Quantcast
Channel: Gambero Rosso
Viewing all 5335 articles
Browse latest View live

Il Rum è Servito. Il tour di Ron Zacapa a Firenze e Verona: La Leggenda dei Frati e Osteria Ponte Pietra

$
0
0

Ancora due cene all'insegna dell'abbinamento insolito cibo/rum con i menu ideati da chef di talento della ristorazione italiana. Si comincia il 21 marzo a Firenze, ospiti di Filippo Saporito. Poi il tour arriva a Verona, per scoprire la cucina di Michael Silhavi. 

Il 2017 di Ron Zacapa e Gambero Rosso insieme è appena ricominciato, e già il tour de Il Rum è Servito entra nel vivo. L'iniziativa promossa per valorizzare le qualità del rum guatemalteco si protrae ormai da diversi anni, per dimostrare che un altro abbinamento – a tutto pasto – è possibile. E tanti sono stati i ristoranti coinvolti, selezionati tra le migliori tavole della guida Ristoranti d'Italia. Agli chef il compito di rischiare accostamenti inconsueti, per concordanza o contrasto, studiando un menu dedicato agli ospiti della serata. La prossima tappa, martedì 21 marzo, porterà Zacapa a Firenze, ospite di una delle insegne più suggestive della città, per posizione e qualità della proposta gastronomica. In cucina Filippo Saporito, che ormai da un paio d'anni ha trovato casa a Villa Bardini, circondato dai giardini che digradano verso l'Arno e il cuore della città. E per l'occasione La Leggenda dei Frati porterà in tavola un assaggio di quella cucina di territorio valorizzato da una grande competenza tecnica e dall'estro dello chef:

 

Aperitivo di benvenuto con focaccia ai sette cereali e “burro del Chianti”


Crostata croccante di cipolle rosse di Certaldo, salsa alla “carbonara”

Ron Zacapa 23

Tortelli di lingua di vitello, il suo fondo, limone candito e salsa verde all’italiana

Ron Zacapa Edicion Negra

Guanciola di vitello, patate schiacciate, funghi al timo

Ron Zacapa Edicion Negra

Zuppetta di tapioca e cocco, sorbetto al lampone

piccola pasticceria

Ron Zacapa X.O.

 

Il giorno seguente sarà già tempo di spostarsi a nord, direzione Verona. Qui mercoledì 22 marzo il rum di Zacapa sarà protagonista sulla tavola dell'Osteria Ponte Pietra, in abbinamento alla cucina di Michael Silhavi. Il piccolo locale affacciato sull'Adige beneficia da qualche anno del talento del giovane chef in arrivo dalla cucina di Giancarlo Perbellini, che si muove tra ricerca e territorio raggiungendo un piacevole equilibrio nel piatto. Questo il menu studiato per la serata Zacapa:

 

 Benvenuto della cucina

 

Ricciola con finocchio brasato, pompelmo e olive

Ron Zacapa 23

Risotto fumo e bottarga

Ron Zacapa Edicion Negra

Petto d'anatra con carciofi, menta e lime

Ron Zacapa Edicion negra

Pre dessert 

Cioccolato bianco, tè nero e caffè 

Ron Zacapa X.O.

 

Le cene si possono prenotare direttamente ai recapiti dei ristoranti interessati.

 

Il Rum è Servito | La Leggenda dei Frati | Firenze | Villa Bardini, Costa San Giorgio, 6a | il 21 marzo | tel. 055 0680545 | www.laleggendadeifrati.it

Il Rum è Servito | Osteria Ponte Pietra | Verona | via Ponte Pietra, 34 | il 22 marzo | tel. 045 8041929 | www.ristorantepontepietra.com

 


Alex Atala espande il suo gruppo di ristorazione. Un nuovo format casual e salutare a San Paolo

$
0
0

Aprirà ad aprile, ma ancora trapela pochissimo sul nuovo ristorante che lo chef brasiliano inaugurerà a San Paolo, dove già detiene due stelle per il D.O.M. e dallo scorso anno gestisce il ristorante con macelleria Acougue Central. Stavolta protagonista è la cucina naturale, con i prodotti del territorio brasiliano. 

Grandi chef, fast food

David Chang e - presto - Mark Ladner a New York, Nuno Mendes a LondraDavid Munoz con la formula Streetxo fresca esordiente a Londra. E ancora in Spagna, nei Paesi Baschi, per trovare l'ultimo grande chef che in ordine di tempo ha scelto di cimentarsi con il casual dining, Andoni Luis Aduriz e la sua Topa Sukalderia. Cucina d'autore a piccoli prezzi, quando non addirittura street o fast food riabilitati dall'interessamento dei protagonisti della ristorazione mondiale (e Fuku, Locol o l'imminente Pasta Flyer ne sono gli esempi più celebri). Da qualche anno a questa parte è tutto un fiorire di format pop che riconciliano la figura intoccabile dello chef stellato con una platea ampia e diversificata, con l'obiettivo di diffondere il verbo di un'alimentazione più consapevole ed equilibrata. D'altra canto è vero che il desiderio di evadere dal rigore di cucine blasonate e brigate da coordinare a ranghi serrati accomuna un numero sempre maggiore di chef-star. Poi, chiaramente, c'è la voglia di percorrere nuove strade, ampliare l'orizzonte alle realtà che per e con il mondo dell'alta ristorazione fanno affari, e trovano di che sostentarsi.

 

Alex Atala. L'espansione del gruppo D.O.M.

È quello che succede in Brasile, dove Alex Atala è lo chef più rappresentativo del Paese, l'unico a conquistare le Due Stelle (dal 2015) per la proposta del D.O.M., da diversi anni ai vertici della ristorazione mondiale. Ma lo chef di San Paolo è anche promotore di un rete di sostegno e valorizzazione della cultura gastronomica locale e dei prodotti di un territorio vasto e ricco di potenzialità. Nel 2016, mentre scalava gli indici di gradimento internazionali protagonista pure della seconda stagione di Chef's Table su Netflix, Atala concretizzava il progetto Atà, attivo ormai da quattro anni, conquistando un'area del Mercado de Pinheiros a San Paolo per promuovere la vendita di ingredienti in arrivo da tutto il Brasile, e sostenere la biodiversità alimentare. E sempre nel corso dell'anno apriva i battenti Acougue Central, ristorante con macelleria firmato Atala, che intercettava un trend particolarmente attuale in Sudamerica (anche Mauro Colagreco ci sta provando in Argentina, con Carne).

 

L'ultima sfida. Cucina naturale e self service

Il 2017 invece si apre all'insegna della cucina naturale, e già tra qualche settimana, entro il mese di aprile, l'ultima prova di Alex Atala (che sembra averci preso gusto) e del suo gruppo di ristorazione (il D.O.M. Group Restaurant) prenderà forma in città per dare a San Paolo “esattamente ciò che vuole”. Nello specifico, come lo chef anticipa in un'intervista su Eater, una tavola casual, salutare e biologica, che valorizza i prodotti del territorio, ma in modo innovativo. Questa la promessa di Atala, che anticipa solo qualche dettaglio di un format ancora senza nome, e tenuto segreto fino a qualche giorno fa: isole tematiche dedicate alle diverse materie prime – dalla tapioca ai formaggi brasiliani, alle bacche di acai – e un servizio misto, al tavolo o self service che renderà l'atmosfera particolarmente informale, oltre a facilitare la gestione di una sala da molti coperti (su 600 metri quadri di spazio), con l'idea di servire circa 500 clienti al giorno, dalla mattina alla sera. Una sfida ancora diversa, insomma, in cui molto conterà la cucina – che lavorerà molto sull'abbattimento degli scarti – ma altrettanto la capacità di intuire una formula di ristorazione economica e sostenibile insieme, veloce ma curata, salutare ma gustosa.   

 

a cura di Livia Montagnoli

Casa Setaro, la cantina campana che ha riscoperto il caprettone

$
0
0

L'azienda vitivinicola c'è dal 2005, ma la storia di queste vigne e di questa cantina è molto più lunga. Si deve cercare in una tradizione familiare di vecchia data, in una passione che si è evoluta nel tempo e che ha ridato dignità a un autoctono quasi dimenticato.

Casa Setaro

Una vera casa cantina a testimoniare il forte legame che esiste tra la famiglia Setaro e la tradizione vinicola partenopea. Siamo a Trecase, piccolo comune alle falde del Vesuvio, dove le vigne si poggiano su un suolo grigio, composto da pietra lavica e lapilli, una delle terre più ricche di minerali al mondo e più fertili della Campania. Peculiarità che hanno permesso la coltivazione della vite sin dai tempi della Magna Grecia, territori in cui si colloca oggi l'azienda di Massimo e Mariarosaria Setaro, che portano avanti i loro progetti vinicoli sin dal 2005.

 

L'azienda

Setaro è un'azienda che nasce fondamentalmente per passione e dal lavoro intrapreso dai miei genitori” racconta Massimo Setarononostante i miei continui viaggi mi abbiano portato ad allontanarmi da quel mondo contadino, quando ritornavo ribolliva in me la passione per la campagna; quando poi i tempi sono diventati maturi ho sostituito mio padre”. In che modo è subentrato nell'attività di famiglia lo spiega con semplicità: “non sono un imprenditore del vino, ho semplicemente preso le vigne dei miei genitori e ho cercato di tradurle in una dimensione enologica, in quanto mio padre vendeva le uve e vino sfuso. L'azienda è nata quando avevo 34 anni, nel 2005 e oggi conta dieci ettari per circa 50000 bottiglie”.

 

l terrenoIl terreno 

Il territorio

I vigneti si collocano tutti all'interno del Parco Nazionale del Vesuvio, divisi in due diverse zone. L'area più alta è detta Alto Torrione, qui il sistema di allevamento praticato è il guyot e il terreno, costituito da sabbia e lapilli, ha permesso la coltivazione di viti a piede franco, con piante non intaccate dalla fillossera che in terreni così sciolti e sabbiosi non riesce a sopravvivere. L'altro vigneto è invece in località Bosco del Monaco, più a valle, dove dimorano vecchie vigne allevate con il sistema della pergola vesuviana. “Tutte le nostre vigne sono prefillossera e si collocano su territori vulcanici dove utilizziamo tecniche antichissime di coltivazione. Un esempio è 'o calaturo', propaggine in italiano: consiste nel prendere un ramo della pianta, interrarlo per circa 70 centimetri di profondità e asportare un anello di corteccia per creare una cicatrice dalle quali si formeranno le nuove radici. Dopo sarà possibile separare il ramo dalla pianta madre e avere così una nuova pianta a piede franco. Una tecnica molto antica, che richiede molto tempo”.

 

Il caprettone, vitigno autoctono vesuviano

Oggi l'azienda confeziona in tutto sette etichette, tutte da vitigni autoctoni a piede franco come il caprettone, la falanghina, il piedirosso e l'aglianico. In particolare il caprettone è una varietà autoctona storica campana, confusa per anni con la coda di volpe e riscoperta da pochissimi coltivatori del Vesuvio. Un'uva che deve il suo nome probabilmente alla forma del grappolo che ricorda la barbetta della capra, ma c'è anche chi ritenga che questa parola sia riconducibile alle vigne che guardando Capri, da questo i pastori gli avrebbero conferito questo nomignolo.

{gallery}cantina setaro{/gallery}

 

La vinificazione tradizionale

Certamente spetta a Massimo il merito di aver riportato in auge la fama di questo vitigno che dà vita a bianchi freschi, sapidi, dai piacevoli profumi agrumati e di fiori di campo. “Il vecchio disciplinare prevedeva nella denominazione Lacryma Christi l'unione tra caprettone e falanghina. Ma questa mescolanza non aveva senso: sono due vitigni diversi dove l'uno non integra l'altro” ricorda Massimo. “Questo vino era molto diverso da quello oggi prodotto: il caprettone veniva allevato con sistemi a pergola, perché forniva rese maggiori e si raccoglievano le uve a ottobre inoltrato, defogliando violentemente le piante per fornire ai grappoli tutto il sole possibile” spiega ancora, e continua “Tale pratica comportava la nascita di un vino dolce, perché la raccolta tardiva assicurava un aumento della carica zuccherina. 'Chiu va avanti, chiu saglie o zucchero' più si va avanti nel tempo, più aumenta lo zucchero, così dicevano i contadini. Ovviamente il vino perdeva di acidità e per non renderlo stucchevole si aggiungeva la falanghina al caprettone”.

 

La strada della vitivinicoltura moderna

Le pratiche produttive a Casa Setaro oggi sono totalmente diverse: si confezionano etichette con caprettone in purezza, si garantisce un bagaglio aromatico più complesso e un buon nerbo acido; si realizzano versioni di vino da questo vitigno sia ferme che spumantizzate. “Abbiamo abbassato le rese e raccogliamo nella prima quindicina di settembre dove il grado zuccherino è arrivato al suo punto migliore ma anche all'acidità giusta per evitare di inserire la falaghina” questo per valorizzare al massimo quest'uva: “Il caprettone è un vitigno che si era perso nel tempo per l'abbandono delle terre e perché si pensava che fosse meno nobile della falanghina”.

Ma come spesso accade cantina e vigna riservano delle sorprese. “Oltre alle nuove piante abbiamo anche vigne vecchie di 150 anni e in cantina bottiglie di annate antecedenti al 2005. In particolare conserviamo una bottiglia dell'annata 1987 che mio padre imbottigliò quando nacque la figlia di mia sorella, la sua prima nipote. Una bottiglia che mio padre conservò sotto la cenere del Vesuvio”.

 

Casa Setaro |Trecase (NA)| via Bosco del Monaco, 34 | tel. 081 8628956 | http://www.casasetaro.it/

 

a cura di Stefania Annese

Tramezzino.it: storia di imprenditoria e di delivery a (partire da) Milano

$
0
0

Hanno iniziato nel 2000, quando il termine delivery era ancora lontano dal mettere radici in Italia, e quando creare un business basato solo sulla consegna a domicilio era impensabile. Ma gli ideatori di Tramezzino.it lo hanno fatto e oggi contano 6 punti vendita a Milano e una rete di servizi dislocata per diverse città della Penisola.

L'attività

I tramezzini buoni a Milano mancavano, le aziende erano il giusto target a cui rivolgersi e il 2000 era il periodo in cui tutto ciò che apparteneva al mondo del web e digital era sinonimo di innovazione e qualità”. Questa la formula vincente di Tramezzino.it, un servizio di consegne a domicilio basato – almeno in principio – esclusivamente sui tramezzini, “quelli buoni, fatti con prodotti genuini, di qualità e sani, tutti artigianali”. Una piattaforma dove ordinare online un pranzo o uno snack salutare, rivolta a tutti ma con un focus particolare per le aziende: “L'ufficio è il luogo in cui c'è più necessità di ordinare un pasto veloce per la pausa pranzo e così abbiamo deciso di puntare su questa fetta di clientela”. È stato Giorgio Castriota ad avere l'idea, ex socio del progetto ora non più presente all'interno dell'azienda. Dal 2006, a tenere le redini dell'attività è Giampiero Pelle, romano di origine e milanese di adozione che ci ha raccontato la storia di Tramezzino.it, e tutti i nuovi ambiziosi progetti.

L'idea

Giorgio è originario di Crema, città dove è possibile mangiare dei tramezzini eccellenti. L'idea dell'attività nasce dalla semplice constatazione della mancanza di un prodotto simile a Milano”.Giorgio e Giampiero, nessuna esperienza precedente nel settore enogastronomico - “lui si occupava di turismo, io di comunicazione” -insieme riescono a creare un colosso del delivery a tutti gli effetti. È il 2000 quando Tramezzino.it inizia a consegnare sandwich farciti in vari uffici milanesi, “e il successo è stato immediato”. Complice l'assenza di competitor, l'attività conquista il pubblico meneghino fin dall'inizio: “Si è generato un bel passaparola e abbiamo potuto godere da subito di tanta pubblicità. Varie testate locali sono state molto incuriosite da questo progetto, una vera novità a quei tempi”. Un laboratorio centrale e consegne in tutta la città, “con motorino e borse termiche apposite”: questo, almeno, è il punto di partenza milanese. Il progetto si è poi esteso anche a Torino, Bologna, Roma e Rovato, in provincia di Brescia, e si è evoluto nell'offerta e nella formula.

 

Foodie's

Il packaging, la grafica e la scelta di non pubblicizzare

Il packaging è stato uno degli elementi che ha contribuito maggiormente al nostro successo”. Scatole di carta legate con lo spago “per restituire l'idea di artigianalità”, pratiche, compatte e facili da trasportare, “con una scatola grande 40x30 cm ci mangiano 10 persone”. A curare la grafica, Artefice Group, una realtà di comunicazione e consulenza per vari brand, non solo alimentari, con sede a Milano: “Con loro abbiamo creato l'identità del nostro marchio e ora stiamo lavorando insieme per eliminare la plastica almeno per il 90%”.

 

Packaging

Un modello esemplare di imprenditoria, quello di Tramezzino.it, che in pochi anni è riuscito a diventare sinonimo di qualità, ma che per ottenere il successo di cui oggi gode non ha puntato su alcuna azione di comunicazione: “Siamo stati fortunati perché il passaparola è stato tale che non abbiamo avuto bisogno di ricorrere a strategie di marketing”. Una scelta consapevole che è perdurata nel tempo: “Adesso abbiamo dei nuovi progetti in cantiere per cui stiamo valutando come muoverci sul fronte della promozione, ma per gli ultimi 17 anni non ci abbiamo mai neanche pensato”.

Gli store

I progetti riguardano dei nuovi punti vendita: “Il servizio di delivery ha preso così tanto piede che nel 2015 abbiamo deciso di aprire un primo store all'interno dell'aeroporto di Torino”. Che ha funzionato, ma non sufficientemente bene: “La maggior parte dei clienti era concentrata nella fascia del pranzo, dalle 12 alle 14, e così è nata l'idea di creare un concept a parte, pensato esclusivamente per gli store e leggermente diverso da quello di Tramezzino.it”. L'idea si chiama Foodie's ed è divenuta realtà nel giugno 2015 con un primo punto vendita all'interno del centro commerciale di Rovato, in provincia di Brescia. È stata poi la volta di Milano, “la città dove ancora oggi la nostra attività ha il responso maggiore”, e poi Torino, Bologna e Verona e le altre città.

 

Foodie's

Attualmente, il capoluogo lombardo conta 6 punti vendita “che diventeranno 9 entro il prossimo 15 aprile” dislocati nelle varie zone della città, e a breve ce ne sarà uno anche nella Capitale, “a piazza Cola di Rienzo per la precisione, con apertura prevista entro giugno”. A curare il design dei locali, che Giampiero definisce “bar 2.0”, Costa Group, società di arredamento per la ristorazione che ha ideato – fra le altre strutture – gli store di Eataly. Legno, ferro, linee semplici ed essenziali: “Vogliamo ricreare un ambiente comodo, familiare e che richiami la naturalità degli ingredienti”.

 

Locali

L'offerta

Materie prima di qualità, selezionate con cura dall'azienda, esattamente come per il delivery: “Ogni prodotto viene assaggiato da almeno 10 persone in una degustazione alla cieca. Prediligiamo il Km0, o quanto meno ingredienti che siano il più locali possibili, e abbiamo un occhio di riguardo per le eccellenze del made in Italy come gorgonzola, prosciutto San Daniele, Parmigiano Reggiano, orzo perlato e così via”. Il pane è artigianale “e per ogni città abbiamo un forno che lo produce appositamente per noi secondo le nostre esigenze”, ed è disponibile sia bianco che ai 5 cereali che integrale. Punto di forza dei tramezzini è la maionese, “preparata fresca tutti i giorni”.

 

Tramezzini

Ma l'offerta è ampia e negli anni si è estesa anche ad altre proposte come insalate di quinoa, riso, pasta fredda, panini e bagel. C'è anche una sezione dedicata alla pasticceria con torte da credenza e biscotti, “e presto inseriremo anche nuovi dessert”. Negli store ci sono anche i lieviti per la prima colazione, accompagnati da espressi e cappuccini e dalle centrifughe di frutta. Ma il tramezzino rimane il vero protagonista del menu: il più richiesto è quello con cotto e carciofini sott'olio, “seguito da quello con gorgonzola, sedano e mela; e quello con la mortadella tartufata, zucchine e menta”.

I prezzi per i privati

Ma quanto costa ordinare il pranzo da Tramezzino.it? “La fascia di prezzo dei nostri prodotti è alta, ma questo non è mai stato un fattore discriminante, soprattutto a Milano. La nostra azienda nasce per gli uffici, che solitamente sono più propensi a spendere per il pranzo, specialmente se sano come quello proposto da noi”. Si tratta, infatti, di costi più elevati rispetto al prezzo medio della maggior parte dei bar italiani, e che variano di città in città: in Veneto un tramezzino costa da 1,80 a 2,00 euro, a Roma e Torino da 2,30 in poi, mentre a Milano il prezzo più basso è di 3,20 euro l'uno. Cambia anche la misura del pane, “8x8 cm a Torino, 10x10 a Milano e 12x12 a Roma”. La spesa minima per una consegna? 15 euro, “una cifra facilmente raggiungibile considerati i prezzi dei singoli prodotti”.

E per gli esercenti

I costi sono significativi anche per gli esercenti che prendono questo prodotto per il loro menu: alcuni bar in Italia hanno scelto Tramezzino.it come loro fornitore, “non abbiamo mai puntato molto su questa fascia”, ma seppur pochi sono molto soddisfatti e non hanno alcuna intenzione di tornare indietro. Uno è Casa Manfredi, bar/pasticceria di Roma, zona Aventino, che fin dall'apertura (2 anni fa) ha inserito nel proprio menu i tramezzini dell'azienda: “Li ho scoperti un giorno da Cristalli di Zucchero, un'ottima pasticceria nel quartiere di Monteverde, e me ne sono innamorato”, racconta Daniele Antonelli di Casa Manfredi. E aggiunge: “Non ho mai avuto problemi a venderli, nonostante il prezzo. Occorre spiegare ai consumatori perché costano così tanto, raccontare loro delle materie prime e della loro lavorazione, ma una volta assaggiati, nessuno si è mai lamentato”. Daniele paga dai 2 ai 2,20 euro più Iva per ogni tramezzino da 100 grammi e li rivende a 3,50 euro l'uno.

La crescita del delivery in Italia

Se nel 2000 Tramezzino.it era una delle poche realtà a effettuare un servizio di delivery, oggi in Italia se ne contano diverse: “Progetti come quello di Foodora, Deliveroo, Moovenda e simili non sono solo delle startup innovative, ma in alcuni veri colossi multinazionali del settore. La differenza però è che noi consegniamo un prodotto nostro, mentre loro selezionano quelli di altre insegne”. Il delivery resta comunque, secondo Giampiero, la strada da percorrere: “Al momento stiamo sviluppando di più il retail, e naturalmente dopo l'avvento delle nuove realtà di delivery un piccolo calo della richiesta c'è stato”, ma per 15 anni l'azienda ha basato il suo business puramente sulle consegne. “Lo abbiamo creato noi, non avevamo modelli a cui aspirare. Oggi invece le insegne interessanti da cui prendere esempio sono diverse, per le consegne ma più in generale per capire come sviluppare un'attività imprenditoriale nel settore del food and beverage”. Prima fra tutte Shake Shack, la catena di fast food (oggi quotata in Borsa) nata a New York dal genio di Danny Meyer e in breve tempo diffusasi in gran parte dell'America e anche in Europa: “Da loro abbiamo preso spunto per inserire centrifughe e succhi di frutta di qualità nei nostri store”. Sono interessanti poi anche tutte le altre realtà di fast food di alta fascia nate soprattutto a Milano, “a cominciare da Burgez, per finire con Trita e Polpa Burger”.

Progetti per il futuro

Nuovi store a Milano e un primo punto a Roma, dunque, ma non finisce qui, perché il team di Tramezzino.it – che conta in tutto circa 70 dipendenti – continua a elaborare nuove idee. “Il nostro obiettivo è arrivare ad avere un centinaio di punti vendita entro i prossimi 4 anni”, creando così un franchising a tutti gli effetti che rispetti sempre gli standard di qualità: “La regola per qualsiasi città è quella di avere sempre attivo un laboratorio centrale da cui far partire i prodotti, che devono essere tutti dello stesso livello”. Un format replicabile pressoché ovunque e – perché no – anche all'estero: “Ci abbiamo provato in Inghilterra e in Cina ma non è andata bene. Per ora vogliamo concentrarci qui in Italia, ma non appena i vari store avranno ingranato penseremmo anche all'estero”.

www.tramezzino.it/

a cura di Michela Becchi

La cucina degli ingredienti e della memoria per tutti. Kistè a Taormina, Indietro tutta a Monte Sant'Angelo

$
0
0

Due cuochi d'esperienza, due modi diversi di raccontare il Sud in cucina. Pietro d'Agostino in Sicilia, Gegé Mangano in Puglia: grandi nomi della ristorazione italiana che si cimentano con progetti alternativi, e per tutte le tasche. Ve li raccontiamo. 

La grande ristorazione del Sud

Godere di un tramonto sulla terrazza affacciata sulla riviera ionica di Spisone, alle porte di Taormina, è un'esperienza che difficilmente si dimentica. Specie se dalla cucina de La Capinera arrivano in tavola le suggestioni di uno chef d'esperienza come Pietro D'Agostino. Altrettanto godibile è l'atmosfera fuori dal tempo che si respira nella piazzetta di Monte Sant'Angelo, cuore di un borgo arroccato sul promontorio del Gargano a pochi chilometri dal mare, dove Gegè Mangano e la sua famiglia accolgono da anni gli ospiti della Taverna li Jalantuumene. Due tavole del Sud divise da oltre 600 chilometri di distanza, che molto hanno a che spartire per competenza, passione, professionalità e valorizzazione del territorio in cucina. Seppur in direzioni diverse che si nutrono della tradizione regionale per offrire una proposta moderna ed equilibrata, confortevole e premurosa in omaggio al calore mediterraneo. Due Forchette (per entrambe le insegne) conquistate sul campo in anni di attività, l'una più ispirata dai prodotti del mare siciliano – spatola e pesci di scoglio, ricci e gamberoni di Mazara - l'altra devota alle straordinarie materie prime dell'entroterra foggiano, caciocavallo podolico e nocciole, maialino, cardoncelli ed erbe spontanee. E due progetti paralleli, nuove sfide con cui cimentarsi, che Pietro D'Agostino e Gegè Mangano si apprestano a concretizzare forti della grande esperienza maturata nella ristorazione classica (mentre di come sta evolvendo la ristorazione d'autore pugliese vi abbiamo raccontato qualche giorno fa). Con tempistiche che differiscono di qualche settimana.

Kistè a Taormina

Il 16 marzo, tra poche ore appena, D'Agostino inaugura a Taormina Kistè, ospite di un palazzo storico del tardo Quattrocento nel cuore della cittadina siciliana. Il format, come sarà pure per la scommessa di Mangano, si orienta su una cucina essenziale fatta di grandi prodotti locali, per tutte le tasche e fuori dagli schemi più rigidi dell'alta cucina. Questo non significa che il menu cederà il passo all'improvvisazione: l'idea è quella di raccontare la bella storia d'amore con la cucina, dove “ci si innamora degli ingredienti e della memoria che riaffiora dai sapori”. Ecco perché sulla tavola di Kistè – nello spazio suggestivo di Casa Cipolla che nasconde due cisterne visitabili di epoca romana – saranno protagonisti i prodotti a marchio Io D'Agostino, il mezzo pacchero da grani siciliani, i tre mieli prodotti a Zafferana Etnea, l'olio Nocellara dell'Etna, oltre alle tipicità isolane, per regalare ai commensali un'esperienza di alta cucina per tutti i giorni.

Indietro tutta a Monte Sant'Angelo

Più radicale la scommessa di Gegé Mangano, che a Monte Sant'Angelo proporrà la sua idea per tornare Indietro tutta. Un'allusione divertita ai tempi della Prima Repubblica, “prima che Vissani sdoganasse la figura dello chef in tv”, ma pure un modo per celebrare la memoria dei luoghi, e le tradizioni contadine, ricreando l'atmosfera di una cantina popolare, per bere un buon bicchiere di vino e rifocillarsi con i piatti del giorno. Pochi, semplici, ma buoni. E Indietro tutta, quando aprirà i battenti subito dopo Pasqua, sarà così: una tavola spartana (eccentrica quanto basta, con i ritratti dei grandi della Prima Repubblica alle pareti, da La Malfa a Spadolini, a Bettino Craxi) a prezzi popolari, per mangiare con 10 euro, dove vince la qualità del prodotto: “Un'alternativa allo street food che forse comincia a stancare, una tavola popolare che educa al territorio, cucina a vista e sedie impagliate, tanto legno e marmo, 20 posti a sedere in 70 metri quadri. Due o tre piatti del giorno, mai la pasta, e vini autoctoni, il Bombino bianco o il Moscatello che si beveva sulle tavole di una volta”. L'osteria sorgerà accanto al ristorante, e proporrà trippa e fave e cicoria, pane e pomodoro e acquasala di arance, un'insalata povera che agli agrumi aggiunge cipolla, prezzemolo e pane raffermo bagnato in abbondante acqua. E poi l'ultima idea di Gegè, “un giradischi per diffondere la musica in sala: ognuno potrà portare con sé un vinile, e scegliere cosa ascoltare”. Diversificare sembra essere la parola d'ordine comune a molti chef.

 

Kisté | Taormina (CT) | via Santa Maria de Greci, 2 | dal 16 marzo | www.kiste.it

Indietro Tutta | Monte Sant'Angelo (FG) | piazza De Galganis | dalla seconda metà di aprile | www.li-jalantuumene.it

 

a cura di Livia Montagnoli

The Chocolate Museum a Manhattan. Jacques Torres spiega ai newyorkesi come si fa il cioccolato

$
0
0

Il pasticcere di origini francesi è una celebrità del cioccolato a New York, dove conta numerosi punti vendita. Ora apre un museo del cioccolato per insegnare agli americani dove nasce il cacao e come si degusta. Dimostrando ancora una volta un grande fiuto per gli affari. 

Dalla Francia a New York in nome del cioccolato

Al secolo è Jacques Torres, uno dei maître chocolatier più talentuosi di Francia in giovane età, e dalla fine degli anni Ottanta negli Stati Uniti, prima come executive pastry chef al servizio della ristorazione d'hotel e dell'alta cucina, e più recentemente, dal 2000, titolare di un laboratorio a Brooklyn. Oggi, a New York, tutti lo conoscono come Mr. Chocolate, presente sul territorio cittadino con nove punti vendita, tra cui l'ultima scommessa – una gelateria – al Grand Central Terminal. Ma tra i confini americani, il pasticcere di origini francesi è una vera celebrità, autore prolifico di libri e conduttore di un programma sul cioccolato su Food Network. L'ultima trovata del cioccolatiere è un museo del cioccolato nel cuore di Manhattan, operativo da qualche giorno appena: 500 metri quadri per insegnare alla città la storia del cacao, come e dove viene coltivato, e come si trasforma in praline, bon bon, tavolette e ganache. Lo spazio – The Chocolate Museum – si trova a Soho, e coniuga il percorso museale con dimostrazioni pratiche degne della fabbrica di Willy Wonka.

 

The Chocolate Museum a Manhattan

Ma forte è la finalità educativa, che segue di qualche anno l'acquisto di una piantagione di cacao nello Yucatan per controllare l'intera filiera e rendere giustizia a un settore facile allo sfruttamento dei piccoli produttori. Tra gli spunti più divertenti, che già stanno conquistando i bambini di New York, la possibilità di ritrovarsi nel bel mezzo di una piantagione di cacao, i contenitori ricolmi di cioccolato da cui attingere a piene mani, la cioccolata calda servita ai visitatori dopo avergli spiegato come si realizza, dalla raccolta dei semi alla tostatura e macinazione, fino all'aggiunta di acqua bollente. Proprio come la preparavano secoli fa le antiche popolazioni latino americane. E poi ci sono le lezioni amatoriali, per imparare a replicare un bon bon o una pralina ripiena di crema al cioccolato. O le degustazioni guidate per imparare a riconoscerne componenti aromatiche e intensità. Oltre chiaramente allo shop, che esplicita la finalità commerciale dell'impresa, che del resto si è avvalsa della consulenza di Eddy Van Belle, fondatore di altri cinque musei del cioccolato in giro per il mondo, a Bruges (dove l'idea ha esordito nel 2004) e poi a Parigi, Praga, in Messico e più recentemente a Bruxelles. A New York il biglietto d'ingresso costa 15 dollari (ma i bambini pagano meno), e l'operazione beneficerà della popolarità di Mr. Chocolate. Ma nel suo piccolo anche Milano, da qualche giorno, può contare su una “fabbrica” del cioccolato – quella approntata all'interno del flagship store di Cioccolatitaliani - che mostra con orgoglio il proprio laboratorio, le fasi produttive e tante specialità per golosi incalliti.

 

The Chocolate Museum | New York | 350 Hudson street | www.mrchocolate.com/museum/

 

a cura di Livia Montagnoli

Libri. Tritacarne il viaggio negli allevamenti intensivi di Giulia Innocenzi

$
0
0

Un volume-denuncia che indaga il mondo degli allevamenti intensivi, rivela i dietro le quinte, le regole, ma anche e soprattutto le modalità in cui queste regole vengono aggirate. Da oggi anche nel programma televisivo Animali come noi.

L'origine dell'inchiesta

Questo libro nasce dopo aver letto un altro libro”. Esordisce così Giulia Innocenzi (giornalista cresciuta nella scuderia di Michele Santoro e autrice di Tritacarne, edito da Rizzoli) per spiegare in che modo sia iniziata la sua inchiesta sugli allevamenti intensivi e il suo percorso (non ancora completato) verso il veganesimo spinto. Il libro a cui fa riferimento è Se niente importadi Jonathan Safran Foer. Un volume che ha come sottotitolo l'esplicativa domanda Perché mangiamo gli animali?E a questo quesito, un campo di riflessione non nuovo agli studi antropologici e a chi vuole andare a fondo sulle motivazioni che inducono un essere vivente a nutrirsi di un altro essere vivente sacrificato per lui, si aggiungono altre questioni: la necessità di porsi dei limiti, soprattutto, di tracciare un segno rosso oltre il quale non è lecito andare. E quello che nasce come un'esigenza morale (individuare qualcosa così importante da determinare le nostre scelte, anche alimentari; qualcosa su cui non si può passare sopra) si trasforma pagina dopo pagina in una denuncia sulle condizioni degli allevamenti negli Stati Uniti. “Mi sono detta che quella era l'America, e poi mi sono domandata se in Italia la situazione era differente”.

 

Intrusioni illecite e dubbi etici

Per rispondere, la Innocenzi ha scelto di seguire, passo passo, le tracce di Froer, anche nelle sue intrusioni notturne negli allevamenti intensivi, al fianco di gruppi di attivisti impegnati a testimoniare le condizioni disumane di questi che, nella retorica comune, sono definiti lager. Violazione, disturbo, sabotaggio, liberazione di alcuni animali sono le strategie di azione di gruppi come ALF (Animal Liberation Front) con cui la Innocenzi è venuta in contatto, con le implicazioni che ne conseguono e che a loro volta aprono altrettanti dubbi, dato che queste realtà formate da cellule indipendenti professano una condotta non violenta, ma per loro struttura non riescono a isolare o escludere chi sceglie azioni più aggressive, anche perché “i danneggiamenti economici e il danneggiamento della proprietà privata sono considerate azioni ALF, così come lo sono le liberazioni degli animali”si legge dal sito dell'organizzazione.

Insieme al dubbio sulla liceità e sulle conseguenze di alcune operazioni (liberare gli animali è poetico, ma può avere esiti rovinosi per gli allevatori) c'è in più il rischio di essere scoperti incappando in possibili conseguenze penali (è, se non altro, violazione della proprietà privata) quando non rischi per la propria incolumità. Perché quella tra allevatori senza scrupoli e animalisti convinti è un conflitto aperto che in taluni casi, non si ferma di fronte all'aggressione fisica e, più in generale, i furti di bestiame sono all'ordine del giorno e altrettanto lo sono le reazioni niente affatto pacifiche nei confronti degli intrusi, volte a proteggere il proprio patrimonio.

Così, tra l'adrenalina, il timore e l'orrore che si trova a testimoniare, la Innocenzi traccia un quadro, sempre più dettagliato, di quanto accade in certi allevamenti e di quali domande implichi ogni nostra decisione, anche in fatto di cibo. “Ho iniziato il mio percorso di conoscenza sul tema” spiega“sia documentandomi sulla realtà di questi posti, sia a livello personale mettendo in discussione le mie scelte alimentari”.

 

Tra legalità e illegalità

Così la giornalista ci accompagna in un viaggio nell'inferno degli animali. Gli allevamenti intensivi hanno ritmi, regole, dinamiche capaci di mettere in crisi la coscienza di chiunque. Ma il problema non è solo quello che, legalmente, è concesso, quanto quello che, illegalmente, viene fatto: “la verità è che la situazione è molto lontana da quella che ci raccontano” e per documentarla ha deciso che non poteva chiedere il permesso ma doveva entrare di nascosto con la videocamera e registrare quel che si trovava sotto ai suoi occhi: “una situazione aberrante”. Alcune sono storie note: le malattie dovute alle scarse condizioni igieniche e alla mancanza di luce naturale e di spazio, il conseguente (ab)uso di antibiotici, l'impossibilità di seguire il naturale ciclo riproduttivo con animali obbligati a partorire a ciclo continuo, le pratiche come quella del taglio della coda dei maiali o del becco delle galline per evitare che gli animali si feriscano tra di loro. Ma poi ci sono maltrattamenti, cattive pratiche, animali ammassati che muoiono schiacciati tra di loro, condizioni innaturali e ai limiti della tortura.

Si viaggia spesso in una zona grigia tra legalità e illegalità, e gli esempi sono tanti. Se sei un bufalino devi sperare di essere nato femmina (così da assicurare la produzione di latte) perché, dato che in Italia non c'è molto mercato per la carne di bufala, i maschi sono “scarti di produzione” e come tali vengono soppressi precocemente; la cosa migliore che possa accadere è morire entro i 17 giorni di vita, il periodo in cui, per legge, il cucciolo non può essere allontanato dalla madre e dagli allevamenti. Altrimenti si rischia una fine brutale: si muore di fame, sete o annegamento e poi si viene abbandonati in campagna. Tutte pratiche irregolari ovviamente, adottate per evitare i costi del macello (per ogni bufalino circa 30 euro, più 5 euro di iscrizione alla banca dati e altre spese quotidiane), possibili perché viene aggirato l'obbligo di registrare gli animali all'anagrafe zootecnica. La legge, invece, prevede il macello. Ma non che ai maschi delle galline vada meglio, il loro destino è segnato alla nascita, con tanto di indicazione di metodi di soppressione: gassati o triturati.

 

Le falle del sistema agroalimentare

Ma non finisce qui: a corollario di queste situazioni la Innocenzi segnala la progressiva scomparsa di alcune razze animali nostrane in favore di altre più produttive e adatte a forme di allevamento intensivo, stigmatizza l'impatto della genetica “oggi ci sono scrofe con 16 capezzoli e si lavora per aumentarli ancora e renderle così più redditizie, per aumentare il numero di suinetti nati ogni anno. Ma non è il caso di darci dei limiti?”. A tutto questo si aggiungono altre considerazioni: l'impatto ambientale di certi allevamenti, i rischi derivanti dal consumo di carne di animali trattati con antibiotici, e il conseguente peso sulla sanità pubblica, le malattie professionali di chi in quegli stabilimenti, in condizioni e con ritmi sovrumani, ci lavora. “Sono casi isolati” è la replica che più frequentemente si sentita dare. Una risposta che non convince la Innocenzi che, in questa inchiesta, ha avuto non poche intimidazioni, ma anche altrettanti incoraggiamenti. “In realtà le vittime sono gli allevatori che sono schiacciati da queste dinamiche di produzione” aggiunge, a inquadrare il fenomeno in un panorama più ampio di un mercato che non concede respiro e non ammette pietà.

 

Qualche conclusione è possibile?

Le riflessioni, le scoperte fatte infiltrandosi abusivamente, le spiegazioni dei metodi impiegati e delle leggi vigenti, e le rivelazioni fatte da allevatori e soprattutto veterinari che raccontano cosa si cela davvero negli allevamenti, l'inaffidabilità dei controlli, i modi di aggirarli, il rischio e le conseguenze che ogni pratica porta con sé. Sono questi gli strumenti che Giulia Innocenzi ha utilizzato nella lunga inchiesta (oltre un anno e mezzo) confluita nel libro-denuncia, prima, e nella trasmissione tv, poi (Animali come noi, 6 puntate ogni mercoledì alle ore 23,20 dal 15 marzo su Rai2).

Ma quali sono le conclusioni cui è arrivata? Senza giungere necessariamente al veganesimo, alcune opzioni ci sono. Intanto rivedere la propria alimentazione “mangiamo troppa carne” allerta “tre volte di più rispetto agli anni '50, con tanta carne rossa, quanto nel resto d'Europa. Praticamente non è neanche più una dieta mediterranea”. Meno carne e scelta con consapevolezza, anche se questo incide sui costi, “oggi pensiamo che la spesa alimentare debba essere molto bassa, ma forse dovremmo ricominciare a pensare a come spendiamo i nostri soldi e a cosa introduciamo nel nostro organismo”: Puntare su allevamenti estensivi, dove ci sono pratiche sostenibili e un basso impatto ambientale è una strada “ma” avvisa “anche così certe cose non cambiano”.

Auspica anche un cambiamento nelle etichettature nei prodotti di origine animale, con una maggiore tracciabilità e l'indicazione del tipo di allevamento impiegato, “cosa che però potrebbe ledere l'immagine di eccellenza del nostro made in Italy, dato che l'80% di quanto si trova in commercio deriva da allevamenti intensivi”. E segnala come, nel disciplinare del prosciutto di Parma, “solo una pagina su 52 è dedicata alle condizioni di vita dei maiali, e solo poche righe su come devono essere gli allevamenti”, ma poi si spinge anche a riflettere su alcune politiche agricole con domande che potrebbero, anche grazie alla messa in onda del programma, trovare risposte.

 

Tritacarne | Giulia Innocenzi | Rizzoli | 258 pp | 18 euro

Animali come noi | Rai2 | mercoledì h.23.30 a partire dal 15 marzo 2017

 

a cura di Antonella De Santis

Lucky Peach chiude? Dall'America l'ipotesi di stop per uno dei più geniali food magazine di sempre

$
0
0

Irriverente, graficamente impeccabile, fresca e competente. Sei anni fa nasceva dall'incontro tra David Chang e Peter Meehan una delle riviste a tema gastronomico più apprezzate tra gli addetti ai lavori. Oggi il gruppo gestisce anche un sito e pubblica periodicamente libri monografici. Ma a maggio potrebbe uscire l'ultimo numero della rivista. Sarà così? 

L'ultimo numero a maggio. È la fine di Lucky Peach?

Proprio quando è imminente la pubblicazione dell'ultimo progetto editoriale firmato Lucky Peach – un libro interamente dedicato alle uova – per il gruppo che sei anni fa esordiva sul mercato di settore con la rivista che ha rivoluzionato l'universo del food writing si preannunciano mesi difficili. Se quanto anticipato dal sito americano Eater dovesse trovare riscontro nella realtà, infatti, il food magazine partorito dall'estro di David Chang, che gli addetti ai lavori di tutto il mondo percepiscono come capostipite di quel genere di storytelling a tema gastronomico che oggi va per la maggiore, potrebbe lasciare orfani tanti estimatori già dal mese di maggio, quando è già programmata l'uscita dell'ultimo (?) numero di Lucky Peach. La fuga di notizie sarebbe avvalorata dalla comunicazione di fine rapporto che l'intero staff ha ricevuto solo un paio di giorni fa, ma in mancanza di conferme ufficiali da parte dell'editore il condizionale è d'obbligo. Quel che è certo è che specie tra le personalità più in vista del giornalismo enogastronomico statunitense le reazioni non hanno tardato a dilagare sul web, tra l'incredulità e il dispiacere per la fine presunta di una parentesi tra le più brillanti dell'editoria enogastronomica americana e internazionale.

 

Lucky Peach. La storia

Il progetto aveva preso forma nel 2011 dalla sinergia tra David Chang e il food writer Peter Meehan, prima in forma di app online e subito dopo come pubblicazione cartacea edita da McSweeney's. Da allora ha fatto scuola, entrando nel mito per qualità dei contenuti - sempre in grado di anticipare i trend, puntuale nell'intercettare i protagonisti del settore e coinvolgerli nell'elaborazione dei temi, sovversiva quanto basta per scardinare le dinamiche di scrittura e fruizione – senso estetico e confezionamento grafico impeccabile, competenza delle penne interpellate, voglia di non prendersi troppo sul serio e grande senso dell'umorismo (perché in fondo si parla di cibo!). Un divertimento per chi la confeziona e per i suoi numerosi lettori, apprezzabile per la capacità di mescolare interviste e story telling, ricette e narrazione in un magazine accattivante e di agile lettura. Tanto che, a distanza di sei anni, il primo numero pubblicato nel giugno 2011 e dedicato al ramen è in vendita su eBay per 100 dollari. Nel frattempo il sodalizio con McSweeney's si è rotto e dal 2013 l'avventura di Lucky Peach è proseguita in solitaria, con la creazione del gruppo indipendente Lucky Peach Media Group, che attualmente cura anche il sito della testata (dal 2015) e pubblica periodicamente libri monografici, come l'ultimo atteso All about Eggs, in uscita il prossimo 4 aprile. E nel 2016 il magazine, già vincitore di molti riconoscimenti, si è aggiudicato il premio come pubblicazione dell'anno per la James Beard Foundation.

 

E ora che succede?

Ora la speranza è che l'annunciata rivoluzione non rappresenti una vera battuta d'arresto, piuttosto una nuova configurazione del gruppo. A tal proposito l'unica dichiarazione in merito, difficile da decifrare, è quella di David Chang, che a Eater ha rivelato che “tutte le opzioni sono praticabili, ma per il momento non posso fornire altri dettagli”. Sicuramente i fan più incalliti potranno contare sul prossimo numero, Suburbs, intitolato alle “periferie” gastronomiche.

 

www.luckypeach.com

a cura di Livia Montagnoli 


Mozzarella ai francesi, pecorino in Usa, ricotta in Cina. La mappa dei formaggi italiani più amati all’estero

$
0
0

Un’insolita mappa dei formaggi italiani, che racconta quali tipologie di formaggi made in Italy sono più amate e chi le apprezza di più. Realizzata da Assolatte, la dice lunga sul rapporto tra i consumatori stranieri e le eccellenze casearie dello Stivale.

Formaggio italiano, passione internazionale

Tutti pazzi per il formaggio italiano. Malgrado la concorrenza dei cugini d’oltralpe, i prodotti caseari made in Italy hanno fan in tutto il mondo: a confermarlo è lo studio di Assolatte, che spiega il successo dei nostri formaggi anche in roccaforti della produzione casearia come Francia o Svizzera. Per non parlare delle ultime conquiste sui mercati asiatici, dove i consumatori stanno dimostrando un interesse sempre più forte per i prodotti caseari italiani.

E Assolatte ha realizzato una mappa per spiegare quali tipologie di formaggio siano più diffuse e amate nel mondo. Vediamo quali sono.

 

L’Europa. Dalla mozzarella al Gorgonzola, passando per Parmigiano e Grana

Per qualcuno potrebbe essere una sorpresa, ma è proprio la Francia il primo mercato di destinazione per i prodotti caseari italiani in Europa. Ogni anno i francesi mangiano 1,2 kg di formaggio italiano a testa e sono i più grandi consumatori di mozzarella italiana: nel 2016 ne hanno comprati circa 30 milioni di kg. Ma anche il Gorgonzola, nella patria del Roquefort, fa registrare numeri di tutto rispetto: nel 2016 l'export è cresciuto del 12% toccando le 4200 tonnellate.

Anche cugini svizzeri, considerando superficie e numero di abitanti, si difendono bene. Nelle valli elvetiche vanno pazzi per Parmigiano Reggiano e Grana Padano, ma anche per la mozzarella. In ogni caso la Svizzera si conferma il secondo mercato estero per l’Asiago, con la distribuzione locale che assorbe il 20% del totale delle esportazioni.

Tra gli inglesi il formaggio più acquistato è la mozzarella (62% di acquirenti), seguita dal Parmigiano Reggiano (48%). Ma attenzione anche ai dati del Provolone, cresciuto del 18% in un solo anno. La Spagna invece ha gusti affini ai nostri e non è difficile immaginare cosa vada per la maggiore: il Grana Padano vince a mani basse e, dopo aver messo a segno un +29% nel 2014 e +10% nel 2015, lo scorso anno ha incrementato ancora il dato, toccando quota 83.000 forme.

Infine, la Germania, paese amante dei formaggi duri come Grana e Parmigiano: numeri da capogiro per questi due prodotti, che toccano quasi 750.000 forme l’anno. Forte crescita di interesse anche per il Gorgonzola, con le importazioni cresciute del 43% in un solo anno.

 

Le Americhe. Pecorino Romano, Taleggio e provolone

Sono statunitensi, canadesi e brasiliani a decretare il successo dei formaggi italiani nel continente americano. In Canada le esportazioni superano già le 4.500 tonnellate annue, con protagonisti ancora Gorgonzola, Grana Padano e Parmigiano Reggiano. Ma sono gli Stati Uniti il vero paradiso per l'export caseario italiano: qui arrivano tutte le principali specialità e in particolare il Pecorino Romano, formaggio molto amato dai consumatori locali. Un prodotto che da solo rappresenta circa un terzo di tutti i formaggi importati dagli Usa: ma sulle tavole americane non mancano neanche Grana Padano, Parmigiano Reggiano, Gorgonzola e Provolone. O il mascarpone e il Taleggio, amati soprattutto negli stati della costa occidentale. Da non sottovalutare in questo quadro i consumatori brasiliani: alla mozzarella italiana preferiscono il mascarpone, ma stanno scoprendo anche il Gorgonzola e il provolone.

 

Ricotta e mozzarella in Asia e Oceania

Gli australiani amano il mascarpone, che nel 2016 ha fatto registrare esportazioni dalla cifra record di 370 tonnellate. Ma le distanze non aiutano e nei ristoranti australiani i formaggi più usati restano quelli a lunga stagionatura.

In Cina, invece, si consumano di più i formaggi freschi, con mozzarella, mascarpone e ricotta in cima alla lista: sono questi i formaggi importati nella Repubblica Popolare che tra il 2015 e il 2016 hanno registrato il maggior tasso di crescita. Prodotti che riescono a trainare l’export italiano nel paese asiatico, aumentato del 45% nel 2016.

Infine, il Giappone, il paese “più italiano” tra gli asiatici: quasi il 40% dei formaggi che lasciano l’Italia per andare verso l’Oriente arriva sulle tavole giapponesi. La mozzarella e il mascarpone sono i più apprezzati: nel 2016 i volumi di vendita sono cresciuti del 6% circa.

 

 

a cura di Francesca Fiore

 

 

 

Celebrity Masterchef. Il nuovo talent show culinario dedicato ai vip

$
0
0

Dopo il successo di Masterchef e Masterchef Junior, su Sky Uno HD arriva ora il nuovo programma culinario dedicato ai sedicenti vip della televisione italiana, in onda a partire da stasera, 16 marzo. Ma è davvero utile al nostro settore?

Il programma

Sono 12, tutti provenienti da settori diversi, dallo sport allo spettacolo, dalla musica al cinema. Sono i nuovi concorrenti di Celebrity Masterchef, l'ultima invenzione di Sky prodotta da Endemol Shine Italy, un talent show che coinvolge diversi volti noti della televisione italiana e li invita a sfidarsi ai fornelli. La formula è la stessa di sempre: la giuria cattivissima che abbiamo imparato a conoscere - Bruno Barbieri, Joe Bastianich e Antonino Cannavacciuolo - due prove di cucina – la Mystery Box e l'Invention Test – la sfida in esterna e il Pressure Test. Cambiano però i protagonisti: il cantante Alex Britti, l'astrologo Antonio Capitani, l'attrice Maria Grazie Cucinotta, la presentatrice Roberta Capua, la conduttrice Elena Di Cioccio, l'attrice Enrica Guidi, il giornalista Stefano Meloccaro, il campione mondiale di nuoto Filippo Magnini, la produttrice discografica Mara Maionchi, il rapper Nesli, la speaker radiofonica Marisa Passera e l'attrice turca Serra Yilmaz, questi i concorrenti del nuovo programma in onda su Sky Uno HD ogni giovedì sera a partire da oggi, 16 marzo. Resta invariato il meccanismo di eliminazione, così come lo sviluppo delle puntate (8 in tutto) e, proprio come nella versione originale del format, i partecipanti sono chiamati a dimostrare creatività, tecnica e originalità per aggiudicarsi il titolo di primo Celebrity Masterchef italiano.

Il successo di Masterchef

Il successo di Masterchef ormai è assodato da tempo - rinvigorito proprio negli ultimi giorni dalla vittoria del giovane e interessante Valerio Braschi - così come tutti i benefici che il settore dell'enogastronomia ne ha tratto. Il programma, così come altri, ha infatti contribuito a restituire valore alla figura dello chef e a trasmettere il senso di questo mestiere, fatto di sacrifici, duro lavoro, orari impossibili e tanto studio. Altro che “apro un ristorante perché non trovo lavoro altrove”. Tecnica, preparazione, ricerca delle materie prime, e nessuna improvvisazione: per diventare chef occorrono fatica e sacrificio, sudore e una passione smodata per il cibo. E Masterchef è riuscito a fornire agli spettatori la chiave di lettura adeguata (con tutti gli eccessi del linguaggio televisivo, beninteso, ma questo sta nel gioco) per interpretare l'universo della ristorazione, coinvolgendo grandi e piccini, e facendo conoscere al grande pubblico i volti che hanno fatto la storia dell'enogastronomia italiana come Iginio Massari, Moreno Cedroni, Davide Scabin, gli stessi giudici, Gualtiero Marchesi, Luigi Biasetto ma anche professionisti internazionali come Alain Ducasse, Quique Dacosta e molti altri. Chi mai avrebbe parlato di loro al grandissimo pubblico se non lo avesse fatto Masterchef? La trasmissione, oltre a macinare ascolti, si è rivelata anche un ottimo strumento di divulgazione della cultura del buon cibo e un mezzo utile per affrontare temi relativi alla qualità degli ingredienti, all'importanza di una scelta alimentare consapevole e per far conoscere prodotti nuovi al grande pubblico, dalle specialità straniere a quelle regionali italiane spesso dimenticate.

a cura di Michela Becchi

Fatto in casa da Benedetta. L'autodidatta che spopola nel web

$
0
0

Si chiama Benedetta Rossi e la sua pagina Facebook piace a 2 milioni e mezzo di persone. Perché? Abbiamo cercato di capirlo intervistandola.

È un fenomeno che non riuscivamo proprio a spiegarci, così ce lo siamo fatti decrittare dalla diretta interessata. Lei si chiama Benedetta Rossi, è nata nel 1972 a Porto San Giorgio e qualche anno fa ha cominciato a realizzare delle video ricette e a caricarle su YouTube. Prima, approfittando del canale dell'agriturismo di famiglia, poi aprendo nel 2011 il suo personalissimo: “Fatto in casa da Benedetta”. Dietro al progetto - visti i numeri, di “progetto” si deve parlare - solo lei e il marito Marco. Lei (la Benedetta) studia e replica le ricette; Marco gira, monta, decide colonna sonora e color correction. Insieme gestiscono il canale YouTube, i cui video superano spesso le 100mila visualizzazioni, la pagina Facebook, che piace a 2 milioni e mezzo di persone, e il profilo Instagram con 178mila follower. Il tutto in maniera impeccabile, rispettando tempi, temi, tag da social media manager scafati. Eppure nemmeno lei è riuscita a sciogliere del tutto i nostri dubbi. Come può una coppia di “improvvisati” (così si autodefiniscono, non è una nostra malignità) avere tutto questo seguito?

Come e quando è nata l'idea di realizzare delle video ricette?

Ho cominciato nel 2009, quando lavoravo nell'agriturismo di famiglia e gli ospiti mi chiedevano spesso le ricette dei piatti che servivamo. Così, oltre a dare la ricetta, giravo per loro un mini video e lo caricavo nel canale YouTube dell'agriturismo. Senza che me accorgessi questi video superarono ben presto le 100.000 visualizzazioni.

Così hai deciso di creare un canale YouTube ex novo: Fatto in casa da Benedetta

Sì. Con la collaborazione di mio marito, nel 2011, abbiamo deciso di creare un nuovo canale, dedicato al "fatto in casa".

Lavori ancora nell'agriturismo di famiglia?

Non più, l’agriturismo di famiglia c’è ancora ma da oltre 10 anni ne abbiamo uno nostro nella campagna Marchigiana, molto più piccolo, dove lavoriamo e viviamo.

La tua giornata tipo?

La mia vita sta un po' cambiando, prima seguivo l'orto e quando faceva buio mi mettevo a girare i video. Ora mi alzo comunque presto, comincio assieme a mio marito a rispondere ai messaggi e poi faccio le prove.

Le prove prima di girare?

Sì, minimo 3.

Perché?

Perché per il successo del video i movimento devono essere essere fluidi.

E di seguito si monta.

Esatto. Poi, di notte, Marco monta i video.

Come ti definisci: una food blogger? Una cuoca?

Nulla di tutto questo. Sono una che ha piacere di condividere le proprie conoscenze.

Sei autodidatta?

Sì. Ovviamente tante ricette derivano dalla tradizione di famiglia, ed è anche per questo che non sono mai complicate, sono composte da pochi ingredienti, tutti reperibili a casa, e sono facilmente rivisitabili.

Alcune ricette sono di Life&Chiara. Che tipo di partnership hai con loro?

Navigando abbiamo visto che Chiara e il suo ragazzo avevano un canale YouTube ben fatto e coprivano un settore di cui non ho assolutamente conoscenza. Così abbiamo chiesto loro di collaborare quando si tratta di fare dei video a tema vegetariano, di cui proprio non so nulla dato che sono onnivora!

Vuoi farci credere che dietro ad un progetto con questi numeri ci siete solo tu e tuo marito, entrambi autodidatti?

Assolutamente sì.

Ci teniamo i nostri dubbi...

È solo il frutto di ore e ore di lavoro, accontentando le varie richieste delle persone. Siamo diventati “esperti” in base alle nostre sensazioni.

Insomma, siete degli improvvisati con milioni di fan.

Se per improvvisati si intende due persone che prima facevano tutt'altro, sì. Non abbiamo studiato ma abbiamo cercato di capire e intercettare le richieste e i desideri di chi ci segue.

Ad esempio oggi quali sono i desideri e le richieste?

In questo periodo ci stanno chiedendo la ricetta delle zeppole di San Giuseppe. E noi li accontenteremo.

Molto poetico. Ma è innegabile il fatto che i post, per esempio, vengano lanciati negli orari perfetti e con la caption impeccabile. Ci riproviamo: siete sicuri di fare tutto da soli? Neppure l'aiutino di un social media manager?

È tutto frutto di esperienza fatta sul campo!

Le ricette sono semplicissime. È questo il vostro segreto?

Fin dall'inizio abbiamo voluto diffondere ricette alla portata di tutti, rispondendo di volta in volta alle tante domande. Ci siamo impegnati giorno e notte per curare i nostri impegni.

Il successo dei tuoi video è dovuto anche al fatto che usi ingredienti facilmente reperibili, ma non entri mai nel merito della loro qualità. Perché? Non sarebbe più utile parlarne e fare un po' di cultura?

Non deve essere questo il mio compito, non sono un'esperta e tanto meno una nutrizionista. Parto dal presupposto che chiunque vede la mia ricetta debba essere in grado di rifarla, sentendosi libero di usare gli ingredienti che meglio crede.

Imporre dei diktat allontana le persone?

Probabilmente sì. La mia fortuna è stata quella di dare totale autonomia nella scelta degli ingredienti e nella possibilità di cambiare, rivisitare la ricetta.

Parliamo di guadagni. Dove e quanto guadagnate?

Come ben sapete Facebook e Instagram non pagano, qualcosa ci arriva dal sito (principalmente per via dei banner) e il restante dal canale YouTube.

Parlando di numeri?

Si tratta di uno stipendio normale.

Partecipi ad eventi?

No.

E gli sponsor?

Ho cominciato una grande collaborazione con Electrolux.

Considerando che gli altri brand ambassador sono Carlo Cracco ed Ernst Knam, non ti sembra un po' fuori scala?

Ci ho perso il sonno per capirlo. Il boom c'è stato un anno fa, quando abbiamo postato due, tre video virali. Da lì è bastato essere presenti, rispondere puntualmente alle domande, affinché si creasse una sorta di community, fatta di persone normali che dispensano consigli e indicazioni, in cui le signore interagiscono tra loro togliendomi a volte l'onere delle risposte. La mia non vuole essere una pagina di cucina, sono piuttosto un'amica che condivide con te i suoi “segreti”.

Sei la youtuber della porta accanto?

Mettiamola così.

 

https://www.fattoincasadabenedetta.it

 

a cura di Annalisa Zordan

 

Il nuovo Farmer's Market di San Teodoro al Circo Massimo a Roma. Uscito il bando per assegnarlo

$
0
0

Dopo le proteste di Coldiretti e Campagna Amica che nelle settimane scorse avevano infiammato molti frequentatori abituali del mercato contadino di San Teodoro, il Comune di Roma pubblica un bando per l'assegnazione dello spazio. Favorite le produzioni in territorio comunale. Ecco chi può partecipare. 

Il Mercato di San Teodoro. Dalle proteste alla riapertura

Tira e molla, traslochi annunciati e rinviati a lungo, proroghe e scadenze non rispettate, battaglie di piazza e campagne di sensibilizzazione. Le rivendicazioni dei produttori del territorio laziale riuniti sotto l'egida di Campagna Amica da un lato, il ripristino della legalità in seno alla concessione di spazi pubblici dall'altro. E una vicenda piuttosto ingarbugliata, un pasticciaccio alla romana, che ha scaldato non poco gli animi per settimane. La pietra dello scandalo è lo spazio che negli ultimi anni molti romani hanno imparato a conoscere come la casa del biologico da filiera corta, quel mercato contadino a pochi passi dal Circo Massimo allestito ogni fine settimana nello stabile di via San Teodoro 74, Ex Mercato Ebraico del Pesce. Assegnato in concessione a Coldiretti dalla giunta Alemanno nell'ambito del progetto Domus Agricola con scadenza prorogata fino al 31 gennaio 2017, sul destino dello spazio si è molto discusso – con toni fin troppo accesi – da quando all'inizio di febbraio scorso il rischio di un trasloco forzato si è fatto decisamente più concreto. E infatti, nonostante il polverone mediatico scatenato dalla vicenda, da qualche settimana il Farmer's Market di San Teodoro ha chiuso i battenti, anche se i produttori che l'animavano continuano a ritrovarsi in formazione estemporanea ospiti degli altri mercati contadini Coldiretti (nello spazio a disposizione presso l'Auditorium Parco della Musica, per esempio).

Il bando

Dal canto suo l'amministrazione grillina, nella figura dell'Assessore allo Sviluppo Economico Adriano Meloni, aveva garantito un bando tempestivo per la riassegnazione dello spazio, con “l'impegno a valorizzare e favorire le attività agricole curate nell'ambito del contesto urbano, la commercializzazione dei prodotti a km 0 e la valorizzazione dell'economia locale”. E con delibera del 17 febbraio la Giunta Capitolina ha mantenuto le promesse, attivando una gara pubblica per la gestione in via sperimentale di un mercato agricolo a vendita diretta operativo tutti i fine settimana e nei giorni di festività. Come quello che molti già rimpiangevano, insomma, ma regolato da un nuovo disciplinare, e assegnato al soggetto più meritevole in base a una valutazione prettamente tecnica che privilegia la territorialità, i titoli e le certificazioni. Chi si aggiudicherà lo spazio potrà gestirlo per tre anni (non prorogabili) dietro versamento di un canone annuo di 111mila euro, curiosamente senza previsione di asta al rialzo. Una cifra d’ingresso piuttosto contenuta, che garantisce a molti la partecipazione, considerando che la candidatura è aperta non solo ad associazioni e consorzi, ma pure a singoli imprenditori, purché in grado di assicurare e coordinare la presenza nel mercato di almeno 40 operatori agricoli (suddiviso, il costo viene valutato, per ogni banchetto, soli 20 euro al giorno). Resta da capire, però, quale possa essere – e se è previsto - il vantaggio economico per il cosiddetto Raggruppamento Gestore (il vincitore del bando), che secondo bando dovrà impegnarsi a impiegare tutte le risorse in eccedenza nella gestione dell'attività e nella manutenzione dello spazio. O versarle al Comune per spese di manutenzione straordinaria. Altrettanto nebuloso il criterio che regolerà il pagamento di un affitto da parte dei singoli operatori.

 

I criteri di qualità. Spazio alle produzioni comunali

Rincuorante invece l'apparato di criteri di qualità che funzionerà da sbarramento o incentivo per la partecipazione. In primis perché solo i produttori diretti saranno ammessi alla selezione, ma anche perché chi realizza l'intero ciclo produttivo nel territorio del Comune di Roma potrà ottenere un punteggio maggiore (40 i punti da assegnare per la voce specifica), con quanto ne consegue per realtà importanti che operano sul territorio urbano di cui abbiamo già avuto modo di parlare, dalla Fattoria di Fiorano ad Agricoltura Capodarco, da Serra Madre all'azienda agricola I Casali del Pino della famiglia Venturini Fendi, che se interessate potrebbero beneficiare di una grossa spinta. Stessa attenzione per la sostenibilità ambientale, in materia di riduzione degli imballaggi, riuso degli scarti, basso impatto dei trasporti, oltre alla sensibilizzazione del consumatore tramite attività didattiche e culturali. E a parlare, chiaramente, dovranno essere i prodotti: rigorosamente ogm free, stagionali, da filiera certificata, al giusto prezzo e con etichettatura (qualora prevista) a norma di legge. Un punteggio supplementare sarà attribuito alle produzioni delle zone terremotate. Prevista anche l'attività di trasformazione e degustazione all'interno del mercato. Ora si aspettano le domande e i progetti dei candidati, che dovranno pervenire entro il prossimo 28 aprile. Mentre al Dipartimento Sviluppo Economico già si pensa alla stesura di un regolamento unitario che normi l'attività dei farmer's market cittadini.

 

Nuova linfa ai mercati rionali? Le mosse del sindaco Raggi

E in parallelo procede il dibattito sulla regolamentazione e il rilancio dei mercati rionali di Roma, che proprio oggi fa segnare un nuovo passo in avanti con la conferenza indetta al Mercato Metronio (VII Municipio) alla presenza del Sindaco Virginia Raggi. Le linee guida della nuova amministrazione, di fatto, sembrano ereditare il lavoro svolto in precedenza dall'Assessore Marta Leonori, con l'intenzione di restituire il sistema mercatale capitolino (70 le strutture censite) a cittadini e operatori del settore. Come? Incentivando una rapida assegnazione dei banchi per evitare l'abbandono e il degrado, valorizzando i prodotti a km 0, ma soprattutto promuovendo la funzione aggregativa del mercato, consentendo attività di somministrazione e riordinando gli orari di apertura. “Il lavoro è stato lungo e partecipato” assicura la Raggi “e ha portato all'elaborazione di schede singole per ogni struttura, che ci aiuteranno a sviluppare le specificità di ogni mercato”. Nello specifico lo stanziamento iniziale previsto dal Comune per il piano di riqualificazione e rilancio sarà di 4 milioni di euro, e permetterà di concentrarsi su 15 realtà dislocate in diversi quartieri della città. Vedremo cosa, dove (e con che tempi) succederà.

 

Qui il link per accedere agli atti

 

a cura di Livia Montagnoli

Vinitaly 2017. Novità dell'edizione numero 51 della fiera del vino di Verona

$
0
0

Veronafiere, superato il mezzo secolo di vita, lancia la sua digital transformation ed entra nel mondo delle guide. In fiera atteso il commissario europeo dell'agricoltura Hogan, mentre gli appuntamenti in città si allargano fino al Garda .

Numeri e presenze di questa edizione

Business in fiera, consumer in città. È con questo claim che si presenta la 51esima edizione di Vinitaly (9-12 aprile), secondo una tendenza già attuata negli anni passati e resa ancora più evidente dalle nuove scelte in atto.“Vinitaly ha riallineato, a partire dallo scorso anno, il numero complessivo di presenze nel quartiere, diminuendo quelle generiche, ma incrementando al contempo quelle professionali” è il commento del presidente di Veronafiere Maurizio Danese:“Nel 2016 abbiamo rinunciato a 29 mila wine lover in Fiera che sono, invece, confluiti in città. Dentro, invece, abbiamo registrato, su un totale di 130 mila visitatori, 50 mila operatori esteri da 140 Paesi, con 28.000 buyer registrati”.

Quest'anno a questi numeri dovrebbero aggiungersi anche altri 2 mila buyer-neofiti, intercettati anche grazie all'invio del free badge, un invito che Veronafiere ha rivolto agli operatori segnalati direttamente dalle aziende. Il tutto finalizzato agli incontri b2b che dovrebbero rappresentare il momento più significativo per le aziende espositrici: ad oggi sono 5 mila quelli già fissati nelle agende degli operatori esteri, selezionati dalle attività di incoming di Vinitaly. “Ci piacerebbe” dice il direttore di Veronafiere Giovanni Mantovani“che questa edizione di Vinitaly fosse quella dell'ascolto, in cui capire come impegnarsi di più sui mercati esteri, dove il vino italiano cresce, ma non abbastanza come dovrebbe. A tal proposito presenteremo con Ismea il primo modello di outlook sui mercati internazionali. Vogliamo essere 'antenne' per le aziende che espongono da noi e per i visitatori che ci vengono a trovare”.

 

Maurizio Martina

Ministro delle Politiche Agricole Maurizio Martina

Ospite d'onore di questa edizione sarà il Commissario dell'Agricoltura Ue Phil Hogan, annunciato dal ministro delle Politiche Agricole Maurizio Martina: “I 51 anni di Vinitaly si incrociano con i 60 dal Trattato di Roma, per questo quella di Vinitaly ci è sembrata l'occasione giusta per parlare di politiche comuni. Credo anche che la presenza di Hogan alla più importante fiera del vino italiana sia un segnale forte per affermare la leadership del settore all'interno del comparto agroalimentare. Per questo chiediamo a Verona di essere Capitale di questo confronto europeo”. 

 

Vinitaly

 

Le novità dentro alla Fiera

Una delle parole-chiave di questa edizione sembra essere la cosiddetta “digital transformation”. In questo senso Veronafiere, forte della nuova compagine di società per azioni (scelta lo scorso novembre) e di un piano di investimenti da 94 milioni di euro entro il 2020, ha lanciando un progetto pilota che coinvolgerà circa 3 mila buyer esteri, messi nella condizione di accedere a diversi servizi tecnologici. Qualcosa di questa sperimentazione sarà visibile al pubblico, come ad esempio i beacon, che saranno installati negli stand dei vini selezionati per entrare nella Guida 5 Stars Wines (altra novità di cui parleremo più avanti).

Per il pubblico, invece, è stata messa a punto una nuova app che sarà una vera e propria guida tra gli stand. Si potrà, quindi,ricercare le postazioni delle aziende filtrate attraverso nazioni, regioni, padiglioni; contattarli con un click ed essere informati sui loro prodotti; consultare eventi, convegni e degustazioni per giorni e date; scattare foto, scrivere note ed indicare come preferiti espositori ed appuntamenti; salvare e consultare l’esperienza a Vinitaly nella sezione "My area”; decidere dove parcheggiare grazie alla segnalazione delle principali aree di sosta disponibili; consultare la planimetria e i servizi del quartiere fieristico; rilevare il QRcode apposti sui biglietti di visitatori ed espositori per condividere e implementare in tempo reale le informazioni di contatto.

Altra novità è il lancio di 5 Star Wines, che da semplice concorso diventa “the book”. Un nuovo strumento di promozione dei vini, giudicati da un panel internazionale, chedi fatto lancia Vinitaly nel mondo delle guide di settore. Prevista sia l'edizione cartacea, sia quella e-book. 

 

 

Vinitaly

 

Le degustazioni

Se il business rappresenta il fine ultimo di Vinitaly, non si dimentichi che Vinitaly significa anche degustazioni. Come di consueto anche quest'anno sarà il Gambero Rosso ad aprire gli appuntamenti taste, domenica a partire dalle 11.30, con un grande walk around in cui presenterà i Tre Bicchieri 2017. Si segnalano, poi, le degustazioni con gli Executive Wine Seminar della Vinitaly International Academ–VIA, che quest'anno annoverano la verticale Indietro nel tempo con il Sassicaia: less is more, ovvero le annate dimenticate; la degustazione di otto grandi Metodo Classico provenienti dall’Inghilterra; Barolo & Barbaresco: a study in history and terroir; Eisackthalwein - dalla montagna al calice: i grandi vini bianchi della Valle Isarco; Una nuova generazione dell’Aglianico del Vulture si affaccia al comando; infine la degustazione di vini della Ningxia, la cosiddetta Bordeaux cinese.

Citiamo anche Vini autoctoni rari delle Donne del Vino, in collaborazione con l’omonima associazione e Ieri Oggi Domani, sei grandi etichette raccontate a due voci dai rispettivi produttori e dai sommelier dell’Ais. Chiude Vinitaly una grande degustazione realizzata in collaborazione con Wine Research Team dell’enologo Riccardo Cotarella, con i suoi produttori più famosi a illustrare i propri vini.

 

Vinitaly

 

Gli appuntamenti in città

Si arricchisce di appuntamenti Vinitaly and The City, il fuori salone dedicato soprattutto ai wine lover, che quest'anno viene allungato da quattro a cinque giorni, dal 7 all’11 aprile.

Diversi i punti di interesse nel centro storico. All’interno della Loggia di Fra’ Giocondo di Piazza dei Signori è presente l’enoteca di Vinitaly Wine Club, dove poter degustare i migliori vini italiani. All’Arsenale, c'è Biologic, sezione dedicata ai vini biologici abbinati e alle preparazioni gourmet di food truck provenienti da tutta Italia. Ma c'è di più. Grazie all'accordo con la Fondazione Bardolino Top, Vinitaly and the City supera i confini cittadini per arrivare a Bardolino, paese di grande richiamo turistico sul lago di Garda a una trentina di chilometri da Verona. “Se l'esperimento fuori Verona andrà bene” rivela il presidente Danese“non è detto che non si possa ripetere in altre città italiane”.

 

 

Vitaly | Verona | Veronafiere | dal 9 al 12 aprile 2017 | www.vinitaly.com/

Elenco completo delle degustazioni: www.vinitaly.com/it/eventi2017/calendario/

Eventi fuori Salone: www.vinitalyandthecity.com

 

 

a cura di Loredana Sottile

foto: Ennevi

Apre Osteria Arborina di Andrea Ribaldone. I nuovi progetti in Langa dello chef sabaudo

$
0
0

A La Morra, tra le vigne delle Langhe, comincia la nuova avventura di Andrea Ribaldone dopo la fine del rapporto con I Due Buoi di Alessandria. Al ristorante lo chef porterà l'idea di una tradizione territoriale che può coesistere con spunti più innovativi. E alcuni dei suoi piatti più celebri. Aspettando il bar dei crudi in terrazza per la bella stagione. 

Un nuovo inizio. Osteria Arborina

Gli Agnolotti di Fassona serviti sulla cupola di ghiaccio, ricordo di un viaggio in Giappone, ci saranno. E insieme, scorrendo il menu della tradizione, quello che parla la lingua del territorio piemontese e della Langa, chi ama nuotare in acque conosciute troverà pure l'agnolotto classico, dal gusto intenso, ripieno di stufato d'asino, “come si faceva sulle tavole casalinghe”. Radici territoriali ed evoluzione che coesistono sotto la direzione d'orchestra di Andrea Ribaldone, che - conclusa l'esperienza ai Due Buoi di Alessandria - la nuova sfida nelle Langhe di La Morra l'ha fortemente voluta. Da oggi il resort immerso tra le vigne, l'Arborina Relais di Michele Lodi e Ivano Veglio riapre i battenti per iniziare una nuova stagione; e l'Osteria Arborina di Ribaldone e Salvatore Iandolino esordisce dando seguito a un progetto a lungo desiderato. Lo chef, milanese di nascita ma sabaudo nell'animo, vanta persino parentele alla lontana in Langa, e non con un nome qualunque, se parliamo di quel Bartolo Mascarello che ha legato la sua fama internazionale alla produzione di un Barolo celeberrimo. E nelle potenzialità di un territorio che ha saputo promuovere la propria identità nel mondo crede moltissimo: “Questa è una terra che amo, a cui voglio bene. Da tre anni a questa parte l'affluenza è aumentata: una volta si arrivava durante il periodo del tartufo, tra settembre e novembre, ora la stagione comincia a maggio, ed è forte per tutta l'estate. Crediamo di arrivare in un territorio che è vocato per il turismo, e per l'enogastronomia. Di poter fare bene”.

 

Territorio a modo mio

Anche perché l'idea sul ruolo della ristorazione che Andrea ha maturato nel corso di anni trascorsi tra le cucine e il management di settore (con la società Arco fa consulenza in Italia e oltreconfine, dalla Puglia di Borgo Egnazia all'Europa Stuberl Restaurant del Grand Hotel Europa di Innsbruck, a Saint Moritz) è chiarissima: “Un buon ristorante dev'essere cassa di risonanza del territorio, una tavola dove incontri il meglio. Per scoprire prodotti che solitamente non mangi, in una variabile nuova. Come cucina tua mamma a me non interessa”. Ma questo non significa tradire le proprie origini, anzi, semmai l'obiettivo è quello di rafforzarle: “Vogliamo proporre la tradizione, perché ci sta. Ma anche offrire l'opportunità di provare un menu dello chef slegato da ogni logica, pur sempre eseguito con mano piemontese e tanti prodotti locali. Sono due percorsi che coesistono e danno la mia idea di territorio. Mi permetto di farlo perché sono piemontese”. E quindi, per tornare agli agnolotti raffreddati in acqua e ghiaccio, il Giappone che Andrea ha “assorbito” nell'anno e mezzo trascorso da Eataly Tokyo viene in soccorso con la tecnica tradizionale della soba, che rende più croccante e intensa la pasta, e il suo ripieno, senza l'aggiunta di condimenti. Stessa interpretazione pop per un altro must della cucina locale, il vitello tonnato, che in menu (ma sempre quello della “tradizione”) diventa Il Vitello e il Tonno, ventresca di tonno e filetto di vitello che si affrontano nel piatto.

Il ristorante gastronomico. Ospitalità e servizio

Trenta i coperti a disposizione nella sala del ristorante gastronomico, solo il primo a svelarsi dei progetti che si preannunciano con l'arrivo della bella stagione. E un'idea di ristorazione che non può prescindere dalla clientela internazionale, legata a doppio filo con il concetto di ospitalità: “Avremo un 70% di pubblico straniero, ne siamo consapevoli. Ma vogliamo che venga a trovarci anche chi abita il territorio, il cliente di Langa”. Come accontentare (stupire) tutti? “Partendo da uno staff di persone giovani e aperte al mondo: per fare bene questo lavoro devi essere in grado di confrontarti con chi arriva, di regalare un'emozione, ma anche di prenderla. Se ti limiti a portare i piatti in tavola puoi farlo in una mensa, forse guadagni qualcosa in più e fai orari più ridotti. Invece se vuoi arricchirti, crescere, incontrare persone e creare una serie di contatti che ti porteranno lontano allora questo è il posto giusto. E vale anche per chi è con me in cucina”. Una squadra di sette persone, quattro in cucina e tre in sala, che affiancano lo chef sin dal primo giorno, e presto aumenteranno per far fronte ai nuovi progetti. In sala la responsabile è la giovane e preparata Giulia, la cantina è affidata a Davide Canina (già sommelier ai Due Buoi): entrambi hanno alle spalle un profilo professionale inconsueto, lei laureata in legge, lui ingegnere. Entrambi condividono con lo chef una grande passione per questo mestiere, “e io ho bisogno di questa energia. Quando incontri il cliente devi trasmettergli qualcosa in più, emozionarti per e con lui. Ai tavoli si siede chiunque, spesso sono loro a raccontarti cose straordinarie”.

 

Il bar dei crudi in terrazza

Con la bella stagione anche la terrazza con vista sulle colline delle Langhe esordirà con una proposta più informale, nella proposta, nel servizio, nel prezzo. “Sarà un b-side pensato come cocktail bar, con un grande bancone dei crudi, dai formaggi a latte crudo ai salumi, alle verdure, al pesce e alla carne su lastra di ghiaccio. Dietro una griglia a carbone, per cotture a bassa temperatura e finiture in griglia, una concezione un po' orientale”. Perché anche se rifiuta l'etichetta del fusion, Ribaldone sa rielaborare gli stimoli raccolti in passato: “Il prodotto mi ispira, io applico situazioni e tecniche di cucina diverse, che continuano a suggestionarmi”. Ma questa voglia di aprirsi al mondo non gli fa mai desiderare di confrontarsi con altre realtà? “Qui l'occasione di prendere la gestione diretta del ristorante è stata ghiotta. Io del resto giro il mondo con le mie consulenze, ma la mia radice è qui e voglio continuare ad alimentarla. La radice fa crescere bene l'albero, poi siamo liberi di toccare altri alberi che sono ovunque”.

 

La ricerca sul territorio

Intanto però si lavora con molto impegno per consolidare le sinergie sul territorio piemontese, con il genio degli erborinati Marco Bernini, Walter Massa per i vini, la macelleria Oberto per la sperimentazione sulla carne e le sue maturazioni: “Ora stiamo sperimentando un lavoro sui tagli poveri, scamone e coscia, che diventano morbidi come un filetto grazie alla maturazione. È il mio modo di lavorare in sinergia con i produttori: non ti chiedo solo di mandarmi un prodotto. Vengo in azienda, parliamo di cosa cerco, studiamo insieme cosa migliorare. Perché tu possa poi proporlo anche agli altri questo sviluppo. Questa è la vera funzione del cuoco: collaborare attivamente per sviluppare un nuovo sistema alimentare e così promuovere il territorio”.

 

Osteria Arborina | La Morra (CN) | Frazione Annunziata, 27 | tel. 0173 500340 | www.osteriarborina.it

 

a cura di Livia Montagnoli

Dove mangiare a Trento. Miniguida gastronomica alla città dell’aquila

$
0
0

Circondata da un panorama naturale unico, cinta dalle acque dei suoi corsi d’acqua, lungo la valle dell’Adige sorge Trento, città ricca di storia e importanti architetture urbane. Una cultura sincretica, che la rende unica nel suo genere. Ve la raccontiamo, con i migliori indirizzi per mangiare, bere e prendere un buon caffè in città.

Tra storia, gastronomia ed eventi mondani: cosa vedere a Trento

Una città che sorprende sempre il visitatore, mostrando ogni volta un aspetto diverso di sé, ma senza dimenticare i suoi legami con le tradizioni antiche. Trento è un centro dalla bellezza gentile, che si esprime in una fusione armonica di opere romaniche e tardo gotiche, palazzi rinascimentali e barocchi, fontane monumentali di ogni epoca. Ma i viaggiatori qui trovano anche eventi mondani e culturali, come il Festival del cinema di montagna, iniziative dedicate alla sua preziosa cultura gastronomica e anche un Palio delle contrade, meno conosciuto del cugino senese, ma altrettanto suggestivo.

 

Piazza Duomo, TrentoPiazza Duomo, Trento

 

Piazza Duomo, Torre Civica e Palazzo Pretorio

Una delle piazze più policrome d’Italia, piccolo gioiello architettonico nel cuore di Trento: è piazza Duomo, cuore pulsante della città che ospita piccoli caffè, negozi, botteghe d’artigianato e di gastronomia. Nel centro della piazza si erge la Fontana di Nettuno, opera monumentale risalente al XVIII secolo, che ha subito diversi interventi nel corso del '900. Appena giunti in piazza lo sguardo viene subito catturato dall’architettura romanica della Cattedrale di San Vigilio, edificata nel XIII secolo sui resti di una basilica più antica e dedicata al patrono della città. Dall’altro lato della piazza c’è invece Palazzo Pretorio, antica sede del vescovato tridentino, con la sua facciata in stile romanico ricostruita negli anni '50 del '900. Sempre nella piazza la Torre Civica, simbolo storico ed estetico della città, adibita a usi vari, da sede del principe vescovo di Trento fino alla seconda metà del XIII secolo a carcere provvisorio per i prigionieri in attesa di giudizio in quello successivo.

 

Fontana del Nettuno e Torre Civica, TrentoFontana del Nettuno e Torre Civica, Trento

 

Il MUSE e il Castello del Buonconsiglio

Due posti imperdibili, oltre a Palazzo delle Albere e palazzo Thun, sono il Castello del Buonconsiglio e il MUSE, museo delle scienze di Trento. Il MUSE si trova a sud dello storico palazzo delle Albere, nel quartiere Le Albere. Progettat da Renzo Piano, è un museo tutt'altro che “classico”, nato sul modello dei più innovativi science center con exhibit multimediali e sperimentazioni in prima persona: all'interno della struttura viene applicato il concetto di zero gravity, con gli oggetti sospesi grazie a sottili cavi, in modo da restituire un effetto scenico molto suggestivo L'allestimento, chiamato Grande vuoto (Big Void) unisce i sei piani della struttura collegando il lucernario al piano interrato (dove si trovano i resti dei dinosauri): un luogo imperdibile per chi ama il connubio arte-tecnologia.

 

MUSE, Museo della scienza di Trento

Dal lato opposto al MUSE c'è lo splendido Castello del Buonconsiglio, una delle mete più importanti dell’intera regione dal punto di vista storico. Leggermente in alto rispetto alla città, è un insieme di edifici diventato un vero e proprio polo museale che racchiude, insieme a Castel Beseno e Castel Stenico, l’arte e la cultura di Trento dalle prime tracce fino al XX secolo. L’edificio più antico, Castelvecchio, che ha ospitato per cinque secoli i principi vescovi della città, fu eretto intorno al 1200. Accanto a questo sorge il Magno Palazzo, di stampo rinascimentale: due strutture indipendenti messe in comunicazione diretta tramite la Giunta Albertiana (costruita tra il 1686 e il 1688). Alle estremità meridionali della costruzione c’è la Torre Aquila, che conserva il Ciclo dei mesi, un importante affresco del gotico internazionale, attribuito al maestro Venceslao di Boemia. L’aquila è uno dei simboli più diffusi in città: l'aquila di San Venceslao è incisa nel gonfalone che rappresenta Trento fin dal 1407. Altre due torri abbelliscono il castello, la Torre d'Augusto, torrione principale dalla forma circolare, e la Torre del Falco.

 

Castello del Buonconsiglio, Trento

Una leggenda aleggia intorno a questa importante complesso: si narra infatti che molte streghe infestassero le torri del castello - chiamato anticamente Malconsiglio proprio per questo - spaventando cittadini e clerici. Dopo il celebre Concilio di Trento (svoltosi qui dal 1545 al 1547) le streghe furono cacciate, rifugiandosi in Val di Sole, presso S. Bernardo di Rabbi, dove vivrebbero tuttora indisturbate.

 

Cosa mangiare a Trento

Conosciuta soprattutto per i formaggi, lo speck e le mele, la cucina trentina è fortemente influenzata dalle tradizioni tirolesi e austriache, avendo fatto parte della Contea del Tirolo per molti secoli. La cucina è ricca, come si conviene a un territorio che raggiunge temperature anche molto basse. Tra i piatti tipici non mancano i fritti, come per esempio i tortel di patate e i tirtlen, il primo è una frittella di patate simile al rösti, a volte condita con luganega fresca e formaggio; il secondo è un raviolo con ripieno di spinaci, ricotta e crauti. Entrambi si consumano soprattutto come antipasti, mentre tra i primi sono diffusi, come in tutto il Trentino e molte regioni del centro Europa, i canederli, o knodel. Sono grosse polpette di pane raffermo a cui si aggiungono pezzettini di speck e formaggio, oppure spinaci nella versione verde. Possono essere serviti con il brodo di cottura o anche asciutti, con il burro fuso.

 

Carne saladaCarne salada

 

Fra i primi piatti anche gli spätzle, qui chiamati gnocchetti tirolesi, conditi con burro e salvia oppure con speck e panna. Diverse le zuppe locali, come quella di trippe o quella di orzo, o le minestre come il bro brusà, una ricetta semplicissima realizzata con farina tostata nel burro, acqua, sale, pepe e a volte pezzettini di speck. La carne è la regina dei secondi piatti: selvaggina, spesso cotta a forno e accompagnata da polenta e crauti, ma anche carne di cavallo, di coniglio e di anatra, oltre al maiale e al manzo.

 

Canederli o KnodelCanederli o Knodel

 

Secondo piatto o antipasto che sia, è molto diffusa lacarne salada, un salume preparato con tagli di manzo, più raramente lingua di vitellone e coscia di cavallo, messi sotto sale e spezie per un periodo che va dalle 2 alle 5 settimane. Ancora nella sezione salumi la mortandela, realizzata con la carne di maiale e particolarmente apprezzata nella versione affumicata della Val di Non, ma sono molto diffusi anche insaccati come la ciuiga e la luganega.

Per quanto riguarda i formaggi c’è l’imbarazzo della scelta: dal casolet, formaggio vaccino della Val di Sole a latte crudo, al Puzzone di Moena, chiamato anchespretz tzaorì, unformaggio Dop a crosta lavata tipico della Val di Fassa e della Val di Fiemme; dalla tosèla, antico formaggio fresco di latte vaccino diffuso in tutta la provincia, allaSpressa delle Giudicarie (vaccino semi stagionato delle Valli Giudicarie), passando per la vezzena di Lavarone, prodotto in estate con il latte delle vacche delle malghe dell'Altopiano di Vézzena.

 

Puzzone di MoenaPuzzone di Moena

Infine arriviamo ai dolci, anche in questo caso comuni a tutta l’area del centro Europa, come lo strudel di mele, il più conosciuto fra i dessert locali. Un’altra ricetta proveniente dall’arco alpino è il kaiserschmarrn, letteralmente “frittata dell'imperatore”, una crêpe molto spessa ridotta in pezzi e cosparsa di zucchero a velo, servita con confettura di ribes, di mirtilli o salsa di mele. Simile nella presentazione è lo straboi, ostrauben, una pastella cotta nell'olio bollente, che prende la forma di un vermicello arrotolato e arruffato. Ma il dolce più tipico della zona intorno a Trento è lozelten: malgrado gli ingredienti varino da zona a zona, la ricetta di base vuole farina, uova, burro, zucchero e lievito. A questo impasto si aggiunge poi frutta secca a piacere, solitamente noci, fichi secchi, mandorle, pinoli e uva sultanina.

 

CONSIGLI DALLA GUIDA RISTORANTI D’ITALIA 2017

Hosteria Toblino (Calavino)

Iniziamo da un wine bar appena fuori città, a circa 15 chilometri dal centro di Trento, situato in un’ottima posizione per godere della vista sulla Valle dei Laghi. Protagonista la cucina del territorio, sublimata in piatti puliti nei sapori e nell'aspetto, ma anche l’ampia cantina, fornita di etichette ricercate, che fornisce spesso l’occasione per degustazioni ed eventi dedicati al vino. Servizio premuroso e attento. Due Bottiglie nell’edizione 2017 della guida Ristoranti d’Italia.

 

Il Libertino

Un altro wine bar di livello, gestito dal sommelier Luca Laurina, che non lascia l’aspetto gastronomico in secondo piano. Posizionato in uno dei rioni più antichi della città, questo indirizzo propone una cucina legata alla tradizione trentina ma che strizza spesso l’occhio a influenze varie, senza essere mai banale. Ottimi anche i dessert, curati nell’aspetto e nei sapori. Interessante la cantina, con un’ampia scelta anche alla mescita: se siete indecisi approfittate dei preziosi consigli del padrone di casa. Due Bottiglie nell’edizione 2017 della guida Ristoranti d’Italia.

 

Locanda Margon

Immerso nei vigneti, il ristorante locanda della famiglia Lunelli (proprietari delle Cantine Ferrari), è un indirizzo di sicuro approdo per gli appassionati di cucina d’autore. Le performance ai fornelli di Alfio Ghezzi (LINK articolo Livia) lasciano trasparire lo studio fatto nelle migliori cucine italiane e la ricerca continua, volta a inserire elementi innovativi e a rendere sempre più raffinati i piatti già presenti in carta. Due i menu degustazione, Bollicine e Terroir. Due Forchette nell’edizione 2017 della guida Ristoranti d’Italia.

 

Osteria le due spade

Un’insegna citata in un documento che risale addirittura al 1545, dall’atmosfera intima e accogliente, che è nelle salde mani della famiglia di Massimiliano Peterlana da 30 anni. Ai fornelli Federico Parolari propone una cucina raffinata e attenta ai dettagli, che non resta necessariamente entro i confini della tradizione locale ma spazia, raccogliendo suggestioni eterogenee. Tre i menu degustazione, compresa una formula light per la pausa pranzo. Carta dei vini ben strutturata, con valide opzioni alla mescita. Due Forchette nell’edizione 2017 della guida Ristoranti d’Italia.

 

CONSIGLI DALLA GUIDA PIZZERIE D’ITALIA 2017

Bosco incantato

Dopo qualche chilometro fuori città, salendo verso la collina alle spalle di Trento, si arriva a Bosco incantato, nome che suggerisce già uno dei tanti pregi di questa pizzeria, la splendida vista sui paesaggi alpini. La pizza è una garanzia per i buongustai della zona: attenzione agli impasti, realizzati con un mix di grano tenero e soia ma anche con il khorasan e in versione gluten free, lievitazioni lunghe e topping di alta qualità. Da bere birre artigianali di buon livello e vini del territorio. Uno Spicchio nell’edizione 2017 della guida Pizzerie d’Italia.

 

Da Albert

Un localino informale ma curato nel cuore di Trento. Le pizze, cotte nel forno a vista, sono soffici e altamente digeribili, farcite con materie prime selezionate. Il menu, equilibrata sintesi della tradizione nazionale e delle idee creative di Tagliani, comprende anche ottimi piatti della tradizione trentina e cambia stagionalmente. Da bere una piccola selezione di vini locali e birre alla spina. Oltre ad ottenere Due Spicchi nell’edizione 2017 della guida Pizzerie d’Italia, Alberto Tagliani si è anche aggiudicato il premio miglior pizzaiolo emergente.

 

Mas de la fam

Pizzeria, risto-pub, sala meeting e club: sono tante le anime di questo locale, dall’atmosfera confortevole ed elegante. Nel maso del poliedrico Luca Boscheri potrete gustare i piatti tipici della regione e qualche proposta di pesce, ma è la pizza la vera protagonista del menu. Gli impasti sono leggeri e gustosi, croccanti al punto giusto, conditi con i migliori prodotti locali. Da bere, oltre a qualche buona birra, le etichette prodotte dal padrone di casa nel vigneto circostante. Uno Spicchio nell’edizione 2017 della guida Pizzerie d’Italia.

 

Uva & menta

Pizzeria con forno a vista, ristorante e isola bar completamente dedicata alle birre. Sono tre elementi che hanno decretato il successo di questo indirizzo del centro storico di Trento, affollato in ogni giorno della settimana. Specialità della casa sono i cocci, pizze dal bordo rialzato a mo’ di cestino, che riescono a mantenere il condimento caldo a lungo. Ma anche calzoni ripieni e i calzopizza, farciti sia all’interno che in superficie, vanno a ruba. In menu abbinamenti classici ma anche proposte di fantasia dello chef. Da bere ottime birre artigianali. Due Spicchi nell’edizione 2017 della guida Pizzerie d’Italia.

 

CONSIGLI DALLA GUIDA STREET FOOD 2017

Il posto di Ste

Ottimi panini gourmet, cicchetti veneziani, tramezzini e bocconcini tutti firmati Stefano Bertoni, padrone di casa alla perenne ricerca di prodotti di prima qualità. Qui si viene per la merenda, per l’aperitivo ma anche per il dopo cena, grazie alle sperimentazioni - non solo salate - che vengono proposte dallo staff. Attenzione anche ai clienti vegetariani o con intolleranze alimentari. Interessante la scelta di birre artigianali e vini da tutto il mondo.

 

Briciole Food&Drink (Rovereto)

Nei dintorni di Trento, questa bakery d’autore sa accontentare anche i gusti più particolari. Dalla colazione in poi il bancone è sempre ricco di pane di ogni tipo, ma anche snack salati come grissini, focacce, lievitati salati o dolci. Menu del pranzo leggero e sfizioso, basato su ricette locali rivisitate dallo chef. Da bere selezione di vini locali e birre artigianali di buon livello. Orario continuato dalle 6 del mattino fino alle 20

 

CONSIGLI DALLA GUIDA PASTICCERI&PASTICCERIE

Dolcemente Marzari

Forte della fama della pasticceria originale di Vigolo Vattaro, da qualche anno la famiglia Marzari ha aperto un punto vendita nel quartiere disegnato da Renzo Piano. Grande tecnica e materie prime locali sono i due punti di forza di questo indirizzo, come si nota anche dal bancone sempre colmo di delizie appena sfornate. Ottime frolle, brioches fragranti, mignon colorati e invitanti, ma anche tanti buoni dolci tradizionali come lo zelten. Per le feste colombe e panettoni su ordinazione. Una Torta nell’edizione 2017 della guida Pasticceri&Pasticcerie.

 

Filippi & Gardumi

Pasticcerie fra le più popolari di Trento che propone ricette classiche eseguite con maestria e precisione. Rendo Gardumi e il suo staff propongono, fin dalle prime ore del mattino, lievitati soffici realizzati e farciti con materie prime di alta qualità, focacce dolci, pasticcini e mignon. Specialità della pasticceria sono le torte, tradizionali o moderne che siano, in particolare la millefoglie alla frutta, ma anche i biscotti da tè, in tutte le forme e varianti possibili. Una piccola selezione di vini dolci completa l’offerta. Una Torta nell’edizione 2017 della guida Pasticceri&Pasticcerie.

 

Pasticceria caffetterie Viennese

Un indirizzo che punta sulla pasticceria di stile austriaco, guidato sapientemente da Attilio Rovelli. Punto di forza sono le torte come la Sacher e la Linzer, spesso servite a fette insieme a fumanti tè caldi o infusi. Da provare anche crostate e millefoglie, ma l'offerta comprende pure brioches, cornetti e qualche proposta di pasticceria meridionale come i babà. Nelle giornate più calde ottimi gelati e semifreddi. Di buon livello anche il servizio caffetteria. Una Torta nell’edizione 2017 della guida Pasticceri&Pasticcerie.

 

CONSIGLI DALLA GUIDA BAR D’ITALIA 2017

Casa del caffè

Tutto il processo di preparazione del caffè, tostatura compresa, è all’esterno del bar: il cliente sceglie la miscela preferita (20 circa, tutte a base Arabica), segue alcune fasi di lavorazione e poi entra per gustare il suo caffè. È un indirizzo che attrae, questo di Luca Torta e della sorella Roberta, che insieme si divertono a stupire anche la clientela più fedele. Ottimi anche i cappuccini e i marocchini, così come i dolci e le brioches. All’interno del locale anche mieli e marmellate artigianali da assaggiare e/o comprare. Due Chicchi e Due Tazzine nell’edizione 2017 della guida Bar d’Italia.

 

Caffè da Giorgio

Uno spazio elegante e sobrio in uno dei palazzi più antichi di Trento. Guidato da Giorgio Sembenotti, propone caffè preparati con miscele di qualità a prezzi contenuti, ma anche brioches e pasticceria secca di ottimo livello. Interessante anche l’offerta salata con piatti freddi mai banali e sfizi vari a ogni ora del giorno, abbinati a un buon bicchiere di vino alla mescita. Due Chicchi e Due Tazzine nell’edizione 2017 della guida Bar d’Italia.

 

Oriola

Ambiente grazioso e accogliente in pieno centro, raggiungibile solo a piedi. Paolo Pederzolli è un ottimo padrone di casa, sempre attento e aggiornato sulle ultime novità. Caffè e cappuccini sono di qualità elevata e ben preparati, così come brioches e pasticcini. Ampio spazio è dato al vino, grazie all’attenta selezione del proprietario: l’aperitivo è infatti il momento più affollato in tutta la giornata, con sfizi salati e ottime selezione di salumi e formaggi locali. Per gli astemi invitanti e colorati frullati. Due Chicchi e Due Tazzine nell’edizione 2017 della guida Bar d’Italia.

 

Perini 131

Il locale di Ivan Fontana richiama clienti da tutta la città e anche da fuori, grazie alla miscela Arabica tostata da un selezionatore di fiducia trentino, ma anche alla pasticceria realizzata nel piccolo laboratorio interno. Ottimi anche i cappuccini, vellutati e intensi, così come i tè e gli infusi. Pausa pranzo interessante, con proposte salate sfiziose abbinate a una bella selezione di vini locali. Piacevole spazio esterno per le giornate più calde. Due Chicchi e Due Tazzine nell’edizione 2017 della guida Bar d’Italia.

 

indirizzi

Bosco incantato | Trento | località Montevaccino, 1 | tel. 0461 960826 | www.facebook.com/Pizzeria-Bosco-Incantato-133795393334735

Briciole Food&Drink | Rovereto (TN) | viale Trento, 31 g | tel. 0464 413912 | www.facebook.com/briciole.rovereto

Casa del caffè | Trento | via S. Pietro, 38 | tel. 0461 985104 | www.casadelcaffetn.it

Caffè da Giorgio | Trento | via Antonio Rosmini, 56 | www.facebook.com/BarDaGiorgioTrento

Da Albert | via Bernardino Bomporto, 2 | tel. 0461 231712 | www.albertpizza.it

Dolcemente Marzari | Trento | viale della Costituzione, 28 | tel. 0461 036036 | www.dolcementemarzari.it

Filippi & Gardumi | Trento | via Bolghera, 34 | tel. 0461 932088 | www.filippiegardumi.it

Hosteria Toblino | Calavino (TN) | via Garda, 3 | tel. 0461 561113 | www.toblino.it

Il Libertino | Trento | piazza Piedicastello, 4-6 | tel. 0461 260085 | www.ristoranteillibertino.com

Il posto di Ste | Trento | largo Giosuè Carducci, 55 | tel. 0461 238093 | www.ilpostodiste.com

Locanda Margon | Trento | Via Margone, 15 | tel. 0461 349401 | www.locandamargon.it

Mas de la fam | Trento | via Stella, 18 | tel. 0461 349114 | www.ristorante-masdelafam-trento.it

Oriola | Trento | via Oriola, 28 | tel. 0461 985473 | www.facebook.com/BarOriola2

Osteria le due spade | Trento | via Don Arcangelo Rizzi, 11 | tel. 0461 234343 | www.leduespade.com

Pasticceria caffetterie Viennese | Trento | corso Tre Novembre, 2 | tel. 0461 236490 | www.facebook.com/Pasticceria-Caffetteria-Viennese-336550003110965

Perini 131 | Trento | via Fratelli Perini, 131 | tel. 328 4221984 | www.facebook.com/Bar-Perini-Civico-131-146677292078762

Uva & menta | Trento | via Dietro le Mura A, 35 | tel. 0461 1903162 | www.uvaementa.it

 

 

a cura di Francesca Fiore

 

Leggi anche Miniguida di Cagliari

Leggi anche Miniguida di Siracusa

Leggi anche Miniguida di Genova

Leggi anche Miniguida di Lucca

Leggi anche Miniguida di Ferrara

 

 

Nasce la Banca delle terre agricole per riavvicinare i giovani alla campagna

$
0
0

Parlare di ritorno alla terra fra i giovani italiani, ormai, è superfluo: che il lavoro dei contadini stia tornando alla ribalta è assodato. Per facilitare il mestiere dei nuovi agricoltori ora c'è la Banca delle terre, una piattaforma che mette all'asta 8mila ettari coltivabili con mutui agevolati per gli under 40.

Ritorno alla terra: la rinascita dell'agricoltura in Italia

Un'asta a tutti gli effetti per i giovani imprenditori agricoli, con un accesso privilegiato a tutti gli under 40: è l'ultimo progetto promosso da Mipaaf (Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali), la Banca delle terre agricole nazionali, iniziativa che si occupa di mappare tutte le aree coltivabili (8mila ettari in tutto) per agevolare il ritorno alla campagna. I terreni sono stati messi all'asta ieri, 15 marzo 2017, e rappresentano solo un primo passo su questa nuova strada. “La Banca può rappresentare uno strumento fondamentale per rispondere alla richiesta di terreni e per valorizzare meglio il patrimonio fondiario pubblico”, ha dichiarato il ministro Maurizio Martina. E creare un punto di riferimento per tutti i nuovi agricoltori: aumentano i laureati in Agraria, e così anche le esportazioni del made in Italy nel mondo e l'imprenditorialità giovanile nel settore agricolo sembra destinata a crescere in maniera esponenziale. Lo dimostrano progetti come questi o i tanti corsi professionali che si sono sviluppati nel tempo, fra i più recenti quello gratuito promosso dalla regione Lazio in collaborazione con la Comunità Montana Castelli Romani e Prenestini in partenariato con l’Associazione Culturale Minerva Formazione.

Secondo una ricerca di Coldiretti/Ixe’il 50% delle imprese agricole condotte da giovani è attualmente pari a 50.543, e ha bisogno di disponibilità di terra in affitto o acquisizione. In Italia, infatti, il costo della terra è in media di 20mila euro a ettaro, ma dietro questa cifra - precisa la Coldiretti - si nasconde una forte variabilità, con valori che partono dai 1000 euro all'ettaro dei pascoli della provincia di Catanzaro con un ettaro di frutteto o vigneto nelle zone di produzione più celebri, dalla Toscana al Trentino Alto Adige, che può andare da 500mila a oltre 1 milione di euro ad ettaro.

La Banca

"Dobbiamo stimolare in ogni modo la crescita delle nostre produzioni consentendo soprattutto ai giovani di poter avere un accesso alla terra e al credito semplificati”, questo l'obiettivo della Banca. Ma come funziona l'asta? Per aggiudicarsi i terreni in vendita si deve innanzitutto presentare manifestazione di interesse per uno o più lotti. Seguirà poi una procedura competitiva pubblica tra quanti hanno manifestato interesse o trattativa privata in caso di esito infruttuoso, e verrà data inoltre ai giovani la possibilità di usufruire di un mutuo ipotecario Ismea. L'obiettivo è quello di favorire l'incontro fra domanda e offerta dei terreni e aziende agricole di natura pubblica, incentivando soprattutto il ricambio generazionale. Gli investimenti, dalle stalle alle macchine, potranno quindi contare su prestiti a tasso zero e tutti gli appezzamenti di terra saranno disponibili per una visita virtuale sul portale della Banca, dove verranno raccolte tutte le aree interessate.

a cura di Michela Becchi

Fontine valdostane d'alpeggio: ecco le 16 migliori

$
0
0

Alla prova d'assaggio 16 fontine d'alpeggio, un concentrato di profumi e sapore meravigliosi e veraci che richiamano i pascoli d'alta quota, la frutta secca tostata, la cantina. Piccole produzioni artigianali e di filiera, nella maggior parte stagionate nei magazzini della Cooperativa Produttori Latte e Fontina.

Qualcuno lo considera un formaggio d'antan, datato e poco trendy. Roba tutt'al più per fondute o sandwich col prosciutto cotto. In realtà la fontina è uno dei grandi formaggi Dop italiani, è solo valdostana (diffidare del surrogato “fontal”) ed è figlia della montagna con tutto quello che si porta dietro: pascoli, latte nobile, pratiche casearie tradizionali, valori che vanno oltre al prodotto in sé. Come il presidio del territorio: continuare a produrla significa proteggere l'ambiente che l'ha generata, un ruolo che non viene riconosciuto mai abbastanza.

 

Di latteria e d'alpeggio

Se la fontina è un grande formaggio lo si deve a una serie di fattori. Prima di tutto l'ambiente montano, da cui provengono fieno ed erba fresca, base dell'alimentazione delle vacche (vietati gli insilati). Un altro punto di forza è l'animale: le tre razze autoctone valdostane pezzata rossa, pezzata nera e castana, vigorose, adatte ai terreni montani eproduttrici di buon latte. Poi c'è la lavorazione a latte intero e crudo, un latte pregiatoricco di grasso, proteine e nutrienti proveniente da una sola mungitura e lavorato a pochissime ore dalla raccolta che, grazie all'assenza di pastorizzazione, permette di avvertire al naso e al palato il fieno, il foraggio, l'animale, la cantina. Come in una radiografia, la pasta di tonalità tra l'avorio e giallo paglierino, compatta, elastica e fondente, esprime il luogo dove nasce. Se poi la fontina valdostana è d'alpeggio, prodotta tra maggio e settembre in malga nei pascoli sopra i 1600 metri d'altezza, allora abbiamo una quintessenza di profumi e sapore dati dalla straordinaria varietà di fiori ed essenze fresche di cui sono ricchi i pascoli estivi.

fontina

La maturazione

Come per altri prodotti caseari, la filiera di lavorazione è complessa e frastagliata, con diverse realtà ciascuna delle quali si dedica, solo e al suo meglio, a un anello della catena. C'è chi, in genere piccole realtà, produce le forme con il latte del proprio allevamento. Lì il suo lavoro si ferma e comincia quello dello stagionatore, nella maggioranza dei casi la Cooperativa Produttori Latte e Fontina, che raccoglie, stagiona nei suoi sette magazzini scavati nella roccia, e commercializza le forme prodotte dai propri consociati. Solo poche aziende, tutt'al più una decina, chiudono la filiera: produzione, stagionatura e affinatura, commercializzazione.

Importante è la spazzolatura delle forme con acqua e sale durante la stagionatura (da qui il colore rossastro della crosta dovuto all'ossidazione), operazione eseguita per dare la giusta umidità, aumentare le caratteristiche gustative e aromatiche e soprattutto evitare l'insorgenza di muffe che rovinerebbero il formaggio.

Un altro plus, infine, è la stagionatura in ambienti a temperatura controllata, tra i 5 e i 12 gradi, e alto tasso di umidità, oltre il 90%, in genere grotte o magazzini scavati nella roccia, nella maggior parte dei casi ex bunker della seconda guerra mondiale.

Anche se non indicato espressamente nel disciplinare di produzione, per la fontina è prevista la variante d'alpeggio, distinguibile da quella di latteria dal C.T.F. (il codice numerico identificativodel produttore) inferiore a 500 e la placchetta in caseina di colore verde anziché bianca, come nelle fontine di latteria. Alla fontina d'alpage viene dedicato a novembre un concorso che premia i migliori prodotti con Grande Médaille d’Or e Médaille d’Or.

 

La Cooperativa Produttori Latte e Fontina

La Cooperativa Produttori Latte e Fontina è una delle figure chiave del nostro formaggio. Nata nel 1957 con l'obiettivo di raccogliere, stagionare e commercializzare la fontina, da 60 anni gestisce la maturazione in grotta delle forme prodotte dai propri consociati. Oggi conta circa 200 soci tra aziende private, caseifici cooperativi, latterie e alpeggi, e movimenta intorno alle 300mila fontine, che riposano nei suoi sette magazzini di stagionatura scavati nella roccia, di cui quello di Valpelline è ottenuto nella galleria di accesso a un'antica miniera di rame, sfruttata dal 1946 (gli altri magazzini: a Palleusieux, Pré-Saint-Didier, Valgrisenche, Montjovet, Issogne epresso la sede a Saint-Christophe).

 

 

La degustazione

È lafontina d'alpeggio, dove i profumi si arricchiscono di note floreali e vegetali fresche,che abbiamo assaggiato nella classifica del mese. Prodotta nell'estate del 2016 (una grande annata grazie alle favorevoli condizioni climatiche per questo formaggio montanaro), di 3 mesi circa di stagionatura.

Per la nostra classifica abbiamo preso in esame piccole produzioni artigianali e di filiera, nella maggior parte stagionate nei magazzini della Cooperativa Produttori Latte e Fontina.

 

 

foontina

 

I prezzi indicati sono quelli medi al dettaglio

Tranne la prima classificata, le aziende sono in ordine alfabetico

 

1° Classificato

 

Cooperativa Produttori Latte e Fontina- Les Foyer des Reines

Da uno dei 10 campioni presentati dalla Cooperativa Produttori Latte e Fontina proviene il vincitore della classifica, un vero numero uno, ben oltre i 90 centesimi nelle schede di valutazioni di tutti i panelisti. Nella fontina d'alpage prodotta da Les Foyer des Reines di Doues, C.T.F. 250, nell'alpe Champillon, stagionata nel magazzino di Valpelline,c'è tutto il magico mondo di questo meraviglioso formaggio, e su toni alti: il latte, il burro, l'animale sano e pulito, la stalla ben tenuta, l'erba fresca e fermentata di montagna, profumi floreali inebrianti che richiamano i fiori bianchi (fresia, gelsomino...), la frutta secca, il miele, la castagna lessa e il marron glacé, la cantina, accenti tostati e speziati... Una tavolozza ricchissima di sensazioni complesse e pulite, che dal naso si trasferiscono con coerenza al palato unendosi a un gusto armonico, con dolce e sapido in perfetto equilibrio, e a una struttura eccellente, morbida, umida e grassa, solubilissima, in un vortice di persistenza, eleganza e armonia.

Prezzo al kg 15-35 euro

Cooperativa Produttori Latte e Fontina- Les Foyer des Reines | Saint-Christophe (AO) | loc. Croix Noire, 10 | tel. 0165 35714 - 0165 40551 | www.fontina-valledaosta.it

 

La Casera- Davide Ramires - Camillo Bredy - Fabio Glassier

Tre le fontine d'alpeggio proposte da Eros Buratti, famoso maître fromager verbanese e tra i migliori selezionatori di perle di latte a livello nazionale. Un tris che va dal buono all'eccellente prodotto da caselli diversi ma con un unico affinatore: il Caseificio Artigiano Variney di Eliseo Duclos. Da podio la fontina di Davide Ramires di Quart, C.T.F. 20, prodotta nell'alpeggio Verney a La Thuile: esprime la sontuosa pervasività del pascolo, note lattiche di una dolcezza così accentuata da richiamare l'Emmental, poi l'animale, la stalla pulita, i funghi, la cantina, la frutta secca tostata. Un caleidoscopio aromatico che in bocca si arricchisce di un gusto ricco e rotondo, rustico ma equilibrato e composto, con una stupenda persistenza e una grande evoluzione in bocca. Una fontina da meditazione, da assaggiare senza fretta e gustare morso dopo morso.

Molto buona la fontina di Camillo Bredy di Oyace, C.T.F. 360, prodotta nell'alpeggio Arpille Sopra di Aosta, un goloso monumento alla montagna nella sua più pura autenticità: ha profumi densi di latte grasso e pregiato, burro nobile e panna, che dominano una ricca palette completata da note vegetali di erba fresca e secca, di animale, stalla pulita e cantina; il gusto è pieno, equilibrato e persistente, con la sapidità in perfetta armonia con la dolcezza, la struttura è morbida e abbastanza fondente.

Buona la fontina di Fabio Glassier diOyace, C.T.F. 224, prodotta nell'alpeggio La Za di Bionaz: note di latte ricco e grasso, lievi sentori floreali e vegetali di erba fresca, ricordi di frutta secca e cantina, sapore di buon equilibrio, retrogusto dolce.

Prezzo al kg 18/30 euro

La Casera- Davide Ramires - Camillo Bredy - Fabio Glassier | Verbania (VB) | fraz. Trobaso via Vidic | tel. 0323 517251 | www.formaggidieros.it

 

Castagna

Il maître fromager Giuseppe Castagna e il suo staff sono sempre alla ricerca di “piccoli piaceri di montagna” a base di latte, selezionati presso piccoli caselli artigianali, spesso affinati dai nell'azienda di Ornavasso. La fontina d'alpeggio in degustazione è stata prodotta da Diego Petitjacques di Oyace, C.T.F. 467, nell'alpeggio La Tza di Prie a La Thuile, nel Piccolo San Bernardo, dove avviene anche la stagionatura in cantine naturali. Un prodotto di carattere e con un ampio ventaglio di sensazioni. Emana un profumo intenso che richiama il latte e il burro, seguiti da animale, stalla pulita ed erba fresca, e accenni di cantina. In bocca la sapidità tende a coprire la tipica dolcezza, le sensazioni olfattive sono arricchite da aromi di nocciola mentre in chiusura si avverte una sensazione amarognola che ricorda la noce. Struttura abbastanza morbida, grassa ed elastica, appena tendente al gessoso ma nel complesso solubile.

Prezzo al kg 14-30- euro

Castagna | Ornavasso (VB) | via A. di Dio, 185 | tel. 0323 837628 | www.castagnasrl.com

 

Cooperativa Produttori Latte e Fontina

A parte la fontina d'alpeggio vincitrice, anche gli altri prodotti proposti dalla Cooperativa Produttori Latte e Fontina di Saint-Christophe, stagionati quasi tutti nel magazzino di Valpelline, sono di un livello che va dal buono fino a sfiorare l'eccellenza. Ottima la fontina di Piero Cuaz di Ollomont, C.T.F. 240, prodotta nell'alpeggio Tzoublanc,che dà il meglio di sé nelle sensazioni in bocca: piacevoli aromi lattici, accenni di frutta secca e cantina, leggere note animali e vegetali ad accompagnare un sapore dolce e pieno, una sapidità controllatissima, una struttura straordinariamente morbida, grassa e fondente.

Altro bel formaggio la fontina d'alpeggio di Giovanni Giolitto di Cogne, C.T.F. 294, prodotta nell'alpeggio Broiot:il suo punto di forza è la dolcezza esuberante e giovanile, che domina sugli aromi appena sussurrati di frutta secca, latte, burro, pascolo e fiori, più vaghi ricordi animali e di cantina, in una dimensione di armonia, delicata pienezza ed eleganza.

A seguire un bel tris di fontine: quella di D.L. Società Agricola di Quart, C.T.F. 88, realizzata nell'alpeggio Chalebe,vivace e grassa al palato, molto armonica e pulita, con piacevoli note lattiche e burrose, richiami alla frutta secca (noce, pinolo...) e una bella struttura umida, elastica e di alta solubilità; la fontinadi Davide Squinabol di Gressan, C.T.F. 118, proveniente dall'alpeggio Pila, diversamente dagli altri prodotti presentati dalla Cooperativa stagionata nel magazzino di Palleusiex, dall'impatto gustativo importante e sapido, ricco di note dolci lattiche, di frutta secca e fresca (banana, ananas), erba fermentata e cantina, con una struttura molto compatta e serrata, quasi “croccante” e poco grassa; e quella di Domenico Chenal di La Thuile, C.T.F. 14, prodotta nell'alpeggio Chavanne, dolce, semplice e immediata, con una grande dolcezza burrosa e aromi di latte, dolci di forno, canditi, frutta secca e cotta: sembra di entrare in una pasticceria.

Buone le fontine di Po-Ma di Claudio Pomat di Etroubles, C.T.F. 211, alpeggio Comba Zerman (“animale” e con un sapore pieno dolce/sapido), di Ida Letey di Doues, C.T.F. 446, alpeggio Rossa (note di latte, mela cotta, pascolo fiorito, stalla, ma anche sentori “scuri” che richiamano la cantina e le sue muffe), di Tiziana Cerise di Etroubles, C.T.F. 212, alpeggio Barasson (delicata, dominata da note lattiche burrose molto dolci), dei F.lli Jordaney di Bionaz, C.T.F. 232, alpeggio Grand Chamin (dolce e delicata, con prevalenza di note vegetali, floreali e di frutta secca ancora giovane e appena tostata).

Prezzo al kg 15-35 euro

Cooperativa Produttori Latte e Fontina | Saint-Christophe (AO) | loc. Croix Noire, 10 | tel. 0165 35714 | www.fontina-valledaosta.it

 

Panizzi

Panizzi è uno tra i più validi punti di riferimento regionali in fatto di formaggio, sul fronte produzione (con caseificio in frazione Larzey), affinamento dei prodotti caseari (presso la sede) e commercializzazione (negozi a Courmayeur, Morgex e La Thuile, oltre a una rete di vendita nazionale nell'alta gastronomia). Il buon lavoro di selezione del prodotto fresco e della sua maturazione in azienda si esprime nella fontina d'alpeggio in degustazione, un prodotto superlativo, che raggiunge il podio in agilità e senza esitazione. Provenienza: l'azienda Carla Abram di Valgrisenche, C.T.F. 364, dall'alpeggio Beauregne. Un ampio bouquet di sentori vegetali e floreali, il latte nelle sue forme più evolute, dove prevalgono il burro fuso e il latte riscaldato, note speziate e di frutta secca tostata, lievi accenni animali e di cantina fanno da passepartout aromatico a un gusto dolce, pieno e complesso, verace ma fine ed equilibrato, di giusta sapidità e con amaro in armonia. Struttura morbida, elastica, umida al punto giusto e di buon grasso, fondente e solubilissima! Tutto potenziato da una lunga persistenza.

Prezzo al kg 14-20 euro

Panizzi | Courmayeur (AO) | via Circonvallazione, 41 | tel. 0165 843041 | www.panizzicourmayeur.com

 

Taberna Imperiale

L'azienda abruzzese, oltre ad affinare prodotti di latte di pecora a Rocca Calascio in grotte naturali, seleziona caci artigianali italiani e stranieri per distribuirli nel settore Horeca di alta qualità. La fontina d'alpeggio proposta in degustazione, affinata dalla Cooperativa Produttori Latte e Fontina (non è indicato il produttore), è tipica, elegante e dà il meglio di sé al palato. Il naso è piccolo e chiuso, ma presente, con una sua ricchezza e complessità che richiama tutte le note tipiche: il latte scaldato e il burro fuso, la frutta secca (noce, nocciola), l'animale e la stalla puliti, i funghi champignon, il bosco e la cantina. Sensazioni che tornano con più forza in bocca incontrando una giusta sapidità, la consueta dolcezza, una texture non morbidissima e leggermente adesiva ma nel complesso solubile.

Prezzo al kg 30 euro

Taberna Imperiale | Collecorvino (PE) | loc. Poggio Santa Maria via Atri, 3 | tel. 085 8205008 - 335 1311620 | www.tabernaimperiale.it

 

 

I prezzi indicati sono quelli medi al dettaglio

Tranne la prima classificata, le aziende sono in ordine alfabetico

 

a cura di Mara Nocilla

foto di Francesco Vignali

 

Articolo uscito sul mensile di Marzo 2017 del Gambero Rosso. Per abbonarti clicca qui 

 

I crotti del Lago di Como. 7 trattorie sotterranee da scoprire

$
0
0

I Lago di Como, ma anche la Valchiavenna e il Canton Ticino: sono questi i territori che ospitano i crotti. Sono trattorie caratteristiche nate accanto a locali scavati nella roccia, usati un tempo per conservare vini, salumi e formaggi. Oggi trasformati in punti ristoro dal fascino unico.

La tradizione della cucina lariana si affida a pochi piccoli fari, spesso a gestione familiare, che mantengono vivi non solo i piatti che ci sono da sempre, ma anche la giusta atmosfera in cui è bene gustarli. Parliamo dei crotti (o crott in dialetto) tipici del Lago di Como, della Valchiavenna e del Canton Ticino. Si tratta di ambienti ricavati in parte da anfratti naturali - il nome è una variante dialettale di “grotta” - che una volta venivano utilizzati come celle frigorifero per la conservazione dei prodotti, caratterizzati dal fresco dato dallo spirare del “sorèl”, una corrente d’aria a temperatura costante (6-8 gradi) che spira tra le rocce. Successivamente, in molti casi, si costruì sopra o a lato una saletta: spazi talvolta modesti o vere e proprie osterie, ristoranti o alberghi a rendere più ampi e confortevoli i crotti, pur rimanendo fedeli alla loro anima rustica.

Il crotto è il posto ideale per immergersi nella tradizione, dove “si beve vino bono e si tiene scola de umanità”, come recita una scritta risalente al 1781 rinvenuta in un crotto della Valchiavenna. Ma l'indicazione vale per tutti.


crotto pepott

Oggi andiamo alla scoperta dei crotti che si trovano sulle sponde del Lago di Como, suggestiva proposta per una gita fuori porta (per chi si trovasse in zona). Partiamo dal Valdurino, gestito dalla stessa famiglia ormai da cinque generazioni, che da oltre un secolo ristora con una proposta che più tradizionale non si può, e a questo indirizzo, a corollario, aggiungiamo altri della zona, alcuni più semplici, altri che invece si sono evoluti pur mantenendo il crotto come cuore della struttura.

 

 

Crotto Valdurino

A pochi chilometri da Como il Crotto Valdurino, nella frazione Vergonzano di Moltrasio, ha tutto quello che ci aspettiamo da un crotto, a partire da una storia antica con una tradizione portata avanti dal 1882 anche se, a leggere il libro di Elvy Sacchi Il segreto del Barone (Dominioni Editore, 2016), potrebbe essere persino anteriore: “…il barone aveva preso l’abitudine di salire a mangiare qualcosa al Crotto di val Durina, da quel Luigi Borroni che lo aveva comperato nel 1867”. In ogni caso oggi è la quinta generazione a portare avanti il crotto: “Con mio marito Mauro e mio padre Arturo gestiamo questo locale storico, e mia madre Aldina prima di me dal 1981”, spiega Maria Luigia Donegana, mentre la sesta generazione, due gemelli di 16 anni, è già sulla buona strada: “entrambi sono iscritti alla scuola alberghiera e quando possono ci aiutano sempre ben volentieri”. A Moltrasio il Valdurino (il nome deriva dalla presenza di una valle poco distante, e di una corte chiamata ‘Durina’) è ormai l’unico rimasto, ma in zona, fino a qualche decina di anni fa, ce ne erano molti di posti simili.

La struttura è stata costruita contro la roccia sopra le cantine, già usate per tenere al fresco formaggi, salumi e le botti di vino. In una posizione sopraelevata – per guadagnarselo bisogna fare qualche gradino – offre una spettacolare vista sul primo bacino del Lago di Como, impreziosita dalla presenza di una grande terrazza dove, se la stagione lo permette, ci stanno fino a 20/25 coperti. L’interno è giustamente rustico e familiare, con ampi tavoli, un vecchio bancone, il soffitto con decorazioni in gesso e un grosso camino coperto che porta incisa la data di costruzione: 1907.

La cucina è quella tipica lariana e lombarda”, spiega Maria Luigia, dove fra gli antipasti, se la pesca lo permette, c’è il lavarello o l’agone in carpione mentre fra i primi piatti spicca il risotto col persico. I secondi comprendono diverse specialità, ma il lavarello burro e salvia o i missoltini (agoni conservati sotto sale) alla piastra valgono da soli la visita. Nella stagione invernale a farla da padrone sono invece brasato, uccelli scappati con polenta e cassoeula. In chiusura, oltre a ottime crostate, fra i dolci si trova spesso un altro pezzo forte della tradizione, la miascia, una antica ricetta comasca: una torta di pane con uvetta, mele e amaretto che viene servita con gelato alla crema.

Il servizio è quello che si vuol trovare in un posto come questo, senza fronzoli ma cordiale; il vino, essendo in un crotto, è per lo più quello sfuso della casa, ma si può trovare anche qualche etichetta. Per finire, non si può uscire senza aver provato il verdino, un ottimo digestivo al basilico.

Crotto Valdurino | Moltrasio (CO) | via Antonio Besana , 37 | tel. 031 290101

 

Il Crotto dei Pescatori

Qui una volta si fermavano i "gomballi", dei grossi barconi a vela tipici del Lago di Como, per far mangiare i pescatori e lasciare la merce al fresco. Oggi il Crotto dei Pescatori è un bel ristorante con cucina classica italiana e tanto pesce di acqua dolce: Giovanni Barindelli propone un ottimo antipasto di lago, con paté di pesce, iridea alla salsa di mandorle, carpione delicato bianco e rosso e trota alla salsa verde; fra i primi il grande protagonista è il risotto col persico, mentre fra i secondi da provare il tradizionale lavarello alla piastra o con capperi e olive. Sei camere sopra il ristorante permettono anche di poter sostare con la formula B&B.

Il Crotto dei Pescatori | Lezzeno | Località Casate, 77 | tel. 031 444 6085

 

 

crottoneIl Crottone

 

Il Crottone

Nella zona collinare sopra Dongo, la trattoria Il Crottone è una cantina storica che risale il XV sec. nella quale si conservano vino e formaggi tipici locali come la semùda, i salami e mortadelle nostrani. Da quasi 200 anni la famiglia Riella gestisce questo crotto con una terrazza panoramica con vista sull’alto lago e un’ampia sala con camino. Fra i piatti tipici da segnalare le grigliate di carne fatte sulla piòta (pietra) o la selvaggina. Per finire consigliamo il braschino (dolce tipico di Garzeno) e amari o liquori fatti in casa. Nella stagione invernale meglio prenotare.

Il Crottone | Dongo (CO) | via Vanzonico | tel. 0344 81475 - 340 5264928|  http://www.crottone.it/

 

Crotto del Cech

Una struttura che dall’esterno può sembrare anonima, ma al suo interno è articolata e ospita un piccolo bar e una saletta con camino. Il vero ingresso nel crotto avviene solo dopo aver salito una ripida scala in pietra che porta in una stanza caratterizzata da un bel soffitto di legno e una stufa in un angolo. Lo chef e proprietario Luca Colombo propone diversi piatti, frutto di una ricerca nella tradizione regionale del nord Italia e qualche puntatina fuori confine. Ci si trova quindi in un vero e proprio ristorante, con un servizio molto cordiale; fra i primi, per gli amanti del cibo locale si trovano ottime proposte, come i ravioli freschi con ripieno di lavarello conditi con un burro artigianale alle erbe aromatiche e bottarga di lavarello; fra i secondi, su prenotazione, si può provare un buon fritto misto di pesci di lago. Dolci casalinghi e di ottima fattura.

 

 

Crotto Del Cech | Dervio (LC) | via Duca d’Aosta, 55 | tel. 0341 804227

 

crotto del mistoCrotto del Misto

Crotto del Misto

Sull’ampia terrazza si possono gustare piatti tipici con qualche rivisitazione, mentre le cantine, del '700, servono a custodire i vini in un ambiente naturale, dove umidità e temperatura costanti tutto l’anno permettono di raggiungere un invecchiamento perfetto, grazie a una sorgente di acqua perenne che sgorga direttamente nelle cantine. L’albergo sovrastante dispone di ben 12 camere, e annesso all'hotel, si trova il Club Morgan, scuola nazionale di sci nautico e wakeboard.

Crotto del Misto | Lezzeno (CO) | fraz. Crotto 10 | tel. 031 914541 http://www.crottodelmisto.com/it/home.htm

 

Crotto ddel pepottCrotto del  Pepott

Crott del Pepott

Un altro posto che ha conservato in pieno le proprie caratteristiche: il Crotto del Pepott, nell’alto ramo di Lecco, si trova all’interno dell’orrido di Vezio, un contesto unico nel suo genere. La cucina, in una piccola saletta o all’esterno, su terrazze in pietra poste su diversi livelli, propone piatti tradizionali, con diversi abbinamenti ad accompagnare la polenta taragna, buone carni e ottime torte fatte in casa. Visto l’ambiente, anche in estate alla sera la temperatura può essere fresca.

Crott del Pepott | Perledo - Loc. Campallo (LC) | vie per Vezio | tel. 3463566777|http://www.crottdelpepott.com/it/

 

Crotto dei Platani

Il Crotto dei Platani, incagliato nella roccia a picco sul lago tra platani secolari, è un vero e proprio ristorante con buoni piatti, un servizio accurato e un ambiente tranquillo e riservato. Si può scegliere tra la bella veranda panoramica aperta tutto l’anno, il rigoglioso giardino a ridosso del lago, il terrazzino riservato e una piccola darsena. L’idea dello chef Andrea Cremonesi è quella di valorizzare la materia prima del territorio, conservando e interpretando le antiche ricette tradizionali con qualche spazio per la ricerca creativa. Il crotto vero e proprio custodisce circa 400 etichette di vini italiani, ma attualmente non è visitabile. Negli anni Trenta questo locale a metà strada tra Brienno ed Argegno, ai piedi del Monte Gringo, era il '30 quartier generale dei più sfuggenti contrabbandieri della zona, che si mescolavano a boscaioli e gente locale per sfuggire ai controlli.

Crotto dei Platani |Brienno (CO)| via Regina, 73 | tel. 031 814038| http://www.crottodeiplatani.it/

 

a cura di Marco Cambiaghi

crotto del mistoCrotto del Misto

Crotto del Misto

Sull’ampia terrazza si possono gustare piatti tipici con qualche rivisitazione, mentre le cantine, del '700, servono a custodire i vini in un ambiente naturale, dove umidità e temperatura costanti tutto l’anno permettono di raggiungere un invecchiamento perfetto, grazie a una sorgente di acqua perenne che sgorga direttamente nelle cantine. L’albergo sovrastante dispone di ben 12 camere, e annesso all'hotel, si trova il Club Morgan, scuola nazionale di sci nautico e wakeboard.

Crotto del Misto | Lezzeno (CO) | fraz. Crotto 10 | tel. 031 914541 http://www.crottodelmisto.com/it/home.htm

 

Giallo Zafferano alla conquista delle edicole. Mondadori scommette sul primo food magazine italiano nato da un sito

$
0
0

Dopo l'acquisizione del gruppo Banzai a maggio scorso, Mondadori vuole sfruttare le potenzialità dello storico portale di ricette fondato nel 2006 da Sonia Peronaci. E ci prova con un magazine che ricalca il format del sito, interagendo con l'app dedicata a video ricette e food blogger. Ecco come sarà il mensile di Giallo Zafferano. 

Dall'addio di Sonia Peronaci al mensile. Passando per Mondadori

Ironia della sorte. Mentre il mondo dell'editoria gastronomica piange la fine dell'esperienza Lucky Peach, le edicole italiane si preparano ad accogliere l'ultima divagazione sul tema di Mondadori: il mensile di Giallo Zafferano. Il parallelo tra i due progetti, diciamolo subito, è quanto di più improbabile si possa azzardare. Certo fa sorridere che a fronte della crisi di quell'editoria di settore iper-specializzata che piace soprattutto agli addetti ai lavori, quasi per legge del contrappasso si rafforzino le leve di prodotti generalisti che sanno cavalcare il boom di cucine televisive e talent culinari, assecondando quel desiderio sempre più diffuso di sentirsi chef in casa propria. A maggio 2016 il gruppo Mondadori acquisiva per 45 milioni di euro la divisione vertical content del Gruppo Banzai, che dopo l'addio di Sonia Peronaci aveva conservato la gestione della storica piattaforma online (nata più di dieci anni fa) dedicata alla condivisione di ricette. Allora si parlava principalmente di nuovi traguardi digitali che le risorse di Mondadori avrebbero potuto assicurare a un progetto già di per sé estremamente efficace, che oggi secondo dati Audiweb registrati a dicembre 2016 conta 6,8 milioni di utenti unici al mese e una presenza imponente sui social network (su Facebook sono 4,6 milioni i fan distribuiti sulle varie pagine). Ma proprio a partire da queste premesse ora l'obiettivo dichiarato è quello di conquistare anche il mondo della carta stampata, con un mensile ispirato al portale di cucina in edicola ogni mese a partire da sabato 18 marzo (al prezzo lancio di 1 euro).

 

Il mensile di Giallo Zafferano

Il primo del genere in Italia e in Europa, ribadiscono in casa Mondadori, a nascere da un sito. La rivista proporrà un centinaio di ricette inedite su ogni numero, ideate e testate dalla redazione storica e da nuovi professionisti under 30 che lavoreranno in affiancamento. E al progetto cartaceo si associa lo sviluppo di un'app di realtà aumentata disponibile per iOS e Android, cui i lettori potranno attingere per seguire ricette filmate, video e contenuti extra. Mentre tra le pagine ci sarà spazio anche per approfondimenti tecnici, schede degli alimenti, consigli pratici per l'acquisto, menu tematici elaborati dai volti del portale, i blogger che impazzano sul sito con le video ricette facilmente replicabili a casa. Oltre alla scuola di cucina, con foto ricette step by step, curiosità e consigli sul galateo, una rubrica sui vini e un focus sugli utensili e gli elettrodomestici da cucina. Insomma, tutto quello che al giorno d'oggi sembra desiderare un cuoco fai da te.

Senza dimenticare che Mondadori già conta una rivista di peso come Sale&Pepe (che quest'anno compie trent'anni), posizionata però su un target diverso, e molti altri progetti editoriali più affini al nuovo Giallo Zafferano, da Cucina Moderna a Cucina no Problem. Ma evidentemente è ora di scommettere sulla forza di un brand che sembra destinato a fare proseliti ancora a lungo, pur con una formula tutto sommato non così innovativa. Un magazine rassicurante e pop quanto basta per accontentare un pubblico trasversale.

 

a cura di Livia Montagnoli

Addio voucher. Le reazioni delle associazioni di categoria

$
0
0

Il Consiglio dei Ministri ha abolito i vooucher. I cosiddetti buoni lavoro che regolamentavano i lavori occasionali. COsa ne pensano le associazioni di categoria?

Chissà se quando, nel maggio scorso, Sergio Mattarella ammoniva sull'uso improprio dei voucher ne auspicava l'abolizione completa e non, invece, un maggior rispetto delle regole. Perché questo colpo di spugna sui buoni lavoro ricorda quando, dato un pallone e l'obbligo di giocare in giardino e non in casa, anziché far rispettare la semplice regola si decide di far sparire il pallone. E fine dei giochi. Lo dice a chiara voce Massimo Vivoli, Presidente di Confesercenti: Gli abusi vanno certamente identificati e contrastati, ma auspicavamo una riforma che tenesse conto dei reali bisogni delle imprese e dei lavoratori”. Oggi si compie un passo indietro, per il presidente di Confesercenti, che sottolinea comeeliminare i buoni lavoro significhi “disconoscere i passi che sono già stati compiuti per migliorare lo strumento dei buoni lavoro ed evitare irregolarità: penso ad esempio all’introduzione della tracciabilità, che ha fortemente circoscritto l’uso dei voucher, come certificano i dati della stessa Inps”.

 

L'abolizione

Certo è che abolirli, dove averne ampliato il raggio di applicazione sino al punto da confonderne i contorni (e aprire ad abusi e precarizzazione), è quanto meno schizoide. E racconta tanto di un'Italia che, piuttosto che far rispettare le regole e rispondere a delle esigenze reali di un mondo in movimento, cerca di strizzare l'occhio a questo o a quello tranne poi battere in ritirata di fronte al confronto reale. L'Italia di oggi (ma per alcuni settori, anche quella di ieri) è fatta anche di realtà lavorative temporanee, e alcuni settori subiscono andamenti più che stagionali, talvolta perfino quotidiani. Quelli per cui, storicamente, si davano i soldi in mano a fine giornata, senza se e senza ma. Collaboratori domestici, camerieri per cerimonie o giornate di particolare affluenza, lavori agricoli come vendemmie o raccolta di frutta. Che per qualche anno sono stati regolamentati dai voucher, i buoni lavoro per piccoli incarichi che, insieme al compenso, includevano anche assicurazione, imposte, contributi (2,5 euro sui 10 totali di ogni voucher). Che, è vero, sono stati impiegati anche fuori dai contorni previsti dalla legge, e secondo alcuni sono responsabili anche di una contrazione dei contratti fissi. Ipotesi a cui replicava pochi giorni fa Lino Enrico Stoppani (Fipe) Chi invoca l’eliminazione dei voucher considerandoli un sostituto dei contratti più stabili sostiene una tesi puramente ideologica che viene contraddetta dai fatti: il bilancio degli ultimi sette anni di crisi economica dimostra che le imprese del settore hanno non solo mantenuto l'occupazione, ma sono riuscite ad incrementarla utilizzando contratti considerati più stabili stando ai dati Inps".

Ora che il dado è tratto, e l'emendamento votato annulla i voucher, ci sarà un periodo di transizione fino alla fine del 2017 per permettere a chi li ha acquistati di usarli. E intanto si pensa al futuro, con l'ipotesi, neanche troppo remota, di trovare altri strumenti simili a quello cancellato di gran carriera data “la mancanza di strumenti alternativi” come sottolineato da Confcommercio che denuncia come tutto sia stato fatto “senza preoccuparsi del vuoto che si crea” perché con l’eliminazione di questo strumento non possono essere coperte quelle attività occasionali comunque presenti nelle imprese.

 

Chi usa i voucher

Secondo i dati dell'Inps l'uso dei voucher è cresciuto in modo costante negli anni di applicazione, arrivando a oltre 120 milioni di buoni (del valore di 10 euro) nei primi 10 mesi del 2016. Uno strumento di cui usufruiscono famiglie solo per il 3,3% del totale secondo l'Inps (motivo per cui l'ipotesi di ridurne l'uso al solo ambito familiare avrebbe avuto lo stesso significarlo che abolirli).

I settori in cui vengono più utilizzati sono turismo (14,9%), commercio (14%), servizi (11,4), giardinaggio e pulizia (42%) e, fanalino di coda, agricoltura (1,1%). Per Confindustria si parla dello 0.19% del totale delle ora lavorate con un tetto di reddito per ogni persona passato dai 5 la euro netti l'anno ai 7mila (dopo le modifiche introdotte dal governo Renzi) di cui meno di metà derivanti da un unico committente.

Ma dai dati dell'Inps si desume anche altro, come spiega Vivoli: Sono dati che dimostrano l’occasionalità dell’impiego dei buoni: in media, i lavoratori pagati con voucher hanno guadagnato 600 euro lordi all’anno a testa” Cifre che non costituiscono, evidentemente, un reddito equivalete a un lavoro continuativoche infatti sono state percepite per due terzi da persone con un’altra fonte di reddito, da lavoro autonomo, dipendente o anche da pensione, e in cerca di un’integrazione”. Favorendo l’ingresso nel mercato del lavoro “di soggetti a rischio di esclusione sociale, come studenti e pensionati” aggiunge Lino Enrico Stoppani di Fipe che aggiunge checirca l'1,1% sul valore complessivo della categoria è legato ai vocher. Una cifra bassanon mi pare una percentuale di abusodice Stoppani che sottolinea come sia necessario uno strumento semplice, che permetta di rispettare le regole anche nei casi di attività occasionali non programmabili e a breve durata. Elementi necessari anche per sostenere la ripresa.

 

L'agricoltura

I buoni lavoro sono stati introdotti inizialmente proprio in agricoltura per la vendemmia e da allora – segnala la Coldiretti-  hanno consentito nel tempo di coniugare gli interessi dell’impresa agricola per il basso livello di burocrazia con quelli di pensionati, studenti e disoccupati. Ma oggi la situazione è cambiata: appena l’1,09% del totale dei voucher viene impiegato in agricoltura dove, tra l'altro, sempre secondo la Coldiretti, non si sono verificati gli abusi registrati in altri settori “perché nelle campagne i beneficiari possono essere soltanto pensionati e giovani studenti, tra l'altro impiegati esclusivamente in attività stagionali” che sono caratteristiche del lavoro in campagna. Motivo per cui l'associazione chiedeva con fermezza che i voucher venissero mantenuti e semplificati (rispetto soprattutto alle recenti modifiche di ordine burocratico ed economico) .

“In quattro anni (dal 2011 al 2015), l’uso in agricoltura dei voucher" aggiunge Mario Guidi Presidente di Confagricoltura "è rimasto stabile, anzi in leggera diminuzione passando da quasi 2 milioni a meno di 1.900.000. Non riusciamo a comprendere perché si sia eliminato, anche per le aziende agricole, uno strumento nato per esse, che lo hanno sperimentato per primo e che non ne hanno abusato”.

 

Le reazioni delle associazioni di categoria

Mario Guidi di Confagricoltura sottolinea come, per scongiurare il referendum si rischia di vanificare uno strumento “che in agricoltura si è rivelato utile, sia per le aziende, sia per i lavoratori”. Per Guidi i buoni, in agricoltura, sono stati usati secondo le regole per le categorie e nei casi previsti (studenti, cassaintegrati, pensionati, disoccupati e per attività stagionali) e dunque non penalizzano lavoro agricolo subordinato ma costituiscono una piccola fonte di reddito per fasce precise di popolazione, soggetti deboli a rischio di esclusione sociale che vedevano, in queste impieghi occasionali, piccole integrazioni.

Per Confesercenti, l'abolizione non avrà che un effetto di facciata perché “i mini-jobs” continueranno ad esistere e dunque “servirà un altro strumento per regolamentare le prestazioni occasionali che non possono essere inquadrate in rapporti di lavoro tradizionale”. Senza contare, ed è ancora Confesercenti a mettere in luce questo aspetto, che a essere interessati sono soprattutto i settori che non hanno un andamento regolare nella mole di lavoro ma vivono di momentanei picchi di attività, per esempio turismo, il marketing, il commercio e l’organizzazione eventi. Settori che, in gran parte, sono stagionali e, oggi, si stanno preparando alla stagione estiva. E per i quali serve regolamentare il lavoro accessorio come la fase transitoria cui si va incontro con l'abolizione dei voucher. .

 

Le conseguenze

L'allarme lo lancia Coldiretti: “L’eliminazione dei voucher in agricoltura favorisce il sommerso”confortata anche da Lino Enrico Stoppani che sostiene come sia stata proprio l'introduzione dei buoni lavoro a far emergere il lavoro nero. “Il voucher era un investimento sulla legalità” dice ancora Stoppani, che rendeva conveniente, per le imprese, investire sulla legalitàanche in casi di lavori temporanei altrimenti pagati in nero. Di parere contrario Tito Boeri, presidente dell'Inps.

I voucher hanno poi contribuito, secondo la Coldiretti, ad avvicinare al mondo dell’agricoltura giovani studenti e a mantenere attivi molti anziani pensionati nelle campagne. Il tutto senza gli abusi che si sono verificati in altri settori. Oggi, di fatto, si perde questa opportunità di integrazione al reddito nel rispetto della legalità.

 

a cura di Antonella De Santis

 

 

Viewing all 5335 articles
Browse latest View live