodotti del territorio allora? “Ho piantato nell'orto di Atman a Lamporecchio un campo di insalata, ma quando provo quella che mi arriva dal Veneto e fatta su terreni ad hoc, sento la diversità profonda tra i due prodotti, le dolcezze diverse” spiega, e aggiunge “perché, allora, devo usare quella che faccio io e non l’altra che è migliore. Oggi, io chiamo Torre Guaceto e mi faccio portare i pomodori. L’olio di oliva lo prendo dagli Iblei, perché è quello che va bene per la mia cucina: chiamo e me lo portano”. Semplice, come fare una telefonata. “E poi, perché metterci i paraocchi? Negli anni ’80 un cuochetto francese, tal Paul Bocuse” sorride “diceva: quando i cuochi italiani si accorgeranno delle materie prime che hanno, faranno la migliore cucina del mondo” ma Igles va oltre “La dimensione fusion è tale da permetterci di esaltare anche la nostra biodiversità. Direi che l’Italia è una fusion naturale. Da noi arriverà anche del Patanegra, ed è pure buono. Ma quanti prodotti gli spagnoli portano in Spagna dall’Italia?”

 

La nuova cucina di territorio

Quindi torniamo al concetto di territorio, anche in chiave fusion? “Certo. Nella cucina tradizionale si parla della ricetta e della sua nascita o diffusione in un territorio, ma non della provenienza degli ingredienti”. Spiegaci meglio: si può fare un piatto di territorio con ingredienti non locali? “Prendiamo la cotoletta alla milanese, per cui i ricettari parlano genericamente degli ingredienti: vitella, pangrattato, uovo. Ma se io la faccio con una bella costata di Piemontese, con il pane di Altamura e con l'uovo di Parisi, probabilmente viene meglio. Cosa ho fatto? Non è una ricetta a Km0, ma è un piatto di territorio: la nascita della ricetta e la provenienza degli ingredienti lega quel piatto a un discorso sui territori e allo stesso tempo diventa un esempio di fusion” e ribatte con un altro esempio:“se fai una cacio e pepe e cerchi un grande pecorino, un pepe aromatico che risponda ai tuoi gusti (che sia di Sichuan o di Giamaica) e cerchi gli spaghetti (o spaghettoni) dove li fanno meglio. Poi, il piatto è romano”. Una girotondo di riferimenti che porta a una conclusione:“la tradizione è innovazione” dichiara “e dove innovi? O sulle tecniche o sulle materie prime. Il problema è che troppo spesso i limiti e i paletti vengono messi per tutelare le industrie, più che gli artigiani”. E di materie prime, della loro lavorazione e dello sviluppo delle ricette ha parlato anche nel suo ultimo libro: Il gusto di Igles.

 

La cucina tra passato e futuro

Quali sono i piatti che rappresentano il Corelli del Trigabolo e quello del nuovo Atman, tutto proiettato verso il futuro e il mondo? “L'avventura di Argenta può essere rappresentata da un piatto che per quel tempo era comunque di rottura: l'insalata di piccione con cedro candito, aceto balsamico tradizionale di Modena e verdure in osmosi (condite e marinate sottovuoto, ndr)”. Un piatto che parli oggi al futuro, invece? “Puòessere un risotto(signature dish per Igles) con plancton e pesci in iperbarica sopra. I crostacei messi nella camera iperbarica” spiega “sono crudi e si possono pulire da crudi, senza perdere nulla del sapore e dei nutrienti. Il plancton, invece, viene scelto in base a differenti modi di pesca: tramite gli studi del biologo marino Corrado Piccinetti dell'Università di Bologna e collaboratore di Linea Blu, ho scoperto che il plancton ha sapori diversi se viene pescato a 2, 3 o 4 micron di spessore. Un futuro tutto da studiare e verificare”.

 

Atman di Villa Rospigliosi | Lamporecchio (PT) | fraz. Spicchio | via Borghetto, 1 | tel. 0573 803432 | www.atmanavillarospigliosi.it

Il Gusto di Igles, 60 ricette a spreco zero | Igles Corelli | Gambero Rosso | pagg. 190 | euro 24,50

 

 

a cura di Stefano Polacchi

Spezial Party a Roma. Oltre 20 fra chef, pastry chef e pizzaioli per la gara di solidarietà di Italia Squisita

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Da Anthony Genovese a Francesco Apreda, passando per Rosanna Marziale, Gianfranco Pascucci e Iside De Cesare: sono solo alcuni fra gli oltre 20 chef attesi nella Capitale il prossimo 10 aprile. Torna infatti la festa di primavera di Italia Squisita: un’occasione per dare un importante contributo a CABSS - Centro Assistenza per Bambini Sordi e Sordociechi.

Spezial Party

Sono le spezie il tema centrale della festa di primavera 2017 di Italia Squisita, che torna come ogni anno per celebrare la cucina italiana e festeggiarsi, ma in un’ottica di solidarietà e supporto a quelle realtà che lavorano per migliorare la vita di chi ha una disabilità o è colpito da una malattia. Il 10 aprile, infatti, oltre 20 tra chef, pastry chef, pizzaioli e barman daranno via a un evento gourmet in favore di CABSS - Centro Assistenza per Bambini Sordi e Sordociechi, giocando con le spezie.

Un’opportunità per provare la cucina dei migliori cuochi della scena romana e non solo, per assaggiare vini di qualità e birre artigianali, scoprire eccellenze del territorio italiano: allo stesso tempo un’occasione per lasciare da parte le parole e fare un gesto concreto verso coloro che ogni giorno si impegnano per migliorare la vita dei bambini sordi e sordociechi.

 

I protagonisti e come partecipare

Sono tanti i nomi degli ospiti che il 10 aprile si alterneranno ai fornelli del Palazzetto, in piazza Trinità dei Monti a Roma, dalle 19 in poi. Padrone di casa lo chef Francesco Apreda, ma con lui ci saranno anche Giulio Terrinoni, Roy Caceres, Anthony Genovese, Gianfranco Pascucci, Adriano Baldassarre, Andrea Fusco,  Cristina Bowerman, Federico Dal Monte Chinappi, Eiji Yamamoto, Marco Martini eDaniele Gentili, Luciano Monosilio e la famigliaRoscioli. Ma non è solo la Capitale a “offrire” le migliori leve della ristorazione e del bere di qualità al servizio di una causa di solidarietà: a piazza Trinità dei Monti, infatti, saranno protagonisti anche i fratelli Serva da Rieti, Salvatore Bianco, la famiglia Piccirillo e Rosanna Marziale dalla Campania, Marzia Buzzanca e William Zonfa Magione dall’Aquila, Angelo Sabatelli da Bari.

Ma le sorprese non sono finite, perché per la festa di Italia Squisita sono attesi anche alcuni fra i migliori pastry chef italiani: Dario Nuti, Nicola Di Lena, Andrea Riva Moscara, Andrea De Bellis.

Partecipare è facile, basta prenotarsi compilando il form online sul sito di Italia Squisita: l’intero ricavato sarà devoluto al Centro Assistenza per Bambini Sordi e Sordociechi di Roma.

www.italiasquisita.net

 

a cura di Francesca Fiore

 

Mold. Il nuovo food magazine che indaga il futuro del cibo attraverso il design. E guarda anche all'Italia

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Dal web alla carta stampata, da New York arriva un nuovo progetto editoriale che sposta l'attenzione sulla prospettiva del food design come chiave per esplorare e comprendere dove andrà il futuro del cibo. E racconta anche una bella storia di cultura gastronomica italiana, avviata nelle mense lombarde. 

Food design. E cibo del futuro

Un nuovo magazine sul futuro del cibo. Che dall'altra parte dell'oceano, tra le strade di New York, può dipendere dall'apporto creativo e scientifico di chef, designer, ricercatori e produttori. Negli ultimi tre anni è stato questo l'obiettivo di Mold, piattaforma online ideata da LinYee per dare spazio alle storie (più di 400 quelle raccontate finora sul sito) di chi sul design ha scommesso per dare forma al cibo che verrà. Perché se il progresso tecnologico può determinare come e cosa mangeremo da qui ai prossimi 15 anni – in piena emergenza alimentare secondo le stime dei principali organi di controllo internazionali – al design è affidato il compito di veicolare le idee, e generare progetti intelligenti, fruibili, belli nel senso più positivo del termine, che all'estetica del cibo riserva un ruolo fondamentale nella valorizzazione della cultura gastronomica. E il percorso fatto sin qui da Mold e dai suoi contributor dimostra che l'interesse verso il tema è tutt'altro che marginale, con un bel seguito sui social network e lettori che approdano sul sito da oltre 20 Paesi del mondo. Così – ironia della sorte proprio mentre uno tra i più celebri food magazine americani, Lucky Peach, alza bandiera bianca per divergenze d'opinione tra soci fondatori – Mold Magazine è pronto a esordire nell'universo della carta stampata, con un profilo che ricalcherà le orme del web.

Da New York un nuovo food magazine

Ogni numero esplorerà un tema specifico analizzandolo con il filtro del design, dall'evoluzione dal packaging alimentare al riuso degli scarti, dai novel food all'innovazione agricola. A cominciare da 20 divagazioni sul tema dei microrganismi e delle loro interazioni con ambienti specifici, che in ambito alimentare significa per esempio interrogarsi sulle trasformazioni della materia, dal kimchi alla produzione di vino naturale, alla proliferazione delle muffe. E capire come possano portare benefici al sistema alimentare del futuro. I contributi arrivano da esperti di discipline complementari e diverse, designer e genetisti, chef ed esperti di cibo. Con l'intenzione di offrire ai lettori un prodotto per chi ama il cibo e la cultura, e non esclusivamente la cultura del cibo. La prima uscita è attesa con l'arrivo della primavera, mentre online è ancora aperta una campagna di crowdfunding su Kickstarter, che finanzierà sviluppi futuri. I temi sul piatto sono già molti: dall'approfondimento sulla tavola come rituale sociale all'esplorazione dei packaging commestibili, all'applicazione dei big data per l'industria alimentare. Sempre nel segno di una impostazione grafica facilmente riconoscibile che si avvale della collaborazione di valide firme.

 

Dire Mangiare Progettare. Una storia di co-design dall'Italia

Intanto, giusto per confermare la bontà e il livello di copertura su scala internazionale del progetto Mold, una delle ultime storie raccontate sul sito arriva proprio dall'Italia. E va a pescare il percorso di co-design proposto agli alunni delle scuole di Milano, Varese, Monza e Brianza da qualche mese a questa parte, nell'ambito del progetto Dire Mangiare Progettare. Un incontro tra bambini della scuola primaria e designer patrocinato dal Politecnico di Milano e dal Milan Center for Food Law and Policy per ripensare l'esperienza della mensa scolastica e reinventarne l'ambiente. Coinvolgendo i più piccoli nella progettazione di oggetti e arredi che la popolano, così da intervenire direttamente sul loro approccio al cibo e all'alimentazione. Per la prima edizione dell'iniziativa, che si protrarrà fino al mese di giugno, sono undici le classi coinvolte, e altrettanti i designer che hanno raccolto l'invito. E Mold ha deciso di seguire per qualche giorno da vicino i protagonisti. Per chi invece preferisse scoprire da sé tutti i dettagli è disponibile il sito dell'iniziativa costantemente aggiornato. Anche queste sono storie di cibo.

 

https://thisismold.com/

www.diremangiareprogettare.it

 

a cura di LIvia Montagnoli

Dove comprare frutta e verdura a Milano: 7 ortolani raccomandati dagli chef

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Dove acquistare frutta e verdura di qualità? Se nelle cittadine di provincia reperire buoni prodotti è semplice, per il legame ancora forte con la campagna circostante, appena si entra nelle grandi città la ricerca si fa più complicata. Per questo abbiamo deciso di chiedere consiglio a chef e ristoratori milanesi.

Argomento difficile quello della frutta e della verdura in città. Perché ancor più di altre categorie alimentari, l'ortofrutta è spesso appannaggio di distributori e mercati generali più che di singole botteghe, con un appiattimento dell'offerta e una standardizzazione dei sapori che riduce la proposta. E poco conta la facilità di reperire qualsiasi genere di prodotto – nostrano o esotico - sugli scaffali dei centri urbani più grandi, perché sono proprio quelli che hanno perso il legame diretto con la campagna. Lo abbiamo visto in una metropoli come Milano che pure gode di una grande riserva nel sistema delle cascine e dei molti mercati che stanno rinnovandosi per offerta e qualità, come vi abbiamo raccontato più volte, con un modello di buona amministrazione e di recupero degli spazi urbani, ma dove non ci sono tanti buoni negozi ortofrutticoli. Un problema che si riverbera anche nella ristorazione, dove trovare un fornitore di fiducia è sempre più raro, vuoi per la necessità di ricevere quantitativi e costanza qualitativa che spesso i dettaglianti faticano ad assicurare, vuoi per questioni di comodità, fatto sta che trovare riferimenti sicuri per la spesa di ortofrutta non è così semplice. Noi ci abbiamo provato, chiamando in causa ristoratori e chef.

 

All'Ortolano

C'è tradizione familiare in questa bottega, e insieme c'è il rinnovamento dato da una sopraggiunta conoscenza del prodotto e delle esigenze di oggi: è questa la chiave dei consensi che All'Ortolano riscuote tra i ristoratori. Merito di Marco e Matteo che hanno messo insieme varierà e qualità dell'offerta, con frutta e verdura di stagione, primizie e prodotti esotici, spezie ed erbe aromatiche. Una selezione tale da convincere più di un addetto ai lavori. Come Eugenio Roncoroni di Al Mercato, locale dalla doppia anima (che ha anche prodotto esperienze successive): burgher bar da una parte, gourmet dall'altra. In mezzo, a dividere questi due spazi, la cucina a vista. Un posto divertente, informale e rilassante diviso com'è tra le suggestioni esterofile che più street non si può e i richiami di una cucina d'alta scuola. Il tutto senza mai prendersi troppo sul serio e perdere quel piglio irriverente che ne è elemento distintivo. “Sono partiti come negozio al dettaglio e poi hanno ampliato la proposta rivolgendosi anche alla ristorazione” dice Roncoroni “mantenendo sempre un livello qualitativo alto”. Ugualmente soddisfatto per l'ampiezza dell'offerta il team di Esco  (premio qualità/prezzo nella guida Milano 2017 del Gambero Rosso). “Si tratti di cavolfiori o di finocchi, di mandarini cinesi o di timo” dicono “la qualità è costante, sono precisi e puntuali”. Un fattore vincente nella fornitura, anche in una realtà come quella del locale di via Tortona che affianca alle proposte di cucina buone pizze, così come ai vini – non solo italiani - unisce i cocktail.

All'Ortolano | Milano | Via L. Canonica, 59-63 | tel. 02 33101132

Al Mercato | Milano | Sant'Eufemia, 16 | tel. 02 87237167 | www.al-mercato.it

Esco | Milano | via Tortona, 26 | tel. 02 8358144 | www.escobistromediterraneo.it

 

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Mercato di Porta Ticinese

La spesa la facciamo al mercato generale” dice Maida Mercuri, patronne di Pont de Ferr e del vicino Rebelot del Pont “oppure ce la facciamo mandare direttamente dai Presìdi Slow Food. Ma quando non ci rivolgiamo a loro andiamo al mercato di Porta Ticinese dove” aggiunge “non abbiamo un fornitore unico, ma gironzoliamo tra tra i banchi, alla ricerca di quel che ci serve e ci convince”. Una ricerca su campo:“La cosa che cerchiamo è la qualità estrema,” dice Maida, che aggiunge“preferibilmente bio”. E poi diciamolo, quella struttura in ferro e vetro, oggetto di un progetto di riqualificazione più ampio dell'intera Darsena è oggi un punto di riferimento dove fare la spesa e passare un po' di tempo a un passo dall'acqua. Una trentina le attività in questo Nuovo Mercato Comunale con uno spirito che richiama le grandi capitali europee, anche nell'orario di apertura prolungato.

Mercato di Porta Ticinese | Milano | XXIV Maggio, 1

Pont de Ferr | Milano | Ripa di Porta Ticinese, 55 | tel. 02 89406277 | www.pontdeferr.it

Rebelot du Pont | Milano | Ripa di Porta Ticinese 55 | tel. 02 84194720 | http://www.rebelotdelpont.com/

 

Mercato di Via Procaccini

Tolti i distributori e i mercati della Terra di Slow Food, dall'Osteria del Treno (Tre Gamberi per la guida Ristoranti d'Italia del Gambero Rosso) segnalano il mercato di via Procaccini, dove è la Fabbrica del Vapore, il primo e il terzo sabato del mese. Qui si trovano banchi degli agricoltori della zona, “con frutta e verdura di stagione e del territorio, in arrivo da un raggio di un massimo di 40 chilometri”. Una riserva per Angelo Bissolotti, l'anima di questa storica insegna meneghina. Un luogo di grande fascino, dall'atmosfera un po' fané che custodisce il ricordo della precedente destinazione (era un dopolavoro ferroviario), nell'ambiente spartano ma familiare, con ricordi e dettagli sparsi qua e là. Perfetta cornice per la proposta del locale: una verace antologia della tradizione lombarda, rinnovata nell'attenzione al prodotto e alla sua manipolazione.

Mercato di Via Procaccini  | Via Procaccini 4 / Via Luigi Nono, 7 | tel.  02 7381308 | www.facebook.com/mercatodellaterradimilano/

Osteria del Treno | Milano | via San Gregorio, 46 | tel. 02 670 0479 | http://osteriadeltreno.it/

 

mercato

 

Mercato di Via Lombroso

Il mercato centrale di via Lombroso è IL mercato della frutta e della verdura a Milano” dice Matteo Fronduti di Mannasi trova ogni cosa, non c'è un banco in particolare, ma è proprio l'intera struttura da segnalare: c'è di tutto, per esempio un angolo che ha solo patate, di ogni tipo e di ogni zona, è dove i fruttivendoli vanno a fare la spesa. E il sabato mattina è aperto anche ai privati”: Il punto vendita zero di Milano per la frutta e la verdura, un punto di riferiemento per Fronduti, chef e patron discreto e fantasioso, autore di una cucina solo all'apparenza complicata, i realtà godibile, fresca, moderna. Che punta molto sulla varietà di sapori offerti dalle verdure.

Mercato Centrale | Milano | via C. Lombroso, 54 | http://www.sogemispa.it/mercati/mercato-ortofrutticolo/

Manna | Milano | piazzale Governo Provvisorio, 6 | tel. 02 2680 9153| http://mannamilano.it/

 

Cascina Fraschina

Per frutta e verdura ho due fornitori” dice Gaia Giordano, resident chef di SpazioUno si chiama Fruttasì e ci prendo le materie prime di base, poi da un anno abbiamo iniziato a lavorare con una Cascina vicino ad Abbiategrasso” e proprio di questo ci parla la chef del ristorate degli allievi della scuola di Niko Romito, anch'esso premiato per il rapporto qualità/prezzo sulla guida Milano 2017 del Gambero Rosso. “Si chiama Cascina Fraschina. Con loro abbiamo iniziato una collaborazione molto interessante: la domenica mi mandano il listino del raccolto della settimana e in base a quello faccio l'ordine e cambio contorni o le verdure che mettiamo nel sautè. Così abbiamo iniziato a usare verdure che sono difficili da trovare dai normali fruttivendoli. Erbe spontanee, mele buonissime, cavoli di vario genere (cavolo rapa, cavolo navone, fiolaro)... insomma ci divertiamo”.

Ed è lo stesso fornitore che anche Marco Ambrosino di 28 posti: “sono dei ragazzi giovanissimi” racconta “con cui lavoriamo di concerto: ci fanno sapere in anticipo cosa intendono coltivare e come va la produzione, così” spiega “noi organizziamo il lavoro in base a quello che realmente cresce”. Non solo: lavorando direttamente con il produttore (un bravo produttore, aggiunge), può decidere in quale momento del loro sviluppo usare i prodotti, mentre all'ortomercato ci sono le cose pienamente mature. Si tratti di fiori eduli, come quelli di tagete “di cui abbiamo usato i boccioli per conserve e distillati” o del sorgo, preso ancora fresco e trasformato in un gelato, o di altri prodotti impiegati acerbi per cogliere un ventaglio di sapori e strutture diverso.

Cascina Fraschina | Abbiategrasso (MI) | Località Cascina Fraschina | tel. 334 9103208 |  http://www.cascinafraschina.it/

Spazio | Milano | via U. Foscolo, 1 c/o Mercato del Duomo | tel. 02 878400 | www.nikoromitoformazione.it

28 posti | Milano | via Corsico 1 | tel. 02 8392377 | http://www.28posti.org/

 

mercato

 

Mercato del Suffragio

Anche per Diego Rossi e il gruppo di Trippa, la spesa ortofrutticola è organizzata soprattutto attraverso grossisti. Anche perché l'organizzazione del menu consente di gestire facilmente le materie prime: “abbiamo una certa liberà in cucina” spiega “cosa che ci permette di cambiare molto la proposta, di seguire il mercato e scegliere senza affanno di organizzare il menu in base a cosa, effettivamente, c'è di buono quel giorno”. Insomma, quando si scrive in menu, genericamente, verdure di stagione, si riesce a stare dietro all'andamento della spesa senza affanno, seguendo estro, passioni e mercato senza che l'una cosa prevalga sull'altra. Ciò non toglie che, in certi casi, si vada a gironzolare tra i banchi alla ricerca di qualcosa di particolare. E allora la scelta cade sul Mercato del Suffragio. Un mercato gastronomico di concezione moderna, dove acquistare buone materie prime (oltre alla frutta e alla verdura – bio - ci segnala il banco del pesce o quello del panificatore Davide Longoni) o fermarsi per mangiare. Un esempio virtuoso di restyling urbano e recupero del territorio (e delle professionalità artigiane) tra i più interessanti degli ultimi tempi.

Mercato del Suffragio | Milano | pazza Santa Maria del Suffragio, 2 | https://www.facebook.com/mercatodelsuffragio/

Trippa | Milano | Via Giorgio Vasari, 3 | tel. 327 6687908| http://www.trippamilano.it/

 

Piazzale Lagosta

L'attenzione di Cesare Ronconi sul prodotto e con i produttori è noto (ne aveva fatto l'oggetto di un bell'intervento a Identità Golose dello scorso anno), così come il suo impegno per un modo di fare ristorazione che sia sinonimo di responsabilità e rispetto: quello nei confronti della materia prima come della tradizione, ma soprattutto di chi lavora, nel campo e in cucina e di ogni anello di quella lunga catena che dalla terra arriva fino al cliente del ristorante. Attenzione questa che lo porta a privilegiare contadini e cascine nelle zone verdi appena fuori al capoluogo lombardo “principalmente dal parco agricolo sud dove ci sono tanti contadini e cascine” spiega lo chef del Ratanà. Ma la sua indole di ricercatore di materie prime ci consegna anche alcuni indirizzi nel tessuto metropolitano. Oltre all'Ortolano di via Canonica, di cui vi abbiamo già parlato, anche i mercati della terra nell'area limitrofa alla Fabbrica del Vapore e il mercatino biologico del sabato mattina, accanto al centro sociale La Stecca “in cui si trovano frutta, verdura, insalate, fiori eduli, ma anche altri prodotti, come pane e e formaggi”. Mentre, spulciando tra i mercati comunali c'è quello di piazzale Lagosta dove c'è un fruttivendolo con un bellissimo banco” suggerisce. Piccolino, una dozzina di banchi oggi al chiuso, il mercato conserva un'atmosfera vecchio stile senza cedere alle lusinghe più glamour ma è comunque un segnale della rivalutazione dei mercati comunali, “solo pochi anni fa degradati, sporchi e mediocri nell'offerta, oggi in molti casi rinnovati, ripuliti e con una selezione di prodotti di stagione di qualità”.

Mercato Comunale | Milano | piazzale Lagosta, 7

Ratanà | Milano | via G. De Castillia, 28 | tel. 02 87128855 | www.ratana.it

 

a cura di Antonella De Santis

foto dal mercato della terra di Via Procaccini

 


Fico Eataly World si presenta. Ristoranti, osterie e chioschi della Fabbrica Italiana Contadina di Farinetti

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Quando mancano ancora diversi mesi alla data di inaugurazione – prevista a ottobre 2017 – Fico svela le carte sull'offerta gastronomica che completerà l'esperienza del grande parco tematico alle porte di Bologna. Tra cucina d'autore (Bartolini e i fratelli Raschi), bistrot tematici, la friggitoria dei Torrente, tanto street food. E i ristoranti in fabbrico. Tutti i nomi. 

Aspettando Fico

Se c'è una cosa che non fa difetto a Oscar Farinetti è la capacità di imbastire una campagna di comunicazione in grado di catalizzare l'attenzione generale. Sin quasi ribaltando a proprio vantaggio quei (consueti) ritardi di cantiere che atterriscono anche gli imprenditori più navigati. Che nel caso del maxi progetto Fico Eataly World hanno protratto l'attesa per varcare la soglia del primo grande parco a tema gastronomico d'Italia fino al prossimo autunno. Fico aprirà i battenti il 4 ottobre 2017, ma le manovre di avvicinamento, mentre i lavori alle porte di Bologna procedono a ritmo serrato, si fanno sempre più stringenti. E concrete. Ora è arrivato il momento di svelare le carte, e sul tavolo finiscono un gran numero di partnership già consolidate e qualche nuova collaborazione che prenderà forma in occasione del progetto di ristorazione e cucina più ambizioso mai affrontato finora da Farinetti. Questo perché il complesso e variegato apparato di ristoranti tematici, osterie, bar e chioschi che troverà spazio da Eataly World dovrà essere in grado di valorizzare le attività produttive e le “fabbriche contadine” che sono il vero cuore pulsante di Fico. E infatti almeno l'80% delle materie prime – precisano i vertici – arriveranno in tavola direttamente dalle filiere del parco, con l'idea di restituire la varietà enogastronomica italiana e conquistare quel pubblico trasversale che ci si attende di veder affluire numeroso a Bologna.

La varietà made in Italy a tavola

Quel che è già facile intuire è che si potrà mangiare un po' ovunque: oltre all'area dedicata, con ristoranti a tema di fascia media e gourmet, proposte regionali, format inediti e corner street food, anche diverse fabbriche disporranno al proprio interno di uno spazio per fermarsi a mangiare. Il frantoio di Olio Roi, per esempio, ospiterà il Bistrot dell'Ulivo, proponendo piatti regionali liguri e sfizi popolari come la focaccia genovese e la farinata a cura del forno Zena Zuena. Ma anche la fabbrica De Martino valorizzerà la pasta di Gragnano con il supporto di un grande chef. Stessa chiave per il pastificio di Campofilone o la panetteria che proporrà specialità da strada al bistrot affidato al Forno di Calzolari. E così dicendo per i chioschi della Prosciutteria di Ruliano, del Mortadella World, del Suino nero di Madeo e Savigni, del Parmigiano Reggiano, del pomodoro Mutti, della pescheria gestita da Lpa Group, con il consumo sul posto di crudi e pescato del giorno. Presso l'allevamento di galline di Eurovo, invece, nascerà la Trattoria dell'Uovo, con menu tematici che racconteranno uno degli ingredienti più versatili nella cucina di tutta Italia. Mentre per la degustazione di pasta fresca direttamente allo spaccio della fabbrica nascerà il format SfogliAmo. A seguire l'elenco delle insegne principali che comporranno l'offerta ristorativa di Fico Eataly World:

 

Enrico Bartolini – Le Soste: Della prima esperienza “commerciale” dell'Associazione Le Soste si parla già da qualche settimana. La partnership con Farinetti nasce nel segno di un sodalizio con lo chef del Mudec, che da Fico supervisionerà la proposta gourmet dell'insegna di punta, ospitando a turno gli altri chef dell'associazione.

 

Il Pesce: Con il pesce in arrivo dalle marine italiane i fratelli Raschi del ristorante Guido di Rimini (Due Forchette) proporranno una tavola di mare d'autore con l'ambizione di rappresentare una nuova meta gourmet a tema ittico in ambito regionale.

 

L'Osteria del Fritto: I campioni del fritto, anche in questo caso, sono Gaetano e Pasquale Torrente, con un ampio progetto sulla valorizzazione della friggitoria italiana, da passeggio e al piatto.

 

La Carne: Sodalizio tra La Granda e Zivieri per un ristorante dedicato alla carne italiana di qualità, tra razze bovine, selvaggina, specialità regionali e proposte popolari, dall'hamburger al lampredotto.

 

La Pizzeria: Per la prima volta in Italia Rossopomodoro (già partner nelle filiali di Eataly Mondo) rappresenterà l'arte della pizza per Farinetti, proponendo anche le varianti della tradizione napoletana, come la pizza a portafoglio.

 

La Pasta: Affidato alle cure della storica trattoria Amerigo dei Colli Bolognesi, il ristorante della pasta gioca in casa, con tante specialità della cucina bolognese, ma anche una ricca proposta di primi piatti nazionali a base di pasta e riso.

 

L'Osteria del Culatello: A cura di Antica Ardenga proporrà salumi e formaggi prodotti nel parco di Fico, con un occhio di riguardo al Culatello e ai sapori della Bassa Parmense, di cui l'azienda rappresenta un'eccellenza riconosciuta.

 

L'Orto: Un altro sodalizio per valorizzare la produzione di ortaggi e legumi della fabbrica contadina. Alla direzione del bistrot veg ci saranno Riccardo di Pisa e Beatrice Lipparini (già bistrot RosaRose).

 

La Vineria dell'Enoteca: Spazio a merende e aperitivi con abbinamento al calice dall'ampia cantina di Fico. A cura di Fontanafredda.

 

Il Bistrot della Patata: C'è Pizzoli alla guida del bistrot tematico che valorizza i molteplici impieghi in cucina della patata, dagli gnocchi alle classiche chips.

 

La Birreria: Ancora una partnership consolidata, quella con Baladin e Teo Musso, per la birreria di Fico. Birre vive prodotte nell'attiguo birrificio, da gustare con piatti di carne, verdure o street food.

 

L'Acetaia e Trattoria gnocco e tigelle: Trattoria Cognento arriva da Fico per rappresentare il mondo delle acetaie emiliane, proponendo gnocco fritto, tigelle, paste ripiene e cucina tradizionale regionale.

 

L'Osteria dei Borghi più belli d'Italia: Con l'Associazione dei Borghi più belli d'Italia, Farinetti studia una doppia formula – bottega e osteriea – per valorizzare prodotti tipici e specialità in rappresentanza di tutta la Penisola.

 

Il Ristorante Bell'Italia Camst: Destinato principalmente all'organizzazione di eventi, lo spazio da 500 coperti sarà gestito da Camst, con un menu che propone un viaggio in Italia attraverso i grandi piatti della tradizione.

 

I Tartufi di Urbani con La Fontana: All'osteria bolognese è affidato il compito di valorizzare i tartufi di Urbani secondo stagionalità, dal bianco autunnale allo scorzone estivo.

 

I Chioschi dello street food: Tantissime le realtà riunite sotto il cappello del cibo di strada, dalla porchetta di Renzini agli arrosticini Jubatti Carni, dalla piadina di Romagna Food al cocomero di Gaia. E poi ancora Pollo del Campese, prosciutto San Daniele, carne al barbeque con il Mercante delle Spezie di Genova. Ma anche chioschi a tema regionale, come quello delle Marche e della Sardegna. E un contenitore di “classici da strada” come experienceIN.it, che coordinerà una proposta sempre diversa per raccontare tutta l'Italia del cibo di strada.

 

La Gelateria: Affidata alla sapienza di Carpigiani, la gelateria si propone come punta di diamante dell'offerta gastronomica, con l'aiuto di Santi Palazzolo, che per Fico produrrà anche pasticceria siciliana d'autore (per il cioccolato invece c'è Venchi, per i grandi lievitati Balocco, che produrrà in loco).

 

Fico Cocktail Bar: Affidato alla supervisione di Bartender.it proporrà una drink list che esalta gli ingredienti e i distillati italiani.

 

Caffetteria centrale: Design avveniristico e torrefazione artigianale interna per la caffetteria di Lavazza.

 

 

a cura di Livia Montagnoli

Appunti di degustazione. 10 assaggi (+1) dal ProWein

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Una grandissima fiera del vino che anticipa il Vinitaly. Al ProWein di Dusseldorf gli appassionati di vino e soprattutto gli addetti ai lavori scaldano i motori e le papille gustative. Più di 6mila espositori e moltissime etichette presentate: ecco i 10 nostri migliori assaggi.

 

ProWein

Basta un dato per capire la natura del ProWein: un visitatore su due non è tedesco. Una proporzione riscontrata anche al nostro evento Tre Bicchieri sabato scorso a Dusseldorf. Nel complesso, sono stati 58mila i partecipanti nei tre giorni di fiera, 6600 gli espositori con oltre 60 Paesi rappresentati. Sì, il ProWein è un’enorme vetrina sul mondo del vino. Poggia su una struttura solida e organizzata, efficiente, con un aeroporto a 15 minuti di taxi, e una città abituata a manifestazioni del genere. Eppure la sensazione, alla sesta edizione da visitatore, è che nelle ultime edizioni la base degli espositori sia aumentata a una velocità diversa rispetto ai visitatori, limandone in qualche modo il margine competitivo.

La qualità degli operatori è sicuramente alta, aspettiamo la risposta del Vinitaly: la festa del vino italiano, lo specchio di un altro modo di vivere, di approcciare il vino. Alla ProWein si ritrovano solo un segmento del mercato, Verona è il punto di ritrovo di tutta la filiera: addetti, blogger, i giornalisti, i produttori, appassionati, con tutte le sfumature di questo settore. A un etnologo bastano 96 ore di ricerca per capire gli italiani: i 4 giorni del Vinitaly. Ma torniamo sulle sponde del Reno, per chi assaggia, il ProWein è un paradiso tra padiglioni e incroci linguistici. Partiamo dalle acidità scintillanti dei padroni di casa.

 

Riesling Forster Ungeheuer Ziegler2016 Dr.Von Bassermann-Jordan

Riesling Forster Ungeheuer Ziegler2016 Dr.Von Bassermann-Jordan

Gunter Hauck, direttore della storica cantina del Pfalz, ci propone una batteria pimpantissima. Scegliamo un’etichetta intermedia nella gerarchia aziendale: grandissima precisione aromatica, struttura solida, potente e bilanciata, acidità che schiocca e grandissimo affondo di sapore. Sui 18 euro in enoteca.

Riesling Trocken Quarz 2016 Peter Jacob Khun

Riesling Trocken Quarz 2016 Peter Jacob Khun

Ci spostiamo nel Rheingau. Il Quarz 2016 parte in sordina, ma è arioso nel tratto balsamico, dalla bocca affilata e incisiva, dal ritmo sapido travolgente. E che energia nel finale: graffia e avvolge la bocca. La 2016 è stata un’annata insidiosa per via delle piogge primaverili, con rese scese del 30% ma di qualità ottimale, commentano Peter e Angela Khun, che saranno con i loro vini a Summa nei giorni del Vinitaly.

 

Marienburg Fahrlay GG 2015 Clemens Busch

Marienburg Fahrlay GG 2015 Clemens Busch

Sempre più tarati sul secco, facciamo una certa fatica a ritararci sui residui della Mosella. Ci rifacciamo con questa perla, sfaccettata, con un timbro di ortica ed erbe spontanee. Sviluppo danzante, cremoso, ha un equilibrio gustativo magistrale; il finale, poi, è privo di peso ma di sapore infinito, con una leggera punta tannica a dare contrasto.

 

Reiterpfad GG 2014 Dr. Burklin-Wolf

Reiterpfad GG 2014 Dr. Burklin-Wolf

C’è un giovante italiano di talento dietro la nota cantina del Pfalz: l’enologo Nicola Libelli. Molto interessante la bollicina, elegantissimo il Reiterpfad 2014. Essenziale nel profilo agrumato, nitido, dal passo soffuso, modulato, infiltrante nello sviluppo. Ha meno corpo e struttura del solito, ma un soffio più lungo. Molto buono anche il Riesling base 2016 che si porta via a 10 euro nelle enoteche teutoniche.

 

Sauvignon Blanc Opoka 2013 Marjan Simcic

Sauvignon Blanc Opoka 2013 Marjan Simcic

Da magnum. Un bianco esagerato, proprio come Marjan. Ha picchi salati, picchi amari, toni di erbe mediterranee pungenti, potenza e struttura importante. Eppure, tutto è in un equilibrio imbarazzante, ritmico e con un finale che si porta via anche parole e descrittori. Tra i primi tre Sauvignon assaggiati negli ultimi anni. Mondiale.

 

 

Montepulciano d’Abruzzo Luì 2013 Terraviva

 

Montepulciano d’Abruzzo Luì 2013 Terraviva

Dalla Slovenia al Teramano. Il Montepulciano Luì ha una trama spigliata: toni di scorza d’arancia, spunti pepati, delicato tratto terroso, per una beva spontanea e deliziosa. Rosso da merenda e da tavola. Spontaneo quanto il Cerasuolo Giusi, dichiarato disperso nella trasferta in Germania.

 

Pinot Nero Bertone 2013 Conte Vistarino

Pinot Nero Bertone 2013 Conte Vistarino

Un grande Pinot Nero dell’Oltrepò Pavese. Messa da parte la carta della concentrazione e del muscolo, ecco un rosso fine e carezzevole nell’estrazione, elegante nel fraseggio, dai toni di macchia e dal finale sapido e sussurrato. E di freschissima vena balsamica.

Sabbie di Sopra Il Bosco 2015 Nanni Copé

Sabbie di Sopra Il Bosco 2015 Nanni Copé

Lascia il segno il primo assaggio della nuova annata proposta da Giovanni Ascione: “Era difficile sbagliare in un’annata così”. Frutto pieno e carnoso, brillante sul piano della definizione, squisitamente mediterraneo come ampiezza aromatica e finale di classe.

L’Argile 2014 Saint Jean du Barroux

L’Argile 2014 Saint Jean du Barroux

Ritmi provenzali nel bicchiere. Inafferrabile e slanciata la trama di questo rosso proposto da Pilippe Gimel, blend di grenache, syrah, carignan e cinsault. Consistenza rarefatta e sviluppo orizzontale incantevole: echi floreali, frutti di bosco dolci e maturi, e una leggera punta verde da raspo a punzecchiare. Un bicchiere tira l’altro.

 

 

Valtellina Superiore Grumello Sant'Antonio Riserva 2009 Ar.Pe.Pe

Chiudiamo con l’ultimo nato di casa Ar.Pe.Pe, prodotto da vigne di 50 anni a 500 metri di quota. Sfacettatissimo, setoso, puro e irradiante, ha un passo sicuro e freschissimo, con una vena balsamica da capogiro. Il finale dimostra che per dire tanto non c’è bisogno di alzare la voce.

VIDEO

 

La voce del ProWein2017

Tra i 6660 esibitori della ProWein c’era anche Sting. Si è presentato in conferenza stampa con la chitarra al collo: “Mi ero promesso di non cantare più prima delle 21, oggi farò un’eccezione”, prima di attaccare Message in a Bottle. Poi, l’omaggio a Chuck Berry: “Senza di lui non ci sarebbero stati i Rolling Stones e nemmeno i Police”. Sting sarà in tour per far assaggiare i suoi vini toscani, la cantina Palagio di Figline Valdarno, in parallelo al calendario di 57th & 9th, il suo dodicesimo album da solista.

 

a cura di Lorenzo Ruggeri

Pizzerie d'Italia 2017. Patrick Ricci di Terra, Grani, Esplorazioni

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Una storia insolita, quella di Patrick Ricci, pizzaiolo di ricerca attento e preparato della provincia di Torino. La sua pizzeria è nata per caso, “per sfortuna”, per dirlo con le sue parole, e oggi è una delle migliori d'Italia.

Tre Spicchi nella guida Pizzerie d'Italia rappresentano un grande lavoro di ricerca, selezione, studio, tentativi ed esperimenti. Il punteggio massimo è riservato solo a quei pizzaioli professionisti che, mossi da una passione pulsante per l'arte bianca, sono riusciti a creare un nuovo concetto di pizza. Ci sono storie di sacrifico e fatica, di tradizioni familiari e scelte imprenditoriali. E poi ci sono quelle più insolite, iniziate in maniera casuale per una serie di coincidenza. Ne è un esempio Patrick Ricci con il suo locale Terra, Grani, Esplorazioni a San Mauro Torinese, in provincia di Torino. Ha cominciato 9 anni fa “per sfortuna” e oggi è uno dei migliori della Penisola.

Come nasce l'attività?

Ho aperto nel 2008 per un colpo di sfortuna. Nella vita facevo tutt'altro e non mi ero mai interessato alla cucina, fino a quando un mio caro amico non mi ha chiesto di aiutarlo a prendere in gestione un locale. Una volta acquistato poi, lui se ne è andato e sono rimasto da solo. Volevo vendere ma eravamo in piena crisi economica, per cui ho dovuto necessariamente trovare una soluzione.

E così ti sei appassionato alla pizza.

No, in realtà no. Semplicemente, mi sono dovuto rimboccare le maniche e allora sono andato a Napoli a fare un po' di esperienza. Una volta iniziato a fare ricerca, poi, non sono più riuscito a smettere. Ho cominciato a studiare e leggere molti testi sull'argomento e selezionare sempre meglio le materie prime.

Hai seguito dei corsi di formazione?

No, sono autodidatta.

Come definiresti le tue pizze?

Personali. Costruisco le pizze basandomi su due principi cardine: la ricerca dei prodotti e la storia che voglio raccontare attraverso quei sapori.

Come selezioni le materie prime?

Mi reco direttamente dai produttori: parlo con i contadini, allevatori, pescatori, mugnai, conosco tutti in prima persona e mi rivolgo a loro per qualsiasi difficoltà. Mi piace il rapporto con i collaboratori e non acquisto niente da ditte o grandi marchi. Solo persone, niente loghi.

Che farine utilizzi?

Al momento ho un blend che ho costruito negli anni e che continuo a modificare e sviluppare ogni giorno. Acquisto personalmente diversi tipi di grano, quelli che sono stati erroneamente definiti “antichi” e li porto a molire presso diverse realtà locali.

E per il condimento?

Prodotti da tutta Italia e qualche cosa dall'estero. Non credo nella territorialità: perché mai dovrei privarmi delle arance siciliane o del pesce fresco del Mediterraneo e tutte le altre eccellenze della nostra Penisola? L'Italia è ricca di prodotti meravigliosi, mi sembra assurdo non utilizzarli tutti.

Cosa offri da bere?

Principalmente vino. Ho una selezione di 52 etichette, molte delle quali naturali, che preferisco per la loro personalità e il loro carattere: i vini convenzionali sono molto standardizzati e questa omologazione fa perdere un po' il senso del piacere del bere. Vino a parte, ho anche un'offerta di birra artigianale.

Qual è la pizza che va per la maggiore?

C'è un menu fisso e poi un altro giornaliero che cambia a seconda della disponibilità degli ingredienti e della mia fantasia. Fra le fisse, va molto la Tonno e Cipolla, nata per provocazione ai miei clienti.

Ovvero?

I primi tempi tutti mi chiedevano la pizza con tonno e cipolla, solitamente servita con tonno in scatola e e pochi altri ingredienti. Un giorno, stanco delle continue richieste, ho deciso di prendere del tonno fresco e realizzare la mia versione di questo classico italiano: pizza con battuto di tonno marinato nell'arancia, cipolla in agrodolce, salsa di olio extravergine di oliva e prezzemolo e aneto.

Qualche altra specialità della casa?

Le pizze emozionali. C'è la Delusione, che lascia un retrogusto amaro ma con qualche sensazione dolce, proprio come le delusioni d'amore, che fanno soffrire ma portano anche alla mente i ricordi più teneri e nostalgici. La Rabbia, che asciuga il palato e ha delle note piccanti che fanno colorire il viso, e lo Tzunami, un'onda marina a tutti gli effetti: annegata nel condimento, c'è un'ostrica che sprigiona in bocca tutto il sapore del mare. Ora sto studiando il Pianto.

Pizze molto particolari. Come le servi?

Come pizze a degustazione, servite a spicchi. Non sono delle vere “pizze”, piuttosto degli assaggi, dei percorsi sensoriali ed emozionali. Sono storie, racconti diversi che il cliente può recepire o meno.

Non sei tu a spiegargliele?

No. Se il cliente è interessato alla storia della pizza, gliela dico volentieri, altrimenti no.

Un approccio insolito. Pensi ancora di vendere il locale?

Sì, ci penso spesso, ma sono una persona che vive alla giornata. Per ora sto bene così.

Dopo il percorso che hai fatto non ti senti diverso rispetto al mondo della ristorazione?

Sinceramente? No. Continuo a mangiare come facevo anche prima di diventare pizzaiolo: vado ai ristoranti pluri-premiati così come alle trattorie di quartiere, non mangio pizza perché ne consumo fin troppa nel mio locale. Non sarò mai il tipo di persona che chiude gli occhi quando assaggia e fa un'analisi sensoriale del prodotto.

Un pizzaiolo molto anticonformista, quindi

Non mi piace seguire la massa. Non vado agi eventi né alle manifestazioni, non sono attivo nel mondo della comunicazione. Continuo a seguire i miei principi e il mio stile e così farò sempre.

Pensi mai ad aprire un nuovo locale?

Mai! Non credo nelle catene.

Terra, Grani, Esplorazioni | San Mauro Torinese (TO) | via Martiri della Libertà, 103 | tel. 0118973883

a cura di Michela Becchi

Pizzerie d’Italia del Gambero Rosso 2017 | pp 352 | euro 8,90 | La guida è acquistabile in edicola, libreria e on line.

Pizzerie d'Italia 2017 del Gambero Rosso. Ecco i risultati

Pizzerie d'Italia 2017. Guglielmo Vuolo di Eccellenze Campane

Pizzerie d'Italia 2017. Marzia Buzzanca di Percorsi di Gusto

Pizzerie d'Italia 2017. Francesco Martucci de I Masanielli

Pizzerie d'Italia 2017. Giovanni Santarpia di Santarpia

Pizzerie d'Italia 2017. Giovanni Mandara di Piccola Piedigrotta

Pizzerie d'Italia 2017. Pierluigi Fais di Framento

Pizzerie d'Italia 2017. Domenico Martucci di Perbacco 

Mangiare in stazione. Come la ristorazione d’autore sta rinnovando le ferrovie francesi, da Marx a Ducasse

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Il sodalizio tra SNFC e alcuni tra i più grandi chef di Francia si è avviato da tempo, e ora entra nel vivo. Dopo Eric Frechon, alla fine del 2016 alla Gare du Nord di Parigi è arrivato Thierry Marx. Mentre tra qualche mese anche la cittadina di Metz avrà la sua cucina d’autore con vista sui binari, a opera di Michel Roth. Poi, nel 2018, arriva Ducasse a Gare Montparnasse. 

Grande ristorazione in stazione

Li avevamo lasciati alle prese con un insolito calendario di road show su rotaie nelle principali stazioni di Francia. Ma gli chef più blasonati d'Oltralpe sembrano decisamente averci preso gusto. E lo stesso può dirsi per SNCF, le FS francesi, che nella ristorazione d'autore ha trovato un valido alleato per riportare in auge alcune tra le più frequentate e affascinanti stazioni di Parigi e del Paese. La scommessa sul rinnovamento dei principali scali ferroviari nazionali, in realtà racconta di un progetto di implementazione più ampio, che sul miglioramento dei servizi al viaggiatore farà leva per restituire alle stazioni quella vivacità che in passato ha tanto ispirato artisti e letterati francesi. E trascorso oltre un secolo dalle rappresentazioni atmosferiche di Monet che tra vapori e locomotive sbuffanti intuiva un futuro ambizioso, oggi la modernità di una stazione può passare anche per il cibo che sa offrire al viavai incessante di pendolari. La Francia, certo, non è la prima a intuirlo – tanto che negli ultimi anni i più animati snodi aeroportuali e ferroviari del mondo si stanno trasformando in hub gastronomici di tutto rispetto, da Londra al più recente esordio del nuovo terminal di Fiumicino, ma nell'orbita romana è bene ricordare anche l'esperimento del Mercato Centrale a Termini – e come sempre si distingue per ambizione e versatilità della proposta. Solo qualche giorno fa, per esempio, la stazione dei treni di Metz si è aggiudicata il titolo di "più bella di Francia", portando a casa lo scettro del concorso organizzato da Gares e Connexions.

La stazione di Metz

Il futuro di Metz

E certamente la promessa di concretizzare entro l'anno l'apertura di un ristorante di prestigio a pochi passi dai binari ha fatto la sua parte. Tra qualche mese, infatti, lo chef stellato Michel Roth prenderà in mano le redini de Le Grand Comptoir (in fase di ristrutturazione), presentando ai viaggiatori un menu degno delle cucine del Ritz, con la differenza che in stazione la scommessa è attirare un pubblico più eterogeneo, con prezzi abbordabili. Mentre la sera sarà comunque disponibile un menu degustazione più ambizioso. 

Lazare, Eric Frechon

E d'altronde i precedenti non mancano, a cominciare dall'esperienza già consolidata di Eric Frechon alla Gare Saint Lazare di Parigi, fino a un'altra inaugurazione recente alla Gare du Nord, dove lo scorso novembre è arrivato Thierry Marx, executive al Mandarin Oriental di Parigi e recentemente a capo di una boulangerie all'ottavo arrondissement che porta il suo nome. Mentre questa distribuzione strategica di grandi chef in stazione proseguirà nel 2018 ancora una volta con Roth, con insieme ad Alain Ducasse dirigerà il più complesso dei progetti di ristorazione alla Gare Montparnasse. Ma facciamo un passo indietro: cosa significa fare ristorazione in stazione?

L'Etoile du Nord, Gare du Nord

L’Etoile du Nord di Thierry Marx. Aspettando Ducasse

Molte cose, a giudicare dall’ampio range di idee messe in pratica. L’Etoile du Nord di Thierry Marx, per esempio, propone piatti della tradizione gastronomica francese in uno spazio (progettato da Patrick Bouchain, con grandi vetrate e vista sui binari) che somma più anime: la zona boulangerie, operativa sin dalla colazione, il wine bar Zinc dove si bevono etichette francesi, birre artigianali e cocktail e la brasserie moderna, con menu lunch a 29 euro e tanti piatti della storia culinaria nazionale, dalle cocotte in più varianti al Croque Monsieur, al Boeuf Bourgouignon. Con l’obiettivo di proporre un’offerta confortevole in uno spazio accogliente, com’era nei buffet degli anni Cinquanta, semplici, genuini e conviviali, si affrettano a ribadire tutti gli chef coinvolti. E infatti anche a Metz, nella regione della Loira, la tavola d’autore della stazione si attesterà sullo stesso piano: offerta spalmata su tutta la giornata, ambiente informale e curato, 80 coperti per mangiare, un bel cocktail bar, spazio ai produttori locali e tradizione alleggerita nel piatto, dal carpaccio di Saint Jacques alla zuppa di pesce, alla tarte di susine, più una selezione di valide alternative vegetariane con i prodotti del territorio. Spirito affine, ma con la spinta in più del deus ex machina dell’alta cucina francese Alain Ducasse, caratterizzerà il ristoro di Montparnasse quando i lavori di ammodernamento della stazione saranno completati il prossimo anno. Ma per scoprire l’ennesima scommessa sulla ristorazione d’autore di SNFC bisognerà attendere la fine del 2018.

 

a cura di Livia Montagnoli

Urban Food Planning, un nuovo modello di organizzazione dei territori

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Un progetto innovativo che punta a valorizzare e tutelare i Comuni a vocazione enogastronomica e creare un nuovo assetto delle funzioni paesaggistiche, economiche, sociali e ambientali di un territorio. Sempre in chiave ecosostenibile.

Il progetto

Un sistema diverso pensato per riorganizzare le città e i territorio a vocazione enogastronomica: è l'Urban Food Planning ed è il nuovo modello di pianificazione dei terreni, progetto fortemente voluto dalle Città del Vino, associazione nata nel 1987 per promuovere i prodotti enogastronomici attraverso una serie di iniziative mirate e volte a valorizzare il legame con il territorio. Un programma pensato come evoluzione naturale dei Piani Regolatori del Vino, e che pone l'agricoltura al centro del futuro dei territori abitati. L'Urban Food Planning si presenta come la nuova frontiera di sviluppo sostenibile che pone questioni di diverso carattere, abbracciando più temi, da quello della democrazia alimentare a quello dei disturbi legati al cibo come diabete e obesità, dai costi occulti per il sistema sanitario alla biodiversità. Un piano di sviluppo e organizzazione che punta, dunque, a coniugare educazione ambientale e alimentare, basato su un modello già collaudato all'estero, in particolare in Nord America, a Toronto, e Bristol in Inghilterra, che ha adottato questo sistema nel 2011.

Obiettivi e confronto con l'estero

E ora, è tempo anche per il Belpaese di muovere i primi passi verso il concetto di urbanistica e gestione ambientale. “Col nuovo approccio il cibo e l'agricoltura divengono elementi centrali di una città o di una rete di Comuni e territori”, ha affermato DavideMarino, professore di Economia del Gusto all'Università del Molise e curatore dell'intero progetto. L'obiettivo? Creare “un nuovo assetto delle funzioni paesaggistiche, economiche, sociali, ambientali, culturali e logistiche”. A cominciare da tre grandi città, Milano, Parma e Torino, dove si sta sperimentando la food policy, “che qualifica il livello del cibo e delle mense” e soprattutto comprende una “pianificazione attorno al cibo intesa come estensione dei piani regolatori”. Attualmente, l'associazione Città del Vino sta promuovendo questo innovativo strumento di programmazione urbanistica e rurale in 407 Comuni italiani – cifra destinata a crescere – per seguire l'esempio dei colleghi stranieri, da tempo molto attivi su questo fronte.

In Canada per esempio, la città di Calgary ha istituito un organo pubblico, il Calgary Food Committee, che ha il compito di promuovere l’accessibilità fisica, economica e sociale a un cibo sano e nutriente, la sicurezza nelle forniture di cibo non soggetto a fluttuazioni dei prezzi o a emergenze naturali, un sistema alimentare che favorisca lo sviluppo della comunità, la sostenibilità ambientale delle produzioni alimentari della regione dell’Alberta e, non ultimo, le opportunità economiche inclusive e sostenibili. Sempre in Canada, Toronto ha promosso GrowTo Urban Agriculture Action Plan, piano d'azione il cui obiettivo è quello di riunire gli stakeholder coinvolti nell’agricoltura urbana della città, proporre soluzioni di sostegno da parte dell’amministrazione, individuare opportunità di sviluppo socio-economico e soluzioni politiche e azioni sul campo per lo sviluppo di forme di agricoltura urbana e peri-urbana. Nella cittadina inglese di Bristol invece c'è il Food Policy Council dal marzo 2011, inaugurato durante la Bristol Food Conference. La nascita di questa politica è stata fortemente auspicata a seguito delle raccomandazioni contenute nel rapporto Who Feeds Bristol, un documento che analizza lo stato del sistema alimentare urbano attraverso un approccio olistico che ne evidenzia punti di forza e vulnerabilità, suggerendo una serie di azioni politiche. Il Consiglio rappresenta diverse organizzazioni con competenze ed esperienze nei settori della produzione alimentare locale, della trasformazione, della distribuzione e della vendita al dettaglio, così come della politica alimentare.

a cura di Michela Becchi

Morto Bob Noto. Fotografo e uno dei più grandi gourmet del mondo

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Il mondo della gastronomia internazionale perde un Re. Bob Noto è scomparso prematuramente. Secondo Ferran Adrià e secondo gran parte del mondo della ristorazione, uno dei più grandi gourmet del mondo

Nato a Torino nel 1956, sessantun anni fa. Sessantuno anni soltanto. La famiglia di piccoli imprenditori, il negozio di utensileria meccanica. Stava lì al bancone per mandarlo avanti: "faccio il ferramenta", era il vezzo. Le passioni però sono la fotografia ("ho iniziato a 16 anni, quando mi hanno regalato la prima macchina fotografica"), la grafica e l'alta cucina.

Globetrotter di ristoranti, generatore di tendenze gastronomiche, precursore di stili, con la capacità lucida nell'individuare i talenti, e un'esperienza personale difficilmente pareggiabile sull'ultimo trentennio di gastronomia europea.

Gli chef, i ristoranti, ma soprattutto i piatti diventano una passione crescente a partire dagli anni Ottanta, ma solo attorno al 2000 lo stile fugace dello still life inconfondibile (le famose foto scattate "prima che il piatto si raffreddi", anche perché "poi me lo mangio") si trasforma sempre di più in lavoro pur tuttavia con le costanti e felici caratteristiche dell'hobby cui dedicare il tempo libero e quello del piacere. 

bob noto

Negli anni il tratto si fa personalissimo. Adiacente ad alcuni linguaggi dell'arte contemporanea e, naturalmente, della grafica. Valore scultoreo dei piatti, colore, temperatura e completa separazione dal contesto. Paradossale, visto che le foto non venivano mai realizzate a studio ma praticamente sempre in ristorante. Ti capitava di essere a pranzo in un posto e qualche metro più in la, su un normale tavolino, c'era un piccolo set che era lo "studio" di Bob Noto, per quelle ore, in quei ristoranti.

È di lui che stiamo parlando. Perché Bob Noto è morto. Si fa fatica a crederlo come si fa fatica a figurarsi, ogni volta, la scomparsa di un gigante. Succede ogni volta che va via qualcuno che ha avuto a che spartire con l'avanguardia assieme alla qualità umana. Noto è stato tra i primi ad aver adottato un certo stile di fotografia, il primo ad aver fotografato i piatti non appena arrivati al tavolo, un istante prima di mangiarli, come oggi facciamo più o meno tutti, è stato il primo a riconoscere valore artistico e culturale all'alta cucina. Cose che oggi sembrano, anzi sono, normali e che non lo erano nel 1995 ad esempio quando, primo in Italia, scrisse un articolo dedicato a Ferran Adrià su Panorama. 

 

Vennero poi i libri (spesso frutto del sodalizio con Alessandra Meldolesi, lei a scrivere, lui a fotografare) e le mostre come la prima nel 2009 in Veneto e l'ultima, “Regine e Re di Cuochi” a Stupinigi con il catalogo da lui curato. Alcuni volumi furono mitici come “6 - Autoritratto della cucina italiana d'avanguardia”, che metteva in fila, ben dieci anni fa, nomi come Bottura, Cedroni, Cracco, Crippa, Lopriore e Scabin. Ma in realtà non sei, ma forse seicento o ancora di più sono le persone - non solo chef - che gli debbono una riconoscenza professionale e talvolta personale sconfinata. 

 

Resta il vuoto, ma soprattutto il ricordo e dunque la presenza indelebile di una figura irripetibile, colta, totalmente anticonvenzionale, spiazzante, sferzante, stimolante, divertente, trasversale, autenticamente e lucidamente competente. Ferran Adrià diceva "Bob Noto è il re di Torino". In realtà è tutto l'universo della ristorazione ad aver perso, sempre per stare alle parole di Adrià, "uno dei più grandi gourmet del mondo". 

 

Fuorisalone 2017. Gli appuntamenti a tema food alla Milano Design Week 2017. Ventura Lambrate e Isola

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Comincia da un distretto ben noto agli amanti del design e da un quartiere che esordisce in veste ufficiale al Fuorisalone la nostra rassegna degli appuntamenti più golosi e curiosi della Milano Design Week. Di scena dal 4 al 9 aprile, in tutta la città. 

Arrivare preparati al Fuorisalone

Per l'edizione 2017 della Milano Design Week di primavera, l'organizzazione fa parlare di oltre mille eventi disseminati in tutta la città. Numeri tutt'altro che impensabili per una macchina collaudata come quella del Fuorisalone, che nato come evento collaterale al Salone del Mobile di Rho ha finito col trasformarsi in una delle più importanti manifestazioni di e sul design del panorama internazionale. L'appuntamento che trasformerà le strade di Milano in un continua performance a cielo aperto da mattina a sera - tra installazioni d'arte, mostre, cocktail party, design market e iniziative legate alla creatività – quest'anno si tiene dal 4 al 9 aprile e anima i consueti distretti della città - da Lambrate a Sant'Ambrogio, a Brera e 5 Vie – toccando pure nuovi poli creativi, come l'Isola Design District, che esordisce al Fuorisalone 2017 con un programma ricco di appuntamenti. Quel che ci interessa, come sempre, è cercare di rintracciare un filo conduttore gastronomico che corre – neanche troppo sottotraccia – tra gallerie d'arte e mercati estemporanei, popolando il calendario delle iniziative di tanti spunti dedicati al pubblico gourmet. E valorizzando quel filone inesauribile che lega gli interessi di cibo, arte e design. Aspettando l'apertura dei giochi passiamo in rassegna, in più puntate, le iniziative più golose da segnare in agenda, distretto per distretto.

Cibo e design. La kitchen boat di Ventura Centrale

A cominciare da uno dei primi centri propulsori della Milano Design Week, l'area periferica di Ventura Lambrate, che quest'anno si amplia a coinvolgere gli spazi degli ex Magazzini Raccordati proprio sotto i binari della Stazione Centrale, appuntando una nuova bandierina sulla mappa nel distretto di Ventura Centrale. Lo spazio in disuso nel perimetro della stazione, 40mila metri quadri chiusi al pubblico da 15 anni, è stato riqualificato con un piano da 40 milioni di euro dello studio Giugiaro, e sotto l'egida di Grandi Stazioni in collaborazione con Ventura Lambrate si presenterà al pubblico della Milano Design Week con una selezione di design e diverse installazioni site specific sotto le volte di via Aporti. Con uno spazio dedicato anche al cibo animato dalla Sea Food Mobile,  una speciale cucina galleggiante per servire pranzi e cene, ormeggiata in fondo a un tunnel, che proporrà ai visitatori panini di mare per tutta la durata della Settimana del Design. Il progetto, ideato da Andrea Carletti, è patrocinato da Street Food Mobile, da dieci anni impegnato nella realizzazione di food truck di design; la kitchen boat esordirà al Fuorisalone, interpretando a modo suo il concetto di cibo di strada con il recupero di scialuppe di salvataggio utilizzate sulle navi merci. All'interno della cucina, design e attrezzature sono studiate per garantire un servizio efficiente, dalle 9 alle 20. In menu il panino con burro e acciughe di Monterosso, quello con sgombro affumicato di Sally Barnes, o con la tartare di tonno rosso. Ma anche un fuori menu di terra, con il tonno del Chianti di Dario Cecchini, e l'alternativa vegana con farinata.

Street food experience al Giardino Ventura Lambrate

Per il consueto appuntamento al Giardino Ventura di Lambrate, invece, c'è spazio per la Street Food Experience, sul modello dei mercati metropolitani internazionali. E si parla di cibo di strada d'autore, con 15 realtà riunite all'aria aperta per accompagnare gli appuntamenti tematici del Giardino. Ogni giorno, dalle 12 alle 15, la pausa pranzo vedrà la partecipazione di noti chef che lavoreranno sui food truck: Eugenio Roncoroni, Takeshi Iwai, Cesare Battisti, Dario Cecchini, Riccardo Gaspari. Nel pomeriggio sarà il momento delle startup più creative del settore, da Quomi a Cortilia, a Viniamo. E la sera, fino alle 21, Mixology, design e music.

Isola Design District

Per un appuntamento consolidato che si rinnova, la “piazza” di Isola si prepara a esordire. Il quartiere che oggi fa tendenza, all'ombra del Bosco Verticale, battezza la sua esperienza al Fuorisalone con il patrocinio di Palazzo Marino e il nome di battaglia Isola Design District. Un vero e proprio progetto di marketing territoriale che popolerà gallerie e locali del quartiere popolare diventato centro della movida cittadina. Con la partecipazione di firme note del design internazionale, come Kensaku Oshiro, che nel nuovo studio di via della Pergola esporrà la sedia ideata per il ristorante blasonato Keisuke Matsushima, a Nizza. Ma ci sarà spazio anche per il design nord europeo all'ex Galleria Ostrakon, per i giovani creativi e per gli artigiani del quartiere, che realizzeranno anche i totem informativi per muoversi agevolmente tra gli appuntamenti. E molti ristoranti apriranno le porte a installazioni e performance (Capra e Cavoli, per esempio, ospiterà il progetto Tatuare gli spazi di Tideo). Mentre al Milan Design Market presso lo studio fotografico Gianni Rizzotti, insieme a 35 giovani designer dall'Italia e dal mondo ci sarà anche spazio per il cibo: protagonisti gli stecchi gelato e l'Ice Stone di Glacè di Ilaria Forlani (che ha studiato pure con Ernst Knam) e la cucina di The Room, con una carta di sfizi street food. In via Pastrengo, invece, nascerà il temporary di Leccentrico, ristorante salentino già conosciuto in città.

 

Sea Food Mobile | Milano | Ventura Centrale, Ex Magazzini Raccordati | via Federico Aporti, 15 | dal 4 al 9 aprile, dalle 9 alle 20 | www.venturaprojects.com

Street Food Experience | Milano | Giardino Ventura di Lambrate | via Ventura, 12 | dal 4 al 9 aprile, dalle 10 alle 22 | www.facebook.com/events/1284692668274664/

Isola Design District | Milano | dal 4 al 9 aprile | www.isoladesigndistrict.com

 

a cura di Livia Montagnoli

 


Panzerotto Blues. Storia dello street food pugliese che ha conquistato Londra

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La ricetta è quella classica della tradizione pugliese, la formula quella ormai insuperabile dello street food. Due anni fa, Gianni Perillo ha deciso di lasciare la sua amata Altamura per gettarsi a capofitto nel mondo della ristorazione. E lo ha fatto a Londra, nel mercato di Greenwich.

L'idea

Non è un calzone”, questa la prima regola. La seconda è la ricetta, che deve rispecchiare rigorosamente i canoni della tradizione pugliese; la terza è che “è obbligatorio assaggiare”. Lui è Gianni Perillo, pugliese convinto originario di Altamura che dopo essersi ritrovato senza lavoro ha scelto di re-inventarsi una vita trasferendosi nella capitale britannica. “Inizialmente avevo pensato di spostarmi a Ibiza, città che amo molto, ma poi mi sono reso conto che lo street food lì doveva ancora prendere piede”. Ma perché proprio il cibo da strada? “Nella vita facevo tutt'altro e non avevo una particolare predisposizione per i fornelli. Però ho pensato che il cibo da asporto fosse un ottimo modo per guadagnare in fretta perché è una formula intelligente e che funziona sempre”. A seguito di queste considerazioni, non poteva che scegliere Londra come sede per la sua nuova attività, “la capitale dello street food in Europa”. L'idea del panzerotto è venuta da sé: “è pratico e goloso da mangiare ed è tipico della mia terra”. Si trasferisce nel 2015 in Inghilterra, impara la lingua, studia il mercato e inizia a mettere le mani in pasta con l'aiuto di suo cugino, panettiere da tanti anni che aveva imparato il mestiere dal nonno, un fornaio di Altamura. Nel settembre 2015 inizia a lavorare in un piccolo mercato nei pressi di Covent Garden, Startistans, “realtà pensata per le startup più giovani, ma che per me non funzionava: era aperto solo fino alle 15 e il panzerotto la mattina non va molto”. Entra allora in contatto con un manager del mercato di Greenwich (aperto tutti i giorni dalle 11.00 alle 17.30) a cui fa assaggiare il suo prodotto: “Mi chiese subito di prendere un banco all'interno del mercato”. È la fine del 2015 e nel cuore di Greenwich, in uno dei mercati più storici della città, nasce Panzerotto Blues.

L'attività e il successo

Un banco tutto dedicato al gusto del mangiar di strada pugliese per antonomasia che, come Gianni tiene a precisare, è molto distante dalla ricetta del calzone napoletano: “Ho scritto ovunque che non serviamo calzoni. Ottimi, ma realizzati in maniera completamente differente. Ci tengo a ribadire il concetto che si tratta di un prodotto nuovo sulla piazza londinese, diverso anche dalla pizza fritta campana”. Ed è per questo che tutti i clienti e i passanti del mercato sono invitati ad assaggiare il prodotto gratuitamente: “Chiunque può provare i nostri panzerotti, che vengono sempre preparati e fritti al momento”, da Gianni e un suo collaboratore. “L'artigianalità e la produzione espressa è proprio quello che affascina i consumatori stranieri, che sono abituati a mangiare piatti già pronti, specialmente quando si tratta di street food”. Proprio per questo, il successo di Panzerotto Blues è stato immediato: “La clientela ha recepito bene fin dall'inizio il nostro prodotto, un po' per la novità, un po' per la freschezza”.

L'offerta

E naturalmente anche per il gusto delle materie prime. “Per le farine mi affido a Mulino Caputo, mentre per la salsa di pomodoro utilizzo Mutti”. Italiana è anche la carne, “che acquisto da un rivenditore locale”, e così anche l'olio extravergine di oliva, che arriva direttamente dalla Puglia, “dalla piccola produzione di famiglia”. Poi ci sono i prodotti made in UK, come le verdure, “che compro ai mercati all'ingrosso”, e il maiale “che utilizzo per una ricetta pensata appositamente per il pubblico inglese”. Perché, come conferma Gianni, il gusto della cucina italiana va rispettato e valorizzato ma anche adattato agli usi e costumi locali: “Ho un'offerta di 7 panzerotti, alcuni seguono più lo stile inglese, altri sono più internazionali. Mi piace l'idea di poter rispondere alle diverse esigenze senza dimenticare l'essenza della tradizione della mia terra”. C'è il panzerotto Regina, con capperi, olive, funghi e prosciutto cotto, quello vegano a base di verdure di stagione, quello con carne macinata e piselli e poi quelli con pollo e maiale inglese. Ma il più richiesto è come sempre il più classico e semplice di tutti, Margherita. Il cliente tipico? “I turisti. Ce ne sono tantissimi e di tutte le etnie”. E il banco più gustoso? “Mi piace molto quello dei ragazzi venezuelani che propongono i burritos”.

 

Panzerotto Regina

Spinto dall'entusiasmo del pubblico, Gianni ha già in mente di aprire altri punti vendita: “Voglio creare entro la fine del 2017 un progetto di crowdfunding per realizzare una catena e portare Panzerotto Blues nei punti nevralgici della città”. E non solo a Londra: “Al momento sono in contatto con un mio ex collega che vive a Malaga e sembra interessato al format. Ancora non abbiamo definito nulla, ma l'idea di aprire anche in altri Paesi è sicuramente allettante”. E in altri mercati londinesi, ancora più grandi, “come quello di Camden Town o Borough Market, che sono il mio obiettivo finale”.

Panzerotto Blues | Londra | 5 B Greenwich Market | tel. +44 7440279823 | it-it.facebook.com/panzerottoblues/

a cura di Michela Becchi

Il nostro ricordo di Bob Noto. Fotografo, grafico, designer e uno dei più grandi gourmet del mondo

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Un ricordo speciale di uno dei più grandi gourmet del mondo con l'hobby per la fotografia.

Non riusciamo proprio a farcene una ragione. Bob Noto, gourmet, fotografo, grafico, designer, ironico, colto, a tratti spiazzante, se n'è andato. Bob che parlando con Stefano Bonilli lo aveva messo in guardia della rivoluzione gastronomica che stava avvenendo in Spagna, grazie ad un allora semi sconosciuto Ferran Adrià. Quello stesso Bob che si era messo in gioco scrivendo un articolo per il nostro mensile, per descrivere la Cena dei 6, un evento al Teatro del Gusto di Roma che aveva visto coinvolti Massimo Bottura, Moreno Cedroni, Carlo Cracco, Enrico Crippa, Paolo Lopriore e Davide Scabin nuova, all’epoca, nidiata gastronomica lanciata grazie al suo libro “6 – Autoritratto della cucina italiana d’avanguardia”.

Ce lo siamo ricordati andando a scartabellare gli archivi del mensile del Gambero Rosso, quasi volessimo ben fissarlo nella nostra memoria, con le sue immagini e le sue interviste. È anche così che si cerca di superare una perdita.

 

Vogliamo condividere un frammento di un'intervista di Raffaella Prandi a Noto, dove tra l’altro svela le 10 regole d’oro per scattare foto al ristorante e come scoprì Ferran Adrià. Era il gennaio del 2010, e lui rappresentava pura avanguardia senza prendersi mai troppo sul serio. Anche quando dichiarava: “Perché una foto di cibo sia ben riuscita ti deve trasmettere appetito. Ma la bellezza di un piatto non ha nulla a che vedere con la sua bontà. In questo la vedo diversamente da Gualtiero Marchesi anche se Gualtierone nella mia scala dei valori rimane un pelo sotto Gesù Bambino”.

 

Sei stato tra i primissimi a scoprire il genio di Ferran Adrià.

Fu un caso. Nel ’93 in piena crisi economica, ero in banca, studiavo i cambi delle valute e mi accorsi che l’unico paese con un cambio alla pari era la Spagna. Decisi di andare lì in vacanza. Passai il confine con la Francia, c’era un due stelle Michelin poco distante. Fu naturale provarlo. Quando raccontai di quel piatto “carpaccio di cervella con crema inglese e gelatina di acqua di mare” mi presero per matto.

 

Goloso?

Puro istinto di sopravvivenza. Ci sono due istinti che garantiscono la sopravvivenza della specie umana. Uno è quello del nutrirsi.

 

Qual è stato il pranzo della tua vita?

Tanti tanti, ma una ventina spettacolari. Per esempio, tre sere fa, al Combal, da Scabin. Il rognone al gin accompagnato da una cipolla leggermente aromatizzata alla ligure è un piatto disumano.

 

Riesci ancora a sorprenderti a tavola dopo l’abbuffata di tanti sapori e trovate spettacolari? Sempre. Io amo le cose nuove che non conosco. In tutti i campi è così: ci sono i classici, ma il nuovo ti dà un altro tipo di emozione. O leggiamo sempre i Promessi Sposi? E perché questo non deve valere anche per la ristorazione? Comunque ha ragione Massimiliano Alajmo quando ripete che “ciò che diventa era”. Nella cucina è tutto un rincorrersi di cose. Catalogare è sbagliato. Ogni cuoco è a sé. Le tecniche sono state sparse a piene mani dagli spagnoli. E ormai sono naturalizzate. È interessante ciò che diceva Ferran nella sua ultima ponencia ad Alicante: se ti arriva a tavola un piatto fatto con l’azoto liquido senza aver assistito allo show in sala, ne consideri semplicemente la componente fredda. L’azoto è solo uno strumento per generare il freddo.

 

Questo è il momento dell’Italia?

La Francia non sta esprimendo nulla di interessante, la Spagna quel che doveva dare l’ha generosamente dato. Da noi è pieno, pienissimo di giovani con grandi capacità tecniche e ancora non troppo conosciuti. Prendi per esempio Luigi Taglienti delle Antiche Contrade a Cuneo. Io personalmente non faccio altro che avere buone sorprese nel nostro Paese e se ce la giochiamo bene possiamo davvero diventare i numeri uno al mondo.

 

Quali sono le 10 regole d’oro per scattare foto al ristorante?

1. Prima di scattare le foto chiedete il permesso al caposala o allo chef.

2. Se possibile, scegliete il tavolo più illuminato.

3. Sconsiglio vivamente l’uso del flash: disturba e le foto vengono maluccio.

4. Prima di scattare la sequenza di foto, bilanciate manualmente il bianco.

5. Regolate la sensibilità (ASA) al valore minimo.

6. Se la vostra fotocamera lo permette, chiudete il diaframma il più possibile per avere una maggiore profondità di campo.

7. Montate la fotocamera su un piccolo cavalletto per evitare le vibrazioni.

8. Dedicate molta attenzione all’inquadratura.

9. La pulizia dell’immagine è molto importante: se è necessario, spostate bicchieri, posate, tovaglioli.

10. Scattate rapidamente, sennò il piatto si raffredda!

 

 

 

 

 

Da Courmayeur: The Mountain Gourmet Ski Experience e la cucina britannica

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Tre grandi chef e ristoratori britannici a confronto con la cucina valdostana. È successo a Courmayeur per la quarta edizione del Mountain Gourmet Ski Experience.

Premessa: dimenticate i tempi in cui la cucina britannica era sinonimo di cattiva cucina. È qualche anno ormai che gli chef inglesi sono in cima a ogni classifiche in fatto di alta cucina. E sempre più sotto i riflettori, a livello mediatico e letterario: la biografia appena pubblicata di Marco Pierre White, The Devil in the Kitchen – la vita dannata di uno chef stellato ne è (solo) l’ultimo esempio. Nel suo libro si trovano nomi come Raymond Blanc, Pierre Koffmann, Nico Ladenis, Gordon Ramsay e Heston Blumenthal, chef-scienziato pioniere della cucina molecolare, una delle figure più importanti del mondo culinario che ha appena riconquistato le Tre Stelle Michelin. Del loro incontro al Manoir di Raymond Blanc, Marco Pierre White scrive Heston sembrava sulla strada giusta, ma dopo il periodo di praticantato decise che la cucina non faceva per lui e andò a lavorare nell’impresa del padre. Trascorsero diversi anni prima che rivalutasse le proprie ambizioni e ci trovassimo di nuovo insieme […]; e ne passarono diversi altri prima che facessimo quella memorabile chiacchierata in cui parlammo del ristorante che aveva intenzione di comprare, il Fat Duck”.

gourmet_ski_experience

È proprio quell'Heston Blumenthal, autodidatta senza alcuna formazione regolare, tutto studio, tecnica e sperimentazione, l’ideatore di The Mountain Gourmet Ski Experience, un format gastronomico in cui la cucina inglese incontra quella valdostana. Quest’anno a Courmayeur (sempre più meta non solo sciistica, ma anche gastronomica, per ristoranti e iniziative gourmet), dal 17 al 20 marzo, Blumenthal ha invitato tre suoi amici, chef simbolo di un’epoca, gli anni ‘80 e ‘90 che hanno visto la cucina inglese affermarsi Oltremanica: l’imponente Sat Bains (già presente nelle passate edizioni), chef di origine Punjabi titolare a Nottingham del ristorante Sat Bains with Rooms; l’inglese Jason Atherton, chef e business man proprietario di locali dall’Inghilterra all’Estremo Oriente; Claude Bosi, ieri all’Hibiscus di Londra, da primavera 2017 chef al Bibendum di Fulham Road.

chaumiere_gourmet_sat_bainsPatata con formaggi locali, olio alle erbe selvatiche e caviale di Sat Bains

Vogliamo scoprire com’è andata?

A Courmayeur Blumenthal è di casa: ormai questo è il quarto anno che – in collaborazione con Amin Momen di Momentum Ski, agenzia specializzata in vacanze invernali – organizza cene gourmet ai piedi del Monte Bianco, perché “Courmayeur è una delle mie stazioni sciistiche preferite” spiega“offre un’ospitalità straordinaria e ristoranti di montagna che propongono piatti tradizionali e grandi vini. Negli ultimi tre anni ho invitato alcuni tra i migliori chef del Regno Unito, e anche quest’anno abbiamo una collaborazione con cuochi di altissimo livello”. E soprattutto è di casa al Grand Hotel Royal & Golf, dove ama fermarsi fino a notte fonda a chiacchierare e a giocare a ping-pong. “Heston ama molto il ping-pong”, racconta il capo-barman Bernardo Ferroquest’anno abbiamo allestito tavoli da gioco portati appositamente dal Regno Unito. Tutte le sere lui e i suoi amici chef si fermano fino a tardi per rilassarsi con una partita, per bere qualche drink e per parlare a lungo, di tutto e con tutti”.

risottoRisotto Monte Bianco, con chips e formaggio locale di Claudio Brigati

Formale, informale, famliare. Cronache delle tre cene

Proprio al ristorante del Royal si è tenuta la prima cena informale venerdì sera, realizzata dalla chef Maura Gosio del Petit Restaurant. “Durante la serata gli chef hanno potuto conoscere gli ospiti che parteciperanno a quest’evento gourmet, e io ho voluto presentare loro i migliori prodotti e piatti del territorio, ad esempio la tipica fonduta valdostana con crostini, la polenta, il prosciutto tagliato al coltello. In abbinamento, vini italiani da est a ovest”.

La cena gourmet in sette portate si è invece svolta la sera successiva presso La Chaumière di Chécrouit: gli chef hanno cucinato i “loro” piatti, ma riadattati alla montagna; qualche esempio? Gli gnocchi vegetali senza grano con l'obsiblue – un raro crostaceo dalla coda blu – e consommé con tartufo nero di Claude Bosi; la patata con formaggi locali, olio alle erbe selvatiche e caviale di Sat Bains; la sogliola di Dover con alghe, cetriolo e zuppa di pesce della Cornovaglia di Jason Atherton. Anche lo chef Claudio Brigati de La Chaumière ha presentato il suo risotto Monte Bianco, con chips e formaggio locale; mentre la titolare e sommelier Alessandra Démoz si è dedicata all’abbinamento cibo-vino: “Ad eccezione delle bollicine - di Ferrari Trento - ho scelto di accompagnare i piatti degli chef solo con vini valdostani e di piccoli produttori: si tratta di eccellenze del territorio in costante crescita, e proprio per questo voglio proporli anche a una clientela internazionale”. La presenza delle bollicine era anche sancita da quella di Matteo Bruno Lunelli, presidente di Ferrari Trento, partner di Mountain Gourmet Ski, “Siamo lieti di aver abbinato i nostri Trentodoc alle creazioni di 4 chef internazionali” ha dichiarato “Ancora una volta le bollicine Ferrari accompagnano la ristorazione di eccellenza e si confermano brindisi di questa località simbolo dell'Arte di Vivere Italiana”.

Il lungo fine settimana si è concluso domenica sera al Rifugio Maison Viellie, dove gli chef hanno preparato i piatti che amano cucinare tra le mura di casa: maiale con le prugne in Armagnac per Jason Atherton; agnello arrosto cotto a fuoco lento per un giorno per Sat Bains; zuppa inglese al pepe di Szechuan e mele cotogne per Claude Bosi.

E il creatore di questa iniziativa? Anche lui si è messo ai fornelli rivisitando la grolla valdostana, il tipico caffè con liquori e aromi rinnovato dalla mano di Blumenthal che ha anche presentato il suo dono personale per l’evento, una racchetta da ping-pong firmata da tutti gli chef con al centro una pallina di cioccolato.

 

dolce

Uno sguardo al futuro

Per tutto il fine settimana Heston ha lasciato – da perfetto anfitrione – che fossero i suoi colleghi i veri protagonisti in cucina; e mentre lui si dedicava a fare gli onori di casa, è stato Claude Bosi a parlare della cucina italiana. “In Italia ci sono prodotti meravigliosi, di altissima qualità, che proprio per questo meritano estrema attenzione e rispetto. Anche la cucina italiana è molto interessante e di carattere: a differenza di quella inglese è una cucina regionale, e sono curioso di girare e di scoprire i vini e i piatti più tradizionali”. In primavera chef Bosi inizierà una nuova avventura in Inghilterra. “Sono nato a Lione da una famiglia di ristoratori, ma dopo 20 anni mi sento un vero e proprio inglese; la prima volta sono arrivato in Inghilterra per restare solo 6 mesi, poi invece mi sono innamorato del Paese, del modo di pensare, dell’energia e della diversità che si trovano a Londra”. Anche Blumenthal a breve vivrà una grande avventura: il 7 aprile sarà a Melbourne per ricevere il Diners Club Lifetime Achievement Award 2017: “Sono molto emozionato” ammette “è un riconoscimento particolarmente speciale perché votato dai miei colleghi; sono fiero del mio cibo, che ha permesso alla cucina inglese di farsi conoscere e apprezzare anche fuori dall’Inghilterra”.

Il prossimo appuntamento con Heston Blumenthal e i suoi amici chef è previsto per marzo 2018, sempre a Courmayeur: una nuova occasione sì per vivere un’esperienza gourmet in un contesto unico, ma anche per “spiare” gli chef al lavoro e imparare a conoscere la loro cucina.

 

a cura di Arabella Pezza

foto dei piatti di Courtney La Chaumière 

 

 

In viaggio. Fukui, la patria di riso, soba e sakè

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C’è un luogo, nel lontano Giappone, dove agricoltura e pesca sembra sappiano rendere la popolazione felice: è la prefettura di Fukui, la terra dove si vive meglio nell’arcipelago, dove nascono il riso più amato e il sakè più prelibato. Oltre a pesci, crostacei e verdure che meritano il viaggio. In un paesaggio di dolci colline, corsi d’acqua e campi coltivati con estrema cura.

Delle 47 prefetture che formano l’arcipelago del Giappone (5 isole che si estendono da nord-est a sud-ovest come una libellula in volo sul mare) ce n’è una che è la più felice di tutte. Si tratta della prefettura di Fukui, in cui vivono poco più di 780.000 persone: le più soddisfatte e contente dell’intero Giappone, stando all’annuale classifica dell’Università Hosei di Tokyo.

 

La prefettura di Fukui

Certamente la posizione geografica del territorio e le sue caratteristiche fisiche aiutano molto: Fukui e la sua provincia si affacciano sul Mar del Giappone, più o meno all’altezza di Kyoto da cui dista circa un’ora di treno e della quale nell’antichità costituiva la porta d’ingresso per chi da Cina e Corea desiderava recarsi nella città dei mille templi, sede dell’Imperatore e della sua corte illuminata o con essa concludere affari.

Mare, dunque, e dietro una pianura fertile e a conche, montagne ricche di sorgenti e corsi d’acqua, tante piccole cittadine sparse fra l’interno e la costa e un clima con neve d’inverno e sole d’estate. La ricetta perfetta per una ricca agricoltura, caratterizzata da molte specie vegetali, abbondanti raccolte di cereali e tanto spazio per la creatività individuale.

 

Prefettura di Fukui, Giappone

 

La dieta del tempio

Il cibo, qui, è così importante da essere anche uno dei cardini delle giornate nel vicino monastero buddista. A quindici chilometri da Fukui, procedendo verso est, si giunge al Tempio dell’Eternità e della Pace, ovvero Eiheiji, il più importante centro della scuola Sotō del Buddhismo Zen giapponese dove si può trascorrere la notte e meditare. Un luogo imponente ed accogliente al tempo stesso, costituito da diversi padiglioni i cui elementi principali sono il legno, il vento, l’acqua.

 

Prefettura di Fukui, Giappone

Qui si seguono gli insegnamenti del maestro Dogen che fondò il tempio nel 1244, al suo ritorno dalla Cina, e oltre alla pratica zazen, elevò a dovere e ordine spirituale anche la preparazione del cibo quotidiano, rigorosamente vegano. Il veganesimo giapponese è dunque nato ad Eiheiji secoli fa, e negli ultimi tempi sta diffondendosi con singolare celerità anche fra i non praticanti del Sotō Zen. Il maestro monaco Akita san, spiega che il cibo giornaliero è composto da “verdure, zuppe di miso, tofu fritto o cotto, riso, grano saraceno, orzo, alghe e gomadofu” (in altre parole lo Shojin Ryoriraccomandato dal maestro Dogen) che è anche la base della cucina tradizionale giapponese kaiseki. Nello specifico, il gomadofu è un gustosissimo panetto morbido, fatto con semi di sesamo passati nel suribachi (il mortaio giapponese), per almeno un’ora fino ad ottenerne una crema. Vi si aggiunge poi acqua e kuzu(la radice essiccata) che addensando compie la trasformazione. Poco lontano dal tempio c’è il negozio Dansuke che dal 1888 produce il miglior gomadofu della regione.

 

Il riso

Nel viaggio fra le delizie della regione di Fukui, non si può che iniziare dal riso: i preziosi chicchi in Giappone sono alla base della dieta quotidiana e raggiungono il gusto migliore proprio all’inizio dell’inverno, quando si alterna alla coltivazione del grano saraceno, altro cereale must della regione. Qui è nata una nuova varietà di riso, lo Shinmai: particolarmente dolce e ricco in umami, quel gusto del desiderio che non è dolce, amaro, salato o acido, ma un sapore unico e tipico dell’alga konbu, il glutammato vegetale.

E sempre qui, in una provincia graziata da ottima e abbondante acqua, nacque nel 1956 il riso Koshihikari, ancora oggi il più amato in Giappone per la sua dolcezza e particolare collosità. Il Koshihikariè coltivato anche in altre province del Giappone, ma è qui che inizia la sua storia e qui vanta la più devota cura di coltivazione.

 

Nel centro commerciale Happiring, appena inaugurato accanto alla stazione di Fukui (www.happiring.com),oltre a prodotti dell’artigianato locale, un teatro, vari negozi e una vasta terrazza, c’è un ristorante dove è possibile assaggiare le più grandi onigiri del Giappone: semplicemente ottimo riso del luogo appena cotto, arrangiato in forma triangolare con un cuore interno di umeboshi (prugna sotto sale), il tutto avvolto da una croccante alga nori. Una specialità da non mancare.

 

Il sake

Il freddo inverno, neve abbondante e un’acqua ricca di sali minerali sono fra le caratteristiche più importanti per produrre del sake di alta qualità. E Fukui è davvero il posto ideale per il “sacro vino” giapponese prodotto a partire dal riso, tanto che sono ben 36 i produttori della zona. “Nel 1998 dopo avere studiato tecnica della fermentazione e microbiologia all’Università dell’Agricoltura di Tokyo, ho preso le redini dell’azienda fondata dai miei bisnonni” racconta Keisuke Izumi, proprietario dell’azienda Manatsuru Shuzo fondata nel 1751 a Ono, lungo il fiume Kuzuryu. Sono tante le tipologie di sake prodotte da Izumi, che esporta in Australia, Thailandia, Nord America e ultimamente anche in Spagna; e i premi fioccano, al punto che il guru del vino Usa, Robert Parker, ha assegnato il massimo del punteggio al suo Mana 1751 Premium. “La cosa più importante” spiegaIzumi“è utilizzare l’acqua della sorgente Oshozu che è fra le migliori cento acque di tutto il Giappone”. Il mondo del sake, che riscuote sempre più interesse anche fuori dal Giappone, è vastissimo: sake giovani, altri invecchiati, di diverse gradazioni, più dolci, più secchi, da bere freddi, o gustare caldi, più o meno aromatici.

 

Prefettura di Fukui, Giappone

 

A Fukui c’è un’altra azienda di sake a conduzione familiare, Tajima Shuzo, fondata nel 1849. Qui il proprietario, Takuhito Tajima, si occupa delle vendite dopo aver passato il testimone della lavorazione (dal riso cotto al vapore al prodotto finito) al figlio ventottenne Yujiro. Ma è stata la mamma, la signora TomoeTajima, ad avere avuto l’idea vincente di ricavare dei cosmetici dallo scarto del sake, il cosidetto sake kasu. “Ho ripercorso ciò che già centinaia di anni fa facevano le donne: utilizzavano il sake per idratare la pelle del viso e del corpo”sorride Tomoe “così ho voluto realizzare un sapone, una crema idratante, un tonico per il viso e una crema per le mani: tutti senza conservanti, aiutano a prevenire la formazione delle macchie sulla pelle”.

 

Granchio e sgombro

Uscendo dalle accoglienti botteghe del sake e spostandoci sul lungo mare ci si avvicina ad altre ricchezza gastronomiche di questa zona: il granchio Echizen gani(bontà per l’inverno) e lo sgombro, qui chiamato saba. Entrambi, pescati sulle coste di Echizen e di Mikuni, sono rinomati oltre che per l’indubbia squisitezza anche per essere i preferiti dalla casa imperiale. Ma cos’è che rende pesci e crostacei migliori, qui a Fukui? “Lungo queste rive s’incontrano le correnti fredde e calde del Mar del Giappone e l’ambiente marino è ricco di plancton: la temperatura e la profondità del fondale, poi, favoriscono la presenza dei granchi e di moltissime specie marine” spiegano i pescatori incontrati all’alba nel porto della cittadina di Obama (sì si chiama proprio come l’ex presidente Usa). “Questi granchi, che si pescano tra novembre e marzo, si gustano al meglio appena sbollentati, ma sono buoni anche grigliati o in sashimi”spiegano da Takesho, uno dei più famosi luoghi dedicati al gani e dove si può scegliere ogni giorno da una ricca selezione di colorati carapaci suddivisi per grandezza e perfezione delle forme. Qui ci si può anche sedere al ristorante di sushi, dove i piatti con il granchio appena pescato vanno ovviamente per la maggiore.

 

Prefettura di Fukui, Giappone

 

La soba

Per chi del pesce fa volentieri a meno, non mancano certo gustose e particolari alternative, come le dolci patate satoimoe la soba, gli spaghetti ottenuti dalla farina integrale di grano saraceno, ingrediente fondamentale del prelibato Ecjizen soba. Per imparare a realizzare questi spaghetti c’è Echizen soba no sato:un centro con annesso negozio dove si prepara la sobache viene poi spedita in tutto il Giappone; qui si impara insieme a un maestro che in meno di mezz’ora – mani in pasta – svela tutti i passaggi necessari. A fine lezione si assaggia quanto preparato, ed ecco che sopraggiunge quel senso condiviso di felicità.

 

Prefettura di Fukui, Giappone

 

Non solo alimentari: i coltelli Takamura

Già 700 anni fa a Echizen, antico nome della città di Fukui, un fabbro dal talento particolare si mise a produrre non solo spade per l’esercito governativo, ma anche attrezzi da lavoro per i campi. In breve la novità fece il giro del Giappone e la tradizione delle lame che tagliano facilmente qualsiasi materiale si è ancor più evoluta ed è giunta sino a noi. E ai fratelli Takamura di Echizen, che hanno conquistato la fiducia dei più famosi chef nipponici ed internazionali, grazie a una lega messa a punto da papà Toshiyuki Takamura, che nel 1945 aprì la sua azienda. Fino ad allora i coltelli tradizionali per la cucina giapponese erano fatti di ferro e non d’acciaio come in Occidente. Takamura mischiò magicamente ferro ed acciaio e i coltelli che oggi escono dalle mani dei due figli e dei collaboratori della ditta Takamura sono usati nelle più importanti cucine del mondo. Qualche esempio? Renè Redzepi chef del Noma di Copenaghen, Andoni Luis Aduriz del Mugaritz di San Sebastian, Heinz Beck della Pergola di Roma. E anche Massimo Bottura, miglior cuoco al mondo per il 2016, nella sua Osteria Francescana di Modena si cimenta con gli infallibili e bellissimi coltelli di Echizen.

 

Prefettura di Fukui, Giappone

 

indirizzi

 

mangiare

Taniguchi-ya | 37-26-1 Kamitakeda | Maruoka-cho | Sakai City | Fukui Prefecture | tel. +81 (0) 776 67 2202 | specialità: tofu fritto

Youroppa ken | 2-7 Aioi-cho | Tsuruga City | Fukui Prefecture |

yo-roppaken.gourmet.coocan.jp | specialità: riso con cotolleta di maiale impanata

Echizen soba no sato | 7-37 Magara-cho | Echizen City | Fukui Prefecture tel. +81 (0) 778 21 0272 | www.echizensoba.jp| specialità: soba

Happiring | 1-2-1 Cho | Fukui City | Fukui Prefecture| tel. +81 (0)776 20 5454 | www.happiring.com

Dansuke | 24-7-1 Aratani, Eiheiji-cho | Yoshida-gun | Fukui Prefecture | tel. +81 (0)776 63 3020 | www.dansuke.co.jp| specialità: gomadofu

 

dormire

Fukui Phoenix Hotel | 2-4-18 Ote | Fukui-shi | Fukui Prefecture | tel. +81 (0)776 21 1800 | www.phoenix-hotel.jp

Grandia Housen | 43-26 Funatsu | Awara-shi | Fukui Prefecture | tel. +81 (0)776 77 2555 | www.g-housen.co.jp

Asahi Ryokan |5-1-2 Nishiki cho | Ono city | Fukui Prefecture tel:+81 (0) 0779-66-2075 | http://www.ryokan.or.jp/inn/49160

Yoshioka-Ya | 15-10 Shikimi | Wakasa cho | Mikata kaminaka gun | Fukui Prefecture tel. +81 (0) 770-46-1786 | 

http://m-yoshiokaya.com/price.html

Hotel Yagi | 4 -418 Onsen | Awara shi | Fukui Prefecture tel. +81 (0)776 78 5000 | www.japanican.com

 

vedere

Fukui Prefectural Dinosaur Museum | 51-11 Terao Muroko | Katsuyama | 911-860 Fukui Prefecture | tel. +81 (0)779 88 0001 | www.dinosaur.pref.fukui.jp

Yokokan garden | 1-12-3 Houei | 910-0004 Fukui Prefecture | tel. +81 (0)0776 21 0489 | www.japanvisitor.com/japan-parks-gardens/yokokan#ixzz4Suwo6VQG

Tempio Hakusan Heisenji | 56-63 Heisenji | Heisenji-cho | Katsuyama-shi | Fukui Prefecture | tel. +81 (0) 0779-88-1591 | www.ana-cooljapan.com/destinations/fukui/heisenjihakusanshrine | tempio del muschio shinto-buddhista

Tempio dell’Eternità e della PaceEiheiji | 5-15 Shihi | Eiheiji cho Yosida gun | Fukui 910-1294 | tel. +81 (0)776 63 3102 | www.dansuke.co.jp

Hashi no Furusato Museum |8-1-3 Fukutani | Obama-shi | Fukui Prefecture | tel. +81 (0) 770 52 1733 | www.wakasa-hashi.com| Museo dei bastoncini di legno, più di 3.000 tipologie

Coltelleria Takamura | 49-1-6 Ikenoue-cho | Echizen City | Fukui Prefecture | takamurahamono.jp

 

 

a cura di Fabiola Palmeri

 

Tre Bicchieri al Vinitaly 2017. Il 9 aprile a Verona la grande degustazione dei vini premiati dal Gambero Rosso

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Per il quinto anno consecutivo Gambero Rosso rinnova la sua collaborazione con Vinitaly per portare alla fiera vinicola più attesa dagli operatori del settore i migliori produttori d'Italia, e le etichette premiata con i Tre Bicchieri sull'ultima edizione della guida Vini d'Italia. Ecco come partecipare. 

Vinitaly. Edizione numero 51

Il 9 aprile si avvicina. E il popolo del vino, conclusa la parentesi ProWein a Dusseldorf, si prepara a marciare su Verona. Quest'anno l'appuntamento con Vinitaly, giunto all'edizione numero 51, si aprirà la seconda domenica di aprile per concludersi il 12 del mese, richiamando la consueta folla di addetti ai lavori, buyer ed enoappassionati tra i padiglioni di Veronafiere. Solo l'anno scorso, conferma il presidente Maurizio Danese, i visitatori sono stati 130mila, 50mila gli operatori esteri provenienti da 140 Paesi. E anche a loro si rivolge, per il quinto anno consecutivo, la grande degustazione d'apertura organizzata in partnership con il Gambero Rosso, che al Vinitaly porta i vini premiati dall'edizione 2017 della guida Vini d'Italia. Che la sua autorevolezza l'ha conquistata sul campo (e in tutta la Penisola) in 30 anni di pubblicazioni, festeggiati proprio di recente. Oggi la guida conta 70 esperti degustatori sul territorio, concertati dal lavoro di Marco Sabellico, Gianni Fabrizio ed Eleonora Guerini; e su 2400 aziende censite e valutate l'ultima edizione ha premiato con i Tre Bicchieri ben 429 etichette che rappresentano l'eccellenza della viticoltura nazionale.

 

La grande degustazione Tre Bicchieri

A Verona, domenica 9 aprile dalle 11.30 (fino alle 16.30) presso la Sala Argento (piano -1 del Palaexpo, ingresso A2), la degustazione del Gambero Rosso presenterà ai banchi d'assaggio i vini che hanno ottenuto i Premi Speciali (miglior rosso, miglior bianco, migliori bollicine), i Tre Bicchieri sotto i 15 euro, e i Tre Bicchieri Verdi, quelli prodotti da aziende sensibili alle istanze della sostenibilità ambientale. All'evento, gratuito e riservato agli operatori del settore, prenderanno parte produttori, importatori, distributori, ristoratori, giornalisti, opinion leader del settore, personalità internazionali e stampa estera. Per accreditarsi sul sito dell'evento è necessario attestare la propria figura professionale. Ma i posti sono limitati, è bene affrettarsi.

Tutte le novità sull'edizione di Vinitaly alle porte, intanto, ve le raccontiamo qui.

 

 

Il link per accreditarsi all'evento

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