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Il prosciutto Dok Dall’Ava di San Daniele diventa francese

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I salumi Dok Dall'Ava parleranno francese. Il gruppo Loste Tradi-France è entrato nel capitale dello storico produttore di San Daniele del Friuli, con una quota di maggioranza. Ed è solo l’ultima di una serie di aziende del Made in Italy che “scappano” all’estero.

Le eccellenze italiane che vanno all’estero

Parmalat, Bottega veneta, Luxottica, Gucci, Bulgari, ma anche banche come Cariparma e Bnl o aziende di trasporti come Bartolini. È lunga la lista delle aziende italiane acquistate da società estere, cosa che inevitabilmente impoverisce l’economia italiana. Adesso è la volta di Dok Dall’Ava, eccellenza del prosciutto di San Daniele del Friuli, provincia di Udine. “Si tratta di allargare gli orizzonti - ha spiegato Carlo Dall'Ava, proprietario dell’azienda fondata nel 1982 - di allearsi per entrare in nuovi mercati offrendo nuove percezioni gustative. Perché l'unione fa la forza e da soli non si va lontano”. La nazionalità dei prosciutti, ha voluto sottolineare Dall’Ava, non è in discussione: un prodotto così legato al territorio - che diventa eccellenza proprio per le caratteristiche ambientali, umane e sociali di un dato contesto - non può essere sradicato.

 

L’operazione commerciale Loste Tradi-France- Dall’Ava

Il valore dell’operazione non è stato reso noto, ma i francesi di Loste Tradi-France non sono stati gli unici a tentare di accaparrarsi la storica azienda italiana, che attualmente fattura circa 8,5 miliardi di euro ed esporta in 22 Paesi.“Altre tre grosse aziende internazionali mi avevano cercato per entrare nella mia, interessate al mio prodotto e anche alla mia rete distributiva”. Loste Tradi-France, guidata da Antoine D'Espous, produce dal 1866 salsicce, salami, prosciutto cotto sia a marchio proprio che con altri brand francesi - Larnaudie, Noixfine, Frais Devant, Jean d'Audignac - rifornendo 11mila negozi di gastronomia e macelleria a settimana.

 

Gli obiettivi della compravendita

L’obiettivo, ha spiegato l’azienda, è partecipare al progetto di un gruppo in espansione: quello delle salumerie bretoni di alta qualità di Tradi-France, azienda che attualmente ha un fatturato superiore ai 300 milioni di euro.“Assieme al patron della maison, Antoine D'Espous - ha precisato Dall'Ava - sto costruendo la linea italiana dei prodotti francesi da far conoscere nel nostro Paese. E viceversa. Lo chef italiano ricerca prodotti francesi, mentre quello francese vuole anche prodotti italiani. Nelle nostre prosciutterie si possono già provare alcuni piatti. Ed è appena partita l'azione di retail. Si dice che francesi e italiani siano cugini, ora siamo fratelli”.

 

a cura di Francesca Fiore

 


10 vini per una regione. La Sardegna

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L’unicità della Sardegna del vino in 10 vitigni nei loro territori d’elezione. È la prima puntata di un ciclo che ha, come obiettivo, quello di fare una proposta di grandi e piccoli vini da scoprire, ognuno con caratteristiche diverse, ma tutti capaci di raccontare una precisa regione, con panorami, vitigni, tradizioni unici. Iniziamo dalla Sardegna.

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Sembra incredibile, ma la Sardegna del vino può vantare una ricchezza ampelografica che conta su più di 150 vitigni autoctoni. Da Nord a Sud è un susseguirsi di varietà diverse, alcune delle quali sono presenti in pochi filari, altre si trovano invece in distese più importanti. Ma la vera differenza la fanno i territori, anch’essi diversi per altitudine, sottosuolo, microclima: si passa dalle vecchie vigne allevate ad alberello in zone montuose (che in Barbagia arrivano anche a 800 metri sopra il livello del mare), a vigne a piede franco su sabbia, vicinissime alla costa; e ancora dai terreni granitici e dai climi miti della Gallura, a zone più calde del Campidano, dove la vite è piantata su terreni calcareo-argillosi.

È grazie a questa diversità che i vitigni autoctoni trovano la loro grande valorizzazione, e ciò si può percepire a partire dalle due uve che da sole valgono ben più della metà della produzione isolana: cannonau e vermentino sono presenti in tutta l’Isola, ma se vinificate nel pieno rispetto di ciò che avviene in vigna riescono a dare vini molto diversi a seconda della zona in cui ci si trova. Stesso discorso per le altre varietà che la cui diffusione è limitata a particolari zone: possiamo a gran voce parlare di valorizzazione dell’autoctono se puntiamo su territori precisi, i cui nomi dovrebbero essere utilizzati sempre più per comunicare la biodiversità regionale. Usini, Serdiana, Sennori o Mamoiada (giusto per fare alcuni esempi) dovrebbero diventare delle vere e proprie Denominazioni e così si dovrebbero chiamare i vini lì prodotti. Solo così il consumatore riuscirebbe a percepire la diversità dei territori viticoli sardi e di conseguenza quanto il legame tra microzone e vitigno sia importante.

 

Quelli che seguono sono dei grandi vini sardi ottenuti esclusivamente da varietà autoctone che crescono in zone specifiche, grazie alle quali riescono a esaltarsi al meglio. Dieci vini che coprono buona parte del vigneto regionale e rappresentano un piccolo, piccolissimo esempio del complesso terroir sardo: quel mix di vitigno, zona e lavoro dell’uomo atto a produrre vini autentici e territoriali. È l'inizio di una nuova rubrica con a quale vogliamo

 

1. Carignano del Sulcis 6Mura ’11 – Cantina Giba

Ottenuto unicamente da vecchie vigne ad alberello coltivate su terreni sabbiosi, il 6Mura è il rosso più importante della cantina che ha sede a Giba, paese da cui prende il nome. Il clima caldo e le piante allevate ancora a piede franco offrono un grande rosso mediterraneo, dalle note intense e persistenti di macchia mediterranea, mirto e ciliegia, in cui non mancano profumi di cuoio e tabacco. La bocca è calda e cremosa, il tannino molto morbido e maturo, ma la beva è scandita da freschezza balsamica e da un finale sapido e profondo. Ideale se bevuto a 16°C e abbinato a carni rosse in umido.

 

2. Dettori Rosso ’11 – Tenute Dettori

Il Dettori Rosso è ottenuto esclusivamente da una vigna di cannonau centenaria, dislocata a 250 metri d’altitudine in una zona chiamata Badde Nigolosu. Siamo all’interno dell’Igt Romangia ed è così che il vino viene commercializzato, rifiutando la Doc regionale sul Cannonau che farebbe passare in secondo piano il particolare territorio del comune di Sennori. Il lavoro qui si fa quasi unicamente in vigna, mentre in cantina Alessandro Dettori si limita alle operazioni essenziali. Per scelta si utilizzano solo le vasche in cemento per fermentazione e maturazione. Il 2011 è un grande rosso: i profumi stupiscono per intensità offrendo note di elicriso e rosmarino che anticipano sentori di mirtillo, ciliegia e prugna. A un’ultima nota di rosa passita segue una bocca possente e voluttuosa, che sa essere ritmica e vibrante per sapidità e lunghezza. Finale interminabile e integro nel far riemergere le note olfattive. Da abbinare a pecora arrosto, servito a 18°C.

 

3. Barrile Nieddera ’13 – Contini

La nieddera è un’uva dell’Oristanese, capace di dare vini autentici e molto caratterizzanti per profumi e sapori. Tra le aziende che hanno sempre creduto in questa varietà troviamo Contini, cantina meglio conosciuta per la valorizzazione della Vernaccia di Oristano. Il Barrile è una selezione delle migliore uve nieddera della tenuta che provengono dalla bassa Valle del Tirso. La versione 2013 offre un naso tutto giocato su spezie, sottobosco e macchia, la bocca è fresca e scorrevole pur non nascondendo la bella struttura. Finale ritmico e scandito da un tannino puntuto, ma maturo e da una sapidità finale che spinge il vino in profondità. Perfetto se servito a 18°C e abbinato a cinghiale in tegame.

 

4. Monica di Sardegna Sup. Iselis ’14 – Argiolas

La monica è una varietà molto diffusa nel Sud Sardegna, specialmente nella zona del Parteolla, da sempre utilizzata in assemblaggio con altri vitigni al fine di produrre vini semplici e quotidiani. Da qualche anno a questa parte l’azienda Argiolas ha puntato molto su quest’uva a bacca rossa e, sfruttando la tipologia Superiore ammessa dalla Doc, ha imbottigliato un grande vino rosso capace di offrire complessità e longevità. Tutte le uve provengono dal vigneto Iselis, a Serdiana. I profumi sono giocati su ciliegia, prugna e fragola, non manca un cenno speziato molto pulito e nitido. La bocca è rotonda, avvolgente, cremosa, dalla bella sapidità e dal finale profondo. Da servire a 16°C abbinato a polpette di manzo al sugo.

 

5. Cagnulari ’14 - Cherchi

Usini è un territorio particolarmente vocato per la produzione di vini di qualità sia per i bianchi a base di uve vermentino, sia per i rossi da uve cagnulari. Per quest’ultima varietà Cherchi si può definire uno dei riferimenti, forte di alcune vigne storiche su terreni calcareo argillosi, dislocate sulle colline che circondano il paese. Il microclima fa il resto garantendo escursioni termiche e il passaggio delle brezze marine. L’annata 2014 in Sardegna è stata ottima e il Cagnulari di Cherchi approfitta del bel millesimo per offrire sfumature variegate che vanno dalla ciliegia, al ribes, passando per sensazioni di cuoio, tabacco e sottobosco. La speziatura precede una bocca fresca e ritmica, dalla beva scorrevole e appagante, giocata su un tannino maturo e rotondo e su una sapidità che si avverte soprattutto nel finale. Ottimo se accompagnato a salsiccia arrosto, servito a 16°C.

 

6. Semidano di Mogoro Sup. Puistèris ’13 – Cantina Il Nuraghe – Mogoro

Mogoro è un piccolo paesino dell’alto Campidano, in provincia di Oristano. Il mondo del vino lo ricorda per un particolarissimo vitigno a bacca bianca, il semidano che si trova esclusivamente qui e riesce a offrire dei vini affascinanti e longevi. Da diversi anni la cantina di Mogoro – cooperativa che può contare su quasi 500 ettari vitati dei conferitori – ha puntato su questa varietà, selezionando le migliori uve dai vigneti storici. È così che nasce il Puistèris, un vino che esce in commercio a tre anni dalla vendemmia, a dimostrare sin da subito il suo potenziale invecchiamento. L’annata 2013 si distingue per note di frutto a pasta bianca, cenni floreali e sentori di erbe aromatiche e spezie. In bocca è fresco e scorrevole dalla beva snella arricchita da una bella sapidità finale che rende il vino molto saporito e profondo. Ottimo con linguine ai ricci di mare, servito a 10°C.

 

7. Vermentino di Sardegna Stellato ’15 – Pala

Lo Stellato dell’azienda Pala è la chiara prova che i territori del vermentino sono tanti e anche nel sud Sardegna, a Serdiana, comune poco distante da Cagliari, si possono trovare dei grandi vini frutto della varietà bianca più importante dell’Isola. Lo Stellato rappresenta la massima selezione delle uve, che provengono dalle vigne più vecchie, d’età media di trent’anni, allevate su terreni sabbiosi e argillosi. I profumi sono ricchi e ben delineati, emerge la sensazione di agrume e nespola, fiori di campo ed erbe aromatiche, su tutte timo e rosmarino. La bocca stupisce per salinità, poi vien fuori la freschezza acida che equilibra una materia ricca ma composta. Bellissimo finale pulito e asciutto. Da abbinare a risotto ai frutti di mare servito a 10°C.

 

8. Alghero Torbato Cuvée 161 ’15 – Sella & Mosca

Il torbato è una particolare varietà che si trova solo nell’algherese e la produzione la dobbiamo esclusivamente a Sella & Mosca, la cantina fondata a fine dell’800 che può vantare il più grande vigneto a corpo unico d’Europa. La Cuvée 161 è una selezione minuziosa delle migliori uve di proprietà, provenienti da terreni calcarei. La fermentazione avviene in acciaio e solo una piccola parte viene fatta fermentare in barrique per poi creare l’assemblaggio prima dell’imbottigliamento. L’ottima annata 2015 offre un vino dai profumi di anice, mandorla e fiori d’arancio, in bocca è pieno e avvolgente, fresco d’acidità con la parte sapida che scandisce bene il sorso. Da abbinare a crostacei, servito a 12°C.

 

9. Malvasia di Bosa Riserva ’10 - Columbu

Il territorio di Bosa si snoda tra dolci colline vitate a pochi passi dal mare. Qui il vitigno malvasia la fa da padrone e trova un habitat ideale tanto da fregiarsi della Doc, istituita nel lontano 1972. I produttori sono pochi e ciascuno dispone di una manciata di ettari. Uno dei riferimenti è Columbu, una cantina nata per volere di Giovanni Battista Columbu e ora in mano ai figli. Degli ultimi millesimi proposti abbiamo apprezzato molto la Riserva 2010, dalle note di cedro e canditi, mandorla e fiore di camomilla. La bocca è fresca, avvolgente, rimane ancora un pizzico di dolcezza, ben equilibrata da acidità e finale sapido. È un grande vino da meditazione e vale la pena berlo in compagnia e in amicizia, così come ricordava sempre il fondatore dell’azienda. Servire a 14°C.

 

10. Vernaccia di Oristano ’09 – Famiglia Orro

Davide Orro gestisce in maniera impeccabile questa piccola azienda di famiglia, con sede a Tramatza, che si occupa di viticoltura e altre coltivazioni agricole. Sulla vite hanno scelto di dedicarsi esclusivamente ai due vitigni autoctoni dell’oristanese, nieddera e vernaccia. Quest’ultima viene prodotta in diverse versioni, da quella d’annata, giovane, fino ad arrivare alle tipologie tradizionali, caratterizzate dall’ossidazione creata con l’ausilio delle botti scolme. La 2009 appartiene a questa categoria, lo si vede subito dal colore, un ambrato carico e affascinante. Il naso profuma di frutta secca, albicocca disidratata e buccia d’arancia candita. La bocca è fresca d’acidità, dal finale sapido e la beva, pur nella assoluta complessità del vino, è snella e ritmica. Si può berla da sola, come vino da meditazione, in abbinamento alla pasticceria tradizionale o, meglio ancora, con formaggi stagionati o con muggini affumicati, un piatto tipico del golfo di Oristano. Da servire a 14°C.

 

a cura di Giuseppe Carrus

foto: Tenute Dettori

 

 

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Expo Riva Hotel. Sul lago di Garda il salone dell’ospitalità e della ristorazione professionale

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Quattro giorni dedicati al mondo dell’Horeca per individuare le ultime tendenze in fatto di accoglienza turistica e ristorazione con tanti addetti ai lavori che vogliono puntare sulla qualità dell’ospitalità. Tanto spazio per l’enogastronomia, con lo street food, le birre artigianali, l’area mixology.

Il salone dell’ospitalità

Quasi 25mila presenze solo nella scorsa edizione per una manifestazione fieristica dedicata agli addetti ai lavori, ma aperta anche al pubblico che vuole curiosare tra le ultime tendenze del settore dell’ospitalità. E con il 2017 sono 41 gli anni d’esperienza per l’Expo Riva Hotel, il salone nato nel 1979 a Riva del Garda, in quel territorio della provincia trentina che affaccia sul lago, che sulla qualità dell’offerta turistica ha saputo costruire la sua fama internazionale (i numeri parlano di un distretto turistico da 3 milioni di visitatori l’anno). Mentre a Rimini, proprio in questi giorni, il Sigep concentra l’attenzione su gelateria, pasticceria e panificazione artigianale, nella cittadina trentina la fiera annuale dell’ospitalità e della ristorazione professionale, patrocinata da Federalberghi e Federturismo Confindustria, è diventata un punto di riferimento per gli operatori del settore Horeca, e fa registrare un gran numero di adesioni tra le aziende del comparto che operano al Nord, ma pure nel resto della Penisola e all’estero.

Dei quattro focus tematiche sono due le aree merceologiche che riguardano più da vicino l’universo enogastronomico, indicatore importante per valutare la qualità dell’accoglienza in un Paese come l’Italia, che su food&beverage dev’essere pronta a scommettere sempre di più. In fiera si approfondisce il tema nella zona Food & Equipment e con gli espositori dell’area Coffee & Beverage, rispettivamente dedicate a prodotti alimentari e materie prime per la ristorazione professionale, prodotti per la gelateria e la pasticceria, attrezzature per cucine professionali l’una, caffè, tè, acque minerali, birre, vini, distillati, liquori e bevande analcoliche l’altra.

 

Street food, birra artigianale e bere miscelato

Quest’anno la manifestazione si svolgerà dal 5 all’8 febbraio, articolata in sette padiglioni del quartiere fieristico di Riva del Garda, con l’auspicio di replicare i numeri della scorsa edizione, quando gli espositori intervenuti furono più di 500. Per riuscirci la 41esima edizione sfodera diverse novità che intercettano le tendenze del momento, come l’esordio della Riva Pianeta Mixology, un’area dedicata al bere miscelato, con prodotti e protagonisti del settore. Dietro il bancone del Rivabar i bartender in arrivo da tutta Italia si cimenteranno con momenti di intrattenimento e master pratici. La sezione Solobirra, invece, porta sotto i riflettori le birre artigianali, con un programma di corsi di formazione e concorsi tecnici giocati sull’ascesa del movimento brassicolo nazionale. Ma ci sarà anche un momento per lo street food, con la gara nazionale di professionisti associati FIC che proporranno le proprie variazioni sul tema (ma tra le competizioni c’è anche Riso in Rosa, con le cuoche della Federazione in gara con il riso). Nutrito il calendario di incontri della sezione Expo Riva Hotel Academy, che offrirà 44 seminari gratuiti che indagano le prospettive future del settore. Per tornare a riflettere sul valore dell’ospitalità, le sue ricadute economiche e occupazionali nel sistema Italia. E per sperimentare con mano degustazioni e dimostrazioni pratiche per tutti.

 

Expo Riva Hotel | Riva del Garda (TN) | dal 5 all’8 febbraio 2017 | www.exporivahotel.it

Madrid Fusión 2017 report. Primo giorno: i codici condivisi della cucina

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Madrid Fusión apre la stagione dei congressi gastronomici invernali. A salire sul palco del Palazzo municipale dei Congressi la tradizione iberica e le sue attuali evoluzioni, gli sviluppi centrifughi di una ricerca che dal territorio e le tecniche anche ancestrali trova nuovi approdi.

Tocca alla capitale spagnola aprire la scena annuale dei congressi gastronomici, con la quindicesima edizione di Madrid Fusión, in abbinamento a Enofusión, manifestazione internazionale del vino. Tra tecniche e tecnologie avanzate, i cuochi di Spagna proseguono la strada dell'approccio scientifico; creatività e semplicità, sostenibilità e glocalismi gli input da Vecchio e Nuovo Mondo. Dal 23 al 25 gennaio spazio alle varie anime della cucina tradizionale iberica con Saborea España, che al Palazzo Municipale dei Congressi porta la tradizione iberica e le sue evoluzioni attuali.

 

“Code sharing” o “codice condiviso” è l'espressione che indica l'accordo tramite il quale più compagnie aeree condividono lo stesso volo, per espandere il proprio campo d'azione e contenere i costi, garantendo ai passeggeri di usufruire di tante destinazioni, ottimizzando il tempo agli scali. I “codigos compartidos” sono al centro di Asisa Madrid Fusión 2017: traslando i significati, potremmo dire che la condivisione di codici, ricerca e competenze nell'alta cucina è alla base dell'avanzamento verso il futuro del settore. Grazie anche a manifestazioni come questa, che nel tempo (quindicesimo anniversario quest'anno) hanno garantito la crescita collettiva dei cuochi con la diffusione del sapere culinario su scala planetaria: dagli inizi, con la cucina tecnoemozionale del Bulli di Ferran Adria, all'odierna riscoperta di tradizioni millenarie, come le fermentazioni. E i numeri dimostrano che, in barba a chi decreta la morte dei congressi gastronomici da anni, il racconto dell'alta cucina magari è stanco, ma non è al tramonto.

 

,Mario SandovalMario Sandoval

Ricerca e sviluppo

Siamo in Spagna, quindi, anche se il momento della tecnologia spettacolare è ormai tramontato, c'è tanta scienza applicata sul palco, fin dalle prime ore: gioca in casa Mario Sandoval del Coque di Humanes, a pochi km dal centro della capitale, cui spetta l'apertura dei lavori in auditorium. Il cuoco, conosciuto per le ricerche a cui spesso collabora (di particolare interesse quella sui fluidi supercritici), ha scaldato i motori con un intervento legato alle fermentazioni. L'argomento, al centro del discorso culinario negli ultimi anni (proprio a MF nel 2013 fu oggetto di molte declinazioni internazionali), non è né inedito né inesplorato, ma torna alla ribalta perché a questo tema Sandoval ha dedicato un libro, Fermentados Gourmet (2016), in cui approfondisce l'interesse nutrizionale e salutare dei cibi fermentati.

Il “putrido” (nella definizione di Claude Levi Strauss) per lo chef madrileno contribuisce a stabilire un nuovo codice di salubrità, grazie alla ricchezza di probiotici e al loro effetto benefico sull'organismo. Chiaro che nella costruzione dei piatti l'ispirazione arriva spesso dall'Asia (la cucina coreana, ad esempio, è campionessa di fermentati, dal kimchi all'aglio nero) o dalla tradizione europea, crauti in primis: queste preparazioni millenarie vengono però traslate nella cucina del Coque con ingredienti e tecniche prettamente iberiche. Sottolineando l'importanza dei batteri e degli alimenti fermentati come nuovo veicolo di sapore e salubrità in cucina.

 

Angel León

Ángel León

 

Riceve il premio, meritatissimo, di Miglior chef dell'anno in Europa(nel 2016 toccò a Massimo Bottura) lo chef del mare, l'andaluso Ángel León (Aponiente, Puerto Santa Maria), che dei fondali ha carpito sapori e sfaccettaure, diffondendone le potenzialità nell'alta cucina. Dopo l'epocale ricerca sul plancton marino, stavolta al pubblico dell'auditorium presenta le zuppe luminescenti, progetto su cui lavora ossessivamente da anni e che qualche mese fa ha raccontato anche agli scienziati di Harvard.

Come sempre un fatto pratico alla base della scoperta: durante una battuta di pesca di ricciola, León ha notato come l'acqua del mare utilizzata per stoccare il pesce fosse luminescente. Da qui l'avvio del lavoro di ricerca in collaborazione con il Campus de Excelencia Internacional del Mar (CEI.MAR), al quale partecipano le università andaluse.

I ricercatori hanno scoperto che la responsabilità della bioluminescenza è di un gruppo di enzimi, la luciferasi (gli stessi delle lucciole, per intenderci), che catalizzano l'ossidazione della luciferina, sostanza responsabile dell'emissione di luce. Selezionati cinque batteri e cinque specie di fitoplancton luminescenti e commestibili, hanno cercato quale fosse l'acqua di coltivazione adeguata per temperatura, salinità e nutrienti. Oggi tutto questo è semplificato in una polvere, che può essere utilizzata da chiunque per illuminare zuppe e brodi. Illuminazione che nel piatto si concretizza come un vero e proprio momento di magia.

 

Germán MartiteguiGermán Martitegui

 Cuochi dalle Americhe

Nazione ospite l'Argentina, paese che, nonostante un periodo economico di flessione, sta investendo molto, con lungimiranza, sulla comunicazione turistica. Prova ne sono le sponsorizzazioni di MF e dell'appena chiusa FITUR, la fiera spagnola del turismo, insieme alla potente cartellonistica che tappezza Madrid (con l'informazione che a chi visita il paese verrà restituito il 21% di tasse sull'alloggio).

Oltre la pubblicità istituzionale va l'intervento di Germán Martitegui, uno degli ambasciatori più noti della cucina argentina, volto di Masterchef e proprietario del miglior ristorante del paese secondo la classifica dei World's 100 Best (Restaurantlo pone al nono posto nella Latin America's 50 Best). "L'Argentina non è una vacca gigante: non è solo carne, non è solo asado. L'Argentina è un enorme bacino di materie prime". Così Martitegui esordisce nel raccontare il suo progetto Tierras, con il quale scova grandi ingredienti locali setacciando il paese da capo a piedi. Soprattutto la Patagonia pare essere fonte di ispirazione, con il ruolo che l'Amazzonia ha giocato per la (ri)nascita della cucina brasiliana o peruviana: “È in corso un processo magico di interiorizzazione: l'Argentina un grande paese che smette di guardar fuori e comincia a guardare al proprio interno per scoprire sapori, materie prime e far grande la cucina contemporanea". Il progetto Tierras è riuscito a tirar fuori una serie di prodotti che oggi fanno parte dell'approvvigionamento di tanti ristoranti argentini. L'indotto che ne deriva è importantissimo dal punto di vista economico, oltre che culturale. I cuochi devono uscire dalla cucina, secondo Martitegui, e connettersi con il loro habitat, con i produttori, con il loro lavoro.

Parlano ovviamente questa lingua i piatti presentati: il primo, sfoglia di amaranto fermentata con tartare di carne di lama e patate dolci e amare, esemplificazione della montagna argentina, con animali d'altura, tuberi dal sapore particolarissimo, tecniche tradizionali (le fermentazioni sono molto presenti nella cucina del nord del paese); sulla stessa linea l'omaggio alla Patagonia: ostrica locale king size, gambo di un arbusto patagonico, salicornia, spuma di mare e polvere di wakame. E si scopre che l'Argentina produce il 60% di tutte le alghe wakame e l'80 per centro dell'agar agar commercializzati nel mondo.

 

Maria Fernanda Di GiacobbeMaria Fernanda Di Giacobbe

La linea latina del congresso si articola sul discorso politico e sociale. È la volta della venezuelana Maria Fernanda Di Giacobbe, vincitrice del Basque Culinary World Prize, prestigioso premio voluto dal governo basco e dal Basque Culinary Center che va a cuochi/imprenditori che hanno ideato attività di innovazione gastronomica e sociale. Un premio sostanzioso (100.000 euro la cifra conferita) e nobile, per cambiare davvero le cose, deciso da una giuria che conta i più grandi chef ed esperti del mondo (ricorda nei termini il TED Prize conferito negli States).

La Di Giacobbe, origini italiane, attivista del cacao e personalità molto carismatica, è stata scelta per i suoi progetti Kakao e Cacao de Origen, con i quali ha costruito ricerca, imprenditoria e formazione intorno al cacao, creando opportunità per le donne in condizioni economicamente vulnerabili, nel contesto della complessa situazione politica venezuelana.

Intervistata da Joan Roca, al pubblico dell'auditorium racconta la lotta per un mondo più giusto attraverso la pasticceria. "Vogliamo che il Venezuela non sia conosciuto solo per la produzione del miglior cacao del mondo, ma per la produzione del miglior cioccolato". Nel suo discorso, quel tanto di realismo magico capace di affascinare il pubblico, come nel racconto del canto femminile che rende mistico il cacao Chuao: "Il frutto del cacao si identifica con la storia della nostra nazione, il Venezuela è un paese matriarcale e il processo di trasformazione del cacao è retto da un'oralità che si trasmette da nonna a nipote. Noi abbiamo tentato di unire il patrimonio di sapori creoli all'interno delle praline e dei bon bon, unendo la memoria gustativa dell'infanzia e i prodotti locali". Decine di produttori coinvolti, centinaia di donne impiegate nel progetto, un obiettivo di sviluppo sociale e culturale molto concreto. E Il discorso si sposta su posizioni socialiste: "Si può ottenere ricchezza solo se si condivide. Abbiamo bisogno di giustizia: siamo nel pieno di un movimento forte, che può garantire un futuro al nostro paese fatto a pezzi. Ci vuole un'infrastruttura per il cacao e il cioccolato, così come è stata garantita in passato per il petrolio". xcfvgbhn

 

Ronny EmborgRonny Emborg

Dal sud al nord del nuovo mondo, cambia la musica: esercizi di stile a rappresentare cosa accade negli States con la cucina sensoriale di Ronny Emborg, executive chef danese dell'Atera di New York City. Tramite Matthew Abbick, maître del ristorante di Tribeca, Emborg mostra una cucina divertente e colorata, che si snoda in una lunga serie di assaggi, drink su misura, essenze e scherzi, che ricordano molto la creatività spagnola. Del resto il danese è un bullinians (così vengono chiamati i discepoli di Adria), oltre a essere stato il cuoco privato della regina Margrethe II di Danimarca. Ma, in questo contesto, più che interessare l'offerta gastronomica, è la sala probabilmente il fattore innovativo dell'insegna: 18 coperti, la maggior parte dei quali intorno a un bancone, per cui gli ospiti guardano direttamente in cucina e si confrontano faccia a faccia col servizio, che diventa complice e fautore dell'esperienza gourmet.

 

Jonnie BoerJonnie Boer

Creatività e territorio

È una vera celebrità nel nord dell'Europa Jonnie Boer, tre stelle Michelin con De Librije a Zwolle, un'ora da Amsterdam. Il menu di una delle tavole più blasonate d'Olanda si nutre di orto e produttori locali, di tecniche nuove e antiche (ancora fermentazioni), di ingredienti che non erano mai entrati prima in cucina, come i bulbi di tulipano, resi appetitosi tramite un processo di conservazione in agrodolce, con cui prepara uno dei piatti presentati a Madrid.

 

Niko Romito

Niko Romito

Ma una delle ponencias da non perdere, secondo le anticipazioni dei giorni scorsi di Jose Carlos Capel, presidente di MF, è quella di Niko Romito, unico italiano invitato alla manifestazione (secondo Capel uno dei cuochi più straordinari d'Europa), presentato da Marco Bolasco.

Romito porta la complessità della semplicità sul palco del congresso: profondamente ispirato dall'ambiente e del contesto umano in cui si muove, il cuoco parte da un omaggio all'Abruzzo per raccontare il lavoro quotidiano che vede il ristorante Reale come un laboratorio in cui sviluppare ricerca e creatività che servano anche ad altre tipologie di ristorazione, come un effetto di gocciolamento verso il basso: i codici condivisi di cui sopra.

La semplicità, nel suo discorso, è tutt'altro che banale: punto di arrivo di un lavoro lungo e approfondito, è il raggiungimento di un'ideale di pulizia di sapore e di rispetto per chi mangia, grazie all'eliminazione dei grassi e di sostanze che a volte complicano la vita del cuoco. Profondo rispetto per la materia prima e per il gusto dell'ingrediente muove Romito: è sulle strutture e sulle temperature che gioca, aspetti fondamentali che modificano totalmente l'aspetto gustativo di un piatto. Il lavoro che ben conosciamo da anni sui singoli prodotti viene esemplificato per il pubblico spagnolo con la dimostrazione di piatti simbolo della sua cucina come i capellini glassati ai porri, l'assoluto di cipolla o la melanzana arrostita. Piatti con massimo 2 o 3 ingredienti, che, attraverso la stratificazione e il lavoro attento su ogni materia prima, esprimono la complessità e la potenza dei gusti terziari.

In diretta sul palco la presentazione di un nuovo lavoro sulle lenticchie, partendo dalla tradizione delle zuppe abruzzesi e ripensandola, per rendere il legume vero protagonista. Ecco materializzarsi un gel di acqua di lenticchie (addensanti naturali) e porcini, mousse di nocciole e ceci (i legumi in questo caso servono solo per dare la struttura al composto), lenticchie calde lucidate con l'acqua di cottura delle lenticchie, olio all'aglio, tartufo bianco per equilibrare e unire gli altri ingredienti. Un equilibrio di strutture e sapori che invoglia a mangiare, cucchiaio dopo cucchiaio.

 

Madrid Fusión 2017 | Spagna | Madrid | Palazzo Municipale dei Congressi | dal 23 al 25 gennaio 3027 | http://www.madridfusion.net/

 

Coque | Spagna | Humanes (Madrid) | C/ Francisco Encinas, 8 | tel. +34 916 040202 | www.restaurantecoque.com

Aponiente | Spagna | Puerto de Santamaría (Cádiz) | C/ Puerto Escondido, 6 | tel. +34 956 851 870www.aponiente.com

Tegui | Arentina | Buenos Aires| Costa Rica 5852 | tel. +5411 47709500 | www.tegui.com.ar

Kakao | Veezula | Caracas | Trasnocho Cultural. Centro Comercial Paseo Las Mercedes | http://kakaovenezuela.com/

Atera | Usa | New York, NY | 77, Worth Street | tel. +1 212 2261444www.ateranyc.com

De Librije | Paesi Bassi | Zwolle | Spinhuisplein 1 | tel. +31 38 8530000 | www.librije.com

Reale | Italiaa | Castel di Sangro (AQ) | Piana Santa Liberata, Casadonna | tel. 0864 69382 | www.ristorantereale.it

 

a cura di Pina Sozio

 

 

 
 

L’appello di Care’s. Il cambiamento climatico e l’impatto sulla cultura alimentare

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Sul palco di Care’s Talk, per il primo giorno di dibattiti della rassegna di cucina etica, salgono relatori che sommano profili diversi, tutti concentrati sul futuro del pianeta in relazione alle urgenze più incombenti: l’effetto serra, lo spreco alimentare, l’impatto delle produzioni agroalimentari. Interrogativi e risposte.

La consapevolezza alimentare per la salvaguardia del pianeta

Una scienziata ambientale, un esperto di economia ambientale, la deputata che ha firmato la nuova legge (all’avanguardia) contro lo spreco di cibo; e ancora un ricercatore e geologo, un professore di medicina ambientale, un produttore biodinamico, un esperto di storia della nutrizione e il vicepresidente di Slow Food. Preziosa – e rara - l’opportunità di trovare tutte insieme riunite su un palco tante professionalità diverse, in qualche modo legate da un imperativo importante come la salvaguardia del pianeta, del benessere individuale e ancor prima di quello sociale e territoriale. Ma sotto i riflettori della Ciasa dla Cultura, per ricordarci che Care’sè un’istanza di rinnovamento che parte dalla cucina, ci sono anche gli chef, Norbert Niederkofler ad aprire le danze, e Daniel Patterson, in arrivo da una California di cui racconta gli aspetti meno patinati, ambasciatore di una rivoluzione sociale che può partire dal cibo. Il dibattito inaugurale di Care’s analizza il rapporto tra alimentazione e salute sollevando l’annosa questione del cambiamento climatico, che più di quanto immaginiamo si relaziona alla produzione e al consumo di cibo: “Nessuno immagina che il clima passa attraverso il piatto, e difficile è far passare il messaggio”, evidenzia Mario Tozzi, chiamato a riflettere sul ruolo della comunicazione nella costruzione di una consapevolezza alimentare diffusa e sostenibile.

Il cambiamento climatico. Cause, effetti, soluzioni

Eppure lo scenario per certi versi apocalittico riassunto da Carlo Carraro, specializzato in economia ambientale, dovrebbe invitare tutti a una riflessione profonda, considerando anche quanto un’accresciuta consapevolezza alimentare potrebbe impattare sulla salute e sull’ambiente: negli ultimi 25 anni la emissioni di CO2 sono aumentate del 61%, con tasso di crescita esponenziale, e l’agricoltura genera il 24% delle emissioni complessive a livello globale (pur risentendo essa stessa del danno ambientale, per esempio con una diminuzione sostanziale della produzione di cereali e conseguente impatto sui prezzi e sulla disponibilità delle risorse alimentari). E se oggi tornare indietro sembra impossibile, scoprire che gli ultimi 40 anni hanno generato danni ambientali e climatici peggiori che in tutta la storia dell’uomo, deve portarci a vivere il cambiamento – del nostro stile di vita in primis – come strada obbligata per porre un freno al disastro. Le soluzioni avanzate dai relatori sono molteplici, compatibilmente con un dibattito che a tratti risulta confuso proprio perché ricco di stimoli ancora da recepire; per Lorenzo Berlendis (Slow Food) la partita si gioca sulla cura della terra, che passa dalla riscoperta del valore del cibo, non più solo merce, ma alleato prezioso dell’uomo. Gli strumenti sono quelli delle ricerca tecnologica e della biodiversità, ma pure dell’educazione alimentare che alimenta una nuova coscienza collettiva.

Lotta allo spreco e cultura locale

E proprio sul contributo del singolo insiste la tesi di Lisa Casali, che sul recupero degli scarti alimentari ha costruito negli ultimi anni un insegnamento coerente che diventa pratica quotidiana, impartendo pillole di economia domestica semplici da applicare. A lei il compito di lanciare la volata al tema dello spreco alimentare – “Possiamo e dobbiamo contenere lo spreco da quando facciamo la spesa al momento in cui consumiamo e conserviamo il cibo” - che attraversa l’intero dibattito, trovando (finalmente) una base legislativa nella normativa presentata sul palco da Maria Chiara Gadda. Il tema però è anche quello dell’impatto ambientale delle produzioni agroalimentari, dalle coltivazioni intensive agli allevamenti: quanta acqua e risorse consumiamo per produrre ciò di cui ci nutriremo? Quanto conosciamo i prodotti che mangiamo? Qual è il ruolo dei piccoli produttori e come è giusto riportarli al centro dell’attenzione (“lo chef dev’essere padrino del produttore” sostiene lo svizzero Dominik Flammer e cedergli parte della sua notorietà”)? Davvero l’unica strada per guadagnare in salute e salvaguardare il pianeta è diventare vegetariani? Tanti interrogativi, molte risposte diverse.

Salute a tavola

Un cappello scientifico ce lo mette Paolo Toniolo, medico ed esperto di nutrizione: ignorare i rischi di una cattiva alimentazione può essere pericoloso, perché “non esiste un cibo sano in senso assoluto, ma molti sono i cibi che ci fanno stare male”. Quali? Quelli che nascondono un eccesso di zuccheri o sale, i prodotti allevati male e, paradossalmente, anche i cereali dei giorni nostri, che a causa dell’elevata percentuale di anidride carbonica presente nell’aria, si sono impoveriti: cresce la quota di carboidrati, soccombono nutrienti essenziali, ferro, zinco, proteine. E così il cerchio si chiude.

La rivoluzione sociale del fast food

Discorso a parte merita l’intervento di Daniel Patterson, che sul palco prova a portare la sua esperienza da chef nei quartieri più poveri di Los Angeles. Poche parole, efficaci, per raccontare la difficoltà di servire cibo in comunità che vivono dimenticate dal mondo, senza servizi essenziali, spazi verdi, denaro sufficiente per vivere. Chiaro che il concetto di consapevolezza alimentare assuma tutt’altro contorno, e Locol, il fast food ideato con Roy Choi cerca di rispondere a questa emergenza sociale, intercettando i desideri della comunità, e garantendo loro cibo buono, che però è anche sano. Del resto Care’s raduna chef “che hanno qualcosa da dire, e del cambiamento vogliono farsi promotori”, ribadisce Niederkofler.

Cena in vetta. Storie da condividere

Molti di loro, in serata, si ritrovano uno affianco all’altro per cucinare in vetta, ospiti del rifugio Piz Boe Alpine Lounge. E tra una Crema di zucca con siero di queso cotija e miele d’acacia(del messicano Jorge Vallejo) e una Lingua d’agnello con cavolfiore e sake(del basco Josean Alija), o la Zuppa di ostriche, alghe e castagnedi Isaac McHale, anche il secondo giorno di Care’s si chiude a tavola, dimostrando che riflessione e intrattenimento possono convivere. E che lavorare per un obiettivo comune annulla le distanze geografiche e culturali.

 

Care’s | Alta Badia | dal 22 al 25 gennaio | www.care-s.it

Per leggere Care’s 2017. Verso la prima giornata: la promozione del territorio secondo Norbert Niederkofler

 

A cura di Livia Montagnoli

Lettera aperta del titolare di un home restaurant: “Ecco perché non riaprirò l'attività”

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Ora che la norma sugli home restaurant è passata in Parlamento, quali sono le reazioni di organizza cene a pagamento in casa propria? Abbiamo raccolto la testimonianza del titolare di un'attività di ristorazione domestica.

Ricordate questo numero: 3258. È quello del ddl appena passato alla Camera che regolamenta gli home restaurant, i ristoranti in casa. Quell'attività cosiddetta di social eating che ha suscitato polemiche a non finire, sin da quando sono nati spontaneamente i primi ristoranti fai da te nelle abitazioni private, sul modello di quelli che ci sono all'estero. I motivi di tanto rumore sono diversi, a partire dalle critiche dei ristoratori veri e propri, passando per l'entusiasmo di molti e le perplessità (di vario ordine, primi tra tutti quelli igienico-sanitario e contributivo) di molti altri. Di queste attività abbiamo parlato in diverse occasioni, evidenziandone le criticità, vantaggi e seguendo l'iter legislativo. Ora, che la normativa ha preso forma (sebbene manchi un passaggio in Senato che potrebbe modificare ancora le carte in tavola), le polemiche non sono sedate, con ristoratori tradizionali e fai da te a manifestare la loro insoddisfazione. Abbiamo voluto dare voce a uno dei primi ad aver intrapreso, a Roma, l'attività di ristoratore domestico: lo stesso Michele Ruschioni che abbiamo già sentito un paio di anni fa quando iniziava a emergere in maniera più evidente il fenomeno degli home restaurant.

 

 

Michele Ruschioni, titolare di home restaurant

 

La sharing economy è un fenomeno ineludibile dei nostri tempi e come tale andrebbe gestito e affrontato. Così non sembra essere per quanto riguarda la normativa, passata alla Camera a larga maggioranza, che si appresta a regolare il fenomeno degli home restaurant. Chi scrive ha organizzato eventi di social eating nella propria abitazione romana anticipando di un paio di anni il fenomeno e attendeva con molto interesse l’arrivo di una legge che regolasse il fenomeno per capire se continuare o smettere.

 

La norma

Purtroppo più che a una regolamentazione siamo di fronte a una dissuasione sotto forma di legge. Nella cucina degli home restaurant entrano limitazioni, tetti e obblighi tali da scoraggiare chiunque a iniziare questa micro attività imprenditoriale. Il gioco non vale più la candela. L’intento di controllare e vigilare è estremamente restrittivo - non più di 5mila euro di incasso annuo e divieto di avere nell’arco di dodici mesi più di 500 coperti – limiti ai quali va aggiunto l’obbligo di registrarsi all’interno di una piattaforma digitale per gestire le prenotazioni. E ancora: divieto di organizzare attività di home restaurant nel caso una camera di casa vostra fosse destinata a bed&breakfast.

 

Ristoranti tout court e ristoranti in casa

Perché porre tanti limiti a chi vuole iniziare questa piccola attività? Il sospetto è che questo testo sia stato scritto sotto dettatura delle associazioni di categoria spaventate dalla pubblicità che ha avuto il fenomeno e convinte, erroneamente, che queste attività possano sottrarre clienti alla ristorazione tradizionale. E qui risiede il più grosso abbaglio della vicenda. Chi decide di pranzare o cenare in un home restaurant lo fa perché spinto da motivazioni diverse rispetto al cliente di un ristorante tradizionale. Pur ruotando intorno a dei piatti fumanti sono due mondi distinti: chi sceglie l’home restaurant cerca una esperienza insolita, ha una spiccata vocazione alla socializzazione ed è ben disposto ad adattarsi a quello che passa il convento. Chi varca la soglia di un ristorante si aspetta un menù particolare e vario, una carta dei vini e una certa professionalità da parte di camerieri e chef. Possibile che non se ne rendano conto?

 

Le obiezioni

Di fatto si pongono dei limiti fastidiosi alla voglia di lavorare e alla libera iniziativa e questo fa sorgere alcune domande: perché, pur pagando le dovute tasse e rispettando quello che c’è da rispettare, si impone di non superare i 5000 euro? Parliamo di 5000 euro di incasso lordo che, tolte le spese varie, diventano circa 2500 euro netti. Non propriamente una cifra che fa svoltare la vita. E se poi un cliente volesse, per motivi di privacy, cenare da me senza passare per la piattaforma? Il rischio sarebbe quello di essere multati e di dover sospendere l’attività. Mi domando poi dove siano finite le preoccupazioni legate agli aspetti igienico sanitario sollevate nei mesi scorsi dalle associazioni di categoria. Di fatto scompaiono lasciando tutto al buon cuore del padrone di casa. Che il problema allora fosse solo il potenziale incasso? Ora si aspetta la decisione del Senato. Nell’attesa che la legge venga promulgata cercherò risposte a queste domande e di placare il mio malcontento. Se non dovessi riuscirci credo proprio che non riaprirò il mio home restaurant.

 

Michele Ruschioni

The World’s 50 Best Restaurants. Ana Roš è la migliore cuoca donna del mondo

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Ana Roš è la World Best Female Chef 2017. Lo annuncia The World’s 50 Best Restaurants che ogni anno stila la classifica dei migliori 50 ristoranti del mondo. Ana, insieme al marito Valter Kramar, sta alla guida del ristorante Hiša Franko, a Kobarid in Slovenia.

Ana Roš, classe '72, oggi è la regina di Hiša Franko, un maniero nel verde delle Alpi Giulie, precisamente a Kobarid, località nell’odierna Slovenia che noi italiani conosciamo meglio come Caporetto. Siamo nel lembo occidentale della Slovenia, a due ore da Venezia e a due passi dal confine italiano, dove il fiume Isonzo è meta imperdibile per gli appassionati degli sport acquatici. Qui Ana Roš ha creato il suo laboratorio gastronomico. Prima, però, ci sono stati gli studi diplomatici compiuti a Trieste, le litigate con i genitori per il cambio di rotta (e pensare che potevamo vederla a Bruxelles!) e tanta fatica per ingranare e far quadrare i conti del ristorante. Alla fine ha vinto lei. Che insieme al marito Valter Kramar ha intrapreso la sfida - lei ex sciatrice agonista di sfide ne sa – di investire tutte le sue energie in un locale in Slovenia, terra da cui attinge gran parte delle materie prime per i suoi piatti.

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Ana Roš

Figlia del medico di campagna, è riuscita a conciliare la sua carriera agonistica da sciatrice nella nazionale giovanile jugoslava con gli studi in Relazioni Internazionali. Un destino segnato il suo, se non fosse per l'amore conosciuto proprio nel locale che oggi gestisce con passione: al quarto anno di università va al Hiša Franko e conosce Valter, il figlio del patron. Iniziano a viaggiare, conoscere paesi nuovi, assaggiare e imparare. È l'inizio di una nuova carriera per Ana, quella della ristorazione. Quella stessa carriera che l'ha fatta litigare con il padre, per lei vedeva più adatta la strada diplomatica, e che oggi la vede sull'Olimpo degli chef. Lei, che una volta entrata in cucina ha imparato in maniera completamente autodidatta, leggendo e provando le cucine degli altri ristoranti. Scoprendo da sola il suo modo di creare, sicuramente meno restrittivo rispetto ad altri.

Hiša Franko

Oggi Hiša Franko è diventato una meta per gli appassionati e fiore all'occhiello di un territorio che offre molti prodotti freschissimi. Dalle malghe di montagna arrivano i formaggi d’alpeggio, come quello del vicino villaggio di Tolmino o il pecorino di Bovec. Il burro, Ana, va personalmente a comprarlo dai casari. E poi c’è la selvaggina, che arriva in tavola cruda, come la Tartara di cuore di cervo, lievito, radicchio dell'orto oppure ammorbidita da cotture lente come ilCapriolo, mela cotogna, topinambur, salsa di cozze, cavolo nero. Altro capitolo è il pesce. Pensiamo alla trota marmorata, esclusiva di questi bacini fluviali, che si è salvata dall’ibridazione con altre specie grazie agli sbarramenti naturali di questi torrenti impervi. Qui è un piatto di casa. Ana nel menu di dicembre l’ha impreziosita con l'alloro e le castagne, un altro dei preziosi regali di questi boschi. Anche l’Adriatico, molto vicino a queste montagne, fa incursione in cucina sotto forma di orate e cefali del mare aperto, salsa di vongole, cetriolo e ostrica. Dall’orto bio di casa Franko, poi, arrivano fiori e piante aromatiche. Hiša Franko non è solo il luogo dove Ana lavora, ma è anche la casa della sua famiglia, dei suoi figli Svit ed Eva Clara e ovviamente di Valter, suo marito, sommelier e direttore della cantina, che si occupa anche della boutique gastronomica all’interno del ristorante e dell’elegante resort. Un consiglio? Guardatevi, su Netflix, la puntata di Chef's Tableserie che racconta le storie dei grandi chef – a lei dedicata.

Hiša Franko | Kobarid (Caporetto) | Staro selo 1 | tel. 00386 53894120 | http://www.hisafranko.com/

a cura di Annalisa Zordan

Chocothon. Un meeting internazionale per salvare il cioccolato

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Il 21 e 22 gennaio ad Accra i maggiori esperti di cioccolato, ma anche gli stakeholder e i ricercatori di tutto il mondo si sono riuniti per affrontare le problematiche della produzione del cacao in Ghana. E fino al 25 gennaio vengono organizzati dei corsi di formazione destinati ai produttori. 

Chocothon

Il nome del meeting internazionale nasce come unione delle parole hackathon e chocolate, a indicare un evento e una metodologia volta a supportare la catena di produzione del cacao in Ghana. Nel corso delle due giornate si è cercato di promuovere un nuovo tipo di produzione del cacao, che attualmente presenta numerose criticità. I promotori di Chocothon - Future Food Institute di Bologna, Google Food Team e International Trade Center, con il supporto di Business School Lausannel - riconoscono infatti il cacao come uno dei prodotti che presenta una serie di importanti sfide nella sostenibilità ambientale e sociale, che se non sostenute e risolte adeguatamente potrebbero portare all’interruzione della fornitura globale: "Il cioccolato rende felici le persone, non possiamo permettere che questo prodotto cessi di esistere a causa di pratiche agricole e di approvvigionamento insostenibili. La tecnologia migliorerà la rintracciabilità nel sourcing di cacao per un futuro migliore per tutti i soggetti interessati", dice Thomas Camenzinddi Google Food Team. “Abbiamo lanciato l'idea di Chocothon - sostiene Sara Roversi, fondatrice di Future Food Institute - come un potente strumento in grado di creare una connessione tra l’apprendimento e il fare, con il fine di condividere informazioni, promuovere l'uso della creatività e l'importanza della cooperazione e il lavoro di squadra , per affrontare le sfide più importanti a livello mondiale come la sostenibilità e dei diritti umani nella catena alimentare".

Perché il Ghana

La decisione di organizzare il meeting in Ghana non è casuale: il Paese produce oltre il 20% del cacao mondiale, e questo è ritenuto uno dei migliori cacao al mondo. Peccato però che di media un contadino guadagni intorno a 0,84 dollari al giorno, nulla se confrontato con il valore medio di una barretta di cioccolato. Siamo nell'ordine del 3,5% sul valore medio di una barretta, che nel migliore dei casi arriva al 6,4%. Ecco perché le nuove generazioni ghanesi non sono più disposte a sottostare a queste condizioni. In un futuro prossimo, dunque, il mondo sarà a corto di coltivatori di cacao. Questo l'assunto da cui è partito il meeting, che ha come obiettivo principale l'educazione prima di tutto dei produttori (che da questo business guadagnano fino al 70% del valore medio di una barretta, troppo rispetto ai contadini). Ma anche di stakeholder e consumatori.

La partnership tra Ghana e Sicilia

A onor di cronaca, già nel 2016 l'Italia, e più precisamente la Sicilia, si era ufficialmente mossa per salvaguardare i contadini ghanesi. Pensiamo allapartnership economica tra la Repubblica del Ghana e l’Assessorato regionale all’Agricoltura per un progetto di investimento in Ghana, che puntava, da una parte a rafforzare la capacità di offerta del prodotto del Consorzio di Tutela del Cioccolato di Modica in tutto il mondo, attraverso un contatto diretto con uno dei più importanti paesi produttori di cacao, e dall’altra a favorire investimenti e nuovi posti di lavoro tra Sicilia e Ghana oltre ad attenuare la spinta migratoria dei giovani ghanesi verso l’Europa. Ovviamente questa notizia non è stata esente da polemiche: per alcuni il cioccolato di Modica è stato senza giri di parole svenduto. Ma torniamo al meeting.

Le sfide e le proposte emerse

Numerose le proposte per garantire la sopravvivenza del cacao emerse durante Chocothon. Come condividere la conoscenza (dal 23 al 25 gennaio sono organizzati una serie di corsi di formazione destinati ai produttori), rafforzare i produttori, puntare su nuove tecnologie e connettere gli stakeholder attraverso un'unica piattaforma. Lo ha dichiarato Sandra Cabrera di International Trade Center: “Il potenziale che deriva dall’unione di istituzioni pubbliche e soggetti privati per raggiungere risultati nella produzione del cacao è altissimo. Tutti gli attori potranno beneficiare e collaborare attraverso piattaforme multi-stakeholder, promuovendo la trasparenza lungo le catene di approvvigionamento e lavorando così insieme verso strategie innovative per rendere il commercio sostenibile una realtà". Come aiutare e sostenere Chocothon, che dal 22 al 26 maggio bisserà? Lo si può fare a vari livelli attraverso la piattaforma internazionale di crowdfounding. Tutte le donazioni andranno a favore dei contadini ghanesi e di quelle start-up innovative che propongono nuove tecnologie volte a gestire al meglio la raccolta e a migliorare la qualità del lavoro.

chocothon.com

a cura di Annalisa Zordan

 

 

 

 

 

 

 

 


Madrid Fusión 2017 report. Secondo giorno: l'importanza di essere una squadra

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Nella seconda giornata di Madrid Fusión una staffetta tra le cucine del mondo. Tanta Asia: Filippine, Giappone, e anche la fusion a tutto rock che firma David Muñoz nel DiverXo di Londra e poi ancora l'Argentina, paese ospite. Ma poi la giornata cambia direzione e si parla di capitale umano, con l'immancabile e prezioso intervento dei fratelli Roca.

Il secondo giorno di Madrid Fusión si snoda in un viaggio tra i continenti, con approfondimenti che toccano le Filippine, il miglior sushi del Giappone e, ancora, la cucina ebraica contemporanea dell'Argentina, paese ospite del congresso. Non solo piatti, ma anche psicologia applicata alla ristorazione, per riportare il discorso sulle persone oltre che sul prodotto, protagonista quasi esclusivo della narrazione gastronomica degli ultimi anni. Sono i Roca soprattutto a puntare sulle relazioni umane, come chiave del successo di un grande ristorante.

 

La presentazione di Madrid Fusión ManilaLa presentazione di Madrid Fusión Manila

Il viaggio tra i continenti

Tre secoli. Tanto è durata la colonizzazione spagnola nelle Filippine. E molto stretto è il rapporto tra Madrid Fusión e l'arcipelago, non solo, naturalmente, per motivi linguistici e storici: nel paese, ormai dal 2015, il congresso ha una sua costola indipendente, Madrid Fusión Manila, che, quest'anno, dal 6 all'8 aprile, sarà incentrato sulla sostenibilità gastronomica.

 

Tatung Sarthou

Tatung Sarthou

 

A rappresentare il paese sul palco Tatung Sarthou, chef e avvocato, una vera e propria celebrità, grazie al suo studio appassionato della cucina preispanica e alla militanza nella difesa dei produttori locali. Alla base della sua ponencia sapori legati al sudestasiatico e alle tradizioni islamiche, lontani dalle influenze occidentali poi trapiantate nel paese durante l'era coloniale. Compresenza dei gusti acido, dolce, piccante, salato (come nella tradizione malese ad esempio) e tanti ingredienti autoctoni filippini nei suoi piatti, a partire dal riccio ripieno di granchio, cocco nero e palapa, una pasta di zenzero, peperoncino e cocco tostato.

 

Tomas Kalika

Tomas Kalika

Il futuro, quindi, allo stato attuale nasce dalla conoscenza approfondita del passato. E dal suo stravolgimento. Come è accaduto per la cucina ebraica al Mishiguene di Buenos Aires. La parola in yiddish vuol dire “pazzo” e un po' di pazzia effettivamente deve muovere Tomas Kalika, cuoco argentino, di famiglia ebrea polacca, che rivisita i grandi punti fermi della cucina ebraica con i canoni creativi contemporanei, creando uno stile divertente e gioioso. Potrebbe apparire strana come accoppiata, ma l'Argentina ospita la maggior comunità ebraica al mondo dopo gli Stati Uniti. Non kosher (Kalika non è religioso), ma profondamente legato alla memoria familiare e influenzato dalla tradizione culinaria di Gerusalemme, il Mishiguene ha innovato profondamente la scena gastronomica della capitale argentina, sorprendendo in primis gli scettici ebrei di Buenos Aires. Per non parlare dei concerti di musica klezmer che ne animano le serate (insieme alla vodka).

Tra i piatti presentati, oltre all'unione inedita tra pastrami e asado, la reinterpretazione del "meorav yerushalmy" (in ebraico mescolanza di Gerusalemme), tradizionale pita con interiora di pollo, cipolla e sottaceti. Simbolo di quella mescolanza tra oriente e occidente che rende la cucina israeliana ricchissima, Kalika lo reinterpreta al piatto, accompagnando cuori e fegatini di pollo saltati con una spuma di hummus fatta al sifone, cipolla marinata sottovuoto, peperoncino confit, ceci fritti.

 

Takayuki OtaniTakayuki Otani

Non è mai stato (ancora) segnalato dalla Michelin, anche se Takayuki Otani ha il titolo di maestro sensei, come il famosissimo Jiro Ono, orgoglio nazionale giapponese con Tre Stelle a Ginza. Consigliato agli organizzatori di MF da Quique Dacosta e allo chef spagnolo a sua volta raccomandato dal noto Narisawa (tra i migliori cuochi nipponici), Ootanino è uno dei templi del sushi nella capitale giapponese. Salta all'occhio il virtuosismo estremo di Otani-san: chi conosce le regole del rito sa quanto siano rigide, dall'uso dei coltelli alla temperatura di servizio, dalla proporzione tra pesce e riso alla preparazione espressa del wasabi; insieme a questo, per la selezione di materia prima eccezionale, l'esperienza e la conoscenza, c'è chi dice (e tra questi a ipotizzarlo è Jose Carlos Capel, presidente di MF) che a quel bancone si assaggi il miglior sushi del mondo. Anche perché Otani ha saputo perfezionare i piatti con innovazioni nella frollatura del pesce, che regalano al boccone consistenza e sapore speciali.

 

David MuñozDavid Muñoz

Tanta ispirazione nella cucina asiatica, ma anche una spinta creativa vulcanica che sembra fagocitare tutto il resto è quella che muove David Muñoz, tre stelle con il suo DiverXo a Madrid, approdato a ottobre scorso a Londra con il format StreetXo (già presente nella capitale spagnola). Muñoz, ormai una star, protagonista di una serie reality sulla sua vita intitolata El Xef, a Londra si è spinto a stravolgere le carte in tavola, invitando gli ospiti, nel neonato locale di Mayfair, uno dei quartieri più eleganti della città, a condividere e a mangiare con le mani le sue elaborazioni di alta cucina. In un'attività che conta 76 dipendenti e uno degli ambienti più radicali della zona, musica elettronica e sala che si muove come in un happening senza fine. Naturalmente non basta alzare il volume dello stereo per avere successo: Muñoz è ben concentrato sui suoi obiettivi e a Londra come a Madrid non trascura i cardini della cucina che gli ha regalato la fama, con piatti fusion in cui non è centrale un prodotto o un ingrediente principale, ma l'armonia tra i componenti; cocktail come estensione del cibo, nel segno di quella che qualche anno fa ha battezzato come "cucina liquida"; ingredienti esotici abbinati senza pregiudizi a quelli iberici, alla ricerca del sapore pieno. Tra le preparazioni live sul palco: granchio al chili, con un cocktail ispirato alla ton ka kai, zuppa thai a base di latte di cocco e galanga; insalata di papaya e calamaro con un cocktail ispirato, come il piatto, a Thailandia e Spagna, con Palo Cortado e lime. Sarà la provocazione, sarà la sua bravura, StreetXo London è in overbooking dagli esordi.

 

Il capitale umano

Un intervento (il primo di altri) che inaugura il filone della psicologia applicata alla ristorazione è quello di Jesús Sanchez (bistellato chef del Cenador de Amos di Villaverde de Pontones, in Cantabria) e Leandro Fernández (consulente, esperto in enneagramma). I due sul palco raccontano la propria collaborazione nata sfruttando l'enneagramma dei tipi psicologici - una "mappa" grafica che descrive nove tipi di personalità - per stabilire quali sono le “9 tipologie di cuochi che predominano nell'universo gastronomico” (così si intitola la sessione). Visualizzato come una circonferenza suddivisa in nove parti, le tipologie descritte dall'enneagramma sono, in ordine numerico: 1. il perfezionista (rigoroso e metodico); 2. l'altruista (aiuta gli altri, è empatico); 3. il competitivo (gli interessa raggiungere la meta, è pratico e motivato); 4. il creativo (è profondo, cerca l'originalità, è lunatico); 5. lo specialista (è studioso e riflessivo, ha passione per la conoscenza, ha bisogno dei suoi spazi); 6. lo scettico (è leale e previdente, responsabile, cerca sicurezze); 7. l'ottimista (è entusiasta ed energico); 8. il leader (forte e fattivo, ha tutto sotto controllo, soggetto a ira); 9. il pacificatore (conciliatore, paziente).

Sanchez, rimasto affascinato dal lavoro di Fernández sull'argomento, ne ha abbracciato modalità e fini, sia come strumento di sviluppo personale sia per migliorare la gestione della sua brigata. Estendendo l'enneagramma ai collaboratori, ne ha enucleato i profili per gestire meglio il posizionamento di ogni risorsa all'interno della squadra di lavoro. Comprendendo, ad esempio, che le qualità del tipo 2 sono indispensabili nel servizio di sala, per garantire cura all'ospite, e che le caratteristiche del tipo 5 si concretizzano in cuochi di valore, attenti a tecnica e prodotto.

 

Josep RocaJosep Roca

Anche allontanandosi dal seminato di teorie troppo rigide, l'argomento fortunatamente non lascia indifferenti i grandi chef. Importantissima la gestione del capitale umano in un grande ristorante anche secondo gli astri della cucina spagnola, quei fratelli Roca che, meritatamente, attirano il mondo a Girona per godere di un'esperienza gastronomica imperdibile al loro Celler de Can Roca. Merito non solo del menu, ovviamente eccellente, creativo, impeccabile; merito dell'attenzione alla sostenibilità del pianeta; e merito anche della centralità conferita, nella gestione del ristorante, alle persone che lo animano e alle relazioni che tra esse intercorrono. Joan e Josep Roca raccontano come questa, secondo loro, sarà la chiave necessaria della cucina in futuro, troppo concentrata finora prima sulla tecnologia e poi sul prodotto, ma dimentica del patrimonio umano della ristorazione. Settore che i due, insieme al fratello Jordi, invece non trascurano, tanto da rinunciare settimanalmente al fatturato di un servizio (quello del martedì a pranzo) per trovare il tempo di riunirsi con i propri collaboratori, parlare di creatività e progetti, dedicarsi alla formazione (con una vera e propria accademia interna), ma soprattutto all'ascolto delle esigenze e delle idee delle trenta persone che compongono la squadra del Celler. Non solo, a Girona il lavoro si arricchisce del sostegno di uno psicologo e di viaggi annuali che coinvolgono tutto lo staff, cementificando le relazioni e la fedeltà al progetto del ristorante. "Non possiamo permettere che un cuoco al Celler sia affetto da carenza di sogni" dice Josep, sottolineando come le attitudini siano più importanti dei risultati, nella sala come nella cucina e, in genere, nella vita.

Madrid Fusión 2017 | Spagna | Madrid | Palazzo Municipale dei Congressi | dal 23 al 25 gennaio 3027 | http://www.madridfusion.net/

 

Agos| Filippine | Pasay (Metro Manila) | G/F North Wing, SM Mall of Asia |www.lutongtatung.com

Cenador de Amos | Spagna| Villaverde de Pontones (Cantabria) |Plaza del Sol, s/n. 39793 | www.cenadordeamos.com

El Celler de CanRoca | Spagna |Girona | Can Sunyer, 48 | www.cellercanroca.com

Ootanino | Giappone |Tokyo | 4 Chome-11-7 Nishiazabu, Minato | www.ootanino.com

StreetXo | Inghilterra | Londra |15 Old Burlington St, Mayfair | www.diverxo.com

 

Mishiguene | Argentina | Buenos Aires | Lafinur, 3368, Palermo | www.mishiguene.com

 

Madrid Fusión 2017 report. Primo giorno: i codici condivisi della cucina

 

 
 

Enoturismo, la mappa delle cantine della provincia di Latina

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Una mappa che permette di conoscere e localizzare le eccellenze vinicole locali. È quello che hanno fatto a Latina grazie a Sky Wine, la rassegna itinerante che mira a valorizzare l’enogastronomia dei centri storici pontini. L’obiettivo è dare risalto a prodotti e produttori della provincia, sviluppando un flusso di turismo enologico consapevole.

Turismo e vino a Latina

Se il turismo ha cambiato completamente volto nel corso degli ultimi dieci anni, in parte è anche merito dell’enogastronomia, un’attrattiva non da poco per i viaggiatori. Sono diversi i territori che si sono adeguati ripensando le proprie strategie di promozione del territorio, “creando” vie e itinerari del gusto, dando vita a festival gastronomici che fanno da raccordo fra appassionati e produttori. Così anche la provincia di Latina che, grazie a Sky Wine, da anni lavora per valorizzare al meglio le cantine locali. Quest'anno c'è però una novità: per il turista appassionato di vino sarà disponibile una mappa delle eccellenze enologiche della provincia. Sono tante le aziende inserite nella mappa, che permette ai turisti di localizzare più facilmente le produzioni locali, dalle Cantine Lupo a Casale del Giglio, dal Gabbiano a Ganci, da Cincinnato a Sant’Andrea, passando per Montecorvino, Valle dell’Usignolo e Ciccariello.

 

{gallery}Sky Wine mappa{/gallery}

per vedere tutte le cantine clicca sulla mappa

 

Cos'è Sky Wine

L’obiettivo di Sky Wine è la riscoperta dei centri storici della zona, grazie all’ideazione di percorsi enologici inconsueti o poco conosciuti: un festival che ha già toccato comuni come Cisterna, Latina, Cori e Sermoneta, e che quest’anno si focalizza su Terracina, Fossanova e di nuovo Sermoneta, protagonista di una particolare edizione medievale del festival. Tre gli appuntamenti previsti per ora dalla rassegna, tutti fra maggio e agosto. Il primo a Terracina, dal 13 al 15 maggio, dove sarà celebrata la Doc omonima e il vino moscato, ma anche il legame tra la terra e il mare, con un focus sulle figure del vignaiolo e del pescatore. L’8 e il 9 luglio è la volta di Fossanova (Priverno) con l’esaltazione dei vini bianchi e degli spumanti. L’ultimo appuntamento è invece previsto per il 26 e 27 agosto, presso la Città d’Arte di Sermoneta, dove le eccellenze enogastronomiche del territorio saranno completamente immerse in uno scenario medievale.

 

http://www.skywine.info

 

a cura di Francesca Fiore

Street Food d'Italia 2017. Abruzzo: Alla Chitarra Antica di Pescara

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Una bottega di pasta all'uovo dove si fa ancora tutto a mano. Alla Chitarra Antica di Pescara è il tempio delle tradizioni gastronomiche abruzzesi e oggi, secondo la guida Street Food del Gambero Rosso, qui si mangia il miglior cibo da strada della regione.

È il 1965 quando Pina e Giovanni Minicucci, abruzzesi trapiantati in Belgio, decidono di tornare nel Bel Paese e lavorare nel settore della ristorazione. Un anno dopo, rilevano una piccola bottega di pasta fresca a Pescara, la trasformano in una gastronomia di grande qualità, oggi locale numero uno per lo street food in Abruzzo, secondo la nostra guida. Il figlio Claudio ci racconta la storia dell'attività.

Come nasce l'attività?

I miei genitori si sono conosciuti in Belgio, dove sono nato e cresciuto anche io, e sono poi tornati in Italia nel '65. Avevano bisogno di un lavoro e l'ex proprietario, il professor Giovanni Jannucci, ha assunto dapprima mia madre e poi mio padre. E l'anno dopo ha ceduto loro l'attività. La mia famiglia ha dunque rilevato il locale nel '66.

Cosa proponete?

Cucina abruzzese classica, dagli spaghetti alla chitarra ai biscotti secchi; tutti piatti realizzati interamente a mano, secondo tradizione. E poi vendiamo anche prodotti di gastronomia locale.

Che tipo di prodotti?

Vino (Marramiero, Cantina Tollo, San Lorenzo, Tenute Rosarubra, per citarne alcuni), olio extravergine di oliva (Forcella, La Quagliera), salumi (salami aquilani, mortadella di Campotosto, ventricina sia del teramano che del chietino, coppiette), formaggi (tanti pecorini di diverse zone e ricotta, sia di pecora che di mucca). E poi conserve, zafferano della piana di Navelli e lenticchie di Santo Stefano di Sessiano.

Quali sono i vostri piatti forti?

I ravioli al limone, la pasta alla chitarra e il timballo classico alla teramana, un pasticcio di “scrippelle” (frittatine molto sottili a base di acqua, farina e uova) con sugo di polpette, spinaci, uova, formaggio. E poi anche le pallotte cacio e ova, che dopo la vostra recensione sulla guida Street Food - che le elogiava come uno dei piatti migliori - sono tornate alla ribalta fra i nostri clienti.

Veniamo al piatto abruzzese per antonomasia, gli spaghetti alla chitarra. Come si preparano?

Noi li realizziamo ancora con lo carrature, il telaio rettangolare in legno con da tanti fili di acciaio posti uno accanto all'altro a distanza di poco più di un millimetro, sono questi fili che tagliano la pasta quando vi si fa scorrere sopra il matterello. La pasta è all'uovo e per il condimento, solitamente, si prepara un sugo di polpette, anche se molti chef ultimamente la propongono anche con il pesce.

Che dolci avete?

Tanta pasticceria secca, a cominciare dalle neole (chiamate anche pizzelle, ferratelle o cancellate), cialde croccanti (ma esistono anche nella variante morbida) a base di farina, uova e anice cotte sul ferro apposito, simile a quello utilizzato per il waffles in Belgio. E poi gli uccelletti ripieni, biscotti con marmellata d'uva, i rimbizze – biscotti fatti con ammoniaca, olio di oliva e limone – i bocconotti, gusci di pasta frolla solitamente ripieni di cioccolato fondente, mandorle e caffè che noi abbiamo rivisitato con una variante con crema al limone.

Solo biscotti, dunque.

Sì, e il parrozzo (realizzato dall'azienda D'Amico), tipico dolce pescarese a base di semolino, uova, arancia, mandorle amare e cioccolato, famoso perché molto apprezzato da Gabriele D'Annunzio (la leggenda narra che sia stato il primo ad assaggiarlo) tanto da diventare protagonista di un madrigale, La Canzone del Parrozzo.

Qual è, secondo te, la forza della cucina abruzzese?

La sua semplicità, e il rispetto per la tradizione. Le ricette abruzzesi sono il frutto della capacità di sopravvivenza dei contadini: in passato, i nostri antenati dovevano inventarsi piatti nutrienti e caldi per alleviare le fatiche del lavoro, pratici da portare e golosi da mangiare. In questo modo, sono nate tante delle ricette che oggi conosciamo ed è nostro compito tenerle in vita.

Puoi farci un esempio?

Una tipica ricetta contadina è la zuppa del Primo Maggio, Le Virtù Teremane, a base di legumi, pasta, verdure, odori, cotenna e osso del maiale. In passato, la tradizione delle virtù era legata alle pratiche del culto della terra in occasione del Calendimaggio, festeggiato dalle civiltà contadine. Dopo l'inverno, le massaie univano tutti i resti della dispensa alle primizie primaverili per festeggiare l'arrivo della stagione calda.

Quanti siete nel team?

Nove persone in tutto, guidati da mio padre che ora ha 78 anni ed è ancora la forza del locale.

È stato lui a insegnarti a cucinare?

Più che altro mi ha trasmesso una passione. Mi ha insegnato a conservare le tradizioni, a farle mie e a rispettare i prodotti della mia terra.

Alla Chitarra Antica | Pescara | via Sulmona, 2 | tel. 085 4224010 | www.facebook.com/allachitarraantica/?fref=ts

a cura di Michela Becchi

Guida Street Food 2017 del Gambero Rosso | Euro 6,50 | acquistabile in edicola, libreria e on line

Guida Street Food 2017 del Gambero Rosso. Ecco i risultati

Street Food d'Italia 2017. Valle d'Aosta: Sushiball di Courmayeur

Street Food d'Italia 2017. Veneto: Gourmetteria di Padova

Street Food d'Italia 2017. Emilia Romagna: Punto G di Piacenza

Street Food d'Italia 2017. Trentino Alto Adige: Briciole Food and Drink di Rovereto

Street Food d'Italia 2017. Marche: Il Furgoncino di Pesaro

Street Food d'Italia 2017. Umbria: Bacalino di Perugia

Street Food d'Italia 2017. Puglia: Piadina Salentina di Lecce

Street Food d'Italia 2017. Liguria: Moltedo di Recco 

Care’s apre lo sguardo sul mondo. Piatti d’autore e well living: la parola agli architetti, gli chef in cucina

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È una formula inedita quella proposta dalla rassegna degli chef etici che vogliono cambiare il futuro. E mentre la condivisione della cucina con colleghi in arrivo da tutto il mondo regala grandi cene agli ospiti dell’Alta Badia, sul palco si dibatte di architettura, paesaggio e well-living. Un coraggio da premiare.

Aprire lo sguardo. Spazio a nuovi temi e protagonisti

Pensiero laterale. Cos'è, e cosa c'entra con Care's? La risposta arriva dalla terza giornata della manifestazione su etica e sostenibilità in cucina, di scena tra le montagne dell'Alta Badia. Ma per una volta ci piace l'idea di procedere a ritroso nel tempo, dalla serata di gala che si sdoppia (e raddoppia) tra l’hotel Rosa Alpina di San Cassiano e Castel Ciolz, per riportare al centro la cucina, che un certo potere propulsivo dovrà pur averlo per riuscire a cedere il suo trono ad altri, scagionandosi da quella autoreferenzialità di cui molti la tacciano e generando così connessioni che aiutano a pensare positivo per il futuro che verrà. Una concatenazione di azioni possibili, stando al tenore dei dibattiti affrontati durante i Care’s Talk, che se un limite hanno mostrato è quello di aver portato sul palco un numero esiguo di chef. Oppure la scelta è voluta? I 30 cuochi riuniti da Norbert Niederkofler e Paolo Ferretti vantano tutti storie esemplari: impegnati in progetti solidali, ambasciatori della sostenibilità etica e ambientale, punto di riferimento per comunità disagiate. Eppure stavolta hanno scelto di lasciare i riflettori ad altri, cimentandosi con il palco che gli è più consono e congeniale, la cucina. Perché in fondo un piatto può (deve?) raccontare più di tante parole, e per costruire un coerente storytelling di categoria - molto invocato, ma spesso abusato fuori contesto – è più efficace, perché più autentica, l'immagine di una brigata internazionale ed estemporanea che lavora all'unisono concedendosi pure il lusso di divertirsi insieme, sapendo che ogni momento è buono per imparare qualcosa dall'altro.

La cena di gala. Obiettivi e cucina condivisi

Non c'è niente di artificioso, per esempio, nella ricerca oculata che Luca Fantin conduce in Giappone, alfiere della cucina italiana a Tokyo: nella serata di gala di Care’s porta con sé il risultato di un lavoro sulla materia prima che privilegia la territorialità anche quando si tratta di ritrovare a migliaia di chilometri di distanza da casa le proprie origini. Suo il primo piatto a base di Ditalini di farro Felicetti con bottargaprodotta in Giappone, collaborando attivamente con le realtà locali. E la cena al St. Hubertus procede così, una portata dopo l'altra, in un tripudio di cucina buona e responsabile, sotto lo sguardo benevolo di Niederkofler, che si esibisce in un succulento Maialino di Cerere, a lasciare il segno dopo un’infilata di portate che parlano mille lingue del mondo, dall’Insalata di kohirabi, dorrigo, quandong e mirto australianodi Jock Zonfrillo al goloso paninetto fritto ripieno di Sanguinaccio, cipolla rossa e mmole di porrodi Josean Alija; dagli Ortaggi invernali con crema di cicoria e patatedel californiano Daniel Patterson– che qui regala un piatto familiare alle latitudini italiane, per ingredienti e modalità di cottura – alla Bavarese all’extravergine del Garda Dop con gelato alla senape, tartare di barbabietole e mela, pepe d’acqua e topinambur frittidi Alfio Ghezzi. Grandi festeggiamenti e l’accoglienza calorosa di sempre offrono agli ospiti del St. Hubertus una dimostrazione di cosa significhi cucinare con l’anima.  A pochi chilometri di distanza, la stessa (fortunata) sorte spetta agli ospiti di Castello Ciolz, onorati pure della presenza di Ana Ros (unica quota rosa del gruppo insieme a Cristina Bowerman e Martina Caruso), che da qualche ora è la migliore chef donna nel mondo secondo gli organizzatori della 50 Best.

Abitare il paesaggio

Ma prima la giornata era trascorsa all'insegna della riflessione su architettura, design e paesaggi abitati. E qui rientra in gioco di prepotenza quel pensiero laterale, che - lasciatecelo dire - è una inaspettata ventata d'aria fresca in un mondo autoriferito, e prima ancora una felice intuizione degli organizzatori. Che l'idea potesse funzionare si era già intuito nella prima giornata, che le abitudini alimentari le metteva a confronto con il cambiamento climatico e con le urgenze ambientali. Stavolta, invece, sul palco di cibo e ristorazione si parla pochissimo, fatta eccezione per il centrato intervento di Christian Puglisi, qui in veste di imprenditore oculato e vincitore del riconoscimento per la sostenibilità applicata alla ristorazione. Con lui si avvicendano nel dibattito - con la moderazione competente di Fernanda Roggero - figure sinceramente poco note a chi in genere si occupa di gastronomia. L’idea, lo conferma Paolo Ferretti, è quella di “portare il verbo di Care’s in canali nuovi”. Come nell’universo di chi progetta gli spazi del futuro, dove benessere ed estetica procedono all’unisono migliorando il confort di chi li vive e ricordandoci che i luoghi di condivisione meritano rispetto. O nel settore di chi, lavorando su materiali e tecniche costruttive sostenibili, suggerisce una più oculata gestione del suolo: “Oggi in Italia per costruire consumiamo 8 metri quadri di suolo al secondo” tuona Mario Tozzi, “il futuro si basa su un attento consumo sul territorio”, che va a braccetto con la riscoperta del concetto di civitas,luogo di condivisione e cultura antesignano della smart city dei giorni nostri. “Dobbiamo costruire dentro al paesaggio e mettere in cantiere una riconversione ecologica completa delle attività produttive”.

Soluzioni concrete. L’esempio delle altre discipline

Le soluzioni possibili? Utilizzare il legno, per esempio, materiale antico e moderno al contempo, “rinnovabile, leggero e CO2 neutrale”, ribadisce Markus Damiani di LignoAlp. E del resto se “l’innovazione è creatività profittevole” come sostiene Alessandro Garofalo, lo scambio fra architetti, ricercatori e ingegneri mostra quella concretezza di idee e soluzioni di cui spesso lamentiamo la mancanza di fronte al dibattito gastronomico. A smentire i detrattori, però, ci pensa Christian Puglisi, che sul palco porta un perfetto esempio di economia circolare concepita sulle proprie esigenze personali.

Christian Puglisi. Antispreco, sostenibile e concreto

Il concetto è semplice: se voglio avere più tempo per godere della vita con la mia famiglia dovrò organizzare il lavoro al meglio. Ecco perché combattere lo spreco “non significa solo riutilizzare il pane, ma pure non sprecare risorse umane e tempo a disposizione”. Il Relae (il primo ristorante di Puglisi a Copenaghen), e dopo di lui le altre attività intraprese dallo chef italo-danese, dimostrano il paradigma che sostiene l’idea imprenditoriale alla base di un progetto di riduzione dell’impatto ambientale, tracciabilità della filiera, sostegno alle realtà virtuose: “Oggi la ristorazione è molto ascoltata, non possiamo limitarci a comunicare come fare, ma fare in prima persona. L’approccio è semplice, ma nasconde tanta sostanza”. Il manifesto di uno chef che da solo resterebbe una goccia nel mare; al suo fianco però c’è la famiglia di Care’s, e tanti altri che hanno scelto di accettare la responsabilità di una vita passata sotto i riflettori. Ci si ritrova a Salina a maggio, per la prima edizione in trasferta della rassegna: “Portiamo l’isola delle Dolomiti su un’isola italiana, perché il messaggio possa circolare sempre di più”. Ferretti docet. Appuntamento all’Hotel Signum dal 21 al 24 maggio.

 

Care’s | Alta Badia | dal 22 al 25 gennaio | www.care-s.it

 

 

A cura di Livia Montagnoli

La nuova macchina per fare l'olio di oliva espresso: funziona davvero?

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Una macchina promette di fare in casa l'olio, come si fa con il caffè a cialde. Ma siamo sicuri sia tutto così semplice e fattibile?

Articoli dal sensazionalismo approssimativo e informazioni superficiali sulla produzione di olio di oliva fatto in casa grazie a un particolare strumento. Ma l'olio può essere veramente paragonato al caffè a cialde?

Produrre olio extravergine di oliva non è proprio come farsi un caffè. In questi giorni girano vari articoli su come sia facile produrre un buon olio di oliva direttamente in casa propria grazie a una particolare macchina realizzata da una giovane start-up calabrese e chiamata Revoilution. Ma cerchiamo di capire meglio come funziona.

 

Il macchinario

Nella versione base il macchinario prevede l'utilizzo di una polpa di olive sminuzzata, congelata e poi compattata in cubetti pronti per essere utilizzati per estrarre l'olio. Se a paragone prendiamo il funzionamento di un normale frantoio a ciclo continuo possiamo quindi capire che salta la fase di frangitura, un passaggio che viene considerato fondamentale da chi produce olio di qualità in quanto qui si sviluppano quelli che poi saranno i profumi caratteristici di quell'olio, indicativi della cultivar che lo caratterizza. Il macchinario quindi funziona fondamentalmente come gramola e separatore. Ma anche questi sono passaggi non da poco per ottenere un olio extravergine di alta qualità in quanto la gramolatura (fase di rottura dell'emulsione tra olio e acqua per favorire la successiva fase di separazione), se fatta con tempi lunghi o a temperature troppo elevate, può intaccare pesantemente la qualità e i profumi del prodotto. Su questi elementi però non possiamo esprimere un giudizio in quanto durante la nostra visita all'ultima edizione del Maker Faire (la fiera delle invenzioni più innovative) di Roma non abbiamo avuto informazioni aggiuntive da parte dei responsabili presenti, né tantomeno abbiamo potuto assaggiare il prodotto.

Revooilution

Il nocciolo

Ciò che poi ci ha fatto riflettere è quanto abbiamo trovato riportato sul sito internet della start-up: “Come tutti sanno, il nocciolo intacca il gusto dell’olio apportando legnosità ed amarezza, diminuendo di molto la qualità e la resa del tuo olio”. In realtà in questo caso la realtà dei fatti supera di gran lunga la narrazione. Il nocciolo non intacca in alcun modo il gusto dell'olio (se non a seguito di una lavorazione sbagliata) e non apporta legnosità o amarezza. Quest'ultima soprattutto è figlia della quantità di polifenoli presenti, ma soprattutto della varietà dell'oliva. Facciamo un esempio: a parità di lavorazione un olio ottenuto da varietà coratina risulterà più amaro di uno ottenuto da varietà tonda iblea. Perché? Semplice, perché sono le caratteristiche varietali delle drupe e non un difetto provocato dal nocciolo. Altra frase poco chiara è quella sulla qualità e la resa: un'oliva priva di nocciolo darà una resa più bassa rispetto a una con il nocciolo in quanto in fase di denocciolatura una percentuale, seppur piccola, di polpa rimane attaccata a questo, quindi ci pare difficile capire questa affermazione.

 

L'olio come il caffè?

Quello che ovviamente ci preoccupa di più non è tanto l’approccio in quanto tale. Nel mondo del caffè, per esempio, si può estrarre da soli un buon prodotto avendo la possibilità di reperire facilmente una buona materia prima e soprattutto un sistema di estrazione come il V60, che ci permettono di ottenere risultati soddisfacenti anche in casa. Il problema dell'olio di oliva è che esistono una miriade di variabili che possono intaccare la qualità e queste variabili si trovano sparse per tutto il processo che va dall'uliveto all'imbottigliamento.

Ci pare dunque azzardata l'affermazione che fare l'olio sia facile come farsi un caffè, non tanto per il sistema di estrazione “a cialde” (quello è facile e assomiglia molto alle odierne macchinette per il caffè), quanto piuttosto per il risultato finale che, in un processo normale, è figlio di un anno di attenzioni verso le piante e di un lavoro in frantoio che oggi le nuove generazioni di frantoiani stanno portando avanti con orgoglio e passione, strizzando sempre l'occhio alle nuove tecniche agronomiche e agli impianti di estrazione d'avanguardia. No, non è proprio come un caffè a casa.

 

Chiaramente siamo i primi che volgiamo la nostra attenzione verso le start-up innovative (meglio ancora se italiane!) che sperimentano nel campo dell’agroalimentare e dunque totale rispetto per il lavoro dei ragazzi che stanno mettendo a punto il macchinario e totale disponibilità e diritto di replica. Nulla di meglio che aprire un dibattito.

 

a cura di Indra Galbo

 

 

 

 

Paolo Sorrentino è il regista del minifilm su Campari

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Ieri 24 gennaio c'è stata a Roma l’anteprima di Killer in Red, girato da Paolo Sorrentino, e la presentazione di Campari Red Diaries, il nuovo progetto del marchio che si apre al settore cinematografico.

Red Diaries, la nuova campagna di Campari

Campari, l’iconico aperitivo italiano dal colore rosso, ha presentato il suo nuovo progetto, chiamato Red Diaries: un viaggio in cui vengono raccontati 12 cocktail creati per l’occasione da altrettanti barman di paesi diversi, fotografati da Ale Burset e filmati da Ivan Olita, con un unico fil rouge (è proprio il caso di dirlo): ogni cocktail racconta una storia. La serie è stata aperta con lo short movie di Paolo Sorrentino. Per Campari è una rivoluzione: è la prima volta che si serve di un cortometraggio per sponsorizzare il marchio.

Il cortometraggio di Paolo Sorrentino: Killer in Red

Si tratta di un noir intitolato Killer in Red, dove gli elementi sorrentiniani ci sono tutti, dal party alle cubiste, dalla piscina alla musica evocativa. Il protagonista è l’attore Clive Owen, ma non c’è noir se non c’è una femme fatale che accende il desiderio maschile. La bella in questione, è la semi sconosciuta franco-svizzera Caroline Tillette. Il tutto si completa con la fotografia altamente riconoscibile di Daria D’Antonio e le musiche di Lele Marchitelli. Il concept dell’intera campagna è di J. Walter Thompson Milano e la produzione è targata Filmmaster Productions.Niente spoiler però, godetevi il video.
 

 

Sigep 2017 report: tutti i campioni dell'artigianato, dal caffè alla pasticceria

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Giunge alla conclusione il Sigep, manifestazione dedicata al mondo dei bar, pasticcerie, gelaterie, panifici, che ha ospitato i contest nazionali e internazionali per decretare i migliori artigiani in ogni settore. Dalla pasticceria alla gelateria, ecco tutti i vincitori di questa edizione.

L'evento

Si appresta a chiudere i battenti anche la 38esima edizione del Sigep, salone mondiale del dolciario artigianale ospitato negli spazi di Rimini Fiera. Le gare di settore sono tra gli appuntamenti più attesi, con partecipanti da tutto il mondo per le competizioni di gelateria e pasticceria juniores, mentre si resta entro i confini nazionali per il campionato di caffetteria, pasticceria seniores e panificazione. A decretare i vincitori, una giuria internazionale per ogni settore. Ma entriamo nel dettaglio.

Campionati Italiani Baristi

È tutto dedicato al mondo del caffè il padiglione D1, con stand di torrefazioni, bar, macchine da espresso e attrezzature per i locali. E di fronte allo stand della ex SCAE (Specialty Coffee Association of Europe) Italia, ora diventata SCA (Specialty Coffee Association), si trova il palco dei campionati italiani barista, dove i professionisti del settore si sono sfidati a colpi di estrazione per presentare la migliore bevanda al caffè, dall'espresso al cappuccino, dal caffè filtro al cocktail al caffè. Si è cominciato sabato 21 con le semifinali che hanno selezionato i 6 sfidanti che si sono poi fronteggiati in giorno successivo nelle finali, molto seguite dal pubblico della fiera. Tre i prodotti che i baristi hanno dovuto presentare, in lingua inglese, alla giuria (italiana e straniera) nel tempo prestabilito: espresso, bevanda al latte e signature drink. Sul podio, Angelo Segoni, campione barista 2016 che quest'anno guadagna la medaglia di bronzo, il bresciano Davide Cavaglieri, secondo classificato, e Francesco Masciullo, salentino di origine e ora barista di Ditta Artigianale di Firenze. È lui il barista dell'anno, che rappresenterà l'Italia ai campionati mondiali di novembre a Seul, in Sud Corea. Ma come si diventa campioni? “Ho iniziato a gareggiare per gioco tre anni fa. Il salto di qualità in questo genere di contesto si fa quando si ha un concept chiaro durante la gara, bisogna avere bene in mente quello che si vuole trasmettere ai giudici”.

Ibrik, Latte Art e Roasting

La mattina del 22 si è tenuta poi anche la gara di Ibrik, preparazione del caffè alla turca, che ha visto la partecipazione di soli due baristi, Helena Oliviero (ex campionessa italiana) e Simone Cattani della Coffee Training Academy di Verona, nuovo campione che si prepara per le gare mondiali di Budapest di luglio 2017. “Avevo già partecipato alle gare di Latte Art, ma quella di Ibrik è una competizione in cui bisogna interagire molto di più con i giudici. Occorre saper raccontare la bevanda e bisogna farlo nel mondo più giusto e completo possibile”. E ora è tempo di ricominciare dall'inizio, partendo dalla scelta del caffè “e migliorando tutti i passaggi della presentazione che sono stati più imprecisi”.

È stata poi la volta del contest di Latte Art, con la preparazione e decorazione di quattro cappuccini, una sfida che – più di tutte le altre – è riuscita a coinvolgere un pubblico ampio e variegato, composto non solo da esperti del settore e appassionati ma anche da consumatori. Una gara visiva, in cui l'estetica gioca un ruolo chiave, che richiede tecnica, manualità e precisione. A vincere è il giovane Matteo Beluffi, seguito dall'ex campione in carica Giuseppe Fiorini e Giuseppe Musio. "Avevo quel disegno in mente già da tre mesi", racconta Matteo, che ha conquistato i giudici con un cappuccino decorato con un'aquila reale, "e alla fine sono riuscito a realizzarlo come volevo io". Ma la scoglio più significativo per il campione era vincere la timidezza: "Mi sono allenato molto per riuscire a reggere lo stress, la pressione. Ho lavorato su me stesso e sono riuscito finalmente a proporre ai giudici la mia idea di latte art nel modo migliore".  E c'è poi il roasting, la gara di tostatura, che conferma ancora una volta Rubens Gardelli come miglior torrefattore d'Italia, che vince il titolo per la quarta volta di seguito. A seguire, Emanuele Tomassi del Caos Caffè di Aprilia (Latina) e Paolo Tessarolo di Nero Scuro di Bassano del Grappa.

Cup Tasters, Brewing e Coffee in Good Spirits

Spazio anche all'analisi sensoriale con la gara di assaggio Cup Tasters, che premia Giacomo Lo Cascio, allenato da Paolo Milani del Drupa Caffè di Livorno. “La competizione è stata molto impegnativa. C'erano dei grandi professionisti del settore come Rubens, Paolo Scimone...Sono davvero soddisfatto”. E adesso? “Si comincia subito ad allenarsi per i mondiali”. La mattina del lunedì 24 si sono sfidati poi i baristi sul brewing, estrazione con metodo filtro, presentando e raccontando ognuno un caffè particolare da estrarre al momento col sistema che meglio riesce a valorizzarlo. Numerosa la partecipazione per questa disciplina, che ha visto l'ingresso di un nome nuovo nel panorama italiano, il giovane Gianenrico Zaniol, da tempo a Berlino per lavoro. Torna in Italia per sfidare i suoi colleghi e vince, precedendo Rubens Gardelli ed Emanuele Bernabei. Ultima sfida della manifestazione è quella sui cocktail: la disciplina Coffee in Good Spirits mette i baristi alla prova con la mixology, sempre basata sul caffè. A vincere, Marco Poidomani, trainer della scuola Moak People Training di Modica.

Pasticceria Juniores e Campionato Italiano Seniores

Anche sul versante dolce sono stati diversi i contest svolti durante l'evento, primi tra tutti quelli di pasticceria. Testa a testa fra Italia e Giappone per la categoria Juniores, con la vittoria dei giovani pasticceri del Sol Levante, Yokouchi eYuki Matsuda, che hanno prevalso sulla coppia italiana, il bresciano Andrea Marzo e il bergamasco Mattia Cortinovis per pochi punti. Le creazioni erano ispirate al tema Planet Fantasy, il potere della fantasia, e sono state valutate in base alla qualità, alla ricerca nell’utilizzo delle materie prime e al perfezionamento del livello tecnico. Non si scoraggiano gli italiani, che commentano: “un anno di allenamenti, poi questa sfida così incerta. Siamo soddisfatti, abbiamo dato il meglio di noi e in gara abbiamo fatto meglio di quanto non ci riuscisse nelle settimane scorse”. E ora si ricomincia, pronti a riprovarci il prossimo anno. Per il campionato nazionale di pasticceria è invece Vincenzo Albanese di Porto Empedocle, classe '87, a guadagnare il primo posto, seguito da Alessandro Petito di Termoli e Vincenzo Ciccarello di Legnano. “Una bellissima esperienza a contatto con mostri sacri della pasticceria mondiale, con tanta gente del settore e la possibilità di scambiarsi conoscenze”, così il neocampione italiano ha definito il Sigep.

Panificazione e Cioccolato

Giacomo Zucca, titolare dello storico panificio di Casnigo in provincia di Bergamo, è invece il vincitore del concorso “Il pane di Alex e Sylvia”, ispirato al cartoon che ha caratterizzato il padiglione dell’Unione europea a Expo 2015, dedicato al pane. Gli sfidanti dovevano partire dalla ricetta base del pane di Alex e Sylvia (con miele o zucchero scuro, burro o olio extravergine di oliva, farina di frumento, fiocchi d’avena e farina integrale come ingredienti principali) e bilanciando materie prime, forma e lavorazione realizzarne la versione più buona e accattivante possibile. Alessandro Nirchio si aggiudica invece il premio del contest The Ultimate Chococake, dedicato al cibo degli dei.

Gelateria

Nell'angolo gelateria infine, dove lo scorso lunedì 23 si è svolta la presentazione della nuova guida Gelaterie d'Italia del Gambero Rosso, sono stati ben 68 i maestri gelatieri provenienti da tutto il mondo che si sono sfidati per entrare fra i primi nove che accederanno direttamente alle finali di Berlino del prossimo luglio. Angelika Kaswalder, Gianni Toldo, Santo Palamara,Rino Bernardi, Ludmilla Strakova, Manuel Rütter, Luca Rizzardini, Ezio Piccin, Guido de Rocco: questi i nomi degli artigiani in gara per il primo posto.

a cura di Michela Becchi


Diesel, dall'abbigliamento al food con il nuovo bistrot di piazza San Babila a Milano

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Moda e cibo, un legame ormai consolidato. Così dopo le esperienze di vari marchi, pensiamo a Fendi, Bulgari o Prada, anche Diesel ha deciso di lanciarsi nel mondo del food, con il Bistrot Glorious Cafè di Milano. Che propone non solo prodotti di caffetteria, panetteria e pasticceria, ma anche cucina di qualità, con piatti da consumare in loco o portare a casa.

Il Bistrot Glorious Cafè di Diesel

Fare qualche ora di shopping e fermarsi a mangiare nel locale brandizzato. Ora anche i clienti milanesi del flagship Diesel di piazza San Babila a Milano potranno farlo: Renzo Rosso ha appena inaugurato il Bistrot Glorious Cafè, in collaborazione con Autogrill, che promette di offrire una cucina di alto livello, con un’attenzione particolare alle materie prime e di voler creare una rete di produttori locali di fiducia. Il bistrot è direttamente collegato al flagship store di piazza San Babila, da poco ristrutturato dallo studio giapponese di architettura Wonderwall, che si estende su una superficie di 1.500 metri quadrati distribuiti su tre piani ed è situato all’interno della Galleria del Toro. Il concept del locale è stato studiato appositamente da Autogrill, anche in questo caso un marchio che sta portando avanti un processo di rinnovamento, che a sua volta ha collaborato con l’Università delle scienze gastronomiche di Pollenzo.

 

Renzo Rosso, imprenditore della moda con un debole per il cibo

Che Renzo Rosso, patron di Only The Brave (Diesel), sia un appassionato di food è noto: qualche anno fa è entrato nel capitale di EcorNaturaSì, leader italiana nella distribuzione di alimenti bio, con una quota sostanziosa, attraverso la Red Circle Investments, la società di investimenti di famiglia. Inoltre è proprietario dal 1994 della Diesel Farm, una tenuta di 100 ettari che si estende sulle sette colline di Marostica, in provincia di Vicenza. Qui si allevano animali, si coltivano olivi, piante da frutto, orti. E si produce vino. I vigneti sono tutti situati nella zona DOC di Breganze, dai quali si ricavano tre etichette: Rosso di Rosso, Bianco di Rosso e Nero di Rosso. Nella Diesel Farm si produce anche olio extravergine di oliva (Olio di Rosso e Olio di Rosso Riserva) e grappa.

 

Nobu Restaurant/Emporio ArmaniNobu Restaurant all'Emporio Armani

Moda e cibo a Milano

Il legame fra buon cibo e moda non è una novità: negli ultimi anni sono diverse - con le dovute differenze - le esperienze in questo senso, da Fendi a Bulgari, passando per Prada. Ed è proprio Milano, capitale della moda, lo scenario più favorevole al connubio fra il mondo del fashion e la gastronomia di alto livello. I pionieri sono stati Bulgari, con il ristorante dell’hotel in via Fratelli Gabba che ha visto avvicendarsi chef come Elio Sironi e Andrea Ferrero, ora è saldamente guidato da Roberto Di Pinto, e Dolce & Gabbana con Gold, esperienza conclusa da qualche anno (la location è passata nelle mani di Filippo La Mantia).

Era l’inizio di un trend ben preciso, ripreso da tante interessanti realtà come Ceresio7, situato sul rooftop della sede di Dsquared2, un progetto nato dalla collaborazione fra i due stilisti canadesi di Dsquared2, Dean e Dan Caten, e lo chef Elio Sironi, che ha ottenuto grande successo di critica e di pubblico. A piazza Gae Aulenti c’è inveceThe Stage, lo store Replay con un design basato su set e backstage cinematografici e una cucina di alto livello, che ben esprime l’anima cosmopolita di Milano. Sono molti altri gli esempi, pensiamo a Mimmo Milano all’interno dello spazioCasa Dondup, il brand di Massimo Berlonie Manuela Mariotti, a due passi da Porta Venezia, oppure Asola il ristorante del Brian & Barry Building in piazza San Babila guidato dal giovane Matteo Torretta. In questo contesto impossibile non citare il più classico Trussardi alla Scala, guidato dallo chef Roberto Conti, o Armani che dopo aver puntato sull'ospitalità (con l'omonimo hotel in via Manzoni) ha scommesso su una cucina internazionale con Filippo Gozzoli, proprionel ristorante dell’hotel, e su una proposta più etnica con lo spazio lasciato a Nobu Matsuhisa, uno fra i migliori chef giapponesi degli ultimi dieci anni, sempre in zona Montenapoleone. Infine, in un contesto come quello meneghino, non poteva mancare il connubio fra moda e dolci, con Prada che ha acquistato l'80% di una pasticceria simbolo della città, infatti, quella di Angelo Marchesi.

http://www.dieselfarm.it/

 

 

a cura di Francesca Fiore

 

indirizzi

Armani Hotel | Milano | via Alessandro Manzoni, 31 | tel. 02 8883 8888 | http://www.armanihotels.com

Armani/Nobu Restaurant | Milano | via Gastone Pisoni, 1 | tel. 02 6231 2645 | http://www.noburestaurants.com/milan/experience

Asola | Milano | via Durini, 28 | tel. 02 9285 3303 | www.asolaristorante.it

Ceresio7 | Milano | via Ceresio, 7 | tel. 02 3103 9221 | www.ceresio7.com

Glorious Cafè Diesel | Milano | piazza S. Babila, 1-3 | www.storelocator.diesel.com/400694-diesel-store-milan-san-babila

Hotel Bulgari | Milano | via Privata Fratelli Gabba, 7/b | tel. 02 805 8051 | http://www.bulgarihotels.com

Mimmo Milano | Milano | via Giuseppe Sirtori, 34 | tel. 02 2024 2006 | www.mimmomilano.it

The Stage | Milano | piazza Gae Aulenti, 4 | tel. 02 6379 3539 | www.replaythestage.com

Trussardi alla Scala | Milano | piazza della Scala, 5 | tel. 02 8068 8201 | ww.trussardiallascala.com

Appunti di degustazione. La verticale completa di Barrosu Riserva Franzisca, il Cannonau di Giovanni Montisci

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Una degustazione di tutte le annate del Cannonau di Giovanni Montisci: 11 annate, dalla 2004 al 2014, per consocere il Barrosu Riserva Franzisca.

iIl vino l’ha sempre fatto, la terra l’ha sempre lavorata. Ma l’idea di produrre un’etichetta capace di raccontare il territorio e di uscire dai confini del piccolo paese barbaricino (e ancor più da quelli isolani) arriva nei primi anni 2000. Ecco gli appunti dell’assaggio verticale di tutte le annate prodotte finora del Barrosu Riserva, svolta il 18 gennaio 2017, all’enoteca Mostò di Roma. La degustazione si è conclusa con l’assaggio del Modestu ‘15, il bianco di casa Montisci. Un Moscato secco dalle note affascinanti di cedro e frutta secca, fresco e mentolato al palato e dal finale piacevolmente sapido. A prova che la buona mano di Giovanni non si avverte solo col Cannonau.

 

 

La cantina Montisci e il Barrosu

Vale la pena conoscere Giovanni Montisci. Persona testarda e caparbia, di compagnia, ama il vino e tutto ciò che gli sta attorno: chiacchiere, risate, assaggi e bevute. L’annata 2004 segna la nascita del Barrosu e la consacrazione di Montisci come produttore di vino. Il suo è un Cannonau di Sardegna Riserva che ha l’obiettivo nobile di esprimere tutta l’anima del terroir di Mamoiada. La struttura non manca e con essa anche un piccolo residuo zuccherino, che si porterà dietro per altri millesimi. La vinificazione è molto semplice, essenziale. Pochi giorni di macerazione e affinamento in botte da mille litri. Col passare degli anni si è arrivati a ben 30 giorni di macerazione, il residuo dolce è scomparso, lasciando spazio esclusivo a una dolcezza di frutto, che si affianca a un’acidità balsamica e fresca, ideale per dei rossi che non scendono mai sotto i 16 gradi d’alcol.

Delle prime annate sorprendono la 2005 e la 2007 grazie al loro sviluppo verticale e alla loro capacità di esprimere un’integrità perfetta a distanza di anni. La vera svolta, soprattutto sul piano della costanza produttiva, con delle bottiglie che acquistano sempre più in finezza ed eleganza, avviene intorno al 2010. Le ultime quattro annate – pur facendo avvertire alcune differenze climatiche, così come dev’essere nei grandi vini autentici e artigiani – regalano vini di grande equilibrio e armonia. Vini di carattere e specchio assoluto di un territorio, quello di Mamoiada e di una piccola vigna di 85 anni d’età, meno di un ettaro ad alberello, posta a 650 metri sul livello del mare. Ma, soprattutto, sono bottiglie che dimostrano di saper invecchiare molto bene e che con gli anni acquistano sempre più i segni di un tempo che arricchisce e mette in evidenza vigna, clima e un lavoro carico di decenni di storia.

 

La degustazione

I punteggi sono personali valutazioni dell’autore.

 

Cannonau di Sardegna Barrosu Riserva Franzisca 2014

Annata calda ma non afosa che garantisce un’ottima vendemmia. Colore rosso rubino carico e profumi nitidi e avvolgenti di ciliegia e fragola, seguiti da una leggera sensazione di rosa, spezie, prugna e mirtillo. La bocca è scorrevole, fresca, il tannino è maturo e si avverte nel finale, seguito da una bella sensazione sapida. Grande. Valutazione: 92

 

Cannonau di Sardegna Barrosu Riserva Franzisca 2013

Buona annata, equilibrata e non caldissima. Colore rubino classico e naso scandito da note di mon cherie, confettura di frutti di bosco e spezie dolci. Pian piano si avverte anche una sensazione ematica e ferrosa. La bocca è mentolata, speziata, lunga, dal tannino puntuto per quanto dolce e maturo. Finale profondo e sapido. Sincero. Valutazione: 91

 

Cannonau di Sardegna Barrosu Riserva Franzisca 2012

Annata meno armonica, scandita da intervalli estivi di caldo e piogge. Colore rubino con primi riflessi granati. Il naso è austero e cupo, dalle note di spezie e cioccolato. Non mancano sentori di ciliegia e prugna. La bocca è leggermente contratta da un tannino ruvido che fa perdere un po’ di scorrevolezza, in compenso la freschezza non manca e il finale sapido si avverte comunque. Scorbutico. Valutazione: 86

 

Cannonau di Sardegna Barrosu Riserva Franzisca 2011

Annata non esemplare, calda, non afosa, ma intervallata da periodi di intensa variabilità. Colore rosso granato con riflessi rubino. Inizialmente si avverte una leggera percezione volatile che scompare lasciando spazio a note di fragola, prugna, sottobosco, resine e macchia mediterranea. La bocca è compatta, integra, il tannino è morbido e vellutato, l’acidità scandisce il sorso e il finale è freschissimo e mentolato. Possente. Valutazione: 93

 

Cannonau di Sardegna Barrosu Riserva Franzisca 2010

Il fascino al vino non manca anche perché esistono le bottiglie meno fortunate. È il caso del nostro assaggio verso le riserve del 2010. Le bottiglie testate non rendono come dovrebbero. Sfortunato. NV.

 

Cannonau di Sardegna Barrosu Riserva 2009

Annata molto calda, quasi afosa. Colore granato evidente. Inizialmente si avverte una sensazione alcolica che svanisce subito lasciando spazio a frutta matura, spezie e cioccolato e non mancano note di liquirizia e resine. La bocca è avvolgente, ma non manca leggiadria e facilità di beva. Il finale è cremoso e avvolgente. Ampio. Valutazione: 88

 

Cannonau di Sardegna Barrosu Riserva 2008

Annata dal clima altalenante, scandito da piogge e caldo afoso. Il naso è molto aperto, già terziarizzato, leggermente evoluto. Le note evidenti di sottobosco precedono sentori di ciliegia sotto spirito, confettura di prugna e tostatura di caffè. La bocca si apre con una leggera dolcezza, equilibrata da acidità e da un tocco sapido nel finale. Sorso un po’ contratto in profondità per un tannino leggermente ruvido. Onesto. Valutazione: 85

 

Cannonau di Sardegna Barrosu Riserva 2007

Annata fresca e molto equilibrata. Rosso granato con riflessi rubino. Naso bellissimo fin da subito: note di pepe nero, macchia mediterranea, frutto di bosco, ciliegia, ma anche sensazioni resinose e mentolate. La bocca è compatta, integra, dal tannino setoso, che scandisce un sorso rinfrescato dall’acidità e reso profondo dal finale sapido e saporito. Agile per eleganza e finezza, pur mostrando la sua grande struttura. Incredibile. Valutazione: 94

 

Cannonau di Sardegna Barrosu Riserva 2006

Annata non perfetta, clima molto incostante. Colore rosso granato carico. Il naso fin da subito mostra note di cioccolato, caffè e ciliegia sotto spirito. Poi emerge un tocco vanigliato e di alchermes. Bocca leggera contratta sul tannino, riprende freschezza e sapidità sul finale. Impreciso. Valutazione: 87

 

Cannonau di Sardegna Barrosu Riserva 2005

Annata calda, ma equilibrata. Colore rosso granato. Il naso è mentolato, dai sentori di anice e agrume scuro; emergono in un secondo momento profumi di frutto rosso che ci riportano alla gioventù del vino. La bocca è snella, scorrevole, integra e dalle note di macchia e sottobosco che vengono fuori nel finale. Bel sorso, lungo, fresco e vibrante d’acidità. Tannino morbido e maturo. Vitale. Valutazione: 90

 

Cannonau di Sardegna Barrosu Riserva 2004

Colore granato con leggeri riflessi arancio. Il naso è un filo impreciso, mostra un pizzico di sana evoluzione legata all’età. È pur sempre la prima annata prodotta e sono comunque apprezzabili i profumi di fragola, liquirizia e caffè tostato. La bocca è larga, non manca un pizzico di dolcezza e il tannino contrae leggermente la beva. Maturo. Valutazione: 84

 

Giovanni Montisci | Mamoiada (NU) | via Asiago | tel. 328 019 3273| https://www.facebook.com/Cantina-Giovanni-Montisci-451064508382317/

 

a cura di Giuseppe Carrus

foto Alessandro Pintus

 

 

Terza edizione del Food Film Festival al Parco Agricolo Sud Milano

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Film, degustazioni e dibattiti al Parco Agricolo Sud Milano. Dal 27 gennaio al 17 marzo torna per la terza edizione il Food Film Festival, la kermesse itinerante dedicata ai temi dell’agroalimentare, della corretta nutrizione e degli stili di vita consapevoli. Ecco gli appuntamenti più interessanti.

Il Food Film Festival al Parco Agricolo Sud Milano

Un’occasione per riflettere sulle scelte alimentari e sull’impatto che hanno sul nostro pianeta, in termini di inquinamento, disuguaglianze e sprechi. È il Food Film Festival, rassegna organizzata da una rete di associazioni e comitati di cittadini del Parco Agricolo Sud Milano, con il contributo di Food Smart Cities for Development, progetto internazionale finanziato dalla Commissione europea. Un festival itinerante, che tocca dieci località del parco, con proiezioni di film da tutto il mondo, degustazioni e dibattiti aperti. L’obiettivo è analizzare e confrontarsi su temi come il sistema alimentare attuale, il riciclo e il contenimento degli sprechi, i metodi per ridurre la sperequazione delle risorse e per garantire ai lavoratori dell'agroalimentare condizioni e salari adeguati. L’iniziativa ha anche un secondo scopo: finanziare “dal basso” opere cinematografiche che raccontino il mondo del cibo attraverso lo sguardo di chi lo vive. E proprio alla presentazione della kermesse, il 20 gennaio presso il Cinema Teatro Edi di Milano, sono intervenuti i produttori The Harvest e di Amaranto, due film italiani che raccontano del lavoro agricolo nel nostro paese, girati anche grazie al progetto di crowdfunding sostenuto dal festival.

 

Il programma

Un programma fitto, quello del Food Film Festival 2017, che prevede degustazioni e proiezioni ogni fine settimana, dal 27 gennaio al 17 marzo, a partire dalle 19.30 in poi. Sedici appuntamenti in 10 differenti territori, che guidano visitatori e abitanti dei comuni del parco in un viaggio alla scoperta dei luoghi di produzione del cibo. Fra gli appuntamenti più importanti segnaliamo Domani di Cyril Dion e Mélanie Laurent (Francia 2015), previsto per il 27 gennaio a Milano; Hungry and Foolish di Daniele Cini (Italia 2015), che sarà proiettato a Buccinasco venerdì 3 febbraio, Taste the Waste di Valentin Thurn (Germania 2010) in programma venerdì 10 febbraio a Locate Triulzi; La zappa sui piedi di Andrea Pierdicca ed Enzo Monteverde, venerdì 17 febbraio a Buccinasco e infine Genuino Clandestino di Nicola Angrisano, a Milano il 3 e il 17 marzo.

Per il programma completo www.foodfilmfestival.info/index.php?option=com_zoo&view=category&layout=category&Itemid=118

 

 

Film Food Festival | Parco Agricolo Sud Milano | dal 27 gennaio al 17 marzo 2017, dalle 19.30 in poi | ingresso: 5 euro la proiezione + 5 euro la degustazione | tel. 331 105158 | www.foodfilmfestival.info

 

a cura di Francesca Fiore

Bocuse d'Or 2017: Mathew Peters dagli USA vince il contest culinario di Lione

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Ha chiuso i battenti ieri, 25 gennaio 2017, una delle competizioni internazionali più prestigiose del settore, che ogni due anni porta a sfidarsi chef di mezzo mondo. È il Bocuse d'Or, che quest'anno ha visto la vittoria dell’americano Mathew Peters.

L'evento

Sono in ventiquattro. Tutti esperti, motivati, agguerriti. Sono i 24 chef che si sono sfidati per la finale mondiale del Bocuse d'Or a Lione, negli spazi del Sirha il 24 e 25 gennaio 2017. Tra le gare di settore più temute, il contest francese è quello che più di tutti mette a dura prova i partecipanti con ben 18 mesi di eliminatorie e prove nazionali e continentali in Europa, Asia, America Latina. In concomitanza con le sfide ai fornelli, a Lione quest'anno si sono festeggiati anche i 30 anni del Bocuse d'Or: la competizione nasce infatti nel 1987 da un'idea di Paul Bocuse, con l'intenzione di sottolineare ed evidenziare il talento degli chef. Una grande novità che ci riguarda è che Torino ospiterà la finale europea del 2018. Appuntamento al Lingotto Fiere, l'11 e il 12 giugno.

30 anni di Bocuse d'Or

Un'edizione tutta speciale quella del 2017, quindi, che per il suo trentennale ha scelto degli ingredienti particolari che, meglio di tutti gli altri, identificano la cultura culinaria di Lione: Pollo alla Bresse con molluschi. Questo il piatto tipico francese che gli chef hanno dovuto proporre alla giuria, elaborandolo e interpretandolo secondo il proprio gusto, ma conservando tutta l'essenza della cucina d'Oltralpe. Non finisce qui: altra novità di questa edizione è l'attenzione verso le verdure e, più in generale, la dieta vegetariana e vegana. I concorrenti hanno dovuto infatti preparare un piatto d'alta cucina interamente a base di frutta, verdure, cereali, semi o legumi. Altra ricetta da presentare è stata infine quella basata su un prodotto di alta qualità (carne o pesce) imposto dalla giuria, diverso per ogni concorrente. Per conquistare i giudici, gli chef hanno dovuto valorizzare al meglio l'ingrediente principale con abbinamenti armonici e ben bilanciati, in grado di restituire tutto il sapore del prodotto ed esaltarlo, rendendolo protagonista assoluto della ricetta.

I risultati

È l'americano Mathew Peters, classe '83, a conquistare l'oro, seguito dal norvegese Christopher William Davidsen e, in terza posizione, Viktor Andrésson dell'Islanda. A convincere i giudici è stato il suo pollo ripieno di funghi, foie gras e gamberi, ma anche il piatto vegetariano con asparagi californiani e crema di mandorle tostate, dal gusto deciso e originale. Al fianco di Peters in questo lungo percorso che ha portato gli Stati Uniti alla vittoria (per la prima volta), il suo commis Harrison Turone. Un team già rodato nella cucine del celebre ristorante Per Se di New York, dove i due giovani cuochi lavorano fianco a fianco da otto anni (senza contare la breve parentesi di Matthew al The French Laundry).

 

Mathew Peters

Il neocampione si era già fatto le ossa in altre prestigiose realtà della ristorazione internazionale. Originario di Meadville, Pennsylvania, a 19 anni Peters si iscrive alla scuola di cucina Le Cordon Bleu di Pittsburgh e, subito dopo il diploma, si trasferisce a Naples in Florida, dove lavora per il ristorante del Ritz Carlton. È poi la volta dell'Adour di Alain Ducasse a New York City, dove Mathew rimane fino al 2009, anno in cui gli viene offerto un posto nella cucina di Per Se. Un'occasione da cogliere al volo che il giovane chef non si lascia sfuggire. Dopo poco, Peters diventa sous chef ed è allora che chef Keller gli offre un posto fisso al The French Laundry. Passano due anni e, dopo questa esperienza, Perers torna al Per Se in qualità di Executive Sous Chef nel febbraio 2012, ruolo che ricopre ancora oggi.

a cura di Michela Becchi

Milano Food City 2017. L’esordio del Fuorisalone del cibo raccoglie l’eredità di Expo

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Decine di eventi diffusi in città e sul territorio regionale per raccontare il legame che unisce Milano al tessuto agroalimentare che la circonda, ma anche l’identità gastronomica che il capoluogo lombardo ha saputo rilanciare negli ultimi anni, grazie alla spinta propulsiva di Expo. Ecco cosa succederà durante la settimana di Milano Food City, dal 4 all’11 maggio. 

La vocazione alimentare di Milano

Quando qualche mese fa cominciò a farsi strada l’idea di dotare Milano di un grande evento diffuso sul cibo, il pensiero era corso subito al modello del Fuorisalone: che si trattasse di settimana della moda o del design la città aveva ampiamente dimostrato, negli ultimi anni, la capacità di trasformarsi in un polo culturale e ricettivo ben organizzato. Ora i contorni della Milano Food City in programma dal 4 all’11 maggio 2017, in concomitanza con TuttoFood (e pure con la Milano Food Week, dal 6 al 14 del mese), si fanno più chiari. Al sindaco Umberto Sala, con gran parte della sua giunta, il compito di presentarla alla stampa durante la conferenza a Palazzo Marino, perché siano più chiare origini e obiettivi di un’iniziativa che certo prende le mosse dall’eredità di Expo, ma ancor prima si riallaccia alla storia della città, enfatizzando la vocazione agricola di una Milano proiettata verso il futuro, ma non per questo meno debitrice alla produttività del territorio che la circonda, tra i distretti agricoli più felici d’Italia.

Milano Food City. Cos’è

Ecco allora che la città degli affari, della moda e dei cantieri edilizi all’avanguardia, aggiunge una prerogativa in più alla sua corsa verso il modello della città intelligente, e lo fa attraverso il cibo: Milano Food City, come è stata ribattezzata ufficialmente l’iniziativa, scommette sulla cultura alimentare e condivide con un pubblico più ampio ed eterogeneo lo spirito del salone biennale dell’alimentazione – Tuttofood - che dai padiglioni di Rho (riservati ad aziende e addetti ai lavori) si riversa in tutti i quartieri della città, con tanti appuntamenti su cibo, cucina e cultura enogastronomica. La formula collaudata, per l’appunto, è quella del Fuorisalone: otto giorni di incontri, show cooking, degustazioni, percorsi enogastronomici guidati, letture, appuntamenti con l’arte che trae ispirazione dal cibo. Con l’idea in più di stimolare la partecipazione dal basso durante il flash mob in programma per sabato 6 maggio, quando i milanesi saranno invitati ad aprire i cortili dei propri palazzi per condividere una cena con chi è a spasso per la città.

I partner, gli eventi

Tra i partner ufficiali, invece, troviamo Confcommercio e i suoi eventi Foodfriends Day (degustazioni e menu speciali in bar e ristoranti della città), Foodfriends Night e Foodfriends Charity, un focus contro lo spreco alimentare, per non dimenticare una delle priorità della Carta di Milano ratificata in chiusura di Expo. E poi la stessa organizzazione di TuttoFood, che con il progetto Week&Food organizzerà un ciclo di appuntamenti diffusi per conoscere i protagonisti della fiera (dall’8 all'11 maggio). O ancora la partnership con i Jeunes Restaurateurs d’Europe, che coinvolgerà in show cooking aperti al pubblico 20 giovani chef provenienti da dodici Paesi d’Europa. Ma chef, pasticceri, gelatieri, panettieri e artigiani del gusto saranno protagonisti anche al The Mall di Porta Nuova (con Taste of Milano) e al Superstudio Più di via Tortona (con Italian Gourmet), con un fitto programma di talk, lezioni pratiche, degustazioni; mentre sette noti hotel cittadini ospiteranno gli aperitivi a cinque stelle, avvicendandosi per tutta la durata della manifestazione. Per Sapore in Lombardia, a cura della Regione, sotto i riflettori brillerà il sistema territoriale del cibo tradizionale, con appuntamenti diffusi alle porte della città, in borghi storici e realtà agricole facilmente raggiungibili da Milano. E si parlerà anche di innovazione alimentare, durante la terza edizione di Seeds&Chips, in programma dall’8 all’11 maggio a Fiera Milano Rho, con un focus sulla produzione alimentare all’interno delle città, con la partecipazione dei sindaci delle principali capitali mondiali.

Ma prima si comincia con lo “spettacolo” inaugurale del 3 maggio, che alla città offrirà un inedito percorso sensoriale tra le arti, con performance creative dedicate alle buone pratiche dell’alimentazione e alla cultura del cibo. Tutto il programma, in costante aggiornamento, sarà presto disponibile sulla piattaforma online creata per l’occasione, che, insieme all’elaborazione del logo, ribadisce l’intenzione di fare della Milano Food City un brand esemplare di attrazione turistica. Sin dalla prima edizione.

Milano Food City | dal 4 all’11 maggio 2017 | per informazioni e adesioni http://it.expoincitta.com/Milano-Food-City/Milano-Food-City.kl

 

a cura di Livia Montagnoli

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