Quantcast
Channel: Gambero Rosso
Viewing all 5335 articles
Browse latest View live

Torna Il Rum è Servito: Ron Zacapa e grande cucina italiana per un ciclo di 11 cene. La prima al Veritas di Napoli

$
0
0

Comincia da Napoli il nuovo tour di Ron Zacapa, alla ricerca dell'abbinamento perfetto con i migliori piatti della cucina italiana. Da Nord a Sud della Penisola sono undici le insegne coinvolte, a partire dalla tavola di Gianluca D'Agostino, il 16 marzo. Ecco il menu. 

Il 2016 si era chiuso con la promessa che presto ci sarebbe stata ancora occasione per parlare di rum a tavola, e dell'iniziativa che da qualche anno porta le etichette più celebri di Ron Zacapa sulle tavole dei migliori ristoranti italiani. E l'attesa non delude le aspettative: il 16 marzo prenderà avvio la seconda tranche di appuntamenti con Il Rum è servito, il tour itinerante nato dalla collaborazione tra l'azienda di ron guatemalteco e Gambero Rosso, che per l'occasione seleziona le tavole più interessanti della Penisola. La sfida, ancora una volta, è quella di proporre agli ospiti delle serate speciali – 11 appuntamenti in tutto nell'arco di un paio di mesi, fino all'ultima data il 10 maggio – l'insolito abbinamento tra cibo a rum, con un percorso di degustazione a tutto pasto che coniuga le note aromatiche del rum (per concordanza o contrasto) con le creazioni di chef talentuosi. E il claim dell'iniziativa, The Art of Slow, non fa che ribadire l'esigenza di assaporare il gusto senza fretta, godendo del piacere di una tavola delle grandi occasioni. Undici tappe che spaziano dalla Campania a Milano, da Bari a Genova, per approdare, con l'ultimo appuntamento al Park Hotel Laurin di Bolzano.

 

La cena al Veritas di Napoli

Ma stavolta si comincia da Sud, ospiti del ristorante Veritas di Napoli e del suo chef, Gianluca D'Agostino. L'appuntamento è per giovedì 16 marzo, quando il ristorante Due Forchette di corso Vittorio Emanuele si cimenterà con l'abbinamento a tutto pasto valorizzando i prodotti della tradizione campana, dal capocollo di maiale nero casertano alla palamita, agli spaghetti con cozze e pecorino. Questo il menu della serata, che si può prenotare ai recapiti del ristorante:

 

Stuzzico di benvenuto

Palamita marinata con bruschetta, yogurt ai capperi
ed insalatina mediterranea

Zacapa Reserva 23

 

Spaghetti con cozze e pecorino

Zacapa Edicion Negra

 

Capocollo di Maiale Nero Casertano con purea di
mela annurca e friarielli

Zacapa Edicion Negra

 

Crema bruciata al cioccolato bianco con
salsa ai frutti di bosco

Zacapa Gran Reserva Especial

 

Piccola pasticceria

 

Il Rum è Servito | Veritas | Napoli | corso Vittorio Emanuele, 141 | tel. 081 660585 | www.veritasrestaurant.it


La Filiale di Franco Pepe all’Albereta. La casa del vino e della pizza in Franciacorta, un lusso accessibile

$
0
0

Si parte ufficialmente il 9 marzo, ma l’elaborazione del progetto è stata lunga e accurata, per non tradire la filosofia del maestro di Caiazzo ora che la sua pizza arriva per la prima volta al Nord. La sfida l’hanno accettata, insieme, Martino de Rosa e Franco Pepe, che ci raccontano il progetto ambizioso. 

La pizza all’Albereta

Questa è la storia “dell’artigiano che arriva dove è stato Gualtiero Marchesi, ed è una grande emozione”. Parola di Franco Pepe. L’incipit di questa favola contemporanea calata nella realtà di uno dei luoghi più affascinanti dell’ospitalità all’italiana – l’Albereta Relais & Chateaux di Erbusco, tra le vigne della Franciacorta – è in realtà la fine di un percorso progettuale curato nel minimo dettaglio. “L’Albereta ha segnato un’epoca, dando voce ai grandi dell’alta cucina, dal maestro Marchesi ai suoi allievi più celebri tutti si sono confrontati con quello che nel tempo è diventato un tempio dell’esclusività a tavola”. Ripercorre velocemente le tappe Martino de Rosa quando si tratta di restituire il senso dell’operazione, concettuale ancor prima che commerciale, che tra qualche ora porterà la pizza del pizzaiolo di Caiazzo nel resort di Erbusco. Un chiosco su due piani, circondato dal bosco dell’Albereta e finora mai utilizzato, che la proprietà ha creduto di poter sfruttare in modo nuovo, nell’ambito di un più ampio riposizionamento dell’offerta gastronomica partito qualche tempo fa: “Quando tre anni fa sono arrivato qui” continua De Rosa che è socio e compagno nella vita di Carmen Moretti abbiamo cominciato a pensare che dopo aver segnato la storia della ristorazione italiana fosse necessario andare controcorrente, e scommettere su un ragazzo giovane e forte, capace di destrutturare il passato rispettandolo. La scelta è caduta su Fabio Abbattista”. E a distanza di mesi il desiderio di sdoppiare l’offerta puntando a integrare l’ambientazione più formale del LeoneFelice con la cucina del VistaLago Bistrò si è dimostrato una scommessa felice, e vinta. Intanto però maturava l’intenzione di valorizzare quel chiosco nel bosco “che doveva essere uno spazio molto legato alla cultura del vino”, con la possibilità di servire grandi etichette in uno spazio informale e dall’approccio più semplice, “anche se in casa Moretti le cose si fanno sempre sul serio”. Ed ecco l’idea: “Cercavamo un abbinamento ideale, che fosse anche una novità assoluta per l’Albereta. Abbiamo scelto la pizza, che non fosse però una reinterpretazione gourmet del prodotto, ma una pizza di qualità pura”. Seguono manovre di avvicinamento a Caiazzo, scambi di idee, assaggi: “Franco Pepe era l’uomo giusto, lui ha avuto l’intuizione di accettare”.

La sfida di Franco Pepe. Il confronto con il tempio gastronomico

E oggi che La Filiale di Erbusco, come si chiamerà la pizzeria di Franco Pepe su al Nord, sta per aprire al pubblico, il maestro di Caiazzo ha le idee ben chiare: “Questo era il contesto che cercavo per dimostrare che la pizza può dialogare con i grandi chef e non porsi semplicemente come alternativa. In passato ho detto no a tanti investitori, è importante che si sappia, perché valorizza il senso di una scelta profonda. Mentre si assiste al boom della pizza nelle grandi città italiane, io ho scelto di perseguire un progetto che mi dà gli stimoli giusti, e mi permette di confrontarmi con un vero tempio gastronomico”. Con tutto il timore reverenziale del caso: “Mi sento come quando arrivavo all’università per dare un esame, la stessa agitazione: è la mia prova del nove”. Dalla sua il pizzaiolo campano che va in trasferta ha la garanzia di un sodalizio che si è avviato nel migliore dei modi, “Franco ha avuto la qualità di essersi dedicato completamente alla pizza, al prodotto, affidandosi a noi per tutto il resto”, rivela de Rosa.

La Filiale nel bosco

Il resto, nello specifico, sarà uno spazio modulato su due piani, in materiali naturali, legno, pietra, marmo; ad accogliere gli ospiti la zona bar, con uno scenografico bancone da 7 metri – “come in un bar di New York” – cucina a vista e 7-8 sedute per consumare un calice di vino, un cocktail, ma pure una pizza a libretto o un trancio aglio e olio. Al piano superiore, invece, si mangia la pizza. E solo quella. Una quarantina di coperti per scoprire la filosofia di Franco Pepe, che a Erbusco porterà il menu che l’ha reso celebre nel mondo, senza dimenticare l’omaggio alla terra che lo ospita: “Per ora, con Fabio, abbiamo studiato una proposta dedicata alla Franciacorta, la pizza Curtefranca, condita con il formaggio fatulì della Valcamonica. Ma in questi giorni sono in giro con lo chef per incontrare i produttori locali, scoprire le eccellenze del territorio come mi piace fare a Caiazzo. L’obiettivo è quello di inserire un altro paio di proposte a tema in carta”. Anche se al 90% la lista delle pizze sarà quella di Pepe in Grani, per proporre “una pizza che non pensavi di trovare in Franciacorta”. A chiusura del pasto due alternative dolci, il gelato dell’Albereta e il dolce del giorno, in abbinamento 50-60 vini di grande spessore, disponibili al calice, da consumare anche al bar. Ma si bevono anche i cocktail studiati dal barman dell’Albereta.

La casa del vino e della pizza

Sarà la casa del vino e della pizza per eccellenza” conferma de Rosa “la sfida è ambiziosa, siamo molto curiosi, ma anche contenti del risultato. E ci aspettiamo di attirare quella clientela trasversale che già arriva fin qui. Deve passare il messaggio di un lusso accessibile, ci teniamo che sia un posto vissuto”. Le pizze del maestro saranno proposte in carta tra i 10 e i 20 euro, “un posizionamento corretto per il posto e la qualità del prodotto”. E c’è la consapevolezza che presto comincerà un pellegrinaggio da tutto il Nord Italia per provare finalmente la Margherita sbagliata di Franco Pepe. In cucina ci saranno due ragazzi del maestro, che per i primi tempi farà la spola con Caiazzo, e non è affatto preoccupato che l’identità di Pepe in Grani possa smarrirsi per strada dopo tanti chilometri: “Credo molto nella formazione, mi piace molto la filosofia del mio amico Niko Romito, nel mio piccolo cerco di applicare lo stesso metodo. Ho formato una trentina di ragazzi che devono poter ruotare: chi arriva nella mia pizzeria non deve cercare il pizzaiolo, ma la mia filosofia”. La Filiale sarà aperta, a partire dal 9 marzo, dal martedì al sabato a cena, la domenica anche a pranzo, proprio come a Caiazzo. E con l’estate si aprirà all’esterno, nel giardino circondato dal bosco. “Vedremo come reagirà il territorio”, chiosa de Rosa. Dubbi non ce ne sono molti.

 

La Filiale | L’Albereta Relais & Chateaux | Erbusco (BS) | via Vittorio Emanuele, 23 | dal 9 marzo | tel. 030 7762608 | www.albereta.it

 

a cura di Livia Montagnoli

 

Pastifici a Genova. 8 indirizzi per comprare la pasta fresca in città

$
0
0

La terza tappa della rubrica sui migliori pastifici italiani ci porta a Genova, città con una lunga tradizione in fatto di pasta artigianale. Molte le specialità del capoluogo ligure, si tratti di formati più semplici come trofie, corzetti e battolli o di pasta ripiena con pesce, carni e verdure locali. Ecco 8 indirizzi di riferimento per ottime compere in città.

Sede della prima Corporazione dei Pastai d'Italia, la Liguria può essere considerata una delle regioni capostipite del successo della pasta italiana. Tanti i formati - trofie, pansoti, corzetti - e le farine utlizzate- non solo grano duro ma anche castagne e mais - così come i ripieni, che prediligono pesce e verdure locali, ma anche tagli magri di carni bovine. Vi portiamo a Genova, nel cuore della regione, per provare 8 indirizzi di riferimento dove comprare la pasta fresca.

 

Assirelli

Una storia iniziata nel 1967, quando Francesco Assirelli apre il pastificio artigianale a Genova, nel quartiere di Sampierdarena. Oggi il punto vendita è guidato dalla figlia Caterina, che ha rinnovato la produzione senza allontanarla dai binari della tradizione ligure. Qui troverete i formati più classici, come trofie, alcune tipologie da altre regioni come gli agnolotti del plin e i tortelli, ma anche formati più legati al territorio specifico come le castagnette, i pansoti e i corzetti del levante, i ravioli di magro e quelli alla genovese (ripieni con carne di vitello, mortadella, grana padano, pane bagnato nel latte, maggiorana). Ma da Assirelli si trovano anche sughi per condire la pasta come quello ai funghi, al cinghiale o quello di muscoli, e l’immancabile pesto. E per coloro che non hanno voglia di cucinare anche piatti pronti come lasagne e parmigiana di melanzane. I prezzi della pasta fresca variano dai 7,50 euro al chilo degli gnocchi e delle tagliatelle ai 24 euro al chilo dei ravioli alla genovese.

Pasta Fresca Assirelli | Genova | Via C. Rolando, 27/r | tel. 010 414363 | www.pastafrescaassirelli.com

 

Tortelli e mezzelune del pastificio AssirelliTortelli e mezzelune del pastificio Assirelli

 

Battaglino

Indirizzo specializzato nella produzione dei pansoti di magro, ma anche in pizza, pani farciti e focacce tradizionali. Situato nel quartiere di San Fruttuoso, proprio accanto al mercato di Terralba, è un pastificio sempre affollato che lavora ad alti ritmi. Qui trionfa la pasta ripiena, oltre ai già citati pansoti anche i tortellini di salume, i campagnoli, i raviolini di magro. Ma sono molto richiesti anche le trofie di castagne o di spinaci, gli gnocchetti al basilico, le chicche tricolori di patate, oltre a formati più classici come gnocchi, tagliatelle e lasagne.

È il week end il momento in cui la produzione aumenta, integrando anche tipologie di pasta provenienti da altri territori, come i ravioli di speck e trevigiana, quelli di pesce o zucca, gli agnolotti di carne. I prezzi vanno dai 6,50 euro degli gnocchi ai 25 euro dei ravioli.

Battaglino - Il pastaio di Terralba | Genova | piazza Terralba 7/r | tel 010 505266 | www.pastafrescabattaglinogenova.com

 

Tagliatelle del pastificio BattaglinoTagliatelle del pastificio Battaglino

 

Il Trofiaio

Un altro indirizzo storico di Genova, in attività da oltre 40 anni. Nati come Pasta Fresca Dino in Valbisagno, la famiglia si specializza subito nella produzione di trofie, diventando un punto di riferimento per tutto la zona. Ma è nel 1990 che il locale si trasforma, quando alla guida arrivano Franco e Ivan, figli del titolare. Dal 2010 si spostano a Sant’Eusebio, aumentando la produzione e orientandosi anche verso il mercato estero.

La proposta gastronomica è suddivisa in quattro fasce: la pasta semplice, fra cui trofie e gnocchi, che va dai 3,30 euro al chilo; la pasta speciale, fra cui smeraldine e chicche, che costa sui 3,45 euro al chilo; la pasta ripiena semplice (fra cui ravioli alla genovese, pansoti al magro, mezzelune) che si attesta sui 7,10 euro al chilo; la pasta ripiena speciale (come ravioli al pesce e ravioli alle borragini) che tocca i 7,30 euro al chilo. Non mancano i sughi come il pesto classico e quello di carciofi, il sugo alle noci e quello ai funghi, ma anche ragù di lepre o cinghiale. Diversi anche i piatti pronti da portare a casa, per chi non ha tempo o voglia di cucinare, come vitello tonnato, insalata russa, insalata di mare e tiramisù.

Il Trofiaio | Genova | piazzale Bligny, 2 | tel. 010 898 3609 | www.iltrofiaio.it

 

Gnocchi e trofie alla castagne del pastificio Il TrofiaioGnocchi e trofie alla castagne del pastificio Il Trofiaio

 

Leonardi

La storia del pastificio Leonardi inizia alle Gavette, quando Lidia e Francesco decidono di aprire il primo laboratorio artigianale, nel 1978, insieme ai due figli. Adesso sono Loredana e Taras, i nipoti, a portare avanti l’attività e la tradizione di famiglia con professionalità e rigore, ma anche con la fantasia che serve a due giovani imprenditori.

Attualmente sono 4 i punti vendita in città, tra cui quello del Mercato Orientale, situato nella centralissima via XX Settembre: in ognuno dei negozi si può comprare la pasta fresca - ravioli, trofie, pansoti, taglierini - oppure optare per un piatto pronto da cuocere a casa, come lasagne, cannelloni e polpettone genovese. Specialità della casa i ravioli, soprattutto quelli al brasato e ai carciofi. I prezzi delle paste fresche vanno dai 7 euro al chilo di tagliatelle e taglierini ai 25 euro al chilo dei ravioli.

Leonardi L&T laboratorio | Genova | piazza Giusti, 24/r | tel.010 515407 | https://www.facebook.com/pg/Pastificio-Leonardi-LT-103761209663430/about/?ref=page_internal

Leonardi L&T | Genova | Mercato Orientale box 95 | via xx Settembre | tel.010 589608

Leonardi L&T | Genova | Mercato Certosa box 57 | via Certosa | tel.010 0018462

Leonardi L&T | Genova | via Magnaghi, 41/r | tel.010 5530200

 

Vetrina del pastificio Leonardi L&TVetrina del pastificio Leonardi L&T

 

Pasta fresca Nonna Maria

Quando Nonna Maria apre questo piccolo pastificio nel cuore di Genova, anno 1964, non sa ancora che sarà la professione che le darà da vivere, non solo a lei ma a ben 3 generazioni della sua famiglia. E invece in pochi anni il pastificio ottiene un successo inaspettato e diventa subito l’indirizzo più importante di Foce, lo storico quartiere genovese che si affaccia sul mare, a levante del porto. Oggi sono i nipoti a portare avanti la produzione, custodendo l’arte tramandata da Maria. Qui si possono comprare ravioloni di magro, ravioli con branzino o zucca, pansoti, trofie classiche o alle ortiche, gnocchi alle castagne. Ma si producono anche formati più classici come pappardelle, tagliolini, lasagne e maltagliati. In vendita anche piatti pronti della tradizione locale come la cima alla genovese, le torte di verdure e riso, i polpettoni, le lasagne. Un consiglio: se optate per i piatti a portar via provate l’insalata russa, che dicono sia la migliore di tutta Genova.

I prezzi? Dai 9 euro al chilo dei formati più semplici ai 18 della paste ripiene.

Pasta fresca Nonna Maria | Genova | via della Libertà, 29/r | tel. 010 566708 | www.facebook.com/pg/Pasta-Fresca-di-NONNA-MARIA-861599390523068

 

Vetrina del pastificio Nonna MariaVetrina del pastificio Nonna Maria

 

Pastificio Danielli

Dal 1967 nel cuore pulsante di Genova, per la precisione nel quartiere di San Vincenzo, ma rilevato nel 1992 dalla famiglia Pezzo, dipendenti della vecchia gestione per 30 anni. Un laboratorio aperto al pubblico, dove non è raro trovare i proprietari che spiegano i loro segreti a clienti e appassionati. Ampia l’offerta sulla pasta: dai pansoti al magro ai corsetti (o corzetti che dir si voglia), dagli gnocchetti al basilico ai fagottini allo speck, passando per strascinati, tagliatelle e maltagliati.

Tante le declinazioni dei ravioli, con ripieno di magro, di borragine o di pesce, così come le trofie, prodotte al nero di seppia, agli spinaci e alla castagna, ma anche nella versione di Recco. In menu anche i piatti pronti come lasagne classiche o al pesto, cannelloni, gnocchi alla romana, focacce e torte salate. I prezzi vanno dai 7,50 euro al chilo per gli gnocchi semplici, ai 23-25 euro dei ravioli.

Pastificio Danielli | Genova | via Galata 41/r | tel. 010.562383 | www.daniellilapastafresca.it

 

Tortellini del pastificio DanielliTortellini del pastificio Danielli

 

Pastificio Novella (Sori)

Il forte legame dell’azienda con il territorio è quello che colpisce subito chi entra al Pastificio Novella, a Sori, a 15 chilometri da Genova. Nato come produttori di pasta secca con bottega annessa nel 1903, nel corso degli anni ‘50 il pastificio si rinnova, virando verso la pasta fresca e cooptando le migliori artigiane del paese nella produzione di trofie, in cui si specializza. Per anni ogni giorno i dipendenti del pastificio hanno portato la farina nelle case di Sori, passando a ritirare la consegna il giorno dopo: una sorta di sharing economy ante litteram. Oggi l’azienda conta sessanta dipendenti, seleziona fornitori quasi esclusivamente liguri e porta avanti una ricerca costante per migliorare la qualità della produzione.

Oltre 30 le tipologie di pasta da provare, dai formati più classici come gnocchi e tagliatelle a quelli locali come corsetti e testaroli, fino alle ripiene come i ravioli al magro e alla borragine. Tra i formati più particolari i ravioli con ilPrepoggion, un mix di erbe spontanee tipiche della cucina ligure fra cui anche pimpinella, radichiella, cicerbita, dente di cane, ortica, bietola, borragine e radicchio selvatico. I prezzi? Dagli 8 euro al chilo degli gnocchi ai 25-28 euro al chilo delle paste ripiene.

Pastificio Novella | Sori (GE) | via Ernesto Caorsi, 6 | tel. 0185 700812 | www.pastificionovella.it

 

Plin al basilico del pastificio NovellaPlin al basilico del pastificio Novella

 

Raviolevia

Un locale multifunzionale, che propone pasta fresca take away ma anche piatti della tradizione e specialità dello street food locale. Aperto nel 2015 da Luca Pirrello, con l’obiettivo di creare “un fast food di qualità” dedicato ai ravioli, ha man mano integrato anche la produzione di pasta a portar via: oggi le due anime del locale convivono, contendendosi il primato.

 

Pasta di Raviolevia

Qui i clienti potranno acquistare trofie, taglierini, pansoti, gnocchi, ravioli al cinghiale, ravioli del casaro (con caprino e radicchio rosso), e la specialità della casa: i ravioli baita, ripieni di di formaggio, speck e miele. Ma chi preferisce, potrà accomodarsi a uno dei tavoli del locale e gustare il menù del giorno: vellutate e zuppe della tradizione, pasta fresca condita secondo i gusti del cliente, torte salate, focacce, ma anche dessert come tiramisù e crostate farcite. I prezzi dei piatti vanno da 6 a 8,50 euro per ogni portata. Quelli della pasta fresca variano invece dagli 8 euro di trofie e gnocchi, ai 18 euro al chilo di pansoti e ravioli genovesi, fino ai 30 dei ravioli al tartufo.

Raviolevia | Genova | via Canneto il Lungo 89/r | tel. 010 267776 | www.raviolevia.it

 

 

a cura di Francesca Fiore

Ha collaborato al testo  Maria Grazia Ferrarazzo del blog Gli esperimenti di Mary Grace

 

Leggi anche Pastifici a Bari. 5 indirizzi per comprare la pasta fresca

Leggi anche Pastifici a Bologna. 11 indirizzi per comprare la pasta fresca

 

 

 

 

Novità d'autore a New York. L'esordio di Achatz con The Aviary, la pizza di Orkin al Gotham West Market

$
0
0

Bisognerà aspettare fino all'estate per l'esordio del celebre cocktail bar d'avanguardia di Chicago a New York, all'interno del Mandarin Oriental di Columbus Circle, che sancisce la prima avventura di Grant Achatz fuori dall'Illinois. Intanto il maestro del ramen Ivan Orkin ci prova con la pizza, nella food hall di Gotham West Market. 

Cocktail d'avanguardia firmati Achatz

Chi conosce la scena gastronomica che conta di Chicago sa che il talento (anche imprenditoriale) di Grant Achatz negli ultimi anni ha fatto molto per l'evoluzione della ristorazione locale, segnandone l'affermazione come polo gourmet di riferimento in buona compagnia di città come New York, Washington, San Francisco, tutte coperte, non a caso, dagli ispettori Michelin. Nella grande metropoli dell'Illinois, lo chef patron di Alinea (Tre stelle) dirige insieme al socio Nick Kokonas una macchina da guerra che somma più insegne, diversificando l'attività tra la tavola d'avanguardia e la miscelazione, il casual dining di Roister e i format estemporanei che prendono le mosse dal progetto Next e si moltiplicano periodicamente in pop up aperti in giro per il mondo. The Aviary, considerato oggi uno dei migliori cocktail bar del mondo, è il progetto che si concentra sulla miscelazione sperimentale, “dove cocktail e servizio sono curati con la stessa attenzione al dettaglio di un ristorante d'alta cucina, dove i bartender hanno competenze da chef” e lavorano in cucina per studiare nuove formule che possano sorprendere gli ospiti. I costi sono commisurati all'esclusività dell'esperienza, poco meno di 200 dollari per il percorso completo, un menu degustazione da 7 portate in abbinamento ad altrettanti drink d'autore.

 

The Aviary a New York

E allora in molti stanno già festeggiando per la novità in arrivo nell'estate di New York: tra qualche mese il cocktail bar di Fulton Market replicherà in trasferta, confermando, come si vociferava da tempo, l'arrivo di Grant Achatz nella Grande Mela. The Aviary prenderà il posto del Lobby Lounge al 35esimo piano del Mandarin Oriental New York in Columbus Circle. E porterà con sé anche la proposta speakeasy di The Office, che a Chicago si trova nel seminterrato del bar, mentre tra i grattacieli newyorkesi conquisterà uno spazio con vista da 40 coperti, ancora in costruzione. La nuova sfida sancisce la prima esperienza (ma non l'ultima?) fuori Chicago dei due soci, e ancora una volta conferma l'importanza riservata all'esperienza gastronomica dal gruppo Mandarin, che nel mondo dà lavoro a tanti chef prestigiosi (per l'Italia ricordiamo il Seta di Antonio Guida a Milano).

 

Danny Meyer arriva al 60esimo piano

Più a lungo termine, per un'attesa che dovrebbe protrarsi oltre l'anno, un altro grattacielo della città – il 28 Liberty del Financial District – si prepara ad accogliere l'ennesimo ristorante del gruppo Union Square Hospitality, meglio conosciuto come l'impresa di ristorazione di Danny Meyer, che conosce pochi rivali in città (Union Square Cafe, Gramercy Tavern e Untitled al Whitney Museum le sue punte di diamante). Il ristorante sorgerà al 60esimo piano dell'edificio, proprio dove un tempo c'era la suite privata di David Rockefeller che la costruzione del grattacielo la commissionò all'inizio degli anni Sessanta, e si dividerà tra catering privati e spazio aperto al pubblico, progettato da Woods Bagot. Ancora tutti da definire i dettagli dell'operazione, orientamento della cucina e chef compresi.

La pizza di Ivan Orkin

Molto concreto, invece, l'impegno di Ivan Orkin, il maestro del ramen in città, nel settore della pizza. Nella città che ha visto esplodere proprio negli ultimi giorni il Trapizzino di Stefano Callegari e prestissimo saluterà l'esordio di Gino Sorbillo con ben due pizzerie, anche Orkin ha deciso di competere sul campo di impasti e lievitazioni. Ha appena inaugurato al Gotham West Market – dove dal 2013 gli amanti del ramen trovano un rifugio sicuro da Ivan Ramen Slurp Shop – Corner Slice, un format sulla pizza sviluppato con lo chef Michael Bergemann. La pizzeria non proverà però a confrontarsi con lo stile italiano, rivendicando invece un'identità propria (“We're trying to be super New York”): pizza in teglia ottenuta da un blend di farina di farro e grano duro macinate artigianalmente al Central Milling. Il banco servirà anche pane e sandwich, oltre a una proposta di caffetteria particolarmente curata. Così dopo lo stellato Ivan Ramen e il primo corner al mercato, Orkin triplica in città con un format inedito aperto da colazione a sera inoltrata, che conferma l'interesse crescente dell'America per la pizza di qualità.

 

Corner Slice | New York | Gotham West Market, 600 11thAvenue | www.gothamwestmarket.com

The Aviary | New York | Mandarin Oriental, Columbus Circle | dall'estate 2017 | https://theaviary.tocktix.com/v2/

 

a cura di Livia Montagnoli

Marzo all'insegna del caffè di qualità: gli eventi a Firenze, Londra e Torino

$
0
0

Continuano gli eventi dedicati all'oro nero, in Italia e non solo. Ad Amsterdam, la fiera sul caffè di qualità dal respiro internazionale, a Torino il festival già rodato Io Bevo Caffè di Qualità. E intanto a Firenze, questa edizione del Pitti Taste è tutta incentrata sul caffè.

Gli eventi

Non si ferma la scena caffeicola internazionale, in pieno fermento dal punto di vista delle nuove aperture di bar di ricerca, torrefazioni d'avanguardia e festival dedicati al caffè di qualità. Nel mese di marzo sono diversi gli eventi focalizzati sull'oro nero che pongono l'accento sulle tante sfumature del caffè, fra varietà e metodi di estrazione. A cominciare dal PittiTaste, di cui avevamo già parlato più approfonditamente qui, in scena questo weekend dall'11 al 13 marzo, alla stazione Leopolda, un salone del gusto tutto dedicato alla tazzina fra degustazioni guidate, laboratori e dimostrazioni pratiche. Con la partecipazione di baristi professionisti, torrefattori e produttori di macchine espresso. Ma le manifestazioni non finiscono qui: dal 10 al 12 marzo Amsterdam diventa capitale del buon caffè, mentre il 30 e 31 marzo a Torino arriva Io Bevo Caffè di Qualità, evento già rodato in diverse città italiane.

Amsterdam Coffee Festival

L'Amsterdam Coffe Festival comincia dalle basi, dall'analisi del caffè verde (crudo, non tostato) per arrivare alla tostatura e poi all'estrazione finale, presentando tutte le fasi della filiera produttiva con la collaborazione di illy. Ma si parlerà anche di tendenze e di numeri: a fornire un'istantanea del panorama caffeicolo europeo sarà JeffreyYoung, ideatore del festival. Spazio anche alla comunicazione: come si può far conoscere al pubblico una realtà dedicata agli specialty coffee? Come diffondere la cultura del caffè di qualità? Come creare consumatori consapevoli? A queste e altre domande si propongono di rispondere gli esperti del settore durante il seminario sulla comunicazione guidato dal digital strategist KimvanVelzen, che spiegherà la gestione dei social media e il loro potenziale. Non mancheranno, inoltre, dibattiti più tecnici sulle macchine espresso, l'acqua, l'igiene dei macchinari, le attrezzature per il brewing (estrazione con metodo filtro) e tutti gli strumenti necessari per il mestiere di barista. E ancora dimostrazioni di Latte Art, tecnica di decorazione dei cappuccini, laboratori di abbinamento cibo e caffè, sessioni di Coffee in Good Spirits, disciplina che coniuga mixology e caffè, e una mostra di opere d'arte dedicate al mondo del caffè, fra quadri e sculture, per una tre giorni all'insegna del caffè di qualità. Un festival che comincia ad Amsterdam ma che sarà presto riproposto anche a Londra (6-9 aprile) e New York (settembre 2017).

Io Bevo Caffè di Qualità

Un evento, ma ancora prima un progetto: quello di presentare a quanti più consumatori possibili il mondo del caffè di qualità, dalle torrefazioni ai bar di ricerca. Un festival già rodato in diverse città italiane, da Milano a Lecce, da Trieste a Firenze: Io Bevo Caffè di Qualitàquesta volta punta a coinvolgere il pubblico torinese il 30 e 31 marzo negli spazi del Teatro Concordia. Ideatori del festival, Francesco Sanapo di Ditta Artigianale, Andrea Matarangolo, responsabile controllo qualità di Mondi Caffè e trainer della scuola di formazione Umami e Andrej Godina, presidente Umami Area. Degustazioni, dimostrazioni, seminari e laboratori, questo il fitto programma della due giorni torinese, che non rinuncia anche a un'offerta gastronomica interessante. In particolare sarà la pasticceria della città Gocce di Cioccolato a proporre le sue creazioni dolci più interessanti, da provare in abbinamento al caffè estratto in diversi modi: "Fin dal principio della nostra attività, siamo sempre stati convinti che fosse fondamentale utilizzare materie prime di qualità eccellente, che ci hanno permesso e ci permettono tuttora di trattare dei prodotti di forte personalità e dai sapori intensi. Ogni  nostro prodotto è il risultato di una profonda e maniacale ricerca che va dalla scelta delle materie prime, ai metodi di lavorazione, alla scelta del packaging", commentano Maurizio Galiano e Ivano Baiunco, titolari della pasticceria e organizzatori del festival. 

Amsterdam Coffee Festival | Amsterdam | Westergasfabriek - Haarlemmerweg, 8E | 10-12 marzo 2017 | www.amsterdamcoffeefestival.com/

Io Bevo Caffè di Qualità | Torino | 30-31 marzo 2017 | Teatro Concordia - corso Puccini | 30-31 marzo 2017 | www.facebook.com/events/387967938242379/

Pitti Taste | Firenze | Stazione Leopolda | dall'11 al 13 marzo | www.pittimmagine.com/corporate/fairs/taste.html

a cura di Michela Becchi

Identità Golose 2017. Cosa resterà di questo congresso

$
0
0

Viva i congressi, abbasso i congressi: ogni anno si riapre la questione della loro utilità con i cambiamenti del nostro mondo interconnesso. Ma ogni anno ci si ritrova, per cercare di tirare le fila di quanto c'è di nuovo (o di vecchio) nella nostra ristorazione e in generale nella ricerca gastronomica internazionale. Al netto di dubbi e perplessità, ecco le cose che ci porteremo dietro nei prossimi mesi. 

I 6 trend

Oriente

Non accenna a diminuire l'innamoramento per l'Estremo Oriente. Dalle grandi cucine ai ristoranti più semplici. Ovunque è un ribollire di ramen, un chiudere dumpling, un grattugiare zenzero, un profumare di laccature. Ma le tavole d'autore vanno oltre, facendo proprie ricette, tecniche e rigore, mescolando ingredienti ed elaborando suggestioni. La differenza è tutta nella consapevolezza: non basta usare yuzu, aglio nero o shiso, serve capire l'essenza di una cultura gastronomica per poterla davvero intrecciare alla nostra, sulle rotte di una nuova cucina d'autore che sappia essere sempre profondamente identitaria.

Gestualità

Supertecnologie e strumentazioni performanti? Sì, ma non dimentichiamo il valore del gesto. Quello artigianale, antico, tutto concreto del maneggiare e cucinare di cui, a sorpresa, si rivendica il valore. Per esempio quando di parla del riconoscere cotture dall'aspetto e dai segni percepibili alla vista o al tatto, del massaggiare, tagliare e impastare in un recupero di manualità che innamora. Si torna a cercare un contatto diretto con il cibo, non più filtrato da strumentazioni elettroniche, ma vivo e vissuto. E lo stesso si chiede di fare ai clienti.

Pulp

In tempi di veganesimo spinto, è una parola da mormorare sottovoce. Ma il sangue è un ingrediente fondamentale della cultura gastronomica, presente in tanti piatti tradizionali anche per via di quel suo potere addensante che ne fa la base di molte salse di impostazione classica. Qui si va oltre: estratto, centrifugato, separato nelle parti. Diventa salsa, salume, perfino meringa, e una cialda da abbinare al cioccolato in una vertigine hardcore.

Sangue

Ancora legami ematici, ma stavolta intesi nel senso di relazioni familiari. Quelle delle grandi dinastie della ristorazione di cui giorno dopo giorno si preservano le tradizioni pur guardando al futuro, quelle dei cambi generazionali, della fratellanza in sala e in cucina, dei ricordi d'infanzia. Ma anche delle scoperte fatte insieme ai piccoli di casa, che regalano sguardi nuovi sul mondo e sulla cucina, senso di responsabilità, ingredienti e gesti infantili, e una nuova purezza nell'approcciare alla tavola.

Pastine

Da sempre negletta nell'alta cucina, la pasta di piccolo formato si riaffaccia sulle grandi tavole, riscoperta da chef neo papà o solo desiderosi di uscire dagli obblighi del grande formato o della pasta fresca. Complici anche i tempi più brevi e una certa malleabilità verso certe cotture: risottata, per assorbimento (usando la pentola per il riso), perfino posta all'interno di ortaggi che danno umidità e condimento.

Grandi conferme

La cucina etica e la riduzione degli scarti, il grande ritorno della cucina in sala e della convivialità, l'attitudine all'aggregazione (lo abbiamo visto con Cooking Soon dei giovani cuochi calabresi e con il progetto East Lombardy, ma tra Le Soste, JRE, Ambasciatori del Gusto, i cuochi sembrano subire da sempre attrazioni magnetiche), il richiamo a fare un passo indietro e riconoscere il valore degli artigiani.

 

I punti critici

Il tema

Il viaggio è un tema (troppo?) ampio, che ognuno può interpretare come preferisce. Fatto sta che un tema tale da diventare una coperta in grado di accogliere tutti è un non-tema, che permette facili digressioni e sbandamenti. Con il rischio di non preparare il proprio intervento, riciclandone uno già pronto. Chissà cosa accadrebbe dando un tema più preciso?

Le modalità

Showcooking o congresso? Molti interventi si sono rivelati sterili dimostrazioni di cucina, che per quanto d'autore non giustificano la presenza a un congresso.

I relatori

Effetto replay? Non solo interventi riciclati, ma volti inflazionati che si ripetono sul palco e non sempre hanno qualcosa da aggiungere. Non sarebbe giusto dare spazio ad altri? A conferma di ciò i giovani talenti ne sono usciti alla grande, vuoi per la voglia di emergere, vuoi perché hanno meno impegni in giro per l'Italia e nel mondo, vuoi per la maggiore freschezza.

 

I tre interventi con più contenuti

Niko Romito: Per il coraggio di aver portato sul palco la ristorazione collettiva (mense ospedaliere) e la standardizzazione dei processi di cucina. In Italia per fortuna ci sono molti chef visionari e capaci di guardare in prospettiva. Niko Romito fa questo più di chiunque altro e riesce anche a raccontarlo con una concretezza disarmante.

Paolo Lopriore: Per la lucida riflessione sul rinnovato rapporto tra cuoco, cameriere e cliente. È forse il cuoco italiano che da più anni, senza interruzioni, riesce a permanere sulla cresta dell’onda della ricerca. Rispetto e stima.

Massimiliano Alajmo: Per la capacità di sviluppare un format coinvolgente e replicabile che coniuga ricerca e spirito pop. Per il coraggio di tentare una “aggressione” al mondo intoccabile della pizza. E per la lucidità di saperlo raccontare con precisione, dettaglio e senza annoiare.

 

I tre interventi più coinvolgenti

Riccardo Camanini: Sorprende la platea con un racconto accattivante nonostante il rischio della digressione storica. Si è rivelato un vero animale da palcoscenico. La dimostrazione di come una solida cultura classica ed una padronanza della lingua italiana possa decisamente aiutare.

Floriano e Giovanni Pellegrino: Comunicazione efficace, freschezza, coordinazione perfetta, corde giuste, un pizzico di retorica, gioventù & bellezza. Insomma blend impeccabile di ingredienti. Grande consapevolezza e profonda sicurezza. Troppa?

Giuseppe Zen: È il grande oratore di sempre. Una bella narrazione sulla cucina popolare italiana. Il livello è lo stesso – altissimo – sia quando lo incontri dietro al suo bancone al mercato della Darsena sia sul palco di un grande congresso internazionale.

 

I tre interventi meno convincenti

Nino Di Costanzo: Deraglia un po' dal tema. La dissertazione sull'anisakis nel 2017 sul palco di un congresso gastronomico lascia quanto meno perplessi. Lezione estetizzante e probabilmente poco preparata a monte.

Cristina Bowerman: Solitamente tagliente, iper secchiona e preparata, paga forse la moltitudine di impegni e progetti che sta seguendo attualmente. Meno incisiva del solito con un intervento non all’altezza degli standard a cui ci ha abituati.

Paul Pairet: Lo aspettavano tutti, lui sale sul palco e regala lo show. Ma sei ad un congresso gastronomico pieno di professionisti con gli attributi e dunque lo show non basta. Insomma, sui contenuti poteva fare meglio. Molto meglio.

 

I tre moderatori migliori

Federico Quaranta: Grande capacità di narrazione che esalta le qualità dello chef. Gioca da outsider in una formula vincente e meno ingessata. Capace di costruire una retorica affettata, ma mai eccessiva.

Giorgia Cannarella: Sempre preparata, capace di interagire con lo chef e di intervenire al momento giusto con la domanda giusta.

Niccolò Vecchia: Nonostante la mole di interventi moderati è impeccabile nell'accompagnare i relatori verso la meta. Professorale, rassicurante e professionista.

 

a cura di Annalisa Zordan, Antonella De Santis, Livia Montagnoli e Massimiliano Tonelli

 

 

I consigli dell'oste. Giovanni Milana di Sora Maria e Arcangelo e i formaggi di Marzia Mulinari

$
0
0

Le migliori trattorie sono quelle che si fanno ambasciatrici del loro territorio, valorizzando prodotti e produttori. Siamo andati così a chiedere proprio ai migliori autori della cucina di tradizione di suggerisci una azienda agricola di fiducia. 

Un viaggio tra le migliori trattorie d'Italia, secondo la nostra guida Ristoranti d'Italia 2017, per carpirne i segreti e conoscere le materie prime utilizzate. Tocca a Sora Maria e Arcangelo ad Olevano Romano, e a Giovanni Milana. Che ai lettori del Gambero Rosso consiglia di provare i formaggi di Marzia Mulinari.

Giovanni Milana

Giovanni Milana

Figlio d'arte, cresciuto in una famiglia votata alla ristorazione, a 22 anni si è trovato improvvisamente a gestire il ristorante di famiglia, nonostante i suoi progetti fossero orientati sui cieli del mondo: voleva fare lo steward. Così assieme alla mamma Rita (grande cuoca anche lei) ha riprogettato il futuro della trattoria dei nonni, lasciata prematuramente in eredità dal padre. Decidendo che se non poteva girovagare per il mondo, il mondo sarebbe andato da lui. Come? C'era solo una cosa da fare: evolvere la trattoria e le proposte. La cucina di Giovanni oggi è caratterizzata da sapori nuovi senza mai perdere di vista le sue origini e il rapporto con il territorio. Nei suoi piatti sono sempre presenti i prodotti laziali, le tradizioni olevanesi, gli echi della cucina romana e gli insegnamenti della mamma e della nonna. Nel menù ci sono piatti della tradizione e ricette di famiglia di oltre 70 anni fa, tra cui gli imperdibili cannelloni, che lui propone con la ricetta di sempre ma ingredienti frutto di una costante ricerca: “Il nostro secondo lavoro è quello dei ricercatori. Con i miei collaboratori, nel giorno di chiusura, andiamo a scoprire piccoli agricoltori, allevatori o affinatori. Ed ecco perché nella ricetta tradizionale dei cannelloni, tramandata da mia nonna, oggi utilizziamo il pomodoro San Marzano o il migliore fior di latte di Morolo”. Ma veniamo al consiglio dell'oste: “Provate i formaggi di Marzia Mulinari, che ha un allevamento a Trevi nel Lazio di capre bianche di origine francese. Oltre a produrre formaggi, io uso moltissimo la robiola e la ricotta, vende anche la loro carne”.

Marzia Mulinari

La storia di Marzia Mulinari

Trevi nel Lazio è un paese di montagna che in passato ha vissuto di agricoltura e pastorizia, questo prima degli anni '60, quelli del boom economico e del rinnovamento generazionale, gli anni in cui è cominciato il fenomeno del “pendolarismo”. Come racconta Marzia Molinari: “Si andava a Roma la mattina presto per lavorare e si tornava la sera. Così tutti i giorni. Le cose sono cambiate quando, invece di andare su e giù, ci si è iniziati a trasferire direttamente nella Capitale, per frequentare l'università o per lavorare. Io avevo scelto la seconda strada, trasferendomi per tagliare definitivamente il cordone ombelicale. Era il 18 marzo del 1992, me lo ricordo ancora, è stata la mia giornata dell'indipendenza”. Passano gli anni, ben venti, e lo scorrere del tempo lascia spazio alla riflessione sulle proprie radici, soprattutto dopo essere stata coinvolta nella vita del suo paese, come consigliere comunale di Trevi nel Lazio. “Avevo la delega alle politiche agricole e forestali, con tutti i problemi legati alle esigenze degli allevatori e agricoltori” racconta“Durante le varie riunioni si parlava di lanciare il territorio e di progetti di sviluppo rurale, è stato fisiologico pensare: perché devo promuovere una cosa e non farla in prima persona?”.

foto di: www.tangibiliemozioni.it

Il ritorno a Trevi nel Lazio

Così, Marzia, torna in pianta stabile nel piccolo borgo montano e recupera la stalla appartenuta un tempo al padre e agli zii.“Mi hanno dato tutti della pazza, effettivamente io non avevo mai seguito l'attività di famiglia. Ma nonostante mi avessero messo in guardia sul lavoro duro che non ha giorni di pausa, ho iniziato la mia attività da allevatore. Un consiglio però l'ho seguito, quello di allevare le capre, molto più gestibili degli asini (l'altra opzione)e che garantiscono una maggiore redditività”. Nella stalla di famiglia Marzia rinnova la strada tracciata dal lavoro del padre con una visione più ampia: “Per imparare il mestiere ho frequentato i corsi di Katia Stradiotto, una tecnica casearia di Bergamo. Con lei ho visitato moltissime aziende del bergamasco e di Brescia”. É proprio qui (a Brescia) che c'è stato il colpo di fulmine con la razza Saanen: “Un allevatore aveva delle capre bianche bellissime, le volevo! Così parlando con lui sono riuscita a farmi dare 20 capi, tutti gravidi e sani. È stato il nuovo inizio dell'azienda di famiglia e della mia vita”.

foto di: www.tangibiliemozioni.it

Tenuta Capocerrito

Alla Tenuta Capocerrito la giornata comincia presto, più o meno alle sette: “In questo periodo ci sono i piccoli quindi mi accerto che tutti abbiano fatto 'colazione', poi mungo le capre, controllo se ci sono mammelle sbilanciate, e do loro da mangiare. Di solito i pasti sono completi: fieno, erba medica e fioccato (mais, orzo e favino) con percentuali diverse a seconda del periodo dell'anno. Niente mangimi. Curo personalmente anche la pulizia del caseificio e della stalla, l’approvvigionamento delle materie prime e dei foraggi e mi occupo anche della vendita e della distribuzione”. Da Pasqua a maggio, quando è in piena fase di produzione, ovvero quando non ci sono i piccoli (Marzia fa anche vendita diretta dei capretti) e le capre hanno più latte, i ritmi sono più intensi. “Si va prima in caseificio per lavorare il latte tutti i giorni”.

Marzia in questa avventura non è sola, le sue spalle in stalla sono altre due donne: la veterinaria aziendale Maria Rosaria Ceccarelli e la nutrizionista Celeste Grande. Assieme a loro gestisce 65 capi - “L'anno scorso ero arrivata a 100 ma poi ho subito un furto” - e rappresentano l'unico allevamento, nel raggio di 50 chilometri, ad avere tutti i capi indenni Caev (artrite encefalite virale caprina) perché non hanno mai introdotto soggetti esterni. “Quando abbiamo avuto bisogno di cambiare la linea di sangue, per evitare problemi alle mammelle e una produzione di latte scadente, abbiamo fatto l'inseminazione artificiale. Ecco perché il nostro latte è sano e di qualità”. E con questo latte fa un lavoro quasi sartoriale con alcuni clienti, soddisfacendo richieste particolari, personalizzate. “Per Giovanni Milana, per esempio, produco delle robiole o delle ricotte che lui esalta creando dei piatti strepitosi. Per altri ristoranti della zona faccio invece delle caciotte, che loro usano così come sono negli antipasti”. I formaggi e gli yogurt di Marzia si possono trovare nel piccolo punto vendita adiacente la stalla, nei negozi di zona e, a Roma, da Pro Loco Dol. “La soddisfazione maggiore me la danno i clienti, non tanto il guadagno. Sono contenta delle mie capre e di quello che faccio. So di essere stata brava ma soprattutto sono le mie caprette ad essere brave”.

 

Sora Maria e Arcangelo | Olevano Romano (RM) | via Roma, 42 | tel. 06 9562402 | www.soramariaearcangelo.com

Tenuta Capocerrito | Trevi nel Lazio (FR) | via Borgo Madonna | tel. 3478400771

 

a cura di Annalisa Zordan

foto di apertura: Ravioloni Olevanesi con ricotta di capra

 

I consigli dell'oste

Michele Vallotti e i salumi di Vanni Forchini

Gherra e Vergano del Consorzio di Torino e la carne della Macelleria Brarda

 

Viaggio tra i vitigni autoctoni: l'erbamat

$
0
0

Nell’ambito della nostra ricerca attraverso i vitigni autoctoni italiani, parliamo dell'erbamat. Si tratta di un antico vitigno a bacca bianca del bresciano.

Storia e territorio

L’erbamat è un antico vitigno autoctono a bacca bianca dell’area del bresciano, storicamente presente nella zona tra il lago di Garda e la Franciacorta. È una delle tante varietà abbandonate nel corso degli anni, in favore di uve internazionali più conosciute e commercialmente remunerative. Il suo futuro era ormai avviato alla quasi completa estinzione o comunque a una sopravvivenza in piccole parcelle, con il solo valore di rarità e memoria storica del territorio. Tuttavia la natura è spesso imprevedibile.

Il destino dell’erbamat, che sembrava irrimediabilmente segnato, è cambiato improvvisamente. L’innalzamento delle temperature del pianeta, con estati sempre più calde, ha avuto profonde ripercussioni anche sulla coltivazione della vite, soprattutto nelle aree più temperate. In Italia in molte regioni il calendario delle vendemmie tende di anno in anno ad anticipare le date e fra queste c’è sicuramente la Franciacorta. Caratterizzata da un clima piuttosto dolce, mitigato anche dalla presenza del lago d’Iseo che, nel corso degli ultimi decenni, ha visto vendemmie via via sempre più precoci.

 

I vini spumante

Per la produzione di basi spumante, è assolutamente necessario preservare la componente acida, caratteristica fondamentale di ogni vin clair destinato a creare gli assemblaggi del Metodo Classico. Ovviamente le uve devono arrivare al momento della vendemmia, non solo con il giusto grado di acidità, ma anche ricche di zuccheri e di aromi. Il rischio di continuare a rincorrere i cambiamenti climatici con vendemmie anticipate, è di pregiudicare l’equilibrio complessivo delle uve e conseguentemente dei vini. Ma c'è la necessità di avere basi con buona acidità, senza penalizzare la ricchezza e la maturità del frutto del pinot noir e soprattutto dello chardonnay. Ed è proprio in seguito a queste riflessioni di carattere generale, che entra in gioco l’erbamat. Alcune lungimiranti aziende franciacortine, infatti, da qualche anno stanno coltivando quest’antico vitigno per valutarne le potenzialità in vista di un suo utilizzo futuro. Sono già disponibili le prime interessanti vinificazioni in purezza e i primi esperimenti di Metodo Classico con l’utilizzo anche di erbamat. Prove pionieristiche, che però stanno già tracciando una possibile strada.

 

Caratteristiche e prospettive future

Il suo nome, insolito e particolare, si deve alla colorazione verde della buccia, anche quando i grappoli arrivano a maturazione. È una varietà tardiva, che produce vini dai profumi delicati e sottili, aromaticamente piuttosto neutri, ma dotati di vivace acidità. Una caratteristica che la rende perfetta per dare la giusta freschezza alle cuvée della Franciacorta. Proprio pensando al futuro, è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 4 gennaio 2017 una proposta di modifica dell’Art. 2 del disciplinare, che definisce la base ampelografica dei Franciacorta DOCG. Oggi le uve autorizzate per produrre Franciacorta sono chardonnay, pinot nero e pinot bianco. Il nuovo testo introduce la possibilità di utilizzare il vitigno erbamat fino a un massimo del 10% per le versioni Franciacorta e Franciacota Rosé, mentre non potrà essere utilizzato per la tipologia Satèn. Una scelta che offre ai produttori un’arma in più nel caso di annate in cui sia necessario aumentare l’acidità. L’erbamat, sia per caratteristiche, che per il diverso periodo di maturazione, è un vitigno complementare allo chardonnay, al pinot nero e al pinot bianco. Una risorsa che nei prossimi anni potrebbe rivelarsi fondamentale, se l’andamento climatico dovesse continuare a segnare incrementi di temperatura. Un altro aspetto interessante del recupero dell’erbamat è legato alla valorizzazione di una varietà autoctona, che contribuirebbe a donare ai vini Franciacorta una connotazione nel segno della tradizione e della storia del territorio.

 

a cura di Alessio Turazza


I consigli dell'oste. Giovanni Milana di Sora Maria e Arcangelo e i formaggi di Marzia Molinari

$
0
0

Le migliori trattorie sono quelle che si fanno ambasciatrici del loro territorio, valorizzando prodotti e produttori. Siamo andati così a chiedere proprio ai migliori autori della cucina di tradizione di suggerisci una azienda agricola di fiducia. 

Un viaggio tra le migliori trattorie d'Italia, secondo la nostra guida Ristoranti d'Italia 2017, per carpirne i segreti e conoscere le materie prime utilizzate. Tocca a Sora Maria e Arcangelo ad Olevano Romano, e a Giovanni Milana. Che ai lettori del Gambero Rosso consiglia di provare i formaggi di Marzia Molinari.

Giovanni Milana

Giovanni Milana

Figlio d'arte, cresciuto in una famiglia votata alla ristorazione, a 22 anni si è trovato improvvisamente a gestire il ristorante di famiglia, nonostante i suoi progetti fossero orientati sui cieli del mondo: voleva fare lo steward. Così assieme alla mamma Rita (grande cuoca anche lei) ha riprogettato il futuro della trattoria dei nonni, lasciata prematuramente in eredità dal padre. Decidendo che se non poteva girovagare per il mondo, il mondo sarebbe andato da lui. Come? C'era solo una cosa da fare: evolvere la trattoria e le proposte. La cucina di Giovanni oggi è caratterizzata da sapori nuovi senza mai perdere di vista le sue origini e il rapporto con il territorio. Nei suoi piatti sono sempre presenti i prodotti laziali, le tradizioni olevanesi, gli echi della cucina romana e gli insegnamenti della mamma e della nonna. Nel menù ci sono piatti della tradizione e ricette di famiglia di oltre 70 anni fa, tra cui gli imperdibili cannelloni, che lui propone con la ricetta di sempre ma ingredienti frutto di una costante ricerca: “Il nostro secondo lavoro è quello dei ricercatori. Con i miei collaboratori, nel giorno di chiusura, andiamo a scoprire piccoli agricoltori, allevatori o affinatori. Ed ecco perché nella ricetta tradizionale dei cannelloni, tramandata da mia nonna, oggi utilizziamo il pomodoro San Marzano o il migliore fior di latte di Morolo”. Ma veniamo al consiglio dell'oste: “Provate i formaggi di Marzia Molinari, che ha un allevamento a Trevi nel Lazio di capre bianche di origine francese. Oltre a produrre formaggi, io uso moltissimo la robiola e la ricotta, vende anche la loro carne”.

Marzia Mulinari

La storia di Marzia Molinari

Trevi nel Lazio è un paese di montagna che in passato ha vissuto di agricoltura e pastorizia, questo prima degli anni '60, quelli del boom economico e del rinnovamento generazionale, gli anni in cui è cominciato il fenomeno del “pendolarismo”. Come racconta Marzia Molinari: “Si andava a Roma la mattina presto per lavorare e si tornava la sera. Così tutti i giorni. Le cose sono cambiate quando, invece di andare su e giù, ci si è iniziati a trasferire direttamente nella Capitale, per frequentare l'università o per lavorare. Io avevo scelto la seconda strada, trasferendomi per tagliare definitivamente il cordone ombelicale. Era il 18 marzo del 1992, me lo ricordo ancora, è stata la mia giornata dell'indipendenza”. Passano gli anni, ben venti, e lo scorrere del tempo lascia spazio alla riflessione sulle proprie radici, soprattutto dopo essere stata coinvolta nella vita del suo paese, come consigliere comunale di Trevi nel Lazio. “Avevo la delega alle politiche agricole e forestali, con tutti i problemi legati alle esigenze degli allevatori e agricoltori” racconta“Durante le varie riunioni si parlava di lanciare il territorio e di progetti di sviluppo rurale, è stato fisiologico pensare: perché devo promuovere una cosa e non farla in prima persona?”.

foto di: www.tangibiliemozioni.it

Il ritorno a Trevi nel Lazio

Così, Marzia, torna in pianta stabile nel piccolo borgo montano e recupera la stalla appartenuta un tempo al padre e agli zii.“Mi hanno dato tutti della pazza, effettivamente io non avevo mai seguito l'attività di famiglia. Ma nonostante mi avessero messo in guardia sul lavoro duro che non ha giorni di pausa, ho iniziato la mia attività da allevatore. Un consiglio però l'ho seguito, quello di allevare le capre, molto più gestibili degli asini (l'altra opzione) e che garantiscono una maggiore redditività”. Nella stalla di famiglia Marzia rinnova la strada tracciata dal lavoro del padre con una visione più ampia: “Per imparare il mestiere ho frequentato i corsi di Katia Stradiotto, una tecnica casearia di Bergamo. Con lei ho visitato moltissime aziende del bergamasco e di Brescia”. É proprio qui (a Brescia) che c'è stato il colpo di fulmine con la razza Saanen: “Un allevatore aveva delle capre bianche bellissime, le volevo! Così parlando con lui sono riuscita a farmi dare 20 capi, tutti gravidi e sani. È stato il nuovo inizio dell'azienda di famiglia e della mia vita”.

foto di: www.tangibiliemozioni.it

Tenuta Capocerrito

Alla Tenuta Capocerrito la giornata comincia presto, più o meno alle sette: “In questo periodo ci sono i piccoli quindi mi accerto che tutti abbiano fatto 'colazione', poi mungo le capre, controllo se ci sono mammelle sbilanciate, e do loro da mangiare. Di solito i pasti sono completi: fieno, erba medica e fioccato (mais, orzo e favino) con percentuali diverse a seconda del periodo dell'anno. Niente mangimi. Curo personalmente anche la pulizia del caseificio e della stalla, l’approvvigionamento delle materie prime e dei foraggi e mi occupo anche della vendita e della distribuzione”. Da Pasqua a maggio, quando è in piena fase di produzione, ovvero quando non ci sono i piccoli (Marzia fa anche vendita diretta dei capretti) e le capre hanno più latte, i ritmi sono più intensi. “Si va prima in caseificio per lavorare il latte tutti i giorni”.

Marzia in questa avventura non è sola, le sue spalle in stalla sono altre due donne: la veterinaria aziendale Maria Rosaria Ceccarelli e la nutrizionista Celeste Grande. Assieme a loro gestisce 65 capi - “L'anno scorso ero arrivata a 100 ma poi ho subito un furto” - e rappresentano l'unico allevamento, nel raggio di 50 chilometri, ad avere tutti i capi indenni Caev (artrite encefalite virale caprina) perché non hanno mai introdotto soggetti esterni. “Quando abbiamo avuto bisogno di cambiare la linea di sangue, per evitare problemi alle mammelle e una produzione di latte scadente, abbiamo fatto l'inseminazione artificiale. Ecco perché il nostro latte è sano e di qualità”. E con questo latte fa un lavoro quasi sartoriale con alcuni clienti, soddisfacendo richieste particolari, personalizzate. “Per Giovanni Milana, per esempio, produco delle robiole o delle ricotte che lui esalta creando dei piatti strepitosi. Per altri ristoranti della zona faccio invece delle caciotte, che loro usano così come sono negli antipasti”. I formaggi e gli yogurt di Marzia si possono trovare nel piccolo punto vendita adiacente la stalla, nei negozi di zona e, a Roma, da Pro Loco Dol. “La soddisfazione maggiore me la danno i clienti, non tanto il guadagno. Sono contenta delle mie capre e di quello che faccio. So di essere stata brava ma soprattutto sono le mie caprette ad essere brave”.

 

Sora Maria e Arcangelo | Olevano Romano (RM) | via Roma, 42 | tel. 06 9562402 | www.soramariaearcangelo.com

Tenuta Capocerrito | Trevi nel Lazio (FR) | via Borgo Madonna | tel. 3478400771

 

a cura di Annalisa Zordan

foto di apertura: Ravioloni Olevanesi con ricotta di capra

 

I consigli dell'oste

Michele Vallotti e i salumi di Vanni Forchini

Gherra e Vergano del Consorzio di Torino e la carne della Macelleria Brarda

 

Genova e il rilancio dei mercati rionali. Dalla food hall al Mercato Orientale al progetto della Foce

$
0
0

Entro l'autunno dovrebbe partire il progetto di valorizzazione del piano superiore del principale mercato cittadino, che presto potrà disporre di una food hall con cucine e spazi formativi. Intanto rinasce da iniziativa privata il mercato rionale della Foce. Ecco come Genova investe sui suoi mercati. 

Il Mercato Orientale. La Storia

Per tutti, a Genova, il Mercato Orientale è quello più rappresentativo dell'identità cittadina, e il più frequentato del capoluogo ligure. E dal 1898 apre i battenti dove un tempo c'era il chiostro dell'antico Convento della Consolazione, nelle vicinanze della porta orientale d'accesso alla città. Oggi somma un gran numero di commercianti, frequentato da tanti genovesi in cerca di generi alimentari del territorio, dalla trippa al pollame, dal pescato di giornata al pane fresco. Una vocazione prettamente commerciale che tra qualche tempo potrebbe completarsi di una nuova spinta, più al passo con i tempi che corrono, che del mercato evidenzia le potenzialità turistiche e culturali. L'idea, insomma, è quella di seguire le orme di illustri “colleghi”, Firenze in primis, e garantire al mercato orientale l'affluenza di turisti in visita alla città e pubblico in cerca di un rifugio sicuro per mangiare di qualità e locale (con prodotti di filiera corta e alta gamma). E questo anche per correre ai ripari, visto che come tanti mercati rionali abbandonati a se stessi anche l'Orientale soffre di abbandoni e chiusure, in mancanza di un progetto moderno che torni a restituirgli il ruolo di piazza conviviale. Proprio a questo puntava la delibera approvata alla fine del 2016 dalla giunta comunale per sfruttare gli spazi del piano superiore dotandoli di un nuovo sistema di servizi. Riqualificazione e valorizzazione che dovrebbero passare per la realizzazione di una food hall con cucine, aperta a degustazioni, show cooking, lezioni pratiche, laboratori di educazione alimentare per promuovere il sistema alimentare ligure e le specialità gastronomiche cittadine, dal pesto alle acciughe fritte, alla celeberrima focaccia.

 

La nuova food hall. Il bando

Così presto il mercato dovrebbe garantire un'offerta per il pranzo, ma anche – estendendo l'orario di apertura – per l'aperitivo e la cena. Per il momento circola l'entità dell'investimento, un milione e mezzo di euro circa, che dovrebbe assicurare il completamento dei lavori tra l'autunno prossimo e la fine del 2017. E ad aggiudicarsi il bando è stata la società MOG (Mercato Orientale Genova srl), che “dovrà essere in grado di compiere gli interventi di ristrutturazione e recupero del primo piano della struttura e soprattutto di avviare un'attività di market food”, agendo in sinergia con il Consorzio di gestione del Mercato Orientale, per ottenere in cambio una concessione della durata massima di 30 anni, e la possibilità di creare un cinquantina di nuovi posti di lavoro. Ma per scoprire i soggetti coinvolti sarà necessario aspettare ancora qualche mese.

 

Il Mercato della Foce

Chi già celebra il rinnovato impulso alla rinascita dei mercati rionali di Genova, invece, sono i frequentatori del Mercato della Foce, che sulle orme del Mercato del Carmine (progetto ambizioso nelle premesse, ma ancora in cerca di una chiave di lettura più convincente, probabilmente con la complicità di un ulteriore rinnovamento), ha riaperto i battenti totalmente rinnovato lo scorso dicembre. La struttura di via Ruspoli - mille metri quadri aperti dalle 8 alle 20 - era chiusa dal 2014 e dopo un lungo cantiere finanziato da un consorzio privato di commercianti ha ritrovato una veste accattivante che conta banchi di salumi e formaggi, un laboratorio di pasta fresca, la macelleria, un panificio e il bar – al Mata Caffè e Bistrot – che porta in tavola in prodotti del mercato. Del resto, lo scorso autunno, Genova aveva ricevuto il premio Urbanistica 2016 all'Urban Promo Progetto Paese per il progetto sulla riqualificazione dei suoi mercati rionali. La strada è lunga, ma le buone intenzioni non mancano.

 

Mercato Orientale | Genova | via XX settembre, 75r

Mercato della Foce | Genova | via Ruspoli/via Libertà

 

a cura di Livia Montagnoli

LSDM Paestum il 19 e 20 aprile. Il programma del congresso al suo decimo compleanno

$
0
0

Per celebrare in grande stile il decimo anniversario da quando Le strade della mozzarella prendevano le mosse in quel di Paestum, il congresso gastronomico che valorizza il territorio campano e la cucina d'autore presenta un programma ricco di relatori in arrivo da tutto il mondo. Ecco i protagonisti che si ritroveranno al Savoy Beach Hotel il 19 e 20 aprile. 

LSDM. Edizione numero 10

Quando manca poco più di un mese all'appuntamento di Paestum, ecco arrivare puntuale il programma del congresso gastronomico che ancora una volta, da dieci anni a questa parte, celebra la Campania, il suo territorio, i prodotti della terra che la rendono grande nel mondo. E la cucina d'autore. Archiviate con successo le prime tappe (Milano e Londra) del tour d'anniversario che sancisce il raggiungimento di un traguardo importante – dieci anni di vita per una manifestazione partita da una piccola realtà di provincia e quando alla filiera del cibo non si prestava tanta attenzione non sono pochi – ora l'attesa punta al Savoy Beach Hotel, che riunirà per due giorni un parterre di chef d'Italia, d'Europa e dal mondo, pizzaioli, produttori e artigiani del gusto. Oltre alla stampa di settore che normalmente affolla l'incontro. L'appuntamento è nella bella cittadina cilentana per il 19 e 20 aprile, e la scaletta dei relatori che si avvicenderanno sul palco si preannuncia nutrita.

LSDM Paestum. Il primo giorno: giovani e glorie campane

Con la voglia di porre l'accento sul contributo delle giovani leve, che tanto bene hanno fatto a Identità, all'evoluzione della cucina italiana: Luca Abbruzzino, Marco Ambrosino, Martina Caruso, Floriano Pellegrino, Lorenzo Stefanini e Oliver Piras saranno protagonisti in Sala Blu nella mattinata di apertura. Con loro anche una quota straniera di grande spessore: Josean Alija da Bilbao e Tomaz Kavcic da Vipava, Slovenia. Gli altri mattatori di giornata saranno gli alfieri della tavola campana, da Gennaro Esposito ai fratelli Salvo, a Gaetano Pasquale Torrente e Cristoph Bob, ma pure Matteo Baronetto, Antonio Guida, Antonello Colonna, Luca Vissani, Francesco Apreda eMartino Ruggieri.

 

Il secondo giorno. Grandi big dall'estero

Il 20 aprile, invece, la mattinata è dedicata ai big in arrivo dall'estero (ma ad aprire i giochi ci penserà Chicco Cerea): il galiziano Javier Olleros, Vladimir Mukhin da Mosca, Anand Gaggan da Bangkok, Ed Schoenfeld in arrivo da New York, Kobe Desramaults (un ritorno) dal Belgio e Philippe Leveille, italiano d'adozione al Miramonti l'Altro. Nel frattempo in Sala Rossa si alterneranno i grandi nomi di casa, da Antonia Klugmann a Giancarlo Morelli, da Luciano Monosilio a Riccardo Camanini, a Gianluca Fusto. E gli italiani che hanno conquistato l'estero: Paolo Casagrande dal Lasarte di Barcellona e Giuseppe Oliva parte della squadra vincente di Christian Puglisi a Copenhagen. Un programma denso, insomma, che si arricchirà con gli incontri degli Atelier tematici, su fritto nella ristorazione d'autore e pomodoro, mozzarella di bufala e pasta e pomodoro. Ad animarli tanti volti noti della ristorazione italiana; tra gli altri Gianluca Gorini, Cristian Torsiello, Terry Giacomello, Luigi Taglienti, Ilario Vinciguerra, Luigi Salomone, Alessandro Rapisarda.

 

LSDM | Paestum | Savoy Beach Hotel | il 19 e 20 aprile | il programma completo del congresso su www.lsdm.it

 

a cura di Livia Montagnoli

Street Food d'Italia 2017. Campania: Da Gigione di Pomigliano d'Arco

$
0
0

Una macelleria di qualità che si è evoluta negli anni in un'hamburgeria da asporto, e che ha poi raddoppiato con una braceria con tanto di posti a sedere. E che ora è pronta a rinnovarsi ancora. La storia della famiglia Cariulo e del loro Da Gigione, miglior cibo da strada campano secondo la guida Street Food 2017.

Il miglior cibo da strada della Campania? Sfogliatelle, cuoppo, pizza fritta, ma soprattutto hamburger. Quelli della tradizione americana, spessi e cotti a puntino, inseriti fra due fette di pane soffice e accompagnati dagli ingredienti più disparati. A portare lo street food statunitense per antonomasia a Pomigliano d'Arco, in provincia di Napoli, è stata la famigliaCiarulo, che ha trasformato la sua macelleria al dettaglio in una panineria di qualità, la migliore secondo la guida Street Food d'Italia 2017 del Gambero Rosso. A raccontarci la storia di questo originale progetto è Gennaro Cariulo.

Come nasce l'attività?

La macelleria esiste da oltre 30 anni ma è solo dal 2013 che abbiamo deciso di ampliare l'attività e creare anche il reparto hamburgeria. Inizialmente i panini erano solo a portar via, poi nel 2015 abbiamo rilevato un locale a pochi metri dalla macelleria e lo abbiamo trasformato in una braceria, dove i clienti possono sostare e mangiare comodamente seduti al tavolino.

Che cosa offrite?

Hamburger di vario genere con latticini e salumi, verdure e salse, che i clienti possono personalizzare a loro piacimento.

Qual è quello che va per la maggiore?

Il nostro punto di forza è la personalizzazione, quindi ogni cliente può creare un panino nuovo ogni giorno. Fra i più richiesti comunque ci sono il Pane e Crudo, a base di un battuto al coltello di Chianina con burrata, misticanza e senape, e poi il Chianino in Fossa, un hamburger di Chianina con patè di peperoni, lardo di Mangalica e formaggio di fossa.

Cosa offrite da bere?

Abbiamo circa 100 birre artigianali italiane in bottiglia e poi 10 alla spina. Per i vini, c'è una carta ampia che comprende sia etichette nazionali che straniere.

Da dove acquistate le materie prime?

La carne è la nostra, e viene selezionata da mio padre direttamente dalle varie stalle della Penisola con cui lavoriamo. Trattiamo esclusivamente carne italiana, in particolare Chianina e Marchigiana. Per i formaggi e i salumi, ci riforniamo da diversi produttori nazionali, mentre per le verdure cerchiamo di rimanere legati al territorio scegliendo quelle dei piccoli agricoltori locali.

Quanti siete nel team?

Io e i miei due fratelli, che ci occupiamo della parte manageriale e della gestione, contabilità e risorse umane, i nostri genitori che lavorano in macelleria e poi altre 30 persone fra laboratorio e cucina.

Come è stato recepito il nuovo format dalla clientela locale?

Molto bene fin da subito. Il concetto di street food e take-away ora è molto comune in Italia ma quando lo abbiamo adottato noi 4 anni fa era piuttosto rivoluzionario, soprattutto in Campania. L'hamburger poi si distanzia molto dalla tradizione partenopea, però è stato apprezzato.

Qual è il vostro punto di forza?

L'artigianalità. Realizziamo prodotti fatti in casa senza utilizzare alcun ingrediente industriale. E li proponiamo a prezzi competitivi: da noi si può mangiare un buon panino sano e naturale a 6 euro.

Consigliaci qualche locale per andare a mangiare a Pomigliano d'Arco.

Taverna Estia degli Sposito per una cucina ricercata e sofisticata. Per il dolce invece, amo molto la Pasticceria Antignani, dalla quale acquisto anche i dessert per il mio locale.

Una pizza buona?

Pizzeria Salvo a San Giorgio a Cremano (Napoli) e poi I Masanielli a Caserta.

Progetti per il futuro?

Abbiamo intenzione di trasferire la macelleria in uno spazio più ampio in via Passariello, ad appena un chilometro di distanza dall'attuale sede. Abbiamo bisogno di un laboratorio più grande per poterci concentrare di più sulla lavorazione della carne e la vendita la dettaglio. Anche lì riproporremmo gli hamburger e ci destreggeremo fra questo nuovo punto e l'attuale ristorante in via Roma.

Quando aprirete?

Ancora non c'è una data precisa, ma sicuramente prima dell'estate.

Da Gigione | Pomigliano d'Arco (NA) | via Roma, 307 | tel. 081 8844599 | www.dagigione.it/

Macelleria Da Gigione | Pomigliano d'Arco (NA) | via Trieste, 71 | tel. 081 8030048 | www.dagigione.it

a cura di Michela Becchi

Guida Street Food 2017 del Gambero Rosso | Euro 6,50 | acquistabile in edicola, libreria e on line

Guida Street Food 2017 del Gambero Rosso. Ecco i risultati

Street Food d'Italia 2017. Valle d'Aosta: Sushiball di Courmayeur

Street Food d'Italia 2017. Veneto: Gourmetteria di Padova

Street Food d'Italia 2017. Friuli-Venezia Giulia: Mamm Ciclofocacceria di Udine

Street Food d'Italia 2017. Lombardia: La ravioleria Sarpi di Milano

Street Food d'Italia 2017. Emilia Romagna: Punto G di Piacenza

Street Food d'Italia 2017. Trentino Alto Adige: Briciole Food and Drink di Rovereto

Street Food d'Italia 2017. Marche: Il Furgoncino di Pesaro

Street Food d'Italia 2017. Umbria: Bacalino di Perugia

Street Food d'Italia 2017. Puglia: Piadina Salentina di Lecce

Street Food d'Italia 2017. Liguria: Moltedo di Recco

Street Food d’italia 2017. Abruzzo: Alla Chitarra Antica di Pescara

Street Food d'Italia 2017. Sardegna: Sebaderia Dulcinea di Nuoro

Street Food d'Italia 2017. Sicilia: Nino U' Ballerino di Palermo

Street Food d'Italia 2017. Molise: Maramimmo di Termoli 

I migliori mieli d'Italia. Carlo Amodeo di Termini Imerese

$
0
0

Nella provincia di Palermo, a Termini Imerese, Carlo Amodeo si occupa da 32 anni di apicoltura. E produce mieli rari, come quello di carrubo, cardo, nespolo, ma ance quelli più tradizionali, basandosi sul lavoro dell'ape nera sicula, presidio Slow Food.

L'attività

Un giorno, all'età di 5 anni, ho visto uno sciame di api dal vivo per la prima volta. Da quel momento ho iniziato a sognare tutte le notti alveari, api, miele. Ben presto è diventato un incubo”. È Carlo Amodeo a raccontare questa insolita storia, apicoltore di Termini Imerese da oltre 30 anni. “Dopo un po' l'incubo è finito, fino a quando un giorno, a 19 anni, non ho visto nuovamente delle api dal vivo e l'immagine del sogno mi è tornata in mente all'improvviso”. Capisce così di dover iniziare a lavorare nel settore dell'apicoltura, “nell'85, all'età di 25 anni, ho fondato l'azienda”. Che conta attualmente 8 dipendenti e 1800 alveari. Miele di acacia, di agrumi, di castagno, di eucalipto, di sulla, timo, millefiori. Ma anche prodotti più rari, particolari, difficili da reperire. Come il miele di carrubo, quello di nespolo, di cardo. “Ho in tutto 21 varietà botaniche e riesco a produrre miele tutto l'anno grazie al lavoro dell'ape nera sicula”.

L'ape nera sicula

Un presidio Slow Food che si è potuto sviluppare grazie – soprattutto – al lavoro di Carlo. “In collaborazione con diversi istituti di ricerca sono riuscito a isolare questa tipologia di ape e farla riprodurre in purezza, senza apportare mai delle selezioni produttivo-comportamentali”. E quindi senza applicare alcuna violenza genetica, lasciando fare alla natura il suo corso: “Si tratta di una riproduzione naturale, senza alcun intervento dell'uomo: dalle famiglie di api sane vengono riprodotte poi le altri madri”. Ma cosa contraddistingue l'ape nera sicula? Innanzitutto ha una forte capacità di autodifesa, “in tutti questi anni non è mai successo che un'arnia o un nucleo con ape regina si lasciassero saccheggiare”. E soprattutto produce tutto l'anno: “Ora sto attualmente lavorando il miele di mandorlo, mentre a gennaio ho fatto quello di nespolo e poi a febbraio il carrubo. L'ape nera sicula riesce a sviluppare famiglie ovunque ci siano fiori, a prescindere dalla varietà”.

La produzione

L'annata appena trascorsa è stata molto negativa, come abbiamo già evidenziato con Giorgio Poeta, apicoltore di Fabriano, e ha determinato un inevitabile calo della produzione. Lo conferma anche Carlo: “è stata un'annata quasi impossibile. Alcuni fiori non hanno dato nettare, le piante erano asciutte e gli alveari non si sono potuti sviluppare”. Fra le piante che hanno registrato maggiori difficoltà “arancio, mandarino, limone, zagara, e poi anche qualche varietà più particolare”. Ma non è solo questione di nettare: “Le regine hanno avuto molti problemi per la fecondazione e la riproduzione – aspetto fondamentale per la realizzazione del miele – ne ha risentito”. Sembra promettere meglio invece l'annata 2017, “anche se purtroppo non è possibile stabilire con esattezza come andranno le cose”.

I mieli

Mieli di tanti tipi, dicevamo, e soprattutto mieli rari. Ma cosa si intende per miele raro? “Si tratta di piccole produzioni, da piante da cui solitamente non viene estratto il nettare come cardo o aneto”. E sono fin troppo richiesti: “I mieli rari sono il punto di forza dell'azienda e la clientela apprezza molto questo tipo di prodotto. Naturalmente, la produzione è limitata per cui non sono disponibili tutto l'anno”. Ma ci sono sempre i classici della tradizione, “che non vanno dimenticati”, come la sulla, “delicato e con note vegetali”, il millefiori, “con aromi e profumi diversi a seconda delle varietà botaniche”, l'acacia, “dolce e floreale”, il castagno “forte e penetrante”, e molti altri ancora. Che caratteristiche presentano invece quelli più rari? “Il miele di cardo è molto profumato e dal sapore intenso, quello di ferla”, pianta tipica siciliana, “presenta un sapore più delicato e dolce, quello di nespolo ricorda il frutto della pianta da cui viene ricavato ed è forse il più particolare di tutti”. C'è poi il miele di carrubo, con note tostate e dalla consistenza cremosa, e quello di asfodelo, “delicato e lievemente floreale”. Oltre al miele, l'azienda offre anche tutti gli altri prodotti dell'alveare come pappa reale, propoli e cera d'api, oltre a una linea di cosmesi naturale.

Gli abbinamenti

Ma come si abbina un miele? Sono tante le sfumature aromatiche e nuance presenti in ogni prodotto, e devono essere bilanciate con cura in ogni piatto. “Prima ancora di essere apicoltore, io sono un grande goloso e mangione di miele: per me è un po' difficile abbinarlo, perché lo amo in purezza”. Volendo ricercare degli accostamenti corretti però, si può provare ad abbinarlo – come tutti gli altri ingredienti – in due modi, “per contrasto o assonanza”. Nel primo caso, per il più classico degli abbinamenti - miele e formaggio - si può pensare di utilizzare un miele molto intenso e persistente su un latticino delicato, “per esempio un miele di mandorlo dal retrogusto amaro oppure quello di timo o aneto – che dona delle sensazioni balsamiche avvolgenti – su una ricotta vaccina o una tuma fresca”. Giocando sulle note più armoniche dell'assonanza invece, “si può provare un miele dal gusto delicato, come quello di sulla, su un formaggio stagionato”.

Le proprietà nutraceutiche

Ogni miele, si sa, è ricco di proprietà nutraceutiche che variano a seconda della tipologia. Quelli di Carlo, in particolare, sono una fonte inestimabile di antiossidanti: “Con l'Università degli studi di Palermo stiamo lavorando da tempo sulla ricerca dei benefici del miele sulla nostra salute”. In particolare, “la composizione specifica del miele, le caratteristiche organolettiche e le sue proprietà biologiche sono strettamente legate al tipo di insetto e di nettare da cui deriva, che a loro volta dipendono dall’origine botanica di fiori e piante, dalle condizioni atmosferiche e climatiche, dalla stagione di produzione”. E i mieli siciliani di ape nera hanno dimostrato di avere un potenziale terapeutico più elevato, dovuto soprattutto all'alta quantità di antiossidanti e di proprietà antibatteriche, “legate alla concentrazione zuccherina e al PH acido”. L'elevato numero di zuccheri, inoltre, “aumenta l'osmolarità dell'ambiente extracellulare e pertanto stimola la salivazione e la secrezione di muco”, e quindi “aiuta a migliorare l'attività sull'apparato respiratorio”. Ape sicula a parte, i mieli di Carlo si contraddistinguono anche per la lavorazione attenta e scrupolosa: “Estraggo i mieli ogni 7 giorni e, per evitare le ossidazioni, li centrifugo e decanto immediatamente. Subito dopo vengono messi negli appositi contenitori e lasciati in cella frigorifera. Questa catena del freddo è fondamentale per mantenere tutte le proprietà aromatiche e benefiche del prodotto, e per evitare che le alte temperature vadano a intaccarne le qualità”.

Carlo Amodeo | Termini Imerese (PA) | Contrada Madonna Diana | tel. 091 5079484 | amodeocarlo.com/it

a cura di Michela Becchi

I migliori mieli d'Italia. Giorgio Poeta di Fabriano 

Conoscere e capire il miele: glossario essenziale 

Massimo Bottura e il Refettorio di Londra. Il racconto dello chef: come tutto è iniziato e dove arriverà

$
0
0

Dieci minuti di narrazione lucida e accattivante per ricostruire l'esperienza Refettorio vissuta da protagonista. Guardando a Londra, dove il progetto solidale e culturale di Massimo Bottura arriverà a giugno. 

Da Milano a Rio. La forza del Refettorio

Negli ultimi due anni il Refettorio di Massimo Bottura l'hanno raccontato tutti. La forza dirompente di un progetto destinato a conquistare il mondo, del resto, non poteva che rompere gli argini di quella retorica senza contenuti che spesso si sostituisce alla buona pratica. E invece lo chef della Francescana ha invitato tutti a raccogliere la sua chiamata all'azione. Tanto che, dopo l'esordio milanese in occasione di Expo, il progetto (nel frattempo immortalato dal docufilm Theater of Life) ancora non ha smesso di stimolare la narrazione e affascinare platee internazionali, rimbalzando di conferenza in congresso, di intervista in manifestazione di piazza, splendido esempio di condivisione sociale e valorizzazione culturale che prendono le mosse dalla cucina. E Massimo Bottura è cresciuto con lui, se ne è fatto ambasciatore e scintilla senza mai tirarsi indietro, anche quando l'impegno si è moltiplicato e il telefono ha cominciato a squillare senza sosta, come quando alla 6 di mattina di un anno e mezzo fa è arrivata la chiamata del sindaco di Rio de Janeiro: anche le Olimpiadi del Brasile, e le favelas di Rio, dovevano scoprire la portato rivoluzionaria di quel progetto nato dall'urgenza dell'opera. Nel frattempo è arrivata la Fondazione, Food for Soul, sottoscritta per raccogliere fondi e riunire una comunità solidale in grado di rendere il sogno di aprire 5, 10, 50 refettori nel mondo possibile. Sempre con lo stesso obiettivo, “non un progetto di carità, ma un'operazione culturale”, che mirasse alla ricostruzione della dignità dell'uomo, oltre che alla trasmissione della conoscenza, tra i valori fondanti del Bottura-pensiero.

 

Aspettando Londra

E chi, meglio dello chef della Francescana, può raccontare il percorso compiuto sin qui? Apparso recentemente sul palco di Identità con una lezione sulla cucina italiana che diventa bottega rinascimentale, solo qualche ora prima Massimo Bottura era ospite del Comune di Courmayeur, in Valle d'Aosta, dove per qualche giorno va in scena il ciclo di cene solidali affidato al talento portoghese David Jesus, che agli ospiti delle serate – un solo tavolo per un lusso che pochi possono permettersi – propone un menu ispirato dall'esperienza del Refettorio, nel rispetto di quella cucina dello scarto che è l'arma più potente per la lotta allo spreco. Bottura e il suo entourage sono stati ispiratori dell'iniziativa, e lo chef ha onorato una delle cene in programma, incantando gli altri commensali con un racconto lucido (e molto più intimo delle lezioni a cui ci ha abituato) dell'esperienza Refettorio, da quando è iniziata a cosa sarà. Come l'imminente apertura londinese, dove il Refettorio (un piatto si pagherà 50 centesimi arriverà a giugno, nel quartiere di Chelsea, “e tutti vogliono esserci, da Ducasse a Redzepi, da Uliassi a Cuttaia, da Atala a Mario Batali... Hanno accettato in mezz'ora!”. Come quello di Milano - praticamente un piccolo museo d'arte contemporanea - anche il Refettorio di Londra non si tirerà indietro nell'offrire un contesto artistico oltre che gastronomico e di solidarietà agli avventori: pare che il gruppo di Bottura si avvarrà qui niente di meno che della galleria Whitecube di Jay Jopling. Ancora presto per anticipare quali nomi saranno esposti, ma big come Damien Hirst e Tracey Emin potrebbero non bastare.

 

Peraltro segnaliamo che l'esempio di Bottura ha fatto scuola, come auspicabile, e dalla fine di febbraio proprio nella capitale inglese si è avviato il format WastED, operativo fino al 2 aprile all'ultimo piano di Selfridges. Il format pop up ideato dall'americano Dan Barber riunisce tanti colleghi in arrivo dal mondo per cucinare con gli scarti e sensibilizzare l'opinione pubblica sul tema. Ora però godetevi il racconto dello chef.

 

 

 

a cura di Livia Montagnoli

Video di Massimiliano Tonelli

L'EK, il nuovo bistrot che coniuga cucina e arte bianca nel cuore di Lecco

$
0
0

Ha aperto i battenti da poco meno di un mese ma ha già raccolto l'entusiasmo del pubblico: L'EK è il risultato del lavoro di due professionisti del settore, uno chef e un pizzaiolo, e si propone come bistrot contemporaneo incentrato su piatti originali e un'ampia selezione di lievitati.

L'idea

Uno chef, un pizzaiolo, una filosofia comune e un progetto condiviso: quello di portare a Lecco un format di ristorazione nuovo, basato sulla ricerca delle materie prime e un'offerta gastronomica ampia e originale. Due amici, colleghi, due professionisti del settore che gestiscono già due locali a testa: Luca Dell'Orto con il suo ristorante San Gerolamo a Vercurago (Lecco, Una Forchetta guida Ristoranti d'Italia) e Bistrot Du Pass, gastropizzeria e braceria nello stesso comune, e Marco Locatelli, ideatore de Il Paradiso della Pizza (Uno Spicchio guida Pizzerie d'Italia) e Rise Live Bistrot (Due Spicchi) a Vimercate, in provincia di Monza. Due appassionati di cucina con diverse esperienze alle spalle che hanno deciso di lanciarsi in una nuova avventura insieme, unendo le loro conoscenze e creando una formula di ristorazione completa. L'EK è un bistrot di stampo contemporaneo, con un menu attento alla stagionalità che va a pescare nelle ricette della tradizione, rielaborandole con un tocco moderno e personalizzato, e che lascia spazio anche a un'offerta di lievitati interessante. “Volevamo creare un connubio fra i nostri due elementi, la cucina e l'arte bianca”, racconta Luca, “e dare così la possibilità ai clienti di scegliere fra piatti caldi e freddi e una selezione di pani e focacce”. Un'idea che si è rivelata vincente e che ha portato già risultati notevoli a meno di un mese dall'apertura: “Abbiamo aperto lo scorso 14 febbraio e fin da subito la clientela ha risposto molto bene. Siamo in piazza XX Settembre, la principale di Lecco, dove si concentra il passaggio maggiore di cittadini e turisti. Nelle province e comuni limitrofi ci sono delle insegne interessanti, ma in città sono pochi gli indirizzi gastronomici di qualità”.

Il ristorante

4 cicchetti, 4 antipasti, 4 primi piatti, 4 secondi e una lista di lievitati: questa la proposta di L'EK, che ha intenzione di variare l'offerta di mese in mese, a seconda della disponibilità degli ingredienti e che ogni giorno propone un piatto diverso: “Ci sono i piatti fissi, sempre presenti, così come anche le focacce, e poi altri che variano quotidianamente, come il piatto studiato insieme a una dottoressa biologa nutrizionista, una ricetta bilanciata dal punto di vista di carboidrati, proteine e vegetali”. Gnocchetti di patate di montagna con ragù di coniglio in bianco, raviolo di ricotta, cavolo e limone, insalata di tarassaco di campo, carciofi in insalata e mentuccia: sono solo alcuni esempi della cucina di Luca, “classica leggermente rivisitata a modo mio”. Il piatto più richiesto? “La vitella di bove in crosta di grissini con salsa amatriciana e cavolo nero”. Per i lievitati è la focaccia servita a spicchi, come nella più moderna tradizione della pizza a degustazione, a farla da padrona: “fra le focacce che vanno per la maggiore c'è sicuramente quella con pasta di salame crudo, spuma di gorgonzola e verdure di stagione disidratate”. Ad accompagnare la proposta gastronomica, vini naturali di piccole e medie aziende “sia italiani che francesi” e una selezione di birre artigianali. Per le materie prime, i due soci si riforniscono da varie aziende italiane, “da Capitelli a Casa Graziano per i salumi a La Bottega del Maiale per i formaggi”, e poi da piccoli produttori locali per le verdure. Le farine per i lievitati invece sono quelle di Mulino Sobrino e Mulino Colombo, “una realtà molto attenta alla qualità che si trova a una quindicina di chilometri da noi”. Attenzione alta alla qualità dall'antipasto al dolce, senza dimenticare il caffè, ultimo ricordo di un pasto: al bistrot, si può concludere pranzo o cena con un espresso d'autore con i caffè della torrefazione livornese Le Piantagioni del Caffè.

Progetti futuri

A elaborare piatti e focacce sono Luca e Marco in prima linea, “almeno per il primo periodo di rodaggio” e altri 4 ragazzi in cucina. Ma i due soci dovranno a breve tornare a destreggiarsi anche fra gli altri locali a loro nome: “Siamo fiduciosi di poter gestire le varie attività. Il nostro obiettivo è quello di formare un team solido anche qui da L'EK, proprio come abbiamo fatto negli altri punti. Attualmente, ci stiamo concentrando su questo nuovo progetto ma possiamo farlo proprio perché nelle altre insegne ci sono delle squadre su cui possiamo fare pieno affidamento”. Perché l'obiettivo dei due ragazzi è quello di creare un format ben consolidato e con un'identità definita, da poter un giorno replicare anche in altre città, a cominciare da quelle limitrofe: “Ci piacerebbe aprire altri bistrot con la stessa formula nelle varie province della Lombardia. Questo di Lecco è un progetto sperimentale, una sfida per noi due per vedere se siamo in grado di intraprendere anche la strada dell'imprenditoria, oltre a quella della ristorazione”.

L'EK | Lecco | piazza XX Settembre, 50 | tel. 339 8548476 | www.lekbistrot.it/

a cura di Michela Becchi


Apre Società Anonima a Perugia con Antonio Boco e Paolo Baldelli

$
0
0

Nuovo locale e nuovo concept. Apre a Perugia Società Anonima, uno spazio libero dove mangiare, bere e socializzare.  

Il progetto è quello di due amici da sempre, Paolo Baldelli e Antonio Boco (di lui vi abbiamo parlato a proposito del suo blog Tipicamente), entrambi appassionati di enogastronomia. A dirla tutta Boco è anche collaboratore del Gambero Rosso per la guida Vini d'Italia. “Da sempre frequentoristoranti che non posso permettermi spendendo gran parte della mia vita a parlare di vini e cibo. Con Paolo condivido il mio totale disagio, lo chiamerei proprio così. E con lui ho deciso di aprire un locale nell'ex fabbrica di ghiaccio, quella che un tempo ospitava la Società Anonima Birra Perugia”. Il locale, chiamato per l'appunto Società Anonima, apre la settimana prossima con l'obiettivo di (ri)portare la bevanda dove è nata. Ma non solo.

Società Anonima

Parola d'ordine libertà: “Nessun vincolo, nessuna prenotazione. Sarà uno spazio di libertà gastronomica e urbana, informale, denso di approfondimenti e ricerca, per tutti i giorni e per ogni occasione. Aperto dalle 18 alle 2, dove si può restare un quarto d'ora per un aperitivo o due ore per la cena”. Con una cucina aperta, in continuità con la sala, che riduce lo spazio tra cuoco e cliente. Dove il protagonista è il bancone, in cui saranno i cuochi stessi a presentare i piatti ai commensali. Per chi vuole un po' di privacy, c'è invece una saletta con un “tavolo (a)sociale, perfetto per una cena tra amici”. I due cuochi, Matheus Porticchio e Francesco Madera, sono umbri e giovanissimi, ma hanno viaggiato, e lo raccontano attraverso i piatti. “Li volevamo con un bagaglio di viaggi ben fornito, in modo che potessero calarsi sul territorio con mente libera, aperta a prodotti e tecniche nuove senza scadere nel puro e semplice esercizio di stile: se la ricetta tradizionale va bene così, non si tocca”.

Uova in salamoia

La proposta gastronomica

Da Società Anonima si dialoga con i piccoli produttori del territorio e si recuperano vecchie tradizioni .“I piatti partono dal territorio e da antiche ricette della città. Ma al tempo stesso vivono nella modernità, in una tradizione dinamica e attuale che rifugge fronzoli, gabbie o impostazioni confezionate”. Quella di Perugia è una tradizione gastronomica maturata nei secoli, frutto di una vivace identità culturale e del rapporto con il territorio rurale circostante. Nel menu, fondato sulle materie prime, senza il classico percorso “antipasto, primo e secondo”, hanno grande risalto gli ingredienti poveri. Dalle patate di Pietralunga, decisamente più minerali, che vanno ad accompagnare le animelle con la polvere di pisco, alle uova Liberovo, un'azienda agricola a conduzione familiare che produce le sue uova da galline allevate secondo il metodo biologico, presenti in più preparazioni. Tra cui l'uovo in salamoia, “uno snack molto popolare nei pub britannici, perfetto per accompagnare un bicchiere di vino o una semplice birra”. Le materie prime, neanche a dirlo, sono una vera ossessione: “I fornitori sono piccoli produttori locali con cui c’è un rapporto diretto, senza rinunciare al meglio conosciuto nel perenne girovagare per il mondo. La stagionalità dei prodotti è un obbligo etico ed estetico, così come la sostenibilità e la drastica riduzione degli sprechi”. Così la carne, e le costine di maiale brasate alla birra Calibro7, sono dell'allevatore-macellaio (e amico) Michele Sisani di Etrusco Carni. O il pesce, come la carpa regina proposta in porchetta, è della Cooperativa dei pescatori del Trasimeno. Come si diceva, però, non disdegnano i prodotti esotici, tant'è che nel baccalà alla perugina (tradizionalmente fatto con pomodoro, uvetta e prugna) hanno sostituito le prugne con l'umeboshi.

Immancabili vino e birra

Il vino è una passione totale, quotidiana e in continuo divenire. Le scelte sono personali, frutto di conoscenze dirette e nessun compromesso. Molte bottiglie provengono da cantine di piccoli produttori artigianali, capaci di scelte sostenibili e rispettose del territorio. E la carta cambia di frequente, a seconda degli umori, dei viaggi e delle scoperte: “Ogni vino ha il suo momento e ogni momento il suo vino”. Per quanto riguarda la birra, quella artigianale,si può scegliere tra quelle della Fabbrica Birra Perugia (Antonio Boco è uno dei soci) e, a rotazione, le etichette delle migliori produzioni di birrai amici. Un posto così, a Perugia, ci voleva.

 

Società Anonima | Perugia | via Bartolo, 25 | societaanonimaperugia.it

 

a cura di Annalisa Zordan

 

Les Caves a Sala Baganza. Il ristorante di Maria Amalia Anedda e Jacopo Bracchi, ex concorrenti di Top Chef Italia

$
0
0

Maria Amalia Anedda e Jacopo Bracchi aprono il Les Caves a Sala Baganza, a pochi chilometri da Parma.

La coppia, nel lavoro e nella vita

Jacopo Bracchi: ventisettenne di Milano, a undici anni, invece di studiare, cucinava con la nonna. Da lì la decisione di iscriversi all’istituto alberghiero e di approdare nella cucina di Alain Ducasse da Jules Verne, sulla Tour Eiffel, insieme alla fidanzata Maria Amalia Anedda. Lei di anni ne ha 26, è nata e cresciuta a Parma, circondata da donne che cucinavano. Si diploma a pieni voti all'Alma e vola verso le cucine professionali di Parigi. In quella di Alain Ducasse conosce nel 2012 Jacopo e con lui inizia un percorso di vita, fatto di complicità, collaborazioni, rivalità costruttiva, senso critico propositivo. Sempre insieme sono andati al ristorante Il Vino di Enrico Bernardo a Parigi, e poi a Bordeaux, nel Castello d’Agassac, dove hanno preso in mano la gestione totale. Alcuni li avranno visti durante le puntate della prima edizione di Top Chef Italia, dove Maria Amalia ha conquistato il podio (dietro ai due Matteo: Torretta e Fronduti) grazie alla sua cucina creativa, elastica che include diversi metodi di cottura e sapori. Ora hanno aperto il loro ristorante Les Caves a Sala Baganza, a pochi chilometri da Parma.

Les Caves a Sala Baganza

Il Ristorante sorge all’interno della Rocca Sanvitale, dimora storica dell’omonima famiglia che ne fu proprietaria dal XIII secolo per oltre 300 anni. Les Caves, come documentato da una planimetria del 1775, sono appunto le cantine situate nei sotterranei dell’antico palazzo nobiliare. “Appena abbiamo visto la location ce ne siamo innamorati, così abbiamo accantonato l'idea di aprire un locale in Costa Azzurra”. Maria Amalia e Jacopo, supportati dall'impresa di costruzione (che è proprietaria delle mura), hanno trasformato gli ambienti in un accogliente ristorante. “Abbiamo mantenuto l'atmosfera della cantina, con colonne, soffitti a botte, mattoni a vista. Per quanto riguardo l'arredamento, non avendo grandi disponibilità di investimento, abbiamo riadattato i mobili di casa che ci hanno donato le nostre famiglie, compresa un'affettatrice Berkel del '32, rimessa a nuovo per l'occasione”. A completare l'ambiente informale e rilassante, tantissime piante.

Il menu

Veniamo alla cucina della Chefsencouple. I due si sono ovviamente divisi i ruoli, come ci spiega Maria Amalia: “Nonostante siamo due teste portanti, e pensanti, all'interno della stessa brigata, in questi anni abbiamo trovato un equilibrio. Lui è estremamente paziente, organizzato e razionale; io più creativa ed estrosa. Lui si occuperà delle cotture, io degli impiattamenti e della pasticceria, che non si sa perché (o forse sì) è quasi sempre donna”. La cucina è del territorio. “Ogni piatto è stato analizzato e studiato nel suo aspetto organolettico e nutrizionale, senza rinunciare ai capisaldi della nostra cultura gastronomica, che vanno mantenuti, e a prodotti e tecniche esotiche imparate nel corso dei nostri viaggi. Penso alla Pancia di maialino nero e parmigiano caramellato utilizzando tecniche orientali con lo zenzero, accompagnato da crema ceci e cavolo nero saltato ed essiccato. Oppure ai Passatelli con crema di scampi e limone candito, usato molto nella cucina marocchina, e bottarga che facciamo noi personalmente”. Le uova di pesce, che in questo periodo abbondano, sono quasi considerate prodotto di scarto dalle pescherie, così loro le recuperano e le marinano con sale, zucchero e pepe rosa per circa un mese e mezzo. “Un'altra chicca dal menu è il Pasticcio di maccheroni in crosta dolce, piatto tipico della mia famiglia e poco frequente nelle trattorie di zona”.

Le materie prime

È un menu in cui usano materie prime di cui conoscono la filiera produttiva. Qualche esempio? “Non è difficile trovare prodotti eccellenti in zona, dato che siamo nel cuore della food valley italiana. Andiamo personalmente nella pescheria Guareschi a Sala Baganza, rinomata in tutta la provincia di Parma perché fa arrivare quotidianamente il pesce dal mercato di Chioggia e di Milano. Per i salumi, in particolare il culatello, ci rivolgiamo al Podere Cadassa e S. Ilario (di cui vi abbiamo parlato qui)”. Capitolo a parte e curioso quello delle verdure:“Il nostroamico Giacomo Pelizzoni quando abbiamo avviato il progetto, ha comprato per noi dei semi da piantare nel suo podere. A breve avremo la nostra prima raccolta!”. La nuova avventura degli ex Top Chef è resa possibile anche dalla squadra di giovanissimi che li segue: “Fra sala e cucina l'età media è bassissima, 26 anni più o meno.Il maître Alberto Francalanci, per esempio, ha soli 24 anni, ed è preparatissimo e appassionato”. Il ristorante è aperto anche a pranzo da mercoledì a domenica,“vogliamo introdurre presto un menu colazione per competere con le realtà dei dintorni”. E il menu degustazione di 6 portate a mano libera costa 55 euro.

Chiudiamo con la domanda di rito: cosa vi ha lasciato l'esperienza di Top Chef Italia?“Non ha condizionato praticamente nulla, si lavorava prima e si continua a lavorare anche adesso. Ovvio che ora abbiamo una bella rete di conoscenze che prima non avevamo, sia con i concorrenti che con giudici”.

 

Les Caves | Sala Baganza (PR) | Piazza A. Gramsci | tel. 0521.831062 | www.chefsencouple.it

 

a cura di Annalisa Zordan

 

 

L'altro Bros. Francesco Pellegrino e il collettivo di pasticceria Dolci su Tela. Da Jordi Roca al Salento

$
0
0

Dall'agriturismo di Scorrano nei circuiti dell'alta ristorazione spagnola, a soli 18 anni nella cucina di Berasategui. Poi con Paco Torreblanca e Jordi Roca, inseguendo la passione per la pasticceria. Lui si chiama Francesco Pellegrino, ed è il fratello di Floriano e Giovanni, i Bros che stanno conquistando Lecce e la critica gastronomica italiana. Lui invece ha preso la sua strada. Vi raccontiamo la sua storia. 

Da Scorrano alla Spagna. Con il sogno della pasticceria

Di anni oggi ne ha 24. E nel 1992, quando nasceva in un piccolo paese della provincia leccese, sua madre apriva l'azienda agrituristica di Scorrano dove insieme ai fratelli Floriano e Giovanni ha trascorso l'infanzia, circondato dalla campagna salentina. La passione per la cucina, Francesco, non può che averla maturata lì, come l'attaccamento ai prodotti del territorio che da oltre 20 anni finiscono sulla tavola di un ristorante a gestione familiare di stampo tradizionale. Poi però, giovanissimo, ha deciso che il Salento gli andava stretto, come quella scena gastronomica seduta sugli allori di una tradizione che piace un po' a tutti perché fa folclore. E inibisce il coraggio di osare. Comincia il viaggio, dunque, alla volta di cucine che fanno tremare le gambe, verso le glorie della ristorazione internazionale. Per tornare con un bagaglio di esperienze da fare invidia a chi il mestiere dello chef l'ha intrapreso da molti più anni, onorando il legame con la terra dov'è nato, perché anche in Salento, a Lecce, è possibile guardare oltre. Effetto déjà vu? Per chi segue le cronache gastronomiche, la storia di Francesco Pellegrino, l'altro “Bros”, non suonerà nuova. Con Floriano e Giovanni, che da poco più di un anno lavorano in simbiosi nella cucina di via Acaja (in poco tempo Bros è diventato uno dei ristoranti emergenti più chiacchierati d'Italia), Francesco condivide aspirazioni e talento, voglia di fare e una certa spavalderia, di quelle destinate a lasciare il segno. E con loro ha diviso anche buona parte del percorso professionale tra la Spagna, il Salento e l'universo dell'alta cucina che conta. E infatti all'inizio del 2016, quando tra i primi accendevamo i riflettori sulla bella storia della famiglia Pellegrino, la narrazione dei Bros poggiava su tre elementi, i tre fratelli che insieme, dopo i trascorsi internazionali, si mettono in proprio, nella loro città.

Storia di un pasticcere emergente. Da Torreblanca a Roca

Al ristorante, Francesco, il pasticcere del gruppo, è rimasto solo due mesi, il tempo di fare i bagagli alla volta di Milano, lui che dell'irrequietezza sembra aver fatto lo strumento per “difendere” la propria autonomia espressiva. Ora il suo percorso professionale corre in parallelo, peraltro di nuovo a Lecce, dov'è tornato ancora una volta dopo la parentesi al Nord. E la sua storia, come quella dei Bros, offre tanti spunti per intercettare l'evoluzione di quella nuova cucina italiana fatta di talento, dedizione e un pizzico di sfrontatezza. Di mezzo, nel caso specifico, c'è la passione per la pasticceria maturata sin da piccolissimo, “quando con mia mamma, a 8 anni, facevo la crostata di crema e grano”. Poi la formazione all'alberghiero di Lecce, non propriamente una ventata d'aria fresca, con la consapevolezza sempre più solida di voler lavorare in cucina. E a 18 anni la prima trasferta importante, da “papà” Martin Berasategui. Passaggio già noto a chi ha imparato a conoscere la biografia dei Bros: “Sono arrivato con basi di scuola, per la prima volta in una grande cucina, con 100 ragazzi da tutto il mondo. E ho girato tutte le partite. Lì ho cominciato ad appassionarmi alla chimica molecolare, sei mesi intensi di formazione sotto l'ala protettiva di Martin”. Con il pallino della pasticceria sempre in testa e l'aiuto del maestro, Francesco riesce a entrare nel laboratorio di Paco Torreblanca, a Barcellona: “Se fino a quel momento avevo conosciuto il mondo frenetico della ristorazione, con Paco per la prima volta sperimentavo la produzione in laboratorio, dove entri alle 6 di mattina e non sai quando uscirai”. Lì, in una delle fucine di pasticceria più creative di Spagna, Francesco resta per un anno intensissimo; il lavoro è diverso e ugualmente affascinante e gli dà modo di acquisire nuove competenze, dalla creazione di una monoporzione alla produzione di torte, alla pasticceria secca. All'epoca ha appena 20 anni, e si autofinanzia alternando allo stage periodi da pastry chef in alberghi del Trentino, e in Salento. Ma la parentesi spagnola non può dirsi conclusa senza un passaggio alla corte di El Celler de Can Roca, proprio nell'anno in cui Jordi Roca è eletto miglior pasticcere del mondo. L'esperienza, sei mesi per rientrare nelle dinamiche dell'alta ristorazione, è tutta improntata alla sperimentazione estrema che contraddistingue la produzione di pasticceria firmata Roca: “Lui è un genio, in brigata mi sono trovato benissimo. Ho cominciato preparando il pasto del personale, dopo due giorni ero già al pass. E ho lavorato al servizio come in produzione, sull'esecuzione dei dolci in carta come sulla lavorazione delle basi. Volevo assorbire più conoscenze possibili”.

Dolci su Tela. Collettivo artistico di pasticceria

Il ritorno in Italia, dopo un brevissimo passaggio da Andrea Berton, inaugura un altro capitolo del percorso. L'autunno scorso, sempre a Lecce, è nato il collettivo Dolci su Tela. Il cuore del sodalizio tra sei amici che si conoscono da sempre è proprio la pasticceria di Francesco. Ma i ragazzi hanno scelto di mettere in comune esperienze molto diverse, ognuno in arrivo da differenti contesti creativi: c'è lo scenografo, l'esperto di comunicazione, e pure l'ingegnere. Oltre, chiaramente, al pastry-chef. Del resto Francesco, anche per formazione, della pasticceria ama la caratteristica di essere una scienza esatta (“sono sempre stato preciso e sistematico”) che contempla però ampi margini di creatività, e un'affinità stretta con l'universo artistico. Per questo le prime uscite del gruppo si strutturano come eventi concepiti come performance, dove la pasticceria acquista centralità in fase espositiva – ispirata dalle opere di grandi maestri d'arte, da Kandinsky a Malevic – e poi diventa degna conclusione della serata quando si passa all'assaggio. Per ora Francesco ha lavorato sul Novecento astratto, e sul Futurismo, “l'idea è quella di regalare un happening artistico e gastronomico. Per esempio mi piace il mondo fantastico che i fratelli Adrià sono riusciti a creare a Ibiza”. Ma la mancanza di una cucina, Francesco non la sente mai? “Mi manca sicuramente la ristorazione, come le mie esperienze all'estero. Ma voglio sperimentare, mi piace anche lo sviluppo delle idee in laboratorio, e la cucina salata, con cui mi cimento spesso”. Insomma, c'è ancora molta voglia di non legarsi a una realtà stanziale. Anche se il prossimo obiettivo del collettivo è trovare uno spazio per sviluppare una linea di produzione di pasticceria: “Il desiderio che mi accomuna ai miei fratelli è quello di far crescere il livello enogastronomico del nostro territorio. Valorizzarne le potenzialità e invogliare la gente a scoprire altre prospettive, anche in pasticceria”. Senza rinnegare le origini, perché “la mia pasticceria si ispira al pasticciotto come alle sperimentazioni di Jordi Roca. Mi piace viaggiare con la mente”.

Nel frattempo, prestissimo comincerà una collaborazione con la Città del gusto di Lecce: “Terrò corsi di pasticceria e di cucina salata. Mi trovo bene a lavorare con loro”. E c'è anche l'idea di realizzare un sito di videoricette di pasticceria a pagamento, per amatori e professionisti. Ma ci sembrano decisamente più interessanti le potenzialità del laboratorio che verrà. Speriamo possa nascere presto.  

 

a cura di Livia Montagnoli

Tazze Pazze Caffetteria Gourmet: a Genova, un nuovo bar di qualità e ricerca

$
0
0

Un punto di riferimento per gli appassionati di caffè a Genova, che ora si prepara a raddoppiare: i ragazzi del bar Tazze Pazze del quartiere periferico di Rivarolo sono pronti per una nuova avventura nel centro storico della città. Con un'offerta ancora più ampia e un'attenzione alla qualità sempre maggiore.

Le origini

Progetti freschi, nuovi, intraprendenti, alle volte un po' azzardati. Il fermento gastronomico italiano non si ferma e coinvolge tutta la Penisola, abbracciando vari settori, dalla ristorazione alla caffetteria. È un mondo di vicende imprenditoriali spesso legate a contesti familiari che si evolvono nel tempo, come quella che vi raccontiamo oggi, di una madre che con i suoi figli decide di lanciarsi in un'avventura completamente nuova, punto di partenza di un percorso che porterà lontano, con spirito di sacrificio, costanza e dedizione. Tutto inizia nel 2009 quando Magalì Scavini, insieme alla sua famiglia, decide di rilevare una latteria in provincia di Genova, l'unica nel quartiere di Rivarolo nella bassa Val Polcevera, e di trasformarla in un bar di qualità.

 

Tazze Pazze

Comincia così l'avventura dei fratelli Andrea Cremone e Matteo Caruso, due giovani legati dalla passione comune per il caffè, che li ha portati negli anni a specializzarsi sempre di più, investendo tutto sulla loro formazione. E, oggi, su un nuovo progetto: un'evoluzione del primo bar, quell'ex latteria che da otto anni a questa parte si è trasformata in un punto di ritrovo per tutti gli amanti della tazzina a Genova, e che ha come protagonista assoluto il caffè. Quello selezionato da loro in collaborazione con William Cobeddu, responsabile del controllo qualità della torrefazione Bonani, proprietaria del marchio da loro ideato HQ Specialty Coffee, una linea di specialty coffee (chicchi di qualità selezionati scrupolosamente e trattati con cura) tostati dai due fratelli. Metodi di estrazione alternativi, espressi realizzati ad hoc, cappuccini d'autore e una buona offerta gastronomica: queste le caratteristiche di Tazze Pazze, il bar di famiglia, che ora si prepara a raddoppiare ed evolvere ancora.

 

Andrea Cremone e Matteo Caruso

Tazze Pazze Caffetteria Gourmet

Si chiamerà Tazze Pazze Caffetteria Gourmet e si trova in pieno centro storico, a piazza Cinque Lampadi, il locale di 20 metri quadri pronto ad aprire i battenti a partire da metà mese (l'apertura è prevista per il prossimo 13 marzo). Il progetto era già nell'aria da tempo, e si sta per concretizzare grazie al duro lavoro che i due fratelli hanno condiviso fin dal principio. Andrea, classe '94, è trainer Sca, fa parte del gruppo di formazione Umami Area ed è specializzato nel brewing (estrazione con metodo filtro); Matteo, ventinovenne, si è fatto le ossa con i corsi Aicaf (Accademia Italiana Maestri del Caffè). Ad affiancarli, il fratello Alessio Cremone e gli altri ragazzi del primo Tazze Pazze, Sharon Calascibetta, Raffaella Napolitano e Ilaria Veggi.

 

Bariste, Tazze Pazze

Vogliamo portare nel bar le nostre esperienze nei paesi di origini del caffè, le emozioni provate durante i viaggi in piantagione e il nostro interesse per tutta la filiera del caffè”, racconta Andrea. E, come ultimo anello di questa affascinante filiera, Matteo e Andrea si impegnano a diffondere fra i loro clienti la cultura del caffè di qualità.

La selezione di caffè

Attraverso una proposta ampia, a cominciare dall'espresso, disponibile sia nella loro miscela HQ Specialty Coffee (100% arabica composta da un Honduras, un Brasile, un Papa Nuova Guinea e un Costa Rica) che nella singola origine “che varierà ogni volta, a rotazione”. Per il caffè filtro invece, sono diverse le proposte: un Brasile, un Kenya, due Honduras “di una piccola piantagione che abbiamo acquistato tempo fa” e un Etiopia. Protagonista dei metodi di estrazione alternativi sarà il Phoenix70, “un sistema inventato di recente che funziona come un classico v60”, quindi un metodo pour over con il quale si ottiene un caffè dal corpo leggero e il gusto definito, “ma che ha un filtro molto più spesso che permette di trattenere meglio oli e grassi del caffè e che ha un'angolazione interna di 70° invece che 60°”. Ad affiancare il Poehnix70, l'aeropress, la french press e il syphon, senza dimenticare il cold brew. Per la macchina da espresso, hanno scelto la Black Eagle gravimetrica (con bilance incorporate) di Nuova Simonelli, ultima creatura dell'azienda marchigiana che consente di controllare al meglio le temperature e l'estrazione della bevanda. Infine, per il cappuccino, ci sono latte intero, parzialmente scremato o alta digeribilità “tutto proveniente da una fattoria della Valtrebbia, al confine con la Lombardia, che alleva mucche allo stato brado”, oppure latte di soia.

 

Tazze Pazze Caffetteria Gourmet

I dolci

Vogliamo proporci come caffetteria e quindi come un locale focalizzato sul caffè, che deve rimanere il prodotto di punta”, questa la premessa. Ma nel nuovo bar non mancheranno anche delle interessanti proposte dolci e salate. Si comincia con le brioches artigianali della pasticceria CremaCacao, a due passi da piazza San Cosimo, ma ci sono anche i dolci di stampo anglosassone di Valy's Bakery, “una pasticceria gestita da una ragazza giovane molto brava e attenta alla qualità degli ingredienti, che segue la nostra stessa filosofia di ricerca”. E poi pasticceria secca e cioccolato artigianale, quello di Romeo Viganotti per la precisione, “un laboratorio di Genova che realizza praline e tavolette d'autore, con attenzione particolare alle materie prime e con cui abbiamo anche intenzione di collaborare per serate di degustazione a tema”.

 

Romeo Viganotti

L'offerta gastronomica

Ma non solo dolce: “Avremo una lista di panini dalle diverse farce, con una proposta dedicata ai vegetariani”. Dal sandwich con pesto, stracciatella Dop, prosciutto cotto e olio extravergine di oliva a quello con mortadella bolognese Dop, edamer svizzero e pistacchi di Bronte sono diversi gli ingredienti selezionati dai fratelli, tutti conditi con extravergine di qualità. Attenzione alta infatti anche all'oro verde, grazie all'aiuto di Simona Cognoli, proprietaria di Oleonauta, oleoteca nel quartiere di Ostia Lido (Roma), che per il nuovo Tazze Pazze ha consigliato il Cavarossa, un monocultivar di itrana dell'azienda Cosmo di Russo di Gaeta. Il pane è invece quello del Panificio Patrone, un antico forno cittadino, mentre la focaccia è del panificio Claretta. “Oltre ai panini, avremo anche diversi piatti freddi come l'insalata greca o la panzanella”, e altre ricette incentrate sui prodotti del territorio, come Il Ligure, un'insalata di lattughino, olive taggiasche, basilico e acciughe.

E da bere...

Ad accompagnare l'offerta, birre artigianali di Maltus Faber una realtà di Genova con cui collaboriamo da tempo”, e poi diverse etichette di vino selezionate insieme all'amico sommelier de Il Canneto Vino e Cibo, “un'enoteca e wine bar della città molto buona dove andiamo spesso per mangiare e bere un buon bicchiere di vino”. E non può mancare infine una selezione di tè e infusi, tutti realizzati con la french press, “metodo di estrazione utilizzato solitamente per il caffè ma che dà dei risultati sorprendenti anche con il tè”. Presenti anche cioccolate calde, orzo, spremute d'arancia e succhi di frutta biologici.

La comunicazione, gli eventi e i progetti futuri

Ma proporre un buon caffè, che sia preparato con espresso o filtro, non basta: occorre promuovere e diffondere la cultura della bevanda attraverso un'azione di comunicazione mirata e precisa e degli eventi aperti al pubblico. “Organizzeremo delle serate di degustazioni guidate e laboratori con dimostrazioni di brewing e di caffetteria, ma anche altri eventi come Io Bevo Caffè di Qualità”, una manifestazione già rodata in diverse città della Penisola “in programma da noi il prossimo 22 aprile”. Non finisce qui, perché i due gestiscono una scuola a Fegino, una frazione di Genova, il Centro Formazione L'Arte dell'Espresso, pensata per chi volesse conoscere meglio il mondo del caffè.

La caffetteria deve ancora aprire i battenti ma i due fratelli hanno già in mente di sviluppare i loro progetti con un terzo locale “sempre a Genova, ma per ora è solo un'idea” e un possibile banco all'interno del Mercato Orientale di via XX Settembre, uno spazio attualmente sottoposto a un progetto di riqualifica e valorizzazione che dovrebbe trasformarsi, entro l'autunno 2017, in un gastromarket con banchi per la somministrazione dei cibi.

Tazze Pazze Caffetteria Gourmet | Genova | piazza Cinque Lampadi, 69 r | tel. 320 0774683 | www.facebook.com/TAZZEPAZZE

a cura di Michela Becchi

Flippy, il nuovo robot pensato per affiancare i cuochi in cucina

$
0
0

Continuano gli esperimenti nel campo della robotica e dell'intelligenza artificiale: dalla California, arriva Flippy, il nuovo androide in grado di cucinare e affiancare i cuochi nel loro lavoro.

Robot in cucina

Tutto ha inizio a Napoli con RoDyMan, il robot di tipologia AI (Intelligenza Artificiale) entrato lo scorso maggio 2016 in piena fase di sviluppo e pronto a passare da prototipo a robot finito e funzionante in pochi mesi. Un pizzaiolo 2.0 ideato da Prisma Lab, squadra di ricercatori dell'Università di Federico II di Napoli, una macchina in grado di registrare movimenti e tecniche di un pizzaiolo in carne e ossa e riprodurle grazie a una telecamera con sensori a raggi infrarossi. L'obiettivo? Sviluppare nella macchina la sensibilità tattile per contribuire ad altri importanti settori come quello medico. Ma quello dell'università di Napoli è solo uno dei tanti progetti in questo campo: sempre più tipologie di androidi infatti vengono messe a punto da diversi gruppi di ricerca, per capire come agevolare (?) il lavoro dell'uomo. E fra tutti, è il settore della ristorazione a essere più coinvolto.

Esperimenti dall'estero: il lavoro nel fast food

Uno degli ultimi esperimenti è partito in California, a Pasadena, in una catena di fast food che ha “assunto” Flippy, automa con braccio meccanizzato di topologia AI sviluppato da Miso Robotics insieme al gruppo Cali, proprietario della catena CaliBurger. Flippy cuoce la carne e la inserisce fra le fette di pane, realizzando hamburger da vero professionista: oltre a posizionare gli ingredienti sulla piastra infatti, il robot è in grado di monitorarne temperature e livello di cottura. Nel momento in cui la carne è quasi pronta, Flippy richiama l'attenzione di un cuoco in carne e ossa che può così preparare insalata, salse e altri condimenti per il panino. Ma non solo cotture: l'androide può essere utilizzato – come ha spiegato in una nota David Zito, ceo di Miso Robotics – anche per tagliare le verdure e impiattare. Fotocamere, sensori e un software di apprendimento automatico per localizzare gli ingredienti in cucina senza bisogno di continue configurazioni: queste le caratteristiche del suo funzionamento. Attualmente è ancora in fase sperimentale ma una volta pronto, Flippy arriverà in altri 50 locali della catena entro i prossimi due anni.

Dubbi e riflessioni a margine

Come sempre in questi casi, sono tanti i dubbi e le criticità emerse fra gli addetti ai lavori. Soprattutto quando si tratta di cucina, di lavori da sempre stati artigianali, frutto della manodopera e della creatività e sensibilità dell'uomo, lo scetticismo da parte del pubblico è inevitabile e anche comprensibile. Un tema tanto caldo e attuale, quello della robotizzazione del lavoro, che è stato recentemente approfondito in un e-book, Professione Robot(edizioni Informant), a cura del giornalista algherese Claudio Simbula. Nel testo, l'autore descrive 31 lavori che gli automi svolgeranno al posto dell'uomo nel prossimo futuro, descrivendo la realtà “del mondo che verrà, che vediamo nascere già oggi”. Ma gli obiettivi presentati dai gruppi di ricerca, non per ultimo Miso Robotics, sono ben lontani dalla sostituzione degli esseri umani: ottimizzazione del lavoro e standardizzazione della qualità dei prodotti sono gli scopi ultimi degli esperimenti. Una standardizzazione che non rinuncia però alla personalizzazione da parte degli artigiani in carne e ossa. Flippy si propone infatti come assistente cuoco (e non sostituto), un valido aiuto per affiancare gli chef nelle linee produttive, soprattutto durante gli orari di punta.

a cura di Michela Becchi

Viewing all 5335 articles
Browse latest View live