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Nuove aperture a Milano. Orientalismi, pop up, ramen bar e il Perù gourmet di Quechua

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Mentre i grandi colossi della ristorazione veloce made in Usa si preparano a invadere il centro città, a Milano si delinea con insistenza la mania del ramen bar, da Misoya alla Bottega di Toridoll, a Tatsu Ramen. Tra le curiosità il bistrot dedicato al tè matcha, la cucina del Nord Est e il peruviano gourmet. 

Aspettando Cracco in Galleria. KFC sfida Starbucks

Come si è aperto il 2017 gastronomico di Milano? Le aspettative dei prossimi mesi convergono inevitabilmente in Galleria, dove tra l'estate e l'autunno prossimi si annuncia l'inaugurazione del nuovo, magniloquente Cracco che regalerà lustro ulteriore al salotto della città. I lavori procedono già da qualche settimana, mentre diversa sarà la sorte designata per gli spazi commerciali adiacenti, in scadenza di contratto: Palazzo Marino ha sancito un giro di vite che garantirà la concessione nel rispetto della massima valorizzazione del patrimonio immobiliare e secondo il principio di differenziazione merceologica. Quindi spazio eventuale per la vendita di prodotti alimentari d'alta gamma, ma veto assoluto per l'attività di ristorazione. Intanto però, fuori dalla Galleria, il panorama ristorativo meneghino non sembra conoscere requie. Cominciando proprio qualche passo più in là dagli ingenti investimenti di colossi internazionali del settore come Starbucks (in piazza Cordusio col tramite di Percassi, ma questa è storia già nota anche se l’apertura – ora prevista anche a Roma – è posticipata a giugno 2018) e KFC, che solo negli ultimi giorni ha ufficializzato l'apertura entro l'estate di un grande fast food nel palazzo a tre piani tra piazza Duomo, via Torino e via Mazzini, di proprietà della società immobiliare di Baldassarre Monge, dietro pagamento di un affitto annuale da capogiro: 2 milioni di euro per garantire pollo fritto vista Duomo a milioni di turisti che ogni anno affollano l'attrazione turistica simbolo di Milano. I lavori sono già cominciati, a Kentucky Fried Chicken si prepara in grande stile al suo esordio in centro città, dopo tre aperture ravvicinate nel tempo al Centro di Arese, ad Assago e al Bicocca Village.

È ramen mania

Non solo di fast food e format a stelle e strisce si vive, però, e l'appetibilità di una piazza in costante rinnovamento si misura anche per il potenziale che è in grado di esercitare su grandi investitori, intercettando nuove tendenze. Questo è successo con Toridoll, corazzata asiatica della ristorazione veloce (ma non solo) che oggi conta nel mondo oltre 1200 ristoranti. A Milano il piano di espansione sarà rapido, sfruttando il traino di una moda gastronomica che non risparmia più nessuno; largo dunque alla prima apertura della serie, la Bottega del Ramen di via Vigevano, che aprirà al pubblico il 16 febbraio (a marzo, dalla stessa proprietà, arriva anche Tokyo Table, trattoria nipponica con qualche elemento di originalità in più), con un menu che approfondisce da una prospettiva ancora diversa la cultura del ramen – perché ognuno lo propone a modo suo – in un panorama cittadino sempre più affollato di insegne che declinano il tema, dai precursori CasaRamen (ora al raddoppio con CasaRamen Super) e Zazà Ramen, a Ryukishin e Mi Ramen. Gli ultimi arrivati sono Misoya, proprio a pochi metri da Zazà, e Tatsu Ramen, inaugurato qualche giorno fa in corso di Porta Romana, con una grafica che strizza l'occhio alla cultura degli anime giapponesi, cucina a vista e consueta carta di ramen diversificati per brodo e topping.

Dal tè matcha al Perù

Si resta in Oriente con la proposta del Macha Cafè, bistrot-bar dedicato al tè matcha, che i giapponesi riconoscono per tradizione come rimedio calmante e vitaminico, ricco di antiossidanti, nonostante una percentuale di caffeina superiore alla media dei tè. L'idea è di Tunde Pecsavari, già proprietaria a Milano del ristorante giapponese Bento, l'estetica è quella di un caffè nord europeo, dove si arriva (in zona Fondazione Feltrinelli) per rilassarsi sorseggiando una tazza di matcha, ma si può anche mangiare. Colazione dolce o salata, pranzo veloce con pancake, avocado burger, toast, sushi, tutto accompagnato dal tè. E per l'aperitivo cocktail insoliti che sfruttano le qualità del matcha. Ancora etnico, ma dall'altra costa del Pacifico, in via Meda, con Quechua, Alta Cucina Peruviana. Il ristorante inaugurato appena poche ore fa porta la firma di Rafael Rodriguez, e come Pacifico (che in via Moscova declina la filosofia del pisco bar con ceviche), si propone di far scoprire alla città la cucina peruviana gourmet. Tre i menu degustazione: 65, 75, 85 euro per l'interpretazione tradizionale, la moderna e il percorso dello chef.

Mangiare a Milano. Dalla colazione al dopocena

Decisamente fuori dagli schemi, invece, l'idea di Mot, recentemente ripensato (e ristrutturato in veste di moderno bistrot) in quel di Brera, dove l'acronimo dell'insegna sta per Maiale, oca, trota. Nessuna burla, solo la somma di alcune tra le specialità più note del Nord Est Italia: tre ingredienti in arrivo dai produttori del territorio che orientano il menu di un bistrot insolito fondato da Claudio Antonini. Tra le proposte di punta le verticali tematiche di Oca – dal tagliere di salumi ai ravioli d'oca al burro di malga, alla tagliata d'oca – Maiale – tra lardo di mangalica e mortadella, gnocchi con prosciutto San Daniele e stinco al forno – Trota – in tartare, uova, mousse, saor, in lasagna e cotta al vapore con verdure – in abbinamento vini del Nord Est e birre artigianali. Ma c'è anche il mot dog artigianale in tre varianti. Attitudine più mondana e notturna, invece, per Nik's & Co, ispirato nel nome e nel logo al proibizionismo americano. Alla guida quattro giovani soci e uno chef, Giovanni Spina, con trascorsi da Enrico Bartolini e Trippa. Mentre a stilare la drink list ha collaborato il barman Franco Tucci Ponti, con l'idea di valorizzare i prodotti della tradizione italiana, come i vermouth.

Il pop up di Cir a Scalo Milano. Con gli chef Chic

Di nuovo un grande gruppo della ristorazione, stavolta italiano, per chiudere la rassegna. C'è il nome di Cir Food (lo stesso che a Torino gestisce l'offerta gastronomica del grattacielo di Renzo Piano) dietro all'Aromatica Restaurant Lounge Bar di Scalo Milano, area commerciale di Locate Triulzi. Il format è stato elaborato in collaborazione con Chic, Charming Italian Chef e ospiterà uno chef diverso ogni mese. A partire da Matteo Sacco del Piccolo Lago di Verbania, che il 15 febbraio lascerà il testimone a Enrico Gerli, dei Castagni di Vigevano.

 

La Bottega del ramen | Milano | via Vigevano, 20 | dal 16 febbraio | tel. 02 89410258

Casa Ramen Super | Milano | via Ugo Bassi, 26 | dalla fine di febbraio

Misoya | Milano | via Solferino, 41 | tel. 02 83521945 | www.misoya.net

Macha Cafè | Milano | viale Crispi, 15 | tel. 02 45473046 | www.machacafe.it

Tatsu Ramen | Milano | via Orti, 2 (angolo Corso di Porta Romana) | tel. 02 5461245 | www.tatsuramen.it

Quechua | Milano | via Giuseppe Meda, 29 | tel. 02 84800794 | www.quechuaristorante.com

Mot Bistrot | Milano | via Moscova, 25 | tel. 02 36631450 | www.motbistrot.it

Nik's & Co | Milano | via Schiaparelli, angolo via Copernico | tel. 02 91571797 | www.niksandco.it

Aromatica Restaurant Lounge Bar | Locate Triulzi (MI) | Scalo Milano, via Milano, 5 | tel. 02 90730653 | www.aromaticarestaurant.it

 

a cura di Livia Montagnoli


Dalle Dolomiti alla Val D'Orcia. La famiglia Costa all'Hotel Posta di Bagno Vignoni, con chef Laera

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Dagli anni Sessanta la famiglia Costa guida l'hotel La Perla di Corvara in Badia, circondato dalle Dolomiti. Eccellenza dell'ospitalità (e della cucina) alpina, l'albergo vanterà a breve – dal 9 aprile – un pendant toscano, tra le acque termali di Bagno Vignoni. È lo storico Hotel Posta: lascia la famiglia Marcucci, arrivano i Costa. E in cucina la supervisione di Nicola Laera. 

In viaggio. Dalle Alpi alle colline toscane

Val Badia e Val d'Orcia sono due felici ecosistemi italiani che tutto il mondo ci invidia. Palinsesti rocciosi che riflettono il ciclo delle stagioni lassù, in una delle valli altoatesine più a Nord della Penisola, pendenze morbide e orizzonti addolciti dal sali e scendi delle colline senesi tra i borghi toscani più conosciuti dagli amanti delle acque termali. E Bagno Vignoni, con la sua peculiare configurazione urbanistica – tutto l'abitato si raccoglie intorno alla vasca/fontana termale, la “piazza delle sorgenti” di origine cinquecentesca – è oggi un'attrazione turistica di grande richiamo. Tanto che la minuscola frazione di San Quirico D'Orcia, circondata dal bel Parco dei Mulini, ha finito per trasformarsi in un centro d'ospitalità molto ambito, quando non addirittura in perfetto set cinematografico. E l'Hotel Posta Marcucci, che guarda sulla valle verso la Rocca di Tentennano, Montalcino, Pienza, Radicofani e il Monte Amiata, rappresenta la storia dell'ospitalità a Bagno Vignoni, un tempo, alla metà dell'Ottocento, semplice locanda con rivendita di alimentari e recapito postale, dalla metà degli anni Settanta struttura alberghiera di charme e rifugio per viaggiatori in cerca di relax e benessere. Con impianto termale – e acque benefiche che naturalmente fluiscono a una temperatura di 49° - annesso: una piscina immersa nel giardino, alimentata dall'acqua terapeutica di cui persino Lorenzo il Magnifico e papa Pio II decantavano le lodi. Intorno 36 camere e una dimora dove il tempo sembra essersi fermato, che la famiglia Marcucci ha curato e seguito sin dall'inizio, negli ultimi 150 di storia di una delle strutture d'accoglienza più longeve d'Italia.

 

La famiglia Marcucci lascia

Ecco perché l'addio, con la cessione dell'attività e della proprietà dell'albergo alla famiglia Costa, sta facendo molto parlare: in ballo c'è la memoria di un luogo celebre nel mondo, che nelle intenzioni di chi arriva continuerà a vivere di luce propria, “senza trucchi e maquillage inopportuni”. Se Leonardo Marcucci (quarta generazione di albergatori) lascia “con la consapevolezza dell'alta professionalità di chi subentra”, l'esperienza di chi arriva non fa che avvalorare la buona riuscita del passaggio di consegne. Fortuna vuole, infatti, che il colpo di fulmine per l'Hotel Posta sia scoccato nella direzione giusta: dal 9 aprile la struttura di Bagno Vignoni riaprirà le porte sotto la direzione della famiglia Costa, Ernesto, Anni e i loro figli Michil. Mathias a Maximilian, che insieme guidano l'hotel La Perla tra le Dolomiti di Corvara: “è un cerchio che si chiude. Da Corvara alla Val d’Orcia, da patrimonio naturale Unesco a patrimonio mondiale Unesco”, conferma Michil Costa, consapevole che ora la sfida consisterà nel mutuare le buone pratiche che vigono in Casa La Perla per trasferirle tra le colline senesi, con qualche ritocco appena, “ricostruendo la storia, non le mura”, mantenendo in vita il “barrino” degli anni Settanta, i saloni già frequentati da Enrico Berlinguer e Nilde Iotti, gli arredi d'epoca, la suggestione delle terme ora in fase di ristrutturazione. Nel solco di una gestione fatta di concretezza e priva di sfarzo. E perseguendo una cura del dettaglio che passa anche attraverso la cucina.

 

Arrivano i Costa. Con la cucina di Nicola Laera

Del resto la famiglia Costa in fatto di offerta gastronomica ha sempre dimostrato di poter competere con le proposte più valide di ristorazione d'hotellerie, e oggi la Stua di Michil della Perla è una delle tavole più apprezzate dell'arco alpino. In cucina oggi c'è Nicola Laera – pugliese e ladino insieme - con una mano leggera, creativa, perfetta nelle cotture che gli è valsa le Due Forchette del Gambero Rosso e la stella Michelin. Servizio e carta dei vini si confermano all'altezza di un'ospitalità ineccepibile. E se squadra che vince non si cambia, ritrovare Laera alla supervisione della brigata dell'hotel Posta si preannuncia un'esperienza interessante. Cambiano le materie prime, i grandi prodotti della Toscana – olio buono, formaggi, le carni della macelleria di San Quirico, verdure dell'orto, miele, marmellate, lo zafferano della famiglia Brandi, il pane toscano sciocco – resta l'impronta dello chef. Per un viaggio di famiglia che dalle Dolomiti approda in Toscana per raccogliere un'eredità preziosa, e portarla oltre.

Le parole ispirate che Michil dedica al suo nuovo amore fanno ben sperare: “Qualcosa di importante mi ricorda l’anima antica delle Dolomiti. Colline toscane, Dolomiti: il paesaggio è una disciplina in cui la poesia si fonde nella geografia. Qui si alberga in un tre stelle, ma tre stelle di lusso vero. Qui in spazi fascinosi rivivi un tempo altro; guardi quegli ulivi e sei consapevole che la natura va oltre il limite naturale della nostra vita. Qui il paesaggio ti ispira con quella luce che penetra i tuoi occhi. Qui puoi credere in ciò che desideri: dalle benefiche acque a un bacio che ti daremo con i nostri occhi, da una ribollita a un passaporto per il paradiso”. Perché “un giorno senza sorriso è un giorno perso” amano ripetere tra le montagne di Corvara. E ora anche a Bagno Vignoni.

 

Hotel Posta Marcucci | Bagno Vignoni (SI) | via Ara Urcea, 43 | dal 9 aprile 2017 | tel. 0577887112 | www.postamarcucci.it

Hotel La Perla | Corvara (BZ) | strada Col Alt, 105 | tel. 0471 831000 | www.hotel-laperla.it

 

a cura di Livia Montagnoli

Vernaccia di San Gimignano: intervista al presidente del Consorzio Letizia Cesani

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La Vernaccia di San Gimignano, uno dei pochi bianchi toscani in una regione di rossi, da tempo sta programmando il futuro. L’obiettivo è incrementare i margini aziendali, di cementare sempre più il rapporto tra territorio, vino, cultura e conservare una storia e un paesaggio, unici al mondo.

Rara avis in terris – sono davvero rare le donne presidenti di Consorzio - Letizia Cesani è al suo terzo mandato nel Consorzio dei vini di San Gimignano. La prima volta fu nel 2009 e da allora è stata riconfermata ogni volta e non è detto che alla scadenza di giugno 2018 – ammesso che ne abbia ancora voglia – non venga nuovamente eletta. In questo lasso di tempo che ha coinciso con gli anni più duri della crisi economica, sono state molte le questioni affrontate. A partire dallo svecchiamento complessivo dell’immagine della Vernaccia, che oggi è un vino complesso, controcorrente, “slow” rispetto al facile e all’immediato di tanti bianchi. L'abbiamo incontrata per parlare proprio della Vernaccia, nei giorni delle Anteprime.

 

Quando ti capita di presentare la Vernaccia di San Gimignano come la racconti?

È un vino raro e prezioso con lunga storia, che nel mondo si produce solo a San Gimignano. La prima citazione risale al 1276 e per molti secoli, sino al 1900, è stato uno dei vini di riferimento. Poi dai fasti straordinari del passato è entrato in un lungo periodo di oblio durante il quale ha rischiato di seriamente di scomparire. Nel 1966 è stato il primo vino italiano a ottenere la Denominazione di origine controllata (Doc) che ha posto le basi per una lenta e progressiva rinascita. Oggi al Consorzio di tutela aderiscono 110 soci che coltivano 800 ettari di vigneto e producono 5 milioni di bottiglie di Vernaccia, nel frattempo diventata a Docg.

 

Avete da poco festeggiato i cinquant’anni della denominazione. Quali sono i programmi di questa nuova fase del vostro percorso ?

Ci stiamo muovendo su diversi livelli e nell’ultimo periodo abbiamo seminato molto e in molte direzioni. Oltre ai nostri compiti istituzionali quali tutela, promozione, difesa del paesaggio e l’impegno sul fronte della sostenibilità non solo ambientale ma anche etica, abbiamo avviato una ricerca di mercato con l’Università La Sapienza che orienterà le attività di comunicazione e marketing per i prossimi anni. Inoltre abbiamo pubblicato un libro, commissionato ad Armando Castagno, intitolato Vernaccia di San Gimignano – Vino territorio memoriache fotografa ciò che è oggi e narra il suo indissolubile rapporto con il territorio, l'arte e la cultura. Poi abbiamo fatto seminari in giro per l’Italia e all’estero, insieme a continue e attente riflessioni sulla Vernaccia di San Gimignano e il territorio di produzione.

 

Riguardo il centro di divulgazione, invece, cosa può dirci?

Abbiamo vinto il bando per la gestione del Centro comunale di divulgazione e diffusione della Vernaccia di San Gimignano per i prossimi 16 anni. Qui nascerà una sorta di Academy che oltre alle degustazioni si servirà delle più moderne tecnologie audiovisuali per far vivere l’esperienza della Vernaccia a tutto campo. La sede sarà la Rocca di Montestaffoli inaugurata il prossimo 2 aprile.

 

Uno dei problemi più sentiti dalle aziende vinicole è quello della remuneratività che assicura legami saldi con il territorio permettendo concretamente la conservazione del paesaggio e delle tradizioni produttive. A San Gimignano come si vive questo problema?

Attualmente con i prezzi del vino sfuso a 130/140 euro ettolitro non siamo ancora nella dimensione ottimale. Però ci stiamo lavorando: il nostro obiettivo sarebbe di raggiungere almeno i 160 euro. Attualmente la nostra produzione è stabile e leggermente in crescita ma le maggiori difficoltà sono dovute ai costi. Per la gestione dell’offerta stiamo lavorando con il prof. Mattiacci dell’Università La Sapienza per capire come migliorarla anche sul fronte del mercato. In sostanza vogliamo capire cosa fare e come muoversi per incrementare la domanda. Per questo motivo ci stiamo impegnando sul rafforzamento del marchio territoriale e sulla comunicazione.

 

Siete soddisfatti delle Anteprime Toscane e di come vengono gestite?

La formula è ormai consolidata e soddisfa le nostre esigenze di produttori. Insomma è un giudizio molto positivo visti anche i costi equilibrati. Inoltre ci permette di creare un legame con il nostro territorio che a sua volta si presenta con una manifestazione specifica – Anteprima Vernaccia di San Gimignano - nella nostra città.

Oltre alla presentazione dei nuovi vini – ora spetta all’annata 2016 e la Riserva 2015 – il confronto con un vino di un altro paese che tutti gli anni si svolge nella sala comunale, è diventata un’occasione di crescita ma anche di differenziazione rispetto alle altre anteprime. Per la prima volta abbiamo affidato ad non italiano, la MW inglese Rosemarie George, il compito di relatore. Ha scelto i vini de La Clape, denominazione della Languedoc, di cui è conoscitrice così come lo è della Vernaccia di San Gimignano. Sarà un confronto interessante per tutti.

 

a cura di Andrea Gabbrielli

Nuove aperture a Bologna. Il caffè di Brisa, la prima oleoteca in città, la carica dei bistrot naturali e gourmet

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Di fermento gastronomico, ormai, per Bologna è anche superfluo parlarne: che l'attuale ristorazione cittadina valga il viaggio è assodato. Aspettando l'inaugurazione di Bottega Portici, ecco le novità che più ci hanno incuriosito.  

A Bologna l'attesa per la riapertura di palazzo Bega in veste di tavola della tradizione votata alla sapienza artigiana delle sfogline è stata lanciata qualche mese fa dall'annuncio di Riccardo Bacchi Reggiani, general manager di Bottega Portici. E il progetto destinato a trasformare l'ex Casa del Rotary in un polo gastronomico dell'eccellenza emiliana ve l'abbiamo raccontato allora, con dovizia di dettagli. Prima di Pasqua la Bottega Portici 2.0 aprirà i battenti, nel frattempo si fa selezione: sfogline, cuochi, banchisti, baristi e addetti alla caffetteria. La diversificazione dei profili richiesti fa ben immaginare quante prerogative saranno riunite sotto lo stesso tetto nel centro della città. Ma, e l'abbiamo ribadito più volte, è Bologna nel suo complesso a beneficiare di un fermento gastronomico, e di ampio respiro, che la colloca tra le mete d'Italia che sarebbe un peccato non scoprire a tavola. Con sorprese che arrivano inaspettate - la cucina giapponese casalinga di Yuzuya è a pochi metri dalla stazione dei treni – e conferme che avvalorano progetti ambiziosi come l'Osteria Bartolini, che molto ha fatto parlare di sé nella seconda metà del 2016. Intorno c'è un panorama diversificato di nuove aperture, format inediti che trasformano spazi storici della città e raddoppi. A cominciare da una conoscenza nota, il forno Brisa, e la voglia di fare dei ragazzi di via Galliera, che non sembrano conoscere limiti.

Il caffè del Forno Brisa

Il laboratorio che nell'ultimo anno ha cambiato la scena della panificazione bolognese ora è pronto a lanciarsi in un nuovo progetto. Un angolo bar, con uno spazio interamente dedicato al caffè all'interno della stessa panetteria, tutto incentrato sui caffè specialty – chicchi selezionati e tostati a dovere – di qualità. “Ho smesso di bere caffè in Italia tempo fa, dopo aver vissuto per tre anni in Australia, dove il panorama dei bar è completamente diverso da quello nostrano, molto più avanguardista e ricercato”, racconta Enrico Cirilli, fra i soci dell'attività. “Tornato in Italia ho cominciato a frequentare La Bottega delle Delizie, un bar di Bra che utilizza caffè scrupolosamente selezionati ed è stato allora che ho provato uno specialty di RubensGardelli”, quattro volte campione italiano di tostatura. E quell'assaggio ha innescato in Enrico la voglia di studiare e approfondire la materia attraverso corsi di caffetteria presso il bolognese Aroma Caffè, fra i primi bar di ricerca in Italia, e il Bugan Coffee Lab di Bergamo. “Ultimamente abbiamo migliorato molto la pasticceria, soprattutto i prodotti per la prima colazione. Così ho pensato: perché non completare l'offerta con un buon caffè?”. Macchine espresso La Marzocco, caffè monorigine di torrefazioni artigianali del calibro di Gardelli Specialty Coffees, Ditta Artigianale, Cofficina, Piansa, Bugan Coffee Lab, Lelli Caffè e altri ancora, che si alterneranno a rotazione nella carta del caffè di Brisa. L'avventura avrà inizio a fine febbraio, dapprima con i classici espressi e cappuccini per poi poter arrivare (si spera) a inserire anche il caffè filtro.

 

Bistrot contemporanei. Wood Gastrobar

Sul versante della ristorazione, invece, prima di passare alle novità. ci piace segnalare un'insegna che in pochi mesi sembra già aver trovato la quadratura del cerchio. Il Wood Gastrobar è un locale orientato alla filosofia green, che somma una serie di punti di forza indispensabili per emergere in un panorama piuttosto affollato. Il locale di via San Vitale, in primis, dal design curato e generoso di superfici in legno e linee minimali. Ma soprattutto la proposta gastronomica, una cucina naturale che non disdegna la carne, ma punta decisamente sugli ingredienti vegetali, con bella prova creativa dello chef. La sera lo spazio di trasforma in un cocktail bar, ma le porte si aprono già al mattino, per un caffè (tanti diversi caffè) con le miscele selezionate da Alberto Trabatti, torrefattore del caffè Penazzi di Ferrara.

Bistrot contemporanei. Camera con Vista

Atmosfera curata, ma informale, anche da Camera con Vista, in piazza Santo Stefano, che da qualche settimana ha aperto all'interno dello storico palazzo Isolani, dove un tempo c'era un negozio d'antiquariato. E la suggestione del luogo, anche ora che è diventato bistrot e cocktail bar, lascia immaginare la storia che fu: esotismi e mobili in arrivo da tutta Europa (disponibili per la vendita), un bel banco in marmo screziato e teche in legno per ospitare la mostra di bottiglie e distillati. Per una quarantina di coperti che lavorano dal pranzo al dopocena, passando per il tè del pomeriggio. La cucina, come riferisce il blog A pranzo con Bea, è affidata a Gabriele De Santis e Claudio Guerra, che non si risparmiano nell'elaborazione di un menu gourmet e molto tecnico, che omaggia i sapori di casa, tra Millefoglie di mortadella e Raviolo con squacquerone, patata e pomodoro fondente, Supreme, riduzione al marsala e cous cous di cavolo e Torta di riso con crema inglese. I cocktail, invece, li prepara Davide De Rose. Apertura no stop 10.30/mezzanotte.

 

La cucina raw di Botanica Lab

Più indietro nel tempo di qualche mese, invece, per chi sposa la filosofia vegan, segnaliamo l'apertura in città di Botanica Lab, che è arrivato proprio sul finire del 2016, che ispirandosi ai dettami del guru Matthew Kenney propone una cucina crudista e plant based. Anna Artesiani proviene da un'esperienza di pasticceria crudista ormai ben avviata, e da un paio di mesi punta sulla ristorazione a tutto tondo in uno spazio pulito, essenziale e piacevole, con cucina a vista. In tavola Gnocchetti di spinaci e ricotta di macadamia, burger di legumi con batata al forno, cipolla caramellata e salse homemade, tartare di rapa rossa, crema di anacardi e zenzero marinato. E c'è pure la versione raw della cassata siciliana! Una bella sfida nella città della mortadella e dei tortellini.

 

L'extravergine di Olieria

Ottime notizie anche per gli appassionati di olio extravergine di oliva: a partire dal prossimo 25 marzo in via Saragozza, a pochi passi da Palazzo Albergati, nasce la prima oleoteca di Bologna. Si chiama Olieria e – come si intuisce dal nome – si tratta di un negozio specializzato nella sola vendita di extravergine di qualità e prodotti affini come conserve, sottoli e olive da mensa. Un'insegna del tutto nuova in città, che porta la firma di Fabio Giurgola, biologo amante della buona tavola, e di sua moglie Cristina, agronoma. Per la coppia, l'olio è sempre stato un ingrediente fondamentale, tanto da spingerli a desiderare di acquistare un uliveto: “Abbiamo poi accantonato questa idea”, racconta Fabio, “e deciso di puntare tutto sulla vendita, proprio perché negli anni abbiamo constatato che, al contrario del vino, per l'olio è molto difficile trovare commercianti capaci in grado di spiegarti il prodotto”. Ed è proprio questo l'obiettivo di Olieria: “Creare un punto di incontro per scambiare opinioni, un polo di interesse per tutti coloro che vogliono scoprire qualcosa in più sull'extravergine”. Con serate a tema, corsi di avvicinamento all'olio, brevi sessioni di assaggio e laboratori dedicati all'abbinamento. Sarà possibile, inoltre, assaggiare gli oli in purezza (con il bicchierino, per intenderci) proprio come in una degustazione ufficiale, ogni volta che si entra in negozio e si desidera acquistare una bottiglia. A curare la selezione di circa 50 etichette da 14 diverse regioni d'Italia, Simona Cognoli, proprietaria di Oleonauta, una delle prime oleoteche a Roma e in Italia e appassionata assaggiatrice che ha portato a Bologna il suo contributo con una consulenza mirata e scrupolosa. Oltre ai nomi noti del panorama olivicolo italiano – da Cosmo Di Russo a Fonte di Foiano, da Titone a Cutrera – Fabio ha scelto anche dei produttori più piccoli “molto validi, su consiglio di Simona”.

 

Wood Gastrobar | via San Vitale, 26a | tel. 392 9697408 | www.woodgastrobar.com

Camera con Vista | Bologna | via Santo Stefano, 14 | tel. 051224268 | www.cameraconvista.it

Botanica Lab | Bologna | via Battibecco, 4/c | www.botanicalab.com

Olieria | Bologna | via Saragozza, 47 c | tel. 345 0684705 | www.olieria.com | dal 25 marzo 2017

Forno Brisa | Bologna | via Galliera, 34 d | tel. 051 248556 | www.facebook.com/fornobrisa/?fref=ts

 

a cura di Michela Becchi e Livia Montagnoli

Crescentine e tigelle. 5 indirizzi a Modena da provare

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Nate nelle montagne del modenese e ormai diffuse anche in città: sono le crescentine, le focaccine da gustare con il battuto di lardo, aglio e rosmarino. Dove mangiarle? Ve lo sveliamo qui.

Nessuno sa con sicurezza se siano arrivate a noi nelle bisacce dei Crociati di ritorno da Gerusalemme, o se si devono far risalire a un periodo ancora più lontano. L’unica certezza è che le tigelle, il cui vero nome è crescentine(le tigelle sono i dischi di terracotta utilizzati per cuocere sulle braci), sono un prodotto tradizionale delle montagne della regione modenese del Frignano, enclavedei nobili Montecuccoli.

 

Oggi si usano come pane da abbinare a salumi sopraffini, ma un tempo le crescentine rappresentavano pane e companatico insieme, costituivano sostentamento delle popolazioni, tanto importanti nella vita quotidiana della comunità che nel basamento dell’altare della chiesa di Montorso vicino a Pavullo (capitale del Frignano appunto, a circa 40 minuti da Modena) sono incastonate alcune tigelle in terracotta di '700 e '800, appartenute alle più antiche famiglie della zona; a suggello del rapporto indissolubile che lega territorio e gastronomia, sacro e profano.

 

Il pane e le focacce, del resto, hanno sempre rappresentato un nutrimento, simbolo stesso del cibo necessario alla vita dell'uomo tanto che, nella Bibbia, il profeta Elia viene esortato da un angelo a spezzare uno dei suoi lunghi digiuni “con una focaccia cotta su pietre roventi e una brocca d’acqua”, mentre nell’Inferno dantesco è il Sommo Poeta a scrivere: “Io vidi due sedere a sé poggiati com’a scaldar si poggia tegghia a tegghia”.

Ma il profumo di tigelle, crescentine, o qualcosa di molto simile a esse, sembra condurci a Federico II di Svevia, guerriero, filosofo, scienziato e gastronomo, che attraversò la Pianura Padana mietendo ricette in ogni dove da consegnare alle biblioteche di tutta Europa durante le sue campagne di conquista. Una, in particolare, raccomanda di impastare “farinam distemperatam cum aqua calida, et misce lardum minutum incisum, sale apposito, et pone in tiolla calefacta, aliam tiellam desuper apponendo”. Le istruzioni sono chiare: farina, acqua, sale e lardo tritato miscelati e cotti fra due tigelle calde. Sembra proprio che ci siamo. Gli ingredienti originali delle crescentine del Frignano non sono poi cambiati in tanti secoli, sempre solo farina, acqua (gassata o naturale), sale, lievito di birra o bicarbonato, mentre per condirle la tradizione parla inequivocabilmente di cùnza, un battuto di lardo, aglio e rosmarino, spalmato in piccola quantità all’interno della crescentina calda spolverata di parmigiano grattugiato, ma naturalmente ci si può sbizzarrire con i salumi più prelibati.

Torniamo a noi: oggi, nel modenese, dove è possibile mangiare le tigelle (pardon crescentine), più gustose e meglio farcite? Ecco cinque indirizzi imperdibili.

 

tigelle beneverchio

Foto di Diego Poluzzi

 

Agriturismo Beneverchio

A Niviano, una frazione di Pavullo, c'è un locale dove la crescentina viene venerata come una regina. La specialità è preparata da Claudia Ori come si faceva un tempo, quando era alla base della colazione contadina, prima che il capofamiglia uscisse di buon’ora per la mungitura. L’impasto viene preparato tre ore prima che inizi la tradizionale (e ormai rarissima) cottura nelle tigelle in terracotta, scaldate nelle braci del camino per almeno un’ora prima di essere impilate nel tigelliere. Le farine sono quelle di grani antichi selezionati e coltivati in loco da Ornello Giusti, in collaborazione con alcuni atenei italiani, macinati a pietra nel mulino dell’agriturismo che, con acqua e un pizzico di sale, diventano gli ingredienti dell’impasto. Le crescentine, croccanti e morbide, si possono farcire con il super classico pesto a base di lardo, rosmarino e sale, oppure con la selezione di salumi (tra cui prosciutto, salame e pancetta di produzione propria), i formaggi teneri di capra e la ricotta del caseificio familiare, e un raro formaggio che ricorda un parmigiano a base di latte di pecora prodotto nel mantovano; ma si possono anche abbinare all’umido di funghi shitake, agli intingoli a base di cinghiale, e alla costaiola alla cacciatora.

Agriturismo Beneverchio | Niviano di Pavullo nel Frignano (Mo) | via Niviano, 18 | tel. 0536 325290 | www.beneverchio.it | Chiuso: lunedì. Aperto: solo alla sera, domenica e festivi anche a mezzogiorno. Le crescentine si cuociono sulle braci con il metodo tradizionale, nelle sere di martedì, mercoledì, giovedì, su prenotazione.

 

Telle Ca Bianca

 

Cà Bianca

Sulle prime colline modenesi, patria del lambrusco Grasparossa, ecco un baluardo della tradizionale gastronomia locale, dove impera - dal 1998 - una cucina tutta al femminile, ispirata da Marisa Berselli, erede di una dinastia di affermati ristoratori.

Ricette collaudate e tramandate da generazioni prendono vita ogni giorno, a partire dalle paste fatte in casa, fino alle crescentine che qui hanno davvero pochi rivali, realizzate con un impasto di farina tipo zero, latte, acqua naturale, un po’ di acqua gasata, lievito di birra fresco e sale. Ma non solo: impasti - integrali, al kamut e al farro - a rotazione giornaliera, sono l’alternativa alla classica crescentina bianca, mentre sulle farciture nessuna digressione dalla tradizione modenese, a partire dalla cùnza, il pesto locale per eccellenza a base di aglio, rosmarino e lardo macinato, da stendere come un velo sulla crescentina calda. Buona la selezione dei salumi con il prosciutto crudo di Parma stagionato, la coppa piacentina, il salame Felino, la mortadella, i formaggi dell’Appennino, ma anche la succulenta cacciatora di pollo, e le salsicce in umido. Il tutto da accompagnare a delle crescentine cotte alla perfezione, morbide, croccanti, con un corretto equilibrio tra pasta e crosta, che si presta anche a golose farciture dolci, con le marmellate fatte in casa: di amarene, prugne e albicocche.

Cà Bianca | Solignano di Castelvetro (Mo) | via Statale, 76 | tel.059 797300 - Cell. 338 7141433 | www.lacabianca.it | Chiuso: Martedì. Aperto: pranzo e cena

 

Il Fantino

Quella cucina che aveva deliziato i più famosi pugili degli anni ’40 e ’50, fra cui Primo Carnera, e nella quale qualche anno dopo amava mettersi ai fornelli anche Giorgio Gaber, ritorna grazie a Mauro e Marco, intercambiabili nei ruoli di chef e di responsabile di sala. Ai due soci, uniti da una solida amicizia e da un analogo percorso professionale, fatto di Scuola Alberghiera e gavetta in locali del territorio, spetta il merito di aver portato in città un cibo tradizionalmente montanaro come le crescentine. Il Fantino è infatti tra i pochissimi locali del centro storico a prepararle. È una piccola trattoria dai prezzi modici, con un menu che è sempre quello, ma proprio per questo vanta numerosissimi estimatori. Equilibrato l’impasto delle crescentine, con farina doppio zero macinata a pietra da un mulino locale, latte, olio, sale e lievito di birra fresco. Due lievitazioni, un paio d’ore per l’impasto non ancora lavorato, e una mezz’ora aggiuntiva per i dischi di pasta in attesa di essere cotti nella tigelliera con lastre di pietra refrattaria fabbricata da un artigiano di Pavullo. Le farciture rappresentano un tuffo nei sapori tipici, con la cùnza, a base di lardo, pancetta, poco aglio e rosmarino; ma anche fior di insaccati e formaggi, con il prosciutto crudo di Modena, la mortadella Bologna, i ciccioli freschi, il salame Felino, il gorgonzola, il parmigiano e lo stracchino. Ma se non ci si vuole fermare a pesto e salumi, ci sono le costine di maiale brasate al Lambrusco, ribattezzate Le Sorbarette, un autentico godimento. Per chiudere in bellezza, la crescentina dolce, da alcuni preferita al normale dessert, da farcire con la confettura di amarene brusche di Vignola.

Il Fantino | Modena | via Donzi, 7 | tel. 059 223646 | www.trattoriailfantino.it | Chiuso: domenica sera e lunedì. Aperto: pranzo e cena

 

dispensa emilia

Dispensa Emilia

Alfiero Fucelli è il geniale ispiratore di un brand che vanta 8 filiali in tutta Italia, e altre nuove aperture sono in programma. Si tratta di locali smart, in cui la crescentinasi mangia a tutte le ore, dalle 11 di mattina alle 24 di sera, diventando - a seconda del momento della giornata - spuntino, lunch, merenda, aperitivo, cena. Un progetto nato nel 2004 che punta tutto sulla tradizione, in cui il piccolo pane tondo nato sui monti dell’Appennino Modenese, dopo essersi radicato in città raggiunge ogni angolo dello Stivale.

Ambienti caldi, arredati con gusto e con richiami alla tradizione, servizio dinamico e una cucina dove le crescentine si lavorano a vista con farina doppio zero e farina rimacinata a pietra. Il risultato? Gustose, leggere, friabili, croccanti e dorate, farcite con un’accurata scelta di materie prime, e consegnate al tavolo già farcite. Il menu dispone di oltre trenta crescentine differenti, dalle classiche alle più creative: la tradizionale con battuto di lardo e parmigiano; quella con prosciutto crudo stagionato 17 mesi; lardo tartufato; oppure la Modenese con pancetta, parmigiano a scaglie e aceto balsamico; e la Bonissima con cipolle al forno all’aceto balsamico e formaggio, ma ci sono anche versioni vegetariane e infine le tigelle dolci come la richiestissima mascarpone e crema di nocciole. E c’è anche il take away.

Dispensa Emilia | Modena | via Emilia Est 981 | tel. 059 5180108 | www.dispensaemilia.it| Chiuso: mai. Aperto: dalle 11 alle 23-24

 

Il ristorantino della Scuola di Serra

Siamo nel ristorante didattico della Scuola Alberghiera IAL di Serramazzoni in provincia di Modena, un autentico punto di riferimento nella formazione professionale nazionale, aperta fin dagli anni '70. Il direttore Giuseppe Schipano, in forza dagli anni '90 e ispiratore delle molteplici attività dell'istituto di formazione, cura l’apprezzato ristorante della scuola, elegantemente arredato con oggetti d’epoca, mentre il servizio di sala e le preparazioni di cucina sono affidate a uno staff formato da allievi della scuola, ex allievi e docenti.

Tradizione e ricerca si esprimono in un vero e proprio laboratorio gastronomico, con le tagliatelle al Lambrusco con ragù di gallina bianca modenese; il tortellino con fonduta di tosone o parmigiano e panna; le lasagne croccanti con verdurine; mentre le crescentine vengono preparate in tre varianti: la classica, a base di farina di antiche varietà di grano duro macinate a pietra nel vicino mulino di Lama Mocogno, l’integrale e la crescentina per celiaci. La scelta della lievitazione lenta con pasta madre garantisce crescentine leggere e facilmente digeribili. Mentre la farcitura per eccellenza rimane sempre la cùnza, il pesto di lardo, aglio e rosmarino da spolverare con un cucchiaino di parmigiano grattugiato. Tra i salumi spicca il prosciutto crudo di Modena e di Parma, il salame montanaro, il salame Felino, la coppa piacentina, il lardo di Colonnata e il lardo di un artigiano di Verica che, affettato sottilissimo, si fonde all’interno delle crescentine ancora calde.

Il ristorantino della Scuola di Serra | Serramazzoni (MO) | via Braglia 104 | tel. 0536 952235

www.srsr.it | Aperto: dal 15 settembre al 15 maggio aperto a pranzo dal lunedì al venerdì, a cena dal lunedì al giovedì; dal 10 giugno al 31 agosto aperto a pranzo e a cena dal lunedì alla domenica. Le crescentine si preparano lunedì e venerdì a pranzo, e lunedì e giovedì a cena.

 

a cura di Luca Bonacini

foto in apertura di Diego Poluzzi

 

A Day Without Immigrants. Washington guida la protesta dei ristoranti americani contro Trump. In testa José Andrés

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Giovedì 16 febbraio, lo stato della Casa Bianca guiderà lo sciopero degli immigrati che lavorano negli States contro la politica anti-immigrazione di Donald Trump. E tanti ristoranti sono pronti alla serrata per solidarietà con i lavoratori stranieri impiegati nell'industria alimentare. Che in America sono moltissimi. Chi aderisce, come e perché. 

Un giorno senza immigrati. La protesta contro Trump

“Non andate al lavoro, non portate i vostri figli a scuola, non fate acquisti...Non mangiate al ristorante”. Residenti, cittadini o irregolari, immigrati da tutto il mondo, insieme si può fare la differenza. E la mobilitazione in vista per la giornata di protesta contro la politica scellerata di Donald Trump che scardina i principi della tolleranza razziale e rischia di minare le regole della civile convivenza (oltre a gettare nel caos le frontiere statunitensi e chi deve sorvegliarle) “minaccia” di radunare davvero un gran numero di persone che sotto la bandiera a stelle e strisce hanno trovato ospitalità e ora non si riconoscono nel governo della Casa Bianca. Cittadini, dipendenti e studenti come tanti che portano un contributo concreto alla comunità statunitense, e per un giorno, giovedì 16 febbraio 2017, sono pronti a incrociare le braccia al grido di A day without immigrants. Del resto, sostiene qualcuno, gli Stati Uniti sono un paese fondato sull'immigrazione, gli unici Nativi sono gli indiani d'America. E lo sciopero - organizzato nello stato di Washington, ma destinato a coinvolgere a macchia di leopardo chiunque voglia dare il proprio supporto in giro per gli US - ha già ricevuto il sostegno trasversale dell'opinione pubblica, coinvolgendo tante attività commerciali che proprio gli immigrati oggi gestiscono con successo.

 

La solidarietà dei ristoranti. José Andrés in testa

Non fa eccezione la ristorazione, vivace terreno di incontro culturale e meticciato gastronomico: moltissime insegne oggi resteranno chiuse, rivendicando il diritto all'uguaglianza. E tra le voci più celebri che si alzano dal coro c'è quella di José Andrés – immigrato spagnolo dal 1991, nel 2015 aveva mandato all'aria le trattative per l'apertura di un ristorante all'interno del Trump International Hotel D.C. dopo le infelici dichiarazioni del candidato presidente in campagna elettorale, che additavano gli immigrati messicani come criminali; la battaglia legale è ancora aperta - che su Twitter ha annunciato la serrata di cinque insegne del gruppo che fa capo al suo nome (Zaytinya, Oyamel e tre filiali di Jaleo), a sostegno di tutti i dipendenti stranieri impiegati. “Siamo parte del sogno americano” ha ribadito Andres “ma ora siamo sotto attacco, specialmente i Latinos”.

Ma i numeri della protesta, solo considerando il settore in questione, sono ingenti, e difficilmente calcolabili: soprattutto negli stati della costa Atlantica i quotidiani locali riportano cifre che continuano a crescere, 20 saracinesche abbassate a Philadelphia, altrettante nell'area di Austin – soprattutto taquerie e ristoranti messicani, numerosi data la posizione geografica del Texas - un gruppo nutrito di insegne a Washington D.C. (dai ramen bar alle pizzerie, alle grandi catene di caffetteria), cuore della protesta, dove anche chi resta aperto potrebbe offrire un menu ridotto per il gran numero di dipendenti che ha scelto di non recarsi al lavoro. Proprio lo stato della Casa Bianca vanta uno dei tassi d'immigrazione più alti degli Stati Uniti, riferisce il Washington Post, e la protesta sembra destinata a rallentare fortemente le principali città dell'area.

 

Il sistema del cibo americano e il ruolo degli immigrati

Solidarietà allo sciopero, però, arriva anche da New York, dove la catena di ristorazione Blue Ribbon ha deciso di chiudere sette delle sue sedi in città. Mentre Tom Colicchio, celebre imprenditore del settore e star della tv, non chiuderà i suoi ristoranti, ma ha annunciato il supporto all'iniziativa, dichiarandosi disponibile a sostenere chi dei suoi dipendenti sceglierà di scioperare. E anche i dati raccolti dall'organizzazione Restaurants Opportunities Centers United (www.rocunited.org) vengono in soccorso all'iniziativa: 1 su 4 lavoratori nella ristorazione statunitense è straniero, come del resto molta della manodopera impiegata nei campi è costituita da immigrati, di cui tantissimi irregolari. Nel 2012 una ricerca del Pew Research Center Data stimava 1 milione e 200mila immigrati irregolari coinvolti nell'industria alimentare. Insomma, il sistema del cibo statunitense non può prescindere dall'immigrazione. Come pure la società americana. Che “A day without immigrants” sia.

 

a cura di Livia Montagnoli

Il caso dell'olio di palma. Non fa male, ma le aziende lo evitano

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Si sono tenuti in questi giorni due convegni dedicati all'olio di palma. Uno a Napoli, all'Università di Napoli Federico II, l'altro a Roma presso l’Auletta dei Gruppi (Camera dei Deputati). Il primo ha scagionato il grasso vegetale, il secondo ha dimostrato che le aziende convertite al “senza olio di palma” hanno incrementato le vendite.

Olio di palma. Non fa male se lavorato con adeguati controlli tecnologici

L'olio di palma non fa male e le possibilità di lavorarlo senza rischi esistono e vengono utilizzate dalle migliori industrie alimentari. È quello che è emerso nel convegno-processo tenuto a Napoli al Dipartimento di Farmacia dell'Università Federico II. E che noi vi abbiamo anticipato in un articolo del 28 novembre. Ai lavori hanno partecipato, tra gli altri, Marco Silano dell'Istituto Superiore di Sanità, Gabriele Riccardi del Dipartimento di Medicina Clinica e Chirurgia dell'Università di Napoli Federico II, Ettore Novellino, Direttore del Dipartimento di Farmacia dell'Università di Napoli Federico II, e Alberto Ritieni sempre del Dipartimento di Farmacia. Durante il convegno si è cercato di far chiarezza scientifica circa le proprietà nutrizionali del grasso vegetale, per andare oltre gli allarmismi mediatici che da anni lo mettono sotto accusa. Si è infatti spiegato come le ricerche, finora, abbiano dimostrato che l'olio di palma non fa male se lavorato con adeguati controlli tecnologici e rimanendo al di sotto dei 200° C. Che è la temperatura oltre la quale si formano i seguenti composti: glicidil esteri degli acidi grassi (GE), 3-monocloropropandiolo (3-MCPD), e 2-monocloropropandiolo (2-MCPD) e relativi esteri degli acidi grassi. Tutti contaminanti da processo a base di glicerolo (presenti nell’olio di palma, ma anche in altri oli vegetali, nelle margarine e in alcuni prodotti alimentari trasformati) che suscitano potenziali problemi di salute per il consumatore medio di tali alimenti. Altra questione riguarda il profilo lipidico dell'incriminato olio: i relatori del convegno hanno sottolineato come, nella dieta giornaliera di un adulto, i grassi saturi assimilati da prodotti che potenzialmente lo contengono siano pochissimi rispetto a quelli assunti con altri cibi, quali carni e formaggi. Quindi è un grasso sostanzialmente da non incriminare.

Olio di palma. Criticità e alternative

Mentre a Napoli si dimostrava che l'olio di palma non debba essere demonizzato, alla Camera dei Deputati si è tenuto il convegno “Olio di palma: criticità e alternative”. Un incontro, voluto dal Movimento 5 Stelle, per fare chiarezza sulle problematiche ambientali e sanitarie del grasso vegetale e sulle possibili soluzioni. Durante il convegno si è parlato del problema ambientale, dato che in poche decine di anni la produzione di olio di palma ha portato interi paesi alla deforestazione. E dei dubbi sul versante sanitario: l’OMS (Organizzazione mondiale della sanità) raccomanda un consumo giornaliero di grassi saturi pari al 10% delle calorie totali, un limite (forse) incompatibile con la quantità di prodotti contenenti olio di palma in commercio, che quotidianamente vengono ingurgitati. La conclusione dell'incontro romano è univoca: continuare per la strada dell'olio di palma rappresenta, oggi, una scelta anacronistica e controproducente. Anche dal punto di vista economico.

Meno olio di palma e più vendite: il caso Di Leo

Molte aziende infatti, per rispondere alle esigenze di sostenibilità e salubrità e andare incontro all’attenzione sempre maggiore dei consumatori su questo tema, hanno scelto di eliminare l’olio di palma dai propri prodotti, dimostrando che le soluzioni esistono, sono attuabili in tempi ragionevoli e sono economicamente vincenti. Al convegno sono intervenuti Renata Pascarelli, Direttore di Qualità CoopGiuliana Ragusa, Responsabile Relazioni Istituzionali Ufficio Presidenza di Alce Nero e Pietro Di Leo, amministratore unico di Di Leo Biscotti, biscottificio nato nel 1860 ad Altamura con stabilimento produttivo a Matera, che ha deciso, già nel 2014, di eliminare l'olio di palma da tutti i propri prodotti. Di Leo è andato oltre: si è reso portavoce e sostenitore di “All'orango io ci tengo”, un progetto di salvaguardia dell'ecosistema di Sumatra (la zona più colpita dalla deforestazione) e dell'orangutan insieme ad alcune associazioni volontarie LINK. L'iniziativa prevede di donare (dal 1 ottobre 2016 al 1 ottobre 2017) l'1% del ricavato dalla vendita della linea di biscotti Fattincasa alla salvaguardia degli orango di Sumatra. Come stanno andando le vendite? Di Leo ha dichiarato che “la scelta di eliminare l’olio di palma dai prodotti e di utilizzare sempre più ingredienti della tradizione, materie prime genuine e a chilometro zero ci sta premiando oltre ogni più ottimistica previsione. Oggi siamo il quarto brand nel Mezzogiorno e il secondo in Puglia e Basilicata con una quota sempre crescente di fatturato che proviene dalla vendita di prodotti attenti alle istanze nutrizionali dei nostri consumatori e al rispetto dell’ambiente; questo ci fa capire che stiamo andando nella direzione giusta”. I numeri parlano chiaro: la crescita delle vendite registrata tra il 2014 e il 2016 della linea di biscotti senza olio di palma Fattincasa è del 156%. E solo nel 2016, le vendite totali sono cresciute del 26% con un fatturato che ha sfiorato i 19 milioni di euro.

 

a cura di Annalisa Zordan

 

Che tipo di consumatore sei? Una ricerca traccia 5 profili di “mangiatori emotivi”

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Quando si tratta di sedersi a tavola non tutti adottano gli stessi comportamenti. Il rapporto con il cibo è allo stesso tempo personale, perché scegliamo in base a gusti e preferenze, ma anche sociale, perché sono molte le occasioni - spesso sottotraccia - in cui ci facciamo influenzare dal nostro gruppo di appartenenza. Il ricercatore e nutrizionista inglese Hala El-Shafie ha delineato 5 tipologie di consumo in cui tutti, almeno una volta nella vita, si riconosceranno.

La ricerca sui mangiatori emotivi

Cerchi di dimagrire ma non ci riesci? Potrebbe derivare dai limiti che il tuo stile di alimentazione ti impone. Secondo Hala El-Shafie, fondatore di Nutrition-rocks.co.uk e ricercatore in ambito nutrizionistico, esistono precisi modelli di “mangiatori emotivi”: costrutti di consumo prestabiliti, dentro i quali tutti possiamo essere “schedati”. E solo scardinandoli è possibile incidere effettivamente sulle proprie abitudini alimentari.

Gli esseri umani non mangiano solo per nutrire il corpo e bandire la fame” ha spiegato El-Shafie “se così fosse l’obesità non sarebbe così dilagante e, allo stesso tempo, non ci sarebbe questo vertiginoso aumento di interesse, quasi un’ossessione, per l’alimentazione sana”. Il nostro rapporto con il cibo, ha precisato il ricercatore,“è molto complesso e difficile da gestire. Da qui derivano problemi come la sottoalimentazione, le diete yo-yo, le abbuffate”. In questo rapporto infatti entrano in gioco elementi e comportamenti sociali, che hanno un peso notevole nell’orientare le scelte a tavola.

 

Le 5 categorie di mangiatori emotivi

  1. Stress eaters

Quando si è sotto stress, il nostro corpo aumenta la produzione di cortisolo, un ormone dello stress, che rende particolarmente interessanti i cibi molto salati o molto dolci, prodotti che non sono esattamente il ritratto della salubrità. Per contrastare questo fenomeno, consiglia il ricercatore, è bene tenere un diario alimentare, in modo da correlare le proprie voglie con gli episodi in cui la pressione aumenta. Per coloro che si sentono soggiogati dallo stress è bene praticare attività come yoga, esercizi mindfulness e meditazione, in modo da ridurre la pressione e dunque il fattore scatenante di questo tipo di abbuffate.

 

  1. Sleep deprived eaters

Condurre una vita piena di impegni significa spesso dormire poco e male, cosa che ci rende irritabili e perennemente stanchi. Il mangiatore seriale da deprivazione da sonno è colui che, per tenere alti i ritmi di lavoro, si affida a caffeina e zuccheri. L’obiettivo è rimanere svegli per ottimizzare anche il poco di tempo libero a disposizione, quello che dovrebbe invece essere un momento di pausa. Questo comportamento innesca un circolo vizioso che comporta un’ulteriore perdita di sonno e relax: i cibi consumati durante il giorno per rimanere svegli incidono sulla nostra capacità di riposarci anche dopo molte ore. Inoltre, la privazione del sonno provoca irregolarità ormonali che fanno andare in tilt il senso di pienezza e sazietà. Per rimediare a questa situazione, oltre a ridurre gradualmente le sostanze eccitanti, è necessario migliorare la qualità del sonno.

 

  1. Perfectionist eaters

Questa tipologia di consumatori potrebbe essere descritta con la frase “tutto o niente”. I perfezionisti solitamente lo sono in diversi ambiti della propria vita, ma esserlo in ambito alimentare può diventare un vero e proprio problema. Sono coloro che mangiano in maniera restrittiva, eliminando completamente alcuni alimenti dalla propria dieta, cosa che comporta carenze nutrizionali. Salvo poi essere attratti dal “cibo cattivo”, lasciandosi andare ad abbuffate incontrollate, giustificate dal regime alimentare ferreo seguito nella vita di tutti i giorni.

La regola aurea in questo caso è: non privarsi di nulla. La salubrità degli alimenti, ha spiegato El-Shafie, non deve diventare un’ossessione. “Inserire in maniera equilibrata tutti gli alimenti nel proprio diario alimentare è la regola più importante” e soprattutto “non associare il cibo al concetto di ricompensa”.

 

  1. Reward eaters

Una categoria che esaspera un tratto di quella precedente, quello del premio. Sono quelli che vedono da sempre il cibo come una sorta di ricompensa, abituati così fin da piccoli. “Mai cercare soddisfazioni personali che non troviamo altrove nel cibo. Anche se non ce ne accorgiamo, è deleterio per la nostra autostima e lascia un senso di insoddisfazione e frustrazione difficile da gestire”. Questi consumatori dovrebbero cercare di scardinare l’unione fra cibo e ricompensa, cercando di ripensarla in termini di gratificazione personale, sia dal punto di vista del benessere che dal punto di vista del cibo.

 

  1. Influencer eaters

La categoria di consumatori più facilmente influenzabile dal gruppo sociale a cui appartengono e dai social media. Solitamente, secondo lo studio, sono persone particolarmente assertive e che tendono a essere compiacenti con tutti. Sono molto inclini a farsi influenzare dai dettami del gruppo, in caso di pasti collettivi, mentre si comportano in modo diverso quando mangiano da soli. Per analizzare questa inclinazione serve “comprendere noi stessi e annotare quando il nostro comportamento cambia rispetto ad ambienti e stimoli diversi”. E soprattutto “imparare a dire no grazie!”.

 

 

a cura di Francesca Fiore


10 vini per una regione. La Campania

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Fiano di Avellino, Greco di Tufo, Falanghina del Beneventano: tre dei grandi bianchi per conoscere il grande patrimonio ampelografico campano.

Alcuni vini delle cantine citate in questo articolo sono acquistabili su Tannico.it, l’enoteca online partner di Gambero Rosso. Ai lettori viene riconosciuto uno sconto del 10% sul primo ordine utilizzando il coupon GR-X5YAB-87D


È una delle regioni a vocazione bianchista più importati e per produzioni si colloca all'ottavo posto nella graduatoria delle regioni italiane. Stiamo parlando della Campania e dei suoi vitigni a bacca bianca quali fiano, greco e falanghina. I primi due rientrano nelle due famose docg irpine, Fiano di Avellino e Greco di Tufo. La falanghina, prodotta soprattutto nel territorio sannita, si riscontra nella nota doc Falanghina del Sannio, ma compare anche nei suoli vulcanici nella zona flegrea, anche se tra le sue tipologie si evidenziano grandi differenze genetiche. Ma ampie sono le differenze tra terroir, tradizione e cultura dei tre vitigni.

 

Cominciamo dal fiano che riscontra numerose diatribe sull'etimologia del nome: alcuni ampelografi ritengono che sia una corruzione latina della parola “apianis”, riferita all'uva così chiamata perché ne andavano ghiotte le api, altri ritengono che furono i coloni Pelasgici dell'antica Apia a portare il vitigno in Italia. Tralasciamo questi discorsi e cerchiamo di conoscerne le caratteristiche: l'acino è ellittico, di medie dimensioni, ha buccia spessa che garantisce resistenza alla botrytis e assicura vendemmie tardive, maturando verso gli inizi di ottobre. Territorio tradizionale per il suo allevamento, argilloso-calcareo, è Lapio, in provincia di Avellino. Qui il Fiano raggiunge una finezza olfattiva notevole a piena maturazione e una vibrante acidità ed è sicuramente uno dei bianchi più longevi del paese.

Diverso dal fiano, ma in qualche modo complementare è il greco: tipico, complesso ed elegante, ma soprattutto versatile, capace di abbinarsi ai tanti piatti della ristorazione italiana. Come suo “cugino” proviene dalla Grecia, probabilmente dalla Tessaglia, ma anche in questo caso esistono diverse tesi. Ha grappolo compatto, acini piccoli e pruinosi, matura tardi e predilige terreni gessosi-tufacei come quelli di Tufo e Santa Paolina. Giunge a maturazione a metà ottobre, ma è un vitigno più ostico del fiano, dalle grandi potenzialità e che solo in pochi riescono a interpretare.

Chiudiamo con la falanghina, probabilmente originaria di Bonea, in provincia di Benevento, riscoperta verso la metà degli anni '70 da Leonardo Mustilli che l'ha riportata agli antichi splendori. Acini più grandi, maturazione tra fine settembre e inizio ottobre, è un'uva più resistente tanto che resta il vitigno campano a bacca bianca più diffuso. Un vino di prospettiva produttiva e commerciale.

Ma scopriamo alcune delle migliori espressioni di questi vini: per noi i 10 da provare assolutamente.

 

Falanghina del Sannio Janare '15 La Guardiense

Moderna realtà cooperativa vanta ben 1000 soci che lavorano in totale quasi 2000 ettari di vigne su tutto il territorio sannita. Il compito di dirigere una struttura così articolata spetta a Domizio Pigna, che ha dimostrato di sapere ben indirizzare il percorso di crescita, con una produzione che negli ultimi anni sembra davvero aver trovato un equilibrio e una stabilità produttiva su standard di sicuro affidamento. La gamma non può che essere ampia e stratificata, con una linea base proposta a prezzi onestissimi e incursioni anche nel mondo delle bollicine e dei vini dolci. La Falanghina del Sannio Janare ’15 è un bianco che nel tempo ha dimostrato una netta costante qualitativa. Morbido, dai caratteristici profumi di agrume e frutta esotica, al palato è ricco e polposo. Il finale è lineare e disteso.

 

Falanghina del Sannio Taburno 2015 Fontanavecchia

Si attesta sempre su ottimi livelli la cantina Fontanavecchia diretta da Libero Rillo che, anche grazie al suo ruolo da presidente del Consorzio dei vini del Sannio, ha saputo dare un contributo importante per il rilancio della zona Sannio, riuscendo a costruire un clima costruttivo tra i produttori della zona. La cantina si trova alle falde del Monte Taburno e può contare su 14 ettari vitati di proprietà, più alcuni appezzamenti in fitto. La gamma è estremamente variegata: a bianchi dalla beva fresca e reattiva si affiancano rossi più strutturati, affinati per lo più in barrique. Tra questi degna di nota è la Falanghina del Sannio ’15, dal profilo maturo e il passo sicuro. Dosa una ricchezza fruttata e piglio acido, il finale è lungo, fresco e continuo.

 

Greco di Tufo Vigna Cicogna 2015 Benito Ferrara

Il Vigna Cicogna è stato uno dei primi cru di Greco di Tufo: la 1996 è stata la prima annata prodotta. In bottiglia finiscono le migliori uve del vigneto di due ettari della frazione di San Paolo di Tufo, a 500 metri di quota: esposizione sud e terreni ricchi di argilla e zolfo. Porta le firme di Gabriella e Sergio Ferrara ed è un vino che sa concentrare sapore e densità gustativa senza perdere ritmo e slancio. L’annata 2015 piuttosto calda riporta un vino dal frutto più maturo e morbido, contrastato da un tono fumé elegante e una materia ricca ma trainata da tanta energia salina, per un finale appena sulfureo di lunghezza ragguardevole.

 

Fiano di Avellino Vigna della Congregazione 2015 Villa Diamante

Diamante Renna porta avanti con caparbietà e passione il lavoro intrapreso da Antoine Gaita, vignaiolo straordinario che ha saputo fornire una visione nuova per il Fiano di Avellino, sfruttando a pieno le caratteristiche della collina di Montefredane. Due i Fiano prodotti, il Clos d'Haut e Vigna della Congregazione, bottiglie che sanno sfidare il tempo e colpire dritti al cuore degli appassionati. La Vigna della Congregazione insiste su terreni ricchi di argilla e pietre di Montefredane. L'annata 2015 esprime la solarità nel frutto e nella struttura. Il naso si apre su intensi toni floreali, di ginestra e camomilla, per poi virare verso frutta secca, erbe aromatiche e pietra focaia. Il palato è saporito e caratterizzato da una raffinata spalla acida, poi contraddistinto da una decisa sapidità e da una lunga persistenza.

 

Greco di Tufo '15 Pietracupa

Dalla collina di Montefredane arrivano oltre ai grandi vini, anche personaggi folli e geniali come Sabino Loffredo che ha saputo imprimere un cambio di passo alla cantina fondata nel 1990 dal padre Peppino. Oggi i vini di Sabino sono una certezza per i grandi bianchi d'Irpinia, Fiano di Avellino e Greco di Tufo. I suoi sono vini lucenti, dal profilo acido tenace, bianchi che invecchiano con una particolare grazia. Elettrizzante il sorso del Greco di Tufo ’15, dai profumi cristallini di pompelmo e roccia e dallo sviluppo gustativo già molto ben delineato. Ha una trama sapida e un finale interminabile di menta e agrume. Un sorso tira l’altro grazie ad un equilibrio invidiabile.

 

Fiano di Avellino 2015 Ciro Picariello

Negli ultimi anni il Fiano d'Avellino si è imposto con forza come denominazione al vertice a livello nazionale: per numero di riconoscimenti, per qualità media, per capacità d'invecchiamento. Il merito di questa nuova considerazione è da ascrivere anche al lavoro di vignaioli come Ciro Picariello e Rita Guerriero, che hanno avviato la loro splendida avventura nel 2004. Dalle vigne, equamente suddivise tra Montefredane e Summonte, hanno saputo produrre vini di grande fascino, sottili aromaticamente ma di sferzante grinta acida, grazie a malolattiche parzialmente svolte. Straordinario equilibrio e innato senso della misura. Parliamo del Fiano di Avellino ’14, senza dubbio tra i migliori della tipologia. Un vino che sembra svilupparsi in punta di piedi, con profumi nitidi e un peso specifico sottile ma incalzante, verticale nella spina acida ma allo stesso avvolgente nel sapore. Il finale, poi, è luminoso e freschissimo.

 

Fiano di Avellino Ventidue 2013 Villa Raiano

Villa Raiano domina tutta la valle del fiume Sabato. I 22 ettari di proprietà sono condotti in regime biologico e ricadono all'interno delle tre denominazioni irpine: il fiano è coltivato nei comuni di Montefredane, San Michele di Serino e Lapio; le uve greco provengono da Montefusco; l'aglianico arriva da Castelfranci, a 600 metri di quota. La consulenza enologica è affidata all'enologo irpino Fortunato Sebastiano, con una batteria ben segmentata in due capitoli: Linea Classica e Linea Vigne. Lunga la persistenza e ottima la chiusura del Fiano di Avellino 22 '13, esaltante per l'integrità del frutto, la fragranza dei profumi e l'acidità brillante. Il naso percepisce note di frutta a polpa bianca, seguite da sfumature di erbe aromatiche. Il sorso è decisamente sapido e minerale.

 

Falanghina del Sannio Serrocielo 2015 Feudi di San Gregorio

Festeggia 30 anni Feudi di San Gregorio: la realtà di Sorbo Serpico è stata la grande protagonista dell'enologia moderna campana. Sotto la guida del presidente Antonio Capaldo, con il prezioso contributo di Pierpaolo Sirch sul piano agronomico, l'azienda ha saputo rimodulare la sua identità stilistica, sempre più vicina al territorio, sempre più attenta a valorizzare l'enorme patrimonio vitivinicolo a disposizione. La gamma dei vini proposti è ampia e ben articolata e comprende un ultimo progetto dal nome Feudi Studi, una linea a tiratura limitata pensata per alzare ulteriormente l'asticella. Tra i bianchi proposti Serrocielo si apre al naso con note intense ed eleganti. Profumi di piccoli fiori bianchi, di frutta ed in particolare di agrumi preannunciano un assaggio tanto fresco quando morbido. Finale pulito e persistente.

 

Falanghina del Sannio Sant'Agata dei Goti '15

Alla famiglia Mustilli va riconosciuto l'importante lavoro di riscoperta e valorizzazione della falanghina. Oggi al timone ci sono le sorelle Paola e Annachiara che lavorano 21 ettari di vigneto, curando una gamma di vini solida e affidabile. Da non perdere le suggestive cantine scavate nel tufo nei sotterranei del Palazzo Rainone dove è anche possibile soggiornare in camere settecentesche. Tutta da bere la Falanghina del Sannio Sant’Agata dei Goti ’15, solare e vibrante nei suoi toni di pera e cedro. Il sapore è molto vivo, continuo, dal finale guizzante e leggermente affumicato.

 

Greco di Tufo 2015 Fonzone

L'avventura vitivinicola di Lorenzo Fonzone Caccese, chirurgo di professione, comincia nel 2005 a Paternopoli, area celebre per il Taurasi. Le uve dei 20 ettari di proprietà sono lavorate in una cantina modernissima, ipogea, perfettamente integrata con il territorio e i vigneti circostanti. Tra i filari non si usano diserbanti, l'inerbimento è perenne, si semina con essenze erbacee per custodire la biodiversità di suoli e piante. Greco di Tufo, Fiano di Avellino e Falanghina sono lavorati solo in acciaio e spiccano per fragranza e tensione gustativa; legno nuovo per il Taurarsi Riserva Scozagalline, brevi passaggi per l'Irpinia Campi Taurasini e il Fiano Sequoia. Il Greco di Tufo ’14 è insieme fresco e sfaccettato, molto invitate al naso nei suoi tipici toni di mandorla, anice ed erbe di campo; il palato è avvolgente e cremoso, di sicura dinamica gustativa.

 

 

Alcuni vini delle cantine citate in questo articolo sono acquistabili su Tannico.it, l’enoteca online partner di Gambero Rosso. Ai lettori viene riconosciuto uno sconto del 10% sul primo ordine utilizzando il coupon GR-X5YAB-87D

www.tannico.it

Fico-Eataly World di Bologna si allea con l'Agenzia Nazionale per il Turismo

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Grandi flussi turistici e biodiversità: le parole chiave del superprogetto di Oscar Farinetti che da oggi si avvale dell'accordo con l'Agenzia Nazionale per il Turismo.

5 milioni di visitatori. Questo l'obiettivo dichiarato di Oscar Farinetti per il nuovo megaprogetto Fico (Fabbrica Italiana Contadina) di Bologna: un gruppo composito di stranieri e italiani, studenti e pensionati, con strategie messe in atto con tour operator, organizzazioni e associazioni varie e istituti scolastici. Un parco giochi dell'agroalimentare che si propone di replicare e completare l'offerta (e il successo) di Eataly, esplodendolo non solo in termini di dimensioni - 80mila metri quadrati - ma anche di contenuti. 

I tre punti attorno cui ruotano i megastore del cibo, mercato, didattica, ristorazione, con Fico si estenderanno a coprire l'intera filiera, includendo anche la produzione della materia prima (2 ettari open air sono destinati all'agricoltura e all'allevamento con 200 animali e altrettante cultivar) e la trasformazione con i laboratori: le 40 cosiddette fabbriche che replicano le molte aziende agroalimentari del nostro territorio (ma con una preminenza del Centro Nord, complice forse la difficoltà a trovare al Sud realtà sufficientemente grandi e organizzate da poter raccogliere l'opportunità, e insieme la sfida, di uno spin off nello spazio bolognese). Insieme ci sono 40 ristoranti, 6 giostre educative (dedicate al rapporto dell'uomo con fuoco, terra, mare, animali, vino e futuro, con percorsi didattici che si suppone fruiranno delle nuove tecnologie), aule che assicurano 50 corsi giornalieri e 30 eventi al dì e dei percorsi sulla storia della nostra cultura alimentare.

Un progetto colossale, che vuole far conoscere la nostra biodiversità e che, man mano che si avvicina il fatidico 4 ottobre (data prevista per l'apertura ma passibile di qualche slittamento), definisce caratteristiche e stabilisce legami.

 

Fico

L'accordo con Enit

Come quello con l’Enit, l’Agenzia Nazionale per il Turismo il cui compito è promuovere l’Italia nel suo complesso di tesori paesaggistici, artistici, culturali e anche enogastronomici; proprio questi ultimi oggi valgono, da soli, una spesa giornaliera media di 208 euro per ogni turista, e il dato è in crescita. Lo dice Fabio Lazzerini, consigliere d'amministrazione di Enit, che rappresenta il braccio operativo del Ministero Beni e delle Attività Culturali e del Turismo. Non a caso esiste un piano di sviluppo triennale dedicato al cibo e agli itinerari del gusto, volto a far conoscere la splendida varietà dei nostri territori, con le loro unicità naturali, agricole e alimentari. L'Italia del cibo è anche l'Italia della provincia e delle piccole città d'arte da scoprire, oggetto di un progetto attuativo per il 2017: l'Anno dei Borghi “emblema di una nuova visione turistica in Italia”, come ricorda Dorina Bianchi, sottosegretario con delega al Turismo del MiBACT.

Dice ancora Lazzerini, “l'obiettivo non è tanto portare più turisti a Venezia in piazza San Marco, ma di portare più turisti in Italia in destinazioni meno note”. Questo si fa soprattutto con il turismo di prossimità, mentre “chi arriva dall'altra parte del mondo avrà, probabilmente, come obiettivo le grandi città d'arte italiane”. Non solo: l'ambizione non è solo aumentare il turismo, ma incrementare i volumi di spesa. Per questo è fondamentale creare nuovi segmenti di visitatori e ordire un percorso turistico esperienziale, che sappia far vivere, ai nostri ospiti, una parte dell'Italia. E questo è uno degli elementi vincenti dell'enogastronomia: questa sua capacità di far entrare in intimità con i luoghi, di sviluppare le economie locali e di farlo in modo da sostenere una crescita in armonia con l'ambiente (cosa che, in più, risponde anche al piano Nazionale del Turismo sostenibile) e diffondere il lifestye italiano. “Enit si prende la responsabilità di far conoscere Fico in tutto il mondo” a partire dal prossimo ITB di Berlino, la fiera degli operatori turistici. E la sostenibilità è la carta da cui non si può più prescindere.

E sostenibile è anche un piano di riconversione di spazi come Fico, per il quale, ricorda Tiziana Primori (amministratore delegato di Eataly World) non solo non si è edificato nulla, ma “al contrario sono stati strappati 2 ettari di terra al cemento”. Fico nasce negli spazi che erano del Caab, il Centro Agro Alimentare di Bologna, sede del mercato ortofrutticolo. È stato creato un fondo immobiliare con investimenti privati (per circa 100 milioni di euro) usato per spostare il vecchio mercato e realizzare Fico. L'area è e rimane pubblica (80% del Comune e 20% della Regione) e tornerà tra 40 anni all'amministrazione. I ristoranti e le fabbriche sono stati dati in gestione a piccole e medie aziende che pagheranno a Fico una percentuale sugli incassi, mentre non ci sarà biglietto di ingresso.

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Da narrazione ad attrazione. Con qualche dubbio

Dopo un decennio in cui Eataly ha colmato un difetto di comunicazione del nostro prodotto, portando di fatto il cibo italiano e la sua narrazione all'estero, ora Farinetti si pone l'obiettivo di attirare in Italia, in una Bologna che ha ancora ampi margini di sviluppo turistico, flussi di visitatori italiani e stranieri per fargli conoscere, da vicino, l'intera filiera che dal seme porta alla tavola.

Ma, ci si chiede, in che modo sarà possibile raggiungere l'obiettivo di raccontare la biodiversità italiana in un'area che, seppur estesa, non rappresenta che una sola delle molteplici zone agroalimentari italiane? Come spiegare la varietà e il legame con il territorio della nostra agricoltura traslocando le produzioni agricole lontano dal posto di origine e tradendo, di fatto, l'idea stessa di prodotto tipico? Come sarà possibile far conoscere realmente la cipolla di Tropea a Bologna senza snaturare completamente un prodotto che è la messa in atto delle potenzialità date dal terroir? E, allo stesso modo, come si potrà far capire l'unicità del prosciutto San Daniele, se poi lo si replica a Bologna, con l'evidenza della mancanza di quelle caratteristiche uniche di clima, territorio, cultura agricola che ne sono l'elemento che lo rende così speciale? Ovviamente quanto prodotto all'ex Caab - si tratti di salumi, ortofrutta o formaggi - uscirà a marchio Fico, dato che non si può usare un marchio di origine per un prodotto nato fuori dai luoghi definiti dal disciplinare. Dunque sarà un prosciutto “stile San Daniele” realizzato a Bologna, in un contesto in cui si raccontano “tecnica, tradizioni, lavorazione e allevamento della carne, perfino venti e ambiente friulano” volendo costituire così il punto di partenza di un possibile viaggio alla volta del territorio in cui nasce il prosciutto originale.

Non è però detto che poi – una volta visitato il prosciuttificio di Bologna - le persone andranno realmente fino in Friuli a scoprire il vero San Daniele con conseguenti benefici per l'economia locale, o se potranno dire di averne compreso l'unicità al punto da cercarla e saperla riconoscere una volta tornati a casa (con benefici per il nostro export e contrasto all'italian sounding), avendone visto solo una copia, seppur di grande qualità. Ma Farinetti, da grande imprenditore quale è, negli anni ci ha abituato a colpi da maestro degni del miglior fantasista. “Consideratelo come il Louvre del cibo, un monumento di cui essere orgogliosi tutti” dice ancora Farinetti “la rappresentazione completa della biodiversità italiana per il mondo”. Come un centro di smistamento e cultura da cui prendere l'avvio per rilanciare il territorio intero. “Un luogo vero, in contrapposizione ai non luoghi”, lo definisce “un luogo dove c'è vera agricoltura, vera didattica, vero artigianato alimentare, vera ristorazione” per far comprendere a tutti i visitatori la straordinaria ricchezza agroalimentare del nostro paese, volano per un rilancio turistico dell'Italia. Cosa di cui tutti noi abbiamo bisogno.

 

a cura di Antonella De Santis

La Città della Pizza a Roma. In primavera 30 pizzaioli d'Italia all'ex caserma Guido Reni

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Si mangia la pizza dei più grandi maestri della pizza italiana, ci si diverte, si impara. Dal 31 marzo al 2 aprile Vinòforum inventerà una città della pizza aperta a tutti, per valorizzare l'intera filiera di qualità, dalle materie prime all'artigianalità del prodotto. Ecco i protagonisti e cosa si mangerà. 

Il format. La pizza protagonista

A pensare che mai prima d'ora qualcuno avesse sviluppato un format misto di intrattenimento e approfondimento dedicato alla pizza, considerando quanto il prodotto simbolo del made in Italy per eccellenza sia amato nel mondo, viene da sorridere. Soprattutto perché le potenzialità commerciali e divulgative di una manifestazione concepita per essere itinerante, popolare e per addetti ai lavori allo stesso tempo, sono chiaramente intuibili. Emiliano De Venuti, ceo e fondatore di Vinòforum, non ne fa mistero. A lui e al suo gruppo, specializzato nella produzione di format di comunicazione enogastronomica, è venuta l'idea di posare la prima pietra di una Città della pizza che prenderà forma a Roma tra qualche settimana, dal 31 marzo al 2 aprile, per un battesimo che già si preannuncia di fuoco: “Sarà uno spazio metaforico, un luogo che somma e coinvolge tutti gli stili e le scuole della pizza italiana che abbiamo imparato a conoscere negli ultimi anni, in arrivo dall'intera Penisola. E ci aspettiamo di accogliere 15mila visitatori in tre giorni, anche se Roma è sempre una piazza imprevedibile”. Però è difficile nascondere la soddisfazione per la messa a punto di un format potente, che individua un trend letteralmente esploso negli ultimi anni – la pizza gli italiani ce l'hanno nel Dna, ma quanti fino a qualche tempo fa si interrogavano sulla differenza tra una napoletana e una pizza a degustazione, quanti ricercavano digeribilità dell'impasto e qualità degli ingredienti in pizzeria? - e lo trasforma, nelle intenzioni, in un parco dei divertimenti tematico, coinvolgendo i più affermati maestri del settore e i talenti emergenti, “i volti nuovi che abbiamo cercato sin negli angoli più impensabili d'Italia, con l'idea di valorizzare la qualità di un settore che oggi sa spingersi oltre i soliti nomi”.

 

Gli autori, gli stili

E questo chiamando in causa un comitato scientifico di “autori” che sono personalità note e stimate del mondo enogastronomico, con particolare dedizione e conoscenza del mondo della pizza: il giornalista napoletano, appassionato ed esperto di pizza Luciano Pignataro, Luciana Squadrilli e Tania Mauri (autrici per Giunti del libro Pizza on the Road), Stefano Callegari, che le mani in pasta ce le mette tutti i giorni, in prima persona. Certo, spiace considerare che dal novero delle voci competenti resti fuori un gruppo come il Gambero Rosso, unica realtà editoriale italiana di settore che dal 2013 (siamo alla quinta edizione) dedica una guida alle Pizzerie d'Italia, premiando le migliori e facendo chiarezza sugli stili che vanno per la maggiore: pizza napoletana, a taglio, pizza all'italiana, pizza a degustazione. Proprio le stesse categorie (più uno spazio dedicato alla pizza fritta) che il pubblico della Città della Pizza ritroverà rappresentate negli spazi dell'ex caserma di via Guido Reni, dirimpetto al MAXXI. Fuor di polemica, ecco cosa succederà durante l'evento.

 

30 maestri per 90 pizze. E le cene a 4 mani con gli chef

Ogni giorno, la “piazza” romana accoglierà le “case” di 10 maestri pizzaioli (30 in totale, da Nord a Sud della Penisola). A loro il compito di conquistare una platea eterogenea: l'ingresso è gratuito, le consumazioni si scalano da una card ricaricabile all'ingresso. Presso ogni postazione, attrezzata con forni elettrici o a legna - “secondo le esigenze dei pizzaioli abbiamo coinvolto partner diversi, così da avere a disposizione 15-16 forni professionali” - ognuno proporrà tre linee: margherita o marinara a scelta, una pizza gourmet, un'edizione limitata ideata proprio per la manifestazione. Si consuma in aree comuni o a passeggio per la “città” (per questo le tonde saranno servite già tagliate), con prezzi che variano tra i 6 e i 14 euro. Per un totale di 90 pizze differenti in menu. E presso l'area del ristorante Premium Lunch e Dinner, modulata su esperienze precedenti del gruppo, ogni sera – o all'ora di pranzo - una ventina di commensali (su prenotazione) potrà partecipare alle cene a 4 mani che vedono insieme un pizzaiolo e uno chef. Da bere le bollicine del Consorzio di Tutela Prosecco Doc o birra artigianale Baladin, su abbinamenti studiati.

 

Intrattenimento e formazione

Per la parte didattica e formativa l'attenzione è caduta tanto sul processo produttivo che sulle materie prime indispensabili per sfornare una buona pizza. E l'idea è quella di educare divertendo il pubblico amatoriale – con 4 spazi per Farina, Pomodoro, Olio Evo Mozzarella, animati da molini e produttori con laboratori, degustazioni e piccoli show – ma pure di catturare l'interesse degli addetti ai lavori e degli aspiranti pizzaioli con un programma congressuale di livello, che coinvolgerà i maestri pizzaioli per parlare di tendenze, evoluzione del settore, eccellenza del prodotto. Ultimo spazio da scoprire – tutta la città è indoor, al riparo dagli scherzi del tempo – il Pizza Lab, dove tutti potranno mettersi alla prova con impasti e farciture.

E dopo la prima? “Il format vuole essere un canale veloce e sincero, una comunicazione a cuore aperto sull'eccellenza e la diversificazione della pizza italiana. Nasce per essere itinerante e stiamo già organizzando una seconda edizione... All'estero”. Perché no, con la possibilità di coinvolgere anche i professionisti che alla pizza rendono giustizia in tante città del mondo. Intanto però i riflettori sono puntati su Roma. Ecco il parterre dei pizzaioli coinvolti:

Gino Sorbillo, Pizzeria Gino Sorbillo // Napoli

Corrado Scaglione, Enosteria Lipen // Monza Brianza

Renato Bosco, Saporè //Verona

Gabriele Bonci, Pizzarium, categoria “Al taglio” // Roma

Giancarlo Casa, La gatta mangiona, categoria “All’italiana” // Roma

Massimo Bosco, Pizzeria Bosco, categoria “Al taglio” // Olbia

Marzia Buzzanca, Percorsi di gusto, categoria “A degustazione” // L’Aquila

Gianfranco Iervolino, Morsi e rimorsi, categoria “Napoletana” // Caserta

Ciro Oliva, Concettina ai tre santi, categoria “Napoletana” e “Fritta” // Napoli

Francesco Vitiello, Casa Vitiello, categoria “Napoletana” // Caserta

Petra Antolini, Casa Petra, categoria “Al taglio” // Verona

Pierluigi Police, O’ scugnizzo, categoria “Napoletana” // Arezzo

Gennaro Battiloro, La Kambusa, categoria “Napoletana” // Lucca

Massimiliano Prete, Gusto divino, categoria “A degustazione” // Cuneo

La Confraternita della Pizza, categoria “Al taglio” // Roma

Famiglia Condurro, Da Michele, categoria “Napoletana” // Napoli

Stefano Vola, Vola Bontà per tutti, categoria “All’italiana” // Cuneo

Pierdaniele Seu, Mercato Centrale,categoria “All’Italiana” // Roma

Alessandro Coppari, Mezzometro, categoria “Al taglio” // Senigallia

Antonio Pappalardo, La cascina dei sapori, categoria “A degustazione” // Brescia

Mirko Rizzo, Pommidoro, categoria “Al taglio” // Roma

Emiliano Aureli, La taverna dei corsari, categoria “All’italiana” e “A degustazione” // Rieti

Cristiano Piccirillo, La Masardona, categoria “Fritta” // Napoli

Luca Belliscioni, Grecco Enjoy, categoria “Al taglio” // Roma

Francesco Martucci, I Masanielli, “Napoletana” // Caserta

Salvatore Di Matteo, Di Matteo, categoria “Napoletana” e “Fritta” // Napoli

Matteo Aloe, Berberè categoria “All’Italiana” // Bologna

Giuseppe Pignalosa, Le Parule, categoria “Napoletana” // Napoli

Diego Vitagliano, 10, categoria “Napoletana” // Napoli

Vincenzo Esposito, Carmnella, categoria “Napoletana” e “Fritta” // Napoli

Matteo Tambini, O fiore mio, categoria “A degustazione” // Faenza

Edoardo Papa, Biglietto prego, categoria “All’italiana” // Roma

Isabella Decham, 1947 Pizza Fritta, categoria “Fritta” // Napoli

Salvatore Gatta, Fandango, categoria “Napoletana” // Potenza

 

La Città della Pizza | Roma | via Guido Reni, 7 | dal 31 marzo al 2 aprile | ingresso libero | www.lacittadellapizza.it

 

a cura di Livia Montagnoli

Diet To go, il delivery che aiuta a seguire una dieta settimanale completa

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Una piattaforma digitale per ordinare pasti a domicilio sani ed equilibrati, che aiutino a rispettare una dieta completa, tarata sulle esigenze del cliente. È Diet to go, ultima startup nata nel settore del food delivery, comparto in rapida crescita negli ultimi anni. Già presenti a Milano e Roma, i fondatori promettono una rapida espansione all’estero.

Il food delivery , un mondo in espansione

Sono davvero tante le piattaforme digitali nate negli ultimi tempi per facilitare l'ordine di pasti a domicilio in modo pratico e veloce, escludendo i contanti dalle transazioni e riducendo i passaggi al minimo. Se fino a qualche anno fa Just Eat era il servizio incontrastato di consegne a domicilio, in poco tempo la concorrenza ha saputo crescere, perfezionarsi e diversificarsi: Deliveroo e Foodora sono in ascesa in molti Paesi, mentre grandi gruppi di altri comparti hanno affiancato il food delivery di recente, si vedano UberEats e Facebook. E anche in Italia gli esempi sono diversi, da startup come Moovenda, a ristoranti digitali come il milanese Foorban, fino a Feat Food, specializzata in cibo salutare.

 

Diet to go, il menu quotidiano completo

Ma cosa offre di diverso Diet To go, startup fondata a Milano nel 2016 da Anna Zocco e Alessandro Costa? Sicuramente la personalizzazione: sulla piattaforma si possono scegliere diversi “regimi alimentari”, da tarare sulle esigenze del cliente, che si vedrà recapitare a casa o in ufficio un menu quotidiano completo, dalla prima colazione alla cena. Per ogni tipologia di dieta, si specifica quanti chili possono essere persi, e in quanto tempo. “L’obiettivo”, ha spiegato Anna Zocco, “è quello di predire, in base alle specifiche caratteristiche del cliente, il tipo di perdita di peso che ci sarà e in quanto tempo. Non è detto, infatti, che la stessa dieta possa funzionare per tutti”.

Il perfezionamento della piattaforma, partita nel 2016 con un’impostazione un po’ diversa, è stato raggiunto grazie al lavoro del nutrizionista Andrea Tibaldi e al finanziamento ottenuto dalla startup da parte del fondo di venture capital Innogest, un’iniezione da 430 mila euro. “La nostra priorità è dare profondità scientifica al progetto, coinvolgendo i nostri clienti nella creazione dei menu e, con il sostegno di Innogest, perfezionando sempre di più il sistema di scelta e consegne”.

 

Come funziona il piano dietetico

Una volta effettuato l’accesso, la piattaforma permette di scegliere tra 3 tipologie di menu - mediterraneo, vegetariano e detox - e due tipi di piano dietetico, giornaliero e settimanale. Scelto il menu, si imposta il numero di settimane per cui si vuole seguire la dieta, si indica il sesso del cliente e naturalmente il luogo e l’orario di consegna. A partire dal lunedì successivo all’ordine il cliente riceverà ogni giorno una borsa termica con tutti i pasti freschi della giornata. Scegliendo una dieta mediterranea per 4 settimane (da 5 giorni) la spesa ammonta a 599 euro. I piatti sono diversi per ogni giorno della settimana e comprendono colazione, pranzo, spuntino e cena.

 

L’intervento del dietologo di fiducia

Con una novità recente, resa possibile dall’ultimo round chiuso dalla startup milanese: la possibilità di far intervenire direttamente i professionisti che seguono il cliente. “Nutrizionisti, dietologi e dietisti da ora potranno prescrivere direttamente ai loro clienti una dieta personalizzata con i nostri piatti”, una leva per espandersi anche nel settore del b2b. “Inseriremo questo programma di personalizzazione anche in un’app rivolta ai clienti, che potranno così, oltre a personalizzare facilmente la propria dieta, anche monitorare i propri progressi e inviarci dei feedback per noi molto preziosi”.

 

 

a cura di Francesca Fiore

 

Mangiare in Montagna: Bressanone e la Valle Isarco

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Un territorio che ha fatto dell’incontro fra culture diversi il suo punto di forza, circondato da ghiacciai millenari e vallette assolate, celebre per la buona cucina e l’arte dell’accoglienza. Per la rubrica mangiare in montagna vi raccontiamo Bressanone e la Valle d'Isarco, con i migliori indirizzi per mangiare, bere e prendere un buon caffè.

La Valle d'Isarco

Una valle di transito, dove da millenni la tradizione mediterranea incontra quella nordica e mitteleuropea, fondendosi in una cultura unica. È la Valle d'Isarco, nel cuore dell’Alto Adige, un territorio vario, in cui si passa da ghiacciai millenari e vette altissime a vallette pianeggianti e assolate, ricche di vigneti e frutteti.

Il comprensorio della Valle d'Isarco va dalla foce del fiume Isarco al Brennero, fino al suo sbocco nell'Adige, a Bolzano. In realtà è una macro area suddivisa in tre zone: Salto-Sciliar, a sud ovest, la Valle d'Isarco vera e propria, che si estende nella parte centrale e verso est, e Wipptal, o Alta Valle d'Isarco, che parte da Fortezza e si allunga fino a Innsbruck. Nella Valle d'Isarco troviamo degli splendidi e antichi comuni come Chiusa, Ponte Gardena e il capoluogo, Bressanone: cittadine che sanno accontentare anche i turisti più esigenti.

 

Valle IsarcoValle Isarco

 

Cosa vedere a Bressanone

Nel punto in cui il fiume Rienza confluisce nell’Isarco nasce Bressanone, la città più antica del Tirolo. Fondata nel 901, tre secoli prima che l’intera zona diventasse ufficialmente “Contea del Tirolo”, deve la sua fortuna alla predilezione delle autorità religiose per queste terre, che ne fecero uno dei molti principati ecclesiastici europei, luogo di scambio artistico e culturale.

 

Via Portici Maggiori, BrassanoneVia Portici Maggiori, Brassanone

 

Sono molte le attrattive che Bressanone e i suoi dintorni offrono. La sua Cattedrale, il Duomo di Santa Maria Assunta e San Cassiano, imponente chiesa in stile barocco costruita a partire dal XIII secolo (ma i lavori sono continuati fino al XX secolo), ospita una scultura di Hans Leinberger risalente al 1520 circa. Il Duomo è circondato da altri edifici religiosi con cui è collegato, come la Chiesa di San Michele e la Torre Bianca, alta 72 metri, che si trovano sul lato nord ovest, o il Chiostro sul lato sud, le cui 15 arcate contengono affascinanti affreschi gotici risalenti al XIV e XV secolo. Da qui, una porticina permette di entrare in un’antica cappella, la Chiesa di San Giovanni, che custodisce diverse opere d’arte in cui è ritratto Vescovo di Bressanone, divenuto poi papa Damaso II.

 

Bressanone, piazza DuomoBressanone, piazza Duomo

 

Giardini, fontane e percorsi panoramici a Bressanone

Anche le opere civili di Bressanone non lasceranno delusi i visitatori, come le tante fontane che decorano gli spazi cittadini – da visitare quella di piazza Duomo, creata dall'artista Martin Rainer – o lo spazio dedicato al verde, con il Giardino dei Signori, adiacente al Palazzo Vescovile, che nei mesi caldi rende questa parte di Bressanone un piccolo angolo di paradiso.

Per chi ama i paesaggi naturali consigliamo anche la Karlspromenade, lungo la costa est di Bressanone, nella frazione di Millan, una storica passeggiata che attraversa frazioni e boschi, costruita nel 1903 in onore dell'imperatore Carlo I d'Austria. Partendo da Bressanone, inoltre, sono tanti i punti di interesse naturalistico da visitare, dal parco Puez-Odle - riserva protetta e Patrimonio dell'Umanità - alle suggestive gole di Burkhardklamm, fino alle splendide cascate di Stanghe, a Racines, vicino a Vipiteno.

 

Piste da Sci della Valle Isarco

Piste da Sci della Valle Isarco

 

Sport e piste da sci

Per gli amanti degli sport invernali ci sono le vicine piste di sci di Valles e Maranza, ma soprattutto quelle della Plose, una montagna alpina che conta diverse vette sopra i 2500 metri, considerata una delle porte sulle Dolomiti. Questo comprensorio vanta itinerari di diversa difficoltà, con 11 tracciati facili (azzurri), 22 medi (rossi) e 9 difficili (neri): fra questi, anche la più lunga discesa dell'Alto Adige, la pista Trametsch, percorso da 9 chilometri con un dislivello di 1400 metri e bruschi cambi in pendenza.

Bressanone è anche un punto di riferimento per lo slittino, con la pistaRudirun lunga ben 11,7 chilometri; per lo sci da fondo, per le passeggiate con le ciaspole - che si possono effettuare anche nel suo territorio comunale - per il pattinaggio su ghiaccio e per l’hockey.

Speck Alto Adige DOP

La cucina della Valle Isarco

Completamente immersa nel contesto tirolese, la cucina di Bressanone è caratterizzata da alcuni piatti comuni alla gastronomia altoatesina, sintesi a sua volta delle tradizioni italiane, austriache e ladine. Qui si cucinano specialità diffuse anche fra le popolazioni di lingua tedesca, come ilbrezel (chiamati anche brezen o laugenbrezel), i crauti (sauerkraut) e i würstel o (delle tipologie frankfurter owiener), ma anche lo strudel della tradizione asburgica e il rösti, legato alla cucina svizzera e nordeuropea. Molte di queste pietanze sono comuni anche alle valli trentine, per la secolare unione del Trentino con l'Alto Adige.

 

Canederli o Knodel

 

Tra i primi piatti, per esempio, ci sono gli spätzle, gnocchetti di origine sveva, solitamente conditi con burro e speck, ma anche i canederli (knodel), diffusi non solo in diverse regioni italiane ma in quasi tutti i paesi dell’Europa centrale, e gli schlutzkrapfen, delle mezzelune ripiene di spinaci e ricotta. Molte sono poi le zuppe tipiche, a base di legumi e cereali, fra cui la gerstensuppe, una zuppa d'orzo con patate, speck, sedano, carote e cipolle, ma anche quelle a base di carne come il gulash ungherese. Tipica dell'Alto Adige è anche la polenta nera o schwarzplenten, fatta con il grano saraceno.

 

Spätzle

In Tirolo c'è una forte tradizione di lavorazione delle carni per la loro conservazione: qui nasce il celebre Speck Alto Adige Dop, ma anche coppe, lardo, prosciutti e i kaminwurzen (o kaminwurz), salamini affumicati solitamente preparati con carne di manzo e speck di maiale, ma che si trovano anche a base di capriolo, cervo e agnello.

 

Graukäse

Fra i formaggi spicca lo Stelvio Dop (o Stilfer) ma anche altre specialità come il graukäse, l’hochpustertaler, la stanga di Dobbiaco, il formaggio di montagna di Sesto.

La zona abbonda anche di dolci: oltre al già citato strudel, qui si mangiano anche i krapfen e lo strauben, una ricetta originaria della Baviera, creata versando la pastella (a base di farina, burro, latte, grappa, uova) nell'olio bollente, in modo da formare una sorta di salssiccia arrotolata, poi ricoperta di zucchero a velo e accompagnata da marmellata di mirtilli.

 

CONSIGLI DALLA GUIDA RISTORANTI D’ITALIA 2017

Anna Stuben dell’Hotel Gardena (Ortisei)

Atmosfera romantica con cena a lume di candela e ambiente raffinato per il ristorante all’interno del Relais & Chateaux Gardena. La cucina di Reimund Brunner è elegante e curata, volta a esaltare i sapori delle materie prime con creatività. Tra i vini referenze nostrane ma anche ottime etichette dall’estero. Servizio impeccabile affidato a Franz Lageder. Due Forchette nell’edizione 2017 della guida Ristoranti d’Italia.

 

Kleine Flamme (Vipiteno)

Una cucina ricca di contaminazioni, che mette insieme con sapienza ingredienti e sapori da tanti diversi paesi, eredità dei viaggi dello chef Burkhard Bacher che dà vita a un menu sorprendente e a tratti divertente. L’ambiente è curato ma non troppo formale, il servizio di sala ben gestito dalla moglie Annelise. Particolarmente bello il giardino delle erbe in cui pranzare d’estate. Due Forchette nell’edizione 2017 della guida Ristoranti d’Italia.

 

La Passion (Vandoies)

Solo cinque tavoli in questo locale all’interno di una stube del ‘500 (la camera principale della casa altoatesina, che prende il nome dalla grande stufa centrale), per cui vi consigliamo di prenotare. La proposta gastronomica è legata al territorio, con piatti della tradizione rivisitati in chiave moderna basati su ottimi prodotti locali. Diversi i menu degustazione, con buona scelta per i clienti vegetariani. Carta dei vini ben costruita, con ampia scelta anche alla mescita. Due Forchette nell’edizione 2017 della guida Ristoranti d’Italia.

 

Lerchner’s (San Lorenzo di Sebato)

La famiglia Lerchner accoglie i suoi ospiti con cortesia e competenza all’interno di una hofschenke, una tipica osteria locale con annessi maso e abitazione. In tavola la gran parte degli ingredienti è autoprodotta mentre il resto viene da una filiera corta. Il menu si basa su piatti di terra ben pensati e curati nei dettagli, tutti tesi a omaggiare le antiche tradizioni dell’Alto Adige, senza perdere di vista leggerezza e creatività, anche quando si tratta di dessert. Due Gamberi nell’edizione 2017 della guida Ristoranti d’Italia.

 

Patscheiderhof (Renon)

Un luogo dove gustare appieno la cucina classica altoatesina, all’interno del maso della famiglia Rottensteiner, situato sull’altopiano di Renon. La proposta gastronomica si basa su una rigorosa selezione dei migliori salumi e formaggi locali e su pochi ma ben eseguiti piatti tradizionali, da accompagnare con il rosso della casa o scegliendo qualche etichetta regionale dalla carta dei vini. Golosi e invitanti i dolci. Due Gamberi nell’edizione 2017 della guida Ristoranti d’Italia.

 

Pretzhof (Val di Vizze)

Una stradina tortuosa che attraversa paesaggi incantevoli porterà i più curiosi da Vipiteno verso la Val di Vizze, richiamati dalla fama del rifugio (ma anche maso, bottega, ristorante) della famiglia Mair. Qui l’alta qualità sposa l’abbondanza e la creatività non toglie spazio agli ottimi ingredienti locali. I piatti sono gustosi e raffinati, i sapori ben esaltati e precisi. Immancabili gli abbinamenti di formaggi e vini, proposti dal patron Karl Mair. Anche la carta dei vini merita un’attenzione particolare, con chicche difficilmente reperibili altrove, grazie alla spasmodica ricerca del patron nelle cantine di quasi tutta Europa. Tre Gamberi nell’edizione 2017 della guida Ristoranti d’Italia.

 

Schöneck (Falzes)

Un indirizzo di riferimento in attività da oltre 50 anni, immerso in un’atmosfera fantastica grazie al bosco che circonda il locale. Il menu - prevalentemente di carne ma con qualche sorpresa di pesce - è un inno ai prodotti del territorio, esaltati in piatti mai troppo elaborati che puntano sulla semplicità e sulla pulizia dei sapori. Ottimi i dessert, giocati sull’equilibrio fra dettami classici e spunti fantasiosi. Carta dei vini ampia, con referenze regionali ma non solo. Due Forchette nell’edizione 2017 della guida Ristoranti d’Italia.

 

CONSIGLI DALLA GUIDA PIZZERIE D’ITALIA 2017

La Tor (La Villa)

Un enorme forno a legna, uno dei pochi destinati alla pizza in tutta la valle, caratterizza questo indirizzo di La Villa. Lievitazioni di 24 ore e farine selezionate per un prodotto fragrante e profumato, farcito con topping creativi e sorprendenti. In menu anche piatti della tradizione, ben eseguiti e curati in ogni dettaglio. Da bere ottime birre artigianali e qualche etichetta locale. Uno Spicchio nell’edizione 2017 della guida Pizzerie d’Italia.

 

La Sieia (San Cassiano)

“Segheria”, dal ladino, è il nome di questa pizzeria a oltre 1500 metri di altitudine, ai piedi dei massicci Lavarella e Counturines. L’arredamento, armonico ed elegante, è ispirato ai principi del Feng Shui, mente l’accoglienza è calda e cordiale. Le pizze sono saporite, fantasiose, condite con ingredienti semplici ma abbinati in modo sorprendente. Da bere etichette di qualità sia sul versante birra che su quello dei vini, sebbene la scelta non sia ampissima. Una Spicchio nell’edizione 2017 della guida Pizzerie d’Italia.

 

CONSIGLI DALLA GUIDA FOODIES 2016

Rifugio Bamby (La Villa)

Accoglienza calorosa e cucina della tradizione dolomitica per questo rifugio suggestivo. Il menu ruota intorno alla carne, autoprodotta con metodi biologici dai proprietari ed esaltata in pietanze semplici ma ben pensate. Da non perdere gli hamburger e le tagliate. Interessanti anche le proposte più classiche, di cui abbonda la parte dei dessert. Bellissima terrazza da cui godere di una vista mozzafiato.

 

Armentarola (San Cassiano)

Una delle tavole più apprezzate di San Cassiano, con orto biologico annesso e confortevole albergo dove trascorrere qualche notte. La cucina è incentrata sui sapori classici con un occhio sempre rivolto alla leggerezza. Ottimi i taglieri di salumi e formaggi composti grazie alla ricerca dei proprietari presso i produttori locali. Piacevole dehors estivo dove fare colazione e pranzare.

 

CONSIGLI DALLA GUIDA PASTICCERI&PASTICCERIE

Acherer Patisserie Blumen (Brunico)

Situata nel cuore di Brunico, la pasticceria Acherer è un locale luminoso ed elegante, con una grande vetrina zeppa di ogni prelibatezza. Qui le parole d’ordine sono innovazione costante, ricercatezza e cura maniacale dei dettagli. Pasticcini di ogni tipo, torte e mignon, macaron, biscotti, tavolette e creazioni di cioccolata lasceranno i clienti stupiti, non solo per la pietanza in sé ma anche per gli originali packaging. Tre Torte nell’edizione 2017 della guida Pasticceri&Pasticcerie.

 

5 o’clock (Brunico)

Pasticceria a due piani, situata in una delle vie più centrali della cittadina altoatesina. 5 o’clock propone dai dolci, più classici (torte, mignon, pasticcini) ai più fantasiosi, ci sono le bellissime scatole di tè abbinate ai pasticcini, ma anche al corredo per ottenere una bevanda perfetta in casa. Punto di forza della pasticceria è il cioccolato, in un assortimento incredibile che va dalle praline alle tavolette, fino alle sculture. Due Torte nell’edizione 2017 della guida Pasticceri&Pasticcerie.

 

CONSIGLI DALLA GUIDA BAR D’ITALIA 2017

Fink (Bressanone)

Proposta gastronomica a tutto tondo per quello che, lungi dall’essere il classico bar, è un locale polifunzionale. Qui si gusta dalla colazione - con il pane speziato locale, ma anche cornetti e brioches classiche accompagnate da caffè intensi e aromatici - fino al pranzo a base di piatti freddi, insalatone e taglieri, passando per la merenda con torte, crostate e biscotti, fino all’aperitivo a base di cocktail e stuzzichini salati. Particolarità del locale è l’assortimento di miele di elevata qualità. Due Chicchi e Due Tazzine nell’edizione 2017 della guida Bar d’Italia.

 

Stadtcafè (Brunico)

Locale centralissimo, con piccola sala all’entrata per le consumazioni veloci e grande ambiente interno dove rilassarsi gustando specialità della pasticceria più classica. Il caffè, dall’aroma elegante e avvolgente, è preparato alla perfezione, il cappuccino è schiumoso e soffice, ma sono ottimi anche gli infusi e le cioccolate calde. Il tutto si accompagna perfettamente con i fragranti lieviti, le torte e i biscotti. Per pranzo panini gourmet, tramezzini, insalate e piatti freddi. Ampia l’offerta per l’aperitivo. Due Chicchi e Tre Tazzine nell’edizione 2017 della guida Bar d’Italia.

indirizzi

Acherer Patisserie Blumen | Brunico (BZ) | via Centrale, 8b | tel. 0471 4410030 | www.acherer.com

Armentarola | San Cassiano (BZ) | via Pre de Vi, 12 | tel. 0471 849522 | www.armentarola.com/it/hotel-alta-badia

Anna Stuben dell’Hotel Gardena | Ortisei (BZ) | via Vidalong, 3 | tel. 0471 796315 | www.gardena.it/it/ristorante-gourmet-anna-stuben.asp

Fink | Bressanone (BZ) | via Portici Minori, 4 | tel. 0472 834883 | www.restaurant-fink.it

Kleine Flamme | Vipiteno (BZ) | Città Nuova, 31 | tel. 0472 766065 | www.kleineflamme.com/it

La Passion | Vandoies (BZ) | via San Nicolò, 5 | tel. 0472 868595 | www.lapassion.it/it/benvenuti.html

La Sieia | San Cassiano (BZ) | strada Berto, 61 | tel 0471 849517 | www.lasieia.com/it

La Tor | La Villa (BZ) | via Colz, 9 | tel. 0471 844091 | www.la-tor.it/it

Lerchner’s | San Lorenzo di Sebato (BZ) | via Runggen/Ronchi 3A | tel. 0474 404014 |

Patscheiderhof | Renon (BZ) | Loc. Signato, 178 | tel. 0471 365267 | www.patscheider-hof.com/it

Pretzhof | Val di Vizze (BZ) | Frazione Tulve, 259 | tel. 0472 764455 | www.pretzhof.com/index.php

Rifugio Bamby | La Villa (BZ) | Pista, 16 | tel. 329 954 0054 | www.rifugiobamby.it

Stadtcafè | Brunico (BZ) | via Centrale 26 | tel. 0474 555 152 | www.stadtcafe.it

Schöneck | Falzes (BZ) | via Schloss Schöneck, 11 | tel. 0474 565550 | www.schoeneck.it

5 o’clock | Brunico (BZ) | via Centrale, 31 | tel. 0474 555 152 | www.five-o-clock.it

 

 

a cura di Francesca Fiore

 

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Morto Silvano Samaroli. Scompare a 77 anni l'imbottigliatore di whisky eretico

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Pioniere del Single malt, che dagli anni Sessanta selezionava in Scozia per promuoverlo sul mercato italiano e internazionale, in oltre 50 anni di carriera Samaroli è diventato sinonimo di distillati di prestigio. Whisky e rum. Nel 2016 un libro biografia per Giunti, Whisky Eretico.  

Una vita per il whisky

Dopo decenni trascorsi in distilleria, per tutti era il Signore degli Spiriti. Silvano Samaroli, classe 1939, era bolognese (nato a Bengasi), ma il suo cuore, l'affinità elettiva con una tradizione di cui si sarebbe fatto ambasciatore in Italia e nel mondo, l'aveva portato a stabilire un legame privilegiato con la Scozia, nelle Highlands dove nasce il whisky di malto. Prima agente, poi direttore commerciale di un'azienda di liquori, e la scintilla per quell'universo di spiriti ancora da scoprire, quando dall'altra parte della Manica, e in Italia, il mercato importava solo i Blended. Lui invece, a partire dagli anni Sessanta (del 1968 è la prima società col nome di Samaroli Srl Wine & Spirits Merchants), era diventato il nome per eccellenza del Single Malt, whisky selezionati sul territorio scozzese e imbottigliati con l'etichetta Samaroli. Poi cominciava il lavoro di promozione, l'appassionato pellegrinaggio presso chi in Italia poteva dare fiducia a lui e alle sue bottiglie senza compromessi. Uniche nel loro genere. E oggi tra le più costose, pregiate, bevute. Apprezzate dagli intenditori del genere. Un catalogo di referenze da imbottigliatore indipendente (il primo non scozzese o inglese ad approcciare il mestiere), persino “eretico”, che il suo fiuto da talent scout del whisky single malt l'aveva saputo imporre ai grandi professionisti del settore – chef, barman, imprenditori della ristorazione - conquistando un posto nei migliori bar ed enoteche del mondo. Il Veronelli dello spirito, come lo definiscono molti, che proprio a Luigi Veronelli riconosceva di aver creduto per primo nel suo lavoro.

Whisky eretico. Il manuale autobiografico

Proprio nel 2016 Giunti pubblicava per la collana I contorni di Piattoforte un libro agile a sua firma, Whisky Eretico, non un vademecum sul tema come tanti altri, ma “una provocazione ai metodi classici e un po' polverosi”, oltre che “il racconto di un uomo, di un professionista, di un fine bevitore che è stato capace di trovare l'anima del whisky”. Negli ultimi anni, dopo aver risollevato la sorte dei single malt (ormai caduti in declino, sosteneva, e tutto per colpa delle mode che inquinano il mercato), era tornato a interessarsi dei blended, sempre alla sua maniera. Assemblando per esempio un No Age di grande successo. Nel frattempo era arrivato anche il rum. Silvano Samaroli è scomparso all'età di 77 anni, tornando in volo da Singapore; la notizia circola da qualche ora, e sancisce la perdita di un professionista lucido e ancora pieno di voglia di fare. “Sono sostenitore delle armonie, delle sfumature calde e avvolgenti, degli accordi complessi, dei gusti naturali e dei respiri sottili e ampi al tempo. Amo il difetto a condizione che esprima personalità. Non credo nelle scelte facili e non sopporto le banalità”: così si descriveva tra le pagine raccolte per Giunti. Ci piace ricordarlo così. Mentre si abbandona col naso sul suo bicchiere di whisky.

 

 

Anteprime 2017. Da Montepulciano a Montalcino

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Sono quattro stelle assegnate al Nobile 2016 per l'evento poliziano che si è appena concluso, mentre il Brunello è pronto a presentare l'annata 2012. Per entrambi i consorzi, nuove sedi alla prova del pubblico

Anteprima Vino Nobile 2017

Si è appena concluso il XXIVappuntamento poliziano con l’annata 2016 valutata da 4 stelle su 5. Il giudizio è stato comunicato dal presidente del Consorzio del Vino Nobile, Andrea Natalini, insieme al sindaco di Montepulciano, Andrea Rossi. L’andamento stagionale dello scorso anno, presentato dall’enologo Emiliano Falsini, ha evidenziato che a fronte di un’annata non facile, per ottenere buoni vini è stato necessario operare una rigorosa scelta delle uve. Secondo il parere della commissione tecnica, il 2016 avrà colori molto intensi, una qualità media elevata e soprattutto doti di eleganza e di finezza. “Un nuovo primato di presenze – secondo le stime solo gli operatori hanno raggiunto quota 4.000 - che conferma il trend di crescita della nostra denominazione” spiega il presidente del Consorzio del Vino Nobile, Andrea Natalini l’Anteprima si riconferma un punto di riferimento per tutta la città con benefici per non solo per il comparto vinicolo, ma anche per l’intero settore turistico”.

Hanno partecipato alla manifestazione ben 45 aziende poliziane – numero mai raggiunto in precedenza – che hanno offerto in degustazione il Vino Nobile 2014 (3 stelle), la Riserva 2013 (4 stelle) e il Rosso di Montepulciano 2015 (5 stelle). Per la stampa si è aggiunta una degustazione di annate, fuori commercio, che hanno ripercorso cinquant’anni di storia della denominazione del Vino Nobile a partire dal primo anno di promulgazione. Professionisti di settore, operatori commerciali internazionali, appassionati di vino, giornalisti italiani e stranieri hanno affollato come non mai le sale della Fortezza di Montepulciano, definitivamente operativa dopo la ristrutturazione.

 

L’enoliteca della Fortezza

Un nuovo spazio è stato presentato quest'anno: l'enoliteca. La nuova struttura, circa 300 metri quadri, si affaccia sul chiostro della Fortezza e si articola in un banco di accoglienza, la sala per le degustazioni e i locali di servizio. Un pavimento di cristallo consente di ammirare i ritrovamenti archeologici - etruschi, romani, medievali- situati nel sottosuolo. Qui è possibile degustare tutti i vini e gli oli prodotti nel territorio poliziano. L’enoliteca, nata dalla ristrutturazione del manufatto mediceo, è un progetto partito nel 2007 e terminato nel 2016, con il sostegno economico delle aziende.

Nobile e sostenibile

Negli ultimi dieci anni le aziende produttrici hanno investito oltre 8 milioni di euro per la sostenibilità ambientale. Il dato è stato comunicato dal Consorzio del Vino Nobile di Montepulciano, che ha effettuato un’inchiesta sul territorio. Delle 76 aziende consorziate, oltre il 70% ha un impianto fotovoltaico, il 35% si è dotato di un impianto solare termico per la produzione di calore, il 20% ha sistemi di recupero delle acque reflue, mentre un 10% delle imprese ha investito nella geotermia. Attualmente oltre il 40% delle aziende di Vino Nobile pratica un’agricoltura sotto il regime del biologico. Montepulciano, tra l’altro, vanta il primo caso in Italia di cantina “off greed”, cioè non collegata. Il Comune e il Consorzio inoltre si sono posti il traguardo, entro il 2020, di ridurre o compensare le emissioni di CO2 durante le tre fasi di produzione del Vino Nobile (agricola, aziendale, trasporto), certificando l’impatto zero della propria produzione vinicola.

Il passaggio successivo” anticipa il sindaco di Montepulciano Andrea Rossisarà certificare la sostenibilità del turismo, allargato anche alla ristorazione e al commercio. Una politica che incentivi gli acquisti da fornitori che producono in maniera etica, che inviti al riuso dei materiali, riducendo al massimo i consumi e che – in prospettiva – preveda la circolazione dei centri abitati di mezzi pubblici alimentati ad elettricità”.

 

Quanto vale il Nobile

Il valore complessivo del Nobile tra valori patrimoniali, di fatturato e di produzione è di circa 500 milioni di euro. Il potenziale produttivo si basa su 1250 ettari di vigneto (oltre a 390 ettari di Rosso) dedicato e una produzione di circa 8800 tonnellate. Nel 2016 sono state immesse sul mercato poco più di 6.9 milioni di bottiglie di Nobile e quasi 2.5 di Rosso. Le aziende imbottigliatrici associate al Consorzio sono 76 (oltre il 90% della superficie vitata) che impiegano circa 1000 lavoratori fissi e altre 1000 stagionali. Nel 2016 l’Italia ha rappresentato il 22% del totale mercato (in Centro Italia il 17%, in Toscana il 48%, in azienda il 19%) a fronte dell’export che raggiunge il 78%. La Germania è il primo mercato (46% ), seguito da Usa (21%) e Svizzera (16 %); i mercati asiatici ed extra Ue valgono oltre il 7%.

 

Anteprima Vino Nobile di Montepulciano | Montepulciano | Fortezza Medicea | 11-12-13-16 febbraio |www.anteprimavinonobile.it

 

Benvenuto Brunello

Il 2017 è per noi un anno importante, non solo per l’elevata qualità dei vini che presentiamo” dice il presidente del Consorzio Patrizio Cencionima anche perché quest’anno ricorrono i 50 anni del nostro Consorzio di tutela fondato nel 1967. Da allora alcune cose sono cambiate, le generazioni si sono succedute, ma il vino, la passione e la dedizione dei nostri produttori sono restate le stesse”.

Benvenuto Brunello, giunto alla 25esima edizione, vuol dire un programma intenso, con la possibilità di degustare i vini di Montalcino in tutte le sfumature, gli stili e le interpretazioni nella cornice del trecentesco complesso di Sant’Agostino, recentemente restaurato e, da quest’anno, nuova sede del Consorzio. Sotto i riflettori ilBrunello 2012 (5 stelle), il Brunello Riserva 2011, il Rosso 2015 e le altre due denominazioni del territorio, Moscadello e Sant'Antimo. Spiegando le caratteristiche di Benvenuto Brunello 2017, Cencioni commenta così l’apertura agli appassionati: “Di fatto è una presenza che c’è sempre stata, ma il numero degli abusivi era cresciuto, per cui da quest’anno abbiamo disciplinato sia l’ingresso degli operatori sia dei privati, limitando gli afflussi”. Prezzi: visitatori 35 euro; invitati 15 euro (con biglietto da acquistare sul sito del Consorzio). L’altra novità è che venerdì 17 febbraio sarà una giornata riservata alla stampa, che potrà degustare le diverse annate nel chiostro, appositamente attrezzato, con il servizio dei sommelier. Ma, cena di gala a parte, non ci sarà la possibilità di incontrare i produttori, che invece saranno a disposizione per tutta la giornata di sabato.

Quanto all'annata 2016, a diversi mesi dalla vendemmia, il vino si presenta pulito con profumi e struttura che promettono molto bene. In degustazione il confronto con il 2015 è molto equilibrato, tanto da risultare migliore. Probabile ci sia più un giudizio da 5 stelle che 4.

 

Brunello, un successo da amministrare

La cosa più difficile è amministrare il successo” sostiene Cencioni “ma l’innalzamento della qualità dei nostri vini è tale che possiamo guardare al futuro con ottimismo. Anche nelle annate meno facili riusciamo a tenere sotto controllo la qualità delle uve, perché spendiamo molto più nel vigneto, investendo in manodopera e curando sempre più la vite. Ciò ci permette di produrre delle grandi uve che nelle annate difficili degli anni Settanta e Ottanta, non sarebbe stato possibile ottenere”.

Le rese produttive dal 2006 sono state ridotte a 65 quintali (rispetto agli 80 previsti dal disciplinare), ma non in modo lineare. Infatti, i piccoli produttori - che l’abbassamento penalizzerebbe rispetto alle aziende più grandi - nel primo ettaro possono produrre 10 quintali di più, non turbando così l’equilibrio produttivo complessivo, ma potendo mantenere la marginalità aziendale. La scelta di riduzione delle rese continuerà anche nei prossimi anni. D’altra parte con il Brunello sfuso a 13 euro al litro - nel 2008 il prezzo era calato sino a 5,5/6,00 €/lt - occuparsi del vigneto conviene, perché oltre a remunerazioni adeguate permette di spendere per incrementare la qualità. Tenendo presente che oggi una bottiglia di Brunello vale circa 18-20 euro.

Parlando di scelte produttive, a parte l'annata 2011 e l’annata 2014 - in quest'ultima c’è stato quasi un equilibrio tra Rosso (4.5 mln di bottiglie) e Brunello (5 mln di bottiglie cioè -40%) - i numeri complessivi della denominazione sono sostanzialmente gli stessi, con la piramide che continua a essere rovesciata a favore del prodotto di punta.

 

I numeri del Brunello

Stabile il dato sull’export rispetto allo scorso anno, che si attesta sul 70% della produzione totale. A fare la parte del leone gli Usa (oltre 30%), seguiti da Europa (con Uk, Germania e Svizzera in testa) al 20%, i mercati asiatici (Cina, Giappone, Hong Kong ecc.), che realizzano il 15%, il Canada (12%) e il centro e sud America (8%). Il restante 15% è occupato dagli altri mercati. Ed è lecito che il pensiero vada agli Usa (primo mercato di sbocco) e alla nuova politica nazionalista del presidente Trump, ma Cencioni fa i dovuti distinguo: “Credo ci possa essere qualche rischio di limitazioni – magari doganali - non tanto per il vino importato attraverso i consueti canali con gli importatori, quanto per le spedizioni ai consumatori americani che effettuiamo per loro conto dalle nostre cantine”.

Per quanto riguarda la produzione, le bottiglie prodotte nel 2016 sono state 13.932.000, così suddivise: Brunello 9.100.000, Rosso 4.500.000, Sant’Antimo 300.000 e Moscadello 32.000. Una leggera contrazione rispetto all’anno scorso (- 4,71%) dovuta al minor numero di bottiglie immesse sul mercato, a sua volta dovuto a una minore produzione di uva nel 2011. Il giro d’affari del settore vitivinicolo a Montalcino si è quindi attestato sui 170 milioni di euro.

 

Benvenuto Brunello | Montalcino | Complesso di Sant'Agostino | 17-20 febbraio | www.consorziobrunellodimontalcino.it

 

a cura di Andrea Gabbrielli

 

Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri del 16 febbraio

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La cena di gala del Golden Globe per 10 mila coperti? L'hanno firmata due chef italiani

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Servono più chef italiani e meno multinazionali del cibo che usano il nome dell'Italia. Con questo monito facciamo il punto della cucina nostrana negli Stati Uniti, tra italian sounding ed evoluzione dei consumi e del gusto, con due chef italiani residenti in California.

Più chef italiani e meno multinazionali in nome dell’Italia”. Ecco di che cosa ha bisogno la cucina italiana all’estero per mantenere il proprio podio nel panorama della cucina internazionale. Parola di Alberico Nunziata, che da concorrente di Master Chef Italia prima edizione è, da febbraio 2016, Executive Chef del Beverly Hilton, l’iconica struttura di Beverly Hills che ospita sin dalla prima edizione la cena di gala e gli eventi collaterali dei Golden Globe Awards.

Il pretesto per una chiacchierata sull’evoluzione della cucina italiana all’estero e sull’Italian sounding è stata appunto la maratona culinaria da oltre 10 mila coperti, sotto gli occhi di tutta Hollywood, dei media e del jet set americano. Una sfida non da poco, portata avanti con successo insieme a un altro italiano, GianbattistaVinzoni, oggi Chef de Cuisine del Beverly Hilton, e a Los Angeles da 20 anni, testimone dei cambiamenti della cucina italiana in California nel tempo dato che ha lavorato nelle cucine dei più rinomati ristoranti della città: è stato per 6 anni Head Chef a Soho House, l’esclusivo e lussuoso club londinese con sedi in tutto il mondo.

Iniziamo dalla cena dei Golden Globe Awards. Dalle cucine del Beverly Hilton quella sera, l’8 gennaio scorso, sono stati serviti oltre 10 mila coperti con ritmi da cardiopalma. Come era il clima in cucina?

Gianbattista: Come puoi immaginare, la tensione era alle stelle. Anche perché oltre al grande numero di coperti c’era il fattore tempo: a scaglioni, divisi in party da 1500 persone circa, dovevano cenare tutti in 30 minuti per assistere alle proiezioni o registrare interviste. Tutto doveva essere perfetto e rapido. Ricordo che il mio pensiero fisso era quello di far bastare le provviste e di aver fatto bene i calcoli.

 

Qual èstato l’aspetto più difficile da gestire?

Alberico: Senza dubbio l’aspetto organizzativo è stata la grande sfida. È stato un lungo lavoro cominciato a settembre con una prima fase, i tasting per la scelta del menu, quando i diversi gruppi coinvolti (in simultanea si tenevano diversi party e la cena di gala, ndr) hanno scelto le portate tra quelle proposte. Poi ho assegnato ogni evento agli chef del mio dipartimento e abbiamo iniziato a coordinare: ordini, personale e PR.

 

Quando si cucina in queste occasioni che cosa permette di mantenere uno standard qualitativo?

È stata un’esperienza unica nel suo genere, ci ha dato la possibilità di rafforzare la consapevolezza che una cucina organizzata e guidata in maniera professionale può arrivare a fare di tutto. Anche 10 mila coperti in 2 ore. Sono fortunato ad avere un team giovane ed eccellente.

 

Tra le enormi quantità di prodotti impiegati oltre 362 kg di spigola, 1815 kg di verdure, 272 kg di filetto. Sono stati utilizzati anche prodotti italiani? Quali?

Alberico: Questa parte è stata davvero complicata, sembra che le aziende italiane non fossero interessate a essere coinvolte in questo evento. Ne ho contattate diverse, ma nessuna risposta ad eccezione di un paio: Parmigiano Reggiano, di cui ne abbiamo acquistato 300kg, quello invecchiato 24mesi; e, da Sorrento, la Ditta Gargiulo ci ha inviato oltre 30 galloni di Olio Extra Vergine di Oliva e il loro famoso olio ai limoni di Sorrento che abbiamo usato per la spigola cilena servita alla cena di Gala.

 

A proposito di aziende italiane e prodotti all’estero: in una recente intervista Gualtiero Marchesi ha lanciato un appello alle aziende italiane per fare sistema e “riappropriarsi dell’Italian sounding”. Alla luce anche di quanto appena raccontato, condividi questo appello?

Alberico: Una presenza maggiore delle aziende italiane in tal senso faciliterebbe molto il nostro lavoro di ambasciatori della cucina italiana. Senza dubbio manca una conoscenza delle materie da parte degli americani, per esempio da poco hanno imparato cosa è e quale è il sapore della burrata, che fino a pochi anni fa non si vedeva nei menu dei ristoranti. Col tempo e con meno opportunisti nell’ambito ristorativo italiano, si avrà la possibilità di far conoscere qualche nuovo sapore ai loro palati. Ma si deve lavorare perché siano sapori autentici. Occasioni come la cena dei Golden Globe possono essere una vetrina importante che le nostre aziende potrebbero sfruttare.

 

In che modo il concetto di cucina italiana può passare dall’immaginario della tovaglia e mantenere un posto nella haute cuisine a livello internazionale?

Alberico: Senza dubbio gli Stati Uniti stanno evolvendo e anche la West Coast è coinvolta in questo processo evolutivo; la strada è ancora lunga e, come accennavo poco fa, una maggiore collaborazione e supporto da parte delle aziende produttrici italiane sarebbe certamente di grande aiuto. La cucina italiana a mio parere è già leader mondiale, qui a Los Angeles ha bisogno di più chef italiani e di meno multinazionali in nome dell’Italia.

 

Come è cambiata negli anni la cucina italiana negli Stati Uniti?

Gianbattista: La cucina, quando sono arrivato io in Usa vent’anni fa, era molto semplice: una cucina poco ricercata, da trattoria; iniziavano all’epoca ad aprire i primi ristoranti eleganti in California (Valentino a Santa Monica per esempio), con un impiattamento un po’ più curato, e una proposta più raffinata. Da lì è iniziato a cambiare anche il palato degli americani, vc'è stata una evoluzione del gusto. È stato un percorso lungo, basti pensare che solo fino a qualche anno fa erano ancora in molti a chiedere il parmigiano sugli spaghetti alla bottarga, adesso, fortunatamente, non capita quasi più. La gente viaggia, impara e cambia.

 

Su cosa deve puntare la cucina italiana all'estero?

Deve puntare sulla regionalità. Io credo che tra qualche anno ci sarà una sola cucina internazionale standardizzata che avrà inglobato i piatti italiani classici che ormai si cucinano in tutto il mondo. Per non finire quindi appiattita sulla haute cuisine globale, la cucina italiana deve puntare a esportare la cucina regionale. Se non si torna alla regionalità, la cucina italiana sparisce. D’altra parte la grande varietà e la grande diversità sono le nostre ricchezze: dobbiamo difenderle, esportarle ed elevarle. I nostri giovani chef devono partire da lì, a: portare il mondo nella cucina regionale e la cucina regionale nel mondo.

 

a cura di Laura Donadoni

Evoo days: a Verona l'extravergine protagonista del salone dell'agroalimentare

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Prima edizione per gli Evoo days, iniziativa di Veronafiere-Sol&Agrifood a supporto della filiera dell’olio d'oliva in programma il 20 e 21 febbraio. Torna il salone dell'agroalimentare di qualità nel capoluogo veneto, ma è l'oro verde il protagonista assoluto della manifestazione. 

L'evento

Cambiamenti climatici, proprietà nutritive, salute, analisi di mercato, degustazione: sono solo alcuni dei temi del programma degli Evoo days, due giornate dedicate alla cultura dell'olio extravergine di oliva durante il Sol & Agrifood, fiera dell'agroalimentare di Verona. “Il focus è sempre il business, ma come per il vino a wine2wine l’ottica è quella di mettere le professionalità in rete per migliorare il risultato finale, con una ricaduta economica positiva per tutti”, spiega Giovanni Mantovani, direttore generale di Veronafiere. E continua: “Questa nuova iniziativa è stata pensata con l’intento di far crescere e valorizzare il potenziale umano e professionale della filiera oleicola, perché l’olio di qualità è frutto della cultura italiana” e per questo è un valore che deve essere “mantenuto e allo stesso tempo aggiornato per essere leader e sviluppare sempre di più le opportunità del mercato interno ed estero”. Una due giorni densa di argomenti, seminari, convegni e dibattiti sull'oro verde d'Italia, con relatori nazionali e internazionali pronti a confrontarsi sulle tematiche di attualità del settore olivicolo. Con un programma ricco di appuntamenti.

Il programma

Si comincia lunedì 20 con un focus sul cambiamento climatico: il nuovo progetto OLIVE CLIMA Project, finanziato con quasi 4 milioni di euro e che sarà realizzato in Grecia, si propone di sperimentare nuove tecniche per la riduzione di gas serra attraverso l'aumento del sequestro di anidride carbonica nei terreni, l'incremento di sostanza organica nei suoli, una maggiore ritenzione idrica nel terreno. Spazio anche alla medicina: durante la manifestazione, verranno messe in luce tutte le proprietà benefiche dell'olio extravergine di oliva, ricco di polifenoli (sostanze antiossidanti) e in grado – specialmente se utilizzato a crudo – di prevenire diversi malanni. Come l'osteroporosi: secondo una ricerca dell'Universidad Rovira i Virgili in Spagna una dieta ricca di extravergine è in grado di ridurre fino al 51% il rischio di fratture causate dalla malattia. Uno studio condotto su 870 persone di età compresa fra i 55 e gli 80 anni e che è durato per circa 9 anni ha dimostrato infatti che l'integrazione di quattro cucchiai di olio extravergine di oliva nell'alimentazione quotidiana rappresenta un aiuto concreto contro la fragilità ossea. Non mancheranno, inoltre, dibattiti sul valore del made in Italy nel mondo, sulle tecniche di coltivazione e le prospettive di consumo di extravergine all'estero. Cosa si aspettano i mercati di riferimento (Stati Uniti e Asia) dal prodotto italiano? Quanto la partecipazione a fiere e concorsi può aiutare l'internazionalizzazione dell'oro verde d'Italia? A queste e altre domande cercheranno di rispondere gli esperti del settore. Attenzione particolare sarà poi posta anche all'etichettatura, al marketing, alla grafica e a tutti quei dettagli che possono fare la differenza durante la vendita.

Sol d'Oro

Infine, cuore pulsante della manifestazione è il Sol d'Oro Northern Hemisphere, concorso oleario internazionale che vuole evidenziare e promuovere le migliori produzioni oleicole del mondo, grazie a un panel composto da degustatori internazionali. Oltre agli assaggi ufficiali della competizione, sarà possibile degustare diverse etichette presso l'Oil bar oppure nella Sala Mantegna, guidati dai professionisti. Gli oli premiati con la Gran Menzione saranno inoltre utilizzati in cucina per Chef on show, un evento nell'evento nato in collaborazione con la Federazione Cuochi che si propone di valorizzare il ruolo dell'extravergine nei piatti. Le stesse etichette saranno utilizzate per i minicorsi di cucina Oliocibando.

 

Evoo days | Verona | Veronafiere – viale del Lavoro, 8 | 20 e 21 febbraio 2017 | www.solagrifood.com/

 

a cura di Michela Becchi

Beer Attraction a Rimini: non solo birra, ma anche cibo e tecnologie per la ristorazione

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Gli appassionati della birra e gli operatori del settore si riuniranno a Rimini, dal 18 al 21 febbraio, per la terza edizione di Beer Attraction, la fiera internazionale dedicata alle birre artigianali e alle specialità birraie, ormai diventata un punto di riferimento per il birrofili di ogni parte d’Italia. Diverse le novità in programma quest’anno. 

Le novità della fiera

Al centro del festival c’è la birra: le eccellenze italiane e internazionali, le migliori specialità birrarie, il mondo dei microbirrifici. Ma al Beer Attraction di Rimini si parlerà anche di altre bevande come distillati e cocktail e, naturalmente, di cibo. Sono diverse infatti le novità in programma quest’anno: la sezione Food Attraction, sezione focalizzata sugli “speciality food” e sui nuovi format della ristorazione, e BB Tech Expo – Beer & Beverage Technologies, spazio dedicato alle tecnologie per birre e bevande.

Come sempre la fiera aprirà i battenti con la giornata dedicata al pubblico, sabato 18 febbraio, mentre fino a martedì 21 la visita alla fiera è riservata ai professionisti del settore.

Tra i principali eventi in programma, sempre presenti il premioBirra dell’Anno, organizzato da Unionbirrai, insieme ai seminari e ai laboratori di formazione per birrifici, pub e brew pub. Da segnalare, sabato 18 febbraio, l’incontro “Luppoli italiani”, con Eugenio Pellicciari di ItalianHops Company e Riccardo Grana Castagnetti di Unionbirrai BeerTasters.

 

Gli eventi della sezione Food Attraction

Tanti eventi anche nella sezione Food Attraction, l’area dedicata ai nuovi format metropolitani della ristorazione: i Campionati della Cucina Italiana, organizzati dalla FIC Federazione Italiana Cuochi, che vedrà sfidarsi oltre 300 concorrenti singoli e almeno 16 team regionali e provinciali; lo spazio Pizza Arena, in cui i migliori chef e pizzaioli d’Europa si confronteranno sulla pizza e sulle diverse variazioni sul tema, dalla classica al Kamut, fino alla pizza vegan e gluten free. Altro interessante appuntamento con la pizza è Giropizza d´Europa, che selezionerà i 10 migliori prodotti da portare alla finale di Amburgo.  Infine il Campionato di international street food, che vedrà molti trucker italiani e non contendersi il premio del miglior cuciniere di strada, nelle categorie miglior panino/hamburger/calzone, miglior primo piatto e miglior dessert

L’altra sezione speciale è quella dedicata alle tecnologie, con l’area BB Tech Expo – Beers & Beverage Technologies, che ospiterà i maggiori marchi europei del settore processing and packaging.

 

La Beer Accademy

Programma a sé per la Beer Accademy, sezione dedicata alla formazione dei futuri mastri birrai. Fra i seminari più interessanti, il corso di spillatura “Impariamo l’arte del perfetto servizio”, il PIM - Progetto Imprenditoriale Microbirrificio e il PIBS - Progetto Imprenditoriale Beer Shop. Tante anche le degustazioni formative in programma fra cui “Food&Beerpairing: incontri segreti tra birra e cibo”, “Nel mondo delle basse fermentazioni”,  “Il Belgio italiano”, “Birra e cioccolato: unione di fatto”. Per partecipare agli eventi della Beer Accademy è necessario acquistare un ticket a parte.

 

Beer Attraction | Rimini | Rimini Fiera, Expo Centre | via San Martino in Riparotta angolo via Turchetta | dal 18 al 21 febbraio 2017 | www.beerattraction.it

 

a cura di Francesca Fiore

Dolci di Carnevale, i cassateddi ra cummari della Pasticceria Corsino

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Sono tante le specialità che si preparano a Carnevale. Ci affacciamo a Palazzolo Acreide, in provincia di Siracusa, per raccontare la storia delle cassateddi ra cummari, un dolce goloso inventato dalla Pasticceria Corsino ed entrato a far parte delle usanze locali. Con la ricetta originale.

Le suore e l’arte della pasticceria

La storia della pasticceria siciliana si intreccia spesso a quella dei conventi di suore sparsi sul territorio. Nel Medioevo, oltre alle classiche mansioni come prendersi cura dell’orto, le suore si dedicavano spesso all’arte dolciaria, preparando le loro specialità nei monasteri e vendendole nei mercati rionali, fino ad ottenere quasi il monopolio di questi prodotti in Sicilia. L’esempio più famoso in questo senso sono ifacciuni di Santa Chiara, citati anche da Verga nella novella La vocazione di Sant’Agnese: si tratta di piccoli dolcetti semisferici fatti con la pasta di mandorle, creati dalle suore dell’omonimo monastero nella zona di Siracusa.

La storia della cassateddi ra cummari della Pasticceria Corsino, Due Torte nell’edizione 2017 della guida Pasticceri&Pasticcerie, segue proprio questa via, diventando un dolce simbolo del Carnevale a Palazzolo Acreide. Ve la raccontiamo, con la ricetta originale.

 

La pasticceria Corsino al centro del Carnevale

Anche a Palazzolo Acreide, splendida cittadina barocca dalle antiche tradizioni in provincia di Siracusa, l’apporto delle suore è stato fondamentale per la produzione delle specialità locali. Parte proprio da qui la storia della Pasticceria Corsino che, in oltre 150 anni di attività, è diventata un punto di riferimento per l’arte dolciaria siciliana. “Tutto inizia da Suor Chiara”, racconta Vincenzo Monaco, giovane pasticcere e quinto della sua famiglia a prendere in mano l’attività, “la zia del nostro trisavolo, Salvatore Corsino, che si dilettava a preparare i dolci nel laboratorio di famiglia”. È proprio lei che crea intorno al 1890, le cassateddi ra cummari, oggi diventato un dolce tradizionale di Palazzolo Acreide. “Sono dolci fritti, come tutti quelli di Carnevale, e questo per un semplice motivo: da noi il maiale si ammazzava fra fine gennaio e inizio febbraio e dunque il grasso non doveva andare sprecato”. Così i pasticceri si adoperavano nella creazione di specialità da friggere nello strutto.

Il nome del dolce, cassateddi ra cummari, prende spunto dalla giornata, detta “ra cummari” (della commare, in dialetto),“durante la quale le donne del paese si riunivano tutte insieme per cucinare i pasti comuni e i dolci che sarebbero stati consumati nel periodo di festa”. Era parte dei preparativi del Carnevale: i tre giovedì che precedono il Giovedì Grasso erano tutti dedicati alla preparazione di vari aspetti della festa: non solo pietanze da consumare durante i riti collettivi ma anche costumi e addobbi per il paese.

 

La condivisione dei dolci a Palazzolo Acreide

Le specialità dolciarie preparate per il Carnevale non erano destinate solo a famiglie altolocate, ma anche alla popolazione meno abbiente, che a Carnevale aveva la possibilità di liberarsi per un momento dalla propria condizione di indigenza. Per questo motivo dovevano essere “golosi e sostanziosi”, dovendo diventare “simboli di abbondanza e gioia di vivere”.

Un’altra tradizione importante per Palazzolo Acreide è la condivisione dei dolci. Durante la sfilata di Carnevale, i maestri della pasticceria locale sono soliti preparare cannoli ripieni di ricotta da distribuire in piazza. Ma era propria della pasticceria Corsino l’usanza di lanciare dai balconi, direttamente sulla folla festante, i morbidi torroncini locali a base di frutta secca. “Una tradizione abbandonata ormai da qualche anno” spiega Monaco, “che ricorda tempi di abbondanza e ottimismo e che oggi forse sarebbe anacronistica”.

 

 

La ricetta delle cassateddi ra cummari della pasticceria Corsino

 

Ingredienti:

Per la pasta

500 g di farina di grano duro

100 g di zucchero

100 g di strutto

300 g vino bianco

2 uova

succo di 1 limone

scorza di 1/2 arancia

1 pizzico di sale

 

Per il ripieno

500g di ricotta fresca

1 uovo

1 pizzico di cannella in polvere

 

Per guarnire

Zucchero semolato

cannella in polvere

 

Procedimento:

Impastare insieme la farina, le uova, lo zucchero, il pizzico di sale e lo strutto Aggiungere il succo del limone, la scorza della mezza arancia e amalgamare bene gli ingredienti. Fare legare l'impasto con il vino bianco aggiungendone 100 alla volta e continuando a manipolare la massa nel frattempo. Stendere l’impasto e punzecchiarlo con una forchetta. Nel frattempo mischiare la ricotta con l’uovo e la cannella, creando una crema soffice. Fare dei piccoli stantuffi di ricotta, chiudere a mezzaluna e coppare. Friggere i fagottini a 160 gradi e, ancora caldi, passarli nello zucchero semolato. Spolverarli con un velo di cannella e servire.

Pasticceria Corsino | Palazzolo Acreide (SR) | via Nazionale, 2 | tel 0931 875533 www.corsino.it

 

a cura di Francesca Fiore

 

 

 

 

Moovenda Black. Il food delivery che ti porta a casa il menu dei grandi chef

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Il servizio di food delivery Moovenda non ha neanche due anni di vita, ma già pensa in grande. La nuova sfida si chiama Moovenda Black. Ecco di che si tratta.   

Il servizio di food delivery Moovenda

I ragazzi di Moovenda colpiscono ancora. Di loro vi abbiamo parlato qui e qui. Ma vale la pena riassumere le puntate precedenti: nati nel 2015 a Roma come servizio di spedizioni pacchi, ben presto si sono specializzati solo nel food, di qualità però. Tra i loro clienti si annoverano Trapizzino di Stefano Callegari, Otaleg, una delle gelaterie migliori di Roma, Fonzie The Burger's House, paninoteca d'eccellenza che punta su carne Kosher, Grezzo, pasticceria, cioccolateria e gelateria crudista vegana. E ancora Banco, Casa Braciola by Bonci, Pizzarium sempre di Bonci, Mordi & Vai o Le Levain. Oggi hanno superato i 30mila utenti iscritti, nel 2016 hanno fatturato 1 milione di euro e prevedono, nel 2017, di raggiungere i 2,5 milioni, chiudendo così in positivo, nonostante gli ultimi investimenti fatti soprattutto sul fronte marketing (come dovrebbe essere per tutti?!). Ed è notizia di pochi giorni fa la loro ultima sfida: Moovenda Black.

 

La nuova sfida: Moovenda Black

Simone Ridolfi, CEO & Co-Founder, ci ha raccontato il nuovo servizio dedicato alla ristorazione gourmet (passateci il termine) capitolina: “Moovenda Black ti porta a casa il menu di un ristorante, confezionato per il delivery. Lo abbiamo rodato con il nipponico Shinto, che in occasione di San Valentino ha studiato tre menu”. In pratica il ristorante in questione confeziona un menu apposito e dedicato solo agli utenti Moovenda, capace di raccontare una storia anche tra le mura che gli italiani conoscono meglio: quelle di casa propria. “Moovenda Black è anche una sfida per gli chef, che devono mettersi in gioco con impiattamenti pensati allo scopo, un packaging che per quanto funzionale non sarà mai come il piatto del ristorante e un menu che non soffra troppo gli spostamenti”. Sfida accettata già da Yugo e Madre, anche se sono in moltigli chef interessati. “Purtroppo non possiamo anticipare nulla perché siamo in fase di chiusura contratti, ma la cosa incredibile è che molti di loro ci hanno contattato appena appresa la notizia. Sarà la crisi? Sarà la volontà di differenziarsi? O la stimolante sfida? Non lo so, fatto sta che le premesse sono positive”.

 

Come funziona

Come funziona esattamente? L'utente prenota il menu del ristorante scelto – “il nostro obiettivo è di avere un portale dove ogni giorno si può scegliere da un ristorante diverso, così il lunedì si può prenotare da un ristorante e il martedì da un altro” – e all'orario prestabilito arriva a casa la cena. A differenza di Moovenda base, il servizio Black prevede un packaging più evoluto e il trasporto in macchina da parte di personale preparato. Non dimentichiamoci che rimpiazzeranno i camerieri, quindi dovranno essere in grado di raccontare il menu. E tutta la parte di quella che in gergo si chiama “esperienza”? “Il nostro target sono quelle persone che non hanno ancora provato un ristorante gourmet, comunque curiose e appassionate. A loro vogliamo dare la possibilità di conoscere qualcosa di nuovo senza doversi mettere troppo in gioco. Con Moovenda Black abbiamo scelto di occupare uno spazio in più all’interno del settore food italiano, che per quanto culturalmente ricco, manca di alfabetizzazione nell’ambito gourmet”.

 

Nota a margine

In Italia, tolti i big del delivery, oggi esistono nell'ordine: Cosa Ordino, Food Racer, Flash Food, Glovo, Il Panino Tondo, My Menu, Presto Food, Sgnam, The Food. E probabilmente ci siamo persi qualcuno per strada. Perché non unire le forze per competere concretamente con i grandi del settore?“Domanda attuale. Noi ci stiamo lavorando, tant'è che abbiamo già annunciato l'acquisto di iAmbrogio, applicazione per servizi di consegna a domicilio, e stiamo per annunciare l'acquisizione di una startup locale in una grande città. Certo è che per unire le forze, bisogna essere tutti “sani”, altrimenti si fallisce”.

 

 

https://www.moovendablack.club/

 

a cura di Annalisa Zordan

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