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Funny Veg Academy, la scuola di cucina vegetariana firmata Simone Salvini

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Una scuola dove imparare a cucinare piatti vegetariani di alta cucina, sotto la guida di uno dei massimi esponenti e fautori di questa scelta di vita. È la Funny Veg Academy, centro di formazione di Milano ideato dallo chef Simone Salvini.

Lo chef

Non chiamatela cucina vegana: è un’etichetta troppo restrittiva. Preferisco parlare di cucina vegetale, che per altro non è così innovativa, non stupitevi, se ne è sempre parlato nella storia”. Ad affermarlo è naturalmente lo chef vegetariano per eccellenza Simone Salvini, diventato famoso al grande pubblico l'anno scorso grazie alle imitazioni di Maurizio Crozza. Ma il percorso formativo e professionale del cuoco ha inizio molto tempo prima che la cucina prendesse il sopravvento in tv. Dublino e Galway all'inizio del 2000 e poi India (Punjab, New Delhi), per approfondire la cucina ayurvedica e finalmente il Joia di Pietro Leemann dal 2005 al 2011, dove lavora come chef executive: la strada di Salvini è costellata di successi ed esperienze significative, come la collaborazione con l'Associazione Vegetariani Italiana e l'Istituto Europeo di Oncologia di Umberto Veronesi. Una carriera dedicata all'amore per la tavola declinata in una delle sue sfumature più complesse dal punto di vista pratico ed etico, quella della cucina vegetariana: Salvini è a tutti gli effetti un esperto della categoria, e già da tempo si impegna a formare chef preparati e attenti in grado di proporre piatti alternativi gustosi e originali. Comincia con corsi presso le scuole Alma e Arte del Convivio e poi ancora l'Organic Academy e, dal 2008, lezioni presso gli istituti alberghieri di Milano, l'Università del Gusto di Vicenza, la Scuola del Melograno di Torino e, occasionalmente, anche per la Città del gusto del Gambero Rosso.

La scuola

È stata poi la volta per lo chef di fondare una sua accademia, la Ghita Academy, una scuola per professionisti che risponde interamente ai canoni che sono alla base dei suoi piatti: “Nella buona cucina il primo ingrediente è sempre l'uomo”. Questo è il suo slogan, il suo mantra, il suo credo. Questo è quello che Salvini porta ancora una volta fra i fornelli della nuova Funny Veg Academy di Milano, una scuola nata a gennaio 2017 in collaborazione con FunnyVegan, prima rivista italiana dedicata al vegan life style e FunnyVeg Srl, agenzia di comunicazione e marketing. Una società che offre consulenze e organizza eventi, e che ora è attiva anche nel campo della formazione. È Salvini a occuparsi interamente dei corsi di alta cucina, ma il corpo docente è costituito anche da altri professionisti del settore: Stefano Broccoli per le lezioni di pasticceria e Giuseppe Tortorella – alias Un Biker in Cucina – per la parte di street food, e ancora Mara di Noia, in arte Vegachef, per la sezione dedicata alla salute alimentare con la cucina naturale. Quello che la scuola offre è dunque un master dedicato a coloro che vogliono specializzarsi e apprendere le tecniche legate a tutto il segmento della ristorazione vegetale, ma non solo: con la Funny Veg Academy si ha anche la possibilità di frequentare corsi monotematici focalizzati ad approfondire argomenti specifici attraverso laboratori della durata di una o due giornate. Tanti i corsi fra cui scegliere, da quello di cucina vegana per bambini, che insegna agli aspiranti chef a bilanciare bene la dieta dalla gravidanza alla pre-adolescenza, a quello sul cioccolato, che dimostra ancora una volta come lo stile di vita vegetariano possa essere goloso, sano ma senza rinunciare al gusto.

Funny Veg Academy | Milano | via Pitteri, 10 | tel. 02 21711335 | academy.funnyveg.com

a cura di Michela Becchi


Panetteria by Fucina a Londra. Bottega con cucina made in Italy. E al forno l'ex panettiere di Princi

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Ancora un'apertura a tema tricolore nella capitale inglese, che sulla ristorazione made in Italy di qualità sta decisamente scommettendo. La nuova panetteria con cucina è parte di un progetto più ampio – Fucina – e vanta il know how di Massimiliano Porta, già capo panettiere di Princi. 

Londra chiama Italia

A Londra è il momento delle pizzerie italiane. L'interesse di grandi attori della scena nazionale come la famiglia Condurro, i fratelli Aloe, i fratelli Salvo – rispettivamente alla guida di corazzati brand della pizza, Da Michele, Berberè e l'omonima insegna della famiglia Salvo a San Giorgio a Cremano – conferma la ricettività di una scena gastronomica che oggi, come mai prima d'ora, è pronta a recepire la qualità e l'autenticità della tradizione culinaria italiana. Tanto che nella capitale inglese, poliedrica e dinamica sul versante ristorativo, sono molti gli esperimenti che proprio alla cucina italiana e alla sua reintepretazione strizzano l'occhio per ingolosire una clientela parecchio esigente. A questo proposito sarà opportuno citare la parentesi tricolore del team di The Clove, chef Isaac McHale in testa, che da un paio di mesi si cimenta a Clerkenwell con la proposta di Luca, “ingredienti stagionali inglesi interpretati in prospettiva italiana”, recita il mantra della casa. In linea con un approccio “britalian”, per usare un neologismo che non lascia adito a dubbi. Con focus sui primi piatti e la pasta, secca, all'uovo, ripiena, in brodo, e tante specialità in arrivo dal Belpaese. Ma il made in Italy gastronomico attira i capitali di tanti altri investitori londinesi.

 

Fucina. La scommessa tricolore di Marylebone

Come Kurt Zdesar, all'attivo due insegne in città (Chotto Matte e Black Roe), recentemente diventare tre, con l'apertura di Fucina, un grande spazio improntato alla cucina italiana ideato in collaborazione con Stefano Stecca, che vanta trascorsi nella brigata di Locatelli. Menu tricolore, pasta fatta in casa, forno a legna per la pizza. Di tutto un po' per raccontare agli inglesi la tavola di casa nostra. Con l'obiettivo di perseguire l'artigianalità che della cultura gastronomica italiana è un vanto da esportare, dagli insaccati alla pasticceria, al gelato, una produzione rigorosamente homemade. E del resto leggenda vuole che prima di concepire Fucina, Kurt Zdesar abbia speso mesi a girare in lungo e largo la Penisola in cerca dei prodotti e delle realtà più autentiche d'Italia.

 

La Panetteria by Fucina

Chissà che proprio una delle sue scorribande italiane l'abbia portato a incrociare la strada di Massimiliano Porta, capo panettiere di Princi (che a Londra ha un punto vendita in Wardour Street e nel corso del 2017 capitalizzerà il sodalizio con Starbucks, verso una dimensione sempre più internazionale) fino a qualche tempo fa. A lui, l'imprenditore ha deciso di affidare la guida dello spazio probabilmente più interessante dell'intero progetto, la panetteria adiacente al ristorante che è prossima all'inaugurazione. Annunciata da tempo, la bakery di Marylebone sfornerà cinque differenti tipologie di pane da farine biologiche a lievitazione naturale, pizza per ogni momento della giornata e dolci da forno. Con la possibilità di consumare sul posto, panini farciti con la carne alla brace in arrivo dal ristorante o prodotti made in Italy importati da Zdesar e disponibili anche per la vendita al dettaglio, dai tartufi Savini alle confetture altoatesine Alpe Pragas, all'aceto balsamico di Modena di Alessandro Biagini, alla pasticceria secca dei Fratelli Lunardi. La panetteria - che ospiterà al piano interrato un'enoteca e lavorerà dalla mattina alla sera, 7 su 7, proponendo anche una carta di cucina - inaugurerà ufficialmente il 1 febbraio al numero 22 di Paddington street, qualche civico più in là rispetto al ristorante. Ma il locale è già operativo in soft opening per i primi clienti e aggiunge alla mappa della ristorazione made in Italy a Londra un'altra esperienza da seguire.

 

Panetteria by Fucina | Londra | Paddington street, 22 | www.facebook.com/PanetteriaLDN/?fref=ts| www.fucina.co.uk

 

a cura di Livia Montagnoli

Top Italian Restaurants in the World in Nord Europa fa tris: Copenhagen, Oslo e Stoccolma

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La Scandinavia conferma un feeling particolare con il vino italiano. C’è sempre più Italia nelle carte dei ristoranti, pizzerie e wine bar. Cambiano le regioni, si amplia l’offerta ma il vino tricolore è sempre più presente nel cuore della ristorazione scandinava, grazie anche alle tante nuove aperture di qualità. 

Stoccolma. Tra monopoli e aste d’acquisto

Il nuovo anno del tour mondiale del Gambero Rosso riparte da Stoccolma, sesto evento in città, il primo per quanto riguarda la manifestazione dedicata ai Tre Bicchieri. 500 persone hanno testato i vini di 50 cantine italiane nel pittoresco Vinterträdgården (giardino d'inverno) del Gran Hotel Stockholm. Durante il seminario dei premi speciali della Guida, grande attenzione dei giornalisti sui vini bianchi proposti, con focus su verdicchio, grechetto, pecorino e pigato. La presenza del Systembolaget, il monopolio di Stato, rende l’accesso al mercato piuttosto complesso tra regolamentazioni e tender (aste pubbliche d’acquisto). Alta la presenza sugli scaffali di vini da uve rosse appassite con una serie di etichette border line dal punto di vista legale. “La tassazione è al 25% ma i ricarichi si fanno sentire molto più sui vini di fascia medio bassa che su quella alta dove troviamo vini a prezzi competitivi, in linea con quelli italiani”, commenta il sommelier Giancarlo Clark.

Continuano le anticipazioni della Guida Top Italian Restaurants, durante l’evento sono stati premiati tre locali autentici che garantiscono tracciabilità del prodotto, rispetto della materia prima, comunicazione e giusto abbinamento in tavola. Migliore ristorante italiano in città: Mancini. “Quando sono arrivato l’olio si comprava in farmacia, non c’erano pomodori, un paio di vini italiani, magari in fiasco. Oggi la competizione tra ristoranti italiani in città è alta e fa bene a tutto il settore”, commenta il proprietario Claudio Mancini, che ha aperto nel 1980 nel quartiere  Norrmalm.

 

 

Il premio per la migliore pizza va a Giro Pizzeria Napoletana, mentre come migliore wine bar è stato segnalato Adria, una delle ultime aperture in città per mano di una seconda generazione di italiani – la famiglia Montanari è attiva a Stoccolma dagli anni ’70 - che sta innalzando la qualità della proposta.

 

Oslo. Pizza & Vino

Cinquanta minuti di volo, con un paesaggio interamente imbiancato, e il tour fa tappa a Oslo: trenta cantine si sono cimentate con un mercato dall’offerta enologica sempre più ampia e articolata. Duecento i ristoratori e operatori, inclusi gli agenti del Vinmonopolet, il monopolio di Stato, che hanno partecipato all’evento tenuto nell’elegante Gamle Logen; durante il seminario è emersa netta una consapevolezza crescente dei territori italiani, con tantissimi operatori in viaggio perenne verso il nostro Paese. Di riflesso, ne scaturisce un’offerta sempre meno ancorata al dualismo Toscana e Piemonte. Un esempio su tutti la carta dei vini della Trattoria Popolare di Oslo, curata da Jessica Senning, premiata durante l’evento come migliore Wine List in città nella guida Top Italian Restaurants. Solo vini italiani, da tutte le regioni, ricarichi molto corretti - considerata la media norvegese - e grande mescita al bicchiere. “I norvegesi sono sempre più aperti in fatto di vino, vogliono provare nuovi stili e vitigni, sta cambiando il gusto verso registri meno dolci e concentrati”, commenta Jessica. In carta ha oltre 30 etichette etnee e una serie di verticali di grandissimo pregio, anche su selezioni meno note.

 

 

Il premio per la migliore pizza in città se lo aggiudica invece un romano, Fabio Pezzoli, in Norvegia dal 1994. La sua Villa Paradiso Frogner, attiva da 2 anni, offre una pizza bassa e fragrante, con buoni ingredienti. Durante la nostra visita, c’era il tutto esaurito, con 300 coperti e nessuno sul tavolo beveva birra: “Su 10 clienti che entrano, 9 ordinano vino. Si divertono ad assaggiare più vini, abbiamo un centinaio di vini in mescita e una cantina da 22 mila bottiglie. A breve apriremo anche una cantina sul retro, con una selezione di formaggi italiani”. Pizza e vino, tante aperture in Europa ci puntano forte. Si consuma più vino nelle pizzerie di Oslo che in quelle romane.

 

Copenhagen, avanguardia in cucina e sul vino

Ricerca e sperimentazione denotano l’offerta enogastronomica di Copenhagen. La ristorazione è tra le migliori d’Europa, incredibile il numero di ristoranti e wine bar di primissimo livello in una città di 500 mila abitanti. Uguale competizione in fatto di vini, con un numero altissimo di piccoli importatori e carte curatissime, con una nette tendenza alla ricerca di vini di piccoli aziende che lavorano in modo naturale. L’evento del Gambero, nel centralissimo Moltkes Palæ, ha visto una partecipazione massiccia e di altissima qualità, confermata dal seminario con domande curiose e commenti figli di palati sensibilissimi: i danesi sono grandi degustatori, per alcuni tratti ricordano gli assaggiatori giapponesi.

Anche a Copenhagen, nel corso della degustazioni, sono state comunicate anticipazioni sulla nuova guida Top Italian Restaurants: La Vecchia Signora di Achille Melis e Olimpia Grussu è stata premiata come migliore pizza in città, mentre il premio Best Restaurant è andato al locale di Elvio Milleri ed Edelvita Santos da Silva del ristorante Era Ora, aperto nel 1983. In cucina un team tutto italiano, età media 27 anni (alla guida da qualche mese c'è il giovane Antonio Di Criscio), per una cucina che poggia su prodotti italiani di primissimo ordine, accostamenti felici, e abbinamenti puntuali scelti da una carta che conta oltre 70mila bottiglie, solo italiane e oltre metà delle quali in magnum. E assaggiando il piatto lo si nota. In sintesi, una delle migliori esperienze di cucina italiana a livello mondiale. E il team è solo all’inizio. Accanto al riconoscimento come Best Restaurant, l’assegnazione delle Tre forchette Tricolore in Guida, il massimo punteggio.

 

 

Ma di Elvio Milleri ricordiamo anche il bel lavoro sul pane del Fornaio, laboratorio di panificazione che oggi dà lavoro a 110 dipendenti e rifornisce molti ristoranti in città, oltre che la tavola di Era Ora. Le farine sono selezionate in Italia, da piccoli molini di qualità; la lievitazione controllata, con una minima percentuale di lievito aggiunto, garantisce un prodotto pulito, "succoso", di ottima resa.

 

 

Mancini | Stoccolma | Tunnelgatan, 1a | www.mancini.se

Giro Pizzeria Napoletana | Stoccolma | Sveavagen, 46 | www.giropizzeria.com

Adria | Stoccolma | Tunnelgatan, 10

Trattoria Popolare di Oslo | Oslo | Trondheimsveien, 2 | www.popolare.no

Villa Paradiso Frogner | Oslo | Sommerogata, 17 | www.villaparadisofrogner.com

La Vecchia Signora | Copenaghen | Gronnegade, 12-14 | www.la-vecchia-signora.dk

Era Ora | Copenhagen | Overgaden Neden Vandet, 33b | www.era-ora.dk

Il Fornaio | Copenhagen | Kirstinehoj, 46 | www.ilfornaio.dk

 

a cura di Lorenzo Ruggeri

 

InPaella. La scommessa di Quique Dacosta per raccontare al mondo la vera paella. Da Londra a Singapore

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Lo chef spagnolo firmerà il progetto della catena di ristorazione Iberica incentrato sulla riscoperta della paella e sulla valorizzazione del riso. Si comincia a Londra, con la prima apertura del format entro la fine del 2017; poi la paella di Quique Dacosta arriverà in Asia, a New York e in molte altre capitali europee. 

Il riso per Quique Dacosta

Arroces Contemporaneos: risi contemporanei. Così titolava nel 2013 Quique Dacosta firmando un libro tutto dedicato al riso, e al suo utilizzo nella cucina contemporanea, lui, che della rivoluzione di un prodotto tradizionale com'è il riso per la Spagna si è fatto ambasciatore in tanti anni di carriera. 335 pagine di approfondimenti scientifici e tecniche di cucina per raccontarne la storia, il mito e gli errori consolidati dall'uso, che con lucidità si proponeva pure di smentire molte leggende sulla preparazione di un piatto nazionale diventato celebre (e purtroppo malamente imitato) nel mondo: la paella. Alla guida del ristorante omonimo sulla costa di Denia (Alicante, tre stelle Michelin dal 2011), Dacosta non ha mai nascosto il senso di appartenenza che lo lega al suo territorio adottivo, la costa valenciana (ma lui, classe 1972, è originario dell'Extemadura). Eppure al mito incondizionato della paella – una ricetta univoca e intoccabile, immutata nei secoli – ha preferito sostituire uno studio approfondito in materia, che il riso fosse in grado di valorizzarlo in condizioni e con ingredienti diversi. E questo, nonostante la sua autorevolezza in materia, ha generato tante polemiche in passato, com'è quasi scontato che sia quando ci si confronta con un piatto “sacro”.

InPaella. Una catena internazionale per riabilitare la fama della paella

Qualche anno più tardi, la novità degli ultimi mesi riparte proprio dal riso, e racconta di un progetto che Quique Dacosta è pronto a esportare in Europa e nel mondo con l'appoggio di un gruppo di investitori internazionali (tra loro anche Paul Weldon Browne, già coinvolto nel finanziamento di Zuma e Roka, in buona compagnia di celebri imprenditori della scena inglese) e la logistica di Iberica, che sul suolo britannico gestisce una catena consolidata di ristoranti spagnoli. InPaella è l'insegna che descrive l'iniziativa meglio di tante parole: una catena di ristoranti informali (ma attenzione al prezzo medio, tra i 40 e gli 80 euro a persona) specializzati nella preparazione della paella con la firma dello chef stellato. Il primo dei locali aprirà a Londra entro il 2017, poi gli sforzi si concentreranno su Singapore, Francoforte, New York e Parigi – nel giro di 5 anni - per testare la risposta dei mercati internazionali e pianificare eventualmente nuove aperture in altre capitali del mondo.

La scommessa culturale si lega all'opportunità di rilanciare la fama di una delle pietanze più imitate e bistrattate al di fuori dei confini spagnoli, spesso realizzata con riso scadente e ingredienti improbabili, e per questo poco considerata dal pubblico gourmand. E per farlo anche il design dei locali enfatizzerà il racconto degli aspetti più scenografici della preparazione di una paella, con 25 metri di “fuochi” per la cottura a vista del riso, a tagliare la sala, sotto gli occhi dei commensali.

 

a cura di Livia Montagnoli

Street Food d'Italia 2017. Sardegna: Sebaderia Dulcinea di Nuoro

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Si chiamano sebadas – o seadas – e sono uno dei dolci sardi più conosciuti in tutta la Penisola, facili da preparare e gustose da mangiare. Antonello Stocchi a Nuoro le ha valorizzate al punto da farle diventare il miglior street food della regione secondo la guida del Gambero Rosso. 

Il nome deriva dal latino sebum, termine che sta a indicare il sego, ovvero il grasso di equini, ovini e bovini, ma a donare lucidità e brillantezza alla ricetta è anche e soprattutto il miele (perlopiù quello di corbezzolo) che ricopre l’intero involucro. Le sebadas (o seadas) sono uno dei capisaldi della cucina sarda, sfoglie fritte ripiene di formaggio che oggi vengono apprezzate come dolci a fine pasto grazie all’abbondanza di miele da cui sono ricoperte, ma che in passato erano consumate come piatto unico. A tenere alto il valore di questa antica tradizione gastronomica dell’isola è Antonello Stocchi, che oggi gestisce Nuoro – insieme alla moglie Marta Brundu – una sebaderia, considerata il miglior street food della regione dalla nostra guida.

Come nasce l'attività?

Sebaderia Dulcinea ha aperto i battenti lo scorso aprile 2016, ma la nostra esperienza (mia e di mia moglie) nel campo del cibo ha inizio nel 2010, quando abbiamo inaugurato un laboratorio di pasta fresca, grazie a un bando regionale con finanziamenti  a fondo perduto per l'imprenditoria femminile.

Perché proprio le sebadas?

Perché sono quel dolce della tradizione che nessuno fa più. Friggere oggi non è più un'abitudine così consueta come in passato e la maggior parte delle persone tende a evitare, un po' per la salute ma soprattutto per l'odore. Ma una buona sebada fritta è irresistibile ed è parte della nostra cultura. Mi sono detto: ci penso io a prepararle per tutti!

E come le prepari?

Secondo tradizione, con semola, farina, strutto, zucchero e uova. Per il formaggio, uso quasi sempre il pecorino, ma in mancanza di altro a volte utilizzo anche un formaggio vaccino, sempre aromatizzato con la scorza di limone.

Dove acquisti le materie prime?

Da piccoli produttori locali: vario spesso, perché mi piace valorizzare i prodotti di nicchia della mia zona e provarne sempre nuovi. Secondo me non c’è niente di meglio che farsi promotori del proprio territorio.

Che miele usi?

Solitamente il millefiori, ma – per chi ama i sapori un po’ più decisi – abbiamo anche miele di castagno e corbezzolo.

Cosa offri da bere?

Vino della casa, un Cannonau di un produttore che si trova a pochi chilometri da qui.

Come ti destreggi fra la sebaderia e il laboratorio di pasta fresca?

In realtà ora questi due locali si sono fusi. La sebaderia – che prima si trovava a piazza Mameli – ora è parte integrante della pasta fresca: chi vuole provare le nostre sebadas può venire qui, e magari fare un pasto completo anche con un primo piatto.

Quindi non è solo un laboratorio?

No, abbiamo anche la cucina. Prepariamo piatti espressi, veloci e con i sughi della tradizione: non abbiamo un menu fisso, ma improvvisiamo giorno per giorno a seconda della disponibilità degli ingredienti.

Siete aperti anche a cena?

Non ancora, ma ci stiamo lavorando. Al momento, è possibile cenare da noi solo su prenotazione.

Pasta fresca, sebadas, un calice di vino. Altro?

Sì, abbiamo anche una parte di pasticceria secca, sempre della tradizione: frollini, ciambelle al vino e, in questo periodo dell’anno, zeppole.

Sebaderia Dulcinea | Nuoro | via Ballero, 92 | tel. 328 1318160 | www.facebook.com/dulcineanuoro/?fref=ts

a cura di Michela Becchi

Guida Street Food 2017 del Gambero Rosso | Euro 6,50 | acquistabile in edicola, libreria e on line

Guida Street Food 2017 del Gambero Rosso. Ecco i risultati

Street Food d'Italia 2017. Valle d'Aosta: Sushiball di Courmayeur

Street Food d'Italia 2017. Veneto: Gourmetteria di Padova

Street Food d'Italia 2017. Friuli-Venezia Giulia: Mamm Ciclofocacceria di Udine

Street Food d'Italia 2017. Lombardia: La ravioleria Sarpi di Milano

Street Food d'Italia 2017. Emilia Romagna: Punto G di Piacenza

Street Food d'Italia 2017. Trentino Alto Adige: Briciole Food and Drink di Rovereto

Street Food d'Italia 2017. Marche: Il Furgoncino di Pesaro

Street Food d'Italia 2017. Umbria: Bacalino di Perugia

Street Food d'Italia 2017. Puglia: Piadina Salentina di Lecce

Street Food d'Italia 2017. Liguria: Moltedo di Recco

Street Food d’italia 2017. Abruzzo: Alla Chitarra Antica di Pescara

I Cestini a Milano. Food delivery per pendolari alla stazione del treno: l'idea di Anna Prandoni

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Dopo tante ore di lavoro di corsa in stazione per prendere il treno, e arrivare a casa in tempo per la cena. È la giornata tipo di un pendolare, come tanti ce ne sono in Italia. A Milano, da qualche tempo, c'è una soluzione in più per non preoccuparsi di cosa mettere in tavola: il cibo a domicilio, in stazione, dei Cestini. Ecco come funziona. 

Di pendolari, treni e giornate infinite

Pendolarismo come stile di vita. E per una volta senza chiamare in ballo frustrazioni e difficoltà che costellano la giornata di chi per lavoro è costretto a macinare chilometri, facendo la spola casa-lavoro. E viceversa. Specie intorno alle grandi città italiane il fenomeno accomuna un gran numero di persone, che il proprio stile di vita devono ripensarlo in funzione di tempi morti e lunghe percorrenze: c'è chi si attrezza con un libro, fedele compagno di viaggio nello scompartimento del treno, chi preferisce estraniarsi ascoltando un po' di buona musica, e pure chi quell'appuntamento quotidiano, due volte al dì, lo mette a frutto socializzando con gli altri pendolari. Ma la qualità che accomuna tutti, prima o poi, è la capacità di far fronte alle ore trascorse lontano da casa ottimizzando i tempi, e le risorse a disposizione. Per esempio, come si appronta una cena con tutti i crismi che merita se la porta di casa si apre solo quando è ora di mettersi a tavola? Da qualche mese i pendolari che si muovono ogni giorno dal capoluogo lombardo verso il popoloso hinterland milanese hanno una carta in più per coccolarsi alla fine di una lunga giornata di lavoro: la start up I Cestini - ideata dalla giornalista Anna Prandoni, che per prima fa la pendolare da 20 anni – cavalca l'onda del delivery food studiando una soluzione ad hoc per viaggiatori metropolitani, che il cibo a domicilio, pronto da mangiare, lo consegna direttamente in stazione, poco prima di prendere il treno.

 

Cibo a domicilio in stazione. I Cestini di Milano

E il tradizionale “cestino” del pranzo diventa un'ottima idea per la cena, con tutti gli espedienti del caso: packaging pratico, accattivante e funzionale al trasporto, ordine online e servizio tempestivo, ottimo rapporto qualità/prezzo. Ma come funzionano I Cestini, e chi può usufruirne? Il perimetro d'azione, in questa fase di rodaggio, si concentra sulle stazioni ferroviarie di Milano Cadorna e Porta Garibaldi (da cui transitano la maggior parte dei treni regionali), con postazioni di ritiro direttamente in stazione o presso piazza Gae Aulenti. Ma i biker del team, facilmente riconoscibili dal bauletto colorato che portano in dote, consegnano anche in zona Porta Venezia, presso Hic in via Spallanzani. L'ordine avviene tramite piattaforma online, da pc o smartphone, selezionando il cestino preferito dal menu del giorno, che cambia spesso secondo stagionalità degli ingredienti ed estro dello chef. Nella cucina di supporto attrezzata per la brigata dei Cestini, infatti, i lavori sono supervisionati da Fabio Zago, direttore didattico de La Scuola della Cucina Italiana (coinvolta attivamente nel progetto).

 

Cosa si mangia per cena?

A lui il compito di elaborare ricette semplici e gustose, sulla scorta della cucina regionale italiana, dalla Zuppa di cavolo nero, cannellini e patate alle Lasagne con carciofi e ricotta, dalla Faraona con verze stufate ai Rigatoni di kamut con ceci, bacon e pepe, al Polpettone della mamma, fino alla Zuppa inglese (i prezzi si aggirano tra i 5 e gli 8 euro a pietanza). Tra le opzioni da scegliere c'è persino un mazzolino di fiori per abbellire la tavola! Tutti i piatti vengono preparati in giornata e confezionati in vaschette termosaldate compostabili. Si finalizza l'ordine tramite carta di credito o Paypal. Poi i cestini si mettono in viaggio a bordo di una bici, per essere in stazione all'orario concordato; e a casa sarà sufficiente scaldare la vaschetta in forno o microonde per pochi minuti. Comfort food sì, ma senza rinunciare alla piacevolezza di un piatto d'autore.

E allora anche fare il pendolare è un po' meno faticoso, tanto che a Milano l'idea ha preso piede con facilità. A quando la consegna in altre città?

 

www.icestini.it

 

a cura di Livia Montagnoli

Instagram Stories. Uno strumento utile per i ristoranti

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Instagram Stories può essere uno strumento di marketing da non sottovalutare. Alcuni ristoranti già lo utilizzano, ma la strada da fare nel campo del food è ancora tanta. 

Era il 2 agosto del 2016 quando Instagram lanciò Instagram Stories, con l’obbiettivo di impensierire Snapchat, pericoloso competitor di Facebook (che di Instagram è proprietario) decisamente più apprezzato dai millennials. Entrambi infatti permettono di pubblicare contenuti, foto o video, che vivono solo per 24 ore e poi svaniscono nel nulla. Ma vediamo in dettaglio come funziona Instagram Stories, che punta a dare libero sfogo alla creatività.

Instagram Stories

Con Instagram Stories, una volta caricata la foto o il video, oltre ai classici filtri, si possono aggiungere stickers, testi personalizzati o disegni, e si possono anche inserire link cliccabili (cosa per ora impossibile con le immagini e video singoli) o taggare altri profili. Le storie però non possono essere commentate né possono ricevere alcun ‘mi piace’, si tratta di una scelta che rientra nella logica del post pensato per scomparire e non lasciare alcuna traccia. Se si vuole commentare una storia, è possibile inviare un messaggio privato al profilo interessato direttamente su Instagram.

I vantaggi

L'utente può dunque condividere contenuti personalizzati di varia natura, da poter mostrare in modo semplice e rapido a tutti i follower. Inoltre ogni volta che si condivide una storia su Instagram, essa appare in due aree: sul profilo di chi l'ha pubblicata e in cima alla timeline, dove ogni follower può cliccare per vederla. Insomma, ottima visibilità al momento. Altro vantaggio? Soprattutto per i brand, è che non si corre il rischio di essere travolti dai commenti dei follower. Instagram ha poi di recente aggiunto un algoritmo simil-Facebook per filtrare i feed e mostrare agli utenti i post che reputa più interessanti in alto. Non si sa ancora se Instagram mostrerà le storie in ordine cronologico o se seguirà l'algoritmo, ma attualmente le stories sono un'opportunità per essere posizionati in vetta alla schermata principale anche se i contenuti non sono in cima ai feed. Sperimentare con le storie, ed essere un esempio virtuoso nel raccontarle, potrebbe dunque aiutare i brand a fare in modo che i follower pongano più attenzione ai post nei loro feed, accrescendo così il coinvolgimento.

Perché un ristorante dovrebbe usare Instagram Stories

Se il ristorante è già presente in Instagram, ha già dei follower. E Instagram Stories dà la possibilità di comunicare con loro in maniera nuova (senza dover aprire un account Snapchat tra l'altro). Si possono infatti coinvolgere tutti gli utenti in ciò che avviene per esempio nel “backstage”, ovvero in cucina, o al mercato, rendendoli decisamente più partecipi e aumentando il livello di interazione. Anche perché in questi contesti il linguaggio può diventare più informale. Le storie possono rappresentare una strada per aggiungere un po' di autenticità: bene le foto patinate dei piatti che sono pane per i denti di Instagram, ma perché non coinvolgere i potenziali clienti sulla storia di come questi piatti vengono realizzati o di come avviene la preparazione della sala prima dell’inizio del servizio. Via libera anche, per esempio, a delle mini interviste allo staff o addirittura ai clienti. Insomma grazie alla sua struttura narrativa a spezzoni, per un ristorante Instagram Stories è una bella opportunità per (di)mostrare la gestione quotidiana. Non solo, grazie a questo strumento è inoltre possibile taggare altri account, magari di influencer del settore, e inserire link cliccabili, come il sito del ristorante, per esempio. 

Alcuni esempi

Sono ancora pochi i ristoranti ad averne colto l'utilità. Prendendo il podio della The World's 50 Best Restaurants, la classifica annuale dei cinquanta migliori ristoranti al mondo stilata dal mensile britannico Restaurant, soloEl Celler de Can Roca utilizza Instagram Stories coinvolgendo i follower nella preparazione del servizio e dei piatti. Esempio non seguito né dall'Osteria Francescana né da Eleven Madison Park (che ha un profilo inattivo su Instagram). Si muove qualcosina sul fronte degli account personali degli chef, pensiamo a Rene Redzepi che ogni tanto mostra il livello di difficoltà delle sue preparazioni, a Jordi Roca che rivela la parte ludica del mestiere o a David Chang che ti fa venire l'acquolina a ogni ora del giorno. Vedere per credere. Detto questo pensiamo che a un pubblico di appassionati possa realmente interessare quello che sta dietro a un piatto, dallo sforzo intellettuale alla fatica fisica. E al tempo stesso sia una grande opportunità per il ristorante o lo chef, dato che ha le caratteristiche ideali per mostrare il processo produttivo e le sue partizioni. Instagram Stories potrebbe essere una sorta di antidoto contro tutti quelli che “mia mamma lo sa fare meglio”. Spiegare ai frequentatori dei social la complessità che c’è dietro al lavoro di cucina.

a cura di Annalisa Zordan

In Italia il cibo è caro. L'Eurostat sul consumo alimentare rispetto alla media europea

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Non è un bel primato quello che l'Italia difende riguardo al caro prezzi della spesa alimentare, superiore rispetto alla media, sopra i dati di Germania, Regno Unito, Belgio. Picchi importanti per latte, uova e formaggi, meglio il pesce. In Polonia e Albania i mercati più economici. 

Quanto costa mangiare in Italia?

In Italia il cibo si paga a caro prezzo. Almeno stando al confronto con la maggior parte degli altri Paesi europei. Certo, il Belpaese non conquista il podio, che spetta a Svizzera (fuori dall'UE, fa classifica a sé), Norvegia e Danimarca nell'ordine, ma comunque si attesta sopra la media europea, ben sopra, per esempio, a Germania e Belgio, e pari merito, invece, con i cugini francesi, con i quali in fatto di cibo, se non altro per il valore simbolico che riveste la buona tavola in entrambe le culture, siamo sempre destinati a confrontarci. Più concretamente i dati Eurostat – recentemente resi noti, ma relativi al 2015 – per l'Italia raccontano di una media percentuale superiore di 9 punti rispetto alla media UE (al decimo posto, davanti pure a Gran Bretagna, Lussemburgo, Grecia), in merito al costo di cibo, bevande non alcoliche e tabacco (ma ai danesi dice decisamente peggio, considerando il 145% dato il valore 100 che fa registrare la spesa alimentare). E di più, se l'ambito di indagine si restringe al solo perimetro gastronomico, l'Italia si attesta a 11 punti sopra la media per tutti i principali alimenti del paniere, con picchi importanti quando si arriva alle voci latte, formaggio e uova (21 punti in più, un quinto sopra gli altri).

 

Il rincaro dei prezzi. In aumento latte, uova e formaggi

E mentre anche il prezzo di pane e cereali fa registrare percentuali crescenti, la buona notizia arriva dal mercato ittico: grazie agli 8mila chilometri di costa che circondano la Penisola, il prezzo del pesce si mantiene intorno alla media europea, più contenuto, per esempio, rispetto al costo della carne (+12%, ma in Svizzera si raggiunge il +252!). A sorpresa, in negativo, anche il comparto ortofrutticolo mantiene prezzi al consumatore elevati. Molto diverso il quadro che si profila in alcuni Paesi dell'Est: la Polonia, per esempio, chiude la classifica, con prezzi decisamente più bassi in media (al 63%), anche se è l'Albania il mercato più economico per quanto riguarda la carne. Se l'andamento del mercato alimentare entro i confini nazionali può costituire da un lato una spia sulla qualità delle produzioni nazionali, dall'altro le voci di spesa elevate in un Paese dove di contro il potere d'acquisto continua a impoverirsi destano preoccupazione generalizzata.

 

Le distorsioni della filiera

A tal proposito è Giovanni d'Agata, presidente dello Sportello dei diritti, a farsi portavoce del malessere: “Quelli dell'Eurostat sono dati preoccupanti, che manifestano l’aumento dei prezzi dei prodotti acquistati con maggiore frequenza dai consumatori e il contestuale impoverimento generale dei cittadini”. E Coldiretti rincara la dose: “In Italia iprezzi medi dei prodotti alimentari sono più cari della media Ue a causa delle 'distorsioni di filiera' che vedono aumentare in media quasi del 500% i prezzi nel passaggio degli alimenti dal campo alla tavola”. Senza dimenticare l'elevato ricorso all'importazione, soprattutto per quanto riguarda latte e carne, “per colpa di un errato modello di sviluppo industriale, che ha ridotto la superficie agricola utilizzabile”, sostiene Coldiretti. Oltre al danno, la beffa, per un Paese che ha sempre contato sulla sua vocazione agricola.

 

a cura di Livia Montagnoli


Come si mangia sulle compagnie aree. American Airlines

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I tempi delle pietanze anemiche in box sigillati sono ormai passati. Ecco come si sviluppano i menu dell'American Airlines.

È opinione comune che il cibo sugli aerei sia qualcosa da cui stare alla larga, tanto più se l'offerta si riduce a confezioni di snack a pagamento, frutto di convenzioni tra compagnie aeree e grandi gruppi commerciali. Ma non è necessariamente così. Senza dubbio consumare pasti in volo è un'esperienza bizzarra, seduti in poltrona insieme a centinaia di persone tra copertine, cuscini, cuffie, senza contare piedi scalzi e film in monitor, immancabili compagni nelle lunghe tratte. Eppure il genere può diventare interessante se, insieme alla prenotazione del volo, prestiamo attenzione anche a chi cura i menu in cucina.

Il tema sta raccogliendo nuovi adepti e conta su sperimentatori appassionati: il tempo dei cibi a lungo stazionamento in box antibatterici sigillati, in attesa di trasporto e volo, è passato, che sia sostituito da snack in bustina o da veri e propri pranzetti gourmet. Resta il fatto che dopo le attese al check in, controllo passaporti e resistenza allo stress da volo, quello del pasto è un appuntamento importante, saliente (alla lettera), del viaggio. E il modo in cui la compagnia si prende cura dei suoi viaggiatori al momento della cena è un elemento che fa la differenza.

 

Rumore e gusto

Ciò che mangiamo è influenzato da ciò che sentiamo con le orecchie. Lo afferma Barry Smith del Centro per lo Studio dei Sensi presso l'Università di Londra, nella sua ricerca Il rumore degli aerei e il gusto dell’umami. Il prof. sostiene che "un forte rumore, può impedire del tutto la nostra capacità di sentire l'odore o il gusto, (come invece) la musica suonata a cena dolcemente è in grado di creare un ambiente favorevole per gustare a fondo i sapori”. Dunque la sua tesi è che sia il rumore degli aeroplani, non l’alta quota ad alterare la percezione delle nostre papille gustative. Un forte rumore può infatti sopprimere la percezione di certi sapori fondamentali come il dolce e il salato, ma a quanto pare incide meno sulla percezione dell’umami. Alcune compagnie sono corse ai ripari fornendo cuffie anti rumore durante i pasti. In genere spezie e cotture lunghe come i brasati, tengono meglio, mentre i sapori di insalate e crudi risultano quasi impercettibili.

 

American Airlines gourmet

A bordo è ancora inevitabile sorprendersi alla vista di cibi sani, appetitosi nell'aspetto oltre che buoni, magari serviti in porcellane dal design moderno, con posate vere e bicchieri veri e calici di cristallo. Su questa sfida si gioca una partita importante, e tante compagnie lo stanno sempre di più capendo. Sia per quanto riguarda una ristorazione veloce (magari a pagamento a bordo), sia per quanto concerne invece il fine dining d'alta quota. Ad esempio American Airlines (la prima compagnia che analizziamo in questa nostra inchiesta) lo ha capito da tempo se in volo si trovano piatti come l'anatra confit Pot Pie, il brasato di agnello a cottura lenta, l’ossobuco e il risotto di grano Kamut. Tra l'altro con AA il menu varia a seconda di quando e dove si va. Quattro gli chef dedicati a quattro diversi circuiti di volo: Maneet Chauhan Mark Sargeant per Europa - Stati Uniti e Sud America, Sam Choy per le Hawaii e Julian Barsotti nel circuito dei voli interni USA. E poi ci sono i vini, in gran varietà, che accompagnano i menu. La lista è frutto di un'attenta selezione tra vini pluripremiati, che ha valso alla compagnia il 2016 Global Wine Traveler Award nel sondaggio cibo in volo di Wings.

 

Maneet Chauhan

 

Maneet Chauhan

ManeetChauhan è la responsabile dei menu American Airlines a bordo della tratta Europa – Stati Uniti. Esperta in una cucina fusion che mixa tradizione indiana e americana con uno sguardo a quella italiana, la sua ricerca gastronomica mira a conferire un tocco globale alla cucina tradizionale statunitense. Maneet è nata e cresciuta nella provincia indiana del Punjab, successivamente si è trasferita a New York per frequentare il Culinary Institute of America. Diventa Executive Chef del Vermillion di Chicago e di New York in età assai giovane, nella sua carriera ha ricevuto numerosi riconoscimenti – ad esempio il James Beard Award - e ha creato una sua linea di spezie che ha riscosso un notevole successo (in questo ci ricorda un po' l'italiano Francesco Apreda dell'Imàgo di Roma) nonché scritto alcuni libri di cucina. Il primo si intitola, giustappappunto, Flavors of my World. Maneet ha alle spalle una lunga carriera trascorsa nei migliori alberghi e ristoranti dell’India e degli Stati Uniti ed è conosciuta negli USA per il ruolo di giudice nel programma televisivo Chopped, un format di Food Network americano nominato perfino agli Emmy Awards. Oggi lavora anche come Executive Chef del Chauhan Ale & Masala House di Nashville, in Tennessee.

 

È la prima collaborazione con una compagnia aerea? Come definiresti questa esperienza?

È la mia seconda collaborazione con American Airlines. Nel 2011 avevo lavorato con loro per sviluppare i menù della Chicago - Delhi.

 

Bella esperienza?

Esperienza straordinaria. Come aprire gli occhi su un nuovo mondo, mi è piaciuto molto.

 

L'offerta di cibo a bordo sta cambiando, le compagnie aeree cercano di offrire una cucina ricercata. Come si crea un menu per i passeggeri più esigenti?

La facilità di viaggiare dovunque crea intersezioni globali di viaggiatori da ogni parte del mondo e c’è da fare i conti con palati anche molto sofisticati. È questo per me il punto focale: concentrare in un menu particolarità locali compatibili con le più diverse esigenze e gusti che posso immaginare.

 

Quale è l'orientamento?

La tendenza prevalente è verso qualcosa che non sia globale, che sia saporito e soprattutto preparato bene. Creo un menu tenendo a mente tutti questi aspetti insieme, e sapore, qualità e presentazione sono la chiave. Teniamo molto all’opinione dei clienti e apprezziamo i feedback che ci arrivano sui piatti che proponiamo. Abbiamo anche apportato delle modifiche sulla base di ciò che le persone hanno condiviso con noi.

 

Qual è la sfida più difficile nella creazione di un menù studiato per essere servito ad alta quota?

La parte più difficile è proprio prendere in considerazione che il cibo sarà consumato circa 30.000 piedi sopra terra e per questo le papille gustative sono come stordite.

 

Come si fa a rendersi conto?

Il cibo viene preparato a terra, nelle flight kitchen, laboratori che simulano le condizioni di bordo, così i piatti vengono costruiti in modo da restituire un sapore altrettanto buono quando vengono riscaldati in volo.

 

Quali fattori consideri quando scegli gli ingredienti per un menù di bordo?

Prendo in considerazione gli ingredienti di migliore qualità (se la base è forte, il piatto sarà forte) dove possibile cerco di avere ingredienti locali e di stagione. Le offerte devono essere globali ma devi avere sempre la possibilità di distinguere gli ingredienti uno per uno, dalla preparazione, allo stoccaggio per il volo, fino al riscaldamento finale per il servizio ai posti.

 

Come avviene la progettazione di un menu e dei processi produttivi?

Il primo passo è definire l'idea di base del menu e gli abbinamenti che stanno bene insieme. Poi c’è il passaggio dell'adattamento da un piatto normale al piatto che va in volo, quelli previsti dalla compagnia aerea. Simuliamo l’intero processo in tre fasi. Lo prepariamo con un giorno di anticipo, lo raffreddiamo e il giorno dopo lo riscaldiamo, solo allora testiamo una per una le proprietà organolettiche del piatto.

 

Ci sono passaggi intermedi?

Un team AA supervisiona il prodotto con assaggi, successivamente elaboriamo le valutazioni emerse per fare delle correzioni e dei miglioramenti della nostra proposta. Solo allora confermiamo il varo di una ricetta da adottare in menu.

 

Come si passa dall'approvazione di un piatto al suo arrivo nei menu a bordo?

Ai tecnici in cucina resta il compito di convertire queste ricette nel sistema di produzione omologato ai protocolli di formato, igiene e sicurezza in volo. Il campione del menu completo così ottenuto è sottoposto all’ultima verifica per l’approvazione finale da parte del team di esperti.

 

Con che frequenza vengono aggiornati i menu?

Studiamo quattro menu stagionali che vanno in rotazione durante l'anno.

 

Esempi di piatti in menu?

Tra gli antipasti ci sono salmone al coriandolo servito con cumino tostato e crème fraîche; insalatina di granchio con zucchine tagliate a nastro, radicchio fresco, fave e finocchi o insalata di aragosta con uova alla diavola, servita con prosciutto iberico e scaglie di formaggio manchego.

 

Maneet ChauhanManzo, un piatto di Maneet Chauhan

 

Nelle portate principali, invece?

Ossobuco di agnello brasato a cottura lenta insaporito con mandorle, cipolle caramellate e orzo servito con risotto all’aglio nero e fave in salamoia; pesce ippoglosso grigliato con purè di cavolfiore e piselli; torta d’anatra confit in crosta di patate servita con asparagi, patate peruviane e chutney di mirtillo rosso.

 

Avete anche dolci?

Il menù è completato da una selezione di raffinati dessert tra cui il tipico budino caldo della Louisiana servito con praline di pane e gelato alla vaniglia o la torta con mousse quattro stagioni.

 

a cura di Emilia Antonia De Vivo

foto di Stewart Cohen.

Maneet Chauhan

 

 

CoHouse Temporary Restaurant. A Roma le cene d'autore per tutte le tasche. Apre Giulio Terrinoni

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Ancora una stagione per il ciclo di cene gourmet ospitato negli spazi dell'ex mensa ferroviaria di via Casilina Vecchia, che diventa anche Contemporary Cluster. Il 3 e 4 febbraio sarà lo chef di Per Me ad aprire le danze, poi un parterre di chef capitolini e non. Ecco i nomi. 

Cucina d'autore al Pigneto

Si rinnova il sodalizio tra gli spazi del CoHouse Pigneto e gli chef più rappresentativi della nouvelle vague romana e italiana (ma c'è anche qualche nome storico a fare capolino). Lo spazio polifunzionale di via Casilina Vecchia, a Roma, ha sempre manifestato una particolare sinergia con la cucina d'autore: un'opportunità in più per far vivere una sala che si presta a eventi e performance gastronomiche, che pur strizzando l'occhio al design industriale (il progetto, dalla fine del 2014, ha riqualificato gli spazi dell'ex mensa ferroviaria che sorgeva nei pressi della stazione Casilina, andando pure incontro a qualche intoppo burocratico, che mesi fa ha portato alla chiusura forzata, prima della riapertura ufficiale nella seconda metà del 2016) risulta estremamente gradevole e accogliente. Anche per l'ospitalità dimostrata in passato agli chef che hanno accettato l'invito a cucinare per un pubblico ben più trasversale – e a prezzi contenuti – rispetto alla clientela che servono ogni giorno. Ora CoHouse Pigneto si appresta a inaugurare una nuova stagione con tante iniziative culturali, gastronomiche e non, che intercettano anche la creatività di Giacomo Guidi e del suo Contemporary Cluster, tra esposizioni di arte contemporanea, artigianato di qualità, design, musica. E naturalmente food. Che nello specifico prenderà forma grazie al ciclo di cene coordinato dalla Cultivar Agency in veste di [con]:Temporary Kitchen.

 

Le cene, i protagonisti

La formula è quella che abbiamo imparato a conoscere in passato: volti noti della ristorazione nazionale chiamati a cucinare per una o più sere per gli ospiti del CoHouse. Con la possibilità, inedita, di dialogare con artisti e progetti creativi in corso. Ad aprire i giochi sarà Giulio Terrinoni, protagonista il 3 e 4 febbraio con un menu degustazione a 55 euro che è diretta emanazione del bel lavoro svolto nell'ultimo anno da Per Me (Due Forchette del Gambero Rosso e una Stella Michelin), tra una Tartelletta con baccalà mantecato, cipolla fondente ed erbe bruciate e una Cernia porchettata con purè di cavolfiore e croccante di capperi. Nelle settimane successive e nei mesi a seguire il calendario degli appuntamenti si affollerà di nomi celebri, espressione della migliore cucina d'autore capitolina e non solo. Giocano in casa Francesco Apreda dell'Imago all'Hassler, Roy Caceres da Metamorfosi, Anthony Genovese dal Pagliaccio, Kotaro Noda di Bistrot64, Adriano Baldassarre da Torodmatto, Alba Esteve Ruiz, chef di Marzapane, Oliver Glowig, che la sua nuova dimensione l'ha trovata tra le mura del Mercato Centrale alla stazione Termini. Ma i rinforzi arriveranno da tutta la Penisola, a cominciare da Enrico Mazzaroni, che negli ultimi mesi si è prodigato per mantenere alto il ricordo del Tiglio ferito dal terremoto, e presto si cimenterà con l'avventura di Porto Recanati, significativamente ribattezzata Il Tiglio in Vita. Anche lui cucinerà per gli ospiti del Cohouse, come Igles Corelli, i Pellegrino Bros di Lecce, Gianni Lettica, Rosanna Marziale, Peppe Guida, Luca Abbruzzino, Nino Rossi. Per un massimo di 90 coperti prenotabili ogni sera. Con un po' di lungimiranza c'è posto per tutti. Intanto vi anticipiamo il calendario di febbraio e marzo:

 

Febbraio

Giulio Terrinoni, 3-4

Peppe Guida 10-11

Enrico Mazzaroni 17-18

Gianni Lettica 24-25

 

Marzo

Adriano Baldassarre 3-4

Francesco Apreda 10-11

 

Cohouse Temporary Restaurant | via Casilina Vecchia, 96/c | per info e prenotazioni 346 2735632

 

a cura di Livia Montagnoli

La Coop in difesa del Pecorino di Farindola. Cento pecore per il Presidio Slow Food piegato da maltempo e terremoto

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Il borgo abruzzese in provincia di Pescara custodisce da secoli la lavorazione di un pecorino molto particolare, da latte crudo di pecora e caglio suino, che ancora oggi è lavorato esclusivamente da mani femminili. Ma il terremoto rischia di interrompere la tradizione. E la Coop arriva in aiuto dell'azienda Martinelli, che sotto le valanghe ha perso pecore e stalle. 

Il Pecorino di Farindola. Una tradizione antica

Tristemente noto alla cronaca nerissima delle ultime settimane – come tanti borghi e frazioni d'Abruzzo e Centro Italia squassati dal terremoto e dall'ondata di gelo che ha aperto il 2017 – Farindola, fino a qualche tempo fa, era semplicemente un tranquillo comune italiano in provincia di Pescara: poco più di 1500 abitanti nel territorio del Parco Nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga, a vocazione rurale. Con un presidio Slow Food, dal 2001, a dar lustro alla tradizione contadina locale: il Pecorino di Farindola, che ogni anno, a Ferragosto, festeggia la qualità della filiera chiamando a raccolta i produttori che aderiscono al Consorzio per la manifestazione Pecorino&Pecorini (dove il primo dei protagonisti è il vino autoctono abruzzese, perfetto per l'abbinamento col formaggio). E una particolarità che il pecorino locale porta in dote: l'aggiunta di caglio suino al latte di pecora, secondo un metodo tradizionale molto antico, che prevede anche la stagionatura dentro madie di legno in faggio naturale (massaggiato ogni settimana con olio extravergine e aceto rosso), e, nota di colore, per disciplinare riserva il lavoro in caseificio solo alle mani femminili, in omaggio all'uso antico. Tanto che ogni forma – una produzione limitata – riporta il nome della donna che l'ha lavorata. Tra le aziende che assicurano continuità alla lavorazione tipica, quella di Pietro Paolo Martinelli (37 anni e una laurea in Scienze e Tecnologie Alimentari), allevatore e casaro che prima dell'ultima ondata di maltempo possedeva due stalle e 350 pecore allevate allo stato brado (garanzia di qualità).

 

La Coop dona 100 pecore

Lui, come molti, si è trovato a fare i conti con l'impossibilità di proteggere i suoi animali: ricoveri danneggiati, capi dispersi tra le montagne e fiaccati dalla neve. Un danno economico, oltre che emotivo, ingente, e un'attività destinata a morire. Non nel caso specifico, però, visto che l'azienda agricola Martinelli da tempo rifornisce la Coop per la linea di prodotti a marchio Fior Fiore; ecco perché Coop si è mobilitata per garantire quanto prima la ripresa della produzione, pure per preservare la salvaguardia di “un'autentica eccellenza agroalimentare del made in Italy”, spiega la nota ufficiale. E donerà all'azienda 100 pecore per proseguire l'attività, che pure prevede tempi rigorosi prima di portare all'immissione sul mercato del prodotto finito: 65 giorni di stagionatura seguendo le regole di cui sopra per rispettare la legge che impone un termine specifico per la vendita delle produzioni a latte crudo, com'è il Pecorino di Farindola.

 

Care's per Brandimarte e le lenticchie di Castelluccio

Ma negli ultimi giorni si segnala anche un altro caso di solidarietà sopraggiunto a premiare l'impegno e la storia di una realtà umbra, analogamente colpita dal sisma. Arriva dall'Alto Adige e dal congresso di chef etici riuniti in Alta Badia, con il contributo economico della pasticceria Marchesi di Milano, il riconoscimento per l'Azienda Agricola Brandimarte di Castelluccio di Norcia, oggi territorio fantasma e un tempo patria di una lenticchia famosa in tutto il mondo. Alla realtà agricola conosciuta per la coltivazione di lenticchie, farro, roveja e segale – secondo metodi produttivi rispettosi del territorio e dei cicli naturali – è andato il premio Care's Social Responsability Award, che al di là del valore simbolico regala all'azienda il sostegno e l'interessamento della comunità gastronomica nazionale e internazionale. In attesa che la produzione – interrotta dalla perdita del attrezzature a dalle condizioni in cui versa il territorio - possa ripartire, pure con il contributo concreto della solidarietà.  

 

a cura di Livia Montagnoli

Martin Parr e il cibo. Intervista con il fotografo più dissacrante di sempre

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Le sue foto sono molto forti, con colori saturi e un impatto agli antipodi dalle classiche immagini del cibo gourmet. Ha uno stile riconoscibile, che occhieggia al food porn e indulge con ironia a cibo di consumo quotidiano, junk food incluso.

Martin Parr è uno dei fotografi più provocatori del panorama contemporaneo, sempre in bilico tra ricerca antropologica e uno stile dissacrante, noto per i suoi scatti molto saturati e per i soggetti pop che caratterizzano le sue immagini. Alla fine del 2016 è uscito Real Food (ed. Phaidon), una raccolta dei suoi migliori scatti che hanno come tema il cibo peggiore che si possa desiderare, ma che viene quotidianamente acquistato in tutto il mondo.

 

Martin ParrMartin Parr

 

Cosa è il “foodporn”?

Siamo circondati dal food porn. Ormai tutti quanti fotografano il cibo specialmente quando vanno in un ristorante costoso. Possiamo definirlo un cambiamento nelle mode sociali.

 

In un periodo storico come questo che stiamo vivendo, dove qualsiasi cibo diventa elemento esibizione e richiamo pubblicitario, quanto conta il piacere estetico e il gusto in ciò che effettivamente mangiamo?

Ovviamente c'è bisogno del cibo per vivere, ma col benessere il cibo diventa più sofisticato, e comprare dei pasti più elaborati e andare fuori a mangiare è diventato molto popolare. E questo specialmente in Italia dove c'è una forte tradizione gastronomica e dove il cambiamento comunque è meno evidente, mentre in un paese come la Gran Bretagna la trasformazione dell'approccio al cibo è stata molto più drammatica. Il piacere sensoriale è certamente importante e ovviamente un piatto deve essere anche bello e ben presentato. Io però non fotografo solo cibo gourmet, ma anche junk food perché permette di fare foto molto più interessanti.

Martin ParrUno scatto di Martin Parr

 

Qual è il suo punto di vista su Instagram? È la fine della fotografia come l'abbiamo sempre intesa o può essere uno strumento per interpretare la realtà che ci circonda?

Lo uso da poco, diciamo da meno di un anno. Mi piace Instagram, e mi piacciono tutte queste piattaforme dove le persone possono postare foto perché in passato questo settore era ristretto a un piccolo gruppo di persone come editori e fotografi professionisti, quindi sono favorevole.

 

Qual è il suo rapporto con il cibo? I suoi piatti preferiti? Qual è la sua cucina preferita?

Sono un grande fan del cibo italiano. Mi piacciono tutti i classici della cucina italiana e i suoi prodotti. L'altra mia cucina preferita è quella giapponese.

 

Cosa le piace mangiare quando si trova in Italia?

Un buon piatto di pasta è difficile da battere.

 

Qual è il cibo più strano che hai mangiato durante uno dei tuoi tanti viaggi in giro per il mondo?

Quando vado in Cina rimango stupito. Loro sono abituati a cucinare tutto ciò che ha delle gambe, a parte i tavoli, quindi probabilmente ho mangiato qualcosa che non sapevo cosa fosse e non voglio saperlo neanche ora. Mangiano veramente di tutto, anche le zampe d'anatra.

 

Si trova mai nella situazione di mangiare cibo a cui normalmente dedicherebbe solo uno scatto?

Generalmente no, anche se non mi dispiace il junk food. Spesso mi capita prima di fotografarlo e poi di mangiarlo. È raro che trovi qualcosa che mi disgusti a tal punto da non riuscire ad assaggiarlo.

 

Pensa che la critica gastronomica possa godere oggi di un aiuto in più nella food photography o che questa debba essere riservata solamente al marketing e al canale pubblicitario?

Certamente, la fotografia che trovi sul menu o su Tripadvisor può aiutare i clienti nella scelta.

 

Henri Cartier-Bresson, suo grande estimatore, diceva che lei veniva da un altro pianeta. Nella sua vita ha trovato anche colleghi che non hanno capito il suo stile e il suo approccio (penso a Philip Jones Griffiths che nel 1994 non sostenne l'ingresso alla Magnum come full member). Oggi rivede in qualche giovane fotografo il suo stile dissacrante e di analisi antropologica della società?

Bresson era un po' ambivalente sul giudizio delle mie opere. Ne aveva apprezzate molto alcune, mentre altre non gli piacevano proprio. Per quanto riguarda i giovani suppongo di sì, puoi vedere l'influenza a volte, ma è difficile pensare a dei nomi in particolare in questo momento. Sono consapevole che ci sono delle persone che prendono spunto dal linguaggio che io ho sviluppato, ma è normale. Da sempre si prendono in prestito idee: è successo a me e succede agli altri. È un modo salutare di scambiarsi idee.

 

Perché nel 1983 ha deciso di passare dal bianco e nero al colore scegliendo di usare toni così saturi?

Perché è il linguaggio delle campagne pubblicitarie commerciali.

 

Marti ParrUno scatto di Martin Parr

 

Per ottenere questi colori sceglie giornate od orari particolari?

No, io fotografo 24 ore al giorno, non tutti i giorni, ma comunque a qualsiasi ora.

 

E riguardo alla luce e al flash? Quali sono le sue scelte?

Per le foto di cibo uso quasi esclusivamente il ring flash perché mi dà il look che voglio avere in quel tipo di scatti.

 

Chi sono stati i fotografi che ha sempre considerato degli esempi da cui imparare?

Stephen Shore per esempio, professionisti come lui.

 

Sua figlia Ellen è una chef che, insieme alla designer Alice Hodge, gestisce un sito di organizzazione eventi e cene tematiche chiamato The Art of Dining. Nel 2014 in Giappone ha svolto una serie di cene che avevano per tema le ricette dei suoi scatti. Le ha fatto impressione assaggiarli? Mangia spesso i piatti di Ellen?

Le cene tematiche le ha fatte in Giappone, a Londra e in Germania. Lei è una chef molto brava e i suoi piatti sono estremamente gustosi. È molto surreale mangiare quello che io ho fotografato. Si, mangio i suoi piatti anche se non troppo spesso, ma cerco sempre di andare ai suoi eventi. Non torna spesso a casa, ma quando viene è lei che sta dietro i fornelli.

 

Real FoodReal Food. Martin Parr

 

a cura di Indra Galbo e Michela Becchi

 

 

 

 


 

I festival gastronomici di febbraio. Gli appuntamenti da non perdere questo mese

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Malgrado il freddo non accenni a diminuire, febbraio è un mese ricco di eventi a tema food & wine. Dal radicchio ai vini, dai prodotti tipici all’olio, passando per lo street food: c’è n’è per tutti i gusti. Come sempre abbiamo selezionato per voi gli appuntamenti più interessanti.

Cocoradicchio 2017

Partiamo da un festival che celebra il “fiore d’inverno”, ovvero il radicchio. Giunto alla 29esima edizione, Cocoradicchio è dedicato ai sapori regionali che valorizzano questo prezioso prodotto, sia nella versione Rosso di Treviso che il Variegato di Castelfranco. Una rassegna itinerante che darà modo ai partecipanti di scoprire ristoranti e locali della provincia, con un’incursione anche oltre confine: partito lo scorso 25 gennaio dal ristorante Marcandole di Salgareda, approderà il 3 febbraio al Sansovino di CastelBrando con lo chefMarco Buosi che cucinerà per i commensali. Il 9 e 11 febbraio si sposterà al Miron di Nervesa della Battaglia, giovedì 16 febbraio sarà invece la volta dell’Osteria der Katzlmacher di Monaco di Baviera, venerdì 17 febbraio toccherà al ristoranteDa Gigetto a Miane. Infine, le ultime tappe sono previste per venerdì 24 febbraio al Baresin di Castelfranco Veneto, per mercoledì 1 e giovedì 2 marzo al ristorante Da Celeste a Volpago del Montello.

Cocoradicchio 2017 | Provincia di Treviso - Monaco di Baviera | dal 25 gennaio al 2 marzo 2017 | tel. 0438 410666 | www.cocofungoradicchio.it

 

Cucinare 2017 (Pordenone)

Passiamo a un evento dedicato a produttori, ristoratori e addetti al settore: Cucinare 2017, il salone dell’enogastronomia e delle tecnologie per la cucina. Diretto da Fabrizio Nonis, prevede di massimizzare il successo dello scorso anno aumentando i numeri di questa quinta edizione: in calendario oltre 130 incontri in 4 giorni, tra degustazioni, corsi di cucina, cooking show, conferenze e dibattiti a tema. Saranno 150 gli espositori provenienti da tutte le regioni italiane, suddivisi in due grandi settori di riferimento: una parte centrata sull’agroalimentare e sull’enogastronomia e un’altra zona dedicata alle tecnologie per la cucina. Tra gli ospiti gli chef Terry Giacomello, Andrea Aprea, Davide Scabin, Matteo Baronetto, Paolo Casagrande, Giuliano Baldessari e molti altri.

Cucinare 2017 | Pordenone (PN) | Pordenone Fiere, viale Treviso 1 | tel. 0434 232111 | www.cucinare.pn

 

Cucinare 2016

Festival del giornalismo alimentare (Torino)

L’informazione nutrizionale, le agromafie, il ruolo dei mass media nel comunicare il cibo, la deontologia dei giornalisti, il lavoro e il ruolo dei food blogger, i pericoli dei social network: sono tanti i temi di cui si parlerà al Festival del giornalismo alimentare di Torino, giunto alla seconda edizione. Un appuntamento presso la Biblioteca nazionale universitaria, che mette al centro la riflessione, il dibattito, la formazione e il confronto fra giornalisti, blogger e addetti ai lavori, nel campo della comunicazione alimentare.

Anche il Gambero Rosso contribuirà ai contenuti del festival con due panel sul ruolo della critica enogastronomica e sulla gestione di contenuti, pubblicità e pubbliredazionali in ambito food, a cui parteciperanno le nostre Antonella De Santis e Sara Bonamini.

Festival del giornalismo alimentare | Torino | Biblioteca nazionale universitaria | piazza Carlo Alberto,3 | dal 23 al 25 febbraio 2017 | tel. 011 1971.531 | www.festivalgiornalismoalimentare.it

 

 

Food Film Fest 2017 (Milano)

Un appuntamento che vi abbiamo già raccontato, che coinvolge i territori del Parco agricolo sud di Milano. Dal 27 gennaio al 17 marzo torna per la terza edizione il Food Film Festival, la kermesse itinerante dedicata ai temi dell’agroalimentare, della corretta nutrizione e degli stili di vita consapevoli, con proiezioni, degustazioni e dibattiti a tema. Fra le opere in calendario Domani di Cyril Dion eMélanie Laurent, Hungry and Foolish di Daniele Cini, Taste the Waste diValentin Thurn, La zappa sui piedi di Andrea Pierdicca ed Enzo Monteverde, Genuino Clandestino di Nicola Angrisano.

Film Food Festival | Parco Agricolo Sud Milano | dal 27 gennaio al 17 marzo 2017 | tel. 331 105158 | www.foodfilmfestival.info

 

Food Film Fest

 

I migliori vini italiani 2017 (Roma)

Saranno oltre 100 gli espositori presenti con più di 600 etichette in degustazione al Salone delle Fontane dell’Eur per I migliori vini italiani, la manifestazione ideata e curata da Luca Maroni. L’edizione 2017, prevista da giovedì 16 a domenica 19 febbraio, inizia come ogni anno con i riconoscimenti del critico e analista sensoriale alle migliori realtà vitivinicole italiane sulla base del metodo da lui creato. Durante le quattro giornate, un suggestivo percorso guiderà i visitatori alla scoperta delle migliori etichette nostrane, in degustazione libera. Durante il festival ci saranno anche specialità gastronomiche, musica e performance artistiche, oltre agli appuntamenti speciali come i Wine tasting, laboratori di degustazione incentrati sulla sua metodologia di analisi sensoriale e Sentori di-vini, degustazioni guidate di vini e sentori condotte da Luca Maroni e Ambra e Giorgia Martone del LabSolue.

I migliori vini italiani 2017 | Roma | Salone delle fontane - Eur | via Ciro Il Grande, 10 | tel. 06 90405335 | dal 16 al 19 febbraio 2017 | www.imiglioriviniitaliani.com

 

I migliori vini italiani

 

Live wine - Salone internazionale del vino artigianale (Milano)

Oltre 150 aziende vitivinicole tra le più ricercate, rigorosamente di medie e piccole dimensioni: sono le protagoniste di Live wine, il Salone internazionale del vino artigianale di Milano. A partecipare sono soltanto cantine che praticano un’agricoltura sostenibile e che non fanno uso di additivi. L’obiettivo infatti è coinvolgere il consumatore non solo nell’assaggio ma anche in una visione del mondo vitivinicolo più vicino ai concetti di ecologia, tutela del territorio e sostenibilità. A Palazzo del ghiaccio il 18 e 19 febbraio si terranno degustazioni a tema guidate daSamuel Cogliati, editore e divulgatore italo-francese responsabile degli approfondimenti del Salone fin dalla sua prima edizione, oltre agli eventi speciali come le Live wine night, serate in cui approfondire i vini del territorio presso alcune enoteche, ristoranti e locali di Milano.

Live wine - Salone internazionale del vino artigianale | Milano | Palazzo del ghiaccio | via G. B. Piranesi, 14 | tel. 02 73981 | 18 e 19 febbraio 2017 | www.livewine.it

 

Olio officina 2017 (Milano)

Tre giorni dedicati all’olio e ai condimenti a Milano: è Olio Officina 2017, l’evento ideato da Luigi Caricato. Tema della sesta edizione è “Energia. Olio in movimento”: l’olio, oltre a essere alimento e condimento, è soprattutto energia, fonte di calorie in grado di dare una spinta propulsiva e dinamica all’organismo.

Oltre 100 relatori nelle sale del Palazzo delle Stelline, oltre a degustazioni guidate, laboratori, installazioni e mostre a tema, ma soprattutto il contatto diretto con chi produce, per celebrare una visione dell’olio più “democratica” e meno esclusiva. Inoltre un'area cooking in cui gustare diverse proposte tra le quali anche una sessione dedicata agli abbinamenti carne-olio. Quest’anno una sezione speciale per le neo mamme in cerca di oli adatti per i propri bambini e per se stesse.

Olio Officina Festival | Milano | Palazzo delle Stelline | corso Magenta 61 | tel. 02 89517576 | dal 2 al 4 febbraio 2017 | www.olioofficina.com

 

Olio officina

Portosole street food festival (Sanremo)

Non poteva certo mancare un appuntamento con lo street food, che non si ferma neanche nei mesi più freddi grazie agli impavidi trucker. Questa è la volta di Sanremo che ospiterà, dal 7 al 12 febbraio, il Portosole street food festival. Nella cornice del porto turistico i furgoncini proporranno tante declinazioni culinarie del cibo da strada, dall’hamburger di fassona alla farinata, dai cupcakes americani ai crostoni di canapa, dalla salsiccia di Bra allo gnocco fritto, passando per le olive all’ascolana, gli arrosticini, i pizzoccheri e tante altre specialità. Inoltre stand di birrifici artigianali italiani, animazione per i più piccoli e tanti concerti: non potrebbe essere altrimenti, data la concomitanza con il Festival di Sanremo.

Portosole street food festival | Sanremo (IM) | Porto turistico Portosole | Via del Castillo, 17 | tel. 346 5308662 | www.facebook.com/events/301286340272002/?active_tab=about

 

Salone del prodotto tipico (Roma)

Due giorni dedicati ai vini ed ai sapori dei territori italiani, alle proposte di ospitalità e agli agriturismi: è il Salone del prodotto tipico di Roma, previsto per il 25 e il 26 febbraio 2017. La kermesse mette insieme il mondo dell’accoglienza rurale e quello dei prodotti tipici: due protagonisti del turismo enogastronomico, settore che attualmente sfiora i 40 miliardi di euro l’anno. Organizzato in sinergia con il Salone del turismo rurale, il festival porterà nella Capitale alcune fra le più interessanti realtà agrituristiche italiane, oltre a una selezione di artigiani del gusto che proporranno non solo assaggi e prodotti in vendita, ma anche storie e tradizioni di chi produce le eccellenze di casa nostra, rendendo la gastronomia italiana una fra le più amate al mondo.

Salone del prodotto tipico | Roma | Salone delle Fontane - Eur | via Ciro il Grande, 10 | tel. 049 8753730 | www.salonedelprodottotipico.it

 

 

a cura di Francesca Fiore

 

 

 

10 vini per una regione. L'Alto Adige

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L'Alto Adige del vino fa regione a sé, con un patrimonio ampelografico che frammenta un'area di grande valore vitivinicolo. In questa seconda tappa del nostro viaggio alla scoperta delle regioni italiane e i suoi vini approdiamo in Alto Adige.

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In genere l'idea che si ha un’idea dell’Alto Adige viticolo è quella di una provincia che offre omogeneamente vini di alta qualità in tutte le sue zone produttive. I numeri dicono che è un’affermazione corretta. Sempre più, però, l'enofilo attento può cogliere le sfumature che ogni sottozona può offrire, alla ricerca del perfetto equilibrio tra vitigni, zone viticole e mano del produttore. Proprio questi rappresentano realtà molto differenti tra loro, con le grandi strutture cooperative che lasciano spazio a produttori con minuscole proprietà, che a loro volta lasciano spazio alle storiche famiglie del vino atesino, forti di vigneti molto estesi e una fitta rete di viticoltori che conferiscono le uve.

Sempre più le aziende si stanno specializzando sui vini che meglio rappresentano il loro territorio, come si può riscontrare in quella vera e propria fucina di vini di qualità che è la Valle Isarco, una stretta vallata che si incunea verso nord che esalta la fragranza e la profondità di Sylvaner, Riesling e Veltliner. Pinot Nero carnosi e raffinati nel versante orientale d’Oltradige, con Mazzon che rappresenta il vero Grand Cru italiano per questo vitigno, o ancora lo spessore e la classe che il Pinot Bianco dona nelle zone di Appiano e Terlano. Regione a tradizione bianca, con una presenza di vini di assoluto valore in tutte le aziende presenti in Guida, spesso Tre Bicchieri, altre volte fulgidi esempi della classe che questo territorio conferisce ai suoi vini. Un puzzle di vini e storie che occupa tutta la provincia, giocando con altitudini, esposizioni e suoli, che permettono ai produttori di esaltare caratteristiche a volte antitetiche: la potenza dei Lagrein che giungono dalla piana di Bolzano, la finezza dei Riesling di montagna della Val Venosta, la sapida e intrigante leggerezza dei Lago di Caldaro e Santa Maddalena, la profondità dei Terlaner. Un Alto Adige da scoprire, alle vette del panorama vinicolo italiano, in tutti i sensi.

 

A. A. Valle Isarco Sylvaner '15 - Tenuta Hans Rottensteiner

Rottensteiner è uno dei nomi storici del vino atesino, un’azienda a guida familiare attiva da più di cinquant’anni nella zona nordoccidentale del capoluogo. Fin dal debutto, questa realtà ha basato la sua produzione sulle uve provenienti dai vigneti di proprietà e su quelle di una sessantina di viticoltori che conferiscono le uve in azienda, per una produzione strutturata su tre linee, la Classic destinata ai vini varietali, la Cru per la valorizzazione delle più belle esposizioni e infine la Select per i vini più ambiziosi. Convincente l’assaggio del Sylvaner proveniente dai vigneti della Valle Isarco. Al naso il vino si concede con lentezza, prima la mela Golden, poi le sottili note floreali, infine una tipica e grintosa nota affumicata. In bocca non colpisce per la ricchezza del sorso quanto per la sua armonia, risultando sapido e dotato di un buon allungo.

 

A. A. Valle Isarco Gruner Veltliner '15 - Garlider

Christian Kerschbaumer e la moglie Veronika hanno fatto di Garlider un piccolo gioiello della Valle Isarco. Nel volgere di una dozzina di anni l’azienda è stata convertita al regime biologico e oggi si coltivano vigneti che si sviluppano ad altitudini comprese tra i 550 e gli 800 metri. Tranne per una piccola produzione di pinot nero, solo uve a bacca bianca in azienda, suddivise tra i vitigni classici della provincia e quelli tipici della vallata, grüner veltliner e sylvaner. Nel Grüner Veltliner gli intensi profumi sulfurei nascondono il frutto per qualche istante, per poi lasciar spazio a un turbinio di note affumicate, pera e frutta esotica che ritroviamo perfettamente espresse al palato, dove rivela tensione e una grande lunghezza.

 

A. A. Pinot Nero Mazzon '13 - Gottardi

Nel 1986 la famiglia Gottardi, con una lunga e grande esperienza nel commercio del vino a Innsbruck in Austria, ha acquistato 6,5 ettari di vigneti (oggi arrivati a 9) nelle colline di Mazzon, nel cuore della zona classica e sacra dei grandi Pinot Nero dell’Alto Adige. Nel 1995 esce la prima annata del Pinot Nero Gottardi, subito incoronato come uno dei miglior Blauburgunder della regione. Era ed è tuttora lo stile molto francese di questo vino, la sua eleganza e tipicità, che lo distinguono da tanti altri della zona. Alexander Gottardi segue personalmente i lavori in vigna e in cantina, e ci regala un Pinot Nero tra i migliori dell’Alto Adige: fruttato e varietale al naso, con note di frutti rossi e neri, ciliegia e prugna, sfumato su accenni di fiori secchi e spezie, fragrante in bocca, con tannini morbidi, struttura ed eleganza. La chiusura è affidata a una equilibrata tostatura e a intriganti sfaccettature minerali.

 

A. A. Pinot Nero Trattman Mazon '13 - Girlan

In un territorio che sembra aver puntato gran parte delle sue speranze di successo sull’aromaticità che contraddistingue i vitigni altoatesini, la Cantina Girlan ha continuato a puntare anche sui vitigni storici come la schiava, il pinot nero e il pinot bianco. Gerhard Kofler lavora a stretto contatto con il direttore Oscar Lorandi e con tutti i soci per far emergere la grandezza di questo angolo d’Italia, con una produzione che esalta la simbiosi tra i vitigni e i migliori vigneti che li ospitano. Proprio dalle migliori vigne giungono i risultati più interessanti e fra queste tocca ancora una volta a Mazon esprimere la sua vocazione per l'uva pinot nero. Il Trattmann è il consueto campione di razza, profumato di frutti di bosco ed erbe officinali, in bocca mette in luce un corpo solido e un'interessante trama tannica che, senza aggredire il palato lo accarezza, e accompagna il vino a un succoso finale.

 

A. A. Pinot Bianco Sirmian '15 - Nals Margreid

La Cantina Nals Margreid si sviluppa per oltre centocinquanta ettari distribuiti un po' in tutta la provincia di Bolzano. Le uve più raffinate si trovano soprattutto nei dintorni di Nalles, con vigneti che dal fondovalle si ergono fino ai 700 metri di Sirmian. Attorno a Magrè invece ci sono le varietà bordolesi e quelle bianche, che hanno bisogno di più calore, mentre nella conca bolzanina albergano lagrein e schiava. In cantina spetta a Harald Schraffl il compito di esaltare tanta ricchezza, in una gamma di vini di carattere e finezza, mentre la direzione dell'azienda è affidata a Gottfried Pollinger. Sempre più che convincente il Pinot Bianco Sirmian che nella versione 2015 sfoggiaun corredo aromatico raffinato che dietro al frutto bianco croccante manifesta la presenza di fiori e un accenno vegetale. In bocca il calore della vendemmia si traduce in un sorso pieno e avvolgente.

 

A. A. Gewurztraminer '15 - Hartmann Donà

Hartmann Donà conduce una manciata di ettari fra le colline sopra Merano e Cornaiano, dedicati ai classici vitigni atesini, soprattutto schiava e pinot nero, anche se non mancano varietà a bacca bianca. La grande esperienza maturata in più di vent’anni di attività ha portato ad Hartmann non solo la conoscenza del territorio e delle sue potenzialità, ma anche una sua personalissima visione del vino, nella quale eleganza, tensione e longevità sono qualità imprescindibili. Davvero interessante il Gewürztraminer, sapido, asciutto e teso, vive di un armonico equilibrio, pur rimanendo fedele all’esplosività aromatica del vitigno che si colora dei classici petali di rosa, contrappuntati da lievi accenni speziati.

 

A. A. Lagrein Urban '14 - Cantina Tramin

La grande struttura cooperativa di Termeno gestisce per mano dei suoi 300 soci circa 250 ettari di vigneti che si distribuiscono quasi completamente nel territorio della Bassa Atesina, fra i villaggi di Termeno, Ora, Egna e Montagna. Grande attenzione al vigneto, con un percorso di rispetto per l’ambiente che ha portato a convertire al regime biologico e biodinamico una parte dei vigneti, lavorando per allargare a tutta la base questa cultura. In cantina Willy Sturz esalta le espressioni dei migliori vigneti in una gamma di vini di grande personalità. Il Lagrein Urban profuma di piccoli frutti di bosco, fiori appassiti e spezie, accompagnati dall'equilibrata nota vanigliata data dalla barrique, che anticipano una bocca di corpo e struttura, sorretta da una armonica nota tannica. Il finale, di nuovo affidato al frutto, è lungo e continuo.

 

A. A. Val Venosta Riesling '14 - Falkenstein

La Valle Venosta, pur non avendo enormi estensioni vitate, offre un panorama vitivinicolo di alto profilo, disseminata di piccole ma importantissime aziende. Franz Pratzner è stato tra i pionieri di questa vallata, interprete che ha portato l’attenzione degli appassionati sul Riesling che proviene da questa calda zona. Vigneti scoscesi esposti a sud che, grazie all’altitudine, permettono alle uve di maturare con ricchezza di sostanze aromatiche e senza perdere freschezza. Ed è il caso delRiesling, il campione di casa Pratzner, un bianco che offre al naso profumi intensi di fiori e frutto bianco, con una profonda e ancora poco espressa nota minerale che spinge per emergere dal fondo. In bocca rivela un sorso pieno, teso e grintoso, dotato di una sana e irrequieta rusticità che dona tensione e carattere.

 

A. A. Santa Maddalena Cl. Rondell '15 - Glogghof

L’azienda della famiglia Gojer ha sede a Santa Maddalena, completamente immersa nei vigneti ma a due passi dal centro di Bolzano. Nel maso Glögglhof Franz, Maria Luise e Florian trasformano le uve che giungono dai vigneti in una produzione fortemente legata alla tradizione ma con uno sguardo puntato al mondo. I vigneti si distribuiscono in quattro zone, attorno alla cantina le uve per i Santa Maddalena, nella piana di Gries, Rencio e nella zona di Ora quelle per i Lagrein e infine dai vigneti più alti di Cornedo all’Adige giungono le uve per i bianchi. Il cuore dell’azienda rimane però fedelmente legato alla schiava, e non poteva essere che il Santa Maddalena Rondell a conquistarci. Al naso si percepiscono intense note di piccoli frutti e spezie, mentre in bocca il vino colpisce per una spiccata sapidità che allunga il vino e ne rende entusiasmante la beva.

 

A. A. Pinot Grigio St. Valentin '14 - Cantina Produttori San Michele Appiano

La Cantina di San Michele Appiano è un punto fermo per qualsiasi appassionato di vino, una realtà che ha contribuito in maniera determinante all’affermazione dei vini altoatesini negli ultimi vent’anni. Al timone, oggi come allora, Hans Terzer, kellermeister di indubbia competenza tecnica, capace di intuizioni e conoscenza del territorio che ogni anno si traducono in una gamma di vini che associano la qualità alla personalità. Frutto di vigneti di Appiano Monte che si estendono fino ai 600 metri di altitudine, il Pinot Grigio Sanct Valentin affina in piccole botti di rovere per circa un anno per donarsi intenso nelle note di fiori freschi e pera, con il rovere che appare sullo sfondo e ne allarga lo spettro. Bocca ricca, avvolgente e di grande sapidità, per un sorso pieno e appagante.

 

foto in apertura: Tenuta Hans Rottensteiner

 

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www.tannico.it

CiBò So Good! L'Emilia Romagna si racconta a tavola a Bologna

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Tre giorni a Palazzo Re Enzo per scoprire il meglio dell'enogastronomia regionale con i protagonisti della Food Valley. In programma incontri, degustazioni, lezioni di cucina e tante isole tematiche per gustare le specialità locali. Trait d'union la pasta ripiena. 

Il gusto dell'Emilia Romagna

In fatto di comunicazione e autopromozione il sistema enogastronomico emiliano conosce pochi eguali in Italia. Questo per la solidità di una rete di operatori e realtà d'eccellenza che sanno fare circuito di fronte all'interesse comune, per la molteplici opportunità di un territorio dove la buona tavola è uno stile di vita e la passione per la cucina autentica è radicata nel dna degli emiliani, e pure, non meno importante, per la capacità di saperla raccontare agli altri questa bella storia di cultura gastronomica. Un esempio concreto di quanto sopra? Cibò. So Good!, il festival della cucina emiliana e romagnola in programma a Palazzo Re Enzo, Bologna, dal 3 al 5 febbraio. L'anno scorso la manifestazione si affacciava speranzosa di fare breccia sulla scena enogastronomica, facendosi spazio in un calendario già affollato di appuntamenti tematici per appassionati e addetti ai lavori. E il pubblico ha premiato le aspettative. Ecco perché tra pochi giorni si ripete, con una seconda edizione che promette di accompagnare i visitatori in una viaggio lungo la via Emilia – 420 chilometri di pasta ripiena da percorrere, da Rimini a Piacenza, passando per Bologna, Parma, con un'incursione a Ferrara e Ravenna – alla scoperta delle eccellenze regionali, 43 prodotti certificati Dop e Igp, e i vini del territorio. Trait d'union sarà proprio la pasta all'uovo, quella ripiena, nelle molteplici declinazioni locali, tra balanzoni e tortelli di zucca, cappelletti (ma attenzione a distinguere i romagnoli dai ferraresi, o dagli emiliani) e cappellacci, tortelli di patate, ravioli di pesce e anolini. Una varietà di proposte, ingredienti e preparazioni emblematica della ricchezza del paniere regionale, che si nutre tanto del pescato della costa Adriatica che della tradizione salumiera e casearia emiliana. Solo per citare alcune delle punte di diamante del sistema del cibo della food valley padana.

Il programma a Palazzo Re Enzo

Il programma, articolato in tre giornate, attinge alle ricette della tradizione e al know how dei protagonisti regionali per costruire un calendario di incontri in cucina, degustazioni, lezioni pratiche e approfondimenti teorici, in quattro aree tematiche: il Mercato dei prodotti che riunisce gli attori della filiera agroalimentare locale, i Laboratori del gusto con gli chef della scuola di cucina Cibologna, tanti corsi di pasta ripiena e degustazioni di culatello, mortadella, parmigiano reggiano, aceto balsamico (attività su prenotazione), l'Arena eventi con dibattiti e cooking show, tra consapevolezza alimentare e incontri con gli chef, verso la conclusione di domenica sera con la Social Dinner Solidale in favore di Cucine Popolari. L'area ristorazione, invece, si articolerà in Isole del gusto: la pasta ripiena (con i tortellini in brodo o alla parmigiana di Bottega Portici), la salsamenteria (per tigelle e piadine cotte sul momento e farcite), i formaggi, la bottega gastronomica dei finger food, pane&pani – anche in questo caso il capitolo è nutrito, dalla coppia ferrarese alla micca di Parma, alla treccia piacentina – l'enoteca con gli autoctoni regionali, le birre artigianali del territorio. L'ingresso è gratuito, e a Bologna si conta sulla partecipazione di tutta la città.

 

CiBò | Bologna | Palazzo Re Enzo | dal 3 al 5 febbraio | ingresso gratuito | www.cibosogood.it


SnapFood. L'app delle recensioni fotografiche che chiede agli utenti dove trovare la migliore carbonara

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È tutta italiana l'idea di lanciare un'applicazione che non si limita a recensire i ristoranti, ma i singoli piatti che arrivano in tavola. Attraverso le foto scattate dagli utenti. Il risultato? Un menu digitale a portata di smartphone per trovare l'hamburger più buono o il dolce più goloso da provare.  

 

Foto-mania al ristorante

Non sai cosa mangiare stasera? Scatta, assaggia, condividi. È lo slogan con cui SnapFood promette di conquistare schiere di food addicted. E in Italia potrebbe affermarsi con una certa rapidità, considerando che nel nostro Paese quasi un ragazzo su tre, in età compresa tra i 18 e i 24 anni, non può fare a meno di condividere sui social network il cibo che sta mangiando. Ecco allora che l'ultima applicazione sviluppata in Italia da un team di startupper particolarmente sul pezzo si propone di radunare queste singole voci in una comunità digitale costruita sul valore aggregante del cibo. Non il primo esperimento del genere, sosterranno i bene informati. La novità di SnapFood, che tra qualche giorno sarà disponibile per sistemi iOS e Android, sta nell'opportunità per gli utenti di concentrarsi direttamente sui piatti, ben oltre la condivisione di indirizzi e consigli gastronomici di sorta. La piattaforma virtuale infatti si propone come vetrina gastronomica (fotografica) per le pietanze e le specialità più apprezzate dalla comunità, documentate nel dettaglio dai commensali che potranno attribuire un voto ai singoli piatti, segnalare agli altri gli “imperdibili”, confrontarsi l'un l'altro a colpi di foto caricate sullo smartphone.

 

Il menu digitale. Dove si mangia la carbonara migliore?

Ecco perché, una volta popolato con le immagini degli utenti, il database di SnapFood si presenterà come un enciclopedico menu fotografico da tenere sempre in tasca, con la possibilità di ricercare il ristorante più adatto alle proprie esigenze a partire da un desiderio particolare o dalla ricerca di una pietanza specifica: chi propone il miglior hamburger a Milano? Chi il dolce più goloso? E la migliore carbonara di Roma? Dato l'ingrediente o la specialità, l'applicazione presenterà una mappa geolocalizzata con la classifica delle insegne più quotate per la pietanza scelta. E anche se lo scopo del gioco è quello di contribuire alla selezione e alla votazione dei piatti sperimentati, per consultare le indicazioni della comunità non è obbligatorio diventare recensori. Ma l'aspetto ludico della sfida si condensa anche in trofei e bonus a sorpresa da sbloccare contribuendo al miglioramento del servizio. Una bella intuizione che recepisce quell'abitudine tutta italiana a condividere dritte e consigli sul cibo, specie quanto si tratta di entrare nel dettaglio di ricette regionali o specialità che fanno discutere, ognuno col suo indirizzo preferito che alimenta una lotta senza quartiere. E l'app promette imparzialità e veridicità delle recensioni grazie alla prova fotografica e alla georeferenziazione degli utenti nel momento in cui condividono le portate che arrivano in tavola. Un modo in più per sdoganare la foto-mania al ristorante ormai malvista da tanti addetti ai lavori? Pro e contro dell'era digitale.

 

www.snapfood.com

Mangiare in montagna. Courmayeur e la Valdigne

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Oggi andiamo nella valle del Monte Bianco e della Dora Baltea, che comprende località rinomate come Courmayeur, La Thuile, La Salle, Morgex. È la Valdigne, conosciuta dagli appassionati degli sport invernali, ma anche da chi ama i paesaggi incantati e la storia. E soprattutto per il buon cibo. Per la rubrica Mangiare in montagna vi raccontiamo Courmayeur e la Valdigne.

La Valdigne

Situata nella parte nord-occidentale della regione, la Valdigne si trova in una zona particolarmente frequentata non solo da italiani e francesi, ma da turisti di tutte le nazionalità. Si estende da La Salle a Courmayeur, e include bellissime valli limitrofe come la val Ferret, la val Veny e il vallone di La Thuile. Grazie ai suoi suggestivi percorsi naturali, d’estate è popolata da bikers, climber e camminatori, mentre d’inverno è il regno degli sciatori. Ma qui viene anche chi ha voglia di una vacanza rilassante, da godere appieno grazie alle terme di Pre-Saint-Didier, o chi ama la storia, con i meravigliosi castelli di Morgex e La Salle. Un’area di confine, che esprime una cultura gastronomica sincretica e ricca di sfumature, ulteriore attrattiva del luogo.

 

Courmayeur e il Monte Bianco

 

Cosa vedere a Courmayeur

Ultimo comune prima di prendere il traforo che collega l’Italia alla Francia, Courmayeur non ha bisogno di presentazioni, data la sua fama come meta di turismo d’élite. Ai piedi del Monte Bianco, si adagia naturalmente su una conca a oltre mille metri sul livello del mare, da cui si gode di una vista impareggiabile.

Arrivando nella cittadina valdostana, agli occhi dei visitatori si schiude subito il suo elegante centro storico, con via Roma a rappresentare il percorso ideale fra negozi di grandi firme, botteghe artigiane che lavorano secondo antiche tradizioni, bar e ristorantini di ogni tipo. Chi ama l'arte e cultura non potrà evitare una visita alla Chiesa di San Pantaleone, consacrata nel 1742, e al santuario di Notre-Dame de Guérison, tra i più famosi della regione, all'inizio della Val Veny a 4 chilometri dal centro cittadino. Un altro luogo interessante è il Museo transfrontaliero del Monte Bianco, nel cuore della città, che racconta l’identità delle popolazioni dell’Alta Savoia e della Valle d’Aosta.

 

Terme di Pre-Saint-Didier

 

Sport e piste da sci a Courmayeur

Per gli appassionati di sport a Courmayeur c’è l’imbarazzo della scelta. Se nei mesi invernali la montagna si popola di sciatori, fondisti e snowborders, nei mesi estivi si può provare dal trekking ai percorsi in bici, dalle gite in moto fino alle scalate. Qui si pratica anche tennis, rally, hockey su ghiaccio e palet, uno sport tradizionale valdostano.

Per quanto riguarda le piste da sci, il comprensorio sciistico di Courmayeur offre ben 100 chilometri di tracciati suddivisi in 31 piste, con dislivelli notevoli e qualche percorso dedicato ai principianti. Lo sci di fondo trova invece spazio in val Ferret, limite nord della Valdigne, con uno scenario mozzafiato a fare da cornice.

Ma questo è anche il luogo ideale per i più avventurosi: la natura incontaminata e selvaggia attorno a Courmayeur permette attività difficili da svolgere in altri siti alpini, come l’heliski e l’heliboard, ma anche di provare diversi tracciati fuori pista particolarmente impegnativi. Mentre lo Snowpark a 2 mila metri di altitudine è un vero e proprio paradiso per chi ama discipline che derivano dal freestyle come l’half pipe, il boardercross e il big air.

 

Sciare a Courmayeur

 

I prodotti della Valdigne

Crocevia di diversi popoli, la cucina della Valdigne - e della Valle d’Aosta in generale - si distacca parzialmente dalla tradizione più strettamente mediterranea del resto d'Italia, avendo maggiore affinità con quella di aree limitrofe come la Savoia e il Canton Vallese. Una cucina basata sui cereali di montagna, su prodotti caseari di alta qualità, su antichi metodi di lavorazione delle carni, sia di animali da allevamento che di cacciagione. Qui il frumento è da sempre sostituito con la segale, da declinare in pani, focacce e dolci. La regione è il regno della fontina, prodotto a marchio Dop insieme al fromadzo, un formaggio vaccino a pasta semidura dalla lunga tradizione. Tra i più celebri formaggi locali troviamo anche il réblec de crama, il salignon, il séràs e la toma di Gressoney.

 

Tagliere di salumi e formaggi della Valle d'Aosta

Anche i salumi sono di qualità elevata: il boudeun, o boudin in francese, un insaccato appartenente alla famiglia dei sanguinacci; la motsetta, carne essiccata e aromatizzata, solitamente di bovino o di camoscio; il prosciutto alla brace di Saint-Oyen o Jambon à la braise de Saint-Oyen, prodotto a marchio Dop; le saouceusse, le salsicce valdostane; il lard d'Arnad, il lardo di maiale anche questo sotto denominazione d'origine; il teteun, un particolare salume prodotto a partire dalle mammelle bovine salmistrate.

 

Pane nero della Valle d'AostaPane nero della Valle d'Aosta

Cosa mangiare in a Courmayeur e Valdigne

Tra i primi piatti spiccano le chnéfflene, bottoncini di pastella cotti in acqua bollente e conditi con fonduta, panna e speck; i chnolle, gnocchetti di farina di mais, da mangiare in un brodo di carne di maiale; ma anche la polenta, il riso con la fontina o con le castagne. Ampia la scelta sul versante zuppe: dalla pèilà, a base di farina di segale e frumento, pane, fontina e burro; alla seupetta à la valpelleunèntse (la zuppa della Valpelline), con pane nero, cavoli e fontina; passando per la soça, una zuppa di fagioli con cipolla, patate, lardo affumicato e saouceusses rosolate, e per la puarò, la minestra di porri. Ma il piatto più legato alla Valdigne è la tartiflette, una ricetta della Savoia che si è integrata bene nella cucina locale, fatta con formaggio reblochon, patate, cipolle e pancetta.

 

Carbonade e polentaCarbonade e polenta

Tra i secondi più noti il bouilli à la saumure, un bollito di carne salata, la carbonade, un antico piatto tipico delle Alpi occidentali, a base di carne bovina salata per 12 giorni e cotta lentamente con aglio e lardo affumicato sotto sale, il civet di selvaggina, la cotoletta di vitello alla valdostana, l’omelette alle ortiche.

Infine per quanto riguarda i dessert, oltre ai dolci comuni alle altre zone della regione, un dolce tipico della Valdigne è il creinchein o creichen, fatto con farina bianca, lievito di birra, latte, acqua, amido di mais, uova, zucchero e burro.

 

CONSIGLI DALLA GUIDA RISTORANTI D’ITALIA 2017

Cafè Quinson (Morgex)

Un piccolo locale arredato con gusto in un edificio del ‘600: qui la famiglia Quinson ha costruito una reputazione ben salda in fatto di ospitalità e la presenza ai fornelli di Agostino Buillas impreziosisce l’offerta. Il menu pone al centro la freschezza della materia prima, esaltata in piatti che non mancano di sorprendere il cliente. Articolata e interessante la proposta per i menu degustazione. Carta dei vini per veri appassionati, con etichette da tutto il mondo e bottiglie introvabili. Due Forchette nella guida Ristoranti d’Italia 2017.

Coppapan (La Thuile)

A metà fra taverna e pizzeria, il Coppapan è un posto informale e conviviale, dotato di ampie vetrate da cui si gode di una vista mozzafiato. In menu piatti tipici regionali ma anche qualche incursione dalla tradizione savoiarda, alcune proposte di pesce e piatti per vegani e celiaci. La pizza è interessante, ma il vero punto di forza sono salumi e formaggi, scelti con cura fra le eccellenze della Valle d’Aosta. Ottimi i dolci della casa, golosi e creativi. Un Gambero nella guida Ristoranti d’Italia 2017.

Le Cadran solaire (Courmayeur)

Una trattoria dall’atmosfera calda e accogliente, gestita da Domenico Pugliese e situata in pieno centro a Courmayeur. Ci si può fermare per un aperitivo sfizioso o per la cena, scegliendo da un menu che segue i ritmi stagionali. La cucina è regionale, con piatti raffinati e curati in ogni dettaglio. Buoni anche i dessert, realizzati con maestria. Dalla carta dei vini etichette prevalentemente locali ma anche qualche chicca d’oltralpe. Due Gamberi nella guida Ristoranti d’Italia 2017.

Petit del Grand Hotel Royale e Golf (Courmayeur)

Uno degli alberghi più lussuosi della zona, con 200 anni di storia alle spalle. Diversi gli spazi dedicati alla ristorazione, ma è il Petit a esprimere al meglio la proposta gastronomica. La cucina di Maura Gosio è affascinante ed evocativa, ma anche precisa e molto tecnica: sa valorizzare piatti regionali senza mancare incursioni nella gastronomia internazionale. In carta un’ampia scelta fra etichette nazionali ed estere, con una buona varietà anche alla mescita. Due Forchette nella guida Ristoranti d’Italia 2017.

Le Cassolette - Mont Blanc hotel village (La Salle)

Un’oasi dedicata al gusto all’interno di un albergo elegante e molto accogliente, con un incantevole spazio esterno dove pranzare nei mesi caldi. Ai fornelli il francese Jean Marc Neuville con la sua cucina moderna e ricca di spunti interessanti, che mette al centro i produttori locali e ma anche le materie prime coltivate direttamente nell’orto dell’hotel. Ottima la proposta per i menu degustazione, da comporre in autonomia, scegliendo direttamente dalla carta. Cantina varia e articolata. Due Forchette nella guida Ristoranti d’Italia 2017.

 

CONSIGLI DALLA GUIDA PIZZERIE D’ITALIA 2017

La Grotta (La Thuile)

In posizione centrale, una pizzeria dall’aria accogliente e familiare. La pizza è leggera, con lunghe lievitazioni e topping creativi di prima qualità. Il menù del ristorante è classico ma non banale, con interessanti incursioni nella cucina internazionale. Ampia scelta di vini e di birre artigianali. Uno Spicchio nella guida Pizzerie d’Italia 2017.

La Macina (La Salle)

Un indirizzo di riferimento per La Salle e dintorni, che propone una pizza friabile e profumata. Che sia fatta con la farina 0 o con quella di soia, la pizza della Macina risulta sempre soffice e altamente digeribile, oltre ad essere condita con materie prime locali, selezionate con cura. Ricco il menù, che contempla anche taglieri, insalate creative e qualche piatto dalla tradizione sarda. Uno Spicchio nella guida Pizzerie d’Italia 2017.

 

CONSIGLI DALLA GUIDA STREET FOOD 2017

American bar (Courmayeur)

Il tempio delle crêpes a Courmayeur dal 1975: un locale centralissimo, dall'atmosfera giovane, in cui assaggiare ottime crespelle francesi, sia in versione salata che dolce. Il menù, anche per l’asporto, è ampio: qui troverete anche hamburger, focacce, insalate e pizze condite con i migliori prodotti locali. Aperto dalle 10 del mattino fino alle 2 di notte.

La Luge (Courmayeur)

Per chi ha voglia di hamburger fatti a regola d’arte e panini d’autore, la Luge è il posto ideale. Qui la creatività la fa da padrona, le materie prime (non solo valdostane) sono selezionate in maniera rigorosa, la cura dei dettagli completa l’offerta. Da bere birre artigianali, cocktail e bollicine.

Panizzi cheese and wine (Courmayeur)

Diversi punti vendita per questo indirizzo, famoso a Courmayeur e non solo per avere i migliori prodotti savoiardi e valdostani. Sul fronte dei formaggi c’è l’imbarazzo della scelta: fontine d’alpeggio, tome e tomini, caci ovini, formaggi caprini e molto altro. Ma anche il versante salumi non lascia delusi, così come le marmellate e le confetture artigianali, i sottoli, i vini locali. Il tutto da consumare in loco, all’interno di un panino, oppure a casa, grazie ai comodi pacchetti sottovuoto.

Sushibal (Courmayeur)

Sushi e bollicine di qualità ai piedi del Monte Bianco. Ma non lasciatevi ingannare dal nome, qui il sushi è preparato sia secondo i dettami nipponici più classici, ma anche evadendo dalla routine e inserendo molti prodotti locali, che vengono esaltati in ricette creative e sfiziose. Un punto di riferimento per chi non rinuncia alla cucina giapponese ma ama anche farsi sorprendere.

Tanina ravioli e dintorni (Courmayeur)

Un laboratorio artigianale di “ravioli e dintorni” con a capo la signora Tanina, sarda trapiantata in Valle d’Aosta, che conduce energicamente il locale. Il menu è stagionale, per cui d’inverno abbondano le carni come trippa, salsicce e polpette, mentre d’estate troverete piatti di verdure, panini creativi, grissini e focacce artigianali. Naturalmente, il punto di forza è la pasta fresca, dai ravioli agli gnocchi, passando per tagliatelle e tortelli.

 

CONSIGLI DALLA GUIDA BAR D’ITALIA 2017

Caffè della Posta (Courmayeur)

Un ambiente caldo e raffinato, con un’atmosfera resa speciale dal camino seicentesco in bella vista. Biagio Costantino propone un’offerta di lievitati, piccola pasticceria e torte realizzate con maestria. I caffè sono corposi e aromatici, i cappuccini vellutati e leggeri. Interessante anche l’aperitivo, con un’ampia scelta di snack e sfizi, accompagnati dal cocktail, long drinks e bollicine. Durante le feste dolci a tema su prenotazione. Due Chicchi e Tre Tazzine nella guida Bar d’Italia 2017.

 

CONSIGLI DALLA GUIDA PASTICCERI&PASTICCERIE 2017

Chocolat (La Thuile)

Il locale di Stefano Collomb è un punto di riferimento per chi ama la pasticceria valdostana. Nelle vetrine l’esposizione può lasciare a bocca aperta: pasticceria fresca e secca, monoporzioni, torte classiche e moderne. Punti di forza del laboratorio sono i torcettini, tipici dolci valdostani, ma anche il cioccolato, ambito in cui il maestro sfodera tutta la sua abilità creativa. Da provarlo nella fondue, servita in abbinamento con frutta fresca e biscottini. In estate anche una buona produzione di gelato.

 

indirizzi

American bar | Courmayeur (AO) | via Roma, 43 | tel. 0165 846707

Caffè della Posta | Courmayeur (AO) | via Roma, 51 | tel. 0165 842272 | www.facebook.com/pages/Caff%C3%A8-della-posta-Courmayeur/183314775033837

Cafè Quinson | Morgex (AO) | piazza Principe Tomaso, 10 | tel. 0165 809499 | www.cafequinson.it

Chocolat | La Thuile (AO) | frazione Bathieu, 58 | tel. 0165 884783 | www.chocolat-collomb.it

Coppapan | La Thuile (AO) | 68 Fraz. Villaret | tel. 0165 884797 | www.coppapanledahu.it

Le Cadran solaire | Courmayeur (AO) | via Roma, 122 | tel. 0165 844609 | https://www.facebook.com/pages/Ristorante-Cadran-Solaire-di-Courmayeur/169228393129897

Le Cassolette - Mont Blanc hotel village | La Salle (AO) | loc. la Croisette, 36 | tel. 0165 864111 | www.hotelroyalegolf.com/it/home.html

La Grotta | La Thuile (AO) | via Collomb Marcello, 11 | tel. 0165 884474 | www.lagrottalathuile.com

La Luge | Courmayeur (AO) | via Regionale, 1 | tel. 0165 843671 | www.facebook.com/lalugebar

La Macina | La Salle (AO) | via Col De Bard, 1 | tel. 0165 861334 | www.facebook.com/ristorantelamacina

Panizzi cheese and wine | Courmayeur (AO) | via Roma 53 | tel. 0165.844429 - 3288681341 | www.cheeseandwine.it

Petit de Grand Hotel Royale e Golf | Courmayeur (AO) | via Roma, 87 | tel. 0165 831611 | www.hotelroyalegolf.com/it/home.html

Sushibal | Courmayeur (AO) | via Circonvallazione 48 | tel. 349 5522464 | www.sushiball.it

Tanina ravioli e dintorni | Courmayeur (AO) | via degli Anziani,18 | tel. 340 929 0930 | www.facebook.com/Tanina-Ravioli-e-dintorni-372792982917975

 

a cura di Francesca Fiore

 

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Casaramen Super. Il nuovo locale di cucina nipponica a Milano

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Luca Catalfamo, già titolare di Casaramen, raddoppia con un locale ispirato agli izakaya, le simil osterie frequentate dai giapponesi dopo il lavoro, luoghi di condivisione di cibo, birra, sake e opinioni.  

Gli izakaya

Articolati in piccole salette private dove spesso è consentito fumare, gli izakaya sono il punto di ritrovo dei giapponesi una volta staccato dal lavoro. Qui si azzerano le classi sociali, i ruoli e le formalità, i manager si tolgono la cravatta lasciando spazio alla condivisione. Si entra senza scarpe, per non sporcare il tatami sul quale poi ci si siede, e ci si viene principalmente per bere sake o birre, da accompagnare con pochi piatti, in condivisione e non troppo costosi. Negli izakaya è il cibo che accompagna la bevuta. Format simile e concetto opposto per il nuovo locale di Luca Catalfamo, che a fine febbraio aprirà a pochi metri dal primogenito Casaramen, di cui vi abbiamo parlato qui. “Quella degli izakaya è una formula di ristorazione che mi piace, ma non volevo rinunciare alla centralità del cibo. Poi ho comunque cercato di selezionare alcuni sake, delle birre italiane e nordeuropee, un bel po' di vini naturali e una selezione di tè. In Casaramen Super, questo il nome del nuovo arrivato, è il cibo che accompagna il bere e non viceversa”.

Casaramen Super

Lo spazio del nuovo locale è un po' più grande – “a pensarci bene era molto difficile trovarne uno più piccolo di Casaramen” - e comprende una trentina di coperti in un ambiente informale. “Dopo aver inizialmente coinvolto architetti e designer, ho deciso di crearlo con il prezioso aiuto di mia moglie Margherita, coinvolgendo gli artigiani”. Così, il tavolo conviviale è di un artigiano portoghese, Romain Janet, e le sculture e le ceramiche sono dell'amico scultore Manuele Parati. Il nuovo locale non vuole però essere un Casaramen 2: “Avevo voglia di confrontarmi con uno spazio nuovo, fisico e mentale. Dopo un ristorante di successo come Casaramen, con tantissime soddisfazioni in così poco tempo, sarebbe stato più facile riprodurre lo stesso format in un’altra città o in un'altra zona di Milano. Ma ho voluto prendermi dei rischi uscendo dalla mia confort zone e provando a ricreare un modello di ristorante che, grazie ai numerosi viaggi in Giappone, ho imparato ad amare”. Il nome non è assolutamente auto celebrativo ma è più uno stimolo a volersi superare. E poi saranno diversi i piatti “super” presenti in menu.

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Il menu

Nel menu 12 piatti da condividere, tutti di ispirazione nipponica ma con un tocco sempre italiano: “La cucina ha chiaramente delle basi giapponesi per tecniche, ingredienti e ispirazioni, poi però subentra la creatività, la voglia di sperimentare, osare e cucinare ciò che mi piace senza pormi troppe barriere”. Via libera a Chawanmushi (budino a base di latte e uova), frittata al vapore con capasanta, ikura, uni e gambero rosso; Dumpling di manzo, shiitake, germogli, verdure saltate e sesamo; Takoyaki (simili a dei bignè), polpo arrosto, gamberi ed erba cipollina; Quaglia fritta con panko (pan grattato), cavolo cinese, cipollotto e salsa tonkatsu. 

E ancora Kakuni (brasato), costine, pak choi, mini carote e senape, tofu con alici, sesamo ed erba cipollina o vongole affumicate al sake con brodo tonkotsu e wasabi. Poi le proposte “super”, ovvero i piatti vegetariani, dal supersushi al supersashimi, dalla super tempura al super ramen. Sì, perché ovviamente c'è spazio anche per il ramen, il trampolino di lancio verso l'amore di Luca per la cucina giapponese, che cambierà settimanalmente a seconda della disponibilità del mercato. Casaramen Super aprirà solo la sera tranne il sabato e la domenica a pranzo, “così potrò fare la spola tra i due locali”.

 

Casaramen Super | Milano | via Ugo Bassi, 26 | aperto solo la sera tranne il sabato e la domenica a pranzo | da fine febbraio

 

a cura di Annalisa Zordan

 

 

Eggs a Roma. A Trastevere tavola per chi ama le uova, dalla gallina al caviale. Con il team di Zum e Puntarella Rossa

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Di gallina, struzzo, quaglia, riccio. Per preparazioni dolci e salate, come la mitica Carbonara. Nel cuore di Trastevere, dove un tempo c'era Pianostrada, il nuovo locale di Barbara Agosti e Puntarella Rossa si propone come paradiso delle uova, da colazione a cena. E con la Carta della Carbonara. 

Da Zum... a Eggs

Se ti presenti sul mercato della ristorazione romana con la promessa di incarnare il paradiso pop delle uova, le aspettative si fanno subito alte. A far ben sperare c'è la garanzia di un team che negli ultimi mesi ha lavorato bene sulla piazza capitolina, conquistando gli estimatori di un tiramisù fatto come si deve, ottimi ingredienti, preparazioni artigianali, la giusta dose di creatività. E una buona attitudine all'imprenditorialità, che il dolce al cucchiaio più amato dagli italiani (solo qualche giorno fa questa passione è stata istituzionalizzata da una giornata nazionale dedicata al tiramisù, il prossimo 21 marzo) l'ha ripensato come ottimo snack da passeggio – tradizionale, semifreddo o su stecco gelato – packaging funzionale compreso. La garanzia in questione è quella di Zum, e di Barbara Agosti, che il laboratorio di pasticceria alle spalle di Campo de' Fiori lo dirige dalla scorsa primavera, insieme alle socie Laura Iucci Dominika Kosik. E ora è pronta a raddoppiare l'impegno, in vicolo del Cedro numero 26, Trastevere. Proprio dove fino a qualche tempo fa si accalcavano gli avventori di Pianostrada, oggi felicemente ricollocato dall'altra parte del Tevere, in via delle Zoccolette. Un “passaggio di consegne” che si giocherà all'insegna dell'originalità del format. Come è stato agli inizi di Pianostrada, e come sarà, dalla metà di febbraio, per l'esordio di Eggs. Il progetto nasce in partnership culturale e in società economica con il blog d’informazione Puntarella Rossa che marchierà con il proprio sigillo di qualità (il maialino rosso col forcone) alcuni dei prodotti in menu e curerà la selezione di vini artigianali e naturali da piccoli produttori che non fanno uso di chimica. “Non è una collaborazione soft” spiegano dalla redazione del blog “siamo propri soci con le amiche di ZUM e questo diverrà un po’ il resident-restaurant di Puntarella. Utilizzato per i nostri eventi, degustazioni, corsi…

Uova a colazione, pranzo, cena. Dalla carbonara ai 64 gradi

E l'idea si concentra, senza troppi giri di parole, all'uovo. In tutte le sue forme, dimensioni, cotture, rigorosamente bio (di tipo 0, da allevamenti selezionati) e pure con alternative curiose all'uovo di gallina, dallo struzzo alla quaglia, alle uova di riccio, al caviale. Tra i nomi celebri selezionati sul territorio italiano, in veste di fornitori di qualità, Paolo Parisi, Peppovo, San Bartolomeo. E il menu? Aperto con orario continuato da mattina a sera – conoscete alimento più versatile dell'uovo? - a colazione come per placare la fame serale, la proposta si avvale di un asso nella manica che ingolosirà i romani doc (per tacere dei turisti!): una carta della Carbonara, con dieci variazioni sul tema del primo piatto principe della tradizione locale. E poi tutte le più celebri ricette a base d'uovo, dall'occhio di bue alle scrambled egg, e piatti più sperimentali, come l'uovo a 64 gradi con puntarelle e bagna cauda. Più un percorso di degustazione in sei tappe – il Gioco dell’ova – dall'uovo di quaglia all'ostrica al caviale con erba cipollina. Tutto nel piccolo spazio/laboratorio che gli assidui frequentatori di Pianostrada hanno imparato a conoscere, ripensato – senza stravolgimenti – in chiave pop, in forma di bistrot contemporaneo, che ospiterà pure un calendario di incontri e appuntamenti con produttori locali e chef.

 

Eggs | Roma | vicolo del Cedro, 26 | dalla metà di febbraio, aperto dalle 10 alle 23 | tel. 06 5817363

 

a cura di Livia Montagnoli

Bonci arriva a Chicago. I nuovi progetti del Michelangelo della pizza

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È ancora Gabriele Bonci, l'uomo che ha rivoluzionato il concetto di pizza a taglio nella Capitale, a innovare il mondo della panificazione. Dopo il progetto al Carrefour Market, il pizzaiolo si lancia in una nuova avventura all'estero, con l'apertura di un primo punto vendita a Chicago. Ma questo è solo l'inizio.

Gabriele Bonci

Da sempre Tre Rotelle (massimo riconoscimento) della nostra guida Pizzerie d'Italia, fin dall'inizio un punto di riferimento per i romani affamati e tutti gli appassionati dell'arte bianca: Gabriele Bonci con i suoi punti vendita nella Capitale è il pizzaiolo più noto, amato e innovatore. Sia perché ha stravolto il concetto stesso di pizza a taglio, sia perché ha creato una filosofia tutta sua che è diventata ispirazione per decine di professionisti, imprenditori o aspiranti pizzaioli. Ma soprattutto perché nonostante il successo e la fama che ormai lo precedono, Gabriele ancora oggi si mette in gioco, sperimenta, prova, cambia le carte in tavola e ricomincia da capo. C'è stato il progetto con Pamela (Pam) Yung e José Ramírez-Ruiz del ristorante Semilla di New York lo scorso giugno, una due giorni di pizze preparate a sei mani e co-ideate da Bonci e i due chef americani, ed è stata poi la volta del Carrefour Market di Roma in via Fracassini, iniziativa che ha consentito al pizzaiolo di portare il gusto gourmet anche nella Gdo, solo per citare alcune delle mosse più recenti di Gabriele, che ora si prepara a esportare il suo concetto di pizza, e più in generale il suo approccio al cibo, anche all'estero.

 

Pizza a taglio, Bonci

Chicago: scena gastronomica e cultura della pizza

Un progetto che era già nell'aria da tempo e che si concretizzerà a giugno 2017 (in data da definire) negli Stati Uniti, un paese con cui Bonci ha da sempre un forte legame affettivo. Peraltro ricambiato. E quale città meglio di Chicago per intraprendere una nuova attività? La metropoli dell'Illinois è attualmente in pieno fermento enogastronomico, grazie alla nascita di diversi ristoranti di alta cucina ma anche di locali polifunzionali, bistrot dalla formula più economica e democratica, in grado di adattarsi a tutte le tasche. Ed è anche la città della pizza: “Il loro piatto tipico è proprio la pizza, con base biscottata e poi mozzarella fusa e salsa di pomodoro, una sorta di margherita al contrario”, spiega Bonci, “concettualmente è un'idea fantastica”. E a breve Chicago potrà vantare anche un'altra inestimabile ricchezza gastronomica, patrimonio della cultura culinaria tricolore: la pizza a taglio. E non una qualunque.

Bonci Usa

A essere esportato infatti non sarà solo il modello della pizza in teglia alla romana alla maniera di Bonci (e il suo panino con porchetta), ma tutta la filosofia che è alla base del suo lavoro. “Quello che mi aspetto da questo progetto è far diventare il mio credo un marketing, una missione e, di conseguenza, una visione”. Condivisa da lui e i due investitori della neonata società Bonci USA, Rick Tasman e Chakib Touhami. Entrambi nel settore della ristorazione, i due soci si sono conosciuti anni fa lavorando nella sezione marketing della catena Flip Burger Botique, per la quale Chakib ricopriva il ruolo di direttore operativo. Prima ancora Rick – presidente della Bonci USA – lavorava come Ceo per P.F. Chang's, catena di ristoranti asiatici fondata all'inizio degli anni '90 e diffusasi presto in gran parte degli Stati Uniti. Insomma, due professionisti del settore con le idee chiare, che hanno individuato nell'approccio di Bonci delle similitudini con il loro concetto di cucina. “Avevamo tanto sentito parlare del famoso Bonci in Italia e negli Stati Uniti, e così è nata l'idea del progetto”, che ha portato oggi alla creazione di una società a tutti gli effetti che ha acquistato il marchio Bonci e che ne detiene i diritti per le aperture in America, Europa e Asia. Resta invece a discrezione di Gabriele (che ha una quota importante della società) ogni qualsiasi decisione per eventuali aperture in Italia.

Gli obiettivi

Scopo principale di questa collaborazione? “Portare Bonci e tutta la sua filosofia in America e poi nel mondo”, specificano i due soci. “Questo elemento è fondamentale per la nostra iniziativa: non siamo noi a scegliere, semplicemente cerchiamo di facilitare il suo ingresso negli Stati Uniti, ma è lui ad avere l'ultima parola ed è lui a dover approvare tutto”. Ma quali sono le caratteristiche di questa nuova apertura? “Vogliamo proporci come locale autentico, cercando sempre di rispecchiare i principi alla base del lavoro di Gabriele”. Formula simile a quella della prima pizzeria in via della Meloria, dunque, ma non identica. Perché i locali che portano la firma di Bonci hanno tutti gli stessi standard di qualità, gli stessi valori, ma ognuno ha la sua anima e la sua personalità.

 

Pizza a taglio, Bonci

Le materie prime

E così sarà anche a Chicago, precisamente in Sangamon Street nel quartiere di Auburn Gresham, a sud della città, “una zona molto giovanile, frequentata da studenti e ricca di locali interessanti”. Qui, un team tutto americano preparerà le pizze stile Bonci con (quasi) tutti ingredienti americani: “Per alcune materie prime, come la mozzarella, sto avendo un po' di problemi, ma per tutte le altre – ortaggi in primis – ho trovato dei produttori fantastici”. E quando Bonci parla di produttori, si riferisce alle piccole farms americane che lavorano secondo i dettami dell'agricoltura naturale. È proprio la naturalità il fil rouge che lega tutti i punti vendita del pizzaiolo: “In questo, non scendiamo a compromessi. La qualità prima di tutto, prodotti naturali e sani”, specifica Nick. E aggiunge: “Gabriele ha testato ogni singolo ingrediente che gli abbiamo proposto. Senza il suo ok, non si va avanti”.Fra i prodotti italiani troviamo le farine, ancora una volta piemontesi by Mulino Marino, “ma col tempo proveremo a sperimentare anche con grani americani”. A formare il personale del locale sarà un gruppo di ragazzi italiani che si è già fatto le ossa nei vari punti vendita capitolini, nonché lo stesso Gabriele, che andrà a Chicago prima dell'apertura.

Il design

130metri quadri la dimensione del nuovo Bonci(ma il nome non è ancora definitivo), uno spazio che dà la possibilità di inserire qualche sgabello, “anche se principalmente la formula sarà quella del mangiare in piedi”. A caratterizzare il locale, volumi netti e uno stile minimal, “lo stesso del Mercato Centrale, per capirci”, e i colori bianco e marrone che sono diventati ormai simbolo delle sue pizzerie. “Elemento principale della pizzeria di Chicago sarà la luce”, aggiunge Rick, “che dovrà illuminare la pizza – vera protagonista del locale – sempre nel modo migliore”.

Progetti futuri

Al momento, l'apertura nell'Illinois sta impegnando molto i soci della Bonci USA, ma già si pensa a dei nuovi punti vendita: “Sicuramente vorremmo aprirne un altro a Chicago, anche se ancora non sappiamo bene dove, e poi Washington, Boston, New York, Philadelphia. Siamo interessati a tutte le città più attive da un punto di vista gastronomico, quelle in cui il pubblico è abbastanza colto e attento da capire e apprezzare un format del genere”. E in Europa? “Londra è sicuramente una bella piazza, così come la Norvegia. Abbiamo poi i diritti anche in Asia e lì il Giappone sarà la prima tappa”. Per ora, non ci resta che attendere la prima inaugurazione statunitense, augurando al pizzaiolo imprenditore che questo sia solo l'inizio di un lungo percorso in grado di portare il gusto della pizza a taglio in tutto il mondo.

Bonci | Chicago | 161 N Sangamon Street | da giugno 2017

a cura di Michela Becchi

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