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Morto Raffaele Chiumento, il grande ristoratore di Nonna Sceppa di Capaccio

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Ha fatto di Nonna Sceppa un faro nel Cilento del gusto, con il pallino della ricerca della materia prima e dell'alta qualità, ma anche con quella sua umanità, con la sensibilità e la gentilezza che lo hanno reso un amico, prima che una figura del mondo della ristorazione.

"…io volevo ed eran voli di uno sparso, antico sogno,
per non rimanere soli, accecati nell'abbaglio.
Io non appartengo e lascio lo spiraglio alla mia porta,
solo, quando vieni fallo con l'amore di una volta
" …

È l’ultimo post che appare nella sua pagina Facebook. I due precedenti, sulla facoltà di giurisprudenza di Bologna, erano invece una sorta di invito ai figli, Raffaella e Davide, la prima impegnata a studiare Giurisprudenza a Bologna, il secondo – nelle speranze del padre – avrebbe potuto seguirne la strada. Raffaele Chiumiento se ne è andato così, all’improvviso, nel pieno di una vita piena e carica di pensieri e riflessioni. La citazione dal finale della canzone di Roberto Vecchioni (Io non appartengo più) sembra quasi un biglietto di addio. Ci eravamo sentiti pochi giorni fa e con la solita ironia diceva che andava tutto bene.

Un “mangificio” di alto livello

Ma chi è – chi era – Raffaele Chiumiento? La prima risposta che mi viene immediata: era un grande uomo profondamente laico e incredibilmente profondo. Non so se credesse a un qualche dio, né mi interessa saperlo. So che credeva nella vita e negli uomini. Queste due caratteristiche – laicità, sensibilità, spessore – le applicava alla sua vita e ai suoi rapporti, a ciò che faceva quotidianamente. E le applicava al suo lavoro: il ristoratore. Raffaele era un gallo nel pollaio.

Era lui a sovrintendere – con il pensiero e con la pratica quotidiana della spesa e della scelta degli ingredienti – a una cucina fatta di tutte donne: sua moglie Francesca e sua cognata Cinzia (la moglie del fratello Luigi, che insieme a Raffaele dirigeva la trattoria NonnaSceppa a Capaccio, Paestum), sua mamma (che fino a poco fa ancora sovrintendeva alla fattura del pane, ogni giorno) e sua sorella Anna. Era lui il motore di un locale che Davide Paolini definì “mangificio” – e Raffaele ne andava fiero, perché poi si diceva di come quel ristorantone da centinaia di coperti aveva una qualità e uno standard incredibili – e che impegnava tutta la famiglia, anche in sala con il fratello Luigi e i nipoti Luigi e Antonio. Era lui il motore e la testa: non voleva nessun “grado”, non aveva un ruolo definito, però seguiva tutto e con la intelligenza e la sua autorevolezza impostava il lavoro di tutti.

Raffaele Chiumiento era un ristoratore come pochi: non aveva dogmi, non aveva schemi, era molto curioso e aveva una particolare intelligenza per sapori e consistenze. Anche per i lardi e gli insaccati che sicuramente non hanno fatto bene né al suo cuore, né al suo peso, né ai suoi calcoli. Era un omone da 160 chili (ma il peso non lo ha mai dichiarato), un gigante buono e gentile… era un amico con cui si stava “sotto al portichetto” (la sua casa e quella del fratello erano incorporate nell’area accanto al ristorante e tutti vivevano e vivono lì) per ore e ore, dopo cena, fino a mattina, a parlare di tutto: di cibo, certo, ma anche di politica, di poesia, di filosofia, di cose semplici in maniera profonda, sempre con ironia e con il sorriso.

Passione e curiosità

Ci siamo conosciuti all’inizio della mia avventura al Gambero, una quindicina di anni fa: stavamo chiudendo una guida per il riso Gallo mi sembra e stavamo controllando i ristoranti da inserire. Contattammo anche lui. Non ci si conosceva ancora. Ma disse che ci avrebbe mandato dei prodotti da assaggiare. Era fine luglio, e non ci si sentì più. Alla chiusura di Ferragosto degli uffici, scovammo una cassetta di polistirolo dietro il banco del centralino: era per noi. Non avevamo idea di cosa fosse. Ma il mittente era Nonna Sceppa. Aperta la scatola – stava lì da almeno una decina di giorni – ne tirammo fuori delle ricotte di bufala che ovviamente non sembravano mangiabili. Sotto c’erano delle grandi mozzarelle da mezzo chilo: un peccato buttarle così, quindi provammo ad assaggiarle. Ce le siamo finite, erano ancora molto ma molto meglio di altri prodotti freschi. E ne restammo entusiasti. Raffaele voleva che provassimo le mozzarelle di Rivabianca, caseificio di Paestum che ancora non aveva la grande notorietà che ha oggi fuori dal suo territorio. Fu una vera scoperta (poi il caseificio ebbe varie vicissitudini…) e ci incontrammo lì dove ci si conobbe. Da allora non ci siamo mai più persi di vista: ci siamo frequentati molto, sia di persona che telefonicamente. Era un amico, vero.

La qualità è quotidianità

Ma non era solo un amico. Era un punto di riferimento per un territorio sostanzialmente agricolo e abbastanza ricco dove il miraggio di un turismo facile ha moltiplicato locali di ristorazione senza molto spessore e senz’anima. Lì, lungo la costa che da Salerno va ad Agropoli, non è facile fare una cattiva ristorazione: basta prendere i prodotti freschi della terra e del mare. Eppure, sempre più ci si è allontanati negli anni dalla terra e dalla costa. Raffaele andava continuamente alla ricerca di contadini in gamba, seri, e di pescherie di valore; provava di continuo nuovi tipi di pasta secca, era in contatto con tutti i produttori di Fiano e di Greco della zona: voleva il meglio, anche sapendo che nei weekend e in estate la sua Nonna Sceppa faceva anche centinaia e centinaia di coperti al giorno. La qualità per lui non era un lusso: era l’unica strada che aveva per continuare a fare il suo lavoro lì, che significava tenere insieme tutta la famiglia, continuare la tradizione, conoscere e parlare del suo territorio e farlo conoscere nel mondo. Non perdeva un’occasione per cercare di portare fuori provincia e fuori regione giovani produttori che riteneva validi. Lottava ogni giorno contro le banalizzazioni e il folklore da cartolina che spesso prendeva il sopravvento tra colleghi e negli eventi che lì si facevano e si fanno.

Forse aveva un difetto, o almeno una caratteristica che oggi – nell’era mediatica della sovraesposizione – può essere considerata un difetto o un limite: non amava mostrarsi, da buon artigiano voleva che le cose, i fatti, il suo lavoro quotidiano parlassero da sé. E purtroppo, anche se Nonna Sceppa era sempre piena, non ha mai avuto i riconoscimenti che a mio avviso avrebbe meritato. Lui, Raffaele, era uno di noi: era in naturale sintonia con la filosofia originaria del Gambero Rosso. Per lui il piacere del gusto era la prima cosa, in gastronomia e in cucina. Il buono e il bello avevano un posto di primo piano, oltre le chiacchiere e oltre i sofismi, oltre le ideologie e gli schemi, convinto che il bello e il buono fossero anche de per sé validi per l’essere umano. In una parola: credeva nell’autonomia del gusto, senza che l’esperienza del piacere dovesse essere giustificata da altre motivazioni “più spirituali”. E su questa strada ha formato i suoi nipoti che più gli stavano vicini sul lavoro, Luigi e Antonio figli della sorella e del fratello. Ora saranno loro a portare avanti l’insegnamento di Raffaele: quel pezzo di Cilento, ricco si gioielli enogastronomici, ha davvero bisogno che l’azione e il pensiero di Raffaele continui verso il futuro.

ps. poiché di piaceri insieme ce ne siamo goduti molti, in memoria di Raffaele voglio citare i piatti di cui mi sarà difficile fare a meno: acqua sale e bufala, vermicelli e vongole, spaghetti con la cicala di mare, frittura di mare, frittura di verdure, carciofo imbottito. Piatti semplici, ma infinitamente lunghi.

 

a cura di Stefano Polacchi

 

Nonna Sceppa | Capaccio Paestum (SA) | loc. Laura, 45 | tel. 0828 851064

 


Il cibo del futuro secondo la Bocconi. Facile da preparare, tracciabile, co-creato dai consumatori

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Come sarà il cibo del futuro? Facile da usare e adeguato a ogni singola occasione, prodotto con metodi naturali, tracciabile e “co-creato” dai consumatori, cioè ideato sulla base del parere dei clienti. A dirlo è una ricerca della SDA Bocconi, che ha studiato 7 trend del food&beverage e analizzato le performance delle imprese italiane del settore negli ultimi 10 anni.

Il pasto del futuro, la ricerca della Bocconi

Le aziende del food&beverage sono sempre più vicine al consumatore: non solo tengono in grande considerazione la sua opinione, ma tarano le future idee sul “sentiment” registrato. Nascono così cibi su misura, creati sulle esigenze di specifici target, semplici da preparare e soprattutto facili da controllare. È il cibo del futuro, il cui profilo è stato tracciato dai ricercatori dell’università Bocconi nella ricerca “La servitizzazione nel Food & Beverage”. A vincere nei prossimi dieci anni, secondo gli studiosi, saranno quelle aziende che sapranno aggiungere al prodotto il servizio più efficace. “Le imprese del food & beverage che ottengono i migliori risultati economici - ha spiegato Guia Beatrice Pirotti della SDA Bocconi School of management, responsabile dello studio insieme a Massimiliano Bruni e Matteo Vizzaccaro - sono quelle più attente ad aggiungere un forte contenuto di servizio ai loro prodotti”.

Gli studiosi hanno raccolto i dati e analizzato le performance delle imprese del settore negli ultimi 10 anni, escludendo dall’analisi le microimprese e i giganti diversificati come Barilla e Ferrero, che hanno dinamiche specifiche. Sulla base dei dati sono stati individuati dei “campioni” italiani in sette diversi comparti tra cui: processed meat and seafood (Callipo, Bofrost), pasta, rice and noodles (Dr Shaer, La Molisana), bottled water (Acqua Sant’Anna Fonti di Vinadio), baked food (Dr Shaer, Morato Pane), processed food and vegetables (Bonduelle, Orogel, Mutti), diary (Latteria Merano, Arborea, Valsoia, Parmareggio), coffee (Caffè Vergnano).

 

I 7 trend del futuro

 

Cibo facile da usare e adeguato a ogni singola occasione

Il cibo del futuro sarà facile preparare o mangiaree creato specificatamente per singole occasioni: fra i “campioni” troviamo Bonduelle, che produce carote a fiammifero a vapore, barbabietole a cubetti, insalata “agita e gusta”, ma ancheFruttagel che ha pensato a un mix di vegetali da lessare in maniera comoda e veloce nel forno a microonde.

 

Frutto di processi produttivi lunghi e naturali

La naturalità si sta imponendo come regola base, ma anche la capacità di proporre prodotti di fattura meno immediata. I ricercatori specificano che “dalla progettazione all’arrivo sul mercato il passo sarà molto breve”: l’esempio ideale è Parmareggio, che ha introdotto prodotti premium invecchiati 30 o 40 mesi.

 

Sarà “co-creato dai consumatori”

Un trend già in atto in diversi settori produttivi, che ormai tengono in grande considerazione l’opinione dei clienti: l’esempio migliore è Acqua Sant’Anna Vinadio, che ha scelto sei nuovi gusti di tè benessere “servendosi” del parere dei consumatori, ma anche Bofrost, che introduce frequentemente ricette create dai clienti della community.

 

Prodotto da imprese sempre più focalizzate

In futuro non saranno più grandi conglomerati a dominare il mercato, piuttosto aziende sempre più focalizzate su un target molto specifico. Qui gli esempi sono Dr Shaer, che si presenta come specialista in prodotti senza glutine, o ancoraArborea, azienda focalizzata esclusivamente sul latte e sui suoi derivati.

 

La filiera sarà integrata e trasparente

Se si trasforma il modo di pensare, vendere e comunicare il cibo, le aziende e i produttori coinvolti cambieranno a maggior ragione. Secondo i trend delineati dalla Bocconi, il cibo dei prossimi anni sarà frutto di una filiera integrata.Qui èMutti a regnare, per il suoconcorso Pomodorino D'Oro, che premia gli agricoltori impegnati nella ricerca dell’eccellenza, e per aver ripreso la tradizione della cattedra ambulante in agricoltura dell’Italia del XIX secolo, lavorando con i suoi agronomi ed esperti a fianco del coltivatore.

 

Sarà comunicato con informazioni su provenienza, tracciabilità e territorio

Anche trasparenza e tracciabilità avranno un peso nuovo: la comunicazione su provenienza, metodi di lavorazione e territorio sarà imprescindibile per le aziende del futuro. Già in campo in questo sensoLa Molisana, che fornisce le informazioni sull’origine degli ingredienti per assicurare al consumatore una filiera produttiva trasparente, o Callipo, che permette ai clienti di risalire tutte le fasi di lavorazione del prodotto direttamente dal web.

 

Sarà prodotto da aziende che puntano su strategia a lungo termine e imprenditorialità

Infine, il cibo del futuro sarà prodotto da imprese che sapranno mettere insieme strategia a lungo termine e imprenditorialità, puntando sull’innovazione, ma al tempo stesso mettendo ben in evidenza tradizioni e legami storici. Un’impresa ha fatto scuola in questo caso, il celebre produttore piemontese Balocco: un perfetto esempio di come sia possibile puntare su tecnologie e idee innovative mantenendo sempre vivo il legame con la figura del fondatore e con le origini dell’azienda.

 

 

a cura di Francesca Fiore

 

 

 

 

Tre Bicchieri 2017 in degustazione a Milano. Alla IULM un pomeriggio con i migliori vini d'Italia

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Giovedì 23 febbraio, dalle 18 alle 22, l'Università IULM ospita una grande degustazione in compagnia delle migliori cantine d'Italia selezionate dal Gambero Rosso. In assaggio le etichette premiate con i Tre Bicchieri dalla guida Vini d'Italia 2017. 

30 anni di Vini d'Italia

30 anni di Vini d'Italia. Trent'anni che attraversano la storia vitinivicola moderna della Penisola. E una guida di riferimento che somma un anno dopo l'altro l'impegno di tanti collaboratori che scandagliano la scena vinicola nazionale, regione per regione, alla ricerca dei produzioni più convincenti, delle etichette meritevoli di conquistare i riflettori, dei produttori che sanno fare bene, e con passione, il proprio lavoro. Tutto questo è la guida Vini d'Italia del Gambero Rosso, che con l'edizione 2017, presentata lo scorso autunno a Roma, taglia un traguardo importante. E si ripromette di guardare al futuro con la stessa competenza. L'ultima edizione ha premiato 429 grandi vini, meritevoli di conquistare i Tre Bicchieri, il riconoscimento più ambito per le cantine italiane. Sul podio, in ordine decrescente, Toscana, Piemonte e Veneto. E poi i premi speciali, per il Rosso dell'anno, il Bianco dell'anno, il miglior rapporto qualità-prezzo, il viticoltore dell'anno, la cantina emergente e la viticoltura sostenibile. Così, mentre proseguono gli eventi esteri del Road Show che nel segno del Gambero Rosso promuove le migliori etichette italiane e i produttori al seguito di fronte a platee e buyer internazionali (la guida è tradotta in quattro lingue, inglese, cinese, tedesco e giapponese, per un totale di oltre 500mila copie diffuse nel mondo), riprendono anche gli appuntamenti con le degustazioni Tre Bicchieri nelle principali città d'Italia.

 

La degustazione Tre Bicchieri a Milano

Dopo Roma, Napoli e Torino, l'anno di Vini d'Italia 2017 riparte da Milano, dove giovedì 23 febbraio andrà in scena la grande degustazione dei vini premiati con i Tre Bicchieri. A ospitare l'evento, gli spazi dell'Università IULM, che con il Gambero Rosso e il suo progetto formativo ha già in essere un sodalizio importante, quello che garantisce agli aspiranti comunicatori del food&wine di partecipare al Master Wine & Food Communication frutto della collaborazione tra le due realtà. Dalle 18 alle 22 il pubblico partecipante potrà scoprire i vini in assaggio, incontrare i produttori e acquistare la guida. Il prezzo d'ingresso è di 30 euro a persona e il biglietto è acquistabile online sullo store del Gambero Rosso. Ma i biglietti si potranno acquistare anche il giorno della manifestazione presso la sede dell'evento, fino a esaurimento posti.

 

Degustazione Tre Bicchieri 2017 | Milano | IULM, via Carlo Bo, 7 | il 23 febbraio, dalle 18 alle 22 | ingresso 30 euro | per acquistare un biglietto www.gamberorosso.it/it/store/eventi/tre-bicchieri-2017-milano-detail

Mini guida di Sanremo, dove mangiare nella città dei fiori

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Situata su una delle più belle coste d’Italia, deve la sua fama alla coltivazione dei fiori e al celebre Festival della Canzone Italiana. Ma Sanremo è molto di più: un luogo ricco di arte, immerso nella natura e con una solida cultura gastronomica. Ecco la guida alla città dei fiori, con i migliori indirizzi per mangiare, bere e prendere un buon caffè.

 

La Riviera di Ponente e la città dei fiori

Circondata da colline di ulivi e cedri, che si alternano ad ampie aree coltivate a fiori dai colori sgargianti, con la splendida riviera di Ponente che le fa da sfondo. È Sanremo, cittadina di 57 mila abitanti in provincia di Imperia, una delle mete turistiche più apprezzate d’Italia, per anni luogo di villeggiatura delle più importanti famiglie del Nord Italia e d’Oltralpe.

Oltre al Festival della Canzone Italiana, che si tiene qui dal 1951, Sanremo è famosa per essere la città dei fiori: una tradizione di lunga data che qui trova la sua migliore espressione anche grazie al clima mite e temperato della zona. Coltivati in serre e all’aperto nella prima fascia dell'entroterra, a ridosso della città, i fiori sono un asset molto importante per la città, celebrati a marzo, ogni anno, anche nella manifestazione Sanremo in Fiore. In realtà si coltivano in tutta la zona,in una serie di comuni della provincia di Imperia, da Cervo a Ventimiglia, fra cui anche Taggia, Dolceacqua e Pigna. Un'area chiamata per l'appunto Riviera dei fiori

 

Riviera di PonenteRiviera di Ponente

 

Cosa vedere a Sanremo

Partire da La Pigna, il centro storico di Sanremo, equivale a farsi subito un’idea della pittoresca città ligure. Un groviglio di case addossate l’una alle altre, di stradine acciottolate e vicoli bui, di piazzette minuscole e scalinate ripide, dominate dall’alto dal Santuario della Madonna della Costa, risalente al XVII secolo. Salendo in cima alle sue terrazze potrete godere di una vista mozzafiato sulla città e sul golfo. La parte moderna, con alberghi di lusso e splendide ville, si è sviluppata invece verso il mare, lungo corso Garibaldi fino al Casinò, con il suo edificio in stile liberty progettato dall'architetto francese Eugène Ferret che, dal 1905, è una delle attrattive della città.

 

Sanremo, centro storicoSanremo, centro storico

 

Partendo dal centro storico si incontra subito la Torre della Ciapela, un antico baluardo eretto dai genovesi intorno al 1550 a scopi difensivi. Poco distante c’è la Cattedrale di San Siro, costruita nel XII secolo e poi rimaneggiata nel XVII secolo, dallo stile romanico-gotico.

Ma una delle architetture religiose più suggestive, a pochi metri dal casinò, è la Chiesa di Cristo Salvatore, costruita alla fine dell'800 dalla nobiltà russa su un progetto dell'architetto Aleksej Scusev, poi ripreso da Pietro Agosti. Un piccolo angolo di arte russa in Liguria, forse ancora un po’ sottovalutato dagli abitanti della zona.

 

 Sanremo, Chiesa di Cristo Salvatore Sanremo, Chiesa di Cristo Salvatore

 

La cucina sanremese

La cucina della costa sanremese è incentrata sui frutti del suo mare, come il pregiato gambero di Sanremo, ma anche pesci come branzino, orata, gallinella, nasello, pesce spada e tonno, esaltati in piatti semplici e genuini. Andando verso l’entroterra aumentano le pietanze a base di carne e verdure, fra cui spiccano preparazioni come quelle delle pomate secche, i pomodorini messi a seccare al sole e conditi con olio e sale, o dei friscioi, le biete fritte in pastella.

La zona è ricca di prodotti tipici, alcuni protetti dalle denominazioni d’origine, come l’olio extravergine d’oliva - questo è il regno della taggiasca - e vini come il Pigato, l’Ormasco, il Vermentino, il Rossese.

Tra i piatti tipici di Sanremo troviamo la sardenaria osardenea, una pizza farcita con un sugo fatto con pomodoro, cipolla tritata, acciughe, origano, olive taggiasche, capperi e spicchi d’aglio, che si mangia come spuntino o a volte come antipasto. Sempre tra gli antipasti c'è il brandacujun, un piatto a base di baccalà, patate e olive, chiamato anche baccalà mantecato alla ligure, il cui nome dialettale deriva dal verbo “brandare”, che in provenzale antico vuol dire scuotere.

 

SardenariaSardenaria

 

Tra i primi piatti della zona troviamo diversi tipi di ravioli, farciti ad esempio con ricotta e verdura come borragine o bieta. Tradizionali dell’entroterra sono i barbagiuai, ravioli fritti ripieni di zucca e formaggio. Ma, parlando di primi piatti, vogliamo ricordare che nella provincia di Imperia, a Oneglia, è nato uno dei primi pastifici italiani, Agnesi, che di recente ha chiusoper spostarsi a Fossano.

Per il capitolo secondi piatti è celebre il coniglio alla sanremese, ovvero saltato in padella con cipolla, timo, rosmarino, sedano, olive taggiasche, qualche gheriglio di noce e sfumato con il vino rosso. Fegato e testa dell’animale sono cotti a parte e si utilizzano per fare un sugo con cui condire anche la pasta.

Infine la stroscia di Pietrabruna, un tipico dolce della provincia, caratterizzato dal gusto dell’olio di taggiasca ma anche dall’aromatizzazione al limone e alle erbe. Come per la sbrisolona mantovana, la stroscia non va mai tagliata ma spezzata con le mani (da qui il nome della torta, strosciare, che in ligure significa spezzare), un dolce perfetto per spezzare la fame ma che può diventare anche protagonista di gite e pic nic.

 

strosciaStroscia

 

 

 

CONSIGLI DALLA GUIDA RISTORANTI D’ITALIA 2017

 

Balzi rossi (Ventimiglia)

Un indirizzo che non ha bisogno di tante presentazioni, poco distante da Sanremo. Il ristorante è guidato con energia dalla signora Pina che ha scelto ai fornelli lo chef Enrico Marmo, dopo un anno di “gestione transitoria”. La cucina di Marmo è una perfetta mediazione fra la tradizione del locale e la voglia di esprimersi dello chef, con un’attenzione particolare all’esaltazione della materia prima, da sempre di massima qualità a Balzi rossi. La cantina, gestita da Franco Baracca, è fornita di etichette selezionate non solo fra i grandi vini liguri. Menu degustazione a 65 euro. Due Forchette nell’edizione 2017 della guida Ristoranti d’Italia.

 

La conchiglia (Taggia)

La famiglia Ruffoni gestisce questo ristorante sul lungomare di Taggia con passione e competenza da più di 30 anni. Un locale elegante e accogliente, con la sala guidata da Giacomo e la cucina affidata alla moglie Anna. La cucina si muove fra le proposte di mare e qualche incursione sul versante carne, i piatti sono freschi e leggeri e non mancano gli spunti creativi. I tre menu degustazione sapranno accontentare tutte le tasche. Carta dei vini ampia, che punta soprattutto su grandi bianchi e sulle bollicine. Due Forchette nell’edizione 2017 della guida Ristoranti d’Italia.

 

Mirazur (Menton) - fuori guida

Un salto appena fuori dai confini italiani per assaggiare la cucina di Mauro Colagreco, lo chef italo-argentino ma francese d’adozione, che dal 2006 colleziona successi in Costa Azzurra. La sua è una cucina in perfetto equilibrio fra grande tecnica e rispetto per la materia prima, uno stile ereditato dai maestri francesi ma sapientemente mixata con la tradizione mediterranea, che punta alla pulizia di sapori e linee. In sala l’accoglienza è impeccabile, con un servizio elegante e spiegazioni almeno in tre lingue diverse. Adeguata la carta dei vini, con etichette e produttori meno conosciuti.

 

Nuovo piccolo mondo (Sanremo)

Un’autentica osteria ligure, regno della cucina di tradizione a pochi metri dall’Ariston. L’ambiente è familiare e curato, con un piccolo spazio esterno sulla via pedonale. Dal menu piatti dai sapori netti e puliti, tarati sui prodotti del mercato e sulla stagionalità degli ingredienti. Anche la cantina non delude, con poche etichette di alto livello selezionate accuratamente. Un Gambero nell’edizione 2017 della guida Ristoranti d’Italia.

 

Osteria dei tre scalini (Sanremo)

Un indirizzo di sicuro approdo per assaggiare una cucina genuina e gustosa, ispirata alla tradizione ligure. In menu piatti di pesce ma anche qualche proposta di carne, realizzati con grande competenza selezionando i migliori prodotti locali. Ottimi anche i dolci, golosi e invitanti. Carta dei vini essenziale ma con una buona scelta alla mescita. Due Gamberi nell’edizione 2017 della guida Ristoranti d’Italia.

 

Paolo & Barbara (Sanremo)

Un locale storico della ristorazione ligure, gestito con professionalità e passione dallo chef e patron Paolo Masieri, insieme alla moglie e al figlio. Rispetto degli ingredienti e provenienza territoriale delle materie prime sono i punti cardine della cucina, che esalta i sapori di mare con grande tecnica e personalità. Dessert belli e creativi, in linea con il menu. La carta dei vini è ampia e fornita di etichette introvabili. Due Forchette nell’edizione 2017 della guida Ristoranti d’Italia.

 

 

CONSIGLI DALLA GUIDA PIZZERIE D’ITALIA 2017

 

La Bonga (Imperia)

Pizzeria-braceria sul lungomare sempre affollata, grazie anche all’ambiente allegro e informale. Il menu è ampio e si divide fra le proposte classiche e quelle più fantasiose, tutte realizzate con ingredienti locali. La pizza è sottile e profumata, realizzata con farine 00 e lievitazioni di 24 ore, infine cotta nel forno a legna. Oltre alla carne alla brace, ampia scelta di focacce, bruschette, stuzzichini vari come il tipico panfritto di Imperia. Uno Spicchio nell’edizione 2017 della guida Pizzerie d’Italia.

 

La Peperetta dispetusa (Imperia)

Un indirizzo dall’atmosfera moderna e conviviale, che propone oltre 70 tipi di pizza a degustazione. Il menu si fa ricordare per l’ampio spazio lasciato alla cucina vegana, con proposte dedicate, per l’attenzione al biologico e alla filiera corta. Da bere birre artigianali, vini bio e sidro irlandese. Da quest’anno uno spazio del locale è dedicato allo scambio e alla vendita di libri usati. Uno Spicchio nell’edizione 2017 della guida Pizzerie d’Italia.

 

Salsadrena (Sanremo)

Un ottimo indirizzo per chi non volesse spostarsi da Sanremo. La pizza di Mimmo Caporusso è un prodotto di sperimentazione, di recupero delle radici ma anche di innovazione. Studio dei vari impasti insieme a nutrizionisti, lunghe lievitazioni con lievito madre (fino a 72 ore), selezione maniacale di ingredienti sono i punti di forza del locale. Il menu, studiato per trovare un equilibrio fra gusto e benessere, con proposte classiche e pizze più estrose. Completa l’offerta un’ampia selezione di pizze gluten free e vegane. Ma qui si possono mangiare anche ottimi piatti di pesce fresco. Due Spicchi nell’edizione 2017 della guida Pizzerie d’Italia.

 

 

CONSIGLI DALLA GUIDA STREET FOOD 2017

 

Il fornaio Lantieri (Imperia)

Pizza a taglio e focaccia di Lantieri sono un punto di riferimento per la città e la provincia da oltre 30 anni, è u panificio che sforna continuamente pane di ogni tipo, letteralmente preso d’assalto durante la mattina e nelle ore del pranzo. La pizza è leggera e fragrante, frutto del lavoro di Christian, l’erede della famiglia, che si dedica alla panificazione con costanza e passione. I gusti variano secondo le stagioni e le materie prime sono assicurate dal mercato locale. Inoltre dolci della tradizione, biscotti, torte salate, grissini e sfizi di vario tipo.

 

 

CONSIGLI DALLA GUIDA PASTICCERI&PASTICCERIE

 

3 Bon (Sanremo)

La pasticceria di Sergio Zambon è un locale piccolo dagli arredi minimali, ma che racchiude un ampio ventaglio di proposte golose. Si può iniziare dalla colazione, con un delizioso pan au chocolat, brioches classiche con o senza confettura (realizzata nel laboratorio), fragranti cornetti, focaccia e brioches vegane nei week end. Ma il prodotto di punta sono i baci di Sanremo, classici dolcetti locali fatti con cioccolato e nocciole del Piemonte. E ancora le torte, classiche o creative, che si realizzano solo su ordinazione, ma anche i semifreddi, i dolci delle feste e i biscotti. Una Torta nell’edizione 2017 della guida Pasticceri&Pasticcerie.

 

Pasticceria Setti (Taggia)

Nell’antico borgo medievale di Taggia Andrea Setti propone le sue specialità da ormai 15 anni. La produzione affianca grandi classici dell’arte dolciaria italiana a rivisitazioni dei dolci tipici della zona, in cui i metodi artigianali si fondono con le tecniche moderne. Così nasce il panettone alle olive, che riprende la stroscia, tipico dolce di Imperia. Ma qui si possono gustare anche mignon, bignè, crostatine, cannoncini ripieni, biscotti, semifreddi e cioccolatini. Una Torta nell’edizione 2017 della guida Pasticceri&Pasticcerie.

 

Gibelli (Vallecrosia)

Un indirizzo frequentato da liguri, ma anche da francesi che varcano il confine appositamente per gustare le sue specialità. Il locale è un po’ retrò, ma ben curato e accogliente. Abbondante la scelta di prodotti, anche se i biscotti rimangono la specialità di Gibelli: amaretti, tegole, baci, pandolce, biscotti alla lavanda. Ottimi i cornetti e le brioches, con o senza farcitura, ma anche le torte classiche. Durante le feste colombe e panettoni artigianali. Una Torta nell’edizione 2017 della guida Pasticceri&Pasticcerie.

 

 

CONSIGLI DALLA GUIDA BAR D’ITALIA 2017

 

Basilico e pinoli (Sanremo)

Un locale con tante anime: caffetteria, panetteria, pasticceria e gastronomia. A colazione il caffè è ben estratto e aromatico, mentre il cappuccino è equilibrato e schiumoso, il tutto accompagnato da ottimi lieviti, brioches, focacce e pizzette realizzati con ingredienti di prima qualità. Per la pausa pranzo si può scegliere uno dei piatti del giorno, insalate, panini e torte salate, oppure farsi preparare un cartoccio da gustare a casa. Interessanti le proposte per vegetariani e vegani. Un Chicco e due Tazzine nell’edizione 2017 della guida Bar d’Italia.

 

Cafè carpe diem (Taggia)

Un localino ubicato nell’area pedonale di Taggia, con ambiente confortevole e curato nei minimi dettagli. Caffè e cappuccino sono corposi e intensi, preparati con una miscela di produzione locale, e si accompagnano bene con discreti cornetti e brioches. Ma è sul versante salato che questo indirizzo dà il meglio di sé, panini e tramezzini creativi, piatti caldi e freddi che seguono la stagionalità dei prodotti e l’estro della cuoca. Ricco l’aperitivo, con spuntini e snack di ogni tipo, e una lista di cocktail abbastanza varia. Un Chicco e una Tazzina nell’edizione 2017 della guida Bar d’Italia.

 

 

indirizzi

 

3 Bon | Sanremo (IM) | corso Garibaldi Giuseppe, 12 | tel. 0184 500231 | https://www.facebook.com/Pasticceria-3-bon-182010461913011

 

Balzi rossi | Ventimiglia (IM) | via Balzi Rossi, 2 | tel. 0184 38132 | www.ristorantebalzirossi.it

 

Basilico e pinoli | Sanremo (IM) | corso Felice Cavallotti, 158 | tel. 0184 189 7193 | www.facebook.com/pg/Basilico-e-Pinoli-456204467780122/about/?ref=page_internal

 

Cafè carpe diem | Taggia (IM) | loc. Arma di Taggia | via Queirolo, 6 | tel. 340 2202261

 

Gibelli | Vallecrosia (IM) | via Colonnello Aprosio, 100 | tel. 0184 292777 | www.gibellibiscotti.com

 

Il Fornaio Lanteri | Imperia | via dell'Ospedale 63 | tel. 0183 293735

 

La Bonga | Imperia | via Lamboglia, 4 | tel. 0183 666384 | www.mesabonga.com

 

La Peperetta dispetusa | Imperia | via XXV Aprile, 84 | tel. 0183 292267 | www.peperettadispettusa.sitiwebs.com/

 

La conchiglia | Taggia (IM) | via Lungomare, 33 | tel. 0184 43169 | www.laconchigliaristorante.eu

 

Mirazur | Menton | avenue Aristide Briand, 31 | www.mirazur.fr

 

Nuovo piccolo mondo | Sanremo (IM) | via Piave, 7 | tel. 0184 509012 |

 

Osteria dei tre scalini | Sanremo (IM) | piazza Sardi | tel. 0184 574164 | www.facebook.com/pages/Tre-Scalini/182455368438497

 

Paolo & Barbara | Sanremo (IM) | via Roma, 47 | tel. 0184 531653 | www.paolobarbara.it

 

Pasticceria Setti | Taggia (IM) | via Lungo Argentina, 67 | tel. 0184 42024 | www.facebook.com/Pasticceria-Setti-113873351975597

 

Salsadrena | Sanremo (IM) | corso Imperatrice, 45 | tel. 0184 663754 | www.salsadrena.it

 

 

 

 

a cura di Francesca Fiore

 

 

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16 mani e 8 chef di Sicilia per la rinascita del Molino Soprano. Alla Locanda Gulfi si celebra la cultura del grano

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Alla fine di novembre uno dei più antichi mulini ad acqua di Sicilia, ancora in attività, è stato distrutto da un incendio accidentale. Riaperto da qualche settimana, ha ancora bisogno dell'aiuto di tutti, per ricominciare a macinare cultura del territorio. E del grano. Otto grandi chef corrono in soccorso: la cena alla Locanda Gulfi. 

La storia del molino di Chiaramonte

Chiaramonte Gulfi, Sicilia. Entroterra ragusano, e un territorio comunale che dai Monti Iblei arriva fino alla piana di Vittoria, dove si produce il celebre vino Cerasuolo. A carattere prevalentemente agricolo, nelle campagne che circondano il nucleo barocco, si coltivano mandorle, olive...Grani "antichi". Come quelli recuperati dal Molino Soprano, in Contrada Cifali, dove dal 1822 (ma la storia può correre a ritroso fin al XVII secolo), il mulino di Francesco Distefano, ultimo discendente di una famiglia di mugnai, rinnova il suo rapporto con il territorio, e con la Sorgente Acque Cifali, tra i più antichi mulini ad acqua di tutta la Sicilia. Un tempo, alla metà dell'Ottocento, solo la provincia di Ragusa Ibla sembra ne contasse 800 di strutture simili, grazie a un efficiente sistema di serbatoi costruiti in pietra, le gebbie, e alle reti di irrigazione che solcavano la piana.

Ma il Mulino Soprano è sopravvissuto al tempo, sempre in attività, eccezion fatta per un periodo di sei anni, tra il 2002 e il 2008, necessario a restaurare la struttura, due macine di inizio Novecento in calcare duro delle cave di San Biagio mosse dall'acqua e da un impianto fotovoltaico, in perfetta armonia con l'ambiente. I grani sono coltivati biologicamente e selezionati in collaborazione con la stazione di granicoltura, perché i contadini dell'area Iblea ricominciassero a seminare varietà locali e quasi dimenticate. E poi c'è la sapienza molitoria, che persegue una tecnica antica, alla ricerca della digeribilità e della complessità aromatica. “Coltiviamo il grano, coltiviamo relazioni” recita il mantra della casa.

L'incendio. 8 chef per la rinascita

Fino a qualche mese fa, alla fine di novembre, quando un incendio accidentale ha distrutto gran parte della struttura. Arrestando la produzione. Ma seminare cultura deve pur significare ricevere riconoscenza in cambio. E allora grazie alla mobilitazione di tanti amici ed estimatori del molino, da un paio di settimane l'attività è ripresa nei locali rimasti indenni, seppur con qualche accorgimento tecnico: non più carico del grano manuale, ma automatico, e un plansichter verticale che ottimizza gli spazi rimpiazzando la semolatrice. La macina, invece, è sempre la stessa, quella in pietra, simbolo del molino. La ripartenza però è lenta e necessita dell'aiuto di tutti, tanto che il prossimo 17 febbraio, ospiti della Locanda Gulfi, otto chef siciliani si mobilitano per contribuire alla raccolta fondi. Una cena a 16 mani per la rinascita del nuovo Molino Soprano che vedrà cucinare insieme Ciccio Sultano, Pino Cuttaia, Vincenzo Candiano, Giovanni Santoro, Carmelo Floridia, Peppe Cannistrà, Sandro Pace, Claudio Ruta, con il supporto della Strada del Vino Cerasuolo di Vittoria.

La serata ha un costo di 60 euro a persona, e gli introiti serviranno all'acquisto di una seconda macina, per riavviare al meglio la produzione. Una buona occasione per contribuire alla ripresa di un'eccellenza locale, ma anche un'opportunità per condividere il viaggio che dal grano conduce alla grande ristorazione. In menu, neanche a dirlo, tante preparazioni che valorizzano le farine del Molino Soprano, con la Pasta taratatà di Ciccio Sultano e la Doppietta di melanzana in pasta croccante di Pino Cuttaia, il Sandwich della domenica di Giovanni Santoro, le Arancine scupicciate di Sandro Pace, e molto altro.

 

Molino Soprano | Chiaramonte Gulfi (RG) | www.molinosoprano.com

Cena a 16 mani | Chiaramonte Gulfi (RG) | Locanda Gulfi, Contrada Patria | il 17 febbraio, alle 20.30 | per info tel. 0932 928081/ locandagulfi@gulfi.it| www.locandagulfi.it

 

a cura di Livia Montagnoli

Pane e olio: tutto sulla merenda dell'infanzia con i consigli dei professionisti

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Non c'è merenda migliore, i nutrizionisti ce lo confermano. Pane e olio resta fra le ricette più sane e golose della tradizione italiana, in grado di adattarsi ai gusti e le esigenze di tutti, grandi e piccini. Abbiamo chiesto ai professionisti del settore qualche indicazione per gustarla al meglio.

Pane e olio, un piatto democratico

Un invito a tornare alla semplicità e alla convivialità” e soprattutto la “ricetta anti-tristezza” per eccellenza: così Massimiliano Alajmo, chef de Le Calandre, ha definito quel binomio indissolubile della tavola italiana che è pane e olio. Un piatto versatile, che può diventare un antipasto, aperitivo, merenda o – perché no – anche un pranzo veloce e, soprattutto, una ricetta che mette tutti d'accordo: dagli chef d'alta cucina ai consumatori comuni, dagli adulti ai bambini, dai crudisti ai vegani, tutti amano pane e olio. E tutti ne possono godere. L'accostamento è antico, almeno quanto la storia dei due ingredienti: il pane, già preparato ai tempi dell'uomo herectus che macinava i grani con le pietre, e l’olio, la cui storia si intreccia con quella delle civiltà affacciate sul Mediterraneo da almeno settemila anni. Due prodotti semplici che, insieme, rappresentano un binomio inscindibile per la nostra identità.

Proprietà nutrizionali

Una merenda golosa, ma anche sana, che oggi si è iniziata a recuperare nelle case e anche nelle scuole. Basti pensare a Bruschetta o merendina?, l'iniziativa di due anni fa di Pandolea, associazione delle donne dell'olio, in collaborazione con ClioEdu (piattaforma impegnata nell'educazione in campo medico), un progetto rivolto a bambini e insegnanti per valorizzare la cultura dell’extravergine e ribadire l’importanza delle sane abitudini alimentari, contro il consumo indiscriminato di merendine e cibi raffinati e carichi di zuccheri. Un programma di apprendimento interattivo sviluppato in tre moduli che ha posto l'attenzione sulla centralità dell'olio nella dieta mediterranea e sulle sue proprietà nutraceutiche che lo rendono l'elemento ideale per una pausa sfiziosa e nutriente.

 

Bruschetta vs merendina

 

Ricco di polifenoli (sostanze antiossidanti), l'extravergine è un vero toccasana per il nostro corpo. È infatti un ottimo gastroprotettore (un cucchiaino di olio al mattino a digiuno può aiutare a proteggere le mucose dello stomaco e prevenire disturbi gastrointestinali), ma anche un valido alleato per ridurre il livello del colesterolo cattivo. È consigliato infatti non solo per la merenda ma anche per la prima colazione: “o addirittura come parte del pasto principale, da abbinare ad altre pietanze”, spiega la biologa nutrizionista Tiziana Stallone. E aggiunge: “Ci sono due componenti principali nell'extravergine, quella saponificabile, che rappresenta il 98% del prodotto ed è costituita da acido oleico, un acido carbossilico monoinsaturo con effetti benefici sul cuore e tutto l'apparato cardiovascolare” e poi una frazione insaponificabile, “che presenta diverse componenti come lo squalene (un idocarburo con proprietà antiossidanti), i fitosteroli che abbassano il colesterolo cattivo, il betacarotene - ottimo per la pelle - e i polifenoli”. Infine, in questo 2% non saponificabile troviamo anche l'oleuropeina, “che svolge un'importante azione antitumorale” e l'oleocantale, “che aiuta a prevenire malattie degenerative como il morbo di Alzheimer”. Fa bene poi anche alla pelle e ai capelli: non è un caso infatti che i suoi utilizzi nella cosmesi siano svariati. Insomma: è l'ingrediente perfetto a qualsiasi ora.

Aromi e profumi di pane e olio

Ma come rendere ancora più golosa questa merenda? Abbinando pane e olio in maniera intelligente. Sono oltre 500 le cultivar (varietà) di olive presenti in Italia, che danno vita – se mescolate – a blend intriganti ed equilibrati, oppure a oli monocultivar (ovvero composti da una singola varietà) che racchiudono in sé tutto il gusto di quella particolare oliva. Sono altrettanti i profumi e le note aromatiche che un buon extravergine è in grado di donare, sentori che ricordano gli elementi più disparati, dal pomodoro alle erbe aromatiche, dalla mandorla alla mela verde o gialla, e ancora frutti di bosco, erbe di campo, nuance balsamiche, sentori vegetali di rucola, erba tagliata, cardo, ravanello. Insomma, la quantità di aromi presenti in un olio è davvero ampia, senza contare poi tutte le diverse intensità di fruttato (insieme delle proprietà aromatiche percepibili al naso), da quelle più delicate alle intense, e le sensazioni di amaro e piccante (che in un olio devono essere sempre presenti).

 

Cultivar

 

Tutti questi elementi sommati insieme rendono un olio più o meno adatto per diversi piatti caldi e freddi. E il pane non fa eccezione. Anche il grano è infatti un ingrediente in grado di restituire una serie complessa di profumi nel pane. C'è la canapa, amara e dal gusto intenso, il grano duro più delicato, il monococco con i suoi sentori vegetali e molti altri ancora.

Abbinare questi due prodotti è più complicato di quanto si immagini, ma può essere più facile del previsto grazie al consiglio degli esperti.

Abbinamenti: assonanza o contrasto

Innanzitutto, “bisogna capire se si vuole creare un abbinamento per assonanza o per contrasto”, spiegano Fabrizio Franco e Omar Abdel Fattah di Pane e Tempesta, panificio di qualità della Capitale specializzato nella ricerca di grani e cereali particolari. “Una volta decisa la linea, si può proseguire cercando di accostare un cereale dolce con un olio delicato oppure il contrario”. E così, insieme a Simona Cognoli, assaggiatrice di olio extravergine di oliva e proprietaria di Oleonauta, oleoteca nel quartiere romano di Ostia Lido, la scorsa primavera i due fornai hanno organizzato una degustazione di pane e olio con abbinamenti studiati su misura.

 

Abbinamenti pane e olio

 

Da quell'esperienza tutti e tre hanno capito un concetto fondamentale: sia il pane che l'olio sono due ingredienti con carattere, che vogliono un ruolo da protagonista, “due prodotti con personalità forti che devono coesistere fra loro in perfetto equilibrio”, come li ha definiti Omar. “Sono materie prime semplici ma al contempo complesse”, aggiunge Simona, “e per questo non è semplice bilanciarle fra di loro”. Un consiglio? “Stare attenti al dosaggio e non esagerare mai con l'olio, per evitare di sovrastare l'aroma del pane”. Allo stesso modo anche un pane dal sapore intenso, come quello di canapa “particolarmente amaro” può andare a coprire un olio troppo delicato.

La territorialità

Altra indicazione che ci dà Simona è quella di rispettare la territorialità dei prodotti, proprio come in cucina: “Non funziona sempre con il pane, ma in certi casi si ottengono risultati sorprendenti. Per esempio, un pane di farro si adatta perfettamente alle cultivar umbre come il moraiolo”, che solitamente dà origine a oli dal carattere deciso e l'amaro intenso, “e ancora il pane con farina di Tumminia”, grano antico siciliano, “si presta a oli tipici della Sicilia come un monocultivar di tonda iblea”che presenta un netto settore di pomodoro cuore di bue con la sua foglia. E inoltre, “il pane e l'olio sono due alimenti antichi, che richiamano alla memoria la nostra infanzia e il nostro luogo di origine. Ognuno di noi troverà maggiore piacere riassaporando il gusto della propria terra”.

Consigli per gli abbinamenti: pane, olio e altri ingredienti

Ci sono poi altri ingredienti che possono essere aggiunti per rendere ancora più gustosa la nostra merenda: “Abbiamo provato un pane di canapa con un monocultivar di itrana”, varietà del Lazio dal sentore di pomodoro, “ed è stato quello che mi è rimasto più impresso. L'amaro della canapa bilanciava perfettamente la dolcezza del pomodoro, a cui poi abbiamo aggiunto una vignarola, dove il carciofo veniva valorizzato ancora di più”, racconta Fabrizio.Per il classico pane sciapo, i due fornai consigliano invece un olio dal fruttato delicato, “magari con sentori floreali”, come un monocultivar di leccino. Come valorizzarlo? Nella maniera più tradizionale, “con pomodoro fresco e basilico”.

 

Bruschetta al pomodoro

 

Perfetto anche l'abbinamento fra pane a fermentazione spontanea con semi di lino “molto dolci” e un monocultivar di casaliva, caratterizzato da note di mandorla che ben si sposano con la rotondità dei semi, a cui sono stati aggiunti miele, noci e ricotta vaccina. Si può sperimentare poi anche con i dolci, a cominciare dall'intramontabile pane e cioccolato: “Per questo accostamento, abbiamo scelto un pane di segale – dal gusto particolarmente intenso – e un buon cioccolato fondente abbinati a un blend di cerasuola e nocellara” dal fruttato intenso e il gusto deciso.

 

Pane a fermentazione spontanea con semi di lino

 

E per i bambini...

Per rendere ancora più allettante questa merenda per i più piccoli, si può pensare di coinvolgerli in prima persona nella preparazione: “Dovremmo insegnare ai nostri figli a fare il pane invece di utilizzare lo smartphone”, commenta Fabrizio sorridendo. Perché con le mani in pasta, l'intera ricetta acquista un valore aggiunto: “ai bambini piace il contatto con il cibo e hanno una sensibilità molto più spiccata della nostra”, dice Omar. In particolare se utilizziamo farine integrali, “più porose e piacevoli al tatto”, i nostri figli apprezzeranno ancora di più il lavoro. “La farina integrale trasmette qualcosa di completamente diverso alle mani e poi è anche più adatta per gli abbinamenti con l'olio, perché conferisce alla pagnotta più aromi e profumi”. Un altro grano che potrebbe piacere ai bambini? “Il monococco, molto profumato. E poi è uno dei più antichi per linea genetica e uno di quelli che è stato meno manomesso geneticamente negli anni”.

Consigli per le mamme

Alle mamme, si consiglia quindi di acquistare pani di farina integrale, oppure, nel caso in cui si voglia preparare il pane in casa, “farine realizzate in piccoli mulini”. Infatti uno dei motivi per cui le farine macinate a pietra di cui tanto si sente parlare sono considerate le migliori è proprio questo: “Quasi sempre le farine macinate a pietra vengono da piccoli produttori che, dovendo assicurare quantità limitate, riescono a gestire meglio l'intero processo e garantire una qualità maggiore e costante”.Inoltre, le macine a pietra lavorano il grano in maniera più lenta e così il chicco, con tutte le sue proprietà organolettiche, subisce un processo di molitura più delicato che evita di scaldare eccessivamente il cereale.

Oleonauta | Roma | via Alessandro Piola Caselli, 39 | tel. 06 64671895 | www.oleonauta.com/

Pane e Tempesta | Roma | via Giovanni De Calvi, 23/25 | tel. 06 87725015 | www.facebook.com/PaneTempesta/?fref=ts

a cura di Michela Becchi

50 Panino. A Napoli l’hamburgeria di Ciro Salvo: l’alternativa alla pizza tra Chianina e prodotti campani

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Il pizzaiolo napoletano si cimenta per la prima volta con un menu tutto dedicato ai panini e alla carne di qualità, selezionata insieme al macellaio Roberto D’Andrea. E la filosofia della casa non cambia: sperimentazione, soprattutto sull’impasto del pane, prodotti certificati, eccellenze del territorio, valorizzazione del buono. E ricette golose. Eccone due. 

La ricerca del buono. In un panino

Viale Gramsci, 15c. Sono pochi i metri che separano la pizzeria 50 Kalò dalla nuova insegna firmata Ciro Salvo, che dalla prima eredita la filosofia, e in parte il nome – 50 Panino è la firma inequivocabile – ma raddoppia la posta in gioco portando la sfida su un altro livello. Un pizzaiolo alle prese con un panino, che poi sono tanti, 14 per cominciare: ricette che attingono alla tradizione partenopea e alla storia professionale di Ciro, e non tradiscono l’attaccamento al territorio nella selezione dei prodotti, persino quando si tratta di confrontarsi con l’ingrediente principe di un buon hamburger, la carne, che certo arriva dai migliori allevamenti italiani, ma attraverso la mediazione di un protagonista della scena gastronomica partenopea. Sì, perché 50 Panino si presenta alla città di Napoli come hamburgeria di alta qualità, e dell’esperienza pregressa fa tesoro per rinnovare (e diversificare) quella ricerca del buono che sin qui è stata il primo motore e il fine ultimo di una delle pizzerie più apprezzate in città. E allora c’è spazio per il sodalizio con Roberto D’Andrea, perché dei giusti artigiani bisogna circondarsi per cogliere nel segno: al macellaio partenopeo titolare di Io Sono la Chianina, Salvo si è affidato per la selezione delle carni, di razza chianina, di maiale nero casertano, di agnello e pollo biologico.

Le carni di alta qualità. E il pane homemade

E dopo mesi di assaggi e accorgimenti studiati sul campo le quattro linee principali hanno preso forma: il Bovino è frutto di una frollatura protratta per almeno 16 giorni, l’impasto preparato ogni mattina mixando tagli posteriori e anteriori alla ricerca dell’equilibrio di sapori; il Pollo, invece, proviene dalla Tuscia, allevato in libertà, nel burger finiscono le cosce, il prodotto deve risultare morbido e saporito. Poi c’è l’Agnello, selezionato tutte le settimane, e il Maiale, 200 grammi di impasto che unisce lonza, prosciutto, pancia e spalla, seguendo una preparazione minuziosa, perché la carne non perda le sue caratteristiche durante la cottura. E la cura riposta nella selezione delle carni è spia di un lavoro di ricerca approfondito, che ha necessariamente coinvolto anche la produzione del pane: da 50 Panino il maestro degli impasti – quelli della pizza – si confronta con un terreno nuovo, “perché un buon panino nasce innanzitutto intorno a un buon pane” - dice Ciro - "l'idea dell'hamburgeria è nata proprio per approfondire la mia passione per il pane come lievitato".  La ricetta è stata messa a punto dopo mesi di sperimentazioni sulle farine. Il risultato è un bun che ben si presta allo scopo, con l’idea di valorizzare gli ingredienti senza soccombere ("lievitato 24 ore e realizzato con farina semi integrale, non è il classico panino che si disintegra quando assorbe i succhi della carne"), anche quando si confronta con farciture importanti, come l’hamburger di Chianina che omaggia 50 Kalò, arricchito con scarola saltata, olive, capperi e pomodorini secchi (gli affezionati della casa ricorderanno la pizza signature dish di Ciro Salvo).

Il menu, le ricette

Ma la carta dei panini comprende anche tre varianti di Sfilatino cafoncello, con genovese di cipolla ramata di Montoro, polpette di Chianina al ragù e parmigiana di melanzane e provola. A contorno o per spiluccare in attesa del burger una ricca proposta di sfizi e antipasti, e pure qualche alternativa, di carne, al panino: polpettine di Chianina, ribs di maialino nero, tartare di Chianina e carpaccio di manzo sotto sale. Oltre alla firma del pizzaiolo: frittatine di bucatini e crocché di patate per tutti. La patate fritte, invece, saranno servite con un topping rinforzato: fonduta di formaggi, sbriciolata di nero casertano, guanciale croccante. Un inno all’abbondanza per cercare di imporsi sulla piazza partenopea – per alcuni versi sin troppo tradizionalista – come valida alternativa alla pizza per un pasto informale, veloce (ma rilassato) e in compagnia.

Tant’è che pure il locale, progettato da Costa Group, non è avaro di spazi e soluzioni che invitano a vivere la panineria, e condividerne lo spirito: grandi metrature per 130 coperti, un bel bancone bar in legno, cucina a vista, per un team di 20 persone. Da bere una cinquantina di birre artigianali, italiane e non, ma anche vini regionali, champagne e qualche spumante del territorio. Si apre solo a cena, dalle 19.30 fin dopo la mezzanotte (con l'obiettivo di aprire anche a pranzo dopo il rodaggio), ma la sfida è ambiziosa e la firma di Ciro Salvo porterà tanti curiosi ad affacciarsi nella nuova hamburgeria. Poi il format dovrà essere capace di intercettare quella schiera di appassionati del genere che solo con un certo ritardo rispetto ad altre città italiane si sta facendo strada a Napoli (e le folle che si accalcano in via Cilea per provare i panini di Puok e Med, alias Egidio Cerrone, dallo scorso giugno lo dimostrano). "Napoli è la città della pizza, io voglio fondare un nuovo tempio del panino di qualità, seguendo l'esempio di Gigione a Pomigliano o Puok e Med. Ma resto un pizzaiolo, questa è una sfida nuova, e spero di fare bene". Poi, chissà, se l'impegno sarà premiato ci sarà tempo per replicare altrove in città.

Intanto, per ingolosirvi(ci) ecco due delle proposte che troverete in carta da 50 Panino: le foto parlano da sole.

 

PARMIGIANA

Hamburger di Chianina 180 gr

fior di latte

caciocavallo di latte nobile

'nduja artigianale di Spilinga

melanzane a funghetto

 

NAPOLETANO

Hamburger di Maiale Nero Casertano 180 gr

provola di latte nobile

friarielli

 

 

50 Panino Hamburgeria di Ciro Salvo | Napoli | viale Antonio Gramsci, 15c | dall’8 febbraio, dalle 19.30 alle 00.30, chiuso il martedì | tel. 081 7618144 | www.50panino.it

 

a cura di Livia Montagnoli

 

A Umberto Bombana il premio alla carriera dell'Asia 50 Best Restaurants 2017. Lo chef di Bergamo che ha conquistato Hong Kong

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Dal 1993 lo chef bergamasco tiene alta la bandiera della cucina italiana a Hong Kong, dove dal 2010 guida il ristorante Tre Stelle (e Tre Forchette tricolore) 8 ½. In vista della prossima edizione dell'Asia 50 Best, Bombana conquista il Lifetime Achievement Award. Ecco perché. 

Aspettando l'Asia 50 Best Restaurants 2017

Il prossimo 21 febbraio, in Thailandia per il secondo anno consecutivo, sarà già tempo per rimescolare di nuovo le carte dell'alta ristorazione asiatica. L'appuntamento con la cerimonia di premiazione dell'Asia 50 Best Restaurants 2017 tornerà ancora una volta ad accendere i riflettori su una delle scene gastronomiche più dinamiche dell'ultimo decennio, riunendo stili e culture molto diverse tra loro nello spazio di 50 ambiti piazzamenti che cercano di riassumere il meglio della cucina d'autore contemporanea, dalla Cina al Giappone, passando per l'India, Singapore, l'astro nascente delle Filippine. Un gruppo nutrito di attori di rilievo che convivono nel continente asiatico e ambiscono a conquistare il palcoscenico internazionale. La megalopoli di Hong Kong, che vanta una spropositata quantità di tavole eccellenti per tutte le tasche tanto da essere spesso riconosciuta come capitale gastronomica di rilievo mondiale, questo traguardo l'ha raggiunto molti anni fa, e in classifica vanta sempre un buon numero di pedine (anche se l'ultimo podio, quello 2016, allinea un terzetto formato da Bangkok, Tokyo e Singapore, Gaggan Anand sul gradino più alto). E sempre presente all'appello c'è pure il nostro Umberto Bombana, unico italiano nel mondo a detenere, dal 2012, le Tre Stelle Michelin, ben saldo alla guida dell'esclusivo 8 ½ all'Alexandra House, proprio ad Hong Kong.

Il premio alla carriera per Umberto Bombana

L'anno scorso la tavola dello chef bergamasco era sceso dall'ottavo al tredicesimo piazzamento della 50 Best asiatica, dove primeggia da tre edizioni (ma negli ultimi anni si è distinto pure nella graduatoria intercontinentale). E intanto Bombana, riconosciuto tra gli ambasciatori più influenti del made in Italy nel mondo, ha raddoppiato e poi triplicato il proprio impegno sul territorio, con l'8 ½ di Shangai nel 2012, e quello di Macao, all'interno del Galaxy Center - 1 stella dal 2016 - più di recente (ma ci sono anche l'Opera Bombana di Pechino e la “trattoria” Ciak a Hong Kong). Chef e imprenditore, dunque, all'altezza di tanti celebri colleghi stranieri in grado di sommare sotto la propria direzione tante insegne diverse senza penalizzare la qualità; ma pure cuoco profondamente legato alle proprie radici, tanto da essere proclamato “Re del tartufo bianco”, uno tra gli ingredienti italiani più prestigiosi sulla sua tavola, che per il resto valorizza tanti prodotti made in Italy con semplicità, rifuggendo gli stereotipi e anzi interpretando l'italianità con originalità. Tutto questo, insieme all'indubbia stima di molti colleghi chef, è valso a Umberto Bombana il riconoscimento appena arrivato a rimpolpare un palmares già ricco di premi e soddisfazioni.

Il gelato al tartufo nero

È lui, e sarà proclamato durante la cerimonia del 21 febbraio, il vincitore del Lifetime Achievement Award 2017, il premio alla carriera dispensato dalla giuria (chef, ristoratori, critici gastronomici) dell'Asia 50 Best. E la soddisfazione dello chef che ha lasciato l'Italia nel '93 alla volta di nuove sfide è palpabile: “Per me è un grande onore, e questo riconoscimento mi lascia semplicemente senza parole. Mi sento molto fortunato per la carriera che ho saputo costruire in Asia, per il supporto del mio staff e dei clienti che mi stimano. Siamo nel centro di Hong Kong, il cibo deve essere immediato, gustoso, bello, realizzato con ingredienti di qualità: il pubblico asiatico è sofisticato e internazionale. Far scoprire ai clienti cinesi la cucina italiana mi ha insegnato l'importanza di essere dinamico, intraprendente e creativo”. E la motivazione che corona il premio - “per la sua capacità di spingersi oltre i limiti della cucina tradizionale italiana”, e rendergli giustizia, aggiungeremmo noi, promuovendo ingredienti, ricette e cotture autentiche - non può che inorgoglire anche l'Italia che lo segue a distanza, una volta di più al centro dell'attenzione mediatica per il valore inestimabile di un patrimonio gastronomico di prodotti e competenze che sa rinnovarsi fuori dai confini della Penisola.

E per festeggiare come si deve il 13 febbraio lo chef offrirà un'esclusiva cena di gala per riproporre alcuni dei signature dish più apprezzati di 8 ½, dai Ravioli con burrata al Gelato al tartufo nero.  

 

a cura di Livia Montagnoli


Il registro telematico del vino è complicato? Ecco la risposta di Gianluca Fregolent

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Il responsabile della piattaforma risponde alle perplessità delle cantine: “Digital Divided? “Chi usa WhatsApp, non avrà problemi ad adeguarsi”. Ad oggi sono 9 mila le cantine che lo hanno fatto.

Momento epocale per il mondo del vino: il passaggio dal registro cartaceo a quello digitale sta dividendo il mondo del vino. Nella scorsa puntata le cantine ci hanno raccontato le loro esperienze, non nascondendo perplessità e timori, ma in alcuni casi anche voglia di cambiamento e urgenza di interpretare i tempi. In molti si sono chiesti se non si poteva fare diversamente o se non sarebbe stato meglio escludere dall'obbligo del registro le piccoli aziende. Per tentare di dare delle risposte, abbiamo rigirato le domande direttamente dai produttori a chi il sistema lo conosce bene perché per mesi e mesi ci ha lavorato: Gianluca Fregolent, direttore Icqrf (Ispettorato centrale repressione frodi) di Conegliano, che ha guidato il gruppo incaricato di creare la piattaforma. Ecco cosa ci ha risposto.

 

Qual è stato l'iter che ha portato alla nascita del registro telematico?

Il lavoro sul registro è iniziato con il decreto Campo Libero ad agosto del 2015. Da lì, attraverso un gruppo di lavoro, le analisi degli strumenti e il confronto per la reinterpretazione di tutte le norme indicate nel codice vitivinicolo, siamo arrivati a una sintesi ad aprile del 2016, quando abbiamo rilasciato il primo prototipo messo a disposizione di 50 aziende per verificarne l'attendibilità. Il primo gennaio la partenza ufficiale e da allora i registri cartacei non sono più utilizzabili: dal 1 gennaio l'Icqrf e i Comuni ne hanno sospeso la vidimazione

 

Quante aziende risultano attualmente registrate?

A oggi sono 14.750 le aziende che hanno richiesto le credenziali e 9800 quelle che si sono attivate, su una stima di circa 30 mila che dovranno farlo nei prossimi mesi, pena l'applicazione delle sanzioni.

 

Quali sono i maggiori risvolti positivi della dematerializzazione?

Prima di tutto chiariamo che non c'è nessuna nuova imposizione, ma una informatizzazione di dati già obbligatori per l'azienda nell'ottica della semplificazione. E proprio in questo percorso, a fine 2018 è prevista l'integrazione dei molteplici adempimenti come dichiarazione di produzione e dichiarazione di giacenza. Inoltre, il registro, mediante la condivisione dei dati con gli Organismi competenti, assolverà a tutti gli altri adempimenti per la certificazione e il controllo delle Dop e Docg, mentre il nuovo documento Mvv elettronico svincolerà l'azienda dall'andare in Comune per la vidimazione.

 

In che modo il gruppo di lavoro ha seguito questo periodo di transizione?

Dal canto nostro abbiamo fatto tutto ciò che era possibile: dalle sperimentazioni su un campione di aziende, agli incontri formativi - 60 nel 2016 - per le aziende e i referenti delle associazioni. Inoltre sul sito del Mipaaf, oltre all'istruttivo manuale operativo, le aziende hanno a disposizione una doppia piattaforma: quella ufficiale e quella di esercizio che serve a effettuare delle verifiche prima dell'invio. Infine, ritengo sia utile che le aziende prendano visione della sezione faq del sito, con le risposte alle situazioni più comuni in cui ci si imbatte durante la compilazione.

 

Tra le maggiori critiche mosse da parte dei produttori - soprattutto dai piccoli - si parla di un sistema poco intuitivo.

A mio discreto parere sembra complicata e poco intuitiva la normativa del settore vitivinicolo, non il registro in sé. In ogni caso, l'esigenza era quella di creare uno strumento che andasse bene per tutti e che fosse coerente con la legge. Senza ombra di dubbio, chi prima riusciva a compilare autonomamente un registro cartaceo, riuscirà a gestire senza troppe difficoltà anche quello telematico. Chi già si serviva di consulenze esterne, continuerà a farlo. Per quanto riguarda le piccole aziende c'è la possibilità di utilizzare il software gratuito dal sito http://mipaaf.sian.it, che permette di fare le registrazioni senza ulteriori spese. Inoltre, grazie al Testo Unico e al decreto Campo Libero ci sono notevoli agevolazioni per chi produce meno di mille ettolitri. Sono, invece, esentati dal registro coloro che producono fino a 50 ettolitri all'anno e le aziende che movimentano solo prodotti confezionati. Ovviamente sappiamo che molti produttori hanno una sorta di rifiuto prevenuto: è come dire “non capisco la matematica e quindi non mi ci metto”. Ma col tempo diventerà tutto più semplice e immediato.

 

Cosa succederà dopo il 30 aprile se le aziende non si metteranno al passo col nuovo sistema o se dovessero farlo in modo sbagliato?

Il Testo Unico, in caso di mancato aggiornamento del registro prevede delle sanzioni che vanno dai 500 ai 15 mila euro. Nel caso della prima contestazione si applicherà la diffida. Ci terrei a chiarire la leggenda di un'eventuale sanzione che partirebbe immediatamente all'invio dei dati: il sistema informatico non determina nessuna contestazione in automatico, ma sempre e solo a seguito di un controllo. Anzi, possono rivelarsi molto utili alcuni feedback successivi alla compilazione per prevenire l'invio al Sian di dati errati.

 

Cosa risponde a chi tira fuori il digital divide o i cosiddetti crash del sito del Sian?

Posso assicurare che lì dove funziona WhatsApp, funziona anche il registro telematico. Per quanto riguarda i possibili errori o défaillance momentanei - e ci tengo a precisare momentanei - del sito, basterà stampare il codice dell'errore a dimostrazione del problema. Insomma, i margini per adeguarsi entro il 30 aprile ci sono tutti, ma come spesso succede in Italia anche per cose più ordinarie, quali il bollo dell'auto o il canone Rai, ci saranno aziende che, coscientemente o meno, sfideranno il sistema, per poi adeguarsi solo quando saranno obbligate.

 

a cura di Loredana Sottile

 

Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri del 2 febbraio
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Per leggere “Registro telematico del vino. Il prezzo del cambiamento” cliccare qui

 

Teatro La Pergola di Firenze: in scena il Dom Pérignon Vintage Rosé 2005

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Metti una grande annata di Dom Pérignon, raccontata dall’enologo della maison, Vincent Chaperon, sposata alla chianina e alla carne di wagyu, cucinate ad arte dagli chef di Iyo, ristorante giapponese di grande blasone di Milano, in un contesto d'eccezione: il Teatro La Pergola a Firenze, ed ecco l’anteprima Dom Pérignon Vintage Rosé 2005, una serata dal titolo Rosé is not pink.

Dom Pérignon: Rosé is not pink

Non nuova a eventi sorprendenti che richiamano l’allure della celebrata maison francese, Dom Pérignon - Gruppo LMVH - ha voluto presentare alla stampa la sua ultima perla, rinnovando l’idea glamour di uno dei brand più prestigiosi del settore, e confermando l’eccezionale livello dei suoi Champagne.E in particolare, Dom Pérignon ha messo in scena il suo personalissimo punto di vista sullo Champagne Rosé: “Dom Pérignon Rosé is not pink”. È accaduto in Toscana, la terra dei rossi per eccellenza, dove il vitigno a bacca nera più pregiato e difficile al mondo, ha raccontato insieme allo chardonnay la magia di Dom Pérignon. “Nel Rosé, il pinot noir è il vero protagonista, con tutto ciò che questo comporta in termini di attenzione ai processi di vinificazione, assemblaggio e creazione di un’affascinante complessità organolettica”spiega Vincent Chaperon, enologo di Dom Pérignon “Pur rimanendo uno Champagne, Dom Pérignon Rosé ne varca i confini di gusto e semantici, avvicinandosi al territorio dei grandi rossi. E la maturità aromatica del nuovo Millesimato 2005 ne è testimonianza”.

 

VIncent ChaperonVincent Chaperon

 

Il luogo

Il Teatro della Pergola prende il nome dalla via in cui venne eretto, circa trecentocinquanta anni fa, chiamata così per un pergolato d'uva che nel ‘500 si trovava lungo la strada, in un’area dove sorgeva un antico Tiratoio dell’Arte della Lana. È uno dei teatri più antichi e densi di storia d’Italia, ed è considerato il teatro storico di Firenze, e "primo grande esempio di teatro all'italiana", ragione per cui fu sottoposto a vincolo architettonico nel 1943. Fondamentale per la documentazione della storia del teatro italiano e mondiale. Furono gli Accademici Immobili a ispirarne nel 1656 l’edificazione su progetto di Ferdinando Tacca, che disegnò una sala unica, con tanti palchi separati fra loro, ispirandosi agli spettacoli che avevano luogo nei cortili dei palazzi rinascimentali, che i nobili potevano ammirare semplicemente affacciandosi alle finestre. In questo teatro nacque il genere del cosiddetto melodramma, dal quale si sviluppò la vera e propria opera lirica, oltre che la tradizione dei palchetti peculiari del teatro all'italiana. Un museo visitabile sotto al palco narra la storia dello storico teatro, con lo scranno dove riposava Giuseppe Verdi, il camerino della Duse, il primo telefono acustico di Antonio Meucci.

 

 

Dom PérignonLa prima parte della degustazione nei palchetti

L'evento

L’antico teatro, interamente riservato per l’evento, ha accolto gli ospiti in una suggestiva degustazione pensata in tre momenti distinti. Il primo, di incredibile atmosfera, nella penombra dei palchetti un tempo riservati ai nobili fiorentini, dove il Dom 2005 Rosé è stato servito sulle note della musica dal vivo di un pianoforte. Poi è stata la volta del tasting guidato da Vincent Chaperon, che ha svelato i segreti della maison e della speciale cuvée e, infine, la “rappresentazione finale”: una scenografica cena sul palcoscenico dove il Dom Rosé ’05 ha incontrato le preparazioni degli chef di Iyo, blasonato ristorante giapponese di Milano (Tre Mappamondi, massimo riconoscimento per i ristoranti etnici, per la nostra guida Ristoranti d'Italia e Una Stella Michelin), con un percorso gastronomico scelto appositamente per l’evento e realizzato in collaborazione con lo storico catering Guido Guidi di Firenze.

 

Dom Perignon La PergolaIl tavolo allestito sul palco

 

Dom Pérignon Vintage Rosé 2005

La dedizione di Dom Pérignon verso i millesimati è totale, e ogni bottiglia è una creazione unica, realizzata solo con le migliori uve nelle migliori annate. Creare il “miglior vino del mondo” era l’obiettivo dichiarato di dom Pierre Pérignon, ed è lo stesso che oggi guida lo Chef de Cave Richard Geoffroy in un lavoro che ha come punto fermo, anche il perpetuare lo stile della maison nell’elaborazione dei vintage più rari.

Il 2005 è stata un’annata calda e secca, che in agosto ha fatto entusiasmare per il caldo torrido ma che in settembre è stata fresca e piovosa, e in vendemmia ha operato una decisa selezione, con un raccolto ridotto ma di eccezionale qualità e una maturità aromatica senza pari.

Al naso note tropicali di guava, curry, coriandolo, cumino, insieme ad agrumi, frutta matura, e accenni di cacao, noci pecan, zenzero e chiodi di garofano. Al palato è vinoso, rotondo, ma anche corposo e strutturato, con una notevole persistenza e accenni di liquirizia e agrumi.

Dom PérignonL'evento

Il mito Dom Pérignon

La leggenda del Dom nacque nel 1936, quando Robert-Jean de Vogüé, presidente della maison Moët & Chandon di Epernay, volle creare uno champagne di altissimo profilo, simbolo stesso del lusso. Scelse di replicare la medesima bottiglia dell’abate Pérignon, e di versarvi una grandissima annata, il Moët Vintage 1921 Réserve de Famille, chiamandolo cuvée de prestige di Moët & Chandon. Nacque così il Dom Pérignon, che entrò subito nell’Olimpo dello Champagne.

Fu un’idea geniale, come quella di intitolare la cuvée all’inventore dello Champagne, il monaco benedettino Pierre Pérignon, cellérier dell’Abbazia di Saint-Pierre d’Hautvillers, originario della regione di Argonne e addetto alla produzione del vino: un ruolo particolarmente importante per Hautvillers, dove abitualmente sostavano tutti i Re di Francia prima di recarsi a Reims per l’incoronazione.

Il monaco, mentre assolveva alle mansioni odierne dell’agronomo e dell’enologo del convento, ebbe alcune intuizioni determinanti per la storia dell’enologia, decisamente rivoluzionarie per l’epoca, come quelladelle basse rese; capì che le vendemmie erano da effettuare a seconda del grado di maturazione di ogni singolo tipo di uva, definì il concetto di cru, introdusse la pressatura soffice, inventò l’assemblage, scelse una bottiglia più pesante, che resistesse alla rifermentazione, e introdusse i tappi di sughero. Tra il 1690 e il 1714, anno in cui morì, aveva creato lo Champagne.

Con la vendemmia 1959 Dom Pérignon scoprirà il Rosé, utilizzato nel ’71 in occasione di un esclusivo evento: la celebrazione organizzata dallo Scià di Persia per i 2500 anni dell’impero persiano. Perché un Dom Pérignon possa chiamarsi tale, deve poter tranquillamente raggiungere i 30 anni. Due bottiglie di Rosé ’59 sono state battute all’asta nel 2008 a New York per 84.700 dollari, facendo registrare la più alta quotazione per una bottiglia di Dom Pérignon.

Prodotto con le migliori uve Grand Cru di proprietà (nell’assemblaggio si utilizza anche una piccola parte di pinot noir di Hautvillers) offre la luminosità e la finezza dello chardonnay, la struttura e la potenza del pinot noir.

 

Cena Dom Perignon La PergolaLa cena

 

Il menu in abbinamento

Il menu prevedeva un Carpaccio di chianina (una vitella di tre anni e mezzo), con salsa al parmigiano 24 mesi, latte di soia, maionese Iyo style, succo di yuzu, sale affumicato, verdure croccanti, prugne umeboshi, shiso rosso, polvere di alga kombu; Tortelli d’Oriente, con pasta all’uovo ripiena di chianina e wagyu, due carni pregiate con diverse provenienze e caratteristiche differenti ma complementari: la chianina, magra, delicata ed elegante, la wagyu, caratterizzata da spiccata marezzatura e gusto ricco e persistente, entrambe condite con salsa di soia, sesamo, zenzero, sale, pepe, funghi shitake freschi, spinacini freschi, con un brodo a base di acqua di alga kombu e verdure; Sushi Iyo, ovvero tre nigiri: con wagyu scottata guarnita con ricotta di capra e wasabi fresco; con wagyu condita con miso bianco, olio di sesamo e pepe sansho; con chianina condita con sale blu di Persia e olio di oliva; e un gunkan di wagyu scottata in padella e tartare di wagyu; TeppanYaki: chianina e wagyu cotte sulla tipica piastra giapponese, con cavolo nero, taccole, cardoncello, cipollotto, funghi enoki, con salsa al miso rosso e olive taggiasche e una salsa composta da soia, miso e wasabi; Cheesecake,a base di zucchero muscovado, formaggio fresco, pere Martin Sec aromatizzate con anice, cannella, riso soffiato e marmellata di pere e cannella. Piccola pasticceria con macaron allo yuzu, croccante al pistacchio, gelatina al Cassis.

 

https://www.domperignon.com/it-it/

 

a cura di Luca Bonacini e Marco Sabellico

foto Filippo Manzini

Gambero Rosso e Barilla insieme per promuovere il made in Italy nel mondo. Si parte da New York

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Sarà il New York Metropolitan Pavillion a ospitare la grande degustazione di vino del tour Tre Bicchieri 2017 del Gambero Rosso. L'appuntamento è per giovedì 9 febbraio alle 13, quando gli ospiti della manifestazione conosceranno un nuovo protagonista degli eventi promossi dal Gambero nel mondo: l'Academia Barilla. E la sua pasta. 

Gambero Rosso e Barilla insieme. A New York. Sarà presentata al New York Metropolitan Pavillion, in occasione di una delle grandi degustazioni Tre Bicchieri del tour 2017 di Gambero Rosso nel mondo, la partnership che vedrà procedere all'unisono le due importanti realtà del mondo gastronomico italiano a tutela del buon cibo e vino made in Italy. L'appuntamento è per giovedì 9 febbraio, quando il Gambero Rosso concerterà una speciale edizione newyorkese della manifestazione vinicola che ogni anno coinvolge i migliori produttori della Penisola premiati dalla guida Vini d'Italia. Con 200 tra le più importanti aziende italiane, la partecipazione di oltre 3000 invitati appartenenti al mondo del food & beverage managment e alle più importanti catene di distribuzione e il coinvolgimento dei più importanti chef della East Coast, nonché di tutti i principali giornalisti del settore e dei grandi media, l'appuntamento 2017 si preannuncia come un evento imperdibile.

 

E Barilla, per la prima volta, affiancherà Gambero Rosso in qualità di partner d'eccellenza, presente con gli chef dell'Academia Barilla per animare uno show cooking a base di pasta, in abbinamento agli oltre 400 vini in degustazione. Ma il sodalizio si spinge ben oltre, garantendo una nuova collaborazione che si articolerà durante tutto il prossimo anno, a copertura di un'agenda fitta di appuntamenti internazionali, eventi di promozione e valorizzazione del cibo e del vino made in Italy (circa 50) che toccheranno una trentina di Paesi nel mondo. E Academia Barilla ci sarà, pronta ad animare le degustazioni con i suoi chef. Del resto, proprio a New York, la formula di ristorazione Barilla ha trovato il terreno più fertile per fare proseliti, e conquistare il ruolo di ambasciatore dell'autentico made in Italy enogastronomico. Tre sono le insegne attualmente operative in città, mentre in tutti gli Stati Uniti il gruppo leader mondiale del mercato della pasta ha avviato il progetto Share the table,per educare il pubblico americano al valore della convivialità a tavola e promuovere il piatto di pasta come soluzione per il pasto serale. E proprio un buon piatto di pasta sarà proposto agli ospiti che domani, dalle 13, raggiungeranno il Metropolitan Pavillion. I primi fortunati a beneficiare della nuova joint venture all'insegna del gusto italiano.

 

www.gamberorosso.it/it/eventi-internazionali/roadshow

Falso made in Italy: scopri se il prodotto è taroccato grazie a un’app

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Romano cheese, Parmesan, sugo Bologna, Perisecco. E poi ancora il finto Asiago, il kit per fare il vino italiano, gli spaghetti “a la Napoli” in latta. È il falso made in Italy, un giro d’affari per un valore di oltre 54 miliardi di euro. Ma un'app promette di scovare tutti quei prodotti spacciati per italiani, che invece provengono dai Paesi più disparati.

Mai più italian sounding con Reliabitaly

Con l'espressione Italian sounding si identifica quel fenomeno per cui si utilizzano immagini e marchi che fanno riferimento all’Italia allo scopo di vendere prodotti che, in realtà, non hanno nulla a che fare con il nostro Paese. Una truffa a tutti gli effetti, il cui volume d’affari, secondo i dati di Assocamerestero, tocca i 54 miliardi: più della metà dell'intero fatturato dell'industria alimentare italiana. Un fenomeno difficile da contrastare, perché difficilmente si riesce a intervenire a monte delle produzioni, ma solo effettuando sequestri una volta che i prodotti sono già arrivati nei supermercati di tutto il mondo.

Ma un modo per difendersi dal finto made in Italy, per quei consumatori che puntano sul vero prodotto italiano, esiste: è Reliabitaly, l’app che scova i prodotti taroccati. Ideata dall’omonima associazione no profit, l’app permette di scoprire immediatamente se un prodotto associato a Reliabitaly e dichiarato made in Italy lo sia davvero.



Come funziona l’app

Il nome deriva da un gioco di parole tra reliability, che in inglese vuol dire affidabilità, e Italy. L’app si basa su un sistema di verifica immediata che è utile non solo ai consumatori, ma anche alle aziende produttrici.

Il sistema funziona in due modi: da un lato il logo di Reliability viene integrato nel packaging o sull’etichetta di determinati prodotti made in Italy, già verificati dall’ente no-profit; ma più semplicemente è possibile “inquadrare” i codici presenti sulle etichette per verificare che i prodotti siano autentici. L’app è in grado di funzionare sia con i codici a barre (per i prodotti nella GDO), sia con i QR Code (per l’artigianato). A partire da marzo, il sistema di Reliabitaly sarà in grado anche di analizzare i TAG NFC, codici di riferimento per i beni di lusso. Una volta fotografato il codice, l’app re-indirizza il cliente a una pagina dedicata al prodotto, così da poterne riconoscere l’autenticità, ma anche per approfondirne le caratteristiche. Per utilizzarla è sufficiente scaricarla dal sito dedicato: Reliabitaly è disponibile in versione gratuita per Android e iOs.

www.reliabitaly.com

 

a cura di Francesca Fiore

 

Michelin Francia 2017. Tre Stelle per Yannick Alleno a Courchevel, due per La Grenouillere. Pioggia di macaron

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Si conferma generosa l'edizione francese della Rossa che decide le sorti della ristorazione internazionale. E arrivano anche le Tre Stelle, a coronare il primato di Yannick Alléno, già detentore dei tre macaron al Pavillon Ledoyen di Parigi. Ma i premi piovono in tutto il Paese, soddisfazione per l'Italia con Simone Zanoni a Le George. 

Il trionfo di Yannick Alléno

Duemila pagine e più di 500 novità. È questo il bottino pieno che porta a casa l'edizione 2017 della guida Michelin più generosa di tutte, quella che gioca in casa, per l'appunto, e recensisce il meglio della ristorazione francese. In attesa che la serata parigina accenda i riflettori sulla magnifica cena di gala che celebrerà i nuovi stellati, dalle 11 la cerimonia di premiazione della prima Rossa dell'anno ha svelato i protagonisti dell'ultimo anno gastronomico, i nomi che si confermano in vetta e gli chef che aspirano a conquistare l'Olimpo della cucina francese e internazionale. E allora, cominciando dalla fine, chi rinsalda un anno dopo l'altro la sua permanenza tra i grandi della storia gastronomica francese è Yannick Alléno, che festeggia il raggiungimento, in solitaria, delle Tre Stelle con Le 1947, a Courchevel. Salgono così a 27 le insegne tristellate di Francia, nessuna buona nuova per Parigi, dove peraltro proprio chef Alleno detiene saldamente i 3 macaron per il ristorante omonimo al Pavillon Ledoyen. “Premiamo la sua grande personalità, la creatività e l'emozione della sua cucina, capace di sublimare il territorio e restituire al mondo una gran bella immagine della cucina francese” sancisce convinto il direttore Michael EllisLa sua è una tavola che valorizza i prodotti locali, le erbe selvatiche, le materie prime, con grande padronanza tecnica, concentrazione di sapori, fermentazioni, distillazione”. Perché proprio sulla selezione e la valorizzazione dei prodotti del territorio si insiste a più riprese durante la cerimonia, individuando i criteri fondamentali che fanno una grande cucina: prodotto, per l'appunto, competenza, personalità dello chef, regolarità. E buon rapporto qualità/prezzo a chiudere il cerchio, da outsider.

 

L'ottima annata della ristorazione francese

È stata un'annata eccellente, e lo conferma il fatto che ormai la buona cucina si incontra in tutto il Paese”, esordisce Ellis prima di snoccialare i nomi dei premiati. Tutti li aspettano, sul palco sfilano in tanti. Alla fine davanti ai flash dei fotografi si presenteranno 57 nuove prime stelle (e il computo totale sale a 503), 12 neo-bistellati (per un totale di 86), e Yannick Alleno a rappresentare la categoria dei tre macaron. Tra loro, 12 sono i neostellati parigini, ma la Ville Lumiere dice la sua anche con tre nuovi Due Stelle, il giapponese Kei Kobashi (Kei), Christophe Pelè per Le Clarence e La Table de L'Espadon, la tavola del Ritz guidata da Nicolas Sale, che festeggia due volte: Les Jardins de L'Espadon, versione informale del ristorante gourmet ospitato dall'hotel conquista una stella tutta per sé, la prima, che premia doppiamente il lavoro intrapreso dalla fine del 2015 dallo chef. Tra i festeggiamenti a Due Stelle c'è anche quello di Alexandre Gauthier, che porta a quota due macaron l'apprezzato Le Grenouillere di La Madelaine-sous-Montreuil. E piovono raddoppi di stelle anche a Bordeaux: Due stelle per Le Pressoir d'Argent – lo storico ristorante bordolese recentemente affidato alla supervisione di Gordon Ramsay – e La Grande Maison de Bernard Magrez. Stessa sorte per la località turistica di Courchevel, sotto i riflettori per il trionfo di Alleno, ma non solo: sono due le insegne che salgono a quota due stelle, Le Kintessence e Le Montgomerie.

Assenze e conferme. L'Italia c'è

Qualche nota di colore ancora, prima di passare alle liste. In negativo stupisce l'assenza di chef donne, fatta eccezione per la prima stella a Fanny Rey, ma in coppia con Jonathan Wahid, per il ristorante omonimo che gestiscono a Saint-Remy. In positivo, segnaliamo il riconoscimento per uno dei giovani chef italiani di stanza a Parigi, Simone Zanoni, che conquista la prima stella alla guida della cucina di Le George, il ristorante del Four Seasons Hotel George V nella capitale francese. Prime stelle parigine anche per Sushi B, il Restaurant du Palais Royal, Restaurant H, Alliance, Divellec, Akrame, L'Orangerie, L'Archestre, La Scene Theleme, L'Escargot 1903 e la già citata tavola informale dell'hotel Ritz (dodici new entry in tutto). 

 

a cura di Livia Montagnoli

 

 

Tre Stelle

Courchevel 1850 Le 1947 au Cheval Blanc

 

Due Stelle

Bordeaux Le Pressoir d'Argent-Gordon Ramsay

Bordeaux La Grande Maison de Bernard Magrez

Clermont-Ferrand Le Pré-Xavier Beaudiment

Courchevel 1850  Le Montgomerie

Courchevel 1850  Le Kintessence

Manigod La Maison des Bois-Marc Veyrat

Montreuil / La Madeleine sous Montreuil La Grenouillère

Parigi, Kei

Parigi, La Table de l'Espadon

Parigi, Le Clarence

Saint-Émilion Hostellerie de Plaisance

Saint-Médard Le Gindreau

 

Una stella

Aix-en-Provence Mickaël Feval

Aix-en-Provence  Pierre Reboul (H. Château de la Pioline)

Ammerschwihr Julien Binz

Annonay Le W (H. Domaine de St. Clair)

Auray Terre Mer

Baerenthal / Untermuhlhal  L'Arnsbourg

Biarritz / Arcangues  Atelier Gaztelur

Brantôme  Le Moulin de l'Abbaye

Brem-sur-Mer ( Les Genêts

Cahors Château de Mercuès

Cassel Haut Bonheur de la Table

Le Champ-sur-Layon La Table de la Bergerie

Chazelles-sur-Lyon  Château Blanchard

Colmar Girardin

La Croix-Valmer / Gigaro  La Palmeraie

Deauville Maximin Hellio

Fontevraud-L'Abbaye  Fontevraud l'Abbaye

Guer  Auberge Tiegezh

KayserbergsL'Alchémille

Lauris Le Champ des Lunes

Lorgues Le Jardin de Benjamin (Hôtel Château de Berne)

Lione  Jérémy Galvan

Lione Miraflores

Mirambeau  Château de Mirambeau

Montaigu  La Robe

Montélimar Le Domaine du Colombier

Nimes  Skab

Parigi Les Jardins de l'Espadon

Parigi  Restaurant du Palais-Royal

Parigi Sushi B

Parigi Restaurant H

Parigi  Alliance

Parigi Divellec

Parigi Akrame

Parigi Le George (H.George V)

Parigi L'Orangerie (H. George V)

Parigi L'Archeste

Parigi La Scène Thélème

Puteaux L'Escargot 1903

Pyla sur MerLe Skiff Club

Reims Racine

Roanne Aux Anges

Rouen Rodolphe

St-Emilion  Logis de la Cadène

St. Jean-de-Luz L'Océan (Grand Hôtel)

St-Rémy de Provence Fanny Rey et Jonathan Wahid

St-Tropez L'Olivier (H. La Bastide de St. Tropez)

St-Véran  Le Roc Alto (H. L'Alta Peyra)

St Vincent-de-Tyrosse  Le Hittau

Terrasson-Lavilledieu L'Imaginaire

Toulouse / Montrabé  L'Aparté

Trouville-sur-Mer  1912 (H. Les Cures Marines)

Val Thorens  Les Explorateurs (H.Pashmina)

Vence  Le Saint Martin

Vendôme  Pertica

Villard-de-Lans / Corrençon-en-Vercors  Palégrié

Wimereux  La Liégeoise

 

Carnevale in Sicilia. Le tradizioni di Acireale, Sciacca, Termini Imerese e Novara di Sicilia

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Una festa sinonimo di libertà, allegria e sregolatezza, in cui la tradizione cristiana riprende riti antichi come le cerimonie dionisiache greche o i saturnali romani. In Sicilia il Carnevale è una ricorrenza molto sentita, esaltata da suggestive sfilate in maschera ed eventi che in alcuni casi durano giorni. Ma cosa si mangia durante i festeggiamenti? Vi raccontiamo quattro particolari feste siciliane e le relative specialità locali.

Il Carnevale in Sicilia

La teatralità che sostanzia le tradizioni siciliane, che siano di origine pagana o spiccatamente cristiane, tocca il suo apice durante il Carnevale. Le piazze e le tavole dell’isola si trasformano, diventando colorate tele su cui dipingere e raccontare la catarsi del Carnevale, che permette a tutti di lasciarsi andare, non solo indossando maschere e interpretando personaggi di fantasia, ma anche concedendosi qualche peccato di gola. Sull’isola le celebrazioni di Carnevale sono legate a tempi antichi: le prime tracce di festeggiamenti risalgono al 1612 quando per la prima volta il viceré D'Ossuna concesse una cerimonia ufficiale a Palermo, riproposta fino al 1741. Dal capoluogo l’usanza si diffuse nelle altre province, ognuna delle quali ha declinato la festa in maniera diversa. Ecco le più suggestive.

 

Carnevale di AcirealeCarnevale di Acireale

 

L’abbatuzzu di Acireale e le crispelle

Ad Acireale, cittadina in provincia di Catania, il Carnevale è nato in maniera spontanea, con saturnali organizzati direttamente dai cittadini che, liberi dai vincoli delle gerarchie sociali, potevano irridere potenti, nobili e clero. Non a caso, una delle prime maschere delle celebrazioni acesi fu l'abbatazzu (detto anche pueta minutizzu) che ironizzava sui religiosi locali portando in giro giganteschi libriper improvvisare i sermoni: un simbolo della saccenza e della rigidità del clero.

Oggi la festa si inserisce perfettamente nel contesto barocco del centro storico di Acireale e ha diversi scambi con altre feste simili: è gemellato con il Carnevale di Viareggio e ospita spesso maschere di Venezia. Il Giovedì Grasso sfilano le grandi realizzazioni di cartapesta, che trattano argomenti di satira e costume sociale, mentre il martedì è dedicato ai suggestivi carri. Nati nel 1931 come macchine che giravano per le vie della città, oggi sono carri di grandi dimensioni addobbati con centinaia di fiori che, grazie ai movimenti meccanici e alle luci, compongono spettacolari figure. I festeggiamenti acesi durano 10 giorni con spettacoli di vario tipo e terminano il Martedì Grasso con il rogo del Re Carnevale concluso dallo spettacolo pirotecnico.

 

Sfinci 

Il piatto per eccellenza del Carnevale acese sono le crispelle, fagottini ripieni di ricotta fresca e acciughe: uno sfizio che si mangia per le strade durante la sfilata, ma anche come secondo piatto durante le giornate di festa. Ma qui si mangia anche la pignolata, dolce di origini messinesi: piccole palline fritte, chiamate anche impannuccati, ricoperte di miele e servite su foglie di limone.

 

Dove comprare le crispelle:

Antica Crispelleria Cordai | Acireale (CT) | piazza Porta Gusmana 30/31 | tel. 380 9032313 | www.facebook.com/AnticaCrispelleriaCordai

Crispelleria Marconi | Catania | piazza Guglielmo Marconi 8 | tel. 345 842 1329 | www.facebook.com/Crispelleria-Marconi-201401903376197

 

Sciacca, il re Peppe Nappa che dona vino e salsicce

In storica rivalità con il Carnevale di Acireale c’è quello di Sciacca, altra celebrazione famosa non solo entro i confini siciliani. Anche in questo caso è una festa che nasce “dal basso”, intorno al 1500: al centro delle prime manifestazioni c’erano le maschere ma soprattutto un banchetto a base di vino, salsicce e cannoli, tradizione ancora viva. Ma è dal ‘900 e, in particolare nel dopoguerra, che il Carnevale di Sciacca si evolve, con la nascita delle prime compagnie di rivista e di carri allegorici sempre più sofisticati che prendevano in giro personaggi locali in chiave satirica.

 

Carnevale di SciaccaCarnevale di Sciacca

La preparazione dei carri a Sciacca è un momento particolare, con un’atmosfera onirica che diventa sempre più frenetica man mano che si avvicina la festa. La notte precedente la sfilata è riservata agli ultimi montaggi: i carri vengono messi in strada e assemblati sul posto, dando vita a un'anteprima della festa. Il Carnevale inizia il Giovedì Grasso con la consegna simbolica delle chiavi della città al re del Carnevale, che qui si chiama Peppe Nappa, personaggio adattato dai saccensi come maschera locale che apre e chiude le celebrazioni. Ed è proprio Peppe Nappa che, sfilando per le vie della città, distribuisce vino e salsicce alla brace per tutta la durata del Carnevale, fino a quando, l'ultima sera del Martedì Grasso, quando viene dato al rogo in piazza accompagnato da giochi pirotecnici.

 

Per mangiare le salsicce e non solo:

Portavagnu Street food | Sciacca (AG) | piazza Saverio Friscia | tel. 39 320 968 244 | www.facebook.com/Coljghguggg/?rf=284105751773166

Pane e Vino | Sciacca (AG) | vicolo Sammaritano 22-24 | tel. 39 0925 86674 | www.facebook.com/paneevino.sciacca?fref=ts

 

Termini Imerese, le sfinci di Nannu e Nanna

Un Carnevale relativamente “più giovane”, quello termitano, documentato dal 1876, ma in realtà nato nel 1848. In quel periodo la cittadina della provincia di Palermo ospitò alcune famiglie napoletane, venute nell’isola al seguito dei Borboni dopo essere state cacciate dalla capitale. Furono proprio i napulitì, come venivano chiamati dagli abitanti di Termini, che nel periodo di Carnevale promossero una festa alla quale partecipò tutta la città, dando vita a U’ Nannu ca Nanna (il nonno e la nonna). La particolarità del Carnevale di Termini Imerese è infatti la partecipazione, accanto al re del Carnevale Nannu, di una figura femminile, Nanna, unico caso in Sicilia, che rappresenta la continuità della dinastia dopo la morte al rogo del re. Uno dei momenti più suggestivi è la lettura del testamento di Nannu, nel quale vengono irrise le personalità più in vista della città.

 

sfinci palermitane

Il Carnevale termitano non avrebbe senso senza lesfinci: frittelle dolci condite con zucchero e cannella che dalla provincia di Palermo si sono diffuse in tutta l’isola, con le dovute varianti. Ma qui a Carnevale si mangiano anche leTeste di turcu, le teste di turco, un dolce al cucchiaio tipico di Castelbuono (PA) creato alternando strati di sfoglia dolce a crema pasticcera e abbondante cannella.

Dove comprare le sfinci:

Bar Delle Palme | Termini Imerese (PA) | via Mazzarino | tel. 091 814 2616

L'Angolo Delle Dolcezze | Cefalù (PA) | via Novelli, 2/4 | tel. 0921 923047 | www.langolodelledolcezze.it/Dolcezze/IT/ChiSiamo.aspx

 

I maiorchini rotolanti di Novara di Sicilia

Una cittadina in cui Carnevale significa prevalentemente formaggio, nello specifico maiorchino, prodotto con latte crudo di pecora sul versante nord dei monti Peloritani, in provincia di Messina. Ogni anno, a Novara di Sicilia, il Carnevale vede fronteggiarsi tre contendenti, i “rotolatori” di maiorchino, nella tipica gara chiamata ruzzola. Un torneo di origine seicentesca, che si tiene da sempre in occasione del Martedì Grasso, un tempo riservato ai soli uomini, oggi aperto anche alle donne. La gara consiste nel far rotolare un maiorchino stagionato del peso di 10 chili mediante uno spago attorcigliato alla forma lungo un percorso che si snoda per oltre due chilometri dentro le vie di Novara. Ai lati cittadini e turisti incitano i tre finalisti, selezionati dopo una serie di gare che si svolgono nella settimana precedente.

 

La ruzzola dei maiorchini di Novara di Sicilia

Dopo la competizione, il culmine della festa è la sagra del maiorchino dove i produttori, vestiti con gli abiti seicenteschi, si prodigano per far assaggiare non solo il maiorchino, ma anche tuma e ricotta, altri due prodotti tradizionali della provincia. La sera tutta la comunità condivide la cena in piazza, assaggiando le creazioni a base di maiorchino e gustando i classici ai maccheroni di casa conditi con sugo di maiale.

Dove comprare il maiorchino:

Agriturismo Girasole | Novara di Sicilia (ME) | contrada Grego, 49 | tel. 0941 650812 | www.agrigirasole.it

Tre compari | Santa Lucia Del Mela (ME) | via Cattafi, 7 | tel. 091 8731513 | www.trecompari.com

 

 

a cura di Francesca Fiore

 

I modelli di viticoltura: la maggiorina dell’Alto Piemonte

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La viticoltura non è solo fatta di filari: oltre ai più comuni metodi di coltivazione a spalliera esistono altri sistemi, ormai praticati solo in aree molto circoscritte della Penisola. Oggi vi parliamo della maggiorina.

L’immagine consueta di un vigneto è un susseguirsi di filari, che con il loro andamento geometrico, creano un paesaggio lineare e ordinato. L’allevamento della vite a spalliera, che consente la meccanizzazione parziale o totale del lavoro, ha ormai preso il sopravvento sulle forme più antiche, che si adattavano alla diversa conformazione del terreno o a condizioni climatiche particolari.

Tuttavia, un sistema d’allevamento della vite ereditato da un lontano passato, esiste ancora nel novarese, in particolare nella zona di Boca e Maggiora. Si tratta dell’impianto a maggiorina, conservato da pochi produttori come memoria storica della regione. Fin dai tempi degli antichi Romani, l’Alto Piemonte è stato un territorio molto vocato per la viticoltura. Dall’epoca Medioevale in avanti troviamo numerose testimoniane della fama dei vini delle colline novaresi, che venivano esportati il Lombardia, Francia e Svizzera. Una tradizione che si è consolidata nel corso dei secoli, rafforzando il carattere prettamente agricolo dell’economia dell’area.

 

La trasformazione del paesaggio del novarese nel '900

All’inizio del secolo scorso, il vigneto della zona di Boca e dintorni aveva un’estensione di circa 10.000 ettari, che oggi si sono ridotti a qualche decina. Alcune devastanti grandinate e soprattutto il rapido processo d’industrializzazione del secondo dopoguerra, hanno cambiato il tessuto sociale e il volto del paesaggio. Le industrie manifatturiere, con la promessa di un salario sicuro e di una vita meno faticosa, hanno attratto molta manodopera, che ha abbandonato progressivamente le vigne. Nel giro di pochi decenni, un patrimonio secolare di viticoltura è stato travolto dal progresso industriale.

Si resta stupefatti e increduli di fronte alle foto aeree del periodo di massimo splendore del grande vigneto del novarese, messe a confronto con il paesaggio odierno. I boschi si sono riappropriati delle colline, espandendo via via la loro superficie. Se ci si addentra tra alberi e arbusti, si possono ancora trovare le tracce di terrazzamenti e dell’antico lavoro dell’uomo per adattare i terreni alla coltivazione della vite. È un’esperienza straniante e paradossale, un viaggio nel tempo a ritroso. Per solito, infatti, siamo abituati a vedere paesaggi, che da selvaggi e incolti si sono trasformati in terre sfruttate da un’agricoltura intensiva, e non l’esatto contrario. Le ampie zone boschive, che oggi coprono gran parte delle colline, contribuiscono a creare un ambiente con una grande biodiversità di flora e fauna e proteggono le vigne dai venti freddi che scendono dal Monte Rosa.

 

La superficie vitata oggi

Questa radicale diminuzione della superficie vitata, ha avuto il vantaggio di salvare le parcelle migliori e storicamente più vocate.Le esposizioni soleggiate rivolte prevalentemente a sud, il clima fresco ma temperato e le notevoli escursioni termiche, garantiscono la produzione di uve di grande qualità. I terreni sono costituiti da suoli ricchi di scheletro, con poca terra, sabbie e ghiaie generate dal disfacimento di rocce di porfido rosa, che poggiano su un substrato di porfidi e graniti, generato da antiche eruzioni vulcaniche. La zona di Boca si trova, infatti, in prossimità dell’enorme caldera dell’antichissimo grande vulcano fossile del Sesia.Sono terre povere e con ph acido, che possiedono una grande varietà di minerali, utilissimi al sostentamento della vite.

 

Maggiorina

 

La maggiorina

La tecnica della coltivazione della vite a maggiorina era realizzata piantando 3 o 4 viti molto vicine, al centro di un quadrato di circa quattro metri per lato. I lunghi tralci si allungavano verso i punti cardinali, sostenuti da otto pali di legno conficcati nel terreno. I ceppi potevano essere, a loro volta, sostenuti da un palo centrale ed erano tenuti insieme da legature a salice. Era un sistema adatto per coltivare la vite su terreni in pendenza e spesso battuti da forti venti. In prossimità della vendemmia, il peso eccessivo dei grappoli, soprattutto nelle giornate ventose, poteva far cedere i pali di sostegno, con il conseguente crollo dell’impianto. La struttura a quadrati indipendenti limitava il rischio a poche piante, preservando il resto del vigneto.

Tuttavia i danni erano spesso ingenti e fu l’architetto Antonelli, progettista della famosa Mole di Torino e originario di Maggiora, a modificare la forma della maggiorina. Tenendo conto dell’inclinazione dei terreni e del peso dei tralci carichi d’uva, definì il giusto grado d’inclinazione dei pali di sostegno, in modo che potessero sostenere le viti senza rischi. All’interno dei vigneti a maggiorina la densità delle piante è di circa 2000 ceppi per ettaro e spesso nello stesso quadrato convivono diverse varietà. Insieme al nebbiolo capita di trovare viti di vespolina, uva rara e croatina. Una compresenza figlia di un’antica consuetudine, che rispecchia l’uvaggio tipico del territorio, molto lontana dalla rigida monocoltura dei vigneti moderni.

Le vigne a maggiorina sopravvissute a Boca e Maggiora ci offrono una preziosa testimonianza del passato e dobbiamo ringraziare alcune aziende come Le Piane e Cantine Conti del Castello se questa tradizione è stata tenuta viva. Si tratta di una coltivazione che consente solo lavorazioni manuali e richiede una presenza continua in vigna e una cura costante delle piante. La libertà dei tralci, che possono crescere assecondando il naturale sviluppo di una rampicante come la vite, rende i ceppi molto longevi, con piante centenarie ancora perfettamente sane e produttive. Un pezzo della nostra memoria enologica da conservare, che vale un viaggio in queste terre ricche di storia e tradizione.

 

Le Piane | Boca (NO)| piazza G. Matteotti, 1| tel. 348 335 4185| http://www.bocapiane.com/it/home/

Cantine Conti del Castello | Maggiora (NO)| via Borgomanero, 15| tel. 0322 87187| http://www.castelloconti.it/

 

a cura di Alessio Turazza

foto: Le Piane

 

Per leggere I modelli di viticoltura: la pergola a bocca di lupo di Carema clica qui

Per leggere I modelli di viticoltura: la bellussera e vigneti storici nella terra del Piave clicca qui


Il cibo del futuro. Come cambiano le coltivazioni e cosa può fare la scienza: la riscoperta delle specie perdute

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Surriscaldamento globale vs consuetudini agricole. Oggi consumiamo circa 150 specie vegetali su un patrimonio di 50mila alternative commestibili, ma l'emergenza climatica potrebbe ridimensionare alcune delle coltivazioni più importanti per la nostra alimentazione. E come risponde la scienza? L'approfondimento di Focus. 

L'agricoltura dal Neolitico ai giorni nostri

È una bella riflessione sul valore intrinseco dell’agricoltura nella storia dell’uomo quella pubblicata su Focus qualche giorno fa, che dalla innata attitudine alla selezione delle specie più vantaggiose per resa e qualità nutrizionali si spinge fin a considerare gli scenari del presente e il cibo del futuro. E un focus sull'evoluzione delle specie vegetali domesticate, quelle di cui abbiamo imparato a nutrirci migliaia di anni fa, nel Neolitico, quando i progenitori dei nostri contadini selezionarono una buona parte delle piante selvatiche che poi sono entrate nella consuetudine rurale. Di fatto, molti dei prodotti che oggi finiscono sulle nostre tavole, o comunque i loro antenati, come il teosinte, da cui discende il granturco. E stupisce considerare che di oltre 50mila specie vegetali commestibili presenti in natura, la nostra alimentazione ne contempli solo 150, con il dominio incontrastato di tre colture senza le quali l'uomo contemporaneo non sarebbe in grado di sopravvivere: mais, frumento e riso. Date queste premesse, prosegue l'analisi di Focus, il cambiamento climatico che preoccupa gli esperti di tutto il mondo potrebbe essere un rischio da non sottovalutare. Per un assunto piuttosto evidente: se il clima si fa più instabile, poter contare su poche colture ci lascia in balia degli eventi, senza considerare che proprio cereali e legumi si stanno dimostrando particolarmente soggetti alle insidie metereologiche, più vulnerabili a parassiti e malattie.

 

Gli effetti del cambiamento climatico

E dati alla mano il quadro si fa più chiaro, con il raccolto di soia in diminuzione del 30% entro il 2050, quello di frumento di una percentuale più contenuta, ma comunque importante (- 7,5%), considerando il suo ruolo strategico nell'alimentazione globale. Sin qui la situazione data. Ma ciò che più sembra interessante indagare è ciò che verrà, la possibilità di tornare a intervenire sulla natura perché sia più preparata a rispondere alle sollecitazioni esterne. Si potrebbe obiettare che questo non significhi affrontare il problema alla radice – adottando, per esempio, comportamenti più responsabili per arginare il cambiamento climatico, prendendosi cura del pianeta – ma se il valore etico di questa “missione” resta indubbio, certo intanto gli scienziati si attrezzano per correre ai ripari. Come? Attraverso il sequenziamento del Dna.

 

Il sequenziamento del Dna. Il contributo della scienza

Ricercando cioè specie antiche di cui si sono perse, o quasi, le tracce, per studiare come ricominciare a coltivarle. L'esempio in evidenza è quello dell'apios americana, una leguminosa molto resistente e versatile, in grado di restituire legumi commestibili e tuberi molto più proteici di una patata. Lo studio è portato avanti dall'Iowa State University. In Kansas, invece, al Land Institute, indagano sull'erba di grano, il kernza. E lo stesso processo, il sequenziamento genetico, è alla base delle ricerche balzate agli onori delle cronache appena qualche giorno fa, che individuano il principale oggetto di interesse nel pomodoro. E nelle sue 398 varietà. Lo studio, che coinvolge scienziati di tutto il mondo, è stato divulgato dalla rivista americana Science. L'obiettivo? Recuperare il “sapore perduto”, quei composti aromatici penalizzati dalle coltivazioni massive, incentivate dal prodotto agricolo di maggior valore economico nel mondo. I pareri in merito all'intervento scientifico sono contrastanti, la matassa tutt'altro che semplice da dirimere. Ma l'ultimo allarme lanciato dalle pagine di The Lancet non può essere ignorato: entro il 2050 il surriscaldamento globale potrebbe causare oltre mezzo milione di morti da cattiva alimentazione. L'attenzione deve restare alta. 

 

a cura di Livia Montagnoli

Aspettando le Anteprime Toscane e il Buy Wine

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Da Firenze verso i territori, torna la grande kermesse dei vini regionali per favorire gli scambi commerciali e mettere in mostra i prodotti di alta qualità. L'assessore Remaschi: "In arrivo 88 buyer da nuovi Paesi". Grandi ma soprattutto piccoli Consorzi confidano in questa vetrina internazionale, anche se la formula potrebbe essere rivista in futuro.

Per per la settima volta, la Toscana del vino mette in mostra le sue eccellenze. Gli strumenti per conquistare un posto nel portafoglio dei più importanti buyer internazionali sono ancora una volta Buy Winee Anteprime, secondo la formula allargata (dall'edizione 2014) che apre alla presenza dei Consorzi cosiddetti 'minori', rispetto ai più blasonati Brunello di Montalcino, Vernaccia di San Gimignano, Chianti Docg, Nobile di Montepulciano e Chianti Classico (di cui parleremo nei prossimi giorni).

La kermesse, che prende il via venerdì 10 febbraio e termina sabato 18, da quest'anno è nelle mani di PromoFirenze, l'azienda speciale della Camera di Commercio di Firenze, incaricata dalla Regione Toscana di organizzare l'evento, che negli anni passati era stato affidato a Toscana Promozione. Lo scorso anno la Regione trovò in extremis i finanziamenti, facendo tirare un sospiro di sollievo a numerosi consorzi. Quest'anno è filato tutto liscio. Il (quasi) milione di euro destinato dall'assessorato toscano all'Agricoltura alla promozione consentirà, da un lato, di partecipare a Prowein e Vinexpo e, dall'altro, di tenere in piedi anche questo importante appuntamento del 2017, nei saloni della Fortezza da Basso del capoluogo. I numeri sono di tutto rispetto: 190 gli importatori stranieri, 210 le aziende vitivinicole iscritte (circa 900 euro il costo per la partecipazione).

La speranza degli organizzatori è favorire lo scambio e gli affari, suscitare la curiosità, l'interesse, la voglia di scoprire le produzioni questa regione, che esporta una buona parte dei suoi vini e che nel mondo, in campo agroalimentare, è prima di tutto sinonimo di vino.

 

Un Vinitaly toscano? L'assessore Remaschi rilancia

"Assaggeranno la Toscana", sottolinea a l'assessore regionale all'Agricoltura, Marco Remaschi: "Rispetto agli altri anni abbiamo previsto delle novità, selezionando 88 nuovi buyer che provengono da Paesi che al Buy Wine non hanno mai partecipato, come Puerto Rico, Marocco, Emirati Arabi; inoltre, abbiamo reintrodotto mercati per noi interessanti come Kazakistan, Taiwan, Lituania e Russia". Nel complesso, sono 35 i Paesi di tutto il mondo presenti al Buy Wine 2017. "Non pensiamo di stravolgere la sua formula nei prossimi anni" sottolinea Remaschi "ma puntiamo a innovarla anno dopo anno con correttivi, in raccordo coi consorzi. L'importante è che sia una grande opportunità per produttori e operatori". A questo proposito, la Regione Toscana non ha abbandonato l'idea di un grande iniziativa che guardi al Vinitaly: "Ho lanciato la provocazione un anno fa e ancora penso si possa arrivare a iniziative di quel livello, ma solo se sapremo crescere sotto il profilo operativo e organizzativo. Dobbiamo creare opportunità di sviluppo per i nostri vini e lo possiamo fare con gli strumenti della promozione: penso in particolare a mercati come Cina e India". Per ora, i dati Istat del periodo gennaio-ottobre 2016 dicono che le Dop rosse della Toscana hanno segnato il passo sul fronte delle esportazioni: -6,3% a valore e -6,5% a volume. Ma in cantina, come ricorda Remaschi, ci sono due buone annate come la 2015 e la 2016: "La qualità è ottima e la produzione è importante. Questo ci consente di guardare avanti con fiducia. Il brand Toscana è forte e Buy Wine e Anteprime costituiscono una vetrina mondiale che si sta gradualmente consolidando".

 

Sabato 11 la presentazione ufficiale a Firenze

C'è attesa per la presentazione ufficiale dell'evento Anteprime di Toscana 2017, previsto nel secondo giorno di Buy Wine, a Firenze sabato 11 febbraio (ore 11, Fortezza da Basso – Padiglione Cavaniglia, V.le Strozzi 1). Saranno illustrati i dati economici e il trend dell'intero settore vitivinicolo, ma anche una ricerca sul percepito dei vini toscani da parte della stampa internazionale, che saranno commentati da Fabrizio Bindocci (presidente di A.Vi.To, Associazione vini toscana Dop e Igp) e dal marchese Piero Antinori. Le conclusioni sono affidate a Marco Remaschi, assessore all'Agricoltura della Regione Toscana. I lavori saranno moderati dal massmediologo Klaus Davi.

Alle 12.30 seguirà una degustazione dei territori toscani. Saranno presenti i Consorzi: Bianco di Pitigliano e Sovana, Brunello di Montalcino, Carmignano, Chianti, Chianti Classico, Colline Lucchesi, Cortona, Elba, Maremma, Montecucco, Morellino di Scansano, Nobile di Montepulciano, Orcia, Val d’Arno di Sopra, Val di Cornia, Vernaccia di San Gimignano.

 

Le aspettative dei consorzi Elba, Carmignano, Cortona e Valdarno

Sono complessivamente 16 i Consorzi toscani coinvolti tra Buy Wine e Anteprime. Le denominazioni Chianti Docg, Chianti Classico, Vernaccia di San Gimignano, Nobile di Montepulciano e Brunello di Montalcino organizzano la propria anteprima sul territorio, mentre gli altri undici Consorzi saranno a Firenze venerdì 10 e sabato 11, sia per il Buy Wine sia per le Anteprime.

Abbiamo voluto sentire le compagini più piccole, come la Doc Elba, alla sua terza presenza. Marcello Fioretti, a capo del Consorzio, guiderà un gruppo di 8 aziende sulle 19 associate: "L'idea di dedicare uno spazio alle Doc più piccole, che non hanno modo di farsi la propria anteprima come ad esempio Brunello, Nobile o Chianti Classico, consente di fornire un'immagine più corretta della Toscana, che comprende anche le zone minori". La denominazione isolana è rivendicata per 170 ettari sui 300 ettari complessivi (con 30 ettari di Docg Aleatico); oltre metà delle circa 600 mila bottiglie prodotte è costituita da vini bianchi. Metà delle cantine vende all'estero, con una propensione all'export tra 10% e 20%, prevalentemente nel Nord Europa: "Buy Wine sarà un'occasione importante" aggiunge Fioretti "nonostante qualche difficoltà creata ai produttori dalla sovrapposizione della giornata di sabato 11 col primo giorno delle Anteprime. Elemento che andrebbe riconsiderato nelle prossime edizioni".

 

Ci saranno tutti, invece, gli undici produttori della Doc Carmignano, denominazione dalla storia pluri secolare (citata nel Medioevo dal Datini, nel 1600 dal Redi e scelta da Cosimo III nel 1716 come una delle zone viticole del Granducato) il cui territorio si estende per 200 ettari nella provincia di Prato. "Per un periodo siamo rimasti in stand by" dice il numero uno del Consorzio, Fabrizio Pratesi "ma ora ci sono cantine che si stanno affermando bene sui mercati. È vero che siamo una nicchia della produzione regionale, ma puntiamo a sfruttare molto bene una particolare risorsa: il turismo enogastronomico". La speranza del Consorzio è prima di tutto allargare gli ettari e rafforzare le vendite sul mercato nazionale. Oggi, su un milione di bottiglie, il 65-70% viene spedito fuori confine: "Le cose sono cambiate notevolmente, rispetto a dieci anni fa, quando il Carmignano era venduto solo per un 10% in Italia. Ora stiamo aumentando le vendite locali. Per noi questo è molto importante". E per avvicinare i consumatori, il luglio prossimo sarà il mese in cui, se tutto andrà liscio, lo storico borgo di Artimino ospiterà un evento/degustazione itinerante per il pubblico, che potrà entrare in contatto con Doc di nicchia come il Barco Reale e il Vin santo occhio di pernice.

 

Alla fortezza da Basso è attesa anche la Doc Cortona, realtà che punta sul vitigno syrah e che poggia le sue basi sulla piazza estera, visto che oltre l'80% delle produzioni, su un totale di un milione di bottiglie, è venduto fuori confine, con gli Stati Uniti primo mercato di destinazione. "L'annata 2016 è qualitativamente buona" racconta il presidente Marco Giannoni "le aziende del Consorzio stanno lavorando al reimpianto dei vigneti, quasi il 30% dei nostri produttori è a conduzione biologica. Inoltre, sono nate alcune nuove cantine. Ma se siamo soddisfatti del mercato" precisa Giannoni "non lo siamo per questioni interne come quella degli ungulati e animali selvatici, che rappresentano un gravissimo danno, e per i criteri di assegnazione delle autorizzazioni dei nuovi impianti che non ci consentono di crescere come vorremmo".

 

Luca Sanjust di Teulada è il presidente del Consorzio della Doc Valdarno di Sopra, denominazione aretina che, da un lato, si può definire antica (perché fu designata nel noto bando di Cosimo III de' Medici nel 1716) e, dall'altro, giovane perché approvata dal Mipaaf a fine 2011. Tra 2014 e 2016, la sua produzione è raddoppiata ogni anno, superando i mille ettolitri nel 2016. Oltre il 60% dei vini è venduto all'estero. Buy Wine e Anteprime rappresentano la migliore occasione per far conoscere questo territorio che per gran parte è coincidente con quello del Chianti. Gli obiettivi del Consorzio sono ambiziosi: "Stiamo modificando il disciplinare e puntiamo a fare di Valdarno di Sopra una Doc esclusivamente biologica" dice Sanjust "perché pensiamo che sia un trend che nel tempo andrà ad affermarsi".

 

I buyer stranieri alla scoperta di Maremma e Val d'Orcia

Saranno 31 i buyer che visiteranno i territori della Doc Orcia, denominazione estesa per 400 ettari nell'omonima valle, patrimonio Unesco dal 2004. Il 2016, come spiega la presidente del Consorzio, Donatella Cinelli Colombini, è stato un "anno di crescita, dal momento che, stando ai dati Artea, rileviamo un +30% di imbottigliamenti. Oggi le bottiglie prodotte sono circa 300 mila, abbiamo migliorato molto la qualità dei nostri vini. E notiamo che non solo gli stranieri ma anche gli operatori locali cominciano a interessarsi di più alla nostra Doc, che è più presente nelle carte dei vini di ristoranti ed enoteche". Imprescindibile, anche per questa altra piccola Doc, il legame con l'enoturismo: si lavora a ridare piena operatività la Strada del vino, presieduta dal sindaco di Castiglione d'Orcia, Claudio Galletti.

 

Tra i presenti al Buy Wine non possono mancare le grandi Doc del sud ovest della Toscana. La Doc Morellino di Scansano, non esattamente una piccola Doc coi suoi 10 milioni di bottiglie, per l'80% vendute sul mercato nazionale, farà dapprima il suo consueto passaggio alla Fortezza da Basso di Firenze: "Punteremo a far conoscere loro la facilità di abbinamento e l'immediatezza del nostro prodotto", spiega il direttore del Consorzio, Alessio Durazzi, ricordando come il 2016 sia stato "un anno di stabilità di mercato". Poi si andrà sui territori: domenica 12 febbraio, assieme ai consorzi delle Doc Montecucco e Doc Maremma Toscana, il Morellino si metterà in mostra al centro di Alberese (Grosseto), dove è attesa una delegazione di 40 operatori stranieri: un modo per far assaporare i territori e spiegare meglio le peculiarità dei vini.

 

Il Consorzio Doc Maremma Toscana a Firenze porterà 27 aziende per un totale di 53 diverse etichette: "Partecipiamo per la terza volta, e per noi che siamo una Doc giovane, con la prima etichetta datata 2012" ricorda il direttore Luca Pollini "il Buy Wine e le Anteprime sono un'occasione utilissima, soprattutto perché capita di trovare giornalisti che non ci conoscono ancora e che cercano delle novità". In quest'area del Grossetano, fino a martedì 14 arriveranno decine di buyer, in prevalenza da mercati nord europei: Regno Unito, Germania, Danimarca. E nell'atteso walkaround tasting collettivo di domenica 12, saranno presenti anche aziende del settore food: "Vogliamo far vedere che la Maremma è capace di presentarsi come un sistema unito", sottolinea Pollini. Di certo, sarà un'imperdibile occasione per farsi apprezzare su scala mondiale.

 

Buy Wine | Firenze | Fortezza da Basso | 10 e 11 febbraio 2017 | www.buy-wine.it

Anteprime Toscane | Firenze | Fortezza da Basso | dal'11 al 18 febbraio 2017 | www.anteprimetoscane.it

 

a cura di Gianulca Atzeni

foto Buy Wine

 

Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri del 2 febbraio 

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Courmayeur con gusto. Chef in Comune e Mountain Gourmet Ski Experience

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Otto cene firmate da David Jesus, un contesto inedito e solo 14 fortunati ospiti ogni sera. È il debutto a Courmayeur di Chef in Comune, un progetto che coinvolge anche Massimo Bottura e la sua Onlus Food For Soul. E sempre nella città valdostana andrà in scena la quarta edizione di Mountain Gourmet Ski Experience, con ospiti di eccezione. Uno tra tutti, Heston Blumenthal.

Chef in Comune

Dal 25 febbraio al 4 marzo il Comune di Courmayeur apre le sue porte per ospitare otto cene di beneficenza, dal tocco portoghese e spirito valdostano. All’interno della Sala Consiliare di Courmayeur trova infatti spazio una social table stellata, che coniuga charity e food. Il programma di Chef in Comune, questo il nome del format, prevede otto cene durante le quali i fortunati avventori potranno gustare il menu di David Jesus, chef del Belcanto di Lisbona, aiutando allo stesso tempo la Onlus fondata da Massimo Bottura, Food for Soul LINK, a cui andrà l'intero ricavato. Nel menu piatti come Anguilla affumicata, caviale di polenta alla portoghese e nasturzio; Coda di manzo e fegato grasso; “Pot-au-feu” (bollito)alla portoghese; Pietre di fegato di merluzzo o Pera sottaceto e cornetto di Parmigiano.

 

Lo chef David Jesus e Lo Matson, Courmayeur Food Market

Lo chef portoghese in questa occasione indossa anche i panni dello storyteller, per raccontare la storia di ogni piatto e il connubio tra i prodotti della sua terra e quelli dei produttori di Lo Matson, Courmayeur Food Market. Un mercato contadino all’aperto che riunisce i tanti produttori della Valle d’Aosta. C'è la famiglia che da generazioni fa formaggi perché è ciò che sa fare meglio, ma c’è pure l’impiegato che ha cambiato vita e ora si dedica al foraging. Coraggiosi, sinceri, sorridenti o più spigolosi, gli espositori di Lo Matsòn animano questo mercato di prodotti agricoli, il primo della Valle d’Aosta, da ben sedici anni.

 

Mountain Gourmet Ski Experience 2017

Le cene completano il ricco calendario che animerà la città alpina durante la stagione invernale sotto il claim #COURMAYEUR♥WINTER 2016-2017, che prevede una serie di appuntamenti dedicati allo sport, allo shopping e al food. Restando in tema gastronomico, dal 17 al 20 marzo si terrà la quarta edizione di Mountain Gourmet Ski Experience, che quest'anno vede tra gli ospiti gli chef inglesi Heston Blumenthal (ormai presenza fissa della manifestazione), Sat Bains (chef dell'omonimo ristorante di Notthingam),Claude Bosi (Hibiscus Restaurant) eJason Atherton, chef e imprenditore che vanta locali in tutto il mondo, da Londra a Shanghai, passando per Dubai.

 

Chef in Comune | Sala Consiliare di Courmayeur | dal 25 febbraio al 4 marzo | Per maggiori info e prenotazioni: @courmayeurmontblanc.it

Mountain Gourmet Ski Experience | dal 17 al 20 marzo | www.courmayeurmontblanc.it | Per maggiori info e prenotazioni: @courmayeurmontblanc.it

 

 

 

 

 

 

San Valentino. 10 idee golose e romantiche per una cena e un soggiorno

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Se vi preparate a trascorrere un San Valentino speciale con la vostra metà ecco qualche consiglio per godere del piacere di una buona tavola e trasformare la ricorrenza in un bel ricordo di coppia. Tra cucina d'autore, prodotti del territorio, un buon vino e le coccole di un'attenta ospitalità. 

Dicono che San Valentino sia una festa comandata, e come tale parecchio inquinata da sovrastrutture sociali e furbizie commerciali. Inutile negarlo, perché la corsa al regalo migliore per non deludere le aspettative della propria metà nell'unico giorno dedicato al santo patrono degli innamorati (da agiografia giustiziato per aver celebrato il matrimonio tra una cristiana e un legionario romano), almeno una volta ha fatto tremare per l'ansia anche fidanzati, coniugi e amanti più indomiti in fatto di romanticherie. Certo, il battage pubblicitario montato ad arte sulle spalle dell’anniversario non aiuta. Aggiungiamo poi che quest'anno la ricorrenza cade di martedì e per i più organizzare una fuga romantica sarà complicato.

Ma, bando al cinismo, è sempre una buona occasione per trascorrere qualche ora di relax insieme alla persona con cui si è scelto di condividere la vita di tutti i giorni (o almeno una parte). Meglio ancora se l'evasione di coppia contempla una buona tavola da scoprire in un contesto che invita a sorridere, lontano dal caos quotidiano, coccolati dalla cucina di un bravo chef e dall'ospitalità competente di uno staff al servizio del cliente. Noi vi suggeriamo 9 indirizzi + 1 (un outsider c'è anche questa volta) di ristoranti con camere, da Nord a Sud della Penisola, che sommano tutti i requisiti di cui sopra, e dove trascorrere due (o più) giorni in compagnia della persona amata. Per chi legge, l'opportunità di sfruttare le dritte per organizzare un 14 febbraio degno di nota, o conservare il consiglio in qualche cassettino della memoria, per progetti futuri e futuri impellenti desideri di evasione. Perché è sempre un buon momento per apprezzare una cucina di territorio eseguita con cura, scoprire l'estro di un giovane chef di provincia, spingersi fin nelle campagne più remote d'Italia o a un passo dalle città, per godere del lusso dell'ospitalità (che spesso fa rima con semplicità).

 

Foto di Daniel Tochterle

St. Hubertus dell’Hotel Rosa Alpina - San Cassiano (BZ), Alto Adige:

La cucina di Norbert Niederkofler è perfetta emanazione del territorio che la ispira e vale allo chef altoatesino le Tre Forchette del Gambero Rosso. Ma se non bastasse l’accattivante proposta di una brigata giovane e attenta alla sostenibilità della materia prima e alla salvaguardia della cultura locale, sarà il fascino dell’hotel Rosa Alpina, tra le strutture alberghiere più esclusive e suggestive delle Dolomiti, gestito con passione dalla famiglia Pizzinini, a far scoccare la scintilla. Nel piatto cotture magistrali e ingredienti che esaltano il gusto, come le erbe selvatiche in arrivo dagli alpeggi. Grandi soddisfazioni dal percorso di degustazione, che declina la filosofia Cook the Mountain, dal benvenuto delle Dolomiti con Tacos di nervetti e pecorino, Prosciutto d'agnello fatto in casa, Pera in kombucha di frutti di bosco alla Tartare di coregone, capperi di Sambuco e salsa al vino di Terlano, al Risotto alla zucca, midollo e ribes bianco, fino al goloso Maialino da latte nostrano e cereali con sandwich di testina. Ma lasciate spazio per i dolci di Andrea Tortora, cercando di non mancare il Monte Bianco St. Hubertus. Magistrale senza essere pretenzioso il servizio di sala, concertato da Cristian Rainer.

St. Hubertus dell’Hotel Rosa Alpina | San Cassiano in Badia (BZ) | Strada Micura de Ru, 20 | tel. 0471 849500 | www.rosalpina.it

 

L'Argine a Vencò - Dolegna del Collio (GO), Friuli Venezia Giulia

Il rifugio di Antonia Klugmann e Romano De Feo tra le vigne del Collio friulano, a pochi chilometri dal confine sloveno, è un invito al romanticismo anche per gli animi più disincantati. Il bel mulino settecentesco circondato dall’orto che Antonia cura personalmente, è stato ristrutturato per accogliere qualche camera e il ristorante con vista sul verde – uno scrigno di vetro suggestivo anche nelle notti stellate - dove la chef si muove con compostezza rassicurante (provate a svegliarvi con la sua colazione, poi ci direte). Le verdure arrivano – ovviamente - dall’orto, tecnica e cotture millimetriche esaltano materie prime che con semplicità sono disposte sul piatto. Com’è semplice l’atmosfera di una sala raffinata nel suo minimalismo, ben illuminata, ariosa. In tavola sfilano Cavolfiore arrosto con funghi, radice amara e brodo d'aglio; Baccalà mantecato e rapa rossa; Vitello, mandorla, fagiolo e olio al rosmarino; Gelato alla camomilla, meringa al limone e crumble allo zenzero. Per l'abbinamento al calice affidatevi alla sapienza di Romano, e scoprirete cosa significa fare viticoltura nel Collio. Cosa c'è di meglio per San Valentino, che un posto del cuore?

L'Argine a Vencò | Dolegna del Collio (GO) | Località Vencò | tel. 0481 1999882 | www.largineavenco.it

 

La Madernassa - Guarene (CN), Piemonte

Immaginate un bel cascinale ristrutturato che guarda le colline dell’albese, e poi raggiungetelo. L’esperienza langhigiana della Madernassa è di quelle che non si dimenticano facilmente, per posizione, accoglienza, e cucina. A valorizzare il territorio in tavola ci pensa lo chef Michelangelo Mammoliti, che riscopre erbe, radici, fiori eduli delle colline, ma guarda anche lontano, proponendo una cucina di innesto creativo che si dimostra solida nel piatto. Tre menu degustazione: Metamorfosi, Emozione, Impronta, e tante suggestioni in carta per un viaggio decisamente divertente, con la Lingua fondente, bagnetto rosso e verde e crema di pane della tradizione fermentato; il Riso cotto in un infuso di sedano rapa, cardo di Nizza, emulsione leggera di castagno; la Guancia affumicata al cardamomo, radice di prezzemolo, jus alla fava tonka. Il risveglio, con vista sulla collina di Guarene, 4 chilometri appena da Alba, vi riempirà gli occhi di vigneti, alberi da frutto e la natura addomesticata del parco de La Madernassa. Ma si può soggiornare anche nel centro di Guarene, a Casa Roero, per scoprire il giardino pensile con solarium affacciato sui tetti del borgo.

La Madernassa | Guarene (CN) | Località Lora, Castelrotto | tel. 0173 611716 | www.lamadernassa.it

 

La Presef dell’Agriturismo La Fiorida - Mantello (SO), Lombardia

Il contesto è quello di un’azienda agrituristica della Bassa Valtellina che sa diventare relais per coccolare gli ospiti, coniugando servizio attento e camere di charme a tutto quello che vi aspettereste di trovare nella fattoria dei vostri sogni: un orto biologico, l’allevamento, il caseificio, la cantina, lo spaccio per la vendita dei prodotti. E tra i pascoli, la valorizzazione della filiera corta è una prerogativa che indirizza la cucina di Gianni Tarabini Franco Aliberti: si mangia in una vecchia stua ristrutturata, arredi in legno e atmosfera intima e accogliente. In tavola piatti equilibrati e creativi, molti i sapori del territorio, con Uovo di selva, crema di ricotta con miele di castagno, pane all'orzo e caprino stagionato della casaRavioli senza uova con spinaci e tartare di trota, pistacchio, bacche di goji, mandorle e olive; un “piccione viaggiatore” pralinato con nocciole, cipollotto alla brace, patate e la spuma con le bucce. In abbinamento i vini del territorio e una carta ben strutturata. Merita un passaggio il centro benessere Farm&Beauty.

La Presef dell’Agriturismo La Fiorida | Mantello (SO) | via Lungo Adda, 12 | tel. 0342 680846 | www.lapresef.com

 

Aga dell’Hotel Villa Trieste - San Vito di Cadore (BL), Veneto

Con la compagna Alessandra Favero il giovane chef sardo Oliver Piras ha trovato casa tra le montagne del Cadore, e dal 2014 gestisce una raffinata oasi del gusto – solo 4 tavoli per 16 coperti - protetta dalle Dolomiti all’interno dell’albergo di famiglia di lei. In tavola la filosofia è quella del “chilometro zero in altezza”, per valorizzare quanto nasce e cresce in quota con attitudine alla sperimentazione e attenzione rigorosa all’essenza del gusto. Fatevi guidare dal percorso degustazione, per scoprire poco a poco un viaggio che corre dal Manzo marinato, uova di salmerino e stout ai Cappelletti di lepre in brodo, ibisco e rosa all'Oca, tamarindo, timo e ceci. Ma il menu dispensa suggerimenti anche per i vegetariani, come la Sfoglia di rapa con mela verde e cipolla agra.

Aga dell’Hotel Villa Trieste | San Vito di Cadore (BL) | via Trieste, 6 | tel. 0436 890134 | www.agaristorante.it

 

Locanda del Sole - Castello di Querceto, Montecatini Valdicecina (PI), Toscana

Dirimpetto alla torre del castello dei marchesi Ginori Lisci, Luciano Zazzeri, splendido narratore della cucina di mare, ha trovato la sua casa di terra. E alla Locanda del Sole, davanti al camino o protetti dalle volte in pietra di Querceto, lo chef condivide con gli ospiti la sua passione per la caccia, con piatti a base di cinghiale, piccione, coniglio, colombaccio, cervo, capriolo. L'unico pesce che troverete in menu è il baccalà della tradizione locale. In cucina ci sono i giovani chef che seguono le sue orme, in tavola trionfano le materie prime della campagna toscana, Tortelli di fagiano con crema di patate e tartufo; Risotto al colombaccio e Stracotto di cinghiale con fagiolini in erba. Ottimo il rapporto qualità/prezzo. E trascorrere un paio di giorni nel minuscolo borgo raggiunto solo da una strada tortuosa che si srotola tra campi di grano e macchia mediterranea è un ottimo modo per staccare la spina. Si dorme negli appartamenti ristrutturati per evocare le case rurali di un tempo: cotto, stufe a legna e travi a vista.

Locanda del Sole | Montecatini Val di Cecina (PI) | località Querceto, via Francesca, 9 | tel. 0588 37407 | www.castelloginoridiquerceto.it

 

Aminta Resort - Genazzano (RM), Lazio

Pernottare nel verde a 50 chilometri da Roma nella tranquillità di una struttura di fine Ottocento, è un’opportunità da non sottovalutare. Il nome dell'insegna richiama alle pastorali della letteratura classica e ben riassume lo spirito del luogo, c'è poi una suite da "mille e una notte", la piscina, l'idromassaggio e il percorso benessere, senza contare l'azienda agricola con noceti, piante da frutto, ortaggi, uliveti, e animali da cortile. Questo per quanto riguarda l'esterno. Dentro una sala elegante, sobria, curata con passione e competenza, con la spiccata capacità di entrare in sintonia con il cliente. E poi c’è la cucina, quella di Marco Bottega, che vale il viaggio. Sapori netti, tradizione e istinto che valorizzano la materia prima; qualche esempio? I Cannoli ripieni di insalata di trota con salsa di rapa rossa, o il Maialino da latte con patate e macedonia di frutta. All'esterno fontane, alberi di noce e giardini che celebrano la campagna laziale.

Aminta Resort | Genazzano (RM) | via Trovano, 5 | tel. 06 9578661 | www.amintaresort.it

 

Pepe in Grani - Caiazzo (CE), Campania

Chi l’ha detto che per apprezzare la Margherita sbagliata del fuoriclasse della pizzeria campana sia inevitabile rassegnarsi a lunghe attese e viaggi notturni in autostrada? A Caiazzo Franco Pepe ha saputo strutturare il suo progetto di valorizzazione del territorio locale in cucina, ma pure approntando un circuito di ospitalità diffusa che invita a scoprire il borgo dell'Alto Casertano. E allora, chi progettasse una fuga romantica in pizzeria può approfittare di due camere moderne e minimali all’interno di un antico palazzo del Settecento, proprio nel centro storico di Caiazzo. Prima però è d'obbligo un passaggio in pizzeria per scoprire chi è Franco Pepe e quali i suoi obiettivi: pizza, ricerca e accoglienza. E sulla pizza c'è molto da dire. Qui la amano per davvero: impasti a mano, lievitazione a temperatura ambiente, prodotti e produttori del territorio che partecipano del successo di questa straordinaria realtà dell'alto casertano. Per un risultato che difficilmente dimenticherete.

Pepe in Grani | Caiazzo (CE) | vicolo San Giovanni Battista, 3 | tel. 0823 862718 | www.pepeingrani.it

 

Locanda Gulfi - Chiaramonte Gulfi (RG), Sicilia

Un bel resort nella campagna ragusana, circondato dall’azienda vinicola omonima. L’ospitalità è curata nel minimo dettaglio, l’atmosfera piacevole. Si mangia con vista sulla cantina, in una sala intima e accogliente, coccolati dalla proposta del giovane Ninni Radicini, che esalta i prodotti del territorio - che sono tanti e di grande valore, dalla cipolla Giarratana alle semole autoctone - a cominciare dalla Triglia ripiena su vellutata di verdure e crema di peperoni per proseguire con i Tortelli di ceci con crema di patate, pomodori demi-sec e limone candito, o la Calamarata integrale con sugo di scorfano. Mare e terra che si incontrano al confine tra la piana di Vittoria e i Monti Iblei, tra la Coda di rospo con minestrone dell'orto e il Filetto di manzo nostrano con miele di Satra ed erbe di campo. Si chiude con cannoli e crema “brullata”. Tante e varie le proposte a degustazione, suggestivo il percorso guidato in cantina.

Locanda Gulfi | Chiaramonte Gulfi (RG) | contrada patria, sn | tel. 0932 928081 | www.locandagulfi.it

 

Ada e Augusto alla Cascina Guzzafame - Gaggiano (Milano), Lombardia

L'ultima proposta non prevede possibilità di pernottamento (ed è un peccato, vista la suggestione del luogo), ma dista da Milano appena una trentina di minuti. E il menu ideato dallo chef giapponese Takeshi Iwai per celebrare il San Valentino vale il viaggio. Sotto la supervisione di Francesca Monti, la nota cascina del Parco Agricolo Sud, ha avviato un bel percorso di ristorazione che si avvale prevalentemente di prodotti propri, maiale, pollame, farine, ortaggi bio, burro, yogurt e formaggi in arrivo dal caseificio dell'azienda. E lo chef sa raccontarli attraverso una cucina immediata e pulita. Per la serata del 14 febbraio in tavola sfileranno Insalata Rossa e Risotto allo zafferano con anguilla, fegato grasso e liquirizia; Piccione, shiso e uva e un dessert al cioccolato ideato per l'occasione. Con qualche concessione al mito dei cibi afrodisiaci, nel piatto con Carne cruda, ostriche e avocado e Spaghettoni storione, zenzero e mandarino. Calice di champagne per brindare.

Ada e Augusto alla Cascina Guzzafame | Gaggiano (MI) | località Cascina Guzzafame | tel. 02 90843387 | www.cascinaguzzafame.it

 

 

a cura di Livia Montagnoli

Foto di copertina St.Hubertus al Rosa Alpina, di Daniel Tochterle

Sulle strade della California. Un viaggio a più tappe tra assaggi e racconti. Vol. 2

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Viaggio in California seconda tappa: da una parte all'altra del Bay Bridge, tra locali mitici di San Francisco e nuovi hub gastronomici di Oakland.

Approdo a San Francisco

Continua il nostro viaggio sulle strade della California alla ricerca della sua identità gastronomica. Dopo la prima tappa nella Bay Area, tra incontri, assaggi e storie tutte da raccontare approdiamo a San Francisco. Difficile sintetizzare le anime (gastronomiche) della città, quasi come ricostruirne la storia dai beat ai tweet. Si può andar per gusti etnici, luoghi emblematici, ristoranti stellati, e la lista non si esaurisce in pochi viaggi.

Garden CourtGarden Court

Partire dal mito: la Garden Court

Cominciare al The Palace è un po’ ripartire dalle origini, rivivere fotogrammi dell’America d’inizio secolo nei luoghi dove la leggenda è cominciata. Fondato nel 1875, è stato il primo hotel di lusso di San Francisco, e il più grande al mondo per l’epoca. Oggi è un punto di riferimento della città, ne testimonia la storia, il suo essere sempre in anticipo con le innovazioni tecnologiche, a partire da ascensori, telegrafo e interfono. Scenario mozzafiato di pranzi, cene e colazioni è la mitica Garden Court, aggiunta all’edificio nel 1909. Nominata, anni dopo, San Francisco Landmark Number 18 dal Landmarks Preservation Advisory Board, ancora oggi è premiata tra le sale ristorante più belle al mondo. Impossibile non fermarsi a immaginare feste, balli, cene di gala e vita trascorsa sotto gli archi dorati. La luce (e la notte) naturale entrano da 30 metri di altezza, dalla copertura in vetro colorato da 7 milioni di dollari. Completano l’opera due fili di lampadari originali nel miglior cristallo austriaco del tempo.

 

Palace Signature Crab Salad 

Piatti storici e signature dish

Anche gli chef di palazzo sono da sempre noti per creatività e innovazione. Il famoso Green Goddes Dressingdel 1923 fu un’invenzione dello chef Phillip Roemer per onorare George Arliss, protagonista del film The Green Goddess. Da allora e ancora oggi, la salsa è la firma culinaria del Palace, gustosa sul salmone o semplicemente accompagnata da una tartina.

Ma l’evento più originale che segna l’immagine d’avanguardia d’ogni tempo per l’hotel è il menu in codice Morse preparato in onore di Thomas Edison, amico e collega di Henry Ford, in occasione della Panama-Pacific International Exposition. Era possibile ordinare dal tavolo tramite tasti telegrafici, ogni tavolo aveva il suo proprio palo del telegrafo che dava all'ambiente uno stile mai visto prima.

Oggi, però, uno dei maggiori motivi di orgoglio per quanto riguarda la cucina, è poter garantire un menu composto da ingredienti freschi, sostenibili, per l'80% provenienti dalle fattorie locali, cosa che assicura un'esperienza culinaria pienamente indigena a San Francisco. La Palace Signature Crab Salad accompagnata da bollicine Roederer Estate Brut, le prime prodotte in California da Roederer, nella Napa Valley, e la fragranza dello scone salato, restano tra le esperienze più cool e indimenticabili di un viaggio a San Francisco, da fare seduti in poltrona nella Garden Court più bella al mondo.

 

Hive_social_food_hubHive social food hub

Oakland. La sorella hipster della Bay Area

Ci spostiamo a Oakland: la Brooklyn di San Francisco a 20 minuti di Bart (il trasporto pubblico locale su rotaia) di là dal Bay Bridge è il nuovo hub, sorella hipster della Bay Area. Se San Francisco perde mojo (un gergo per definire l’urban sex appeal) causa bolla immobiliare, gentrificazione e costi insostenibili, Oakland ne acquista di riflesso, prende spinta e corregge il tiro in quanto a vita sostenibile e sviluppo, non solo tech.

A pochi minuti dal centro, è in realtà un quartiere di San Francisco, ma pochi oltrepassano il ponte per vedere com’è. Artisti, startuppers, produttori e registi cinematografici e migliaia di impiegati nelle aziende hi-tech di San Francisco, hanno deciso di vivere qui. Con loro è cominciata la rinascita di Oakland, un luogo in cui c’è spazio per tutti: affitti bassi, vita facile, età media sui 50 anni, e un quoziente di mix etnico tra i più alti degli Stati Uniti, grazie al movimento dei Black Panthers degli anni ’60 cominciato proprio da qui.

Giovani imprese e startup vengono a Oakland per testarsi sul mercato con rischi molto più controllabili che a San Francisco, anche nel settore dell'enogastonomia. Dal 2011 si contano più di 200 nuovi ristoranti: se funziona a Oakland andrà bene anche a san Francisco, in caso contrario ci si può ripensare senza troppi danni. Ci sono poi almeno dieci tappe del vino da fare a Oakland, per contare solo quelle urbane, tra piccoli produttori di vigneti biodinamici, innovatori e cantine classiche, espressione del territorio e consolidata tradizione californiana.

CalaveraCalavera

La Oakland enogastronomica e hipster

A Oakland la passione del cibo è tangibile e tenacemente ancorata nella vita quotidiana: di lunedì sera c’è il food market con cibo da strada e musica dal vivo. Nelle vecchie stalle di Temescal, un cortile stile Shoreditch East London raccoglie negozi, hip barbershop, ristoranti e caffè. E poi c’è Hive, un intero distretto creativo nato da un vecchio deposito di auto dismesse, che chiamare hub è riduttivo per la quantità di attività che connette nei capannoni e cortili recuperati alla città. Nella piazza interna, allestita per cene all’aperto, i tavoli sono organizzati intorno a un caminetto. Il barber shop è anche galleria d’arte e da Calavera, ristorante di cucina messicana, l’arte latinoamericana che disegna l’ambiente, fa tutt’uno con l’arte gastronomica dei piatti firmati Christian Irabien, che ha seguito l'avviamento. A un anno dal lancio, al Calavera in cucina c’è Sophina Uong: come da manuale, Irabien è applicato già alla prossima food startup. Di recente apertura sul lago, poi, c’è il nuovo distretto gastro-creativo del Grand Fare Market.

 

Brown SugarBrown Sugar Kitchen

Ma il personaggio più noto per il rinascimento gastronomico di Oakland è Tanya Holland. La casina tutta marrone del suo Brown Sugar Kitchen, attrae file interminabili di auto, nel mezzo di niente di East Oakland: un'area industriale dismessa, oggi distretto creativo in understatement (ancora per poco). Ci si arriva da ogni dove, in religioso pellegrinaggio, per gustare pollo fritto e waffles con vaniglia e maple syrup, brevetto universale di Tanya per qualità e provenienza certificata di ogni ingrediente, dal pollo all’ultimo granello di panatura. Non se ne può immaginare la leggerezza, finché non si resta stregati dal primo boccone, per decidere di restar lì a chiederne ancora e ancora, in piena atmosfera rockabilly.

 

brown sugarPollo fritto e waffles con vaniglia e maple syrup di Brown Sugar Kitchen

 

 

The Palace | Usa | California | San Francisco | 2, New Montgomery St | http://www.sfpalace.com/

Hive | Usa | California | Oakland | 2337, Broadway | http://hiveoakland.com/

Calavera | Usa | California | Oakland | 2337, Broadway | http://hiveoakland.com/space/calavera/

Brown Sugar Kitchen | Usa | California | Oakland | 2534, Mandela Parkwayhttp://www.brownsugarkitchen.com/

Grand Fare Market | Usa | California | Oakland | 3265, Grand Avenue |http://www.grandfaremarket.com/

 

a cura di Emilia Antonia De Vivo

 

Per leggere Sulle strade della California. Un viaggio a più tappe tra assaggi e racconti. Vol. 1 clicca qui

 

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