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Il nuovo caffè di Ralph Lauren a Londra. Quando la moda investe nella ristorazione

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Gli esempi celebri non mancano, da Bulgari a Prada, a Fendi e Armani. E pure la maison statunitense fondata da Ralph Lauren ha cominciato a investire nel cibo già nel 1999, con l'esordio di Chicago. Oggi conta due ristoranti e un bar all'ultimo grido a New York. A Londra l'ultima sfida, con il caffè di Mayfair. 

Il cibo che piace alla moda

Tra i confini nazionali, l'esempio magistrale è quello di Bulgari. Sulla ristorazione di qualità – esclusiva per prestigio degli spazi e ricercatezza della proposta gastronomica – la maison romana (oggi di proprietà LVMH) ha scommesso in tutto il mondo, in parallelo con l'ingresso nel settore dell'ospitalità (nel 2004 inaugurava il primo albergo della Bulgari Hotels & Resorts, a Milano). Altrettanto lanciate la romana Fendi, che oggi nella sede storica con vista su Trinità dei Monti ospita la prima filiale italiana di Zuma, e Prada, che a Milano ha prima dato prova di cosa possa produrre la sinergia tra food, moda e design (con il Bar Luce di Wes Anderson alla Fondazione Prada) e poi rilanciato la storica Pasticceria Marchesi, oggi presente anche in Galleria. D'altro canto l'accoppiata moda/cibo non manca di ripresentarsi nelle occasione più disparate, protagonista delle serate milanesi durante la Fashion Week o portata in passerella da stilisti che trovano l'ispirazione a tavola. Il motivo dell'interesse per la ristorazione di molti celebri brand della moda, però, è da ricercarsi principalmente nelle potenzialità economiche di un settore che esercita ricadute positive sul bilancio dell'azienda, di pari passo con la disponibilità di architetti, designer, creativi, chef ben felici di apporre la propria firma su format inediti al servizio di prestigiose firme della moda.

 

Ralph Lauren e la ristorazione. Da Chicago a Londra

Ralph Lauren, per esempio, ha esordito nella ristorazione già nel 1999, proprio accanto allo storico flagship store della maison di Chicago, dove l'RL Restaurant serve cibo americano semplice e schietto – Caesar salad, club sandwich, bistecche e costolette – in uno spazio progettato di tutto punto per simulare l'atmosfera di un club esclusivo (dress code – smart business casual – compreso). Negli ultimi quindici anni, però, la consuetudine con la ristorazione della casa di moda statunitense celebre proprio per la sua linea smart casual ha raggiunto nuovi traguardi, con il Polo Bar di New York prima (nel 2014) e l'eleganza del Ralph's di Parigi poi, per presidiare pure la capitale della moda internazionale. Ora è il momento di Londra, una nuova apertura europea in concomitanza con la settimana della moda nella capitale inglese, che qualche settimana fa ha tenuto a battesimo il Ralph's Coffee and Bar ricavato in un'area del flagship store Polo Ralph Lauren di Regent Street. E di nuovo la formula gastronomica non cambia: caffetteria informale, da colazione all'aperitivo (si chiude alle 20), circondati da boiserie e luci calde, poltroncine in pelle e tavolini da due – il tema è quello del circolo equestre, con tanto di tavolo da biliardo e stampe in stile alle pareti - per consumare una fetta di cheesecake o un club sandwich in velocità all'ora di pranzo, ma pure ostriche e champagne per l'aperitivo o un drink selezionato dalla carta dei cocktail, tra margaritas e old fashioned, da consumare anche al banco del bar. Il modello più immediato è quello del bar newyorkese sulla 55esima, e pure il menu non fa nulla per discostarsi dall'american style che è bandiera della maison, anche a tavola. Tra le novità che segnano l'esordio londinese, però, c'è la produzione di una miscela di caffè marchiata Ralph's.

 

Fendi Caffè a Roma. Un'occasione persa?

Insomma, il sodalizio tra il mondo dell'alta moda e l'universo gastronomico sembra procedere spedito nelle più grandi capitali internazionali. Peccato allora che a Roma l'ultimo progetto di Fendi, all'interno del Palazzo della Civiltà Italiana dell'Eur, sia riservato a dipendenti, clienti e ospiti della maison. E chiuso al pubblico. Alla fine del 2016, infatti, il Fendi Caffè ha inaugurato su progetto concertato di Controprogetto (per il bancone, lo Zinc Bar, e i tavoli in legno, resina e cemento), Azuma Makoto – per le cosiddette Flower Bottles colorate che animano lo spazio – e Piet Hein Eek, il designer olandese che ha progettato le luci. Caffè, bistrot e brasserie insieme, Fendi ha scelto di affidare la gestione dell'offerta gastronomica al catering Pedevilla, dimostrando in questo caso una certa prudenza (troppa?) nella messa a fuoco di una proposta accattivante. Un'occasione persa?

 

Ralph's Bar and Coffee | Londra | Regent Street, 173 | www.ralphlauren.co.uk/category/index.jsp?categoryId=92479331


Castelluccio di Norcia. Il Villaggio per le Attività Produttive ed Economiche e il crowdfunding

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Mipaaf, Regione Umbria e Perugina insieme per la Rinascita di Castelluccio di Norcia, con un nuovo villaggio e una piattaforma online di crowdfunding. Nel frattempo apre il bar di paese a Torrita di Amatrice.

A sei mesi dal terremoto che ha devastato il Centro Italia sono molte le iniziative che stanno dando una risposta costruttiva, e non semplicemente emotiva, ai danni materiali. Una di queste è il progetto lanciato dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, Regione Umbria e Perugina: #RinascitaCastelluccio.

Lenticchia di Castelluccio di NorciaLenticchia di Castelluccio di Norcia

Castelluccio di Norcia

Già danneggiato dalla scossa del 24 agosto 2016, il borgo di Castelluccio di Norcia è stato praticamente raso al suolo dopo il terremoto del 30 ottobre. Un sisma di magnitudo 6.5 che ha ferito il territorio, la popolazione, il patrimonio artistico, ma anche agricolo, gastronomico, alimentare. Già perché Castelluccio è famoso sia per la sua lenticchia - piccola e dalla caratteristica colorazione che va dal grigio al beige, al marroncino, al rosato, al verdino, all’ocra, chiamata dagli abitanti Lénta - sia per la fioritura che tra fine maggio e la metà di luglio colora il Pian Grande e il Pian Perduto, in un tripudio di genzianelle, narcisi, violette, papaveri, ranuncoli, asfodeli, viole, trifogli, acetoselle. Uno spettacolo della natura che da sempre richiama in questo piccolo borgo, di poco più di cento anime, moltissimi turisti. Tant'è che il turismo durante la fioritura è la principale fonte d’indotto economico per il Paese.

 La fiorituraLa fioritura

Villaggio per le Attività Produttive ed Economiche

Eppure Castelluccio di Norcia rischia, nell'anno corrente, di vedere completamente azzerato il turismo. E di assistere al crollo della produzione della famosa lenticchia, a causa della difficoltà di raggiungere i campi per la nuova semina. Di fatto, la morte di una piccola comunità economica e di una meraviglia italiana. Così la Regione Umbria e il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali hanno proposto la creazione di un Villaggio per le Attività Produttive ed Economiche, per il quale Perugina si impegna a dare tutto il proprio supporto e la massima visibilità attraverso una campagna di comunicazione. Il villaggio, firmato dall’architetto Francesco Cellini, permetterà ai piccoli produttori e commercianti locali di continuare la propria attività grazie a capannoni e magazzini per lo stoccaggio e la vendita. Come conferma Catiuscia Marini, Presidente della Regione Umbria:“Il villaggio permetterà alle imprese agricole, zootecniche, commerciali e turistiche di mantenere vive le attività che costituiscono la base dell'economia e del tessuto sociale del nostro Paese. È importante per tutti gli abitanti che i prodotti del territorio riprendano al più presto il loro ciclo di vita, che possa trovare un luogo e un contesto di continuità. Perché siamo convinti del fatto che la ripresa produttiva sia simbolo e motore della rinascita di tutta la comunità, a livello economico ma anche sociale, culturale e psicologico”.

Il progetto #RinascitaCastelluccio

Il nome della campagna è #RinascitaCastelluccio e il metodo scelto per raccogliere i fondi è quello del crowdfunding, grazie al quale ognuno ha la possibilità di contribuire con una donazione attraverso la piattaforma online www.rinascitacastelluccio.it, dove il progetto è raccontato passo dopo passo e dove tutti possono seguire anche da lontano la rinascita del borgo. A oggi si è arrivati a quasi 120mila €. Oltre alla costruzione del villaggio, i soldi raccolti sono destinati anche alla ricostruzione, sia del Paese, sia delle strade che lo collegano alle zone limitrofe, fondamentali per far arrivare i mezzi agricoli tuttora bloccati a Norcia. “Ripartiamo dal territorio, dall'agricoltura, non solo dando risposte concrete all'emergenza, ma guardando avanti”. Afferma il Ministro Maurizio Martina, che aggiunge: “Castelluccio di Norcia, insieme agli altri paesi del centro Italia colpiti dal terremoto, rappresenta la spina dorsale di una economia basata principalmente su produzioni agroalimentari di qualità. Una identità che dobbiamo mantenere e valorizzare”.

Ricostruito il Bar Barcollo a Torrita di Amatrice

Nel frattempo, a pochi chilometri da Norcia, un altro Paese si sta pian piano rialzando. È la frazione Torrita di Amatrice che comincia dal “bar di paese”, simbolo di aggregazione per eccellenza. Parliamo del bar ristorante Barcollo, che dopo essere stato completamente raso al suolo, ha riaperto ieri 26 febbraio proprio accanto alle macerie del vecchio locale ma con il bancone, quello originale, recuperato in mezzo alle macerie. L'impresa è stata resa possibile grazie al contributo di Fipe e Confcommercio Rieti, i quali hanno collaborato per dare supporto e finanziamenti agli imprenditori della ristorazione che hanno visto le loro attività seriamente danneggiate o, come in questo caso, completamente distrutte. Lo sottolinea il gestore Alessio Di Fabio: “Nonostante le grandi difficoltà, un grande sostegno mi è stato fornito da Fipe e Confcommercio Rieti che, oltre a finanziare la ricostruzione della nuova struttura in legno, mi hanno affiancato nel disbrigo delle tante, tantissime pratiche burocratiche. Ringrazio anche i vigili del fuoco e gli amici, che mi hanno aiutato a rendere possibile tutto questo. Un supporto prezioso che purtroppo non ho ancora ricevuto a livello istituzionale”.

 

#RinascitaCastelluccio | Per donare: www.perugina.com/it/rinascita-castelluccio

Bar Barcollo | Amatrice (RI) | Loc. Torrita

 

a cura di Annalisa Zordan

Mondo Vegano. Così cambia il comportamento di spesa degli italiani

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Per la prima volta i prodotti vegani entrano nel paniere Istat, mentre nasce l'Osservatorio per avere un monitoraggio costante del settore. E la viticoltura? Seppure rimanga una nicchia, le certificazioni sono in aumento e spesso connesse a quelle biologiche.

Semplice moda o ricerca di benessere, questione di allarmismi in salsa enogastronomica o questione di etica, contagio mediatico o reale sensibilità per il cruelty free: i motivi non contano. La notizia è che per la prima volta l'Istat ha inserito i prodotti vegan nel paniere per il calcolo dell'inflazione, riconoscendo, così, i cambiamenti intervenuti nei comportamenti di spesa degli italiani. Il fatto (numerico), invece, è che nell'ultimo anno i vegani sono triplicati per un totale di 1,8 milioni di persone e che quasi un italiano su dieci, per una percentuale del 7,6%, ha seguito una dieta vegetariana o vegana. Quanto basta per non considerarlo solo più un fenomeno circoscritto. E per spingere ad attivare l'Osservatorio Vegan Ok, sotto il coordinamento scientifico di Paola Cane, per stilare per la prima volta un rapporto annuale che, da ora in poi, sarà un cannocchiale puntato sull'altra faccia del mondo enogastronomico. “Ricordiamo” spiega la coordinatrice “che non stiamo parlando di persone disinteressate al cibo, ma al contrario di consumatori molto attenti e sempre alla ricerca di varianti da adottare e sperimentare”.

 

La popolazione vegana e i motivi della scelta

Partiamo dai dati complessivi. Secondo le informazioni raccolte dall'Osservatorio Vegan Ok, la popolazione adulta che si dichiara vegana è pari al 2,6%, con un incremento del 2,1% rispetto all’anno precedente. Si tratta di dati allineati alla ricerca Eurisko pubblicata a gennaio 2017, secondo la quale la popolazione vegana italiana totale sfiora il 3%, con un incremento pari al 2% rispetto al dato dell’anno precedente. Il tasso di crescita sarebbe secondo soltanto all’aumento della popolazione vegana nei Paesi anglosassoni. In particolare, alla rilevazione dell'Osservatorio hanno partecipato circa 15 mila soggetti adulti residenti in Italia che si dichiarano vegani, di età compresa tra i 18 e i 65 anni. Mediamente, gli intervistati dichiarano di aver abbracciato la scelta vegan da almeno sette anni, il che fa pensare a una scelta matura e soprattutto destinata a protrarsi nel tempo.

Secondo i dati raccolti, i primi 10 mesi del 2016 hanno visto un decremento rispettivamente del 5,8% per le carni rosse, del 5,3% per i salumi e del 3,2% sui prodotti caseari. Sono numeri significativi se si pensa che a questi cali corrispondo interessanti aumenti di prodotti vegan: latti vegetali (+19%), zuppe (+37%), piatti pronti, condimenti, salse e sostituti dei secondi piatti (+27,1%).
Alla base della scelta vegana, il 73% della popolazione consultata dichiara di aver abbracciato il veganesimo per “amore e rispetto per la vita”, il 18% per motivi legati alla “salute”, il 6% per motivi “ecologici”, il restante 3% per “motivi etici generali”.

 

La distribuzione geografica e anagrafica

La distribuzione per sesso della popolazione vegana mostra un 59% di donne ed un 41% uomini. Tuttavia, nella fascia d'età 46-55 avviene il sorpasso numerico della popolazione maschile. Il bacino è, poi, composto per il 19% da professionisti in posizione dirigenziale e per il 36% da laureati. A livello geografico, non c'è più una concentrazione nelle aree geografiche "storiche" - quelle, cioè, attigue alle grandi aree metropolitane di Milano, Roma, Bologna e Firenze - ma inizia a diffondersi sempre di più anche in regioni del Sud Italia. Infine, uno sguardo al carrello delle spesa. Fra i prodotti preferiti spiccano i secondi sostitutivi della carne, le bevande a base di soia, riso e altri legumi e cereali, e i piatti pronti (soprattutto zuppe).

 

Quanto vale il vino vegano?

Se ci si sposta sul fronte vino, i numeri si fanno più incerti. Si parla di un settore molto di nicchia, la cui lettura è resa ancora più complicata dall'impossibilità di tracciare le vendite dirette in cantina e nelle enoteche. Inoltre, difficilmente le aziende vitivinicole producono esclusivamente vino vegano, ma affiancano questa produzione alle altre.

Comunque secondo l'Osservatorio Vegan Ok il mercato di vino vegano (considerate le diverse certificazioni), può essere stimato in un giro d'affari che si attesta intorno ai 6 milioni di euro. Mentre le aziende che nell'ultimo anno hanno richiesto in maniera specifica la certificazione Vegan Ok sono aumentate del 35% e a oggi sono 37, a cui vanno aggiunte quelle in attesa di certificazione o quelle che ancora non commercializzano il prodotto.

Possibile anche tracciare una mappa regionale delle certificazioni rilasciate dall'Ente: in testa Toscana con il 28% delle certificazioni, a seguire Abruzzo (20%) e Piemonte (17%). C'è, poi, anche una discreta presenza tra i vini a denominazione: quelli certificati Vegan Ok sono per il 54% Igt, per il 17% Doc/Dop e per l'1%Docg.

 

Veg&bio

Interessante notare che l'adesione a questo standard va spesso di pari passo con le certificazioni biologiche o biodinamiche” spiega la direttrice dell'Osservatorio Paola Cane tant'è che il 45% fa riferimento ai cosiddetti vini naturali. Lo standard più diffuso è certamente quello biologico con circa il 26% delle etichette con doppia certificazione. A dimostrazione di come una delle componenti principali sia l'adesione a una dieta salutista e rispettosa dell'ambiente, oltre che la volontà di allontanarsi da un vino considerato quasi tecnologico”.

L'interconnessione tra biologico e vino vegano, è confermata anche dall'Osservatorio Nomisma-Wine Monitor che, nel 2016, aveva inserito il vino vegano tra i nuovi trend dell'anno, sottolineando come il 13% delle imprese che aveva esportato vini bio avesse esportato anche vini vegani, l’8% senza solfiti aggiunti e il 6% biodinamici. Dal lato consumatore, la ricerca evidenzia anche l'interesse dei giovanissimi, con l'’8,7 % dei millennials, molto attratta da questa categoria di prodotto.

 

Vino vegano, la definizione che non c'è. Standard a confronto

Al momento non esiste una definizione univoca di vino vegano” ci spiega Paola Cane dell'Osservatorio “anche perché non esiste una normativa in merito. Per cui la dichiarazione vegan fa parte delle informazioni volontarie fornite il produttore in etichetta ex reg. 1169 Ue. Di conseguenza ogni standard di certificazione adotta una propria definizione”. Il disciplinare di certificazione Veganok, ad esempio, considera sia la parte di lavoro in vigna e cantina, sia l'intera filosofia aziendale. Ad esempio, un'azienda che produce vino vegano, ma che ne proponga l'abbinamento con carne o pesce, non potrebbe ricevere la certificazione. Gli elementi che prende in considerazione sono, quindi:

Ingredienti/Materiali: “Non è consentito l’uso di prodotti di origine animale per la chiarificazione e stabilizzazione del prodotto come ad esempio albumina, caseina, colla di pesce, gelatine animali, ecc.

Etichettatura: “Non è consentito l’uso di colle, inchiostri, lubrificanti di origine animale o qualsiasi altro materiale di origine animale per l’etichettatura e il confezionamento del prodotto”.

 

C'è, poi, la certificazione vegana rilasciata la gruppo Csqa-Valoritalia, in sinergia con l'Associazione Vegetariana Italiana (Avi) e col marchio e Qualità Vegetariana® Vegana (esiste anche quello Qualità Vegetariana®) di proprietà della presidente dell'Avi, Carmen Nicchi Somaschi. Per quanto riguarda il vino nel 2017 si è arrivati alle 18 certificazione, per tutti gli altri prodotti a quota 33. “Il nostro” spiega la responsabile Ricerca e Sviluppo e Business Development Maria Grazie Ferrareserientra nei casi di un ente terzo che certifica per conto di un'associazione. Si tratta, in assenza di regolamento, di una certificazione volontaria dell'azienda che predispone un proprio disciplinare aziendale. Una volta che Csqa-Valoritalia lo riterrà conforme, saranno effettuate delle verifiche ispettive in cantina e verrà rilascia il marchio”. In questo standard rientrano le fasi di trasformazione dell'uva e di imbottigliamento. Non è, invece, compresa, quella di coltivazione. A livello europeo, ai due marchi - marchio Qualità Vegetariana® e Qualità Vegetariana® Vegana – si affianca il marchio chiamato V-Label che contraddistingue i prodotti vegetariani e vegani mediante un sistema a metà fra l'autocertificazione e la certificazione vera e propria. Per intenderci, V- Label è il marchio scelto anche dall'Algida per il lancio, annunciato pochi giorni fa, del suo cornetto più famoso versione veg.

Altra realtà tra le più conosciute e diffuse nel mondo è Vegan Society. Nata in Gran Bretagna nel 1944, fu questa a dare diffusione per la prima volta, al termine vegetarian. Il simbolo che utilizza è il girasole verde. In Italia, dopo un accordo stipulato nel 2013, la certificazione è rilasciata da Certification Europe Italia. Al momento sono 16 i marchi così certificati, tra questi cinque sono aziende di vino.

 

Alle società sopracitate, si aggiungono gli enti di controllo terzi, specializzati nelle certificazioni di qualità, o enti di controllo biologici, che hanno oggi a catalogo anche servizi di certificazione vegana. Con numeri destinati a crescere sempre più.

 

Anche la birra artigianale nel paniere Istat

Non solo prodotti vegani. Nel paniere Istat finisce per la prima volta anche la birra artigianale. In totale sono 12 le novità che l’istituto di statistica ha introdotto per monitorare l’andamento dei prezzi al consumo di prodotti e servizi più diffusi tra gli italiani: accanto ai preparati veg, e alla craft beer, i preparati di carne da cuocere, i centrifugati di frutta e verdura al bar, gli smartwatch, i dispositivi da polso per attività sportive, le soundbar, l’action camera (escono invece le telecamere tradizionali), le cartucce a getto d’inchiostro, le asciugatrici, le centrifughe e i servizi assicurativi connessi all’abitazione.

 

a cura di Loredana Sottile

 

 

Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri del 23 febbraio

 

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Lo spot del McDonald’s prende in giro la tendenza degli specialty coffee. E fa bene a tutti

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Irriverente e divertente, lo spot di McDonald's si propone di promuovere l'angolo bar del fast food, il McCafè, prendendo in giro la nuova ondata degli specialty coffee, caffè altamente selezionati ed estratti in diversi modi da baristi preparati e attenti. E con simpatia e un pizzico di ironia, ci offre ancora l'occasione di focalizzarci su questa tendenza in cui crediamo fermamente.

Lo spot

Un barista intento nella preparazione del caffè filtro con metodo v60, un cliente che scatta una foto al cappuccino decorato secondo i dettami della Latte Art, immancabili arredi in legno semplici ed essenziali, stile minimal, lavagna a muro dove sono descritti i tanti tipi di caffè disponibili: sono i luoghi comuni delle caffetterie definite (erroneamente) hipster, bar di ricerca in cui l'oro nero è protagonista assoluto e viene declinato in tutte le sue sfumature, dall'espresso al filtro. Sono locali comuni nel Nord Europa, molto diffusi in America e Australia e in pieno fermento nei Paesi orientali, Corea del Sud in primis. E che da qualche anno a questa parte stanno (siamo stati i primi a documentarlo) iniziando a mettere radici anche nella nostra Penisola, dove per troppo tempo si è rimasti ancorati a un modello di bar superato, banale e non più al passo con i tempi. A ironizzare sulla nuova tendenza è McDonald's in uno spot del McCafè, angolo bar della multinazionale statunitense che offre espresso e caffè filtro da consumare in loco o a portar via, a prezzi contenuti come tutte le proposte del fast food e ben lontani dai caffè selezionati dai baristi che trattano gli specialty coffee, chicchi di qualità tostati e trattati con cura dalla raccolta all'estrazione finale.



Uno spot irriverente, ma anche divertente che prende bonariamente in giro le caffetterie più di ricerca sottolineandone gli eccessi e le manie. E le immagini che scorrono sono quelle sopraelencate: la foto al cappuccino, il v60, i tempi d'attesa più lunghi e i prezzi sensibilmente più alti. Scene volutamente esagerate che hanno come protagonisti consumatori sbalorditi, smarriti dall'ampia scelta, e baristi in perfetto stile hipster, con la barba lunga e il gilet. Caricature studiate su misura che consentono alla multinazionale di diffondere il suo messaggio in maniera chiara e semplice, diretta e divertente: da McCafè si ordina e consuma velocemente, semplicemente, senza inutili fronzoli. Proprio come vuole la filosofia del fast food. Nell'ultima scena si vede infatti un cliente da McDonald's ordinare, semplicemente, “un caffè”, un caffè e basta, senza dover scegliere fra miscele e monorigini, metodi di estrazioni e altro.

Quando la beffa diventa pubblicità

McDonald's prende in giro un intero movimento (tra l’altro molto orgoglioso di se stesso) che si sta diffondendo a macchia d'olio in Europa e non solo, ma lo fa in maniera arguta e mai volgare, senza offendere o sminuire il lavoro dei baristi. Anzi dando al movimento stesso un ruolo e un posizionamento, seppur distante ovviamente dall’offerta dei McCafè. E a noi offre ancora una volta la possibilità di parlare invece seriamente e con attenzione di questa tendenza, che ci auguriamo possa quanto prima evolversi e diventare un format a tutti gli effetti ben consolidato e diffuso in tutta Italia. Pur descrivendolo in maniera sarcastica, il video mostra al pubblico l'universo del caffè di qualità dove non esiste un'unica bevanda ma una serie ampia e articolata di modi di degustare il caffè, e dove la preparazione di un espresso non è solo un gesto meccanico, ripetuto più volte durante la giornata, ma un'arte da trattare con cura. Il pubblico coglie la beffa, ma al contempo conosce anche un approccio diverso al caffè, ancora poco noto a molti. Ecco perché nell’universo del caffè di ricerca lo spot sta girando e, all’insegna dell’autoironia, anche piacendo.

Le caffetterie specialty (quelle vere)

Un universo che non è fatto solo di foto ai cappuccini e lavagne a muro, ma anche – e soprattutto – di tanto studio da parte dei baristi, di un investimento significativo nel campo della formazione e di una passione smodata per il caffè e tutto ciò che ruota attorno alla bevanda. Perché oggi ordinare “un caffè” non ha più senso, perché il caffè è la materia prima, la pianta con i suoi frutti e semi, e non la bevanda, e perché caffè non è sinonimo di espresso. E perché l'espresso è un metodo di estrazione, così come il v60, l'aeropress, il syphon, il cold brew e tanti altri sistemi che danno vita al caffè filtro, bevanda dal corpo e profilo aromatico completamente diverso a quello a cui siamo abituati, ma altrettanto affascinante. E sempre più baristi italiani ormai stanno iniziando a capirlo: aumentano i locali dall'offerta ampia che comprende più estrazioni e tipi di caffè, dalle singole origini ai blend, lavorati con gradi e tempi di tostatura differenti, e cresce anche il numero di scuole di formazione per aspiranti baristi e torrefattori. Perché essere italiani non basta per realizzare un buon espresso. Occorrono studio, dedizione, sacrificio. E perché ordinare la bevanda al fast food è più immediato e in qualche circostanza può essere anche necessario, ma a quale piacere stiamo rinunciando? Per scoprirlo, basta recarsi da un barista bravo, uno di quelli a cui il nuovo spot di McDonald's ha appena regalato un minuto di pubblicità.

a cura di Michela Becchi

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Viaggio nelle torrefazioni italiane di ricerca

Renato Bosco a Verona. Stand Up e Downtown per triplicare l'esperienza Saporè

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Forte dei successi in provincia, tra i nomi più ambiti del panorama della pizza nazionale, il pizzaiolo veronese è pronto per la città. Si comincia tra un paio di settimane con l'asporto di Saporè Stand Up: crunch, doppio crunch e la rivoluzione del panino. Poi, in due mesi, la grande sorpresa: Saporè Downtown, con 70 posti a sedere e pizza a degustazione. 

Renato Bosco arriva in città

Il Pizza Ricercatore di San Martino Buon Albergo, alle porte di Verona, non ha bisogno di troppe presentazioni. Professionista appassionato e competente, capace di diversificare la ricerca su impasti e lievitazioni restituendo grandi risultati per gusto e digeribilità della proposta, Renato Bosco detiene meritatamente Tre Spicchi - per la sua pizza a degustazione, nelle varianti tonda, aria di pane, mozzarella di pane – e Tre Rotelle – per le specialità in teglia crunch e doppio crunch – sulla guida Pizzerie d'Italia del Gambero Rosso. Due (e più) anime in una, al tavolo per pranzo e cena o da asporto, Saporè è una tappa imprescindibile per gli amanti della pizza, che numerosi si spingono nell'hinterland veronese per un'esperienza che difficilmente delude. Quel che è mancato finora al pizzaiolo veneto, invece, “è il confronto con la città”. Una sfida ambiziosa persino per un maestro riconosciuto in tutta Italia e sui palcoscenici internazionali, che ora è pronto a cimentarsi con numeri diversi: non più (non solo) gli avventori di San Martino – che pure gremiscono il locale di provincia ogni giorno della settimana – ma il bagno di folla di piazza delle Erbe, “un locale centralissimo, in via della Costa”, che catturerà pure l'attenzione di molti turisti a passeggio per la città.

Pizza Saporè Stand Up. Pizza d'asporto e panini

Pizza Saporè Stand Up aprirà tra un paio di settimane, proponendo una formula take away che segna l'esordio a Verona della pizza in teglia crunch e doppio crunch. E non solo: “Voglio lavorare ancora sulle lievitazioni e sulla panificazione, proporre un nuovo punto di ricerca del panino di qualità”. Che si traduce in una proposta diversa ogni giorno (“di mercato, siamo in piazza delle Erbe, giochiamo sulla freschezza degli ingredienti”) di ciabatte farcite e soffiati, “quelle che a Verona chiamiamo rosette”. Tutto realizzato nel piccolo laboratorio d'appoggio del nuovo punto vendita, in attesa di nuove sorprese, che tra qualche riga approfondiremo. “Negli anni Ottanta spopolava la paninoteca di dubbia qualità, con farciture improbabili. Io voglio valorizzare il prodotto pane, ben lievitato, realizzato da un professionista attento alle ricerca e al benessere del cliente”. Quindi spazio alla creatività pure nelle farciture, “che racconteremo al pubblico ogni giorno”, dalle puntarelle con prosciutto crudo alla salsa di yogurt e curry che sostituisce la maionese. Al ketchup fatto in casa. E poi la pizza, immancabile: “Lì gioco la mia partita”. E chi almeno una volta ha provato la pizza di Renato sa che questa è una bella garanzia. Si apre dalle 10 alle 22, il locale è piccolo e destinato principalmente all'asporto – da qui l'idea dello “stand up” - giusto un paio di tavolini d'appoggio. E in vendita tutto il repertorio della casa, dal panettone alla colomba, ai lievitati dolci già protagonisti da Saporè.

Saporè Downtown. Pizza a degustazione nel centro di Verona

La vera sorpresa, però, arriverà nel giro di un paio di mesi, quando non molto distante aprirà Saporè Downtown, “ancora una volta in centro città, dove abbiamo rilevato i locali di un discobar per realizzare la perfetta copia di Saporè”. Ma più grande: 70 coperti (a San Martino c'è spazio per una quarantina di commensali) e un grande laboratorio che diventerà riferimento per la produzione cittadina. Si apre a pranzo a cena con la formula a degustazione e tutte le proposte in carta Saporè. I lavori sono già cominciati, l'attività entrerà nel vivo con l'estate, Renato curerà personalmente la start up, per i primi due o tre mesi. Ma il valore aggiunto è la squadra: “Senza presunzione mi piacerebbe parlare di formula Ducasse: io preparo i ragazzi, gli fornisco tutte le informazioni e il know how di cui hanno bisogno, le ricette, perché poi possano crescere autonomamente all'interno delle nostre pizzerie. Così scongiuriamo il rischio del franchising, ma riusciamo a ingrandirci, instaurando un vincolo di fiducia”. Con tanto di quota di partecipazione agli utili, “perché credo molto nel gruppo per raggiungere risultati che il talento del singolo non può ottenere”.

La squadra per crescere. A Milano e Londra

E a pieno regime, quando l'esperienza Saporè si sdoppierà in tre, Renato conta di poter disporre di un gruppo di 50-60 persone, giovani motivati soprattutto. Intanto si lavora anche sul fronte della ricerca: “Sto studiando cotture nuove, mi intriga soprattutto quella al vapore. E poi continuo a collaborare con professionisti dei grani, con l'obiettivo di servire una pizza sempre più leggera, light ma gustosa. Con ottimi prodotti”. I prossimi mesi, insomma, saranno cruciali: “Voglio verificare con mano la città, testare la nostra capacità di gestire più punti vendita a distanza”. In vista di una crescita concreta: “Non lo nego, ho in mente Milano e Londra. Ma con una certa prudenza, Stand Up e Downtown saranno un importante banco di prova”. Poi si vedrà.

 

Saporè | San Martino Buon Albergo (VR) | via Ponte, 55a | www.saporeverona.it

Saporè Pizza Stand Up | Verona | via della Costa | alla metà di marzo

Saporè Downtown | Verona | via Amanti, 6/8 | da maggio 2017

 

a cura di Livia Montagnoli

Conoscere e capire il miele: glossario essenziale

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Prima di iniziare un'indagine alla scoperta dei migliori produttori italiani di miele (il tutto partirà nei prossimi giorni e durerà qualche mese), siamo andati alla ricerca di tutti i termini tecnici da conoscere per affrontare l'argomento. Ecco quali sono le parole da imparare.

Sono tanti i termini appartenenti al mondo del miele, dalle api con le loro gerarchie, ai prodotti alle fasi di lavorazione. Prima di iniziare un viaggio nelle migliori aziende apistiche italiane, è bene introdurre qualche parola chiave. Per questo abbiamo voluto riunirle tutte qui, in un glossario essenziale per i neofiti che vogliano approcciare questo settore in modo non superficiale.

Affumicatore: strumento che consente all'apicoltore di tranquillizzare le api e, di conseguenza, avvicinarsi senza pericolo agli insetti

Alveare: luogo dove vivono le api e che comprende l'arnia e le api stesse

Ape: nome scientifico Apis Mellifera, insetto della famiglia Apidae

Ape operaia: femmina di ape resa sterile dai ferormoni (sostanze biochimiche prodotte da ghiandole esocrine) inibitori della regina del suo alveare

Ape regina: individuo adulto, fertile, femminile della colonia d'api. Normalmente è la madre di tutte le api presenti nell'alveare

Apiario: luogo dove vengono collocate le arnie

Apicoltura: allevamento delle api allo scopo di utilizzare i prodotti dell'alveare come miele e pappa reale

Apicoltore: allevatore di api impegnato nella produzione di miele

Arnia: cassetta di legno dove vivono le api

Bottinatura: fase di raccolta di polline e nettare da parte delle api

Cera d'api: prodotto secreto dalle api operaie attraverso le ghiandole dell'addome. Viene utilizzata per costruire le celle

Cristallizzazione: trasformazione naturale del miele dallo stato liquido a quello solido dovuta alla formazione di cristalli di zucchero. Il miele cristallizzato ha una consistenza piuttosto pastosa.

Decantazione: periodo di riposo del miele che permette l'eliminazione di eventuali sostanze impure presenti nel miele

Disopercolatura: prima fase di lavorazione del miele che consiste nell'eliminazione dello strato di cera che chiude le cellette

Favo: raggruppamento di celle esagonali di cera costruite dalle api, contenente polline e miele per il sostentamento delle larve, o pappa reale per il sostentamento dell'ape regina

Foglio cereo: sottile foglio di cera con impronte esagonali su cui le api costruiscono il favo

Fuco: maschio dell'ape che nasce da uova non fecondate di ape regina

Idromele: bevanda alcolica di antiche origini prodotta dalla fermentazione di acqua e miele

Melario: cassetta contenente i favi e posta all'interno dell'arnia

Melata: sostanza prodotta dal metabolismo di afidi e altri piccoli insetti che si nutrono della linfa di alcune piante da cui le api, in mancanza di nettare, producono il miele

Miele: prodotto dalle api a partire da sostanze zuccherine che raccolgono in natura: nettare prodotto dalle piante da fiori melliferi e melata. Una volta tornata in alveare l'ape bottinatrice rigurgita il nettare raccolto nell'ingluvie (o borsa melaria), a questo punto divenuto molto liquido. Le api operaie operano una sorta di digestione del nettare per circa 30 minuti; grazie ai loro enzimi, gli zuccheri complessi presenti sono scissi in zuccheri semplici. Per evitarne la fermentazione, il miele a questo punto deve essere disidratato; a questo scopo viene deposto in strati sottili sulla parete delle celle, le api ventilatrici producono una corrente d'aria costante che permette all'acqua di evaporare. Questo processo dura per circa 36 giorni, dopo i quali il miele viene posto in altre cellette che, solo quando completamente piene, verranno chiuse (opercolate).

Nettare: liquido zuccherino prodotto dai fiori per attirare gli insetti impollinatori

Poliflora: miele ricavato da diverse origini botaniche

Pappa reale: prodotto secreto dalle api operaie nutrici (di età compresa fra il 5° e il 14° giorno di vita) attraverso ghiandole poste sul loro capo. Sostanza di colore giallo chiaro utilizzato come alimento per le giovani larve e l'ape regina

Polline: polvere di colore giallastro presente nelle piante che si riproducono attraverso un seme. Le api raccolgono il polline, lo portano nell'alveare e lo utilizzano per l'alimentazione delle larve

Propoli: sostanza resinosa delle gemme e della corteccia delle piante che viene raccolta dalle api. Dopo la raccolta, le api elaborano la propoli con l'aggiunta di cera, polline ed enzimi prodotti dal loro stesso organismo

Sciame: gruppo di api in transito da un vecchio alveare a una nuova colonia

Smielatura: estrazione del miele dai favi per centrifugazione

Stoccaggio: conservazione del miele in magazzino. Per mantenere tutte le sue proprietà organolettiche e aromatiche, il miele ha bisogno di essere conservato al riparo da fonti di luce e calore.

Telaino: cornice in legno che ha al centro un foglio di cera prestampato a celle esagonali (foglio cereo) sul quale le api costruiscono il favo

Unifloreale: miele proveniente da un'unica origine botanica

a cura di Michela Becchi

Ikra Festival a Sochi e Valencia Culinary Meeting. Chef a convegno dalla Russia alla Spagna

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A Milano sta per aprirsi Identità Golose, congresso rodato e di fama internazionale. Intanto in Russia esordisce, con Massimo Bottura, il festival che valorizza la cucina contemporanea nazionale. E a Valencia va in scena il primo meeting tra chef locali e colleghi illustri, insieme per valorizzare il territorio. 

Ikra Festival a Sochi

Tempo di congressi gastronomici, per l'Italia e non solo. Mentre si attende l'apertura della dodicesima edizione di Identità Golose, al Mi.Co. di Milano dal 4 al 6 marzo, fuori dai confini nazionali esordiscono nuove manifestazioni per addetti ai lavori che confermano il desiderio di confronto che accomuna molti grandi chef internazionali. E la voglia di restare aggiornati sulle ultime tendenze e gli esiti delle ricerche dei colleghi, per quanto stimati e all'apice del successo si possa essere tra le mura di casa propria. Ci sarà anche Massimo Bottura a Sochi, in Russia, per la prima edizione di Ikra, il festival organizzato tra gli altri dalla White Rabbit Family (10 ristoranti tra Mosca e Sochi, tra cui la punta di diamante guidata da Vladimir Mukhin). L'appuntamento, dal 1 al 5 marzo, andrà in scena presso lo ski resort Rosa Khutor, nota località sciistica russa, con l'obiettivo di promuovere la cucina contemporanea nazionale, aprendosi agli stimoli di chef in arrivo da tutto il mondo. Oltre allo chef della Francescana, la compagine italiana annovera Norbert Niederkofler e Giancarlo Morelli; con loro anche Rodolfo Guzman dal Cile, Ana Ros dalla Slovenia – recentemente eletta Best Female Chef 2017 – Jorge Vallejo dal Messico, Tim Butler dalla Thailandia. E poi i rappresentanti della ristorazione russa più giovane e talentuosa, Vladimir Mukhin in prima linea, con Dmitry Zotov, Vasily Zaytsev, Anatoly Kazakov, Alexey Kogay, Dmitry Blinov.

Il programma del festival – come recentemente visto tra le montagne dell'Alta Badia per Care's, che con il parterre di Sochi condivide molte presenze – alternerà i workshop degli chef alle cene speciali (già sold out l'appuntamento con Massimo Bottura al Chicha, il 2 marzo), e tutti gli eventi sono aperti alla partecipazione del pubblico, su prenotazione.

 

Valencia Culinary Meeting

Riscendendo alle latitudini mediterranee per raggiungere la Spagna di Valencia, invece, ci si imbatte nella prima edizione del Valencia Culinary Meeting, nella patria per eccellenza dei congressi gastronomici (San Sebastian, in tempi non sospetti, ha fatto scuola). La manifestazione in corso, dal 27 febbraio fino al 5 marzo, riunisce per la prima volta nella città andalusa 25 chef e altrettante cucine con lo scopo di valorizzare il territorio e la tradizione gastronomica locale. Non palchi e convegni, dunque, ma appuntamenti a tavola e menu ideati per l'occasione, con il coinvolgimento di dodici chef locali e tanti ospiti in arrivo dal mondo, molti dei quali si ritroveranno al Mercado Colon durante il giorno, nello spazio allestito per gli show cooking quotidiani. Occasione di confronto, quindi, ma anche festa di piazza che invita la città a partecipare e mostrarsi al suo meglio, partendo proprio dalla tavola, che vanta numerosi big locali (da Quique Dacosta a Ricard Camarena) e tanti prodotti d'eccellenza. Così per tutta la settimana i ristoranti coinvolti proporranno menu che raccontano la tradizione e l'avanguardia valenciana, la cucina della memoria e gli ultimi esiti della ricerca, i prodotti del mare e le specialità di montagna. Tra i protagonisti del festival anche diversi rappresentanti dell'Italia: Riccardo Camanini (in cucina con Bernd Knoller e Alfred Friedrich), Terry Giacomello (ospite di Alejandro del Toro), Floriano Pellegrino (con Enrique Medina al ristorante Apicius). Su prenotazione le cene, gratuiti tutti gli appuntamenti diurni al mercato.

 

 

Ikra festival | Sochi, Russia | dal 1 al 5 marzo | www.ikrafest.com

Valencia Culinary Meeting | Valencia, Spagna | dal 27 febbraio al 5 marzo | www.valenciaculinarymeeting.com

 

a cura di Livia Montagnoli

 

Burgez: storia e progetti del fast food di qualità a Milano

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Gli hamburger sono i classici in perfetto stile americano, la città è tra le più attrattive in Italia, di quelle dove è possibile scommettere su nuovi modelli imprenditoriali. Aperto da due anni, Burgez a Milano è già un punto di riferimento per i foodies meneghini, e ora si prepara ad aprire un nuovo locale. Ecco la sua storia. 

L'idea

È il 2012 e Simone Ciaruffoli si trova a New York per dei colloqui di lavoro: stanco del suo impiego a Milano, decide di cambiare vita e cercare fortuna nella Grande Mela. Una storia insolita, quella del fondatore di Burgez, hamburgeria di qualità a Milano che ha da poco compiuto due anni; una storia di imprenditoria intelligente ma anche di coincidenze, episodi bizzarri che si intrecciano e modificano il corso degli eventi. Un racconto che ha dell'inverosimile: la sera dopo i colloqui Simone esce a bere un drink a Manhattan, e proprio vicino al locale incontra un senzatetto che, dopo un breve scambio di battute, gli regala un diario. Un vecchio quaderno con pochi appunti appartenuto ai genitori di origini tedesche: qualche accenno sulla loro partenza da Amburgo all'America e diversi schizzi di un panino con la carne, con qualche informazione imprecisa sulla ricetta. È un'idea improvvisa, l'intuizione di una frazione di secondo: Simone decide di seguire l'istinto e torna in Italia, con l'idea di aprire un fast food tutto incentrato sui panini con la carne.

L'apertura

E così, il 12 novembre 2015 Simone inaugura il suo Burgez, una hamburgeria “di fascia alta”, come la definisce lui stesso, in zona Navigli a Milano. “Facevo tutt'altro nella vita: ero stato direttore creativo per diverse aziende e poi autore televisivo per alcuni programmi. Nel cibo mi sono lanciato a capofitto correndo un grosso rischio”. Ma conoscendo bene le realtà gastronomiche del panorama internazionale. Così il giovane imprenditore imposta il suo locale sul modello di Shake Shack, la catena di fast food nata a New York dal genio di Danny Meyer e in breve tempo diffusasi in gran parte dell'America e anche in Europa. La proposta? Il classico street food d'oltreoceano – hamburger, hot dog, patatine fritte – tutto realizzato con buone materie prime. Burgez, come si intuisce dal nome, punta sui panini con la “polpetta”, accompagnati da patatine fritte, “proprio come un qualsiasi fast food, ma di qualità”. A cominciare dalla carne, “di un piccolo produttore di Pero, in provincia di Milano”, per finire con il pane, “i classici bun per hamburger” che arrivano direttamente dagli Stati Uniti. E poi le salse, “personalizzate e tutte fatte in casa” che vanno a completare l'offerta.

La filosofia

“Try not to come back if you can”, ovvero “Prova a non tornare se ci riesci”: questo lo slogan del locale, che si propone di far vivere ai suoi clienti un'esperienza gastronomica unica e piacevole, ma anche di fidelizzarli. “Questa frase è diventata il nostro claim”, spiega Simone, “un motto a tutti gli effetti. Ci crediamo davvero e ci teniamo che i nostri clienti tornino a trovarci”. E tutto sembra funzionare nel locale di via Savona: “Fortunatamente abbiamo diversi clienti fissi. La voce si è sparsa e chi prova i nostri panini poi ritorna almeno una seconda volta”. Perché gli hamburger all'americana di Burgez difficilmente deludono. Ma cosa rende questi panini così speciali? “La loro semplicità”. Si tratta infatti di classici hamburger di carne (ma ce ne è anche uno vegetariano) realizzati con massima cura e prodotti selezionati. Un piatto intramontabile e che piace a tutti, dal gusto inconfondibile, ben lontano dalle ossessioni gourmet e dalle mille variazioni: solo pane, carne, verdure e salsa. Essenziali, senza fronzoli, dritti al sapore, ma mai scontati.

 

Il secondo punto vendita

Il successo è notevole e convince il proprietario, dopo neanche due anni di attività, a raddoppiare con un nuovo locale in via Eustachi, zona Porta Venezia. “L'offerta gastronomica sarà la stessa”, con la possibilità di mangiare in sede, di prendere a portar via e di usufruire del servizio delivery. Insieme, però, c'è un'operazione di re-branding totale: dal claim “Try not to come back if you can” (prova a non tornare a trovarci, se ce la fai!)che nel nuovo indirizzo “diventerà parte integrante dell'insegna e protagonista di tutto il locale, inclusi packaging e arredamento”, al design, curato da uno studio di architetti di Parma diretto da Jonas Hjelte, e caratterizzatoda uno stile minimal con arredi semplici ed essenziali. I colori sono quelli canonici di Burgez, “rosso, bianco e nero”, gli stessi delle confezioni. “Stiamo cercando di rafforzare sempre di più il nostro marchio in modo da avere un'identità precisa e ben definita, facilmente riconoscibile”.

La comunicazione

A contribuire alla costruzione di questa identità, un'azione di comunicazione efficace e studiata su misura. “Puntiamo molto sui social media, soprattutto su Instagram, per il quale ci siamo affidati a Upper Beast Side”, una società di social media management molto particolare e misteriosa, senza sito web né recapito telefonico. Un vero paradosso, per degli esperti di comunicazione.“Sono due ragazzi, uno milanese e l'altro di New York, che non si mostrano in pubblico: l'unico modo per interagire con loro è tramite mail e, anche se può sembrare assurdo, svolgono un lavoro eccezionale”. Il profilo su Instagram – Instaburgez – è in effetti molto attivo e punta (logicamente) tutto sulle immagini: lo stile scelto è quello dei colori saturi, accesi, scatti accattivanti di hamburger succulenti, patatine fritte ricche di salse dai colori brillanti e via discorrendo. Un'azione di promozione intelligente che (ve lo avevamo spiegato qui) i ristoratori dovrebbero cominciare a seguire sempre di più.

Progetti futuri

E anche se l'apertura in via Eustachi è prevista per maggio, il team di Burgez – composto da Simone e Martina Valentini, ex responsabile di Shake Shack a Londra – ha già in cantiere nuove idee. Come quella di un terzo punto vendita “sempre a Milano” entro il 2017. Una sorta di Burgez Express, “senza sala ma solo take-away”. E al contempo“stiamo valutando l'ipotesi di espanderci in Italia e poi all'estero attraverso una rete di franchising, ma questo è tutto ancora da vedere”. Perché il rischio maggiore con le catene è di non poter garantire uno standard qualitativo costante e comune a tutti i locali, “e questo noi non possiamo permettercelo”. Ma la voglia c'è, soprattutto di approdare a Londra, “un'ottima piazza per un format del genere”.

Burgez | Milano | via Savona, 15 | www.burgez.com/dove-siamo/

Burgez | Milano | via Bartolomeo Eustachi, 8 | da maggio 2017


a cura di Michela Becchi


I festival gastronomici di marzo

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Un mese intenso, pieno di festival interessanti, in attesa che gli ultimi freddi lascino il posto ai raggi primaverili. Dalla cucina gourmet a quella vegana, dall’olio ai vini altoatesini, passando per la gastronomia sostenibile: 9 eventi da non perdere a marzo.

Fa’ la cosa giusta! - sezione food

Dal 10 al 12 marzo torna a Milano Fa’ la cosa giusta! la fiera nazionale del consumo critico e degli stili di vita sostenibili. Giunta alla 14esima edizione, il festival ha un’interessante sezione dedicata al cibo che prevede, oltre a cooking show e laboratori, anche una vera e propria scuola: la FunnyVeg Academy. In programma 8 mini corsi tenuti da altrettanti chef: dall’alta cucina vegetale alla pasticceria, dallo street food alla cucina sperimentale, passando per la cucina afrodisiaca e la cucina vegan per tutti i giorni. Fra gli chef, i pasticceri e gli esperti che terranno i corsiSimone Salvini, Stefano Broccoli, Giuseppe Tortorella, Mara Di Noia, Marzia Riva, Luca André, Giulia Giunta, Silvia Cappellazzo, Claudio Di Dio. Ma sono davvero tanti i temi che coinvolgono l’ambito food a Fa’ la cosa giusta!: il food wasting, la cucina sostenibile, i rapporti fra bio e mercati, i focus su prodotti da proteggere e valorizzare e molto altro ancora.

Fa’ la cosa giusta! | Milano | Fieramilanocity | viale Lodovico Scarampo, 2 | tel. 02 89409670 | www.falacosagiusta.org

 

Dé dl vin – Vino Sci Safari in Alta Badia (Corvara in Badia)

Malgrado la stagione invernale sia quasi agli sgoccioli l’Alta Badia continua a festeggiare la neve, questa volta in connubio con il vino. Per tutti gli appassionati dell'accoppiata, consigliamo Dé dl vin – Vino Sci Safari in Alta Badia, in programma il 19 marzo, in diversi rifugi della zona. Degustazioni a 2000 metri, per conoscere meglio la realtà produttiva del Sud Tirol e assaporare eccellenze come Lagrein, Pinot Bianco, Sauvignon, Gewürztraminer, Schiava e Pinot Nero. Non solo: anche i vini della Valle Isarco e gli spumanti dell'Alto Adige avranno uno spazio particolare. Le degustazioni avranno luogo in quattro rifugi dell'Alta Badia situati sulle piste da sci: I Tablá a La Villa,Piz Arlara a Corvara, Ütia de Bioch e Ütia Pralongiá a San Cassiano.

Dé dl vin – Vino Sci Safari in Alta Badia | Corvara in Badia (BZ) | varie location | 19 marzo 2017 | www.altabadia.org/it/vacanze-dolomiti/mangiare-e-bere/de-dl-vin.htm

 

Mountain Gourmet Ski Experience (Courmayeur)

Dopo le cene di Chef in Comune, Courmayeur torna ad ospitare grandi firme della cucina italiana e internazionale per Mountain Gourmet Ski Experience, dal 17 al 20 marzo. Protagonista è la cucina d’avanguardia, celebrata da chef inglesi e italiani tra le vette del Monte Bianco con piatti inediti che valorizzano la tradizione gastronomica locale. Le cene, che si terranno fra ristoranti gourmet della cittadina valdostana e splendidi rifugi di montagna, vedranno come protagonisti, tra gli altri, Heston Blumenthal, ormai una presenza fissa della manifestazione, Sat Bains, chef dell'omonimo ristorante di Notthingam, Claude Bosi dell’Hibiscus Restaurant di Londra eJason Atherton, chef e imprenditore che vanta locali in tutto il mondo, da Londra a Shanghai, passando per Dubai.

Mountain Gourmet Ski Experience | Courmayeur (AO) | sedi varie | dal 17 al 20 marzo 2017 | www.courmayeurmontblanc.it/it/mountain-gourmet-ski-experience

 

Olio Capitale (Trieste)

Dal 4 al 7 marzo si svolgerà a Trieste l'11esima edizione di Olio Capitale, la più importante fiera specializzata interamente dedicata alle migliori produzioni di olio extravergine d'oliva.

Centinaia di etichette tra oli Dop, Igp, biologici, italiani, stranieri da scoprire e una serie di appuntamenti “extra” dedicati alla cultura dell’olio, con workshop, seminari, corsi di assaggio e laboratori. Gli appuntamenti formativi saranno condotti da chef, giornalisti ed esperti del settore, fra cui Emanuele Scarello, Alberto Tonizzo, Teo Fernetich,Paolo ZoppolattiCarlo Cambi, Giuseppe Cordioli.

Olio Capitale | Trieste | Stazione Marittima - Molo Bersaglieri 3 | dal 4 al 7 marzo 2017 | www.oliocapitale.it

 

Olio Capitale - Trieste

 

Pitti Taste (Firenze)

Firenze ospita Pitti Taste, il salone dedicato alle eccellenze del gusto, dell’Italian lifestyle e del design della tavola, organizzato da Pitti Immagine in collaborazione con Davide Paolini. Incontri, stand di prodotti d’eccellenza, degustazioni e assaggi animeranno la Leopolda dall’11 al 13 marzo: quest’anno il tema centrale sarà il caffè, con talk, installazioni, contest e mostre che ne illustreranno i diversi aspetti, grazie anche alla partnership tecnica con La Marzocco, azienda toscana leader nel settore delle macchine per bar e ristorazione. Diverse le gare per baristi in programma, i “Ring Taste” e i focus sulle specialità artigianali. Tanti anche gli eventi del Fuori di Taste, il fuori salone che animerà i locali di Firenze con menu e serate dedicate a specialità come la cinta senese, la birra artigianale, il sushi nostrano, il miele, la pizza.

Pitti Taste | Firenze | Stazione Leopolda | viale Fratelli Rosselli, 5 | dall’11 al 13 marzo 2017 | www.pittimmagine.com/corporate/fairs/taste.html

 

Roots of Excellence (San Cassiano - BZ)

Una giornata intera per festeggiare i risultati e la filosofia dell’Hotel Ciasa Salares e del ristorante La Siriola di San Cassiano, in Alta Badia. Protagonisti saranno Stefan Wieser, patron dell’hotel e lo chef friulano Matteo Metullio, resident della Siriola. Al centro dell’happening, dal pranzo fino al dopo cena, il chilometro zero “quello vero”.

Insieme allo staff di hotel e ristorante ci saranno anche Paolo Parisi (Le Macchie), Mauro Rastelli (Il Capanno),Giuseppe Zen (Mangiari di Strada), Simone Padoan (I Tigli), Lionello Cera (Antica Osteria da Cera), e molti altri ancora. Tutti gli spazi della struttura si trasformeranno per l’occasione e per i diversi momenti della giornata: pranzo, pomeriggio, cena e after dinner. Il tutto accompagnato dalla musica e dai prodotti delle aziende che incontrano la filosofia di Metullio e della proprietà di Ciasa Salares.

Roots of Excellence | San Cassiano (BZ) | Hotel Ciasa Salares | strada Pre de Vì, 31 | tel. 0471 849445 | www.ciasasalares.it

 

Sapori in Scena (Mariano Comense - CO)

Dai salumi stagionati di Emilia e Sardegna all’olio extra vergine d’oliva lucano, dai formaggi alla focaccia ligure, dallo zafferano umbro al fagiolo zolfino toscano, passando per i liquori sardi, il tartufo e il cioccolato artigianale piemontese: sono solo alcuni dei prodotti d’eccellenza che saranno celebrati a Sapori in Scena, il festival dedicato ai prodotti tipici italiani e lombardi in particolare, dal 3 al 5 marzo a Mariano Comense. Quest’anno un’attenzione particolare sarà rivolta alle zone colpite dal recente terremoto del Centro Italia: ospite speciale sarà infatti il Consorzio di Amatrice con tutti i prodotti locali, acquistabili direttamente dai produttori.

Il taglio del nastro sarà affidato aPaolo Longoni, che animerà la tre giorni insieme ai colleghi Sergio Mauri, Jorge Sancez, Giuseppe Terno, Stefano Ierardi, Massimiliano Tansini, Davide Caranchini, Davide Longoni, Manuel Colombo, Inarca di Proserpio e Davide Maci.

Sapori in Scena | Mariano Comense (Co) | Palazzo storico delle esposizioni | via Giacomo Matteotti, 8 | dal 3 al 5 marzo 2017 | www.saporinscena.it

 

Spirit of Scotland o Festival del whisky (Roma)

Celebrare il whisky scozzese e le aziende che lo producono, dalle più grandi e alle realtà più indipendenti: è questo l’obiettivo di Spirit of Scotland, il Whisky Festival del Salone delle Fontane di Roma, evento tutto dedicato a questa specialità che pian piano sta diventando una vera passione per molti italiani appassionati del buon bere. Fitto il programma della sesta edizione che si terrà il 4 e 5 marzo nel quartiere Eur e prevede banchi d'assaggio, degustazioni guidate, masterclass, seminari sulla mixology. Fra gli ospiti del festival Erick Lorincz, head bartender dell’American bar del Savoy Hotel di Londra, il barman di Carlo e Camilla in SegheriaFilippo Sisti, i bartenders dell’Oriole cocktail bar di Londra, Luca Cinalli e Fabio Bacchi.

Spirit of Scotland | Roma | Salone delle Fontane, via Ciro il Grande | il 4 e 5 marzo | ingresso 10 euro | www.spiritofscotland.it

 

Spirit of ScotlandSpirit of Scotland - Roma

 

Torino VEG Festival

Celebrare la vocazione vegan di Torino, prima città italiana per numero di ristoranti che propone gastronomia priva di carne e derivati degli animali. È l’obiettivo del Torino VEG Festival, in programma dal 4 al 6 marzo. E non si tratta “solo” di cucina vegana ma anche di street food, con proposte nostrane e internazionali: dalla paella alla pita, dalla pasta alle focacce, passando per sidro di mele e veggie burger.

Organizzato da To Business, il festival sarà diviso in tre aree tematiche: una vegana, una vegetariana e una per laboratori e workshop. L’evento è infatti anche un'occasione per assistere a incontri di educazione alimentare e conferenze con professionisti del settore, chef crudisti compresi. Nella parte di street food invece troverete proposte internazionali, dalla paella alla pita, ma anche pasta e focacce, sidro di mele e i burger 100% veggie di Flower Burger. Accanto allo street food, incontri e conferenze con esperti del settore come Alessandra Di Lenge, fondatrice delle Iene Vegane, la biologa Marilù Mengoni e la chef raw Federica Rotta.

Torino VEG Festival | Torino | Environment Park | via Livorno 60 | dal 4 al 6 marzo 2017

 

 

a cura di Francesca Fiore

 

 

 

Aspettando il Noma 2.0: il lavapiatti Ali tra i soci di René Redzepi. Dal Gambia al ristorante più acclamato del mondo

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Emigrato 34 anni fa in Danimarca, da 13 Ali Sonko lavora come lavapiatti al Noma, dal primo all'ultimo giorno di apertura di uno dei ristoranti più apprezzati del mondo. Anima e cuore del ristorante di Copenaghen, come l'ha definito Redzepi, ora il gambiano diventerà socio della nuova fattoria urbana che aprirà il prossimo dicembre. 

Aspettando il nuovo Noma

C'è Ali Sonko, 62 anni da 34 in Danimarca e 12 figli, da qualche giorno il lavapiatti più chiacchierato della ristorazione mondiale. Ma il gambiano al fianco di René Redzepi da 13 anni - quando il ristorante al 93 di Stangrade, Copenaghen, apriva per la prima volta i battenti forse ignaro del movimento gastronomico a cui avrebbe dato seguito – è in buona compagnia. Con lui, e l'amico René, figlio di un emigrato macedone e di una donna delle pulizie danese, ci sarà anche James Spreadbury, che al Noma, otto anni fa, era arrivato dall'Australia come cameriere, per diventare rapidamente un manager fidato e competente. E ancora Lau Richter, direttore del servizio di sala. Tutti in società per imbarcarsi nella prossima avventura imprenditoriale, che all'indomani della chiacchieratissima chiusura definitiva del Noma come l'abbiamo conosciuto finora (dal 2003 rifugio gastronomico del porto di Copenhagen per i gourmet in arrivo da tutto il mondo), Redzepi non ha esitato a definire come “uno dei momenti più felici della mia esperienza di lavoro”. Bando alla nostalgia, dunque, perché presto si ricomincia a lavorare, e anzi le idee non hanno mai smesso di fluire da quando l'annuncio del trasloco nella campagna di Christiania, per aprire la sua fattoria urbana entro la fine del 2017, è rimbalzato ai quattro angoli del mondo. Intanto, tra un mese, sarà la volta del Messico, a Tulum, dove per sette settimane Redzepi e la sua brigata presenteranno una nuova versione pop up della cucina che negli ultimi anni ha viaggiato da Tokyo a Sydney per esplorare nuove combinazioni di sapori.

 

Il riscatto di Ali. Il lavapiatti che sorride sempre

Ma la notizia che più tiene banco in queste ore è indubbiamente la “promozione” di Ali, che “rappresenta il cuore e l'anima del Noma”, ha sottolineato lo chef: “Anche mio padre si chiamava Ali, e quando è arrivato in Danimarca dalla Macedonia anche lui si era messo a fare il lavapiatti”. Una storia che sembra uscita dalla penna di Christian Andersen, fatta di riscatto sociale, persone che lavorano col sorriso per raggiungere un obiettivo comune e momenti goliardici che testimoniano la forza di una brigata unita. Come quando, nel 2010, il Noma entrò per la prima volta in finale alla cerimonia dei 50 Best Restaurants: Ali, sprovvisto del visto, segue la premiazione da casa, davanti alla tv. Il Nome vince (e replicherà nel 2011, 2012, 2014), Alì esulta lontano dai riflettori, ma tutta la brigata lo porta con sé sul palco, in foto, sotto le giacche che si sbottonano al momento giusto. Ognuno di loro, anche Ali, dopo la festa di addio al Noma, ha portato con sé un pezzo del locale, una lettera dell'insegna, un ricordo degli anni trascorsi insieme (c'erano anche i giovani talenti italiani che abbiamo intervistato qualche giorno fa). In attesa che il Noma 2.0 veda la luce. Lo aspettano (aspettiamo) tutti. 

 

Foto di Ditte Isager

I migliori mieli d'Italia. Giorgio Poeta di Fabriano

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Inauguriamo una nuova indagine, un viaggio nelle migliori aziende italiane produttrici di miele. Per cominciare questa ricerca sul nettare degli dei partiamo da Fabriano, in provincia di Ancona. Qui, Giorgio Poeta realizza mieli di alta qualità dal 2002.

Prezioso alleato contro diversi malanni e ottimo sostituto dello zucchero, adatto per ogni esigenza e tutte le età: il miele è un ingrediente dalla storia antica che risponde alle diverse richieste dei consumatori. Ma com'è il panorama del miele italiano? Quali sono le cose da sapere? Come è andata l'annata? A queste e altre domande risponderanno i produttori migliori della Penisola, a cominciare da Giorgio Poeta, giovane apicoltore marchigiano che, mosso da una passione improvvisa, quindici anni fa ha scelto di puntare tutto su questo prodotto.

Gli inizi

Classe '84, figlio di agricoltori e una laurea in agraria: Giorgio ha cominciato per caso a interessarsi al settore dell'apicoltura, dopo aver ricevuto un insolito regalo da suo padre. “Dopo il diploma, mio papà è tornato a casa con due arnie che gli erano state donate da un amico. Non sapeva cosa farsene e così ho iniziate a curarle io”. Comincia così l'avventura del giovane, senza pretese o particolari obiettivi. Quell'episodio fa nascere in lui una passione per il lavoro delle api e così decide di iscriversi alla facoltà di agraria all'Università di Ancona. Frequenta poi un corso base di apicoltura e segue i consigli di Sergio Stroppa, “il mio mentore”, un apicoltore del luogo da poco venuto a mancare, e nel frattempo continua a leggere, studiare e ricercare sull'argomento. A 26 anni si laurea e inizia a lavorare i terreni di famiglia, allargando poco dopo l'attività alle api. La produzione di miele parte ufficialmente già nel 2002 e conta oggi tre persone fisse – incluso Giorgio – più due collaboratori durante il periodo estivo.

 

Giorgio Poeta

La produzione

Trecento arnie “che diventeranno quattrocento entro aprile”, ognuna contenente (in estate) 70mila api: questi i numeri dell'azienda. Per parlare di miele, invece, bisogna fare valutazioni di anno in anno. Il 2016, appena trascorsa, ha consentito a Giorgio di produrre circa 85 quintali di miele, “una resa piuttosto bassa” dovuta soprattutto al clima freddo dello scorso maggio, “che ha creato delle difficoltà in particolare sull'acacia” ma anche ad altri fattori. Perché, annus horribilis a parte, la produzione di miele sta gradualmente diminuendo “un po' per le temperature, un po' per l'inquinamento che ci costringe a spostare le api sempre più in alto”. Quelle di Giorgio attualmente si trovano a 1000-1200 metri di altezza. Perché l'ape è il centro di tutto, principio e fine del ciclo produttivo del miele, “la salute degli insetti è al primo posto nel mio lavoro. Non posso pensare a non salvaguardare l’ape se voglio produrre miele”. Quaranta ettari di terreno in tutto, fra girasoli, grano e altri fiori a stretto regime biologico e, a partire da maggio, “anche il miele sarà etichettato come bio”. Ma cosa significa fare miele biologico? “In realtà qualsiasi miele dovrebbe essere bio, perché tecnicamente è un prodotto 100% naturale”. Nella realtà però è possibile utilizzare delle molecole di sintesi durante la produzione come la fluvalinate o l'amitraz,e quindi“etichettare un miele come biologico significa certificarlo come prodotto puro, senza alcuna aggiunta di elementi chimici o sintetici”.

Cosa offre l'azienda?

Ho iniziato con il classico miele di acacia e sono poi passato alla melata, a quello di girasole - molto popolare qui nelle Marche - e poi il millefiori”. Ma non finisce qui: Giorgio realizza anche miele di Stachys, un'erba officinale (Stachys Officinalis) che cresce sulle stoppie di grano (residuo degli steli) dopo la trebbiatura. Ma a rendere famosa l'azienda è stato il miele di acacia invecchiato in barrique, il Carato, “un'idea nata nel 2011 durante una cena con degli amici viticoltori che parlavano di far invecchiare il Verdicchio nelle botti. È stato allora che ho pensato: perché non provarci anche con il miele?”. Per farlo, occorre partire da un'acacia “che sia il più pura possibile” e farle fare diversi passaggi nelle botti così da consentire un'ossigenazione più ampia del prodotto: “Non c'è alcol come nel vino, quindi l'unico solvente in questo caso è l'acqua, presente per il 17/18%. Più i passaggi in botte sono frequenti, maggiore è il numero di sostanze che si riescono a estrarre dal legno”. Sensazioni di vaniglia, nuance balsamiche e più in generale un profilo aromatico complesso e articolato: questi i vantaggi che l'invecchiamento in barrique porta al miele.

 

Miele Carato e Stella

C'è poi il miele d'acacia con infusione di anice stellato e anche l'"idromiele", “sia classico che barricato”, un blend di tre mieli uni floreali – acacia, atachys e girasole – che viene fatto fermentare con acqua di sorgente e lievito per circa 9 mesi. Ma la ricerca di Giorgio non si ferma: in arrivo in azienda anche "l'idromiele con metodo classico, ovvero un prodotto che ha subito una rifermentazione in bottiglia proprio come avviene per gli spumanti” e poi un grand cru, “un prodotto a edizione limitata sul quale ancora non voglio svelare particolari dettagli”.

 

Idromiele

Il panorama del miele in Italia

A che punto è la conoscenza sul miele in Italia? “I consumatori sembrano sempre più attenti. Il 90% circa delle vendite è rappresentato ancora da acacia e millefiori ma anche le altre tipologie si iniziano a diffondere fra il grande pubblico”. E sta aumentando anche l'interesse dei giovani apicoltori verso la qualità: “Bisogna avere una grande cura delle api perché se queste si ammalano rischiano di far ammalare anche quelle dei produttori vicini. Per questo fra gli apicoltori deve esserci collaborazione e confronto”. Ma se produrre bene e con costanza è importante, altrettanto significativo è saper riconoscere un miele buono da uno difettato: “Sembra complicato ma in realtà basta solo un po' di pratica. I difetti del miele sono piuttosto evidenti: per esempio, la disomogeneità può essere dovuta a una scorretta miscelazione della parte solida con quella liquida oppure alle temperature troppo elevate”.

La comunicazione

Rimane un prodotto ancora di nicchia il miele artigianale di qualità e, in quanto tale, va tutelato e comunicato con intelligenza. Attraverso eventi, degustazioni, assaggi e confronti fra produttori e consumatori: “Le porte della mia azienda sono aperte a tutti. Chiunque mi viene a trovare può fermarsi ad assaggiare, guardare le arnie, i campi, chiedere spiegazioni. Sono molto felice di poter spiegare il mio lavoro”. Agli adulti così come ai bambini “che spesso vengono qui in gita scolastica”. Attenzione alta anche al design e la grafica, “curata dallo studio Pixel, dove lavorano dei ragazzi giovani e molto in gamba, con cui abbiamo studiato insieme simbolo e caratteri dell'etichetta”. Un esempio di buona comunicazione? “Il lavoro fatto dai produttori neozelandesi con il miele di manuka”, realizzato con il nettare dell'omonimo albero. Un prodotto diventato in breve tempo conosciuto e apprezzato a livello internazionale, “un miele davvero gustoso che è riuscito a conquistare i consumatori con le sue proprietà benefiche, che i produttori hanno intelligentemente messo in luce”. Grazie alla collaborazione con il Ministero della Sanità, “che qui in Italia invece manca”.

 

Giorgio Poeta

Le proprietà nutraceutiche

Anche Giorgio ha in mente di inserirsi nelle farmacie, ma non con il miele che – lo ricordiamo – a prescindere dalla varietà ha sempre delle proprietà nutraceutiche, se pur diverse fra di loro (girasole abbassa il colesterolo cattivo, melata è un integratore di sali minerali e così via). Ma con dei prodotti studiati su misura “dove convergono tutti gli elementi dell'alveare come polline, cera d'api e pappa reale”. Per esempio, per la cosmesi si possono realizzare dei balsami per le labbra naturali a base di olio extravergine di oliva, cera d'api e miele oppure ancora scrub per viso e corpo. C'è poi la Bombetta di Giorgino, “un prodotto già testato dai miei amici con propoli, polline e pappa reale, da assumere al mattino per un pieno di vitamine e principi nutritivi”. Per ora, i mieli di Giorgio Poeta si trovano in diverse botteghe artigianali dislocate per la Penisola, “negozi che vendono perlopiù prodotti di nicchia” e poi da Eataly e sono anche utilizzati da diversi chef di alta cucina, come Massimo Bottura, “che ha recentemente scelto di acquistare i miei prodotti”.

Giorgio Poeta | Fabriano (AN) | via Dante 71 e | tel. 0732 041982 | www.giorgiopoeta.it

a cura di Michela Becchi

Matteo (de Filippo) Cucina Italiana al Mercato De La Paz di Madrid

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Nel Mercado de La Paz, nel cuore del quartiere Salamanca, Matteo De Filippo, ex cuoco dell'ambasciata italiana a Madrid, e sua moglie Chiara Guberti hanno un banco di pasta artigianale e un ristorante. Ecco la loro storia.

Antón Martín, Vallehermoso, San Antón, La Paz, San Fernando, Barceló, La Cebada, Maravillas, Chamberí, Chamartín, Los Montenses, San Miguel. E ancora Platea, El Huerto de Lucas e San Ildefonso. Madrid è (anche) la capitale dei mercati gastronomici. Luoghi magici - di alcuni vi abbiamo già parlato qui - in cui trovare suggestioni gastronomiche e culturali. Una di queste l'abbiamo scovata al Mercado de La Paz. È la creatura di Matteo De Filippo, che insieme alla moglie Chiara Guberti gestisce un laboratorio di pasta artigianale, con annesso il ristorante.

Matteo De Filippo, una vita destinata al teatro

Quella di Matteo De Filippo è una storia da raccontare, se fosse anche solo per il suo albero genealogico. Cominciamo dal bisnonno Eduardo Scarpetta, attore e commediografo del '800 che ebbe una relazione extra-coniugale con la nipote Luisa De Filippo (figlia di Luca, il fratello della moglie Rosa De Filippo) da cui nacquero Titina, Peppino ed Eduardo. Proprio l'Eduardo De Filippo drammaturgo, regista, attore, sceneggiatore e poeta. Autore di numerose opere teatrali da lui stesso messe in scena e interpretate con i fratelli, e anche insieme al figlio Luca, ricordiamo Miseria e Nobiltà, la prima commedia recitata assieme. Luca ha continuato la tradizione teatrale di famiglia cercando di trasmetterla anche al figlio Matteo, che alla strada del teatro, comunque cominciata all'Accademia nazionale d'arte drammatica di Roma (il primo debutto è stato nel 1999 al Teatro Tasso di Napoli con la commedia Dolori di corpo), ha preferito quella della cucina.

Dal teatro alla cucina. Di ambasciata

Si diploma all'Alma, “per campare” lavora in alcune osterie e progetta l'apertura di un agriturismo in Umbria. Se non fosse per la chiamata dell'ambasciatore Leonardo Visconti di Modrone che lo vuole a Madrid, come cuoco personale di ambasciata. Qui cucina per vari capi di stato, come Giorgio Napolitano, e molti ospiti illustri. “Quello del cuoco di ambasciata è un lavoro complesso. I menu venivano concordati di volta in volta con l'ambasciatore in base alle preferenze degli ospiti, che potevano essere, nel migliore dei casi, una sessantina per arrivare anche a 350. È un lavoro che non contempla domeniche od orari: mia moglie, che mi ha seguito anche in questa avventura, ed io dovevamo essere operativi h24, per eventuali colazioni, pranzi, caffè o cene”. Tirando le somme, un'esperienza importante: “è stata una vera palestra, ricordo ancora quando ho dovuto ideare e preparare un menu vegano in sole due ore perché tra gli ospiti c'era un vegano, mentre mi era stato detto che era vegetariano!”

{gallery}Matteo Cucina Italiana{/gallery}

Un angolo italiano nel Mercato De La Paz

Dopo qualche anno in ambasciata, decide di rimanere in Città e nel 2012 di aprire un laboratorio con vendita diretta di pasta fresca e piatti vari, dai timballi agli sformati (non vi ricorda un certo Giovanni Passerini?). Il nome iniziale era Artigiano della pasta, che per comodità, “erano in molti a non capirlo o a scriverlo sbagliato” cambia ben presto in Artesano de la pasta. In pochi mesi Matteo apre anche un banco allo storico Mercato De La Paz “in un piccolo stand vicino ai bagni. Nonostante la posizione sfortunata ogni giorno servivo centinaia di clienti, anche alcuni ambasciatori per i quali organizzavo pure i catering. Nel frattempo tenevo corsi di cucina all'Istituto Italiano di Cultura”. Pian piano la voce si sparge, così il consiglio del mercato, che delibera tutti i cambiamenti, lo sposta in un banco più centrale. “Inizialmente ho mantenuto la cucina nel laboratorio esterno poi, data la mole di lavoro, l'ho spostata dentro al mercato”. Con la cucina a vista, costruita al posto di una frutteria, sono arrivati anche i primi tavoli “erano solo 5”, troppo pochi anche se organizzati in tre turni giornalieri, “e nell'arco di un mese si è creata una lista d'attesa ingestibile: per mangiare seduti si doveva riservare una settimana prima. Così ho rilevato anche la gestione della vineria che avevo di fronte per farci un negozio gastronomia, creando un angolo italiano che abbiamo chiamato Matteo Cucina Italiana”.

{gallery}Mercado De La Paz{/gallery}

Matteo Cucina Italiana

Oggi, tra il ristorante con cucina a vista e il negozio, sono 60 i posti a sedere, per un totale di 120 coperti al giorno. “Il menu non è 'del dia', come si usa in Spagna, ma alla carta, grazie alla quale ci prendiamo il tempo di spiegare ai clienti ogni piatto. Oltre ai primi, anche i secondi, come ossibuchi, stufati, rollè, polli ripieni, con gli ingredienti del mercato. La mattina arrivo presto e mi faccio un giro tra i banchi, solo successivamente studio le proposte del giorno. Le dinamiche del mercato mi piacciono troppo, mi entusiasma avere a che fare direttamente col pescivendolo o il macellaio di turno”.

Tutti i piatti sono disponibili sia al ristorante, con prezzi che variano dai 9 ai 16 euro, sia al negozio gastronomia, grazie al quale riesce a mantenere il catering: “Alcuni clienti mi portano il loro servizio di piatti e io elaboro un intero menu, dagli antipasti ai dolci, consegnandoglielo pret a manger. Se poi alcuni piatti sono da fare espressi, mando un cuoco fidato direttamente a casa”. Ogni settimana il menu è dedicato a una regione italiana. E a proposito di Italia,“una volta l'anno mia moglie e io facciamo un viaggio d'aggiornamento per conoscere nuovi produttori. A Natale nel negozio avevo, per esempio, i panettoni di Attilio Servi, che ho conosciuto personalmente”. Qui si possono trovare la pasta Gentile, quella Setaro, le mozzarelle “che arrivano in aereo” del Caseificio Roberta, i salumi Leporati e gli oli dell'azienda agricola di famiglia nella tenuta Scovaventi: “Sulle colline della Maremma Toscana, a Manciano, produciamo olio e da poco abbiamo cominciato la produzione di mieli e pelati. L'azienda è gestita dai miei fratelli Tommaso e Luisa, e Carolina, la moglie di papà”. Quella di aprire un'azienda agricola era infatti un sogno del padre Luca.Una bella storia (familiare) destinata a continuare: a giugno nascerà il figlio di Matteo e Chiara. Il nome? Eduardo De Filippo

 

Matteo Cucina Italiana | Madrid | Calle de Ayala, 28 (Mercato De La Paz) | artesanodelapasta.es

 

a cura di Annalisa Zordan

 

 

Gli ultimi mesi di Dabbous. Chiude a Londra il ristorante che ha fatto impazzire la città

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Cinque anni fa il giovane chef Ollie Dabbous apriva il suo primo ristorante in proprio insieme al socio Oskar Kinberg, celebre barman londinese. La città gli ha tributato successo immediato, ma ora Dabbous si prepara a chiudere i battenti. Per riaprire, in nuova veste, entro il 2018. 

5 anni di Dabbous

Cinque anni fa, a soli pochi mesi dall'apertura di Dabbous, il Guardian dedicava a Ollie Dabbous un titolo che lasciava pochi dubbi: lo chef più ricercato della Gran Bretagna. Un successo folgorante, il suo, che dopo anni trascorsi nell'anonimato delle cucine di grandi ristoranti, dal Fat Duck a Pierre Gagnaire, da Hibiscus al Mugaritz di San Sebastian, al Noma di René Redzepi (ma il suo vero mentore è stato Raymond Blanc, a Le Manoir aux Quat'Saison), decideva di mettersi in proprio, appena trentenne, a Fitzrovia, nel centro di Londra. Con lui il socio Oskar Kinberg, barman di solida fama, che negli anni a venire avrebbe preso la guida dell'Oskar's Bar – sotto al ristorante – facendone uno degli indirizzi più ambiti di Londra per gli amanti della miscelazione.

Insomma, la fama del ristorante amato dal jet set londinese (ma per dir la verità non altrettanto osannato oltre i confini nazionali) è cresciuta in tempi rapidi, sin dall'esordio nel 2012: prenotazioni disponibili solo con un anno d'anticipo, e una stella Michelin conquistata dopo otto mesi dall'apertura. Design industrial, sapori puliti, piatti buoni e non inutilmente complicati. Menu degustazione da otto portate a 75 sterline. Così Ollie Dabbous – nato in Kuwait, da padre italo-francese – è stato inizialmente riconosciuto in patria come l'ambasciatore della bistronomia francese a Londra, alla guida di un'insegna destinata a fare la differenza in città. E nel corso degli anni non ha deluso le aspettative.

La chiusura e il nuovo progetto

Tanto che la notizia della sua chiusura definitiva, prevista per la fine di giugno 2017, sta facendo molto parlare di sé. Con l'arrivo dell'estate, Dabbous, che ha recentemente festeggiato il suo quinto compleanno, chiuderà i battenti per permettere ai suoi ideatori di lanciarsi in un nuovo progetto, che Dabbous e Kinberg sveleranno già alla fine dell'anno, o al più tardi entro l'inizio del 2018. Stesso team, energia inalterata, la nuova apertura promette di scombinare le carte sfruttando “una grande opportunità” per presentare ai londinesi “un ristorante dall'identità completamente differente, in uno spazio fenomenale” (mentre Ollie Dabbous, proprietario dal 2014 anche di Barnyard, è coinvolto anche nell'imminente inaugurazione di Henrietta, il ristorante dell'omonimo hotel a Covent Garden gestito da The Experimental Group, che aprirà nel giro di un mese). Sarà in grado, il nuovo locale, di bissare il successo di Dabbous? Chi ha già nostalgia può prenotare un tavolo al 39 di Whitfield Street fino alla fine di giugno: è difficilissimo trovare un posto, ma non impossibile.

 

Dabbous | Londra | Whitfield street, 39 | fino alle fine di giugno 2017 | http://dabbous.co.uk/

 

a cura di Livia Montagnoli

Le donne del vino si festeggiano con eventi in tutta Italia

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Degustazioni, brindisi, incontri e laboratori sul vino, in tutta Italia, sabato 4 marzo. È la Festa delle Donne del vino, organizzata per la prima volta quest’anno dalle imprenditrici vitivinicole italiane, che celebrano la ricorrenza dell’8 marzo in anticipo, con oltre 70 eventi in contemporanea in 12 regioni italiane.

La prima Festa delle Donne del vino

Donne del vino è un’associazione che conta 700 iscritte in tutta Italia, rappresentanti di tutte le categorie della filiera vitivinicola, dal vigneto alla cantina, dalla tavola alla comunicazione. Che quest’anno, per la prima volta, hanno deciso di organizzare la Festa delle Donne del vino. In programma sabato 4 marzo oltre 70 eventi in 12 regioni italiane, con un unico fil rouge: “Donne vino e motori”. Al centro delle giornate di festa, infatti, non c'è solo il vino e la produzione “in rosa” ma anche mezzi di trasporto di tutti i tipi, dalle classiche moto alle bici, dalle auto ai mezzi agricoli. “Un modo allegro per mostrare il lato femminile del vino italiano”, spiega Donatella Cinelli Colombini, presidente dell’associazione,“le nuove protagoniste di un settore produttivo tradizionalmente maschile anticipano la Festa della Donna, mettendo in rilievo il proprio talento e diffondendo la cultura del vino e il consumo responsabile”. Segnatelo in agenda: il 4 marzo, in tutta Italia, ci saranno brindisi e degustazioni in cantine, enoteche, ristoranti e musei a cura di Donne del Vino.

 

Gli eventi del Centro Nord

Sono davvero tante le cantine coinvolte nell’iniziativa delle imprenditrici del vino, non solo, anche ristoranti e wine bar ospitano cene e degustazioni. Partiamo dal Piemonte, dove sono protagoniste, tra le altre, anche Michela Marenco, Bruna Grimaldi (barolista che ospita Francesca Poggio e il suo Gavi), Brunetta Ferro di Carussin, Sabine Ehrmann della Tenuta Tenaglia. In Lombardia, il comitato regionale dell’associazione ha organizzato un evento in collaborazione con il Museo Mille Miglia e una serie di cantine fra cui Berlucchi e Grimaldi.

In Trentino Alto Adige,Veronica Grazioli (Ristorante Moja di Vallagarina), Federica Mertz (Locanda 2 camini di Pinè) e Silvana Segna (Locanda Alpini, Val di Non) animano la Festa delle Donne del vino con cene e assaggi dedicati. Tanti gli eventi previsti in Friuli Venezia Giulia, guidati da Elisabetta Foffani, Hilde Petrussa, Adriana Rizzotti, Teresa Covaceuszarch (Ristorante Sale e Pepe) e Ornella Venica.

Un evento collettivo è invece previsto in Liguria, dove la delegazione regionale - che vede Donne del vino come Chiara Formentini e Paola Calleri accanto a ristoratrici come Mara Vasile di Sotto Sale e Paola Bisso di O Vittorio - anima la giornata. Degustazioni e cene in Emilia Romagna sono invece guidate da Donata Calderoni di Villa Rota e Cristiana Galletti di Podere Riosto. Anche in Toscana la giornata del 4 marzo è ricca di iniziative a cura del comitato regionale: fra loro ancheDonatella Cinelli Colombini, Paola Rastelli, Priscilla Occhipinti.

 

Gli eventi al Sud

Cantine e ristoranti del Sud Italia festeggiano l’imprenditoria vitivinicola in rosa tanto quanto quelle del Nord e Centro Italia. Non è ancora ufficiale il programma della Campania, ma la Puglia ha già deciso da tempo quali iniziative mettere in campo per la giornata, con Marianna Cardone, Rubina Leonardi, Alessandra Lofino, Marina Saponari. Tante vignaiole pronte a celebrare la ricorrenza anche in Sardegna, che vede sotto i riflettori le cantine di Laura Carmina, Valentina Argiolas, Claudia Pinto, Stefania Montisci. Infine, ma solo per ragioni geografiche, la Sicilia, con le rappresentanti della delegazione regionale che richiameranno tutte le winelovers a Trapani per brindisi, assaggi e degustazioni.

 

Festa delle donne del vino | tutta Italia | 4 marzo 2017 | www.festadonnedelvino.it

 

a cura di Francesca Fiore

Macchine per l'espresso: tecnologie, vendite e progetti delle aziende produttrici italiane

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Conta la tecnica, la preparazione, e naturalmente la materia prima. Ma per preparare un espresso perfetto occorrono anche dei macchinari di livello. La storia dei colossi italiani delle macchine per espresso.

Sono nate parecchi anni fa per rispondere alla sempre più frequente richiesta dell'espresso, una bevanda nata nella Torino di fine Ottocento, e si sono poi evolute negli anni, adattandosi al mercato e alle nuove esigenze di baristi e consumatori. Sono le aziende produttrici di macchine per espresso, che nel tempo hanno messo radici non solo nel Bel Paese ma anche, e soprattutto, all'estero. Quanto la macchina influisce sulla riuscita della bevanda? Quali sono le ultime innovazioni tecnologiche? Lo abbiamo chiesto agli addetti ai lavori.

Il mercato estero: fermento in Corea e nei paesi orientali

Colossi tutti tricolori, le grandi aziende produttrici, con fattore comune: un'elevata percentuale di vendite all'estero. Numeri significativi: 95% nel caso di Dalla Corte di Baranzate (Milano) fondata nel 2001 da Bruno e Paolo Dalla Corte, e in quello di Nuova Simonelli, azienda marchigiana attiva dal '36 e che oggi comprende anche il marchio Victoria Arduino. Tutti evidenziano una richiesta crescente da parte dell'Oriente, mercato in grande fermento caffeicolo sempre più interessato alla qualità e agli specialty coffee, chicchi selezionati e trattati con cura dall'inizio alla fine della lavorazione, ricchi di proprietà aromatiche e caratteristiche organolettiche. Tutte le aziende produttrici made in Italy, da Cimbali a La Marzocco, da Sanremo a Nuova Simonelli concordano su un punto: “La Corea del Sud è il paese che più di tutti si sta interessando al mondo dei caffè specialty”, dichiara Simona Colombo di Cimbali, azienda nata nel 1912 e che dal 2005 è diventata Gruppo Cimbali, comprendendo anche il marchio Faema. Ma ci sono anche Shangai e Hong Kong, Thailandia e Australia fra i maggiori acquirenti, senza dimenticare il mercato statunitense. Anche Rancilio, azienda di Villastanza di Parabiago (Milano) conferma questi dati: l'87% delle vendite è destinato ai paesi stranieri, in particolare Oceania e Stati Uniti. E all'estero le aziende produttrici sono presenti non solo con i loro prodotti ma anche con le filiali: otto per il Gruppo Cimbali, in Germania, Francia, Spagna, Portogallo, Regno Unito, Shangai, Hong Kong e Stati Uniti, e nove per La Marzocco, che nella sede di Sidney ha creato anche uno showroom con caffetteria. Anche Sanremo, azienda veneta nata nel '97, afferma di vendere l'80% dei suoi prodotti all'estero e di avere in cantiere due nuove filiali, una a Melbourne e l'altra a Sidney.

Le macchine: tecnologie d'avanguardia e maggior controllo della temperatura

Ma come funzionano le macchine per espresso? È difficile fornire una spiegazione valida per tutte, perché ogni azienda disponde di diversi modelli con funzionalità e sistemi differenti; inoltre, ogni estrazione varia a seconda della materia prima, della qualità e freschezza del chicco ma possiamo dire che tradizionalmente, la bevanda viene erogata a 9 bar di pressione. Sono tante però le varianti disponibili sul mercato. Innanzitutto c'è più controllo della temperatura: aumentano le tecnologie per consentire al barista di verificare tutte le fasi di estrazione e modificare la temperatura a seconda del caffè utilizzato. Perché la temperatura dell'acqua è uno dei parametri fondamentali per un buon espresso, solitamente compresa tra 91 e 95°C secondo la composizione e il grado di tostatura del caffè, miscela o singola origine. La nuova T3, una tecnologia innovativa di Nuova Simonelli, garantisce un controllo totale sulle tre fasi di riscaldamento: “dalla pre-infusione del caffè all'estrazione finale, la Black Eagle”ultima creatura firmata Nuova Simonelli, “permette di avere una lettura in tempo reale della temperatura e dell'estrazione su un display. In questo modo il barista può decidere come aumentare o diminuire tempi e gradi a seconda del caffè, del livello di tostatura e così via”. Un'innovazione necessaria con gli specialty, tostati solitamente più chiari. E portata avanti anche da Dalla Corte con la nuova macchina Mina: in questo caso, “l’erogazione prende il via da poche gocce, pressoché zero bar” al contrario di quanto avviene per altre macchine con la regolazione di pressione (che parte da 3 bar), “in questo modo la pre-infusione è più delicata e il pannello di caffè nel filtro si prepara al meglio alla successiva fase di estrazione, che il barista può modulare a piacere”. Display interattivi anche per Rancilio, che con la tradizionale macchina Classe11 consente al barista di avere un feedback in tempo reale del lavoro che il macchinario sta svolgendo. C'è poi la Egro BYO che offre inoltre la possibilità di utilizzare il proprio device a distanza e interagire con la macchina da caffè anche da lontano.

 

Rancilio classe11

Anche La Marzocco, azienda toscana fondata più di un secolo fa da Giuseppe e Bruno Bambi, si è dedicata nel tempo alla stabilità delle temperatura: “Quello che ci proponiamo di fare è offrire al barista la possibilità di sperimentare e giocare con l'estrazione, che ha delle regole ma non sono fisse”. Anzi: è bene – una volta che si ha una conoscenza profonda e completa della materia – provare nuove tecniche e adattare tempi e pressioni allo specifico caffè per ottenere risultati diversi. “Le nostre macchine hanno due caldaie, una per il caffè e una a parte per il vapore: in questo modo, si può lavorare su due livelli differenti”, spiega Giada Biondi, responsabile della comunicazione de La Marzocco. La termo-idraulica è un aspetto fondamentale anche per Sanremo, che ha da poco lanciato sul mercato la Cafè Racer, “una macchina con sistema di pre-riscaldamento dell'acqua che avviene prima della pre-infusione”, spiega Carlo De Sordi, responsabile marketing. E aggiunge: “siamo inoltre molto attenti al design e allo stile, elementi caratterizzanti del made in Italy nel mondo”.

 

La Marzocco

Macchine tradizionali: dalla leva a oggi

Fino a qualche decennio fa, le macchine per espresso erano ben diverse da quelle di oggi. La maggior parte dei macchinari era a leva, tipologia ancora diffusa in tanti bar napoletani tradizionali e che lavora a temperature più elevate. In queste macchine l'infusione avviene nel momento in cui si abbassa la leva e l'acqua bagna il caffè a una temperatura ben sopra i 95/96°C (livello massimo a cui può essere estratto l'espresso) ed è pressoché impossibile garantire un prodotto costante: la leva infatti verrà abbassata da ogni barista in maniera diversa ogni volta e la pre-infusione – e la seguente estrazione – proprio perché frutto di un lavoro manuale, sarà sempre differente. I due parametri fondamentali (temperatura e pressione) non possono così essere sotto il controllo attento dei baristi.

 

Macchina a leva

Fra i primi a introdurre il sistema a pompa (quello della maggior parte dei macchinari attuali), la Nuova Simonelli, rispondendo alla necessità di produrre in serie garantendo qualità costante: “Con le macchine a pompa si evita il lavoro fisico del barista. In breve, si ottimizzano i tempi e si ottengono risultati migliori”, spiega il direttore marketing Maurizio Giuli. Un'innovazione significativa è anche quella introdotta da Dalla Corte nel 2001: la tecnologia a gruppi indipendenti monoblocco applicata alla macchina Evolution, che segna un vero punto di svolta per le macchine espresso: “I gruppi che erogano l’espresso sono indipendenti dalla caldaia e tra di loro. Così possono essere regolati a differenti temperature, assicurando la massima costanza termica e permettendo un notevole risparmio energetico”, comecertificato da IMQ - Istituto Italiano del Marchio Italiano di Qualità.

La formazione dei baristi

Ovviamente in commercio non esistono solo macchine di ultima tecnologia, ma anche gamme più semplici e tradizionali, in grado di produrre comunque una buona bevanda: ogni azienda ha le sue linee di prodotti, più o meno costosi, ma il macchinario da solo non è sufficiente. Occorre una buona materia prima, una manutenzione curata e scrupolosa. Per questo le aziende si occupano della formazione dei baristi. C'è la scuola di Nuova Simonelli, con l'unico centro italiano abilitato per l'erogazione di corsi Q-Grade (percorso di alta specializzazione nel settore del caffè che abbraccia l'intera filiera del prodotto, dalla piantagione alla tazzina finale), ma c'è anche l'Accademia del Gruppo Cimbali nel Museo della macchina per caffè e lo Spazio Candiani di Dalla Corte, che prende il nome dall'omonima via meneghina, in una sede che ospita eventi, corsi, incontri sul mondo del caffè. Sanremo ha una scuola interna in cui insegnano diversi trainer e Q-Grader specializzati, “per garantire la massima formazione in tutti i campi”,e Rancilio un proprio Training Center dove è possibile seguire i vari moduli del Coffee Diploma System, percorso formativo di SCA (Specialty Coffee Association of Europe). Inoltre, “offriamo un supporto pratico e concreto ai nostri concessionari per renderli autonomi nella gestione delle attività di commercializzazione, installazione, manutenzione e riparazione delle nostre macchine”, aggiunge Simona Sordelli, responsabile marketing e comunicazione di Rancilio. Nel comune di Assago (Milano) La Marzocco ha invece intenzione di creare un punto d'incontro per addetti ai lavori e appassionati, un polo d'interesse dove confrontarsi e scambiare opinioni, e dove seguire lezioni sul caffè.

 

Dalla Corte, Spazio Candiani

La manutenzione e l'igiene dei macchinari

Dopo aver imparato a estrarre bene la bevanda, il barista deve essere in grado di pulire e mantenere la macchina sempre in ottime condizioni. “La migliore macchina non può erogare un espresso di qualità se i suoi gruppi, filtri e portafiltri sono sporchi, come pure il macinacaffè: le incrostazioni che vi si formano rilasciano sentori di rancido o un amaro intenso di bruciato”, spiega Paolo Dalla Corte. Ogni quanto pulire la macchina da espresso? “Quotidianamente con prodotti appositi” e l'igiene è fondamentale anche nei macinacaffè, “che vanno puliti a dovere ogni 2-3 giorni”, e nella tramogia (contenitore dei chicchi, spesso chiamato erroneamente 'campana') le cui pareti devono essere sempre trasparenti. E così via per i portafiltri e tutti gli strumenti del mestiere. Oltre a una maggiore qualità della bevanda, “una pulizia costante garantisce anche maggiore funzionalità della macchina stessa”. Perché non bisogna dimenticare che il caffè “è una sostanza molto oleosa, i cui composti lipidici possono accumularsi all’interno della macchina e formare un residuo rancido, responsabile dell’odore acre che spesso viene emanato dalle attrezzature non correttamente pulite”, spiega Simona di Rancilio. È pressoché impossibile per un fornitore di macchine avere il controllo di tutti i bar nella Penisola, ma per ottenere i risultati migliori deve esserci un rapporto diretto e aperto, di confronto e aiuto reciproco fra baristi e produttori.

Il comodato d'uso

Parlando di macchine per espresso bisogna affrontare il tema del comodato d'uso, una formula molto comune in Italia (ma non solo) che consiste nel prestito dei macchinari da parte delle torrefazioni. I baristi acquistano il caffè e ricevono in dotazione anche la strumentazione necessaria, restando però legati e dipendenti dalla torrefazione per il tempo dell'attività. Una pratica molto diffusa che rappresenta però un risparmio solo apparente: le macchine restano infatti di proprietà delle torrefazioni e il barista è obbligato a consumare ogni mese un numero preciso di caffè accordato con il gestore, a prescindere dalle esigenze del locale. Per un'azienda che ha come obiettivo la qualità la formula del comodato d'uso può risultare sconveniente, ma non sempre: “Per noi rappresenta solo un altro canale di vendita”, commenta Simona di Cimbali, “così come la vendita diretta. Il comodato d'uso in alcuni casi può essere necessario per iniziare un'attività, quello che conta è utilizzare al meglio le macchine e trattare il caffè con rispetto”.

Nuove macchine, scuole e sempre più ricerca

Un settore in fermento, quello delle macchine per espresso, dove c'è grande impegno per diffondere la cultura dell'espresso di qualità e in cui si fa molta ricerca su macchinari e tecniche sempre più all'avanguardia. Di pari passo con l'evoluzione del mondo del caffè. “Lavoriamo costantemente per migliorare i nostri prodotti e crearne di nuovi”, afferma Simona, “soprattutto in previsione di Host 2017”, la fiera di Milano dedicata all'ospitalità che rappresenta una grande opportunità di confronto e di promozione per i professionisti del caffè. “Al momento abbiamo 50 brevetti attivi e abbiamo intenzione di aumentare ancora questo numero, ma per ora non sveliamo altro”. Lavoro anche sulle altre strumentazioni: “Siamo in procinto di presentare un nuovo macinino dalla tecnologia avanzata, in grado di facilitare il lavoro del barista, ma per ora non possiamo rivelare altre informazioni perché il progetto è sotto brevetto”, spiega Carlo di Sanremo.

Novità in arrivo anche da Nuova Simonelli con un progetto di formazione e ricerca in collaborazione con l'Università di Camerino: si chiama International Hub Coffee Research and Innovation e si propone di diventare un polo per tutti i gli addetti ai lavori che vogliano scoprire qualcosa in più sui principi fisici che si celano dietro l'estrazione del caffè. “Abbiamo tenuto da poco una prima conferenza con Chahau Yeretzian, uno dei ricercatori più qualificati del settore, ma ce ne saranno a breve molte altre per coinvolgere quanti più professionisti possibili” e anche in questo caso, il progetto sarà presentato in occasione di Host. Ci sarà poi la scuola di formazione de La Marzocco, con lo sviluppo parallelo di eventi e serate per baristi, torrefattori, importatori ma anche per appassionati e consumatori, per avvicinare sempre più il pubblico a questo prodotto. E proporre sempre il meglio che, come afferma il team Dalla Corte, si traduce in una “continua e costante ricerca per la tazza perfetta”.

Dalla Corte | Baranzate (MI) | via Zambeletti, 10 | tel. 02 45486443 | www.dallacorte.it/

Gruppo Cimbali | Binasco (MI) | via A. Manzoni, 17 | tel. 02 900491 | www.cimbali.it 

La Marzocco | Scarperia (FI) | via La Torre, 14 h | tel. 05 5849191 | global.lamarzocco.com/it/

Nuova Simonelli | Belforte del Chienti (MC) | Via M. D'Antegiano,6 | tel. 07 339501 | www.nuovasimonelli.it/it/

Rancilio | Villastanza di Parabiago (MI) | viale della Repubblica 40 | tel. 03 31408200 | www.ranciliogroup.com

Sanremo Coffee Machines | Vascon di Carbonera (TV) | via Bortolan, 52 | tel. 04 22448900 | www.sanremomachines.com/

a cura di Michela Becchi


San Pellegrino Young Chef, le novità della terza edizione e la giuria italiana

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Torna la competizione internazionale che valorizza i giovani chef under 30 più talentuosi al mondo. San Pellegrino Young Chef - giunto alla terza edizione e ormai punto di riferimento per le nuove leve della cucina gourmet - cambia la sua formula e si rinnova. Ecco le novità e i nomi della giuria italiana del concorso.

San Pellegrino Young Chef, le novità della terza edizione

Iscrizioni aperte il 1 febbraio e tante novità in cantiere. A partire dalle fasi del contest, che si allungano per permettere ai candidati di lavorare più a lungo a fianco dello Chef Mentor assegnatogli, in modo da perfezionare ulteriormente le proprie creazioni. Per la prima volta, infatti, l’intera competizione durerà 18 mesi, da gennaio 2017 a giugno 2018, quando si celebrerà il “Gran Finale”.

Dal 1 febbraio al 30 aprile 2017, i giovani chef potranno candidarsi con il loro signature dish mentre, dal 1 giugno, tutti i candidati idonei saranno suddivisi in 21 aree regionali in base alla propria provenienza. E qui la seconda novità: gli organizzatori hanno inserito una nuova regione (prima erano 20), “America Centrale - Caraibi” , con l’obiettivo di ampliare il raggio d’azione della competizione. Da quest’anno inoltre, l’iscrizione potrà essere effettuata non solo in inglese ma anche in lingua spagnola, cinese mandarino, francese e italiano.

Una volta selezionati i 10 migliori finalisti scatterà la terza fase, quella dedicata alle local competition: dal 7 giugno al 31 dicembre 2017 i dieci semifinalisti selezionati per ognuna delle 21 aree geografiche si sfideranno in una serie di semifinali locali. Saranno giudicati da una giuria locale, composta da chef di alto livello, che giudicherà le creazioni sulla base delle Golden Rules, le 5 norme stabilite dalla competizione. Da questa sessione usciranno i 21 finalisti, che raggiungeranno Milano per sfidarsi nella finale mondiale. Il vincitore sarà selezionato dai “7 saggi”, una giuria internazionale composta da 7 chef.

 

La giuria italiana

Ecco la giuria italiana della prossima edizione di S.Pellegrino Young Chef: i membri si presenteranno durante la prossima edizione di Identità Golose, in programma a Milano dal 4 al 6 marzo, dove i giovani chef potranno anche iscriversi ufficialmente alla competizione (oltre al form on line disponibile sul sito del contest).

A giudicare i piatti dei dieci finalisti italiani saranno Cristina Bowerman (Glass Hostaria, Roma), Caterina Ceraudo (Dattilo, Strongoli), Loretta Fanella (Opéra, San Miniato), Carlo Cracco (Cracco, Milano), Ciccio Sultano (Duomo, Ragusa Ibla) e Anthony Genovese (Il Pagliaccio, Roma). Il loro compito è quello di scegliere chi rappresenterà l’Italia al Gran Finale di giugno 2018. Sarà invece Anthony Genovese lo Chef Mentor che accompagnerà con i suoi consigli il finalista italiano preparandolo alla sfida con gli altri 20 talent under 30.

www.sanpellegrino.com/youngchefapplication

 

 

a cura di Francesca Fiore

 

 

 

 

Condividere by Lavazza a Torino. Il ristorante firmato Ferran Adrià con l'italiano Federico Zanasi

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Aprirà solo nel 2018, ma all'ombra della Mole cresce l'attesa per l'inaugurazione del ristorante firmato Adrià nel nuovo quartier generale di Lavazza. E trapelano indiscrezioni più concrete: sarà il modenese Federico Zanasi il volto di Condividere, e proporrà una cucina para compartir che recupera la storia gastronomica d'Italia. Al lavoro sugli spazi – informali, colorati, onirici - Dante Ferretti.   

Aspettando Adrià

Manovre di avvicinamento in vista dell'apertura più chiacchierata di Torino. Era la fine del 2015 quando per la prima volta la notizia di un arrivo eccellente all'ombra della Mole faceva impennare le quotazioni gastronomiche di una città già molto ricca di stimoli e ristoranti di qualità. Nel quartier generale di Lavazza in costruzione – zona Aurora, east end torinese al di là della Dora, a cura di Cino Zucchi, per 100 milioni di investimento complessivi – sarebbe sorto pure un ristorante firmato Ferran Adrià, sulla scia di una collaborazione ultradecennale con il gruppo del caffè, che proprio nell'ambito del progetto Nuvola avrebbe trovato un ulteriore e più solido appiglio. Allora già circolava la voce che il ristorante avrebbe occupato gli spazi dell'ex centrale elettrica adiacente al nuovo edificio (la cosiddetta “Cattedrale” affacciata su via Bologna), con lo spazio gourmet al primo piano, orchestrato con la supervisione del maestro catalano, ma affidato alle cure di un team di chef italiani. A distanza di oltre un anno, mentre l'headquarter tutto in vetro di Lavazza continua a crescere nel grande cantiere di Aurora, arriva il nome dello chef che guiderà la cucina di Condividere – come si chiamerà il ristorante – anticipato dal Corriere della Sera.

Condividere con Federico Zanasi

Modenese, 41 anni, Federico Zanasi vanta trascorsi con Moreno Cedroni e più recentemente un ruolo da executive chef all'hotel Principe delle Nevi di Cervinia; ma pure esperienze al Relae di Copenaghen e un riconoscimento come Sous chef dell'anno attribuitogli nel 2011 da Identità Golose, quando era a Senigallia. Ma per conoscerlo Torino dovrà attendere ancora: l'apertura, dopo le indiscrezioni iniziali che fissavano la data di consegna ai primi mesi del 2017, è slittata al 2018. E l'aspettativa cresce in funzione dei nomi coinvolti nell'impresa: il ristorante, infatti, potrà vantare interni disegnati dal premio Oscar Dante Ferretti, chiamato per lavorare su un diverso concetto di architettura urbana, colorato, onirico e scenografico quanto basta per sposare il modello Adrià (si pensi al fantastico mondo di Tickets a Barcellona, o al parco gastronomico di Ibiza, senza dimenticare il recentissimo esordio di Enigma). Imponente lo spazio – accessibile da una piazza giardino che metterà in comunicazione i diversi ambienti, il centro congressi, le aree per la vendita, gli spazi culturali - a disposizione: 500 metri quadri dove “la maestosità del luogo dialoga con il piacere di stare insieme”, dice Ferretti, con un'area dedicata ai dolci, e uno spazio ovviamente intitolato alla coffee experience, dove protagonista sarà il caffè Lavazza, per un fine pasto cui sarà attribuita la stessa importanza dell'apertura cena.

 

Alta cucina per tutti. Para compartir

Sempre più a fuoco anche il tema gastronomico, con la missione di onorare l'insegna: “condividere” come esperienza “para compartir” di alto livello gastronomico in uno spazio che invita gli ospiti a stare a proprio agio, con le portate servite al centro del tavolo, per una nuova modalità di consumo ispirata alla condivisione informale dei piatti d'autore. E niente menu degustazione. “Per mettere al centro l'uomo e le sue esigenze di socialità” ha spiegato Adrià illustrando il progetto; “Una vera Food democracy” gli fa eco Zanasi “dove tutto nasce da uno studio sistematico delle materie prime italiane, dal racconto della loro origine, dalla spiegazione della loro storia e della loro evoluzione”. Valorizzando quindi l'eccellenza delle materie prime locali e la capacità tecnica. In pieno stile Adrià, per chi ha avuto la fortuna di conoscere a tavola il genio dello chef negli anni di El Bulli, e in tutte le sue avventure successive, firmate a quattro mani con l'altrettanto talentuoso Albert. Dal canto suo Zanasi, racconta al Corriere, ha dovuto calarsi nella parte: due anni in Spagna alla scuola Adrià, “per essere formato a 360 gradi su tutti gli aspetti della ristorazione”.

 

Tecnica, storia, passione. Il modello Adrià

E presso la Fondazione elBulli ha approfondito la metodologia Sapiens, analizzando per mesi la storia della cucina italiana, con il supporto dell'università gastronomica di Pollenzo. Nei prossimi mesi si continuerà a lavorare per perfezionare il menu, con la consapevolezza di avere gli occhi puntati addosso. E la voglia di realizzare uno spazio alla portata di tutti - “un ristorante tanto democratico quanto unico nel suo genere” conferma Giuseppe Lavazza - in dialogo con la città di Torino. Zanasi, si legge sulla comunicazione diramata da Lavazza, è la persona giusta: “Ferran Adrià e Lavazza hanno visto in Federico Zanasi la giusta determinazione per intraprendere una avventura insolita, rischiosa e altamente stimolante: il lavoro metodico, l'apertura mentale alla novità, lo spirito di adattamento e la voglia di voltare sempre pagina per scoprire qualcosa di nuovo, ne fanno la persona giusta per dare vita a un nuovo capitolo di gusto”. E Federico ricambiacon una dichiarazione di stima incondizionata:“Ho dimostrato a Ferran tutta la mia determinazione e la voglia di sorprenderlo. È un guru che inventa la passione, la analizza e la mette al servizio degli altri”. 

 

a cura di Livia Montagnoli

Il Messico di Jorge Vallejo. La sfida sostenibile di Quintonil: memoria, estetica, umiltà

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La cucina moderna messicana vive un rinascimento da qualche anno a questa parte. Tra i protagonisti della ristorazione nazionale Jorge Vallejo ha portato il suo Quintonil alla dodicesima posizione nella 50 Best, primo tra le insegne messicane che contano. La sua storia, dal maestro Enrique Olvera al progetto di vita con Alejandra. Moglie e compagna di avventura. 

Quintonil. Un progetto di (per la) vita

Quintonil in messicano sta per amaranto, o qualcosa che nella nostra alimentazione ancora piuttosto scettica verso la cosiddetta gastrobotanica (eppure quante erbe spontanee portavano in tavola le nostre nonne!), gli assomiglia molto. E nel Paese che da secoli poggia la propria storia gastronomica sulla conoscenza, quasi magica, dell'universo delle quelites (le piante endemiche molto diffuse nella cucina contadina messicana di un tempo), intitolare un ristorante a una delle più note piante commestibili locali è una chiara dichiarazione di intenti. Quintonil è il progetto di vita di Jorge Vallejo e Alejandra Flores da cinque anni a questa parte, “una storia bellissima che condividiamo con mia moglie, e siamo giusto all'inizio”. A long story short, come piace dire a lui – oggi tra gli chef della cucina contemporanea messicana più apprezzati nel mondo – nel tentativo di incontrarsi a metà strada tra due mondi linguistici, ricorrendo al passepartout dell'inglese. E una storia bella da ascoltare, oltre che da vivere, forse proprio per la semplicità con cui si dipana il racconto, non per questo privo di colpi di scena. Come quando un anno fa, in occasione della cerimonia di premiazione della World's 50 Best Restaurants 2016, a New York, Quintonil ha raggiunto il dodicesimo posto nella classifica dei migliori: il piazzamento più alto per un ristorante messicano. Jorge che supera il maestro, quell'Enrique Olvera primo motore del rinascimento della cucina messicana che rivendica le sue origini, deus ex machina del Pujol di Città del Messico (di recente completamente rinnovato) e da qualche tempo pure acclamato ambasciatore gastronomico in trasferta nella Grande Mela, con Cosme, per smentire il binomio cucina messicana uguale junk food.

Da Enrique Olvera al successo internazionale

Al suo fianco lo chef appena 35enne si è formato come secondo nel quartiere bene di Polanco, simbolo della rinascita gastronomica di Mexico City, megalopoli tentacolare “che è grande due volte New York e vanta una percentuale di territorio agricolo impressionante, ben il 60% della sua estensione”. E un segno ancora molto tangibile del suo alunnato presso il maestro, che è più un rapporto di stima e amicizia reciproca, salta agli occhi degli ospiti che oggi si accomodano nella sala da 46 coperti in Avenida Newton, “dove le sedie sono quelle dell'inizio, che Enrique ci ha regalato quando abbiamo aperto: lui doveva cambiarle al ristorante, abbiamo approfittato per abbattere le spese”. Umile e sorridente, pur riconosciuto tra i 300 uomini più influenti del Messico, e sempre con un pensiero rivolto alla sua bimba nata sei mesi fa (“per lei voglio impegnarmi per migliore la mia vita e quella della mia città”), Jorge ha sorpreso tutti proprio con l'arma dell'umiltà, alfiere di una cucina povera che non ha paura di mostrare le proprie radici, e anzi va a scoprire la memoria del cibo, “ricco di sapore, dinamico, salutare ed etico”.

Alla sua tavola tutto questo può convivere, come quando nel piatto ti presenta una Crema di zucca con queso quadro, miele di acacia, cannella, peperoncino – il chile, uno dei nostri prodotti più rappresentativi, da apprezzare per le tante sfumature di sapore che restituisce” - e scaglie di tartufo, un'idea che può aprire il pasto o funzionare come dessert: “Cerco sempre di mettere insieme ingredienti umili e prodotti pregiati, per dimostrare che possono convivere benissimo, ed esaltarsi l'uno con l'altro”.

Ingredienti, terra e sostenibilità a Città del Messico

Implicita è la ricerca sul territorio, la collaborazione con i piccoli produttori che coltivano la terra, producono miele e allevano bestiame nell'anello che circonda Città del Messico: “Il miele d'acacia, per esempio, posso trovarlo a soli 25 minuti dal ristorante. Per voi, in Italia, questa vicinanza con la campagna è scontata, ma nelle grandi città del Messico la gente aveva perso l'abitudine a coltivare questo rapporto con la terra. Anche se sono le nostre radici”. L'auspicio di Jorge, che da cinque anni lavora a stretto contatto con i produttori locali e del Chiapas (ma coltiva anche un orto suo per aromatiche e fiori edibili), è che la sua città possa presto rappresentare un modello di sostenibilità da cui tutti traggono beneficio: l'economia che gira grazie a un efficiente (e sostenibile) sfruttamento delle risorse, il sistema alimentare che si riscopre salutare e diversificato, la cultura gastronomica messicana e la ristorazione cittadina che trovano nuovi ambasciatori dell'orgoglio nazionale. Eppure, dati alla mano, Città del Messico, con i suoi 20 milioni di abitanti in un distretto sempre più urbanizzato, è una delle aree più inquinate del mondo. Sicuro che sia una buona idea approvvigionarsi da chi coltiva in città? “Anche per questo abbiamo il dovere, con gli altri chef, di cambiare la prospettiva di crescita di Città del Messico. Riscoprire la vicinanza con la terra ci mette in contatto con le nostre radici e ci permette di migliorare la nostra alimentazione, ma non possiamo ignorare il problema ambientale”.

 

Un futuro migliore. Ricerca e memoria

Ecco perché, insieme all'università locale e agli agricoltori, Jorge lavora per sviluppare un sistema di controllo più efficace della produzione. Per esempio individuando aree privilegiate per la coltivazione, che dispongano di un microclima ideale per lavorare con qualità. Oppure implementando i sistemi di depurazione delle acque del lago Xochimilco, un antico invaso della Valle del Messico, di cui oggi resta una suggestiva (e oltremodo turistica) rete di canali, che i chinamperos utilizzano per l'agricoltura. Situato alla prima periferia della città, l'obiettivo è quello di farne una risorsa importante per l'irrigazione e l'approvvigionamento idrico dei campi. Nel 2015, insieme ai colleghi Virgilio Martinez e Mauro Colagreco, Vallejo ha avviato anche il progetto Origenes, con l'idea di riscoprire, valorizzare e conservare la biodiversità del gusto. E nella cucina di Quintonil questa promessa si rinnova ogni giorno: “Voglio andare dritto al sapore, lasciargli spazio: non mi piace manipolare troppo gli ingredienti. È importante poter mangiare a occhi chiusi, assaporare texture diverse, riconoscere i veri sapori”. E questa è la sua idea di modernità gastronomica, cresciuta in un ambiente familiare - “sono bandite le formalità, da noi puoi venire con tutta la famiglia, per ritrovare lo spirito di una cultura alimentare fatta di condimenti generosi e grandi tegami” - Alejandra in sala e 10 ragazzi in cucina: “Il nostro non è un ristorante pretenzioso, siamo una squadra unita, che si aiuta a vicenda. Ed è mio dovere esserci, devo cucinare ancora molto. Far crescere il nostro progetto”.

Alla tavola di Quintonil. Buon cibo per tutti

Che si nutre di più stimoli, a cominciare da una tradizione fatta più di ingredienti che di ricette: “La cucina messicana non è una cucina da museo, deve evolversi selezionando i prodotti migliori per generare nuovi sapori messicani. Questo è l'insegnamento del mio maestro Enrique Olvera”. Poi c'è la componente visiva, anch'essa fondamentale: “L'innamoramento nasce dagli occhi, non si tratta di estetica fine a se stessa, ma di concedere alla materia prima la possibilità di brillare di luce propria”. E la ricerca, che mette a frutto il periodo trascorso al Noma, durante la formazione: “Per me è molto importante ridurre gli sprechi. Proviamo a utilizzare gli scarti vegetali migliorando la tecnica; per esempio usiamo un'acqua aromatizzata con le eccedenze per cuocere le pietanze. E poi c'è l'urgenza di far stare bene l'organismo: il computo delle calorie deve essere bilanciato, il cibo delizioso ma sano”. Con l'idea di dare il buon esempio, da qualche tempo Quintonil ha inaugurato un servizio di delivery di ingredienti selezionati e ricette che tutti possono preparare a casa: “È un buon modo per chiudere il cerchio: consegnare buon cibo a tutti. Questa è la sfida ora”.

 

Quintonil | Città del Messico | Avenida Newton, 55 | www.quintonil.com

 

a cura di Livia Montagnoli

 

 

 

 

 

Mangiare in montagna, Roccaraso e la Val di Sangro

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Una zona di confine, in cui confluiscono le tradizioni abruzzesi, laziali e molisane. È il territorio di Roccaraso, nell’Alto Sangro, un piccolo borgo che mette al centro della sua vita sociale la valorizzazione della natura e della cucina locale. Per la rubrica mangiare in montagna vi raccontiamo questa località, con i migliori indirizzi mangiare, bere e prendere un buon caffè nei dintorni.

La Val di Sangro

La Val di Sangro rappresenta un itinerario naturale che si sviluppa lungo il corso del fiume Sangro e abbraccia territori diversi. Il cuore della Valle è la parte sud della provincia di Chieti ma, seguendo il corso del fiume, lo stretto percorso abbraccia anche una parte della provincia dell’Aquila, tra Castel di Sangro e Roccaraso, e del Molise. Popolata già in epoche pre-romane, è fra il XVII e il XIX secolo che questo territorio crea la sua fortuna, grazie alle fiorenti attività agricole, ma anche alla nascita di centri culturali di tutto rispetto, che portarono qui Gabriele D’annunzio, ospite dell'amico Pasquale Masciantonio al Castello Ducale di Casoli. Un territorio ricco di biodiversità e risorse naturali, grazie all’incontro fra i fiumi Sangro e Aventino e alla riserva naturale del lago di Serranella, che attira ogni anno turisti e appassionati da tutta Italia.

 

Il parco della MajellaIl parco della Majella

Roccaraso e L’Alto Sangro

La zona su cui ci concentriamo è la parte sud ovest della Val di Sangro, dove fino al 2013 sorgeva la Comunità montana Alto Sangro e altopiano delle Cinque Miglia, poi abolita dalla Regione Abruzzo. Questa porzione di territorio racchiude diversi comuni importanti dal punto di vista turistico, fra cui Roccaraso, Castel di Sangro e Pescasseroli.

 

la Val di Sangrola Val di Sangro

Roccaraso è un borgo di circa 1600 abitanti che vive da sempre di attività agricole e artigianali ma che, nel corso dei secoli, è stata più volte “investita” dalla storia e degli eventi naturali, come il terremoto della Majella del 1706. Fu durante la metà del XX secolo che la cittadina diventa protagonista, suo malgrado, di una vicenda cruciale della seconda guerra mondiale. Il borgo si trovava proprio sulla direttrice della linea Gustav, il sistema di fortificazioni con cui i tedeschi cercarono di fermare l'avanzata degli Alleati dopo lo sbarco a Salerno. Il paese venne completamente raso al suolo dai bombardamenti, che causarono anche la distruzione del teatro costruito nel 1698, uno dei più antichi d'Italia, della chiesa madre, delle case storiche e della torre civica, ultimo resto dell'antico castello di Roccaraso. A parte il borgo medievale di Pietransieri e la chiesa barocca di San Rocco, a Roccaraso resta ben poco da vedere al passato più glorioso. Malgrado le vicende storiche che l’accompagnano, il borgo ha saputo però reinventarsi, puntando su un territorio incredibilmente ricco di risorse, per rilanciare il turismo locale.

 

RoccarasoRoccaraso

Escursionismo e speleologia

La zona è un punto di riferimento per gli amanti delle escursioni, col Parco nazionale della Majella che sa accontentare ogni desiderio e vocazione sportiva. Qui si fa trekking, nordic walking, arrampicate e climbing, grazie alle tante associazioni che svolgono queste attività, prevalentemente nei mesi estivi.

Tra le escursioni più importanti e d'impatto per gli splendidi panorami c'è la Grotta del Cavallone, un itinerario di interesse speleologico che solca la Valle di Taranta, nel cuore del Parco della Majella. Il percorso interno alla grotta si snoda per un chilometro attraversando vere e proprie “sale” che racchiudono innumerevoli stalattiti e stalagmiti: la Foresta incantata, la Sala degli elefanti e lo stupendo Pantheon con la Sala delle statue. La grotta ha anche ispirato un’opera dannunziana, La Figlia di Iorio, e per questo alcuni punti salienti hanno nomi che rimandano al Vate, come la Sala di Aligi, l'Eremo di Cosma o l'Angelo muto.

 

Grotta del CavalloneGrotta del Cavallone

Un'altra meta di rilievo sono le Gole di Fara San Martino, all’interno dei confini della Riserva naturale Fara San Martino Palombaro, una zona molto importante dal punto di vista faunistico. 15 chilometri di corridoi sotterranei, con un dislivello di ben 2.400 metri, storicamente divise in tre parti: il Vallone di Santo Spirito, dove si trova un’ampia grotta naturale; la Macchia Lunga, che corrisponde alla zona centrale; la Valle Cannella, le cui formazioni doliniche ricordano i territori carsici friulani.

 

Piste da sci

Il comprensorio Alto Sangro è più vasta area sciistica dell'Italia centro-meridionale, con 160 chilometri di piste totali per la discesa e 36 impianti di risalita. Tutta la ski-area di Roccaraso offre 49 piste su 78 chilometri solo per lo sci alpino, oltre ai 2 snowpark sulle piste di Vallefura e Pescocostanzo.

La stazione sciistica, che si articola attorno ai Monti di Roccaraso, al Piano Aremogna e a Pizzalto, è collegata direttamente agli impianti di Rivisondoli-Monte Pratello (2012 m). La parte di Aremogna conta in totale 16 impianti che servono 3 piste nere, 14 rosse e 16 blu; nella zona di Pizzalto ci sono 5 impianti con 5 piste nere, 5 rosse e 5 blu. Qui si svolgono numerose gare anche di livello internazionale: nel 2005 ha ospitato le finali maschili e femminili della Coppa Europea e nel 2012 i Campionati Mondiali juniores.

 

Roccaraso - Aremogn, ski passRoccaraso Aremogna

 

Per gli amanti dello sci di fondo 2 i percorsi da provare in questa zona: i 2 anelli da 8 chilometri che partono dal centro di Roccaraso e i 3 anelli liberi da 24 chilometri che partono dalla baita del lago di Castello. Entrambi i percorsi arrivano a Piano Aremogna. Infine, qui c’è anche una forte tradizione di pattinaggio sul ghiaccio, grazie al Palaghiaccio munito di pista olimpica.

 

La cucina di Roccaraso

La cucina del borgo, come tutta quella abruzzese, trae forza e ispirazione dalle attività agricole e pastorali praticate da generazioni, ma è influenzata anche dalle tradizioni laziali e molisane, data la sua posizione. Una cucina semplice, fatta di ingredienti poveri provenienti dalla terra, ma che si combina in piatti robusti dal sapore intenso.

 

Maccheroni abruzzesiMaccheroni abruzzesi

 

La pasta fresca è uno dei punti di forza, tra i formati più tipici i maccheroni alla chitarra, fili spessi e lunghissimi qui chiamati carrati, conditi con il classico ragù con le polpettine o alla molinara (o alla mugnaia che dir si voglia), fili lunghissimi conditi con il ragù di castrato. Anche gli gnocchi sono molto diffusi, insieme ai tacconelli, le sagne e le tajarille, i tagliolini molto sottili che si mangiano con i fagioli oppure si utilizzano nei brodi. Tradizionali sono anche polenta, minestre di legumi, zuppe con verdure locali come orapi (spinaci di montagna) e cicoria selvatica.

 

Arrosticini di pecoraarrosticini di pecora

 

La carne ovina è la regina dei secondi piatti. L’agnello qui viene cucinato in vari modi: arrosto, alla brace, oppure nella tipica cacio e ova, cotto lentamente con olio, aglio e rosmarino e insaporito a fine preparazione con formaggio, uova sbattute e succo di limone, mentre le costolette vengono impanate e cotte al forno. Si consuma anche la pecora, prevalentemente per le ‘rrustelle, cioè gli arrosticini, ma si prepara anche la pecora alla callara o alla cottora, uno stracotto condito con timo, alloro, rosmarino, cipolla e peperoncino.

 

formaggi abruzzesi

 

La porchetta è immancabile nelle feste paesane, ma la carne di maiale si consuma anche insaccata e trasformata in salsicce, di carne e di fegato, o in salami, lonze e prosciutti. Dagli allevamenti di vacche, pecore e capre arrivano anche formaggi come il caciocavallo, le caciotte, i pecorini e le ricotte stagionate, ma anche prodotti più freschi come le giuncate, le burrate e le scamorze.

 

cicerchiatacicerchiata

Tra i dolci più tradizionali ci sono biscotti come i mostaccioli, gli amaretti e gli spumini, ma anche le ferratelle, e poi preparazioni tipiche delle feste come cicerchiata, frappe e pigne pasquali e la pizza dolce, un pan di Spagna bagnato con rum e alchermes farcito con creme di vario tipo.

 

CONSIGLI DALLA GUIDA RISTORANTI D’ITALIA 2017

Caraceni (Alfedena)

Nel borgo di Alfedena, alle porte del Parco nazionale d’Abruzzo, un indirizzo che riesce a coniugare bene la tradizione regionale con la contemporaneità. In mano alla famiglia Di Giulio da generazioni, Caraceni ha un ambiente curato e accogliente, a fianco dello storico hotel in cui si può pernottare. Il menu, prevalentemente di carne, spazia fra i classici della zona e qualche rivisitazione che sa sorprendere il cliente senza disorientarlo. Interessante la proposta di formaggi e salumi, selezionati fra i produttori locali dallo chef Guido. Cantina costruita su etichette regionali. Due Gamberi nell’edizione 2017 della guida Ristoranti d’Italia.

 

Da Giocondo (Rivisondoli)

Un indirizzo aperto dal 1981 che propone cucina abruzzese gustosa e senza fronzoli. L’eredità di Giocondo è portata avanti con passione dalla figlia Giovanna, in cucina, e dalla nipote Elisa, in sala. Il menu è incentrato sui piatti della tradizione e su materie prime di alta qualità, scelti accuratamente dalle due proprietarie. Punto di forza della proposta gastronomica sono i secondi di carne, realizzati a regola d’arte, ma anche i taglieri di formaggi e salumi. Saporiti e invitanti i dolci caserecci. Un Gambero nell’edizione 2017 della guida Ristoranti d’Italia.

 

Osteria del Tarassaco (Rivisondoli)

Un luogo particolare, dove si mangia ma si parla anche molto di cucina, consigliato a coloro che amano gli abbinamenti di qualità, in particolare basati sugli extravergine e sui vini della cantina. Sarà l’oste a guidare i clienti nella scelta dei piatti: qui vige il menù fisso, che cambia secondo le stagioni e l’estro dello chef. Il menu degustazione a 60 euro propone il meglio dei piatti della settimana. Ampia la carta dei vini, con etichette da tutto il territorio nazionale e dalla Francia. Una Forchetta nell’edizione 2017 della guida Ristoranti d’Italia.

 

Reale (Castel Di Sangro)

Niko Romito è un nome che fra gli appassionati di cucina gourmet non ha bisogno di presentazioni: tra i maggiori protagonisti della scena gastronomica contemporanea non solo nazionale. La sua è una cucina di studio e sperimentazione che, partita dalla tradizione, ha toccato vette di ricerca molto personali e di altissimo livello. Non è facile descrivere la proposta del Reale: quella che si fa qui è una vera e propria esperienza gastronomica tutta concentrata sul prodotto, estremamente pura ed essenziale. Citiamo alcuni fra i piatti del pluripremiato chef: mandorle e misticanza alcolica, l’infuso speziato di funghi, estratto di salvia, il piccione fondente e pistacchio, il calamaro pepe rosa e lattuga. Tutto qui è impeccabile, dall’ambiente al servizio, dal menu alla cantina, alle magnifiche stanze in cui soggiornare. Tre Forchette nell’edizione 2017 della guida Ristoranti d’Italia.

 

Spazio - Niko Romito formazione (Rivisondoli)

Nei vecchi locali del Reale, dove Romito ha mosso i primi passi, qualche anno fa è nato Spazio zero. Un ristorante ma, allo stesso tempo, anche un luogo di formazione e sperimentazione. Qui lavorano i cuochi appena diplomati dalla scuola di Casadonna: la perfetta quadratura del cerchio, l’opportunità per i giovani allievi di mettere in pratica quello che hanno imparato e andare anche oltre. Una formula di successo già replicata sia Roma che a Milano. Il menu non è ampio - 4 opzioni per ogni portata - e i piatti sono serviti dagli stessi cuochi in un ambiente informale, semplice ma elegante. Anche la carta dei vini è ridotta e costruita solo su referenze regionali, ma in perfetta sintonia con i piatti. Una Forchetta nell’edizione 2017 della guida Ristoranti d’Italia.

 

Taverna dei Caldora (Pacerno)

Nel centro di un delizioso borgo ai piedi della Majella, la Taverna dei Caldora saprà accontentare gli appassionati di cucina del territorio. Situato all’interno dell’omonimo palazzo cinquecentesco, è un ambiente curato in ogni dettaglio, con una splendida terrazza estiva da cui godere di una vista mozzafiato. Il menu è costruito sui prodotti della terra e sulla carne, valorizzati dalle sapienti mani dello chef, che propone piatti dai sapori puliti e precisi, mai banali e per nulla pesanti. Buoni i dessert della casa. Vini regionali, con qualche etichetta proveniente dal nord Italia. Due Gamberi nell’edizione 2017 della guida Ristoranti d’Italia.

 

CONSIGLI DALLA GUIDA PIZZERIE D’ITALIA 2017

La Fattoria (Roccaraso)

Un indirizzo di riferimento per la pizza napoletana a Roccaraso, guidato dalle abili mani di Giuliano Bucci, già vincitore di diversi campionati mondiali. Il locale è diviso in due: il piano superiore, elegante e curatissimo, è dedicato alla trattoria, mentre quello inferiore, più informale del primo, è lo spazio destinato alla pizza, aperto solo per la cena. Il prodotto è fatto a regola d’arte: farine di elevata qualità, lievitazione naturale e maturazione nell’arco di 48 ore. Gli ingredienti, selezionati fra i migliori produttori della penisola, compongono topping belli e gustosi, dai più classici alle varianti più fantasiose. Uno Spicchio nell’edizione 2017 della guida Pizzerie d’Italia.

 

O Pizzaiuolo (Isernia)

Oltrepassare il confine regionale da Roccaraso è molto agevole: pochi chilometri verso sud e siamo già in terre molisane. Vi consigliamo questo locale di Isernia, dall’aria rustica e intima, che propone una pizza napoletana dal cornicione alto, bruno e soffice. Il menu è abbastanza classico, ma con qualche proposta creativa dello chef, le materie prime sono scelte fra quelle dei produttori locali e i condimenti abbondanti e saporiti. Particolarità del locale, la sala dedicata all’accoppiata sigari e rum e l’angolo enoteca, con possibilità di acquistare bottiglie da portare a casa. Uno Spicchio nell’edizione 2017 della guida Pizzerie d’Italia.

 

CONSIGLI DALLA GUIDA STREET FOOD 2017

Forno Capracotta (Capracotta)

La tradizione è sovrana in questo forno di Capracotta, dove sapori antichi rivivono ogni giorno in profumate pagnotte di semola e di grano duro, fragranti pizze e focacce farcite, panzerotti e grissini artigianali. Tante le tentazioni anche per gli amanti dei dolci, dalle crostate alle torte classiche, passando per biscotti, mignon e pasticceria secca. Possibilità di acquistare creme e marmellate di produttori locali direttamente in negozio.

 

Panificio antichi sapori (Agnone)

Ben 4 generazioni si sono avvicendate in questo locale aperto dal 1915, e da sempre importante indirizzo di riferimento per la produzione di pane, grissini, focacce e pizze. Sfornati a ogni ora del giorno e sempre fragranti, le specialità salate sono il punto di forza di questo forno, che lavora con numeri da record soprattutto a pranzo. Imperdibili i dolci della tradizione locale come le ostie agnonesi, le loffe di Sant’Antonio e i raffaiuoli, ma anche biscotti, torte e dolciumi della pasticceria nazionale.

 

CONSIGLI DALLA GUIDA PASTICCERI&PASTICCERIE 2017

Di Rienzo (Isernia)

Da 40 anni la famiglia Di Rienzo gestisce questa pasticceria con professionalità e competenza, tanto da diventare un punto di riferimento per la città. Qui si possono assaggiare croissant, brioches e altri lieviti da colazione, tutti rigorosamente fatti a mano, selezionando fra i migliori ingredienti. Punto di forza del locale è la pasticceria mignon: tartellette, cannoncini, geli, bignè, tortine e mousse. D’estate anche semifreddi, granite e gelato artigianale. Una Torta nell’edizione 2017 della guida Pasticceri&Pasticcerie.

 

CONSIGLI DALLA GUIDA BAR D’ITALIA 2017

Bar Taccone (Capracotta)

Caffè aromatici e intensi per questo bar di Capracotta, che ha fatto la sua fortuna con le declinazioni di questa bevanda, come il marocchino, gli shekerati, le granite e le creme. Interessanti anche la proposta per la colazione, con croissant farciti di creme artigianali alla frutta, brioches e torte. Per pranzo veloce sosta con tramezzini, panini e pizzette, mentre è molto più ampio l’assortimento salato per l’aperitivo, accompagnato da una lunga lista di cocktail. Due Tazzine e Un Chicco nell’edizione 2017 della guida Bar d’Italia.

 

Caffè Ovidio (Sulmona)

Bar centralissimo che serve un elevato numero di clienti ogni giorno in maniera veloce ma sempre cordiale. I caffè sono pieni e profumati di note floreali, cioccolato e caramello, ma anche l’“orzo attrezzato” (arricchito con crema di latte e cannella o, in estate, con una mousse fredda alla vaniglia) richiama golosi da tutta la città. A colazione fragranti lieviti e mini pasticceria, mentre un angolo è dedicato a tè e infusi, perfetti per la merenda. Offerta variegata per quanto riguarda il pranzo: panini, insalatone, piatti freddi e centrifughe. Una Tazzina e Due Chicchi nell’edizione 2017 della guida Bar d’Italia.

 

indirizzi

Caraceni | Alfedena (AQ) | via Roma, 5 | tel. 0864 87121 | www.facebook.com/pages/Ristorante-I-Caraceni-Alfedena/234882203295994

Da Giocondo | Rivisondoli (AQ) | via del Suffragio, 2 | tel. 0864 69123 | www.ristorantedagiocondo.it

Di Rienzo | Isernia | via XXIV Maggio, 72 | tel. 0865 451164 | www.facebook.com/pasticceriadirienzo

Forno Capracotta | Capracotta (IS) | Via Nicola Falconi, 11 | tel. 0865 949185

La Fattoria | Roccaraso (AQ) | strada statale 17, km 139 | tel. 0864 62980 | www.lafattoria-roccaraso.com

O Pizzaiuolo | Isernia | corso Marcelli, 214 | tel. 0865 412776 | www.ristoranteopizzaiuolo.it

Osteria del Tarassaco | Rivisondoli (AQ) | piazza Garibaldi, 6 | tel. 348 743 4269 | www.facebook.com/OsteriaDelTarassaco

Panificio antichi sapori | Agnone (IS) | via Cavour, 35 | tel. 0865 77137 | www.facebook.com/panificio.patriarca

Reale | Castel Di Sangro (AQ) | piana Santa Liberata | tel. 0864 69382 | www.ristorantereale.it

Spazio - Niko Romito formazione | Rivisoldoli (AQ) | viale Regina Elena, 49 | tel. 393 4636841 | www.nikoromitoformazione.it

Taverna dei Caldora | Pacerno (AQ) | via Umberto I | tel. 0864 41139 | www.facebook.com/pages/Taverna-De-Li-Caldora/220597884620843

 

a cura di Francesca Fiore

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Grandi vini e grandi ristoranti italiani negli Stati Uniti dell'era Trump

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Il paradosso del primo mercato al mondo per il vino tricolore: il più remunerativo e, al contempo, quello con i maggiori margini di crescita. Chicago, New York, Los Angeles e San Francisco: il Gambero Rosso torna negli Usa e premia i migliori ristoranti italiani.

Siamo tornati negli Stati Uniti per quattro tappe di eventi enoici che confermano la via preferenziale per il vino tricolore negli Usa: una corsia solidissima costruita nel tempo con anni e anni di promozione, flussi migratori, e la forza di una ristorazione sempre più autentica e dinamica. Il viaggio negli Stati Uniti è ancora una volta, non solo una boccata d’entusiasmo, ma anche lo stimolo per alzare l’asticella del nostro lavoro di selezione, da una parte, e racconto, dall’altra.

In un settore frammentato come quello italiano, vedere oltre 200 produttori italiani, premiati in Guida, lavorare insieme su una piazza come New York City, confrontarsi, fare sistema e supportarsi l’un l’altro, è qualcosa che dà la forza davvero di quello che può fare il settore. Triplice la direttiva sulla quale si sono strutturati gli eventi: banchi degustazioni per assaggiare le ultime annate direttamente dal produttore, seminari di approfondimento sui premi speciali e primi riconoscimenti ai ristoranti italiani nel mondo, con le anticipazioni della guida alla quale stiamo dedicando le principali attenzioni. Ci ripetiamo, il salto di qualità della ristorazione italiana nel mondo è la chiave per comprendere l’evoluzione del nostro export agroalimentare. E non esageriamo quando vi diciamo che alcune delle cene più stimolanti, alcuni degli impasti migliori con prodotti italiani, le stiamo provando all’estero: dalla Danimarca agli Stati Uniti.

Anche se non è un momento storico semplice, come racconta lo chef dell’Accademia Barilla Alfonso Sanna, che ha realizzato una serie di primi piatti per il pubblico dei Tre Bicchieri al Metropolitan Pavilion (inaugurando così una collaborazione che si replicherà in 12 delle 40 metropoli toccate dagli eventi del Gambero Rosso) “I ristoranti fine dining stanno avendo difficoltà anche qui, per questo abbiamo puntato su un progetto fast casual e specialità regionali. Abbiamo già aperto tre locali a Manhattan, tutti sulla 6th Avenue. Prossimo passo? Ci stiamo espandendo in California: apriremo a Los Angeles e poi scenderemo verso San Diego”.

Taglio del nastro, Chicago

La Windy City ha regalato un clima insolitamente “mite” ai 150 produttori italiani accorsi in città per una delle tappe che negli anni è cresciuta di più per numeri e qualità dei partecipanti. A fine evento, 2000 le persone registrate all’ingresso, con operatori e appassionati anche dagli stati limitrofi: Indiana, Ohio, Michigan e Wisconin. Tra i vini più apprezzati nel seminario con i giornalisti, il Pigato Bon da Bon di Bio Vio, raccontato dal vigneron dell’anno, Aimone Vio, insieme ala figlia, l’enologa di casa: Caterina. Nella capitale della pizza americana - conosciuta come la Chicago Deep Style Pizza, piuttosto generosa nei condimenti - è stata premiata come migliore pizza in città Spacca Napolidi Jonathan Goldsmith, pioniere della pizza verace campana. “L’abitudine qui è di bere vino con la pizza. Abbiamo solo vini del Sud Italia e da adesso in poi voglio concentrarmi solo su vini campani”, racconta Jonathan, che ha già in carta alcuni dei più rari vignaioli della regione. Come migliore selezione di vini tricolore premiato il ristorante Coco Pazzo, uno dei primi ristoranti italiani in città, aperto nel 1992, a focalizzarsi su una cucina di stampo regionale, nello specifico toscana, insieme a una carta profonda e strutturata di sole etichette italiane. “Nell’anno abbiamo modificato la carta, ma devo dire che il pallino per Brunello rimane la costante della nostra clientela”, segnala Tamra Presley Weiss.

La tempesta di NYC

Voli cancellati, scuole chiuse, allarmi meteo a raffica. Eppure, alle 14 del 9 febbraio, in una Manhattan deserta e interamente ricoperta dalla neve, una lunga fila premeva all'ingresso del Metropolitan Pavilion. In sala 203 produttori e oltre 400 vini, per una degustazione senza eguali in città. “È un grande momento per il vino italiano e per gli autoctoni”commenta un euforico Sergio Mottura. “È finita l'era del pinot grigio, il Sud Italia sta recuperando posizioni, la nicchia è sempre di più il valore aggiunto”, commenta Michael Acheson, wine director di Babbo, ristorante italiano della coppia Batali/Bastianich, premiato per la migliore carta dei vini in città: una tra le più articolate e contemporanee selezioni che abbiamo trovato in giro per il mondo. Per dire, a Roma facciamo fatica a trovare qualcosa di simile.

L'altra anticipazione, quella sulla migliore pizzeria in città, rende merito a Ribalta, il progetto di Rosario Procino e Pasquale Cozzolino. Cornicione alto e ben delineato, impasto e soffice e arioso: la versione provolone e zucchine alla scapece ci ha fatto saltare dalla sedia, oltre a uno spaghettone al pomodoro da incorniciare. Sui tanti pizzaioli che stanno aprendo in città, chiosa Rosario: “New York ha 9 milioni di abitanti, senza contare i turisti: c’è spazio per tutti, per lavorare insieme, per aumentare la riconoscibilità e la qualità della pizza napoletana. Il nostro nemico è la pizza americana”.

Santa Monica, vino e motori

Dopo diversi anni, i Tre Bicchieri tornano a Los Angeles, nello specifico a Santa Monica, a pochi metri dal Pacifico. Nuova la meta scelta: il Barkar Hangar con vista sulla pista di decollo dell’aeroporto di Santa Monica. Oltre 1200 persone da tutta l’area con una presenza altissima di ristoratori; Los Angeles ha un bacino infinito di oltre 200 chilometri che supera i 12 milioni di persone e conta un numero altissimo di nuove aperture italiane. Nel corso del seminario sui premi speciali, standing ovation per il Primitivo Contrada Barbatto di Nicola Chiaromonte, nella patria dello Zinfandel. “A mesmerizing wine!”, ovvero “Un vino ipnotizzante!”, è stato il commento ripetuto più volte dalla stampa locale. Apprezzatissimo quanto la riserva di Chianti Classico Le Vigne 2013 di Istine di Agela Fronti, la cantina emergente dell’anno: un vino che materializza il motto di Robert Browning: “Less is more”. Tutta la precisione ed essenzialità di Radda in Chianti nel bicchiere.

L’interesse degli operatori è in crescita sui bianchi e bollicine italiane che stanno conquistando posizioni in tutti i segmenti del mercato californiano, ovvero le tipologie dove abbiamo poche contropartite tra le nostre vigne”, commenta Patricia Decker della testata Wine Along the 101. Oltre 450 le pizze sfornate sul posto dal pizzaiolo Augusto Folliero. Attenzione altissima anche sull'olio extravergine di qualità, in collaborazione con la CIA (Confederazione Italiana Agricoltori) si è svolto un seminario per apprezzarne qualità, guidato da Maria Paola Gabusi, oltre a un ricco corner di assaggi.

Pizza verace, olio di qualità e vino. Sul lato ristorazione italiana, Vito Iacopelli ha ricevuto il premio come migliore pizza di Los Angeles con il suo locale Prova a Downtown LA, aperto da 2 anni e mezzo. Vito è la terza generazione di pizzaioli pugliesi, il suo piccolo locale è il ritrovo degli italiani in città: Vecchia Bari, rapini e salsiccia, è tra le pizze più gettonata; a Piero Selvaggio, proprietario dello storico Valentinoa Santa Monica, aperto nel 1972, va il riconoscimento per la migliore carta dei vini grazie a una collezione di oltre 100 mila bottiglie che non ha eguali sul territorio americano per profondità di annate e varietà; infine, il premio miglior ristorante italiano a Los Angeles, Officine Brera, il nuovo progetto dello chef Angelo Auriana, negli Stati Uniti dal 1985, lo specialista del risotto. “Qui 30 anni fa non sapevano che cos’era il tiramisù. Oggi ne sanno tantissimo, viaggiano molto e c’è un netto ritorno verso una cucina semplice e autentica”, aggiunge Angelo.

San Francisco, la festa

Come di consueto l’evento finale del tour americano va in scena al Fort Mason Center, con l’isolotto di Alcatraz e la nebbiolina del Golden Gate Bridge sullo sfondo. Una fila lunghissima e ordinata ha acceso l'ultima tappa del tour americano. Più di 1800 persone hanno festeggiato l'evento Tre Bicchieri di San Francisco: 140 produttori si sono cimentati con uno tra i mercati più consapevoli e remunerativi al mondo. Mischiati tra gli operatori anche tanti produttori di Napa e Sonoma, accorsi per un confronto nel bicchiere. Dal punto di vista della ristorazione, San Francisco ha pochi eguali in America per numero di indirizzi e qualità media, un aspetto che traina i consumi di vino, incluso quello italiano che può vantare su alcuni tra i migliori locali a livello mondiale.

Le pizze di Tony Gemignani, tra le migliori in città con la sua Tony's Pizza Napoletana,hanno accompagnato i Tre Bicchieri; tra i giovani italiani più promettenti, premiato Michele Belotti, bergamasco, con base a Oakland; mentre Acquerello, miglior ristorante italiano in città nella nuova Guida, è il primo ristorante Usa ad aggiudicarsi le Tre Forchette Tricolore di slancio, il massimo riconoscimento. Aperto nel 1989, offre una delle più raffinante esperienze gastronomiche italiane con una cantina da sogno, fresca e fruibile, e una mano in cucina felicissima, pulitissima negli accostamenti. Sarebbe tra i primissimi posti anche rapportato con il contesto gastronomico in Italia. La chef, lo dice sottovoce, ha origini francesi: è Suzette Gresham, proprietaria del locale insieme a Giancarlo Paterlini.

Per il prossimo anno sarà programmata una tappa in un nuovo Stato, il mercato americano è ancora molto poco esplorato considerando l’esiguità delle rotte battute. C’è tutto l’interno da scoprire, Stati che condividono propensione alla spesa, conoscenza e passione per l’Italia: tre condizioni ideali. Al netto delle preoccupazioni per le politiche protezionistiche di Trump, il Paese più battuto dai produttori italiani è ancora quello più inesplorato. E tra poco meno di un mese si riparte, il circuito si rimetterà in moto il 18 marzo a Düsseldorf:i Tre Bicchieri apriranno la 24esima edizione della ProWein.

Acquerello | San Francisco | 1722 Sacramento St | tel. +1 4155675432 | www.acquerello.com/

Babbo | New York | 110 Waverly Pl | tel. +1 2127770303 | www.babbonyc.com/

Coco Pazzo | Chicago | 300 W Hubbard St | tel. +1 3128360900 | www.cocopazzochicago.com/

Officine Brera | Los Angeles | 1331 E 6th St | tel. +1 2135538006 | officinebrera.com/

Prova | Los Angeles | 8729 Santa Monica Blvd | tel. +1 3108557285 | pizzaprova.com/

Ribalta | New York | 48 E 12th St | tel. +1 2127777781 | www.ribaltapizzarestaurant.com/

Spacca Napoli | Chicago | 1769 W Sunnyside Ave | tel. +1 7738782420 | www.spaccanapolipizzeria.com/

Tony's Pizza Napoletana | San Francisco | 1570 Stockton St | tel. +1 4158359888 | tonyspizzanapoletana.com/

Valentino | Santa Monica | 3115 Pico Blvd | tel. +1 3108294313 | valentinosantamonica.com/

a cura di Lorenzo Ruggeri

Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri del 23 febbraio

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