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12 cucine d'eccellenza x 12 portate. La cena organizzata da Taste of Milano e Azione contro la Fame

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Azione contro la Fame in collaborazione con Taste of Milano e l’Associazione Professionale Cuochi Italiani hanno dato vita a una cena di 12 portate create per l'occasione da 12 cucine d'eccellenza.  

12 cucine d'eccellenza x 12 portate

Appuntamento martedì 21 marzo al Palazzo Bovara nel cuore di Milano, per una cena solidale dove una brigata d'eccezione (che partecipa gratuitamente) preparerà un menu di sette finger food e cinque portate. Nella squadra dei finger food Roberto Carcangiu (Presidente APCI) con Finocchi, mandorle e crescione con crumble all’arancia e sesamo cotto; Roberto Conti (Trussardi alla Scala) con l'Idea di un habanero, ovvero tartare di gambero, olive, capperi e limoni; Fabrizio Ferrari (Ristorante Unico) con l'Uovo di Selva, colatura di alici e Caviale Calvisius. E ancora Felice Lo Basso (Felix Lo Basso) che per la serata prepara il Croccante di patata con tartare di luganica e spuma al parmigiano; Roberto Okabe Shimpei Hirota (Finger's) che portano il loro Usuzukuri di cobia allo yuzu con salsiccia di gambero e tofu e zucchine alla scapece; Andrea Provenzani (Il Liberty) con Mondeghili di vitello e mortadella con pesto di tartufo bianchetto, nocciole, prezzemolo e patata soffice ed Elio Sironi (Ceresio 7) con le Rape dolci, curcuma e romesco. Nella brigata dei piatti Michele Biassoni e Masaki Okada (Iyo); Tommaso Arrigoni (Innocenti Evasioni); Claudio Sadler (Ristorante Sadler); Antonio Guida (Seta) e Tano Simonato (Tano Passami l’ Olio). Che preparano, rispettivamente: Sunomono 2.0, una variazione di pesce e molluschi scottati, miso, salsa al tuorlo d'uovo cremoso verdure croccanti e capperi canditi nel mirin; Risotto alla zucca, soffice di formaggio e polvere di fave di cacao; Coscia di faraona alla cacciatora; Rombo al timo serpillo con patate al miso e zabaione al marsala e Cannolo croccante di mandorla, con mousse di ricotta alla mandorla e limone candito, marmellata di mandorle e crema di agrumi. Il costo della cena, compresi i vini in abbinamento, è di 150 €, interamente devoluti ai progetti contro la malnutrizione infantile che Azione contro la Fame realizza in 47 Paesi del mondo.

Azione contro la Fame

Nata quasi 40 anni fa, Azione contro la Fame è un’organizzazione umanitaria internazionale, da sempre impegnata nella lotta contro le cause e le conseguenze della fame. Aiutando concretamente più di 14 milioni di persone l'anno e assicurando in 47 Paesi del mondo acqua potabile, cibo, cure mediche, formazione, con un occhio di riguardo nei confronti dei bambini malnutriti, questa organizzazione è riconosciuta leader nella lotta contro la malnutrizione. Sette i principi su cui si regge: indipendenza nei confronti di qualsiasi governo o politica nazionale, imparzialità sia da un punto di vista religioso che politico, nessuna discriminazione, accesso libero e diretto alle popolazioni colpite, professionalità e trasparenza. Tanto da mettere a disposizione tutti i dati sulla ripartizione e la gestione dei fondi oltre a fornire una verifica indipendente della buona gestione.

 

Palazzo Bovara | Milano | Corso Venezia, 51 | Martedì 21 marzo alle ore 20.00 | Costo: 150 € | Per prenotare: www.eventbrite.it

 

 


Una Biennale del Vino a Milano. Il sogno nel cassetto di Angelo Gaja

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Il grande produttore piemontese si racconta al Corriere della Sera a poche settimane dall’apertura del Vinitaly. E provoca gli addetti ai lavori chiedendosi se la grande fiera del vino di Verona non sia ormai insufficiente per promuovere la cultura e l’economia di settore, sempre più festa popolare e meno orientata al professionismo. L’idea? Organizzare una Biennale del vino a Milano. 

Vinitaly oggi

Quando manca meno di un mese all’apertura di una nuova edizione di Vinitaly – mentre l’appuntamento con l’altra grande fiera vinicola che ogni anno scandisce il calendario enologico è alle porte: ProWein si apre a Dusseldorf il 19 marzo - Angelo Gaja tiene banco sul Corriere della Sera. Il grande produttore piemontese, dall’alto di un curriculum tra i più altisonanti della viticoltura italiana e internazionale, si racconta a Luciano Ferraro e come sempre si presenta all’appello con le idee chiare e lo spirito vivace di chi non ha mai perso la voglia di provocare. A fin di bene. E l’attenzione, stavolta, non può che concentrarsi sulla grande manifestazione che inaugurerà il prossimo 9 aprile a Verona. Cosa rappresenta oggi Vinitaly? E può bastare a valorizzare il mondo del vino e chi ci lavora così com’è diventata? L’idea di Angelo Gaja, per dir la verità, appare tutt’altro che peregrina, specie tenendo conto della coda polemica che ogni anno arriva puntuale a chiudere i giochi di VeronaFiere, sempre più presa d’assalto da una ressa di curiosi, enoappassionati, ospiti degli sponsor che hanno voglia di guadagnare cinque minuti di notorietà. E divertirsi, all’insegna di uno (dieci, cento) bicchieri di buon vino. Le contromisure di VeronaFiere sono tante e in parte anche efficaci, ma Vinitaly resta un evento di massa.

 

La Biennale del vino. L’idea di Angelo Gaja

Quindi, assodato che “il Vinitaly è una fiera popolare, consolidata, ed è giusto che sia così”, perché non pensare di organizzare “un appuntamento dedicato ai professionisti del vino, che ci metta al centro del mondo” e non risenta “dell’assalto popolare come a Verona”? Intendiamoci, la proposte non è nuova. Ma è comunque interessante aprire un dibattito su questa faccenda. In sostanza Gaja spende buone parole per il lavoro svolto negli ultimi anni da Giovanni Mantovani, direttore di VeronaFiere, in Italia come all’estero; ma rivendica la necessità di un momento di riflessione che non sia semplice alternativa al Vinitaly, piuttosto “un nuovo traguardo per il vino italiano”. E individua in Milano, con la sua vitalità, “la città giusta in questo momento”. Basti pensare - continua l’analisi di Ferraro -  che l’anno scorso le quattro giornate del Vinitaly hanno richiamato molti appassionati, ma pure un gran numero di buyer, con 130mila operatori di cui 50mila in arrivo dall’estero, che secondo Gaja necessiterebbero di una dimensione diversa e privilegiata per confrontarsi: il sogno nel cassetto di “una Biennale del vino a Milano”. Qualcuno sarà pronto a raccogliere la sfida?

Intanto ecco le novità che si preannunciano per la 51esima edizione della fiera del vino di Verona.

Libri. 9 imperdibili volumi su chef, birre e cucine etniche

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Le ricette di 25 cacciagione grandi chef e il ricettario letterario di cocktail e foraging. Tra questi due, un mondo di sapori, ricette, letture, bevande (alcoliche e no) tutti da scoprire. 9 volumi di cucina da leggere e consultare.

La “caccia” di Igles e dei suoi amici

Una moderna idea di “cucina di caccia” proposta da Michele Milani e sviluppata da un grande chef come Igles Corelli, e da 25 suoi amici e colleghi. Un viaggio attraverso la Penisola per creare un nuovo modo di intendere la selvaggina. 26 pensieri che rievocano negli chef stellati il loro personale ricordo legato al mondo della caccia., 35 ricette che si ispirano a una tradizione antica, ma allo stesso tempo offrono spunti innovativi per rivalutare un prodotto selvatico proprio della nostra terra.

La “caccia” di Igles e dei suoi amici | Michele Milani e Igles Corelli | foto di Davide Dutto | MiCom | pp. 204 | prezzo 45 euro | www.cacciaecucina.it

 

Profumidi casa mia

Profumi di casa mia

Ogni casa ha un profumo originale, quello che nasce dalla propria cucina, dalle pietanze appena sfornate, dalla frutta matura sui vassoi. Profumi che aprono le porte del cuore alle emozioni e ai ricordi più remoti. L’autrice racconta i segreti dei suoi piatti e introduce a un viaggio di sapori, di colori e, soprattutto, di profumi perché l’esperienza in cucina di Mariavittoria è fatta di sensibilità, di attenzione ai particolari, di raffinatezza, di amore per il gusto e di sollecitazioni di tutti i sensi.

Profumi di casa mia | Mariavittoria Andrini | Ed. In Magazine | pp. 216 | prezzo 22 euro | www.inmagazine.it

 

Storia di fabbricanti di maccheroni. Le ricette del pastificio Gentile

Professoressa in pensione, moglie e madre di fabbricanti di maccheroni (il pastificio Gentile di Gragnano), Maria Sorrentino canta uno dei più celebrati prodotti agroalimentari italiani attraverso i gloriosi primi piatti campani, più alcune personali rivisitazioni di grandi classici. Testi e foto entrano dentro la materia viva della pasta (lo spaghettone di Gragnano Igp, la candele, i paccheri, i mitici fusilli lavorati a mano) e dei loro condimenti d'elezione, dalla genovese al ragù napoletano, fino a originali versioni di cacio e pepe e carbonara.

Storia di fabbricanti di maccheroni. Le ricette del pastificio Gentile | Maria Sorrentino | Alessandro Polidoro Editore | pp. 160 | prezzo 18 euro

 

vini di torcana

 

I grandi vini di Toscana

Ernesto Gentil iha selezionato 69 grandi vinidelle migliori cantine toscanee li ha descritti nel dettaglio in schede illustrate con belle immagini del territorio, dei protagonisti, delle fasi di lavorazione da cui nascono bottiglie mitiche. Focus, originale, sulle degustazioni “verticali” che descrivono i vini nelle diverse annate di produzione. Uno sguardo analitico che permette di seguire l’evoluzione del vinonel tempo, dando la possibilità di comprenderlo a fondo, seguendone l’evoluzione e la crescita.

I grandi vini di Toscana | Ernesto Gentili | Giunti | pp. 256 | prezzo 35 euro | www.giunti.it

 

I miei dolci italiani

Creatore di sogni, enfant prodige della pasticceria italiana, stilista del dolce: questo è Roberto Rinaldini, uno dei più noti e premiati pasticceri italiani. Ogni suo dolce è concepito come un'opera a sé, un capolavoro sartoriale caratterizzato da uno stile moderno ed elegante. Ecco allora le sue ricette legate alla tradizione italiana, dolci che affondano le radici nella nostra memoria e nelle cucine regionali ma reinterpretati in modo assolutamente originale.

I miei dolci italiani | Roberto Rinaldini | Mondadori Electa | pp. 123 | prezzo 24 euro

 

WIld mixology

Wild Mixology

Ricettario, manuale tecnico, testo narrativo. Riassume tutte le anime del laboratorio di ricerca guidato da Valeria Mosca il libro che suggerisce un nuovo modo di intendere la miscelazione: atto critico e culturale che fa bene al pianeta e all'organismo grazie al foraging e alla sperimentazione gastronomica. Senza dimenticare il gusto e la voglia di viaggiare con l'immaginazione.

Wild Mixology | a cura di Wood*ing Wild Food Lab | testi di Enrico Vignoli | prefazione di Massimo Bottura | introduzione di Davide Paolini | foto di Marco Varoli | Mondadori | pp. 143 pp. | prezzo 29,90 euro | www.wood-ing.org

 

Panem et circenses

Accurata indagine sull’alimentazione degli antichi Romani che ricostruisce in maniera rigorosa e avvincente la cultura e la società dell’antica Roma. L’autore non presenta soltanto le bevande e i cibi – anche i più insoliti – dei Romani, ma illustra anche la "liturgia" dei loro pasti e, più in generale, la loro visione del mondo e della vita. Ne emerge un quadro esauriente della vita romana, considerata nella sua quotidianità ma anche nei suoi principi ispiratori, quelli che stanno tuttora alla base della civiltà europea. Non mancano, ovviamente, le archeoricette.

Panem et circenses | Cibo, cultura e società nella Roma antica | Alberto Jori | Nuova Ipsa editore | pp. 471 | prezzo 49 | www.nuovaipsa.com

 

piante dabere

Piante da bere

Il primo caffè del mattino, il tè del pomeriggio, il Martini durante l'happy hour, l'amaro o la tisana digestiva della sera: le nostre giornate sono scandite dalle bevande, e tutte, tranne l'acqua e il latte, sono ricavate dalle piante. Fino a che punto ne siamo consapevoli, quanto le conosciamo e utilizziamo valorizzandole al meglio? Una galleria con oltre 80 ritratti di piante: dall'albicocco alla vite, dal riso all'assenzio, senza dimenticare quelle più discrete e comuni come il papavero, l'acacia e la violetta. Per molte piante vengono presentate le ricette per preparare a casa acquavite, liquori e amari: perché la conoscenza e la consapevolezza del bere passano anche dal fare con le proprie mani.

Piante da bere | Serge Schall | Sonda | pp. 192 | prezzo 19,90 euro | www.sonda.it

 

La cucina piacentina

Firmato da Andrea Sinigaglia, docente di storia e cultura della cucina nonché Direttore Generale di ALMA, e da Marino Marini, tra i “padri” di Slow Food e bibliotecario proprio alla Scuola Internazionale di Cucina Italiana, il libro completa il corpus di 40 volumi ideato da Franco Muzzio per raccontare le tante “Italie” gastronomiche. Gli argomenti trattati spaziano dalla storia alle tradizioni gastronomiche, dai prodotti tipici alle osterie e ai grandi ristoranti, passando per piatti simbolo e termini dialettali non solo legati alla cucina.

La cucina piacentina | Andrea Sinigaglia e Marino Marini | ORME – Tarka | pp. 221 | prezzo 17.50 euro | www.gruppolit.com

 

 

40 Stelle in Galleria all'Ottagono di Alessandro Rosso. Un nuovo temporary per la Milano gourmet

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Un ciclo di cene con grandi chef in arrivo dall'Italia che si confrontano con lo spazio esclusivo dell'Ottagono Restaurant & Lounge all’albergo Townhouse Galleria. È l'ultima idea di Alessandro Rosso, che nel salotto storico di Milano detiene un impero della ristorazione e dell'ospitalità. I nomi dei protagonisti. 

Alessandro Rosso e la Galleria

Le Stelle più luminose in Galleria, questo è il sogno che Alessandro Rosso, patron del gruppo Townhouse, sta allestendo per dare lustro allo spazio prestigioso, sempre più orientato a diventare un polo dell'alta ristorazione, così com'è via Montenapoleone per la moda. “L’obiettivo principale è quello di far conoscere l’Ottagono e renderlo il diamante più ambito della Galleria, non solo per i turisti e per gli ospiti dell’albergo, ma anche per i milanesi. Milano negli ultimi anni è cresciuta spaventosamente come qualità dell’offerta, accoglie nomi eccezionali, insegne meritevoli, ma sono assai pochi quelli che possono vantare una vista straordinaria. Questo per noi è sicuramente un punto di forza invidiabile, tempo fa il Financial Times fece un pezzo proprio su questo tema, “Places with a view”. Galleria Vittorio Emanuele è conosciuta in tutto il mondo, chiunque venga a Milano vuole passare in Galleria, che per fascino, storia, prestigio e lusso ha qualcosa di magico e inimitabile.”

 

Il temporary all'Ottagono

La storia a doppio filo che lo lega al salotto più celebre di Milano, Alessandro Rosso ce l'aveva raccontata tempo fa, tra progetti andati in porto e traguardi da raggiungere. E ora è pronto per svelare alla città l'ultima sfida: “Durante Expo gli Americani avevano realizzato qualcosa di molto simile con James Beard; li avevamo accolti in uno dei nostri spazi e da lì è nata l’idea del temporary restaurant. Abbiamo leggermente modificato il format, inizialmente pensavamo di ospitare tutti i neostellati, poi vedendo l’interesse e l’entusiasmo degli stessi a partecipare, abbiamo allargato a coloro che già avevano conseguito questo riconoscimento. Molti di loro hanno realtà stagionali quindi questa rappresenta sicuramente un’opportunità. Spesso e volentieri sono milanesi i loro clienti, palati esigenti alla ricerca di esperienze gourmet e noi abbiamo deciso di dare loro la possibilità di ritrovarli a Milano. Prossimamente allestiremo anche una cucina a vista, per rendere l’esperienza ancora più corposa e interessante.”

 

Il calendario, i protagonisti

La formula è quella del menu degustazione che racconta la cucina dell'attore protagonista, in un ambiente sofisticato ed elegante. E “tutto lo staff ha accolto questo progetto con grande energia, il nostro chef resident Simone Teppaglia è entusiasta della possibilità di confrontarsi con grandi professionisti.

Il calendario degli appuntamenti è iniziato con Kotaro Noda del Bistro 64 di Roma, fresco di stella dall’ultima cerimonia di novembre. Ingredienti semplici e grande tecnica, con abbinamenti decisamente azzeccati, come il celebre Spaghetto di Patate con Burro e Alici.

Il prossimo ad andare in scena sarà Vincenzo Candiano, chef della Locanda Don Serafino di Ragusa, ospite in Galleria dal 21 al 27 marzo. E a seguire Marco Sacco, Giuseppe Iannotti, Ciccio Sultano, Pino Cuttaia, Christian Milone Terry Giacomello, solo alcuni dei nomi che animeranno l’Ottagono. qualcuno direbbe “Life is Now”, inseguire i sogni è probabilmente l’unica strada per realizzarli.

40 Stelle in Galleria | Milano | Ottagono Restaurant & Lounge | tel. 02 89058297 | www.townhousehotels.com

 

a cura di Paolo Pojano

Il Friuli Venezia Giulia in 8 biscotti tradizionali e la ricetta delle fave di Trieste della Pasticceria Jerian

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Per la rubrica sui biscotti regionali italiani questa volta vi portiamo in Friuli Venezia Giulia. Una regione di confine con una gastronomia frutto dell’incontro fra culture diverse. 8 specialità da rifare a casa, con la ricetta delle fave di Trieste della Pasticceria Jerian.

Farina di mais, mandorle, vaniglia, ma anche pepe nero e grappa: sono gli ingredienti di alcuni dei dolcetti del Friuli Venezia Giulia. È lì che siamo andati, per la nostra rubrica sui biscotti regionali italiani, a scoprire 8 specialità locali che ben esprimono la vocazione multiculturale di questa terra. Ve li raccontiamo con la ricetta delle fave di Trieste della Pasticceria Jerian, Una Torta nell’edizione 2017 della guida Pasticceri&Pasticcerie.

 

Biscotti Brazzà

Iniziamo con un biscotto nato in occasione di un evento, l’Esposizione agricola del 1893 organizzata su spinta di Cora Slocomb Savorgnan di Brazzà (1860-1944) nel Castello di Brazzacco. Originaria di New Orleans, Cora divenne contessa Savorgnan di Brazzà sposando il conte Detalmo, conosciuto a Roma mentre si dedicava allo studio della pittura: una imprenditrice ante litteram, lungimirante e carismatica, che fece la fortuna di questo dolce e non solo. Il biscotto Brazzà fu creato dall'azienda Desler di Martignacco per l’Esposizione agricola, vincendo il primo premio, avviando così il suo luminoso futuro.

Oggi la ricetta con le proporzioni precise degli ingredienti di questi gustosi frollini è custodita dalla Pro Loco di Brazzacco Moruzzo, in provincia di Udine, ed è segreta: sono invece note le materie prime di base (farina, uova, zucchero e burro). In commercio questi biscotti si trovano in due versioni: la classica e quella aromatizzata alla nocciola. 

 

Biscottini di mais 

Il mais è storicamente una delle colture più importanti per l’economia del Friuli Venezia Giulia: il primo documento ufficiale che parla di granoturco in questa zona è datato 17 settembre 1622. Così oltre a polenta e pane, sono molti i dolci che fanno della farina di mais il loro ingrediente portante, come questi biscottini diffusi un po’ in tutta la regione. 

In commercio se ne trovano numerose varianti, con uvetta e pinoli, aromatizzati ai mirtilli o con aggiunta di mandorle tostate, ma la ricetta di base è semplice: farina di mais e farina 00 in parti uguali, uova, zucchero, burro, scorza di limone grattugiata, lievito e un pizzico di sale. Si parte unendo le due farine e si forma una fontana. Al centro si mettono le uova e lo zucchero, amalgamandoli man mano con le farine. Poi si aggiungono il burro ammorbidito, il lievito e il sale. L’impasto si lascia riposare in frigo per mezz’ora almeno e si stende, ricavando dei bastoncini di circa 6-7 centimetri da appiattire leggermente, prima di cospargerli di zucchero. Infine, si infornano a circa 160 gradi per 20 minuti. 

 

Biscottini di maisBiscottini di mais

 

Biscotto di Pordenone

La storia di questo prodotto è recente, e si fa risalire agli anni ‘40 del ‘900, quando venne creato dai coniugi Barison della pasticceria Modena (che però nacque ufficialmente solo nel 1950) con lo scopo preciso di donare al capoluogo friulano un biscotto con il quale potesse identificarsi. La scelta degli ingredienti, quindi, non fa affatto casuale, ma cadde su prodotti rappresentativi della città come il mais e le mandorle: il successo del Biscotto di Pordenone non si fece attendere. Alla fine degli anni '80 la pasticceria Modena cessò la propria attività ma cedette le autorizzazioni di questa specialità specialità a metà fra il dolce e il salato, alla gelateria-pasticceria Montereale: è proprio questa l’azienda che tiene viva la tradizione legata alla produzione del dolcetto. Oggi il Biscotto Pordenone è un vero e proprio marchio registrato presso la Camera di Commercio e la ricetta è segreta. Ma gli ingredienti di base si conoscono: sono farina 00, farina di mais, zucchero, burro, sale grosso, mandorle, tuorli d'uovo, lievito e grappa.

 

Biscotti di PordenoneBiscotti di Pordenone

 

Colàz di Consei

Il nome significa “ciambelle del consiglio” e indica biscotti tradizionali comuni a tutte le antiche comunità veneto-giuliane. Si tratta di dolcetti di cui si hanno testimonianze già dal  1500, quando un proclama ne limitava il numero da donare per le cerimonie. I colàz (o colàs) erano i tipici biscotti da cresima e il loro uso era codificato in maniera precisa: prima di consumarli, i cresimandi dovevano legarli insieme con nastri di diversi colori e usarli, a mo’ di collana o di corona, sull’abito tradizionale. Inoltre, sono conosciuti comebussolà nella zona di Sesto al Reghena (Pordenone) e in Veneto. 

Di questa specialità ne esistono diverse versioni: i kolàz de sopa, ad esempio, nel carso triestino, sono fatti con l’impasto della pinza, la focaccia tradizionale locale, ma si rintracciano anche nella zona di Sesto al Reghena (Pordenone) e in Veneto dove sono conosciuti comebussolà. La ricetta di base prevede farina, latte, zucchero, burro, lievito, scorza di limone e una presa di sale. Si parte amalgamando lo zucchero, il burro, il lievito, il sale e il latte, poi si aggiungono la scorza di limone e la farina quanto basta, in modo da ottenere un impasto morbido ma non troppo compatto. Si formano dei cerchi di diverso diametro e si spennellano con l’uovo, infine, si lasciano cuocere in forno a 200 gradi per circa 20 minuti. 

 

ColàzColàz

 

Esse di Raveo 

Raveo è un piccolo borgo ai piedi delle Prealpi Carniche, in provincia di Udine. Ed è la località in cui nascono le Esse. A inventarli fu il pasticcere locale Emilio Bonanni, nel 1930 che in poco tempo riuscì a fare la fortuna di questo dolcetto, oggi considerato “tradizionale”. L’originale forma a “esse” era fatta a mano, semplicemente curvando le estremità. 

Il successo delle Esse di Raveo fu talmente grande da spingere l’azienda a creare, negli anni ‘70, un laboratorio specializzato unicamente in questa preparazione. La ricetta che vi proponiamo, semplicissima, è quella raccolta dalla contessa Giuseppina Antonini Perusini nel libro “Il mangiar friulano”: farina, burro, uova, lievito, bacche di vaniglia e un pizzico di sale. Per crearli è necessario far ammorbidire il burro a temperatura ambiente e, quando è abbastanza tenero, impastarlo con lo zucchero, il lievito, il sale e i semi della bacca di vaniglia. L’uovo va sbattuto a parte e aggiunto poco per volta, mentre la farina va unita in un’unica soluzione, subito dopo. Una volta creata la massa si avvolge nella pellicola e si lascia in frigo per due ore. Passato questo tempo, si impasta di nuovo brevemente e si formano dei bastoncini le cui estremità dovranno essere curvate. Infine, si infornano a 170 gradi per 15-20 minuti.

 

Esse di RaveoEsse di Raveo

 

Fave triestine

Questo biscotto nasce dall’esigenza di utilizzare le mandorle troppo mature avanzate da altre preparazioni. Per tradizione, infatti, è la zona del Carso a produrre le mandorle per tutta la regione e la raccolta di ottobre dava modo ai pasticceri locali di sperimentare nuove ricette con i residui. Così nascono le fave di Trieste, piccole palline colorate dall’aspetto allegro e invitante, diventate il dolce tipico della commemorazione del 2 novembre. Gli ingredienti sono semplici (mandorle, zucchero, uova, cacao per le fave scure, vaniglia per quelle chiare, essenza di rosa bulgara per quelle rosate) ma il procedimento è laborioso: il primo passo, infatti, è quello di macinare le mandorle insieme allo zucchero per creare la così detta “farinella”. Questa operazione è molto delicata e non va fatta in un’unica soluzione, ma macinando poco a poco piccole quantità di mandorle: in questo modo si evita un’eccessiva fuoriuscita di olio dal prodotto. Per il procedimento nel dettaglio vi rimandiamo alla fine dell’articolo: è proprio questa la ricetta che la pasticceria Jerian ha voluto regalarci.

 

Fave di TriesteFave di Trieste

 

Pevarini

Un prodotto che viene dall’area giuliana, diffuso in particolare a Trieste ma anche a Gorizia, le cui prime testimonianze risalgono ai ricettari dei cuochi delle famiglie nobiliari di primo ‘800. Da sempre questi biscotti, pevarini o pevarins nel dialetto locale, vengono abbinati al vino: il loro sapore piccante li rende perfetti per questo tipo di abbinamento. Non a caso, oltre a forni e pasticcerie, si possono trovare anche nei locali che vendono vino alla mescita. 

La ricetta prevede burro, farina, zucchero, melassa, pepe nero, sale, cannella, noce moscata, mandorla e un pizzico di lievito. Si parte lavorando il burro con lo zucchero fino ad ottenere un composto spumoso, poi si aggiungono farina e melassa. Una volta che la massa è omogenea si aggiunge il pepe nero e un pizzico di lievito. Si lascia riposare l’impasto per un’ora e lo si stende in una sfoglia non troppo sottile. Da questa si ricavano dei biscotti dalla forma ellittica che saranno adagiati su una placca da forno leggermente unta d’olio. Si cuociono a 180 gradi per circa 15-20 minuti o fino a completa doratura.

 

Sbreghe

Chiudiamo con dei biscotti molto somiglianti ai cantucci toscani. Il motivo è molto semplice: furono probabilmente dei monaci benedettini provenienti dalla Toscana a diffonderli in suolo friulano, gli stessi che fondarono l'Abbazia di Santa Maria in Silvis (730-735 d.C.) nel centro di Sesto al Reghena, in provincia di Pordenone. È ancora questa Abbazia il principale produttore delle Sbreghe nella zona di Pordenone. 

Si tratta di dolcetti simili nell'aspetto a fette di pane, possono essere sottili o più spessi, sono solitamente abbinati ai vini bianchi dolci, proprio come i cantucci. Per realizzarli a casa occorrono farina 00, mandorle da tritare grossolanamente, zucchero, uova e lievito. Si inizia mettendo in una terrina uova e zucchero, mescolando bene. Si aggiunge la farina, il lievito e le mandorle tritate (ma qualche forno li produce con le mandorle intere). L’impasto deve risultare piuttosto liquido e deve essere versato in uno stampo simile a quello dei plum cake. Si cuoce per 30 minuti a 170 gradi, poi si sforna e si taglia il filone in fettine alte mezzo centimetro, con un coltello da pane. Infine, si adagiano le fette sulla placca da forno e si passano per un minuto sotto al grill.

 

Ricetta delle fave di Trieste della Pasticceria Jerian

 

Ingredienti

500 g. di mandorle

450 g. di zucchero

1 uovo

cacao q.b per l’aromatizzazione delle fave scure

essenza di rosa bulgara q.b. per le fave rosate

bacche di vaniglia q.b. per le fave chiare

 

Procedimento

Iniziare macinando le mandorle con lo zucchero fino ad ottenere una farina. L’operazione deve essere fatta in diversi momenti: dividetele in 3 o 4 porzioni, macinandole una dopo l’altra e velocemente, in modo da evitare che fuoriesca troppo olio. Una volta ottenuta la massa di mandorle e zucchero aggiungere l’uovo: la consistenza dell’impasto deve essere simile a quello della pasta per gli gnocchi. Se necessario, dunque, sbattere un uovo a parte e aggiungerne una piccola quantità. 

A questo punto suddividere l'impasto in 3 parti aggiungendo alla prima il cacao, alla seconda la vaniglia e alla terza l’essenza di rosa bulgara.

Suddividere ulteriormente e creare dei lunghi “bigoli” (esattamente come si fa con gli gnocchi): l’ultima operazione è quella di tagliarli in piccoli pezzettini, arrotondandoli per creare delle palline di circa 1 centimetro di diametro, che andranno passate nello zucchero. Deposte su teglia antiaderente o rivestita di carta da forno, le palline devono essere cotte per un tempo brevissimo, solitamente 6-7 minuti a 150 gradi. Una volta trascorso questo tempo, togliere le fave dal forno anche se sembrano ancora crude: assumeranno la consistenza giusta una volta raffreddate.

Jerian | Trieste | via Combi, 26 | tel. 040 304855 | www.jerian.it

 

a cura di Francesca Fiore

 

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Miscusi. A Milano il nuovo locale monotematico dedicato alla pasta fresca

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Un locale tutto dedicato al piatto italiano per antonomasia: Miscusi punta tutto sulla pastasciutta, quella fresca e fatta in casa, condita con gli ingredienti più disparati, sempre rigorosamente di stagione.

L'idea

Ha aperto i battenti da meno di un mese ma sembra aver già trovato la chiave giusta per conquistare il palato e la fiducia dei clienti meneghini: Miscusi è un format originale nato a pochi passi da piazza Cinque Giornate, che punta sul più classico dei piatti della cucina italiana, la pasta fresca. A idearlo, due giovani imprenditori amanti della buona tavola: Filippo Mottolese, origini salentine e proprietario di Tom – The Ordinary Market, locale polifunzionale di Milano, e Alberto Cartasegna, piemontese co-fondatore di Helpling, piattaforma specializzata nel servizio delle pulizie. Insieme hanno pensato di lanciarsi in questa nuova avventura, ma non prima di aver studiato attentamente il mercato meneghino.

 

Miscusi

Ci siamo resi conto che gli unici locali monotematici di Milano sono dedicati al sushi o alla pizza. Abbiamo pensato di puntare su un unico prodotto, un classico intramontabile della tradizione tricolore”, racconta Filippo. Realizzato nel migliore dei modi, artigianalmente, a cominciare dalla molitura delle farine per finire con i condimenti: “Volevamo creare qualcosa di straordinario e così abbiamo pensato di inserire il pastificio all'interno del ristorante per garantire pasta fresca tutti i giorni, con tanto di mulino annesso”.

Il locale

Lo scorso 18 febbraio 2017 i due amici hanno inaugurato Miscusi, “che prende il nome dall'abitudine italiana di richiamare l'attenzione del cameriere con questa frase”, locale aperto 7 giorni su 7 sia a pranzo che a cena e che conta 75 coperti in tutto. Solo pasta fresca e qualche dolce, per un menu “semplice ed essenziale, che conta pochi piatti”, e che varia a seconda della disponibilità dei prodotti: “Abbiamo dei condimenti sempre fissi, come il pesto alla genovese, il ragù di bovino, la carbonara e il pomodoro fresco, e poi altri che cambiano a rotazione come le cime di rapa oppure la zucca”.

 

Miscusi Pasta

Il più richiesto? Quello con pomodoro ciliegino fresco e basilico, sempre presente perché proveniente da una serra locale in grado di garantire pomodori tutto l'anno: “La ricetta piace perché è semplice e soprattutto ha un ottimo rapporto qualità prezzo; costa solo 5,50 euro”, così come anche gli altri piatti in menu. I prezzi oscillano dai 6 a un massimo di 12,50 euro per i tortelli ripieni di zucca con baccalà alla veneta, “la pasta più costosa che abbiamo”. Le materie prime sono quasi tutte locali e provenienti da diversi fornitori della zona, mentre le farine – realizzate in loco con un mulino con pietra naturale – sono blend di grani in arrivo dalla Puglia, in particolare dalle Murge. Ad accompagnare l'offerta gastronomica, che si conclude con qualche dessert della casa “dalla torta di carote, mandorle e yogurt al tiramisù”, vini italiani, “che ricerchiamo sempre con un buon rapporto qualità/prezzo, per poterli servire a una media di 3 euro al calice” e birre alla spina.

Il format

Un format che ha fatto presa immediatamente su un pubblico eterogeneo, “è impossibile individuare un tipo di clientela standard, serviamo famiglie così come studenti e lavoratori”, piuttosto insolito per Milano ma già rodato all'estero da grandi realtà imprenditoriali come la tedesca Vapiano. E soprattutto, una formula facilmente replicabile in Italia e non solo: “Abbiamo intenzione di aprire un altro punto in città entro il prossimo anno e poi di provarci anche all'estero”. Dove? “Probabilmente a Berlino o Monaco di Baviera: vogliamo portare il vero gusto della pasta artigianale italiana in Germania”. Mantenendo sempre la stessa filosofia, quella della “trattoria 2.0, un locale moderno dove poter mangiare piatti intelligenti, semplici, immediati e goderecci”, un concetto che si esprime anche negli arredi essenziali, curati dallo studio di architettura Gruppo C14, “tanto ferro e piante ornamentali, in perfetto stile minimal ma senza scadere nel modaiolo”.

 

Miscusi

Il team di Miscusi – che attualmente conta 8 persone in tutto inclusi i due soci – per ora resta comunque focalizzato su questo primo punto vendita: “Abbiamo aperto da meno di un mese e la strada da fare è ancora lunga. Per l'estate abbiamo in mente di ampliare un po' il menu con piatti più freschi come insalate di farro, orzo e cereali”.

Miscusi | Milano | via Pompeo Litta, 6 | tel. 345 1339879 | www.facebook.com/miscusi.official

a cura di Michela Becchi

 

Torino Cocktail Week 2017. Appuntamento con i bartender torinesi dal 27 marzo al 2 aprile

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Dal 27 marzo al 2 aprile arriva la Torino Cocktail Week: una settimana dedicata alla miscelazione che animerà San Salvario, le vie di Vanchiglia e le piazze del centro.  

Il format e il programma

Un itinerario guidato tra i cocktail bar della città, che da lunedì 27 marzo a domenica 2 aprile propongono una selezione di drink innovativi, masterclass ed eventi di food pairing. Il format è semplice: sette giorni, cinque spirits differenti (gin, whisky, rum, vermouth e vodka), oltre 30 i locali e cocktail bar aderenti, con i bartender impegnati in masterclass e workshop. E infine il Cocktail Village, all’interno dell’Hotel NH Santo Stefano, a due passi dalle Porte Palatine, che durante il weekend (1 e 2 aprile) organizza incontri e approfondimenti sulla storia dei cocktail e dj-set all’orario dell’aperitivo. Il programma, consultabile online (www.cocktailweektorino.it), si focalizza sui cinque spirits. Il lunedì è la giornata del gin, il martedì è dedicato al whisky, il mercoledì è la volta del rum e così via. Si parlerà della storia e dei metodi di produzione di ciascuno, con la spiegazione delle diverse tipologie e successiva degustazione di sei prodotti. Indispensabile per partecipare all'evento diffuso è il cocktail pass, che permette di avere quattro cocktail al giorno, preparati appositamente per l'occasione dai bartender, a 5 € per tutta la durata della manifestazione, la partecipazione a workshop e masterclass e l’accesso al Cocktail Village.

Bere responsabilmente

La Torino Cocktail Week è organizzata grazie a una joint venture tra Lemon, agenzia di eventi e comunicazione, e Fa.st, agenzia di produzione e organizzazione eventi. Mentre la direzione tecnica è stata affidata a Sweet&Sour, accademia di bartender professionisti. “L'idea” spiegano gli organizzatori “arriva dall’Inghilterra, ma sta prendendo piede anche in Italia”. Ricordiamo l'edizione fiorentina dell'anno scorso: la Florence Cocktail Week. “Si tratta di un’intera settimana dedicata agli alcolici miscelati, una sorta di pub-crawl di sette giorni, arricchito da dj-set, conferenze e workshop a tema. Il mood del festival è tuttavia il bere responsabile: bere meno per bere meglio”. In tal senso c'è un’unica limitazione: “Non si possono ordinare più di 4 cocktail in una sola serata, per promuovere, come detto in precedenza, un comportamento responsabile e senza eccessi”.

I locali coinvolti

Il festival coinvolge il cuore e le arterie torinesi, con 30 bar, cocktail bar e pub aderenti, dove i bartender propongono le loro creazioni pensate ad hoc per l’evento. Come il D'emblée con whiskey, liquore al bergamotto, succo di pompelmo e sciroppo di zucchero ideato da Carlotta Linzalata, barlady di Smile Tree; l'Americano rivisitato che propone Barz8, con Vermouth Riserva Taurinorum, Cynar, soda di alloro, Apojuice; il Belle Epoque del Carlina Restaurant & Bar preparato con salvia, succo e marmellata di limone, liquore allo zenzero, vermouth rosso e soda al lemongrass oppure il Drivers Buck di Affini con shrub di mele, sciroppo di vaniglia, succo di limone e ginger beer. Non solo cocktail, a fare da contorno ristoranti convenzionati, con menù appositi, tra cui I Tre Galli. Per una Torino animata da Crocetta a Vanchiglia, da San Paolo al Quadrilatero Romano.

 

Torino Cocktail Week | www.cocktailweektorino.it | Il cocktail pass si può comprare online a 10 € fino al 19 marzo, poi a 15 € | Dal 27 marzo al 2 aprile 2017

La semplicità del made in Italy a Parigi. La quinta edizione di Cultural e chi ci sarà

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In passato ha celebrato il gesto, la voglia di mettere le mani in pasta e condividere un impegno concreto per la valorizzazione del made in Italy. Poi, a settembre scorso, è toccato al Sud, e alla potenza comunicativa di Matera. Dal 25 al 27 marzo la manifestazione ideata da Mauro Bochicchio torna a casa, a Parigi. E propone la semplicità della tavola italiana. Con grandi ospiti. 

Il ritorno a Parigi. La semplicità nel piatto

Dopo Matera, si torna a Parigi. Alla fine dell'estate scorsa la città dei Sassi aveva accolto la prima trasferta italiana del festival nato in Francia qualche anno fa proprio per difenderla e valorizzarla oltreconfine quella cultura gastronomica di casa nostra che si identifica con un preciso stile di vita, oltre che con un modo di pensare alla (buona) tavola. E alle relazioni che il cibo è capace di generare. Tre anni fa Cultural nasceva da un’idea di Mauro Bochicchio, giornalista e presidente dell’associazione Consortium Paris, con l’obiettivo di presentare a una delle capitali europee che meglio sa raccontare il suo legame con la tradizione enogastronomica il made in Italy autentico, perché le giornate trascorse al Bastille Design Center fossero insieme momento di crescita, insegnamento e festa conviviale. E così è stato fino a oggi. Dal 25 al 27 marzo il festival celebrerà la sua quinta edizione all’insegna della sottrazione in cucina, che non significa però privazione, ma Semplicità. E quindi essenza della materia prima come vorranno interpretarla i sessanta ospiti di una manifestazione che sembra aver trovato la sua maturità, e oggi richiama un numero crescente di visitatori (per l'ultima edizione parigina si parla di duemila accessi). Per l’occasione arriveranno nella Ville Lumiere produttori, chef, pizzaioli, panificatori, pasticceri e tanti addetti ai lavori capaci di farsi ambasciatori di un made in Italy spesso invocato senza attribuirgli il rispetto che merita. Del resto sono questi i momenti di riflessione – pure molto concreti, per la gioia di chi assaggerà i prodotti in vetrina e le proposte degli chef – che fanno bene a un sistema, quello del cibo di casa nostra, che ha sempre bisogno di ritrovarsi (ricordando gli ultimi successi del tour europeo di LSDM, al suo decimo anno di vita, o il tripudio che ha accolto l’intervento di Diego Rossi sul palco di Omnivore appena qualche settimana fa, con la mediazione del genio della cucina italiana a Parigi Giovanni Passerini). Perché no, anche ritrovando spinta fuori dai confini nazionali, dove l’unione fa la forza se tutti si impegnano per un obiettivo comune.

Gli ospiti. Dall’Italia e per l’Italia

Nello specifico quest’anno l’area masterclass ospiterà tanti chef e pizzaioli d’eccellenza, molti in arrivo da quel Sud protagonista dell’ultima edizione materana, da Leonardo Lacatena a Vitantonio Lombardo, da Nino Rossi ad Antonio Biafora, da Corrado Assenza (chi meglio di lui può dibattere sul tema della semplicità, di cui si fa promotore da anni?) a Peppe Guida, ad Angelo Sabatelli. Poi, chiaramente, ci sarà anche una rappresentanza degli italiani di stanza a Parigi, Michele Farnesi, Gennaro Nasti, Denny Imbroisi, Mauricio Zillo (che italiano non è del tutto, ma dopo tanti anni passati a Milano è un po’ come se lo fosse). E ancora Roy Caceres, Roberto Petza, i fratelli Costardi, Eugenio Boer, Cristoforo Trapani. Durante le giornate di lavori si avvicenderanno sul palco, la sera invece sarà l’occasione giusta per ritrovarsi a tavola, con la Special dinner del 25 marzo (in cucina Caceres, Sabatelli, Assenza, Trapani) e la replica di sabato 26, quando la squadra sarà composta dai fratelli Costardi, Lombardo, Guida, Rossi e Boer.

 

Formazione, intrattenimento, buona tavola

Senza dimenticare i momenti dedicati alla convivialità per tutta la famiglia, perché anche questo è un leit motiv della cultura gastronomica italiana più autentica: proprio il 26 marzo il programma prevede diversi momenti di intrattenimento formativo, con gli atelier di cucina e pizza per i più piccoli, il laboratorio del formaggio, la “colazione” all’italiana per un pranzo diverso dal consueto. Tutto questo nel cuore della città, a pochi metri da Place de la Bastille. L’ingresso per la singola giornata costa 10 euro, ma i bambini sotto i 12 entrano gratis. Chi invece volesse partecipare alle cene di gala presso La Table du Flow deve mettere in conto 150 euro. Per un’esperienza che si preannuncia unica.

 

Cultural 2017 | Parigi | Bastille Design Center | dal 25 al 27 marzo | www.culturalfestival.eu

 

a cura di Livia Montagnoli

 


È morto Andrea Salvetti. Designer e gastronomo amico degli chef. E cultore della terra

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L'artista toscano è stato stroncato da un infarto nella notte tra venerdì e sabato, durante una gita a Saturnia. Classe 1967, il suo studio in Lucchesia si era trasformato in fucina prolifica per progetti d'arte e design che celebravano il legame con la terra e la cultura del cibo. Molte le collaborazioni celebri: con Paolo Lopriore la nuova tavola conviviale. 

Il legame tra arte e cibo

Sulla pagina Facebook di Paolo Lopriore, da ieri, la foto profilo in bianco e nero parla di un legame professionale che era diventato sinergia profonda. Di intenti e sentimento. La foto di un cuoco e di un artista che al cibo e al mondo della cucina ha dedicato buona parte delle sue ricerche. Nulla di più, se non uno scatto che parla meglio di tante parole, per rappresentare in silenzio la mancanza di un lutto improvviso. Che ha colpito il mondo dell'arte tanto quanto quello della gastronomia italiana, e gli amici che Andrea Salvetti l'hanno affiancato e supportato fino a qualche giorno fa. Ma anche tutti quelli che ne seguivano le “gesta”, designer prolifico (solo qualche giorno fa l'appello sul web per reclutare nuovi collaboratori, perché “il lavoro al mio studio è in crescita"), fine gastronomo, e amante della terra, che spesso finiva per celebrare nelle sue performance condivise con chi il cibo lo maneggia ogni giorno. L'anno scorso un viaggio on the road sulle rotte americane, per rinsaldare una volta di più il legame tra arte e cibo, con quelle Sculture da Fuoco che riflettono sul senso etico ed estetico del cibo e restituiscono dignità al prodotto, e al produttore. Con lui amici e sodali di strade che si incrociano davanti a una tavola imbandita, Angelo Torcigliani e Damiano Donati, Andrea Falaschi e il professor Nicola Perullo, che all'indomani della sua scomparsa ha voluto ricordarlo con parole sincere sulla sua pagina Facebook, passando in rassegna i momenti più intensi di un rapporto di stima e collaborazione ultra decennale: l'installazione Architettura della fame e della sete nel 2008, presentata davanti alla platea dell'Aula Magna della Sapienza di Pisa; l'agnello sacrificale e il pane, primo esperimento sui recipienti da cottura, nel 2013, a Pollenzo; l'intervento ad Anteprima Vini Lucca, un anno fa, con il rito della condivisione in una grande bacinella di rame. In comune l'urgenza di condividere opere nate per essere “consumate, vissute, masticate, comprese, digerite”, come Salvetti ribadiva a proposito di una delle sue ultime creazioni, la Tovaglia spontanea presentata a Lucca lo scorso dicembre.

 

La tavola conviviale e altri ricordi

E nel frattempo, da un paio d'anni, la ricerca sulla nuova tavola conviviale, con e per l'amico Paolo Lopriore (e insieme a Luca Govoni), che i suoi piatti da portata votati alla convivialità li aveva portati sul palco di Identità Golose, nel 2016. Ora, sempre in cerca di un equilibrio ideale tra design, arte, cucina e cultura, i due stavano sperimentando l'affumicatura, con l'affumicatore da tavolo al vaglio sulla tavola del Portico di Appiano Gentile. Figlio della Lucchesia, e molto legato alle sue radici, Salvetti era nato nel 1967 a Bozzano, in provincia di Lucca, e ai suoi studi artistici aveva presto sovrapposto il suo interesse per il cibo, applicando la sua creatività e un grande sapere manuale (seguiva il progetto dalla prima ideazione alla fusione, all'assemblaggio) all'innovazione gastronomica. Quest'anno avrebbe festeggiato i 50 anni, ma un infarto lo ha colpito venerdì notte durante una gita a Saturnia. Tante le collaborazioni celebri con i protagonisti della cucina italiana, da Davide Scabin a Valeria Piccini, a Igles Corelli, per citarne alcuni, ma molti di più almeno una volta erano passati nello studio di Ponte a Moriano - dove campeggia un'esplicita scritta al neon: “L'arte si fa con tutto” - dove domani 21 marzo amici e parenti si ritroveranno per ricordarlo. E noi ci uniamo idealmente.

 

a cura di Livia Montagnoli

Pasqua in Spagna: sopa de ajo, torrijas, monas

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La Pasqua è una festa molto sentita in Spagna. Come in tutti i paesi di tradizione cristiana, il cibo è un modo per esprimere sentimenti come passione, pentimento, spiritualità e comunione con il proprio credo e spesso diventano anche offerte da donare ai santi in processione. Vi raccontiamo tre fra le più sentite cerimonie spagnole della Semana Santa, con i piatti tipici ad esse legati.

La Pasqua in Spagna

Una festa che rimanda alla rinascita e alla condivisione dopo un periodo di purificazione. È la Pasqua, una ricorrenza dal significato simbolico complesso, celebrata nelle comunità cristiane di tutto il mondo. In Spagna è tutto il periodo dellaSemana Santa ad essere importante: dalla Domenica delle Palme a quella successiva, la Resurrezione, in ogni zona del Paese si mostra il proprio fervore in cerimonie locali tanto suggestive quanto partecipate. Dato il divieto di mangiare carni durante questo periodo, pesce e dolci sono i protagonisti indiscussi della tavola, ma non è raro trovare anche preparazioni come zuppe e minestre.

 

La Pasqua al nord: la passione di Zamora

La prima cosa che si nota se si partecipa alla Semana Santa di Zamora è il contrasto fra il silenzio e il raccoglimento delle processioni notturne e l’allegria delle colorate processioni diurne. Zamora è una cittadina di 65 mila abitanti nella regione di Castilla e Leòn che custodisce tradizioni antiche: la sua Semana Santa, animata da alcune fra le confraternite più antiche d’Europa, è stata dichiarata di Interesse Turistico Internazionale insieme a quella di Siviglia. I festeggiamenti vedono quasi ogni giorno una diversa processione per le vie della città: quella del Cristo delle Ingiurie il mercoledì, la confraternita di Cristo Giacente sfila la notte di giovedì - trasportando uno straordinario Cristo del XVII secolo e cantando ilMiserere dopo la mezzanotte - mentre durante la giornata sfila anche la confraternita della Vera Croce. La celebrazione più suggestiva, però, è quella delle 5 del mattino di venerdì, quando c’è la processione della congregazione di Gesù Nazareno: i momenti clou sono l’uscita dell’effige del Cammino del Calvario e la riverenza fatta dalle portantine processionali (chiamate pasos) presso il viale delle Tre Croci, dove c’è la statua della Madonna de la Soledad.

 

Almendras garrapiadas, mandorle caramellateAlmendras garrapiñadas di Zamora

 

Le ricette: almendras garrapiñadas e sopa de ajo

Ed è proprio durante la pausa che la processione effettua presso le Tre Croci che vengono serviti i piatti più caratteristici di questa festa: lealmendras garrapiñadas, mandorle candite, e lasopa de ajo, zuppa d'aglio, che si gustano la mattina del venerdì. Una sorta di “colazione rinforzata” che serve a rinfrancare spirito e corpo dei portatori.

La parte dolce della colazione è affidata alle mandorle caramellate, che le donne distribuiscono a tutti i partecipanti: una preparazione diffusa un po’ in tutta la regione, fatta semplicemente con mandorle locali, acqua e zucchero.

 

sopa de ajosopa de ajo di Zamora

 

La ricetta della zuppa di aglio è molto antica e prevede pochi semplici ingredienti: acqua “arricchita” (con una parte di brodo o con l’aggiunta di ossa di manzo), pane duro, paprica, alloro, aglio e olio d'oliva. Secondo i cuochi zamorani il segreto è non farla arrivare mai all’ebollizione, ma cuocerla molto lentamente, almeno per un paio d’ore (ma sarebbe meglio 5 o 6) Prima di servire il piatto si buttano delle uova nel brodo e si fanno stracciare: la zuppa va servita molto calda, di solito in una pentola d'argilla.

 

La Semana Santa in Andalusia: le celebrazioni di Siviglia

Ci spostiamo nel profondo sud spagnolo per un’altra celebrazione di Interesse Turistico Internazionale, la Semana Santa di Siviglia, in Andalusia. Una tradizione che risale al medioevo e che era quasi scomparsa nel corso del XVIII secolo. Fu Luisa Ferdinanda di Borbone (1832-1897), sorella della regina Isabella II di Spagna, a stimolarne la rinascita, favorendo il formarsi di nuove fratellanze oltre a quelle storiche. Ai giorni nostri sono 57, infatti, le confraternite che portano in processione immagini della Passione di Cristo per l’intera settimana, accompagnati dagli abitanti della città che indossano il tradizionale abito di Nazareno e il capirote, un caratteristico copricapo a punta.

Le celebrazioni per le vie della città sono fatte da movimenti complessi: durante le processioni c’è un sistema di norme ben preciso che i fratelli sono obbligati a seguire per evitare incidenti, scandito da obblighi come “chiedere il consenso d’accesso” (pedir la venia) quando uno spezzone si inserisce nel corteo, o seguire il Cabildo de toma de horas, un elenco di regole che descrive i movimenti di ogni confraternita.

 

Le ricette: torrijas e garbanzos

Un paio di settimane prima della Pasqua a Siviglia fanno capolino le prime torrijas sui banchi dei mercati o nelle vetrine delle pasticcerie. In realtà il dolce, dalle origini molto antiche, è diffuso un po’ in tutta la Spagna, ma a Siviglia diventa quasi un’ossessione: una pietanza onnipresente durante la pasqua andalusa, immancabile sulle tavole della domenica. La ricetta è molto semplice: fette di pane ammollato nel latte con l'aggiunta un po’ di cannella, poi passate nell’uovo sbattuto e fritte. Dopo la cottura si passano in un mix di zucchero e cannella, oppure si cospargono di uno sciroppo fatto con miele e acqua.

 

torrijas andaluse

Per quanto riguarda i piatti salati è la sopa de garbanzos con espinacas la ricetta più tipica: un’eredità lasciata dai Mori che invasero la Spagna, popolando l’Andalusia per ben 800 anni. È una zuppa fatta con ceci e spinaci, cotta a lungo con aglio, aceto, cumino, origano e peperoncino e consumata insieme a fette di pane raffermo. Questo piatto si mangia durante tutta la Semana Santa, ma ormai è diventato così celebre che non è per nulla raro vederlo in periodi diversi dell’anno, spesso trasformato in tapa.

 

La Pasqua marinara di Valencia

Una festa che si inserisce nella vita marittima di Valencia e di tutta la Comunidad, non a caso chiamata Semana Santa marinera. Processioni e riti si celebrano tutti sul mare, o sfilando per le vie dei quartieri dei pescatori: Grao, Cabañal e Cañamelar.

Le origini delle celebrazioni risalgono al XV secolo, quando nacque la Confraternita dei disciplinati: si dice che a questa confraternita appartenesse anche San Vicente Ferrer, patrono della Comunità Valenciana. Le varie processioni della Semana Santa sono fatte non solo da fratellanze ma anche da corporazioni militari come i pretorianos, i sayones e i granaderos, che sfilano in uniforme. Sono diversi i cortei di fedeli che si svolgono in queste vie durante la semana, ma il culmine si raggiunge con la tamborada, la “visita ai santi monumenti”, che inizia il giovedì e si conclude il venerdì mattina: un frastuono di tamburi e canti molto suggestivo, la cui testa riesce anche a varcare anche la soglia di case private che custodiscono le effigi dei santi.

 

La ricetta: monas de Pascua

Una ricetta tipica della Pascua marinera, diffusa anche in Catalogna, ma originaria di Denia, Comunità valenziana. Il termine deriva dall’arabo e significa “regalo di Pasqua”: era per l’appunto il dono che ricevevano i fedeli durante il giorno della Resurrezione, dopo la lunga astinenza della Quaresima. È una sorta di ciambella su cui capeggia un uovo sodo, anche questo alimento proibito durante i giorni della penitenza: nelle versioni più moderne la monas è diventata una torta. Una preparazione che ricorda molto alcuni dolci pasquali del Sud Italia, come ad esempio i cuddhuraci calabresi.

 

monas de Pascua, Valencia

L'impasto è molto simile a quello di un pan di Spagna e si prepara con farina 00 e manitoba, burro, zucchero, uova, lievito e latte, a cui vanno aggiunti aromi come la cannella, scorza di limone e arancia, sambuca e a volte anche miele. Una volta creata la massa al centro viene messo un uovo sodo. Dopo la cottura il dolce sarà spennellato di glassa e fatto raffreddare bene prima di servirlo. A Valencia e Denia, per tutta la settimana le monas vengono scambiate fra amici e parenti come segno di affetto: è tradizione mangiarle come dessert dopo il pasto della Domenica di Pasqua.

 

 

a cura di Francesca Fiore

 

Leggi anche Pasqua nel Regno Unito: hot cross buns e simnel cak

Scrivere di cibo. A Napoli, il festival dedicato all'editoria gastronomica del Sud Italia

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Una rassegna libraria dedicata al tema della gastronomia: a Napoli, la Città della Scienza ospita, dal 23 al 26 marzo, Scrivere di cibo, manifestazione che si impegna a promuovere l'editoria gastronomica del Sud Italia. 

L'evento

È strano che la dieta mediterranea, patrimonio mondiale, faccia così fatica a trovare nella sua zona d'elezione, il Sud Italia, spazi di informazione e divulgazione. Anche per questo nasce il nostro salone". Così Gianfranco Nappi, responsabile progetti speciali Città della Scienza e dell'area "Gnam Village" presenta Scrivere di Cibo, il primo festival dedicato all'editoria gastronomica del Sud Italia, in scena a Napoli dal 23 al 26 marzo. Quattro giorni alla scoperta della storia dell'alimentazione e cucina del Meridione, con un focus particolare sull'ormai assodato binomio gusto e salute. A ospitare la manifestazione, gli spazi da poco ritrovati della Città della Scienza di Napoli, che sta lavorando a questo evento ormai da un anno. Come e quando scrivere di cibo oggi? Questa è la domanda a cui il festival si propone di rispondere, fra convegni, dibattiti e laboratori dedicati. Inoltre, “questo evento legato all’alimentazione rientra nella programmazione che abbiamo avviato in supporto alle attività scolastiche e nel gemellaggio tra San Giorgio a Cremano e la Fondazione Idis – Città della Scienza”, spiega il sindaco Giorgio Zinno. L’evento sarà anche un’occasione per fare il punto sulle attività della Città dei Bambini, che quest’anno ha avuto come leit motiv proprio l’educazione alla corretta nutrizione.

 

Il programma

Un programma fitto di appuntamenti, quello di Scrivere di Cibo, che comincia giovedì 23 marzo con “La videocassetta delle parole piccanti”, una sorta di confessionale dove i più piccoli potranno raccontare in un minuto il proprio rapporto con il cibo. Si continua con la proiezione di cortometraggi a tema gastronomico e la presentazione del progetto “Porte aperte ai bambini”, iniziativa che prevede ristoranti e pizzerie a misura di bambino, con menu, spazi e giochi dedicati ai più piccoli. E ancora seminari sui menu adatti all'alimentazione infantile, in collaborazione con la giornalista Maria Rosario Castaldo, autrice della “Carta dei diritti alimentari per la crescita”, e una mostra sugli arredi dello spazio ristoro dedicato ai bambini progettato dagli studenti del dipartimento di Architettura dell'Università Federico II. Ma il festival è pensato anche per gli adulti: il Museo nazionale del vino per l'occasione presenta il progetto Baroque Park, che prevede una serie di visite guidate alla cantina di villa Bruno, recentemente restaurata, che conserva un antico torchio ligneo del Settecento, con degustazioni guidate di vini vesuviani e altre eccellenze gastronomiche del territorio. E soprattutto incontri con autori e grandi di chef del calibro di Alfonso Iaccarino, con dibattiti e workshop: “La parte didattica è sempre stata irrinunciabile per noi. Per questo abbiamo dedicato agli istituti alberghieri e agrari la fascia di mezza giornata”, durante la quale possono assistere e partecipare agli showcooking e imparare “non solo tecniche di cucina, ma i fondamentali della cultura del cibo”. Perché l'obiettivo della manifestazione è quello di “aiutare i professionisti di oggi e di domani in campo gastronomico a crearsi un quadro di riferimento, per superare le specializzazioni o quantomeno inserirle in un quadro generale forte e strutturato”. Ci saranno poi le lezioni di Maurizio Bifulco sulle prescrizioni dietetiche, e quelle sulla cucina medioevale a cura di Franco Gardini. Non mancherà, inoltre, una serie di incontri dedicati all'enogastronomia nella letteratura gialla, dalla passione del Commissario Montalbano per la buona tavola al senso dell'ebrezza nei testi di Edgar Allan Poe. E poi ancora laboratori di scrittura, discussioni sui testi cardine della letteratura gastronomica, un omaggio ai 30 anni di Slow Food, un focus sulla cucina ai tempi della crisi e tanti assaggi.

 

Scrivere di Cibo | Napoli | via Coroglio, 104 | www.cittadellascienza.it

 

a cura di Michela Becchi

Il maestro degli erborinati Marco Bernini

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Una realtà fatta di spore, fermenti, latte, verde, prati. E di pazzie, di chimica, di viaggi. Una bella storia, grandi prodotti. Quelli dell'affinatore Marco Bernini, che produce degli erborinati incredibili.

Marco Bernini è riuscito a creare un fil rouge tra birra, formaggi e pane. Con un'attenzione ai lieviti al limite del maniacale e una grande sensibilità nei confronti dei processi chimici. Ecco la sua storia.

Piccola introduzione ai formaggi erborinati

Persille, fromage bleu, blue cheese, erborinati (dal dialetto milanese “erborin” che significa prezzemolo). Chiamateli come volete ma saranno sempre quei formaggi caratterizzati da muffe. Tecnicamente, i microorganismi che generano la fioritura verde o blu, sono dei miceti che non interferiscono con i batteri lattici, essenziali per la caseificazione, appartenenti al genere Penicillium (ad esempio Penicillium glaucum per la produzione di Gorgonzola o Penicillium roqueforti per la produzione di Roquefort e Danablu). Un tempo questi erano già presenti nei luoghi in cui venivano prodotti i formaggi. Mentre oggi, con il “proliferare di troppa igiene” e regole ferree di HACCP è necessario addizionarli al latte prima della cagliata, sotto forma di spore, che poi germinano durante la stagionatura, espandendosi e creando le tipiche muffe. Questo è in generale il processo che sta dietro agli erborinati. In quelli di Marco Bernini c'è qualcosa di più...

Marco Bernini

Con un passato milanese, da arciere cacciatore prima, da fotografo di moda e food poi, e un intermezzo da homebrewer, che si è rivelato fondamentale; Marco Bernini in età adulta si è riscoperto casaro autodidatta. “Vivevo a Milano e facevo il fotografo, toccando un po' tutti i rami della fotografia, compreso il food. Poi, quando il settore ha iniziato a scemare, ho adibito lo studio in un micro birrificio”. Ma la passione per la fotografia, quella no, non era scemata. “Mi sono trasferito in campagna a Pozzol Groppo con l'intento di continuare a fare il fotografo, ma all'epoca la tecnologia non me lo consentiva. Nel frattempo sono diventato papà di due bambini e siccome mia moglie faceva la pendolare su Milano mi sono ritrovato a fare il mammo”. E la birra? “Avrei dovuto investirci parecchi soldi, non potevo permettermelo. Così mi sono comprato un gregge di capre per produrre formaggio”.

Da lì un'escalation non preventivata: “Inizialmente erano gli amici, poi la voce si è sparsa anche tra i grandi chef. Eppure avevo calcolato di prendermi del tempo tecnico per imparare”.

A quanto pare non necessario: fin da subito è riuscito a esprimersi perfettamente grazie a una manualità invidiabile e alla conoscenza della chimica, quella che aveva imparato per birrificare. D'altronde l'attenzione ai lieviti e la sensibilità nei confronti dei processi chimici sono fondamentali tanto nel mondo brassicolo quanto nell'universo dei formaggi. Universo che Marco ha sovvertito: “Ho sviluppato tecnologie inconsuete nella caseificazione. Inizialmente mi sono studiato i cataloghi di quelle due, tre multinazionali che vendono fermenti, traducendo i nomi in greco e in latino utilizzati, nel loro nome comune antico, per andarli a cercare negli scritti dei frati trappisti e benedettini. Così facendo sono risalito ai fermenti nativi, quelli presenti in natura nelle cortecce o nelle radici, per esempio”. Staccandosi dalla chimica casearia canonica, e utilizzandone una parallela, più storica, è riuscito ad avere il controllo totale sui suoi erborinati. “Spesso capitava che durante la caseificazione dovevo andare a prendere i miei figli a scuola, ma sapevo che ginepro, alloro ed erba limoncina potevano retrocedere le reazioni chimiche. Così il formaggio era salvo”.

Andrea Ribaldone utilizza i formaggi di Marco Bernini durante Identità di Formaggio

I suoi erborinati e il pane

Nelle sue pazze sperimentazioni ha anche brevettato una nuova tecnologia: Pané. “Una tecnica che parte dal pane”. Anche in questo caso, non ha inventato nulla: ha “semplicemente” studiato le reazioni chimiche e i libri di storia. Quelli dove si racconta la nascita del roquefort, un erborinato frutto di un errore umano: “Pare che il formaggio sia nato in seguito a una dimenticanza da parte di un giovane pastore, che si è scordato un pezzo di pane di segale e un formaggio in un'umida grotta”. Il pane, la farina, gli errori e in generale tutte le contaminazioni spontanee che un tempo erano all'ordine del giorno e che hanno dato vita a prodotti straordinari. Sono questi i trucchi del suo mestiere. “Nelle cucine di una volta le donne conservavano il latte sotto il tavolo dove poi si mettevano a stendere la pasta, potete immaginare la moltitudine di contaminazioni tra i batteri o i fermenti che c'erano nell'aria. Oggi, purtroppo, si è persa gran parte di questa alchimia anche a causa di regole di igiene (troppo?)ferree”. Regole che fanno di lui un “illegale”.“È successo tutto molto in fretta: mi sono subito trovato sotto i riflettori dato che la voce tra gli chef è girata in fretta. Quindi, tra una cosa e l'altra, non sono ancora riuscito a certificare il mio laboratorio, che dedicherò fondamentalmente alla didattica”.

Per legge, dunque, Marco non può vendere i suoi formaggi, ma nulla vieta di andarlo a trovare a Pozzol Groppo per tastare con mano quel che vi abbiamo raccontato. “Nel frattempo vivo grazie al mio pane, che (ironia della sorte)ho cominciato a produrre per accompagnare i formaggi”. Il Bernini dei fermenti ha infatti applicato le sue conoscenze in fatto di lieviti per creare il pane. Con l’acqua luppolata, le farine coltivate da lui e macinate in un antico mulino ad acqua, utilizzando i saccaromiceti (i lieviti che si usano per birrificare). “Con i miei pani riproduco gli stili birrari, mettendo in solido quel che solitamente è liquido. C'è il panelager, lo stout, il weiss o il guinnes, che io impasto e metto a cucinare a legna a bassa temperatura”.

Le collaborazioni

Oggi la sua enorme conoscenza (e consapevolezza) la trasmette grazie alle molteplici collaborazioni - Quando lo contattiamo al telefono è nel laboratorio di un suo amico norcino per risolvergli un problema –tra cui quella con Andrea Ribaldone. “Mi ha chiesto di interpretare la robiola con le mie tecniche. Il giorno che è venuto a trovarmi non scorderò mai la sua faccia quando gli ho fatto assaggiare la robiola GB, chiamata così perché fatta con spore provenienti proprio dall'Inghilterra”. Sembrerà impossibile ma lui viaggia “spatolina alla mano” per raccogliere le spore dai caseifici e dalle grotte di tutto il mondo. “Una volta fatte analizzare, le metto in coltura, le rendo plastiche, dato che non le voglio volatili, e le inserisco in dei contenitori. Quando decido di usarle le reidrato”. Potete immaginare la sua produzione di erborinati, di formaggi ma anche di birra, di sidro, di prodotti, che lui non vende ma offre a chi viene a trovarlo.

 

Marco Bernini - La Cavarchella | Pozzol Groppo (Al) | via Ca' d'Andrino 6

 

a cura di Annalisa Zordan

Anteprima Oli d'Italia 2017. Sud&Isole: ecco gli extravergine premiati

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Le commissioni di assaggio hanno chiuso le degustazioni e assegnato punteggi e premi: la guida Oli d’Italia 2017 del Gambero Rosso è in stampa, la sua presentazione è per il 10 aprile prossimo al Sol di Verona. Ecco le prime anticipazioni.

Chiuse le degustazioni, assegnati punteggi e premi, la guida Oli d’Italia 2017 del Gambero Rosso (realizzata in collaborazione con Unaprol) è in stampa per essere pronta per la presentazione del 10 aprile al Sol di Verona. Prima di quella data parliamo ancora di extravergine e di olive. Ogni lunedì, a partire da oggi, anticipiamo le etichette che hanno ottenuto le Tre Foglie e le Due Foglie Rosse. Si parte con il Sud e con le Isole. Ad accompagnare i punteggi, una riflessione del professor Maurizio Servili (Professore ordinario di Scienze e Tecnologie Alimentari del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Ambientali dell'Università degli Studi di Perugia) sul futuro degli oliveti e sull’importanza della biodiversità, caratteristica identitaria e strategica (anche di marketing) delle produzioni made in Italy.

 

 

Quale potrà essere il futuro dell’olio extravergine di oliva italiano e della filiera olivicolo-olearia nazionale? Questa è una domanda che risulta sempre più pressante. Il motivo è il continuo navigare di tale prodotto nei flutti turbolenti di inchieste giornalistiche per lo più confuse e pretenziose che vorrebbero informare sull’origine geografica dell’olio, utilizzando metodi non ufficiali di analisi e quindi di non validata affidabilità, i cui risultati vengono per giunta interpretati in modo disinvolto e sicuramente semplicistico.

 

Extravergine: chimera commerciale?

Nel bel mezzo di queste tempeste l’unico che rischia fortemente di naufragare è il soggetto principe del contendere, l’olio extravergine di oliva 100% italiano. Prodotto questo che, di fatto, rischia di diventare una “chimera commerciale” viste le produzioni degli ultimi tre anni per le quali in ben due annualità su tre il Paese non è stato in grado di produrre più della metà delle sue, se pur risicate, 400.000 tonnellate che corrispondono alla produzione così detta normale. È evidente che al di là dei comportamenti truffaldini sempre in agguato ogni qual volta la domanda di prodotto supera ampiamente l’offerta e per i quali vanno messe in atto tutte le lecite misure repressive atte a ripulire il mercato, rimane inalterato il problema nazionale di base: produrre olio italiano di qualità.

In questa categoria si intende includere tutte le declinazioni possibili del prodotto dalle Dop alle Igp, oli monovarietali e altre forme certificate prodotte all’interno dell’Italico suolo, in modo tale a ottenere prodotti di eccellenza. Questo è e dovrebbe essere l’imperativo che dovrebbe coinvolgere le imprese serie del settore sia nella fase di produzione che di distribuzione: produrre seguendo delle linee guida che possano differenziare la produzione nazionale dal resto del mondo.

 

Qualità e Diversità

Linee guida quindi che non possono che partire da un unico imperativo: produrre qualità nella diversità, in altre parole prodotti diversi da quelli ottenuti nel resto dei Paesi della produzione olivicola mondiale. Produrre qualità e diversità in Italia significa partire dalla biodiversità.

Il nostro è il Paese ormai unico depositario della biodiversità in olivo e le nostre 510 cultivar censite e in produzione permettono e sempre di più potrebbero permettere di produrre oli biodiversi unici al mondo per le loro proprietà salutistiche e sensoriali. La produzione primaria biodiversa, trasformata in impianti per i quali l’innovazione tecnologica votata al miglioramento della qualità del prodotto diventa un imperativo categorico, ci potrebbe permettere di imporre il prodotto Olio Extravergine di Oliva Italiano di qualità sul mercato mondiale delle eccellenze, come già accade in altri settori del made in Italy (alimentare e non).

 

Tecnologia e razionalizzazione

In questo progetto di sviluppo alcune cose sono state realizzate: l’innovazione tecnologica negli ultimi anni ha fatto, grazie alle imprese del settore operanti in Italia, un passo da gigante nell’innovazione di processo. Resta invece irrisolto un punto che rischia di far naufragare la filiera olivicola Italiana tra i flutti dell’agitato mercato dell’olio nazionale e non, e cioè l’innovazione in campo agronomico: non in termini di ricerca scientifica, dove abbiamo le nostre riconosciute eccellenze, ma in termini di trasferimento tecnologico.

In altre parole: l’attuale punto strategico, se vogliamo assicurare un futuro all’olio extravergine italiano di qualità, è la razionalizzazione degli impianti tradizionali e il rinnovamento della piattaforma produttiva nazionale che dovrà vendere la messa a dimora di nuovi impianti. Tali impianti di nuova generazione, dovranno affiancare e non sostituire la maggior parte di quelli tradizionali secolari inclusi e dovranno vedere nel mantenimento della biodiversità, unita alla riduzione dei costi il loro punto di forza al fine di potenziare il sistema produttivo nazionale.

 

a cura di Maurizio Servili

Professore ordinario di Scienze e Tecnologie Alimentari, Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Ambientali, Università degli Studi di Perugia

 

 

 

I premiati al sud e isole

 

Tre Foglie

 

Molise

 

Classico | Principe Pignatelli | Monteroduni (IS)| www.oliopignatelli.com

 

Campania

 

Alfa| Fattoria Ambrosio| Salento (SA) | www.fattoriaambrosio.it

Algoritmo Dop Cilento| Nicolangelo Marsicani | Morigerati (SA) | www.marsicani.com

Coevo Monocultivar Ravece| Case D'Alto | Grottaminarda (AV) | www.oliocoevo.it

Cuore d'Ortice Monocultivar Ortice Bio | Torre a Oriente | Torrecuso (BN) | www.torreaoriente.eu

Ditirambo Monocultivar Pisciottana | Nicolangelo Marsicani | Morigerati (SA) | www.marsicani.com

Impronta Bio | Marco Rizzo| Felitto (SA) | www.oliorizzo.it

Ofra' Monocultivar Frantoio Bio | Tenuta Tortorella - Scorziello | Altavilla Silentina (SA) | www.tenutatortorella.it

Pascà | Maria Manuela Russo | Campagna (SA) | www.russo1979.it

Raro | Madonna dell'Olivo | Serre (SA)  www.madonnaolivo.it

Regio Dop Irpinia Colline dell'Ufita Monocultivar Ravece Bio | Fontana Madonna | Frigento (AV) | www.fontanamadonna.it

Rupe Monocultivar Cammarotana | Pietrabianca di Davide Monzo | Casal Velino (SA) | www.monzo.it

Tappo Verde Monocultivar Peranzana Bio | San Salvatore | Giungano (SA) | www.sansalvatore1988.it

Vega | Fattoria Ambrosio | Salento (SA) | www.fattoriaambrosio.it

Verbìo Monocultivar Carpellese Bio | Sole di Cajani | Caggiano (SA) | www.soledicajani.com

 

Puglia

 

Classico | Frantoio Raguso | Gravina in Puglia (BA) | www.frantoioraguso.it

Coppadoro Monocultivar Coratina | Giuseppe Ciccolella | Molfetta (BA) | www.oliociccolella.it

Crudo Monocultivar Ogliarola | Schiralli | Binetto (BA) | www.crudo.it

Don Gaudio | Ortoplant | Giovinazzo (BA) | www.orodirufolo.it

Felice Garibaldi Monocultivar Ogliarola | Frantoio De Carlo | Bitritto (BA) | www.oliodecarlo.com

Fontana Rosa Bio | Fratelli Ferrara | Canosa di Puglia (BT) | www.fratelli-ferrara.it

Gran Cru Affiorato | Frantoio Galantino | Bisceglie (BT) | www.galantino.it

Gran Pregio Monocultivar Coratina Bio | Maria Caputo | Molfetta (BA) | www.oliogranpregio.com

La Patraun Monocultivar Peranzana | Sabino Leone | Canosa di Puglia (BT) | www.sabinoleone.it

Monocultivar Cima di Melfi | Olio Mimì | Modugno (BA) | www.oliomimi.com

Monocultivar Coratina | Leuci | Giovinazzo (BA) | www.agricolaleuci.it

Monocultivar Coratina | Olio Mimì | Modugno (BA) | www.oliomimi.com

Monocultivar Coratina | Olio Intini | Alberobello (BA) | www.oliointini.it

Monocultivar Coratina | Luigi Congedi | Ugento (LE) | www.oliocongedi.com

Monocultivar Coratina Denocciolato | Le Tre Colonne | Giovinazzo (BA) | www.letrecolonne.com

Olio Extravergine di Oliva | Le Tre Colonne | Giovinazzo (BA) | www.letrecolonne.com

SeiCinqueZero Monocultivar Coratina | Schiralli | Binetto (BA) | www.crudo.it

 

Basilicata

 

Cenzino Monocultivar Coratina Bio | Vincenzo Marvulli | Matera | giovanni.marvulli@yahoo.it

Oro di Porsia | Porsia | Bernalda (MT) | bchianta@alice.it

Vù Monocultivar Coratina | Frantoiani del Vùlture | Venosa (PZ) | www.oliomasturzo.it

 

Calabria

 

Dolciterre Monocultivar Ottobratica | Sorelle Garzo | Seminara (RC) | www.oliodolciterre.com

Lei Monocultivar Cassanese Bio | Doria | Cassano Allo Ionio (CS) | www.agricoladoriasrl.it

Monocultivar Nocellara del Belice Bio | Tenute Librandi Pasquale | Vaccarizzo Albanese (CS) | www.oliolibrandi.it

Sud Bio | Doria | Cassano Allo Ionio (CS) | www.agricoladoriasrl.it

 

Sicilia

 

Bell'Omio Bio | Agrestis | Buccheri (SR) | www.agrestis.eu

Case di Latomie Igp Sicilia | Centonze | Castelvetrano (TP) | www.oliocentonze.com

Dop Monti Iblei | Sebastiana Fisicaro - Oleificio Galioto | Ferla (SR) | www.frantoiogalioto.it

Dop Monti Iblei Monocultivar Tonda Iblea | Villa Zottopera | Chiaramonte Gulfi (RG) | www.villazottopera.it

Dop Valli Trapanesi Bio | Titone | Trapani | www.titone.it

Letizia Dop Monti Iblei Monocultivar Tonda Iblea | Rollo | Ragusa | www.aziendarollo.it

Monocultivar Moresca | Sebastiana Fisicaro - Oleificio Galioto | Ferla (SR) | www.frantoiogalioto.it

Monocultivar Tonda Iblea | Cinque Colli | Chiaramonte Gulfi (RG) | www.cinquecolli.it

Monocultivar Tonda Iblea Etichetta nera | Giuseppe Rosso | Ragusa | ing.rosso.g@gmail.com

Nettare Ibleo Dop Monti Iblei Monocultivar Tonda Iblea Bio | Agrestis | Buccheri (SR) | www.agrestis.euOlio Extravergine di Oliva | Mandranova | Palma di Montechiaro (AG) | www.mandranova.com

Primo Dop Monti Iblei Monocultivar Tonda Iblea | Frantoi Cutrera | Chiaramonte Gulfi (RG) | www.frantoicutrera.it

Riserva Monocultivar Tonda Iblea | Giovanni Cutrera | Chiaramonte Gulfi (RG) | az.agr.giovannicutrera@pec.it

Verd'Olivo Novello | Agrestis | Buccheri (SR) | www.agrestis.eu

 

Sardegna

 

Gran Riserva Fruttato Verde | Accademia Olearia | Alghero (SS) | www.accademiaolearia.com

Monocultivar Bosana | Corte Olias | Escolca (CA) | www.corteolias.it

Riserva del Produttore Dop Sardegna | Accademia Olearia | Alghero (SS) | www.accademiaolearia.com

 

 

Due Foglie Rosse

 

Campania

 

Aeclanum Monocultivar Ravece | Terramia | Mirabella Eclano (AV) | www.campaniaterramia.it

Dop Colline Salernitane Bio | Tabano | Roccadaspide (SA) | www.aziendatabano.it

Itran's Monocultivar Itrana | Madonna dell'Olivo | Serre (SA) | www.madonnaolivo.it

Monocultivar Picholine | Tenuta Romano | Ponte (BN) | www.frantoioromano.it

Monte Greci Monocultivar Itrana Bio | Frantoio De Ruosi | Carinola (CE) | www.olioderuosi.it

Piscio Picho | Madonna dell'Olivo | Serre (SA) | www.madonnaolivo.it

Ramarà | Piero Matarazzo | Perdifumo (SA) | www.pieromatarazzo.it

Sacrum Monocultivar Ortice| Augusto De Martini | Fragneto L'Abate (BN) | www.oliosacrum.it

Tappo Nero Bio | San Salvatore | Giungano (SA) | www.sansalvatore1988.it

Viride Monocultivar Coratina Bio | Nicolangelo Marsicani | Morigerati (SA) | www.marsicani.com

 

Puglia


Affiorato | Olio Intini | Alberobello (BA) | www.oliointini.it

Cor d'Ulivo | Visconti Storie di Terra | Torremaggiore (FG) | www.oliovisconti.it

Don Gioacchino Dop Terra di Bari Castel del Monte Monocultivar Coratina | Sabino Leone | Canosa di Puglia (BT) | www.sabinoleone.it

Gaudeamus | Carlucci Food | Torremaggiore (FG) | www.carluccifood.com

Gran Pregio Cuvée Bio | Maria Caputo | Molfetta (BA) | www.oliogranpregio.com

La 'Mnenn Monocultivar Frantoio | Sabino Leone | Canosa di Puglia (BT) | www.sabinoleone.it

Monocultivar Cima di Mola | Olio Intini | Alberobello (BA) | www.oliointini.it

Monocultivar Coratina | Ortoplant | Giovinazzo (BA) | www.orodirufolo.it

Monocultivar Coratina | D'Erchie | Montemesola (TA) | www.olioderchie.com

Monocultivar Coratina | Le Tre Colonne | Giovinazzo (BA) | www.letrecolonne.com| info@letrecolonne.com

Monocultivar Coratina Bio | Profumi di Castro - Adriatica Vivai | Fasano (BR) | www.profumidicastro.it

Monocultivar Ogliarola | Olio Mimì | Modugno (BA) | www.oliomimi.com

Opera Intenso Bio | Agrolio | Andria (BT) | www.agrolio.com

Opus | Angelo Musillo | Bernalda (MT) | silviamusillo@hotmail.it

Dradista Bio | Tenute Librandi Pasquale | Vaccarizzo Albanese (CS) | www.oliolibrandi.it

Monocultivar Carolea Bio | Tenute Librandi Pasquale | Vaccarizzo Albanese (CS) | www.oliolibrandi.it

 

Sicilia

 

Castel di Lego Oro Monocultivar Tonda Iblea | Sebastiana Fisicaro - Oleificio Galioto | Ferla (SR) | www.frantoiogalioto.it

Dop Monti Iblei Monocultivar Tonda Iblea | Terre di Pantaleo | Chiaramonte Gulfi (RG) | www.terredipantaleo.com

Igp Sicilia Monocultivar Nocellara del Belìce | Frantoi Cutrera | Chiaramonte Gulfi (RG) | www.frantoicutrera.it

Le Case di Lavinia Monocultivar Tonda Iblea Dop Monti Iblei Bio | Vernera | Buccheri (SR) | www.vernera.it

Monocultivar Cerasuola | Tenuta Gallinella | Sciacca (AG) | www.tenutagallinella.com

Monocultivar Tonda Iblea Bio | Giuseppe Rosso | Ragusa | www.zottopera.it

Olio Extravergine di Oliva Bio | Titone | Trapani | www.titone.it

Primo Monocultivar Tonda Iblea Bio | Frantoi Cutrera | Chiaramonte Gulfi (RG) | www.frantoicutrera.it

Sbezi | Viragì | Chiaramonte Gulfi (RG) | www.viragi.it

Zenia Monocultivar Nocellara Etnea Bio | F.lli Mangano | Carlentini (SR) | www.azmangano.it| info@azmangano.it

 

Sardegna

 

Monocultivar Bosana | Accademia Olearia | Alghero (SS) | www.accademiaolearia.com

 

 

Gout de France. Il 21 marzo 2000 chef nel mondo omaggiano la cucina francese: chi partecipa in Italia

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Arriva alla terza edizione l'iniziativa promossa dal Ministero Francese degli Affari Esteri su idea di Alain Ducasse per promuovere la cultura gastronomica nazionale nel mondo. E con l'arrivo della primavera in molti ristoranti blasonati e bistrot d'Italia si replica con un menu ispirato al savoir-faire francese. Qualche suggerimento. 

Fare promozione. L'esempio della Francia

Due anni fa la Francia faceva sistema intorno a una delle eccellenze riconosciute della cultura nazionale, l'enogastronomia. Sancendo su scala mondiale la capacità (consolidata) di valorizzare uno dei settori più redditizi del proprio indotto economico. E l'iniziativa, una giornata internazionale dedicata alla cucina francese su impulso del Ministero Francese degli Affari Esteri e dello Sviluppo Internazionale (da un'idea di Alain Ducasse), si è dimostrata vincente. Tra poche ore, nella prima giornata di primavera, tanti ristoranti e cucine nel mondo celebreranno la terza edizione di Gout de France. E l'Italia, visto anche il legame a doppio filo che la unisce ai cugini d'Oltralpe e alle loro usanze gastronomiche, non sarà da meno. Con le modalità già svelate nelle occasioni passate, e i ristoranti aderenti impegnati a proporre per un giorno un menu di ispirazione francese, che di quella cultura veicoli l'eccellenza dei prodotti artigianali e la joie de vivre. A tavola. Mentre a Parigi si moltiplicheranno le iniziative (tra le cene più attese quella da Guy Savoy all'hotel de la Monnaie), e nel mondo tanti rappresentanti dell'alta cucina transalpina si faranno ambasciatori della buona causa (Daniel Boulud a New York, come Claude Troigros in Brasile), per un totale di circa duemila chef su cinque continenti, nella Penisola sono diverse (e di differente estrazione) le tavole coinvolte.

 

Gout de France in Italia

Tra i nomi più blasonati della cucina nostrana spuntano nell'elenco Igles Corelli a Villa Atman, Massimo Spigaroli all'Antica Corte Pallavicina, Giovanni de Vivo al Mosaico di Ischia, Maria Probst alla Tenda Rossa di San Casciano Val di Pesa, Matteo Baronetto al Cambio, Valentino Marcattilii al San Domenico, Gigi Nastri da Stazione di Posta a Roma,Gennaro Esposito alla Torre del Saracino di Vico Equense. Ma nella Capitale partecipano all'evento anche tavole che della cultura gastronomica francese si fanno portavoce ogni giorno, come la Santeria Bistrot al Pigneto o il ristorantino di recente apertura nel quartiere Salario Palatino Bistrot. Ricordando che l'anno scorso proprio l'Italia è salita sul podio dei Paesi con il maggior numero di adesioni, terza per elenco dei partecipanti, dopo una stagione d'esordio celebrata in cima alla lista. Unico vincolo: l'utilizzo di prodotti di stagione e una cucina attenta al rispetto dell'ambiente e della salute, con l'impegno a devolvere il 5% del ricavato a un'associazione attiva nel settore della salute o dell'ambiente. In abbinamento vini e champagne francesi, e un'attenzione particolare alla presenza di formaggi in degustazione, meglio se serviti a concludere il pasto, prima del dolce. Quest'anno, inoltre, parteciperanno anche scuole di cucina e istituti alberghieri, che potranno offrire ai propri allievi la possibilità di cimentarsi con un menu di stampo francese.

 

La Francia in tavola. Suggerimenti e menu

Qualche anticipazione? Al Cambio di Torino si cena con 105 euro (vini esclusi) per un menu da 6 portate, dalla Terrina di fegato grasso alle Lumache in insalata, alla Capra e miele; al San Domenico di Imola, invece, per 100 euro arrivano in tavola Animelle croccanti con crema di porri e salsa al tartufo nero e a seguire un Piccione farcito con salsa di aglio dolce (5 portate in tutto). A Vico Equense, per 120 euro, Gennaro Esposito ci mette la spinta del mare, con una Zuppetta di olive Nocellara e mandorle, purea di finocchi e pesce bandiera e un Risotto con cipolla ramata di Montoro, sauro bianco affumicato e alga croccante al profumo di limone e peperoncino.

Mentre alla Santeria di Roma la serata si snoda tra ostriche Marie Morganes-Gillardeau, foie gras, baguette con burro e alici, assiette de fromages. E all'Antica Corte Pallavicina va in scena una cena di gala che omaggia le grandi tavole francesi, dalle Capesante, animelle e foie gras d'entrata alla Canard de barberie al Vieille France con royale di asparagi, fave e piselli, alla Zuppetta al rabarbaro e fragole su sorbetto di litchi.

Capitolo a parte le feste blindate in Ambasciata e Consolati italiani: a Roma sarà Alain Benon a cucinare per gli ospiti di Palazzo Farnesee di Catherine Colonna. A Napoli invece cucineranno per il console Jean-Paul Seytre gli studenti di 5 istituti alberghieri regionali, per la prima edizione del concorso L'ecole de gout (chi vince si aggiudica uno stage presso un alberghiero di Lione).

 

L'elenco di tutti i ristoranti partecipanti

 

a cura di Livia Montagnoli

 

Ricognizione dei ristoranti italiani di qualità tra Sydney, Hanoi e Singapore

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Il Gambero Rosso approda per la prima volta in Vietnam, tra alte tassazioni, trattative per gli accordi di libero scambio e sete d'Italia. Una prima tappa seguita dalla preparata Singapore e dalla competitiva Sydney.

L'undicesima edizione del Top Italian Roadshow conferma il buon momento del vino tricolore all'estero. Il via del tour era arrivato a novembre da Taipei, poi Osaka, la prima volta a Città del Capo, quindi si è spinto oltre il centesimo Meridiano Est, alla volta di Hanoi, Singapore e infine Sydney, la città più popolata dell'Australia, un tempo colonia penale. Anche quest'ultimo trittico che chiude il giro 2016/2017 è stato occasione per premiare i migliori ristoranti all'estero per la guida Top Italian Restaurants.

 

L'enogastronomia italiana in Vietnam: la prima volta ad Hanoi

Il Vietnam si conferma, in prospettiva, tra i mercati del vino più interessanti. Ben 350 persone hanno celebrato il primo evento del Gambero Rosso ad Hanoi, mettendo in campo un interesse vero sul vino: grande attenzione per i dettagli e altissima curiosità confermata dalle tantissime domande, che hanno puntellato i tre seminari condotti da Marco Sabellico e da chi scrive. "Qui c'è un ottimo potenziale, la classe media avanza, ha capacità di spesa. I numeri non sono ancora importanti perché non esiste la grande distribuzione, ma in prospettiva ci sono tutte le condizioni per costruire un futuro solido per il vino italiano", commenta Pier Paolo Demaestri della Viet - It Wines Import, la sola compagnia che importa esclusivamente vino italiano, con 25 aziende rappresentate. La tassazione frena ancora i consumi: al 50% di dazi, si aggiunge una tassa del 30% applicata sui beni di lusso, poi l'iva al 15%. "È un mercato da presenziare con costanza, ci vuole una strategia di lungo periodo, considerando anche che nel 2018 dovrebbe entrare in vigore l'accordo di libero scambio tra Ue e Vietnam, un possibile volano per i nostri vini", sostiene Cecilia Piccioni, l'ambasciatore italiana in Vietnam, l'unica ambasciatore tricolore donna in tutta l'Asia.

Durante la cerimonia d'apertura premiato Paolo De Piaggi, friulano, in Vietnam da 20 anni. Il suo Da Paolo Westlake è il miglior ristorante italiano in città in accordo alla guida Top Italian Restaurants. "Dovevo stare sei mesi, ma ho trovato un Paese completamente diverso, non allineato, dove non regnava il mercato. All'inizio anche i ristoranti erano statali, oggi è cambiato tutto. La disponibilità di materie prime italiane sta diventando sempre più agevole, i vietnamiti sanno sempre più riconoscere la qualità e sono sempre più attenti all'origine di ciò che assaggiano", chiosa Paolo.

 

Singapore, la città più preparata dell'Asia

Singapore fa storia a sé anche in tema di vino. La conoscenza media è nettamente superiore alla media asiatica: si bevono grandi etichette, si beve maturo, si beve sempre più Italia. La sesta volta del Gambero Rosso a Singapore ha registrato oltre 700 presenze nella chiesa del complesso Chijmes. Singapore è il terzo Paese per ricchezza procapite, dopo Qatar e Lussemburgo, il consumo è orientato sul segmento medio-alto, con una storica preferenza per i rossi. Ma qualcosa sta cambiando nella percezione comune. "Quest'anno sono rimasto completamente sorpreso dalla qualità media dei bianchi proposti. Non siamo abituati ad assaggiare bianchi italiani di questo livello. È una rivoluzione: Vermentino, Fiano e Verdicchio in testa agli assaggi", afferma Lim Hwee-Peng della Wine Craft, che ha commentato i seminari, suggerendo una serie di abbinamenti con specialità locali. A dare il benvenuto alle 60 cantine italiane Ivan Scalfarotto, sottosegretario allo Sviluppo Economico: "Singapore ha un enorme potenziale perché è una porta sull'Asia, con più di 600 milioni di persone. Siamo quinti sul mercato cinese, partiamo da un'ottima base, ma possiamo fare di più. L'Italia è il primo produttore di vino al mondo, ma dobbiamo lavorare sul prezzo medio che è ancora troppo basso. Dobbiamo educare il cliente, informarlo che vino italiano vuol dire estrema qualità. Voi produttori avete un modo unico di rappresentare i vostri territori, veicolate valori che vanno oltre al vino, al nostro modo di vivere... Dobbiamo dire al mondo che siamo una squadra fortissima".

Ad accompagnare gli oltre 250 vini in assaggio, una serie di primi piatti realizzati da Barilla, grazie a una stazione ad hoc. In tema di ristorazione, Singapore vanta uno scenario estremamente competitivo, a partire dai locali italiani. Premiati come migliori ristoranti in città Gattopardo Ristorante di Mare, aperto nel 2010 dal siciliano Lino Sauro, e Buona Terra, raffinato esempio di cucina tricolore grazie al giovane chef Denis Lucchi e il sommelier Gabriele Rizzardi. La migliore carta dei vini è quella dell'Osteria Mozza, una selezione contemporanea che abbraccia tutte le regioni italiane e i diversi stili, sfruttando al meglio la tecnologia Coravin sulla mescita.

 

Sydney, tappa ad alto grado di competitività

Da Singapore ci siamo spostati in Australia e abbiamo constatato che più ci si allontana dai confini nazionali, più cresce la domanda d'Italia. Lo testimonia l'entusiasmo raccolto a Sydney durante l'ultima tappa del Top Italian Wines Roadshow 2016/2017. Da una parte, la comunità italiana, numerosa, compatta, protagonista di uno scenario enogastronomico tra i più competitivi a livello mondiale. Dall'altra, il pallino dell'Italia nelle scelte dei consumatori locali, nonostante la grande tradizione viticola, con carte dei vini e winebar che accolgono sistematicamente bottiglie dalle nostre regioni. A fine giornata, 680 le presenze registrate, con un'alta percentuale di importatori, ristoratori e blogger. "Non ero importato e ora mi trovo a scegliere tra due contatti giusti. Devo capire se prendere un grande importatore o uno più piccolo ma capace di seguirmi meglio", commenta soddisfatto Paolo Leo della cantina omonima.

Alta attenzione per i premi comunicati durante l'evento di Sydney: il premio per la migliore pizza va a Pizza Lucio, un autentico disco napoletano a 16 mila chilometri di distanza; il miglior wine bar è 121BC, con una mescita che abbraccia tutte le regioni italiane, un unicum; la migliore carta dei vini è quella di Pilu at Freshwater, ristorante di cucina sarda sulla spiaggia dov'è nato il surf: nemmeno in Sardegna si trova una carta tanto profonda, ragionata, finemente descritta; infine, il miglior ristorante in città è LuMi, grazie al giovane e brillante Federico Zanellato, che ha lavorato per anni con Heinz Beck alla Pergola, protagonista di una strepitosa cucina italiana con visione internazionale e con un delizioso twist giapponese.

 

a cura di Lorenzo Ruggeri

 


Bere un buon caffè a Londra: i 10 migliori bar della capitale britannica

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È la capitale del buon caffè in Europa, la città dove si è sviluppato – più che altrove – il movimento delle caffetterie specialty, dei caffè artigianali di qualità e soprattutto un nuovo concetto di bar. A Londra, gli indirizzi validi per una buona tazzina sono molteplici e qui abbiamo messo insieme i nostri preferiti.

La cultura del caffè a Londra

Di fermento caffeicolo, ormai, per Londra è anche superfluo parlare: che l'attuale panorama dei bar di ricerca valga il viaggio è assodato da tempo. Perché la cultura del caffè artigianale, degli specialty coffee– chicchi selezionati con cura e trattati con attenzione dalla raccolta all'estrazione finale – e più in generale della qualità dell'oro nero, dopo essersi sviluppata in America e Australia ha trovato terreno fertile nel Nord Europa, nei paesi scandinavi, e ora finalmente anche (seppure con più fatica) in Italia, ma ancora di più a Londra. Un approccio completamente diverso al concetto di bar ha messo in breve tempo radici nella capitale britannica, dove le caffetterie di livello hanno iniziato a moltiplicarsi nel giro di pochi anni. Restituendo valore al prodotto, al lavoro dei coltivatori delle piantagioni e soprattutto alla figura del barista, che non è più (e non deve) essere considerata “un lavoro per tutti” ma una professione che richiede studio, tecnica e sacrificio. E ce lo confermano gli addetti ai lavori, promotori in prima persona dei bar della città. “Attualmente Londra rappresenta un mercato piuttosto competitivo”, commenta Jeremy Challender di Prufrock, e aggiunge: “soprattutto per quanto riguarda gli eventi e le fiere di settore siamo molto attivi durante tutto l'anno”. Ma quanti bar ci sono a Londra? “Oltre 500” afferma Davide Pastorino, italiano ideatore di Press. “E ognuna di queste caffetterie cerca di offrire il meglio e di formare consumatori consapevoli. Al momento, Londra è probabilmente lo scenario caffeicolo più affascinante del mondo”. E nonostante i londinesi rimangano “prettamente dei consumatori di espresso”, stando a quanto racconta Richard Frazier di Workshop, il caffè filtro qui trova spazio fra il grande pubblico di tutte le età, “che è sempre più preparato e attento e ricerca costantemente qualcosa in più dalla sua tazza”. Raccogliere tutte le insegne valide in città è un'impresa impossibile, ma abbiamo comunque cercato di stilare una nostra lista di indirizzi.

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The Attendant

Bosh McKeown e Ryan De Oliveira sono i giovani imprenditori che sono dietro il progetto di The Attendant, una caffetteria con torrefazione interamente vocata alla qualità aperta nel 2013 e che oggi comprende due punti vendita, uno a Fitzrovia e l'altro a Shoreditch. “Abbiamo voluto rendere ogni bar un luogo familiare e accogliente, dove le persone si possono sentire a loro agio sia da soli che in compagnia”. Per quanto riguarda il caffè, il duo di Attendant crede fermamente in tre principi cardine “gusto, qualità e sostenibilità”, che sono alla base della loro scrupolosa selezione. “La nostra tostatura è realizzata in maniera da esaltare e valorizzare tutti gli aromi presenti all'interno del chicco, per onorare al meglio il duro lavoro degli agricoltori nelle piantagioni”. Tutti i caffè devono aver raggiunto almeno 85 punti su 100 secondo i parametri della SCA (Specialty Coffee Association) e vengono tutti tostati secondo modalità precise a seconda della varietà, altitudine a cui crescono e temperatura. Aeropress e espresso: queste le estrazioni disponibili presso le caffetterie.

The Attendant | Londra | 27a Foley Street - 74 Great Eastern Street | tel. +44  20 76373794- + 44 20 77290052  | the-attendant.com/

Caravan

Nasce a King's Cross ma conta oggi ben 3 punti vendita la caffetteria Caravan, con tanto di laboratorio di tostatura interno nella sede originaria. Oltre al caffè di produzione propria, Caravan offre anche un'ampia selezione di chicchi di altre realtà europee. Ma non solo: alta attenzione anche al cibo, dalla prima colazione al pranzo, con ingredienti naturali e di qualità. Un locale polifunzionale che è anche cocktail bar ma che non dimentica mai il punto di partenza, l'oro nero. Oltre agli immancabili espressi e cappuccini, è possibile ordinare degli ottimi caffè filtro, estratti con diversi metodi. Qualità, provenienza, sostenibilità, freschezza e rapporti diretti con i coltivatori: questi i principi alla base della selezione del team di Caravan.

Caravan | Londra | 1 Granary Square – 11/13 Exmouth Market - 30 Great Guildford Street | tel. +44 20 71017663 | www.caravanrestaurants.co.uk

Look Mum No Hands

È tutto ispirato al mondo del ciclismo il locale Look Mum No Hands (Guarda Mamma, Senza Mani) a Old Street, Islington. Qui è possibile acquistare magliette e pantaloncini da ciclista, borracce e l'ultimo numero di Boneshaker Magazine, la rivista britannica dedicata ai ciclisti appassionati. Ma il locale non è un negozio di articoli sportivi, tutt'altro: si tratta di una caffetteria di ricerca focalizzata sul caffè artigianale di qualità, più precisamente quello della torrefazione londinese Square Mile. Uno spazio polifunzionale insolito e originale nato nel 2010 per coniugare il mondo dei baristi a quello dei meccanici e degli chef, “tre figure che insieme possono prendersi cura di quasi tutti i bisogni dell'uomo”. Blend e monorigini sono disponibili per essere estratti in filtro o in espresso oppure miscelati a dovere con il latte per un cappuccino o un flat white. Oltre alla sede di Islington, la caffetteria conta anche un punto vendita in zona White Chapel.

Look Mum No Hands | Londra | 49 Old Street - 101 Back Church Lane | tel. +44 20 72531025 - +44 20 36218898 | www.lookmumnohands.com/

Monmouth Coffee Company

Nel cuore di Covent Garden, ma anche nel frenetico e popolare Borough Market e nella zona di Bermondsey, si trovano le caffetterie a marchio Monmouth Coffee Company, fra le prime ad aver portato a Londra la cultura degli specialty coffee. Poche miscele e tanti monorigini, per esaltare il gusto e il profilo aromatico di ogni caffè, restituendo valore alle proprietà organolettiche e qualitative di ogni chicco. L'espresso è ancora la bevanda maggiormente richiesta, ma da Monmouth si può degustare caffè filtro declinato nelle sue diverse sfumature dall'aeropress al v60.

Monmouth Coffee Company | Londra | 27 Monmouth Street - 2 Park Street - Arch 3, Spa North | tel. +44 20 72323010 - +44 20 72323010 - +44 20 72323010 | www.monmouthcoffee.co.uk/

Nude Espresso

Si trovano tutte e tre a Spitalfields, non distante dalla stazione metropolitana di Liverpool Street, la torrefazione e le due caffetterie di Nude Espresso. Aperto nel 2008, il primo bar firmato Nude Espresso si trova a Hanbury Street eoffre tutto il meglio del laboratorio di torrefazione. C'è la miscela della casa ma ci sono anche diversi monorigini, che cambiano periodicamente e sono disponibili sia in espresso che in filtro. C'è poi la caffetteria all'interno dell'antico Spitalfields Market, dove i caffè pregiati sono accompagnati da dolci tipici della tradizione anglosassone. E la scuola di formazione per baristi a Bell Lane, Shoreditch, con angolo bar annesso, proprio davanti al Petticoat Lane Market. Oltre a gustare i caffè della torrefazione, qui è possibile seguire lezione di caffetteria base, latte art e brewing (estrazione con metodo filtro).

Nude Espresso | Londra | 26 Hanbury Street - 8 Bell Lane - 4 Market Street | tel. +44 07 712899334 | www.nudeespresso.com

Ozone Coffee Roasters

È il 1998 quando Ozone Coffee Roasters, una delle realtà più complete e avanguardiste della città, apre i battenti a Shoreditch. “Fin dal primo giorno, abbiamo investito nel nostro prodotto, la nostra comunità e il nostro team”. Questa la filosofia alla base del lavoro di Ozone. “Dagli appassionati di caffè ai lavoratori nelle piantagioni, questo tipo di attività di consente di essere interconnessi con tante persone diverse ed è un vero privilegio”. Distribuito su due piani, il bar comprende sia il laboratorio di torrefazione al pianterreno sia la caffetteria al livello superiore. Ma il piano terra è dedicato anche alle sessione di cupping, degustazione ufficiale di caffè di diverso tipo “per garantire sempre il massimo della qualità”. Un indirizzo imperdibile per gli amanti della tazzina ma anche per i più golosi: qui è infatti possibile sostare per dei brunch di livello, con ricette tipiche della tradizione anglosassone realizzate a dovere, senza rinunciare a un tocco contemporaneo. Ma il protagonista è sempre l'oro nero, che da Ozone trova la sua massima espressione attraverso metodi di estrazione alternativi ed espressi d'autore.

Ozone Coffee Roasters | Londra | 11 Leonard Street | tel. +44 20 74901039 | ozonecoffee.co.uk/?v=cd32106bcb6d

Press

Stile anglosassone ma cuore italiano: a creare Press è stato Davide Pastorino, appassionato barista italiano che ha deciso di puntare tutto sugli specialty. “Avevo già lavorato presso diverse insegne di qualità a Londra quando, nel 2013, ho deciso di aprire la mia prima caffetteria insieme al mio socio Andy Wells a Fleet Street, di fronte la Corte di Giustizia”. Per garantire massima qualità del prodotto, i due soci lavorano a stretto contatto con i torrefattori dai quali si riforniscono, e ogni 4 mesi creano una miscela nuova per le bevande a base di latte. “Siamo stati anche in Colombia con i nostri importatori per toccare con mano il lavoro in piantagione. Abbiamo trovato una singola origine chiamata Edilma Piedrahita, che utilizziamo per l'espresso per il suo complesso profilo aromatico”. Selezionano poi anche i caffè da estrarre in filtro da diverse torrefazioni europee, che cambiano a rotazione. Batch Brew (la più richiesta), chemex e aeropress sono le tre estrazioni alternative disponibili da Press. Ma quali realtà italiane apprezza Davide? “Ditta Artigianale e Edo Quarta Specialty Coffee, che ho recentemente utilizzato al bar”. Per quanto riguarda il panorama europeo, sono i paesi scandinavi, “in particolare Copenaghen, Stoccolma e Oslo” i più affascinanti del momento, “con torrefazioni eccellenti come La Cabra, Tim Wendelboee Koppi”. Oltre alla caffetteria di Fleet Street, l'insegna conta anche un altro punto a Chancery Lane.

Press | Londra | 3 Fleet Street - 81 Chancery Lane | www.presscoffee.london

Prufrock

Jeremy Challender, uno dei fondatori di Prufrock – caffetteria a pochi passi dalle stazioni metropolitane di Chancery Lane e Farringdon – ha avuto l'idea per il suo locale mentre era a Sidney a suonare in una band insieme a uno dei baristi di Toby's Estate, caffetteria di ricerca australiana. “È stata la prima volta che ho visto qualcuno realizzare una rosetta sul cappuccino”, racconta. “Ho deciso di trasferirmi a Londra nel 2002 e ho iniziato a lavorare per Monmouth Coffee Company, dove ho imparato le basi della caffetteria”. Fino ad arrivare ad aprire un locale insieme al socio Gwilym Davies. Solo chicchi che hanno raggiunto almeno un punteggio di 85/100 secondo i parametri SCA vengono selezionati da Jeremy e Gwilym per il loro bar. Anche qui, la richiesta maggiore è quella di flat white, “realizzati con un latte inglese molto dolce da Northiam”, paesino di campagna del Sussex. Ma chi sono i modelli a cui ispirarsi per Prufrock? “Sicuramente Koppiin Svezia e LaCabrain Danimarca. E poi The Barn a Berlino”, mentre come torrefattori italiani stima molto Rubens Gardelli e Francesco Sanapo. Altre città interessanti da visitare per gli appassionati di caffè? “Bucarest e Praga”.

Prufrock | Londra | 23/25 Leather Lane | tel. +44 20 72420467 | www.prufrockcoffee.com

Woof Coffee

Fra gli ultimi nati c'è Woof Coffee, che ha aperto i battenti lo scorso aprile 2016 per idea di Alessandro e Tullio, entrambi con diverse esperienze passate alle spalle nel settore dell'ospitalità e del catering. “Lavoriamo con vari torrefattori che abbiamo conosciuto durante gli anni e cerchiamo sempre la qualità migliore”. Espressi e cappuccini sono alla base dell'offerta della caffetteria, disponibili sia nelle miscele che nelle singole origini, “che cambiano di volta in volta”. Le torrefazioni preferite? “Panama Varietal, un commerciante che ha diverse piantagioni attorno alla città di Bouquete, in Panama”, e poi anche Gardelli Specialty Coffees, Allpress, “il re dell'espresso in Nuova Zelanda”, e The Barn di Berlino. Come realtà inglese invece, consigliano la Square Mile di Londra. Più in generale, fra le città più interessanti anche i ragazzi di Woof Coffee posizionano al primo posto i paesi del Nord Europa, in particolare quelli scandinavi: “Oslo, Helsinki e Stoccolma sono luoghi da visitare! Sono fra i più grandi consumatori di caffè di qualità al mondo”. Ma per comprendere a fondo la cultura dell'oro nero, il viaggio da fare è sicuramente quello in Etiopia, “l'esperienza più significativa ed emozionante che un amante del caffè possa fare”.

Woof Coffee | Londra | 31 Broad Street | tel. +44 20 86162290 | www.facebook.com/woofcoffee

Workshop

Nasce nel 2011 a Clerkenwell, nel distretto di Islington, Workshop, la torrefazione con caffetteria che oggi conta 4 diversi punti dislocati per la città. “Abbiamo aperto con l'idea di offrire al pubblico uno sguardo più ampio e profondo del processo di tostatura”, racconta Richard Frazier, responsabile vendite. L'ideatore del bar/torrefazione è però JamesDickson, appassionato dell'oro nero che ha preso ispirazione per il suo lavoro dalla scena caffeicola australiana, dove il fermento per la qualità del chicco è iniziato molto prima rispetto all'Europa. La selezione del caffè di Workshop è curata nel minimo dettaglio: “ci rechiamo direttamente nei paesi di origine per scegliere i chicchi migliori, seguendo la crescita e la raccolta in piantagione”. Caffè che vengono poi estratti in espresso oppure con metodo filtro: “Utilizziamo molto la Fetco CBS, un sistema in grado di estrarre caffè in quantità in poco tempo, e poi anche l'aeropress”. Sono circa 9mila i caffè venduti ogni settimana nei vari punti Workshop, “e la maggior parte di questi sono bevande con il latte, dal cappuccino al flat white”. Le città europee più interessanti da visitare per un buon espresso o caffè filtro? “Berlino e Praga”.

Workshop | Londra | 27 Clerkenwell Road – 80 Mortimer Street – 60 Holborn Viaduct - 1 Barrett Street | workshopcoffee.com/

a cura di Michela Becchi

Tutti pazzi per l’Italia: la primavera dei ristoranti italiani a Los Angeles

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Los Angeles e la passione per il cibo italiano. Per quanto la gastronomia locale sia influenzata da stimoli provenienti dal Sud degli Stati Uniti e dal Messico, nella metropoli californiana è un grande momento per la cucina di casa nostra. Una sorta di “rinascimento italiano” sottolineato non solo dal successo consolidato di ristoranti storici e dalle nuove aperture previste, ma anche dai premi assegnati quest’anno dal Gambero Rosso.

La prospettiva italiana di Los Angeles

Non è passato molto tempo dal tour Tre Bicchieri negli States - che ha premiato le migliori realtà americane non solo del settore vitivinicolo ma anche di quello della ristorazione - e Los Angeles continua a lanciare chiari segnali di vitalità. Un fermento gastronomico segnato dallo stile italiano, che in città sembra essere diventato il trend più in voga.

Non è certo facile fare ristorazione di qualità in una metropoli come Los Angeles: un contesto urbano in perenne divenire, che pullula di stimoli e influenze di ogni tipo. Malgrado la concorrenza però non sono pochi gli imprenditori del cibo e gli chef italiani che costruiscono il loro successo ogni giorno su standard qualitativi elevati e su elementi di valore come creatività, voglia di sperimentare e innovare tenendo bene a mente le proprie radici.

 

I premi del Gambero Rosso

Con 12 milioni di persone distribuite su 200 chilometri di territorio, Los Angeles conta un numero altissimo di ristoranti e locali italiani. Qualche mese fa il Gambero Rosso ha fatto tappa nella metropoli americana per premiare le migliori realtà del food&wine: oltre al vino e all’olio, è stata la pizza verace la terza protagonista della premiazione. Al Barkar Hangar di Santa Monica è stato Vito Iacopelli lo chef pizzaiolo più celebrato per il suo Prova a Downtown LA, aperto 2 anni e mezzo fa. Con lui anche Piero Selvaggio, proprietario dello storico Valentino a Santa Monica, aperto nel 1972, premiato per la migliore carta dei vini grazie a una collezione che non ha paragone in tutti gli States. Dulcis in fundo, il miglior ristorante italiano a Los Angeles: Officine Brera, il nuovo progetto dello chef Angelo Auriana, negli Stati Uniti dal 1985. Ma non ci sono solo ristoranti dichiaratamente italiani ad aumentare la fama della nostra cucina a Los Angeles: sono diversi anche gli chef italiani che lavorano in locali centrati sullo USA Style, il cui successo è ampiamente riconosciuto, com’è avvenuto per Gianbattista Vinzoni e Alberico Nunziata.

 

Chef americani e ristoranti italiani: le novità della primavera 2017

E ora anche la stampa gastronomica locale sancisce la rinascita della cucina italiana in città, segnalando una serie di nuove aperture di primavera che alla tradizione italiana si ispirano, pur guidate da chef locali. Come Evan Funke, che presto aprirà Felix nel distretto di Venice. Forte di un viaggio durato due anni in Italia, Funke è pronto a offrire pasta fresca di alta qualità ai clienti. Il locale proporrà anche pizze classiche e creative, oltre ad avere un piccolo ma ben fornito angolo bar.

In arrivo anche Cosa Buona, di Zach Pollack: situato a Echo Park, proporrà i classici della gastronomia italo americana sia da asporto, che in modalità delivery. Il ristorante sarà aperto al pubblico solo a cena. Rossoblù è invece il ristorante che Steve Sansone ha progettato per anni, che vanta già una nutrita lista di prenotazioni ancor prima di aprire. Infine, Veranda, ristorante di prossima apertura presso l’Hotel Figueroa. Sarà lo chef Casey Lane a guidare la cucina di Veranda; specialità della casa pasta e pizza in primis, ma anche carne alla griglia e altre pietanza della tradizione italiana.

 

a cura di Francesca Fiore

 

Indirizzi

Cosa Buona | Los Angeles | 2100 W. Sunset Bolevard | apertura prevista ai primi di aprile 2017 | www.cosabuona.com

Felix | Venice, CA | 1023 Abbot Kinney Boulevard | apertura prevista per fine marzo 2017 www.felixla.com

Officine Brera | Los Angeles | 1331 E 6th Street | tel. +1 2135538006 | www.officinebrera.com

Prova | Los Angeles | 8729 Santa Monica Boulevard | tel. +1 3108557285 | www.pizzaprova.com

Rossoblù | Los Angeles | 1124 San Julian Street | apertura prevista ai primi di maggio 2017 |

Valentino | Santa Monica | 3115 Pico Boulevard | tel. +1 3108294313 | www.valentinosantamonica.com

Veranda - Hotel Figueroa | Los Angeles | 939 S Figueroa Street | +1 2136278971 | apertura prevista per metà aprile | www.hotelfigueroa.com

 

 

 

 

 

 

Nuove aperture a Roma. Cucina peruviana, cocktail e pizza per la primavera capitolina

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Aria di primavera in città tra inaugurazioni a lungo attese – da Romeo e Giulietta all'Osteria di Birra del Borgo, al ritorno di All'Oro – e formule all day long, per pranzo, aperitivo, cena (meglio se ispirata alla tradizione romana) e dopocena, anche in pieno centro. Dalla periferia est buone nuove per gli amanti della pizza. Ma arriva anche la cucina peruviana di Pacifico. 

Da Romeo all'Osteria di Birra del Borgo

Comincia con tante novità importanti la primavera della ristorazione capitolina. Non proprio rivelazioni sorprendenti, per dir la verità, dal momento che un'attesa crescente ha accompagnato gli ultimi mesi di gestazione di due progetti “gemelli per caso”. Mentre il nuovo Romeo e Giulietta all'Emporio festeggia la sua prima settimana d'apertura, gli spazi di via Silla dove l'idea di Cristina Bowerman e Fabio Spada è nata e cresciuta negli ultimi anni solo qualche ora fa hanno esordito in veste completamente rinnovata con una cerimonia inaugurale che sancisce il battesimo dell'Osteria di Birra del Borgo, e il sodalizio di una squadra di tutto rispetto, che vede in prima fila Leonardo Di Vincenzo, Gabriele Bonci e Leonardo Leuci.

La pizza di Gabriele Bonci, foto di Marco Cenci

L'ex concessionaria di Prati si presenta ora come una moderna birreria con cucina, con bancone da 24 spine e 4 linee a pompa che domina uno spazio da 100 coperti, tra sala e zona lounge. Dalla cucina arriverà la pizza di Gabriele Bonci, quella in teglia da mangiare al piatto, ma anche i prodotti del territorio laziale valorizzati dai cuochi della Taberna di Palestrina. Ai cocktail l'apporto del team del Jerry Thomas; mentre gli amanti della birra troveranno pane per i propri denti con il microbirrificio per la produzione sperimentale firmata Birra del Borgo. Il locale aprirà stabilmente al pubblico dal 27 marzo, con orario no stop dalle 12 alle 2.

La cucina dell'Osteria di Birra del Borgo, foto di Marco Cenci

 

Mangiare (e bere) bene nel cuore di Roma. Collegio e Clotilde

E nel frattempo anche il Collegio di piazza Capranica, di cui anticipavamo l'arrivo qualche mese fa, ha rinnovato la formula della storica Enoteca Capranica sotto l'egida della famiglia Santarelli (Casale del Giglio). In cucina c'è Alessandro Cecere con proposte che valorizzano la romanità a tavola, ai cocktail Emanuele Broccatelli. La formula già convince con una bella rivisitazione in chiave contemporanea di un'enoteca con cucina valido rifugio per ogni ora della giornata, proprio nel cuore della Roma barocca, a pochi passi da Montecitorio. Ma non molto distante, intanto, è arrivato anche Clotilde, che al pubblico capitolino a passeggio per la città offre un nuovo salotto gastronomico curato per qualità dell'offerta e personalità degli spazi. Del resto dietro all'impresa c'è un nome celebre della ristorazione romana, quel Clemente Quaglia titolare di Clemente alla Maddalena, che stavolta intitola il locale alla mamma Clotilde. La mano in cucina è quella di Giorgio Baldari (già cuoco di Terra Madre), gli ingredienti arrivano da realtà ben note del territorio (e non solo), la macelleria Feroci per la carne, Mauro Secondi per la pasta fresca, i tartufi di Savini. Sotto il cappello di Tradizione & Spirits, che ben riassume la voglia di valorizzare la tradizione gastronomica romana – dalle polpette di una volta ai ravioli di coda con pomodoro, pecorino e sedano croccante - ma pure l'idea di proporsi a chi tira fino a tardi per un cocktail della buonanotte. L'ambiente, ispirato al design anni Cinquanta e Sessanta, è stato curato dall'architetto Danilo Maglio. Si apre per pranzo, aperitivo, cena e dopocena.

 

Pacifico a Palazzo Dama

Restiamo in centro città, gravitando nel dedalo alle spalle di piazza del Popolo (che da pochi giorni ha salutato il nuovo corso di All'Oro, nell'ambito del più ampio progetto di ospitalità The H'All Tailor Suite di Riccardo Di Giacinto e Ramona Anello), per incrociare i primi passi capitolini di Pacifico, il ristorante e pisco bar peruviano firmato Jaime Pesaque, che da un paio d'anni imperversa a Milano. Tra qualche giorno, con l'inaugurazione ufficiale dello spazio (già operativo in soft opening), i clienti e gli ospiti di Palazzo Dama potranno ordinare ceviche e tiradito, ma anche una rivisitazione dei più classici dim sum cinesi, in accompagnamento alle salse peruviane ideate dal team dello chef sudamericano, che per la nuova avventura romana ha studiato anche un menu disponibile per il servizio in camera h 24. Nella Capitale la cucina sarà seguita direttamente da Nazaev Esparza Zaragoza, reduce dall'esperienza del Mayta Dubai. Al bar invece si potrà sorseggiare un Pisco Sour della casa, per calarsi meglio nella parte. Ci auguriamo solo che il progetto dimostratosi credibile sulla piazza meneghina (così come in altre capitali del Nord Europa) non si trasformi a Roma in un semplice ricettacolo di vip e starlette in cerca di gloria.

E intanto aspettiamo di scoprire se un altro spazio estremamente affascinante di recente restituito alla città – quello dei Giardini di Donna Olimpia Pamphilj di vicolo Santa Maria in Cappella a Trastevere – saprà offrire una proposta gastronomica all'altezza del progetto di rinnovamento ribattezzato Ostello Eitch Borgo Ripa. L'intenzione, convalidata dall'accordo tra la Fondazione Santa Francesca Romana e il Trust Floridi Doria Pamphilj, è quella di proporre nei luoghi dell'ex Ospitale di Santa Francesca Romana un'ospitalità curata a prezzi contenuti. Che ne sarà dell'offerta ristorativa?

 

I cocktail di Iodio

Ci spostiamo in periferia per rintracciare progetti che nascono o stanno prendendo forma. Sulla via Ostiense, dove la consolare si appropinqua alla via del Mare, per esempio, a un anno dall'esordio Iodio inaugura un angolo cocktail bar per accompagnare la cucina di mare di Patrizio Alunni Tullini, che del piccolo ristorante di pesce è chef e patron. Il menu è quello di sempre, con il pesce che arriva freschissimo dalle aste di Anzio, Terracina e Orbetello. E le ostriche di Corrado Tenace. La carta di bollicine e vini, italiani e francesi, pure. Ma l'arrivo della primavera segna il battesimo di una drink list da sorseggiare nel dehor, magari in attesa della cena, in abbinamento ai cosiddetti “pesciolini”, versione ridotta degli antipasti caldi dello chef. Cinque i cocktail d'esordio, dall'Anzio con gin e savuer floreale al Bianco Sbagliato, con Biancosarti e Vermouth bianco, al classico Kir Royale.

 

Novità Pizza. Pizza e Tata e Bonelli al forno a legna

Dall'altra parte della città, quadrante est, nel mese di aprile arriverà la pizza del Tre Spicchi Spirito Divino di Montefalco. L'anticipazione arriva da Puntarella Rossa, che svela i primi dettagli sul grande spazio di viale Spartaco (zona Quadraro Nuovo) che ospiterà il forno a legna di Pizza e Tata, come si chiamerà la prima insegna capitolina di Stefano Scisciola, che in Umbria ha portato l'eccellenza della pizza napoletana. Nella Capitale lavorerà la sua squadra di pizzaioli, per proporre pizza tonda o al metro da lievito madre. E si replica anche il servizio di baby sitting già sperimentato a Montefalco. Ma sulla pizza, quella romana però, ha deciso di scommettere anche un'altra vecchia conoscenza delle guide del Gambero Rosso. La pizzeria con “ciccia e sfizi” dell'Osteria Bonelli aprirà in via dei Gelsi (Centocelle, non troppo distante dal primo locale) ad aprile, con l'idea di offrire alla numerosa clientela che cerca di accaparrarsi un tavolo alla trattoria dell'acquedotto Alessandrino (premiata l'anno scorso per l'ottimo rapporto qualità/prezzo) uno spunto in più per trascorrere la serata a tavola. Cinque serrande su strada per 130 metri di locale, che presenterà un angolo bar per l'accoglienza, una prima saletta per cenare e una seconda sala più ampia (una sessantina di coperti in tutto). Oltre al giardino interno da utilizzare nella bella stagione. Forno a legna a vista (Bonelli al forno a legna si chiamerà la pizzeria) per una pizza tonda croccante e asciutta, “ma l'impasto è ancora al vaglio”, farcita con ingredienti locali e selezionati sul territorio italiano, dalla mozzarella di Amaseno alla mortadella Palmieri. In carta 8 bianche e altrettante rossa, più una selezione di antipasti caldi dalla cucina (oltre ai fritti della tradizione, come il filettone di baccalà già must della trattoria): dadini di trippa alla romana, polpettine al sugo, verdure marinate e di stagione. E poi la carne, tre tagli – filetto, controfiletto e costata – cotti al grill. Per uno scontrino medio che punta a restare su prezzi popolari. Come Osteria Bonelli comanda.

 

I Canovacci di Federico Iavicoli a teatro

Chiudiamo la rassegna con un progetto in partenza che ci piace perché restituisce al teatro la sua dimensione più conviviale e vissuta: Canovacci è il progetto dell'Associazione culturale Tre Grazie che porta all'interno del Teatro Parioli le divagazioni gastronomiche di Federico Iavicoli (vecchia conoscenza dei gourmet romani con l'indimenticato Spasso Food, a piazza Re di Roma). Il calendario degli appuntamenti, dal 4 aprile, proporrà una serie di laboratori, eventi e degustazioni guidate, supervisionate dal “gattochef”, con la collaborazione del barman Ludovico Lembo per le lezioni sul bere miscelato, di Manuela Mancino, Fabrizio Pagliardi e Corrado Tenace per i laboratori tematici che si avvicenderanno (solo su prenotazione, sul sito canovaccilab.wordpress.com ).  

 

Osteria di Birra del Borgo | Roma | via Silla, 26 | tel. 06 83762316 | www.birradelborgo.it

Romeo e Giulietta | Roma | piazza dell'Emporio, 28 | tel. 06 32110120

Collegio | Roma | piazza Capranica, 99 | tel. 06 69940992 | www.collegioroma.com

Clotilde | Roma | piazza Cardelli, 5 | tel. 06 68805145 | www.ristoranteclotilde.it

Pacifico | Roma | Palazzo Dama, lungotevere Arnaldo da Brescia, 2 | www.palazzodama.com

Iodio | Roma | via Ostiense, 503 | tel. 06 5415034 | www.iodioroma.it

Pizza e Tata | Roma | via le Spartaco, 76 | tel. 06 764898 | www.pizzaetataroma.it | da aprile

Bonelli al forno a legna | Roma | via dei Gelsi | da aprile

 

a cura di Livia Montagnoli

 

I Maestri del brivido su Gambero Rosso Channel. Un programma dedicato ai grandi gelatieri d'Italia

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Dieci puntate per dieci maestri che hanno fatto la storia del gelato di qualità italiano. E tanti gusti da scoprire, che rappresentano il territorio, gli ingredienti e le tradizioni della Penisola, per illuminare quel mondo della gelateria d'autore che Gambero Rosso cominciava a sondare già nel 2000. 

I Maestri del brivido. 17 anni dopo

Luglio 2000. La copertina del Gambero Rosso di allora titolava ai gelatieri della nuova generazione che fu. In primo piano, sorridenti e un po' impacciati, Sal de Riso, Palmiro Bruschi e Giancarlo Timballo, “I Maestri del brivido”. Tre artigiani del gelato per parlare di materie prime nobili e tecnologia applicata al settore ben prima che l'interesse mediatico e una consapevolezza diffusa e crescente su ciò che mangiamo facesse anche del gelato materia di cui discutere e sulla quale scommettere per valorizzare la scuola del made in Italy fatta di dedizione, mestiere, competenza e qualità. A distanza di oltre 15 anni, quando il mito da sfatare era legato principalmente all'immagine del gelatiere-alchimista che miscela polverine di dubbia provenienza, la fama del gelato di qualità è cresciuta in tutta Italia, e tanti sono i protagonisti che lo rappresentano con merito da Nord a Sud della Penisola. Tanto che qualche mese fa, proprio il Gambero Rosso ha preso in carico l'impegno di censire i migliori, pubblicando la prima guida sulle Gelaterie d'Italia nella storia dell'editoria di settore. E allora perché non continuare a illuminare l'universo del gelato artigianale regalandogli l'attenzione e il riguardo che merita? Dal mese di aprile, Gambero Rosso Channel trasmetterà I Maestri del brivido, un nuovo format in dieci puntate girato alla Città del gusto di Roma, che proprio all'articolo pubblicato su quel numero estivo di tanti anni fa si ispira nel titolo, ma pure per rintracciare tre tra i protagonisti che animeranno il programma, tra consigli per l'uso, assaggi e segreti del mestiere.

I Maestri del brivido in tv

Ogni puntata, mezz'ora circa di messa in onda sul canale 412 di Sky, sarà dedicata a uno di loro, alla sua storia e al gelato che più li rappresenta, per tradizione, territorio, inclinazione personale. Palmiro Bruschi da Sansepolcro – nel 1995 primo campione italiano di gelato – per esempio, proporrà le sue basi, il fior di latte (che per un gelatiere rappresenta la prova dello spaghetto al pomodoro, il gusto più “semplice” con cui è impossibile non confrontarsi), e la crema. Giancarlo Timballo da Udine, un veterano del settore, invece si presenta al pubblico di Gambero Rosso Channel con un gelato ai fiori eduli. Ma cercherà anche di raccontare un metodo semplicissimo e molto antico per realizzare il gelato in casa, a mano con l'aiuto di ghiaccio e sale. Perché l'obiettivo de I Maestri del brivido è sì quello di raccontare i grandi gelatieri italiani e le loro specialità, ma pure quello di coinvolgere chi a casa ha voglia di provarci in prima persona, con la proposta amatoriale che si affianca al gusto d'autore. La compagine dei maestri è nutrita, è tutta da scoprire: ci sono Sergio Dondoli da San Gimignano, con la sua crema di Santa Fina, e poi Sergio Colalucci da Nettuno, sul litorale laziale, Paolo Brunelli da Senigallia che propone il suo sorbetto al cioccolato (premiato per l'altrettanto celebre gelato al cioccolato sulla guida Gelaterie d'Italia 2017) e Sal De Riso con il gelato da pasticceria che parla la lingua del Sud. E ancora Candida Pellizzoli, Cinzia Otri, Raffaele CuomoDavide de Stefano. Dal gelato salutare al datterino e lampone al sorbetto al bergamotto, allo zabaione con vinsanto, un brivido sempre diverso da scoprire su Gambero Rosso Channel. Intanto ecco un assaggio dal backstage con Sal De Riso.

 

 

Chi sono I Maestri del brivido

Palmiro Bruschi

Giancarlo Timballo

Paolo Brunelli

Sergio Dondoli

Sergio Colalucci

Candida Pellizzoli

Sal De Riso

Cinzia Otri

Raffaele Cuomo

Davide de Stefano

 

I Maestri del brivido | Gambero Rosso Channel, canale 412 di Sky | da aprile

 

a cura di Livia Montagnoli

I migliori mieli d'Italia. Apicoltura Bianco di Guardiagrele

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Un apicoltore nomade abruzzese che da quasi 20 anni produce mieli di diverso tipo spostandosi con le sue api in diverse zone della Penisola alla ricerca del nettare migliore. È Alfonso Bianco che ci racconta la sua storia.

Le origini

Lavoro il miele da più di 30 anni ma l'azienda nasce ufficialmente nel '98” racconta, e aggiunge:“Vengo da una famiglia di agricoltori e il contatto con la natura per me è stato sempre fondamentale”. E fra le varie possibilità che il lavoro in campagna offre, Alfonso Bianco ha scelto l'apicoltura: “la tradizione del miele in Abruzzo è molto antica. Già nell'Ottocento, tutti i contadini con un appezzamento di terra avevano anche qualche alveare”. Da 19 anni, l'apicoltore produce mieli di diverso tipo raccogliendo nettare in varie zone d'Italia, seguendo i principi dell'apicoltura nomade. “Sono autodidatta, non ho seguito nessun corso, anche perché 20 anni fa c'era molta meno informazione e formazione di adesso”. Comincia così, con qualche arnia, poca esperienza e una grandissima passione per la terra e il suo territorio: “Produco mieli spostandomi in giro con le mie api, ma non rinuncio mai ai prodotti tipici della zona, come il millefiori di montagna. Sono il mio orgoglio”.

La produzione

Il miele di castagno è prodotto a Pescorocchiano, nella provincia di Rieti, quello di girasole nelle Marche, quello d'arancio a Taranto, ma i due prodotti di punta, miele di acacia e millefiori di montagna sono fatti in Abruzzo, nella zona della Maiella, “a Pescocostanzo, Rivisondoli, Roccaraso” per la precisione. Questa la produzione di Alfonso, che si aggira attorno ai 200/250 quintali l'anno, “venduti principalmente in Abruzzo ma anche fuori grazie al canale distributivo di Eataly Roma, dove sono entrato nel 2012”. Attraverso il colosso firmato Farinetti, l'azienda oggi riesce a vendere anche all'estero. “Abbiamo anche dei clienti diretti in diversi paesi stranieri, in particolare Belgio e Lussemburgo”. Oltre al miele, ci sono altri prodotti dolci a base di frutta secca ed erbe spontanee di montagna: “Abbiamo una linea di Ghiottonerie al miele, conserve con pasta di frutta – che acquisto da produttori locali – senza conservanti né dolcificanti, a parte quello naturale del miele”. E poi la crema di nocciole, i vasetti di frutta secca mista con miele d'acacia, la conserva di uva montepulciano,“tipica della mia regione”, e il liquore alle erbe spontanee,“realizzato con 22 diverse piante amaricanti e digestive”. E ancora crema di miele con zenzero e curcuma, miele e zafferano, “esclusivamente abruzzese”, e pepatelli “senza pepe” al miele, biscotti tipici del territorio solitamente consumati a fine pasto accompagnati da un bicchiere di Montepulciano.

Miele liquido e cristallizzato

Il prodotto più richiesto? “Sempre l'acacia, il più classico dei mieli e soprattutto il più apprezzato da tutti, grandi e piccini”. Ma perché? “Per la sua consistenza: l'acacia tende a rimanere liquido più a lungo e ai consumatori il miele fluido piace di più, un po' perché è da sempre l'immagine canonica del miele che troviamo su riviste, libri e negli spot pubblicitari, e un po' perché la maggior parte delle persone non sa come mangiare il miele cristallizzato”. Quest'ultimo, infatti, andrebbe dapprima “sgretolato” in superficie, “in modo da rompere la massa di cristalli di glucosio addensati e renderlo morbido e spalmabile”. Si ottiene così un miele dalla consistenza più cremosa, “perfetto anche da mangiare in purezza direttamente dal cucchiaino”.

La conservazione del miele

Alfonso fornisce anche un altro prezioso consiglio ai consumatori più golosi, quello per la corretta conservazione del miele: “Il vasetto va sempre tenuto in una zona buia e asciutta, ma soprattutto deve essere ben chiuso e pulito”. Perché, motivi igienici a parte, fuoriuscendo dal barattolo il miele assorbe odori e umidità che vengono trasmetti anche all'interno del vasetto e, in questo modo, “il prodotto si deteriora molto di più e molto più in fretta di quanto farebbe naturalmente”. Ma quanto a lungo si può conservare un barattolo di miele? “La scadenza massima prevista dalla legge è di 4 anni ma molti apicoltori, me compreso, indicano in etichetta un limite di 3 anni”. La durata del prodotto dipende principalmente dall'umidità, “se supera la soglia del 18% iniziano a formarsi lieviti all'interno del miele, che comincia a fermentare”. Un consiglio per chi ama i mieli liquidi? “Tenerli in frigorifero. Sotto la temperatura di 5°C, il prodotto non cristalliza”.

Formazione e informazione

Quando, 19 anni fa, Alfonso ha iniziato a seguire le api, non esistevano corsi di formazione o lezioni di assaggio, “o comunque se ne parlava poco”. Oggi invece sono diverse le possibilità di imparare qualcosa in più sul nettare degli dei, “soprattutto al Nord Italia, dove ci sono diverse organizzazioni molto impegnate sul fronte della formazione”. Alfonso non tiene corsi di apicoltura, “mi è stato chiesto più volte ma al momento non ho molto tempo libero da dedicare alle lezioni”, ma la sua azienda è aperta per visite scolastiche e gruppi studio: “Abbiamo adottato la linea della fattoria didattica. I bambini imparano in fretta e sono molto affascinanti da lavoro delle api, da sempre strettamente legato al mondo delle fiabe”. Fondamentale, poi, è anche il corso di analisi sensoriale di miele, e più in generale la comunicazione corretta di questo prodotto: “tante realtà editoriali, Gambero Rosso in primis, da diversi anni si stanno interessando sempre di più al miele e al lavoro di noi apicoltori. Una corretta informazione è essenziale per promuovere la cultura del miele di qualità e aumentare consapevolezza nei consumatori”. Il pubblico sembra comunque sempre più interessato e attento, “grazie anche al grande lavoro degli chef, che scelgono di utilizzare il miele in cucina e non solo in pasticceria”.

Apicoltura Bianco | Guardiagrele (CH) | via Sciusciardo, 10 | tel. 0871 893422 | www.apicolturabianco.it/

a cura di Michela Becchi

I migliori mieli d'Italia. Giorgio Poeta di Fabriano

I migliori mieli d'Italia. Carlo Amodeo di Termini Imerese

I migliori mieli d'Italia. Delizie dell'Alveare di Tornareccio

Conoscere e capire il miele: glossario essenziale

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