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Mercato del vino. Nell'Oltrepò Pavese Cantina di Soave pronta ad acquisire La Versa

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Il colosso cooperativo veronese potrebbe rilevare e rilanciare l'azienda lombarda, che aveva dichiarato fallimento l’estate scorsa dopo l’arresto per bancarotta dell’ad Abele Lanzanova. Offerte possibili fino al 15 al febbraio, si parte da una base di 4,15 milioni di euro. 

Proposta di acquisto per Cantina La Versa, in Oltrepò Pavese, dopo che la prima asta era andata deserta a fine 2016. La Cantina di Soave, si apprende da fonti vicine all'operazione, avrebbe inoltrato la propria offerta versando un acconto/caparra da 250 mila euro. Se non ci saranno rilanci, la cooperativa veronese (116,5 mln di ricavi) si aggiudicherà la cantina lombarda per 4,15 milioni di euro, somma con cui acquisirà immobili, macchinari, marchio e parte dei vini in cantina (circa un milione di bottiglie metodo classico oltre ai vini sfusi contenuti nelle cisterne), escluso il wine point di Montescano, l’ex cantina sociale assorbita in passato da La Versa. Il gruppo, si apprende, dovrebbe impegnarsi ad assumere almeno 5 dei 35 dipendenti, ad oggi interessati dalla procedura di licenziamento collettivo da fine novembre e senza lavoro dall’estate scorsa. Inoltre non potrà vendere i marchi e dovrà mantenere in funzione i siti produttivi di Santa Maria della Versa per almeno 5 anni.

L'offerta irrevocabile di acquisto è arrivata l'11 gennaio agli uffici del curatore fallimentare Luigi Spagnolo, riaprendo le speranze di operai e conferitori di un rilancio deciso della cantina dopo le turbolente vicende legate all'arresto, a luglio 2016, dell'amministratore delegato Lanzanova e la successiva dichiarazione di fallimento. Chiunque fosse interessato avrà tempo fino al 15 febbraio 2017 per presentare la propria offerta. L'asta telematica è prevista il 20 febbraio.

www.laversa.it

 

a cura di Gianluca Atzeni


Food Innovation Global Mission. Viaggio intorno al mondo per scoprire il futuro del cibo

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Dalla food valley emiliana in giro per tre continenti per conoscere i protagonisti dell'innovazione gastronomica, quelli che stanno scrivendo il futuro del cibo. È la missione di 15 ragazzi di talento del Food Innovation Program, che dall'Italia si muovono per ritagliarsi uno spazio nel settore, seguendo l'esempio di grandi realtà internazionali. 

In viaggio per scoprire il futuro del cibo

Si parla di missione, ma ricorrere al termine spedizione sarebbe ancora più appropriato. Perché quello che si apprestano a intraprendere – si parte il 18 gennaio da Reggio Emilia – 15 ragazzi ben avviati sulla strada dell'innovazione gastronomica è un viaggio intorno al mondo che li porterà alla scoperta delle realtà più preparate in materia di cibo del futuro. E futuro del cibo. Sessanta giorni per esplorare tre continenti e bussare alla porta dei protagonisti del settore, le aziende, le persone e le start up che danno impulso alla ricerca tecnologica applicata al settore alimentare, e tornare a casa arricchiti di tanti buoni esempi da mettere in pratica, per spingersi ancora oltre. Del resto la “classe” in questione annovera studenti selezionati in tutto il mondo con un passato in settori strategici, dall'ingegneria all'agraria, dall'economia alla cooperazione internazionale, alla comunicazione applicata alla disciplina enogastronomica. Insieme, da qualche mese, stanno frequentando il master di secondo livello Food Innovation Program, fondato dal Future Food Institute in collaborazione con l'università di Modena e Reggio Emilia e con l'Institute for the Future di Palo Alto, in California. E la Food Innovation Global Mission è l'ultimo step di un percorso di formazione che li porterà a interagire con il panorama internazionale, per tracciare contaminazioni e network che saranno utili nel futuro prossimo. “Andremo alla scoperta dei food heroes, le persone che nel mondo stanno cercando di generare impatti positivi attraverso il cibo e l'innovazione, impatti destinati a cambiare il mondo”,spiega Sara Roversi, che guida il gruppo di mentori del master e del Future Food Institute ha costruito le basi.

 

La missione. Le tappe

Si parte tra un paio di giorni alla volta dell'Olanda – tra Wageningen, Maastricht e Amsterdam – poi la spedizione si dirigerà verso gli Stati Uniti, per toccare Boston, New York, Davis, San Francisco e la Bay Area, tra un'esperienza obbligata al Mit media Lab e una visita al Google Food Lab, senza farsi sfuggire una tappa presso la sede di Airbnb, che a dispetto della finalità originale sta reindirizzando i propri obiettivi di business anche verso il settore enogastronomico. Ed è quindi una realtà da tenere d'occhio. Poi, il gruppo volerà in Asia, per visitare Osaka, Seoul, Shangai e Singapore, prima di tornare in Italia, per un tour di ricognizione della food valley emiliana, perché se è vero che non si può prescindere dalla scoperta di grandi protagonisti internazionali, anche il polo nazionale stanziato nella Pianura Padana ha molto da insegnare in materia di innovazione tecnologica e ricerca alimentare. In particolare, in Italia, il programma darà modo ai ragazzi di incontrare Simone Ravioli, fondatore del Postrivoro, per dimostrare che lo storytelling del cibo può fare la differenza al pari delle discipline scientifiche, e il futuro del settore si compone di tanti profili diversi. Si termina ad aprile con Londra e Tel Aviv.

 

A riassumere l'obiettivo del viaggio, come dell'intero percorso formativo, ci pensa Miriam Lueck Avery, alla guida dell'istituto fondato a Palo Alto nel lontano 1968, e da allora perennemente al lavoro sul futuro: La nostra mission è individuare le urgenze che la società ci presenta e le tendenze per il futuro, per poter prendere decisioni che impattino in maniera positiva”. E la ricerca sulla produzione di cibo e le abitudini alimentari oggi rappresenta un fondamentale strumento per fare bene al mondo. La Food Innovation Global Mission è pronta a dimostrarlo.

 

www.foodinnovationprogram.org

 

a cura di Livia Montagnoli

La vite e la neve. Spettacolo della natura o calamità?

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Gli esperti spiegano perché la vite non subisca le basse temperature, ma rimangono i danni legati al crollo delle strutture a causa delle nevicate. La Puglia la regione più colpita. Ecco il foto-racconto: dalle immagini più spettacolari a quelle delle aziende in difficoltà

Esordio in bianco per i vigneti italiani che nella prima settimana del nuovo anno si son risvegliati sotto una coltre di neve. In realtà, non tutti si sono risvegliati: questo, infatti, è il periodo in cui la vigna normalmente “dorme”, indifferente agli attacchi di gelo. Per lo meno lì dove le temperature sotto lo zero sono una costante. Diverso è al Sud Italia, specie al livello del mare dove, invece, la situazione è del tutto eccezionale e in alcuni casi - al di là delle suggestive immagini dei filari imbiancati - hanno procurato anche dei danni. Abbiamo fatto un giro fotografico di questa parte d'Italia: dalla Puglia all'Irpinia, dalla Sicilia all'Abruzzo.

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La neve fa male al vigneto?

Sotto la neve pane, sotto la pioggia fame”, recita un vecchio proverbio contadino. In effetti la neve è tra i fenomeni atmosferici che meno preoccupa i viticoltori (vale meno per le altre colture), con le dovute eccezioni. Ma cosa succede alla vite quando viene esposta a temperature così basse e qual è il modo migliore per prepararla alle gelate invernali?

Abbiamo rigirato la domanda a chi alla gestione della vigna ha dedicato tutta la sua professione, il preparatore d'uve Marco Simonit: “Al contrario di altre piante” ci spiega “la vite in questo periodo è praticamente in uno stato dormiente: dopo la caduta delle foglie in autunno, si svuota di acqua, zuccheri, proteine. In generale di liquidi. È come se tutto ciò che ha prodotto durante l'anno andasse in un magazzino permanente: il tronco e le radici. Per quanto riguarda la rivitalizzazione delle gemme è già al sicuro, perché è un fenomeno che avviene durante l'estate precedente, per cui a gennaio la pianta porta già scritto in sé quello che accadrà nel momento del risveglio”.

Insomma, difficilmente neve e freddo possono mettere in difficoltà tutto il suo sviluppo: “Sono decisamente più preoccupanti l'aridità e la scarsità idrica” continua Simonit “In ogni caso, sono convinto che le stagioni - anche con i cambiamenti climatici in corso - debbano fare il loro corso e le piante con esse: il nostro compito è quello di dare sostenibilità alla vite, per prepararla a qualsiasi condizione climatica. Se si usa la metodologia corretta – evitare le ferite importanti o i tagli alle parti vitali – la pianta reagisce a ogni condizione in modo semplice ed efficace. L'ideale sarebbe potare il più tardi possibile, quindi febbraio, marzo, ma comunque anche la potatura in periodi freddi come questi non crea danni alla vite. Mi preoccuperei più delle condizioni di chi lavora in vigneto a -10 gradi!Battute a parte, posso assicurare che la vite sotto la neve non soffre”.

 

Quando il vigneto è a rischio

Ma ci sono dei casi particolari, in cui i danni non sono diretti sulla pianta, ma dipendono dal tipo di allevamento, come ricorda Simonit (e come purtroppo stanno sperimentando diversi produttori in questi giorni): “Chiaramente se spostiamo il problema sulle strutture le cose cambiano: forme di allevamento che prevedono un supporto esterno, come il sistema a tendone o la pergola, diffusissimi in tante regioni italiane e per certe varietà in particolare, corrono maggiori rischi perché le infrastrutture non sempre reggono al peso della neve e vengono giù. In questi casi non è facile rialzare e risistemare tutto, anche lì dove la vite magari riesce a sopravvivere senza spezzarsi”. È il caso, ad esempio, della Puglia, dove molti vigneti sono stati letteralmente schiacciati da reti e tendoni.

 

Quando la neve fa bene

Capovolgiamo un attimo la questione? Se, in linea di massima, la neve non fa male alla morfologia della vite, possiamo, al contrario, dire che le fa bene? Risposta affermativa secondo l'enologo e agronomo campano Gennaro Reale (consulente della società Vignaviva): "Due almeno sono i motivi principali. Prima di tutto le temperature tenute basse e la presenza di neve al suolo e sulle piante hanno un effetto sterilizzante sull'ambiente viticolo, cioè muoiono tanti parassiti della vite e tanti insetti fitofagi, questo significa avere alla ripresa vegetativa un ambiente più sano da un punto di vista fitoiatrico. In secondo luogo, la neve quando si scioglie diventa acqua e va ad arricchire le riserve idriche dei terreni, molto importante sopratutto in inverni come questo, dove le precipitazioni piovose fin ora sono state scarse”.

 

La situazione in Puglia

Tuttavia, come dicevamo sopra, esistono dei casi eccezionali anche in vigna, legati al tipo di allevamento: la situazione più preoccupante in tal senso viene dalla Puglia. “Vigneti abbattuti dalla neve, ortaggi e agrumi distrutti dalle gelate, masserie isolate, al buio e senza acqua per giorni” è l'allarme lanciato dal presidente Cia Raffaele Carrabba. Dal punto di vista vitivinicolo, la situazione si presenta più grave in provincia di Taranto, dove diverse centinaia di ettari di vigneti sono state abbattute dalla neve, anzi per essere più precisi, dalle strutture a tendone, crollate a causa della neve. In particolare, a Castellaneta sono finite al suolo intere coltivazioni di uva da tavola Italia e della varietà Red Globe. “In 50 anni non ho mai visto nulla del genere” dice il direttore della Cia Taranto, Vito RubinoQuesta zona, famosa soprattutto per l'uva da tavola è caratterizzata da impianti a tendone che non hanno retto al peso della neve.Ciò significa che le strutture sono tutte da ricostruire, per questo chiediamo interventi tempestivi e il blocco dei pagamenti per le aziende colpite, confidando soprattutto nell'aiuto dell'Europa: l'Italia da sola non potrebbe far fronte a tutta l'emergenza”.

 


Allarmanti anche i toni di Coldiretti: “Al momento ci sono stati segnalati oltre 350 ettari di vigneto atterrato sotto il peso di neve e ghiaccio con un prudenziale danno stimato per 80 milioni di euro” denuncia il presidente di Coldiretti Taranto, Alfonso Cavallo Gli agricoltori dovranno estirpare e smaltire il vecchio impianto improduttivo, preparare il terreno e realizzare un nuovo impianto completo”.

 

a cura di Loredana Sottile

 

Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri del 12 gennaio

 

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La Toscana in 10 biscotti tradizionali e la ricetta dei biscotti di Prato della pasticceria Nuovo Mondo

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Cantucci, befanini, brutti ma buoni: la tradizione toscana abbonda di biscotti conosciuti anche in altre zone d’Italia. Per la seconda tappa della rubrica sui biscotti regionali abbiamo affrontato questa zona del nostro Paese e ci siamo la ricetta dei Biscotti di Prato da Paolo Sacchetti, premiato dalla guida Pasticceri&Pasticcerie 2017 con il massimo riconoscimento, le Tre Torte.

Nel nostro viaggio alla scoperta dei biscotti regionali oggi andiamo alla scoperta delle tradizioni toscane. 10 tip diversi, tutti da gustare, con in più una ricetta, quella dei Biscotti di Prato del maestro maestro Paolo Sacchetti, premiato dalla guida Pasticceri&Pasticcerie 2017 con il massimo riconoscimento, le Tre Torte.

 

BefaniniBefanini

 

Befanini

Partiamo da questi soffici biscotti il cui nome parla chiaro, i befanini. Diffusi nelle zone della Versilia e della Lucchesia, sono i tradizionali biscotti dell’Epifania. Vengono preparati il 5 gennaio e servono a riempire dei canestri che saranno messi sul camino, al posto della classica calza della Befana. Benché oggi siano stati sostituiti in parte da dolci più industriali, questa tradizione rimane viva nella zona intorno a Lucca. La ricetta prevede farina, zucchero, burro, uova, lievito, latte, scorza d’arancia, un pizzico di sale e un bicchierino di rum. Per decorarli si usano i confettini colorati che si trovano in qualsiasi negozio per pasticceria.

 

Biscotti di Panicaglia

Panicaglia è una frazione di Borgo San Lorenzo, comune della città metropolitana di Firenze. Pare che qui ci fosse un forno dal nome non ben precisato che inventò questa ricetta priva di grassi animali, che oggi potremmo definire “vegan”. Per prepararli servono fecola e farina in parti uguali, zucchero, scorza di limone grattugiata, 2 bicchieri d’acqua oppure 12 cucchiai di olio d’oliva, una presa per dolci. Si impastano tutti gli ingredienti e si formano dei filoni da infornare per dieci minuti. Una volta trascorso questo tempo si sfornano i filoni e si tagliano in tante piccole parti che verranno infornati nuovamente per altri 10 minuti.

 

Brigidini di LamporecchioBrigidini di Lamporecchio

 

Brigidini di Lamporecchio

i brigidini sono biscotti molto sottili, simili a sfoglie, tipici di Lamporecchio in provincia di Pistoia. La storia di questi dolci è particolare: si dice che alcune monache seguaci di Santa Brigida arricchirono la preparazione delle ostie aggiungendo zucchero, uova ed anice per concedersi un piccolo peccato di gola. La ricetta prevede farina 00, zucchero, uova, un pizzico di sale, un cucchiaio di semi di anice e, a piacere, una stecca di vaniglia. La tradizione li vuole cotti sulla brace, con stampi di ferro chiamate schiacce, sulle quali venivano poste delle piccole palline di pasta da pressare e poi rimettere sul fuoco per qualche minuto. Una volta preparati venivano affidati ai brigidinai che li portavano nei paesi limitrofi. Ancora oggi alle feste popolari e alle fiere i brigidini sono i protagonisti della gran parte di stand e bancarelle.

 
 

Brutti ma buoni

 

Brutti ma buoni

La paternità dei brutti ma buoni è rivendicata sia da Pistoia che da Lucca. In realtà l’origine della ricetta è legata al Piemonte e, in particolare, ai pasticceri sabaudi. Quando nel neonato Regno d’Italia la Capitale fu spostata da Torino a Firenze per paura dell’invasione austriaca (1864), i pasticceri della corte invasero la Toscana, diffondendo questa ricetta un po’ ovunque. A Prato furono associati ai già celebri cantucci, creando un’accoppiata che poi diventerà classica. La preparazione dei brutti ma buoni è molto semplice - nocciole, mandorle, albumi e zucchero a velo - ma un po' lunga perché l’impasto ha bisogno di riposare per ben 8 ore.

 
 

CantucciCantucci

 

Cantucci e Biscotti di Prato

Un“biscotto a fette, di fior di farina, con zucchero e chiara d'uovo”, è questa la definizione che nel 1691 l’Accademia della Crusca dà dei cantucci, probabilmente i biscotti più famosi della Toscana. Qui però si apre una diatriba: cantucci e biscotti di Prato sono la stessa cosa? Tempo fa abbiamo provato a chiarire la questione, anche grazie all’aiuto di Francesco Pandolfini, erede di una famiglia di pasticceri pratesi. La risposta all’annosa questione è no, non sono la stessa cosa, benché siano prodotti molto simili fra loro. Il biscotto di Prato è fatto con una ricetta più “basica” - farina, zucchero, uova, mandorle e pinoli – senza l'aggiunta di lieviti o aromi, mentre il cantuccio è più ricco.

Un fatto è certo: la prima ricetta documentata dei cantucci, tuttora conservata nell'archivio di Stato di Prato, è contenuta in un manoscritto di Amadio Baldanzi, un intellettuale pratese del XVIII secolo. Ma è nel XIX secolo che viene messa a punto la ricetta che oggi consideriamo tradizionale, grazie al pasticcere pratese Antonio Mattei, chiamato “Il mattonella”.

Sia i cantucci che i biscotti di Prato, dolci dalla consistenza particolarmente tenace, si mangiano bagnati nel Vin santo, tipico vino da dessert toscano. I cantucci sono diffusi anche in Umbria e Lazio dove però vengono chiamatitozzetti.

 

Cavallucci di Siena e berriquocoli

Due tipologie di biscotti molto simili, legati alla città di Siena. Partiamo dai cavallucci, i più semplici: dolcetti dalla forma irregolare spolverati di zucchero a velo, tipici del periodo natalizio. Il nome deriva dall’usanza delle stazioni di posta di metterli a disposizione sia degli addetti al cambio dei cavalli che dei corrieri, che li mangiavano durante la pausa inzuppandoli nel vino. La ricetta del grande esperto di cucina senese Giovanni Righi Parenti ne La cucina toscana prevede farina 00, zucchero, miele, scorza d’arancia candita, semi di anice o di coriandolo in polvere e un pizzico di carbonato d’ammonio.

I berriquocoli, chiamati anche bericuocoli eberriquoccoli, sono una variante dei cavallucci, anche se non è ben chiaro quale delle due ricette sia nata prima: entrambe erano già diffuse ai tempi di Lorenzo Il Magnifico. Rispetto ai cavallucci, la ricetta dei berriquoli vuole l’aggiunta del cedro candito e delle noci tritate, cosa che rende il gusto del dolce più intenso e aromatico.

 

Necci della Garfagnana

In Garfagnana, un'area della provincia di Lucca tra le Alpi Apuane e la catena principale dell'Appennino tosco emiliano, neccio vuol dire castagna. Molto diffuse in zona, dalle castagne secche si ricava una farina, qui chiamata farina di neccio, spesso utilizzata nella produzione dolciaria e protetta dalla denominazione d’origine. Il nome neccio indica dunque sia la castagna in sé che questi tradizionali biscotti fatti con la farina ottenuta dalla lavorazione del frutto. I necci della Garfagnana sono delle cialde sottili e morbide, chiuse a mo’ di cannolo siciliano, da riempire con della freschissima ricotta di mucca. Per la cialda servono farina di castagne fresca, olio extravergine d’oliva, acqua, burro e sale, mentre per il ripieno ricotta di mucca, canditi e zucchero.

 

 

Ricciarelli di SienaRicciarelli di Siena

 

Ricciarelli di Siena

Quella dei ricciarelli di Siena è una ricetta che parla di viaggi e commistioni culturali. Secondo una tradizione la loro nascita si deve a Ricciardetto della Gherardesca, condottiero crociato, che riprodusse in Toscana una ricetta molto diffusa in Oriente. Li fece preparare nel suo castello vicino Volterra definendo non solo dosi e proporzioni ma anche la forma dei biscotti, che gli ricordava le babbucce dei Sultani conosciuti durante i suoi viaggi. Sono biscotti morbidi, preparati con pasta di mandorle, farina 00, canditi, zucchero a velo. L'impasto deve riposare per due giorni prima di essere infornato. La tradizione vuole che si mangino per le feste natalizie, ma ormai si producono durante tutto l’anno. Dei ricciarelli esiste anche una variante ricoperta di cioccolata, chiamati ricciarelli rozzi.

 

 

La ricetta dei Biscotti di Pratodella pasticceria Nuovo mondo

 

ingredienti:

1 kg di farina

900 g di zucchero

500 g di mandorle

100 g di pinoli della Versilia

6 uova intere

6 rossi d'uovo

scorza di limone grattugiata

1 baccello di vaniglia

 

procedimento:

Formare una fontana con la farina e mettere lo zucchero al centro. Aggiungere la scorza di limone, la vaniglia, le uova intere e i tuorli, lasciandone una parte per la spennellatura. Impastare gli ingredienti al centro senza incorporare troppa farina. Aggiungere pinoli e mandorle, impastando con tutta la farina. L'impasto deve risultare morbido.

Formare dei filoncini da 4-5 centimetri di lunghezza dalla forma tondeggiante. Metterli in una teglia e spennellarli con l'uovo rimasto. Cuocerli in forno a 210 gradi per 15 minuti.

Una volta cotti, tirare fuori dal forno i filoncini e lasciarli riposare per 20 minuti. Tagliarli a fette oblique e farli riposare ancora. Servirli insieme al Vin santo.

 

Nuovo Mondo | Prato | via Giuseppe Garibaldi, 23 | tel. 0574 27765 | www.pasticcerianuovomondo.com

 

 

 

a cura di Francesca Fiore

 

Leggi anche Dolci. Il Piemonte in 12 biscotti tradizionali e la ricetta dei baci di dama della pasticceria Gallizioli

 
 

Eataly Trieste, il primo store del Friuli Venezia Giulia dedicato al vento

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È dedicato al vento e ospitato in uno spazio unico. Eataly Trieste, nuovo punto vendita italiano della catena dei Farinetti: 3mila metri quadri su 3 piani, 7 locali fra ristoranti, wine bar, enoteca e gelateria. Ospitato nell’Antico Magazzino Vini, il nuovo store apre il 17 gennaio.

Il nuovo Eataly Trieste

Un’apertura che arriva in un periodo di festeggiamenti: ricorre proprio a fine mese il decimo anniversario di Eataly, che per tutto il mese celebra la ricorrenza con eventi speciali nei vari punti vendita sul territorio nazionale. Eataly Trieste, il primo store della catena in Friuli Venezia Giulia, è dedicato al vento: e non potrebbe essere diversamente “nella città dei venti”, da sempre spazzata da Bora, Libeccio, Grecale o Maestrale, e punto d'approdo di tante culture, che hanno contribuito a farne luogo di scambi culinari e culturali. “Sono tante le storie di venti che si incontrano con il mare e con le tradizioni, dando origine a materie prime di qualità e prodotti enogastronomici d’eccellenza - ha anticipato Oscar Farinetti - Eataly Trieste vuole raccontarle tutte, celebrando i prodotti figli del vento e la loro incomparabile bellezza”.

 

Lo spazio, l’Antico Magazzino Vini

Uno spazio d’eccezione per il nuovo store di Trieste. L’Antico Magazzino Vini, costruito nel 1902 per stoccare le botti che arrivavano dall’Istria e dalla Dalmazia, ha subìto una ristrutturazione durata ben 11 anni e si appresta a diventare un vero e proprio salone del gusto friulano. I lavori, supportati della Fondazione CRTrieste, portano la firma dell’architetto fiorentino Marco Casamonti dello studio Archea (lo stesso che ha rifatto la Catina Antinori), che ha mantenuto intatta la struttura storica da cui, grazie alle suggestive vetrate, si può godere di una vista mozzafiato sul porto della città e sul golfo.

All’interno dello store quattro installazioni di Sergio Staino dedicate al vento e una mostra fotografica sulle ultime edizioni della Barcolana, la storica regata velica internazionale che si tiene ogni anno nel Golfo di Trieste.

 

Dall’osteria alla gelateria, i locali di eataly Trieste

Sono 7 i punti di ristoro distribuiti su tre piani, oltre al consueto store che propone le eccellenze della gastronomia italiana e regionale. Sarà l’Osteria del Vento a offrire ai clienti specialità di terra e di mare, valorizzando i sapori della cucina triestina, mentre Fish Academy - La Barcaccia si concentrerà sul miglior pescato del giorno, rielaborato in ricette creative. Per quanto riguarda il bere di qualità si potrà scegliere fra le oltre mille etichette dell’Enoteca - che diventa di fatto il punto vendita al dettaglio più grande della regione per quanto riguarda il vino - oppure optare per un aperitivo al wine bar Pane&Vino. La scelta nell’ambito caffetteria è garantita dal marchio illy, con il Gran Bar illy, che fa il paio con il gelato artigianale Agrimontana e il cioccolato Domori, a cui è dedicato uno stand centrale con vista mare. Infine, al piano inferiore, la Scuola di Eataly Trieste, un'aula didattica da 30 posti dove si svolgeranno corsi, lezioni, degustazioni ed eventi di vario tipo. “Eataly Trieste vuole raccontare il patrimonio culturale ed enogastronomico che caratterizza un territorio molto particolare, senza confini, multilingue, multiculturale e multireligioso” ha spiegato Andrea Guerra, presidente esecutivo di Eataly, “La ricchezza delle sue tradizioni è un patrimonio prezioso che Eataly si impegna a mettere in risalto ogni giorno con i buoni prodotti locali, le migliori ricette e approfondimenti didattici”.

Eataly Trieste | Riva Tommaso Gulli, 1 | tel. 040/2465701 | apertura: domenica -giovedì h. 9/22.30, venerdì- sabato h. 9/24 | www.eataly.it

 

a cura di Francesca Fiore

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Pastifici a Bologna. 11 indirizzi per comprare la pasta fresca

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Inauguriamo oggi una rubrica in cui segnaliamo i migliori negozi di pasta fresca d'Italia. Città dopo città, un'indagine sulle botteghe che assicurano tagliatelle, tortelli e ravioli, come fatti in casa. O forse meglio. Da dove partire? Naturalmente dalla patria delle sfogline: Bologna.

La tradizione della sfoglia bolognese

È la città simbolo per la pasta fresca dove, all’ombra delle sue torri, si è sviluppata una tradizione gastronomica robusta, fatta di sapori forti, basata sula carne, soprattutto di maiale, e pasta all’uovo. Bologna è la città delle tagliatelle e delle “sfogline”, quelle figure che hanno trasformato l'abilità casalinga del tirare la sfoglia a mano in una professione. Dalla sfoglia, fatta con farina e uova, si ricavano i vari formati: tagliatelle, tortellini e tortelloni, passatelli, ravioli e così via. Per tutelare questo importante patrimonio nel 2011 è stata presentata in Parlamento una proposta di legge che definisca le caratteristiche della sfoglia prodotta artigianalmente e istituisca la figura professionale della sfoglina. Purtroppo a questa proposta non è stato dato ancora seguito.

Benché in tempi moderni questo processo sia ormai prevalentemente industriale, sono ancora molte le sfogline - e gli sfoglini - che proseguono la tradizione. Ecco i migliori di Bologna.

 

Bottega dei portici

Agostino Iacobucci non ha bisogno di presentazioni: chef partenopeo ormai bolognese d’adozione, già pluripremiato per il suo ristorante I portici. Insieme a Riccardo Bacchi ha affiancato al ristorante anche un negozio dove è in vendita la sua migliore pasta fresca, dai tortellini ai tortelloni dalle tagliatelle agli gnocchi. Ma la Bottega, lungi dall’essere un “classico” pastificio, è anche un indirizzo di riferimento per lo street food bolognese a prezzi accessibili, con tortellini da asporto, sia in brodo che conditi con burro e salvia, e tutte le altre specialità del menù fra i 5 e gli 8 euro, mentre i prezzi al chilo della pasta variano dai 19 euro delle tagliatelle ai 22-24 euro di tortellini e tortelloni.

Dal 2013 la Bottega dei portici è un format di successo, ma Iacobucci sta preparando una nuova apertura: l’appuntamento con la nuova Bottega è per la primavera del 2017 nel suggestivo scenario di palazzo Bega, a piazza di Porta Ravegnana.

Bottega dei portici | Bologna | via dell’Indipendenza 69 | tel. 0514218522 | www.bottegaportici.it

 

Tagliatelle take away, Bottega dei PorticiBottega dei Portici, tagliatelle take away

 

Il tortellino

Da Bologna a Milano e San Francisco con un format che mescola pastificio e cibo da strada, dove acquistare pasta fresca da cuocere a casa oppure uno dei piatti da gustare in loco. Si sceglie tra tortellini in brodo, al ragù bolognese oppure conditi con panna e noce moscata, poi tortelloni conditi con burro e salvia, con burro e pomodoro o verdure di stagione, lasagne, passatelli, pasta e fagioli e la “zuppa imperiale” (dadini di semolino, uova e Parmigiano Reggiano in brodo di carne). Con la possibilità di combinare il formato di pasta preferito con uno dei 4 condimenti a scelta (2 tipi di ragù, un sugo 4 formaggi, un condimento vegetariano e il pesto). Anche i secondi sono legati alla tradizione, con le cotolette, in versione classica o bolognese, le polpette in umido e le patate a forno.

Anche in questo caso prezzi dai 6 ai 9 euro; 22 euro al chilo per i tortellini.

Il Tortellino | Bologna | via Cesare Battisti, 17/a | www.tortellinobologna.com

 

Pastificio Il TortellinoPastificio Il Tortellino

 

La Bolognina

Pasta fresca da portar via ma anche primi appena sfornati. La Bolognina è il pastificio di Silvia Montaguti, dal 1957 sempre nella stessa sede. Insieme a Silvia anche le sue due preziose collaboratrici, che lavorano la sfoglia insieme alla titolare con passione e impegno, rigorosamente a mano, utilizzando materie prime di elevata qualità, selezionate personalmente dalla sfoglina. Oltre a tortellini, tagliatelle e lasagne qui potrete trovare anche gli strichetti, le rosette, i tortellacci, i garganelli. Prezzzi: dai 13,50 euro al chilo per le tagliatelle, ai 31,50 dei tortellini.

La Bolognina | Bologna | via Di Vincenzo 33 | tel. 051 370780 | www.labolognina.it

 

Le sfogline

Un nome classico per un pastificio a vocazione tradizionale creato nel 1996 da Renata Zappoli con le figlie Daniela e Monica. Da lì in poi il successo è stato costante: merito della scelta rigorosa delle materie prime e del rispetto della tradizione che queste 3 donne portano avanti con fierezza. Oltre ai classici in questo pastificio si trovano anche formati più particolari come gramigna, quadretti, tempestine, farfalle, maltagliati. Per quanto riguarda i prezzi si va dai 39 euro al chilo dei tortellini, rigorosamente fatti a mano, ai sui 23 delle lasagne alla bolognese e vegetariane, 20 di tagliatelle fresche e 16 di pasta al torchio .

Le Sfogline | Bologna | via Belvedere, 7 | tel. 051220558 | www.lesfogline.it

 

Il ripieno dei tortellini del pastificio Le SfoglineIl ripieno dei tortellini del pastificio Le Sfogline

 

Nonna Cesira

Poco fuori dalle mura del centro un pastificio in attività da ben 3 generazioni. Dalla Nonna Cesira l’arte della sfoglia si è tramandata prima alla figlia Dina, poi alla nipote Rosetta (che trasformò l’attività casalinga in una commerciale), poi ancora al pronipote Gabriele e alla pro-pronipote Veronica, conservando la lunga tradizione di famiglia. Ancora oggi in via Saragozza si può acquistare pasta fresca fatta a regola d’arte come tortellini e tortelloni, ravioli, lasagne, pasta al torchio, tagliatelle e sfoglia, ma anche il gustoso ragù con cui condire la pasta, torte salate e polenta. Per coloro che hanno poco tempo, in pausa pranzo c’è una piccola offerta di piatti pronti da consumare subito. I prezzi vanno dai 15 euro al chilo degli gnocchi ai 28,90 dei tortellini.

Nonna Cesira | Bologna | via Saragozza 83/b | tel. 0516446612 | www.nonnacesira.it

 

Raviolini ricotta e spinaci, Nonna CesiraRaviolini ricotta e spinaci, Nonna Cesira

Pasta fresca di Gianpaolo

In una delle vie principali di Bologna, dal 1962 un laboratorio artigianale di pasta fresca che, oltre all’impasto classico, propone anche pasta con farina di farro, kamut o farina integrale. Più che un semplice pastificio: una vera e propria bottega dove acquistare tortellini, tortelloni, ravioli, gnocchi, tagliatelle, lasagne, ma anche pane, biscotti tradizionali e biscotti vegani. I proprietari sono particolarmente attenti alla stagionalità degli ingredienti, così ripieni e condimenti variano spesso in funzione di quello che offre la natura in quel momento. I prezzi variano dai 15 euro di gnocchi e tagliatelle ai 32 dei tortellini.

Pasta Fresca di Gianpaolo | Bologna | via Murri 22/B | tel. 051 342746 | www.facebook.com/pg/Pasta-Fresca-di-Gianpaolo-702102106575641/about/?ref=page_internal

 

Ravioli paglia e fieno, Pasta fresca di GianpaoloRavioli paglia e fieno, Pasta fresca di Gianpaolo

 

Pasta fresca e dolci Buon gusto

Una azienda a conduzione familiare aperta dal 1970 dalla signora Giuliana che porta avanti il lavoro del laboratorio con precisione e passione. Dal 2005 la famiglia ha allestito una linea di produzione in serie di tortellini, con prezzi più competitivi, e un’attenzione particolare alle materie prime, da sempre fiore all’occhiello del pastificio. Qui, e attraverso il sito, potrete comprare i formati classici (fra i 15 e i 22 euro al chilo), cannelloni e lasagne da cuocere. L’offerta è ampia anche sul dolce: dalle torte di mele a quelle di grano, passando per ciambelle, crostate e biscotti tradizionali.

Pasta fresca e dolci Buon gusto | Bologna | via Milazzo 18 | tel. 051 552388 | www.pastafrescabuongusto.it

 

Pasta fresca e dolci Buon gustoPasta fresca e dolci Buon gusto

 

Pasta fresca Naldi

Un altro indirizzo storico in cui comprare pasta fresca da asporto oppure piatti pronti. Aperto dalla signora Valeria Naldi nel 1985, con l’idea di cucinare piatti freschi con la sfoglia appena fatta. Un'idea vincente: da allora questo piccolissimo pastificio è diventato un punto di riferimento per la città. L’offerta comprende tortellini, tortelloni di ricotta, tortelloni di zucca, pasta al torchio, maccheroni, gnocchi, lasagne e, nei mesi freddi, anche polenta con ragù e baccalà.

Pasta fresca Naldi | Bologna | via del Pratello, 71/A | tel. 051 523288 | www.pastafrescanaldi.it

 

Tagliatelle, Pasta fresca NaldiTagliatelle, Pasta fresca Naldi

 

Simoni

Quando nel 1969 la signora Silvana Simoni decise di aprire una bottega dove preparare i primi e i dolci della tradizione forse non si aspettava tanto successo e il coinvolgimento di tutta la famiglia: nel 1970 all’attività inizia a collaborare il marito, nel ‘96 il figlio e la nuora. Fino al 2000 quando, per esigenze di spazio, si trasferirono nel nuovo negozio, dove c’era modo per ampliare il menù e mettere in vetrina le creazioni del laboratorio. Oggi la proposta, da acquistare o mangiare in loco, va dalla pasta fresca - tagliatelle, tortellini, passatelli e lasagne fresche - ai piatti pronti, come gli gnocchi di semolino, i tortelloni con la zucca o con il tartufo, una serie di fritti come le crescentine o fiori di zucca in pastella, e dolci tradizionali, dalla polenta dolce, chiamata Amorpolenta, alle torte alla frutta, alla zuppa inglese.

I prezzi? Vanno dai 15 euro al chilo delle tagliatelle ai 38.50 dei tortellini.

Simoni | Bologna | via Malvolta 8 | tel. 051440158 | www.pastafrescasimoni.it

 

Tortelloni alla zucca del pastificio SimoniTortelloni alla zucca del pastificio Simoni

 

Sfoglia Rina

Il successo di questo pastificio, ormai diventato un locale polifunzionale, è connesso a un legame familiare profondo. È la nonna Rina, infatti, a insegnare tutto a Lorenzo, il nipote, uno dei pochi sfoglini bolognesi. Dall’apertura, nel 1963 a Casalecchio, ai giorni nostri tutto è cambiato, arte della sfoglia a parte: è proprio Lorenzo Scandellari a trasformare il vecchio laboratorio in un locale in cui si può anche mangiare. Nel tempo la bottega si trasferisce a Zola Pedrosa, e Sfoglia Rina apre anche in pieno centro a Bologna come un ristorante a tutti gli effetti, ma resta il laboratorio di Casalecchio, che lavora per la vendita al dettaglio e perla somministrazione. Oltre alle classiche tagliatelle, ravioli, tortellini e tortelloni il pastificio produce anche i balanzoni (tortelloni verdi ripieni di ricotta e mortadella), specialità provenienti da altre regioni come troccoli e spaghetti alla chitarra, pasta corta come cestine o gramigna. I prezzi vanno dai 12 euro degli gnocchi ai 34 euro dei tortellini.

Sfoglia Rina - negozio e ristorante | Bologna | via Francesco Petrarca, 11 | tel. 051 6135389 | www.sfogliarina.it

Sfoglia Rina - negozio e ristorante | Casalecchio di Reno (BO) | via Francesco Petrarca, 11 | tel. 051 6135389 | www.sfogliarina.it

Sfoglia Rina - laboratorio | Zola Predosa (BO) | via Roma, 57/c | tel. 051 572370 | www.sfogliarina.it

 

Sfoglia RinaLa vetrina di Sfoglia Rina

 

Uova e Farina

Aperto dal 2011 in uno dei luoghi più suggestivi del centro storico di Bologna, è gestito da Simona Fontanella e Rita Rizzi. È un locale luminoso, dove acquistare la pasta fresca da cucinare a casa, o fermarsi per mangiare, con il laboratorio a vista al piano superiore, in modo da mostrare e insegnare ai clienti come si fa la sfoglia. L’offerta è ampia: tortellini, tagliatelle, lasagne, tortelloni di ricotta, tagliolini, maccheroncini e gramigna al torchio, e proposte che si discostano dalla tradizione bolognese come tortelli di zucca, strettine romagnole e pappardelle. E poi ancora dolci e prodotti da forno, cupcakes, muffins, crostatine e le classiche torta di riso e torta di tagliatelline. I prezzi al chilo partono dalle tagliatelle a 15 euro fino ai 36 euro dei tortellini.

Uova e Farina | Bologna | Corte Isolani 5/A | tel. 051 0959620 | www.corteisolani.it

 

a cura di Francesca Fiore

 

Fulvio Bressan e il suo vino a 3 anni dal caso mediatico che lo ha travolto. L'intervista

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La storia fece scandalo: gli insulti razzisti sulla pagina Facebook di un produttore di vino, e la presa di posizione del mondo enologico. Cosa ne è di quel caso mediatico dopo tre anni e mezzo? Lo abbiamo chiesto al suo protagonista, Fulvio Bressan.

La valle dell'Isonzo

Il paesaggio della pianura friulana della valle dell'Isonzo è costellato di piccole e medie aziende agricole, con i vigneti intervallati da abitazioni. Girandola in auto si ha l'impressione di un'austera funzionalità, dove poco o nulla è lasciato al futile. Domina l'ordine rispettoso, non maniacale, frutto di una solida manutenzione ed esperienza. Anche la terra stessa in cui affondano le radici delle tante piante coltivate, è ordinata dall'aratro in inverno. Qui c'è casa Bressan.

 

Il caso Bressan

Fu un vero caso mediatico, fece molto scalpore e spaccò in due il mondo del vino. L'arbitraria estromissione da alcune guide della Mastri Vinai è cosa nota, così come lo sono anche gli insulti, sul profilo personale di Facebook, che Fulvio Bressanelargì nei confronti dell'allora ministro Cecile Kyenge. Tali ragioni spinsero la redazione di Slow Wine a rilasciare un comunicato bilingue in cui si annunciava l'esclusione dell'azienda da ogni recensione: "Le frasi apparse sul profilo Facebook privato di Fulvio Bressan sono talmente gravi da aver oltrepassato qualsiasi linea rossa".

bressan

È giusto scindere il prodotto dal produttore? Dietro quest'interrogativo si cela una problematica che va al di là di quanto accaduto: in un panorama in cui la narrazione non è solamente valore aggiunto, ma identità fondante, quanto siamo pronti a giudicare un vino separandolo dalla propria storia e dal proprio percorso? È domanda cui non potremo rispondere in queste pagine, maè nostra intenzione approfondire con Bressan proprio questo aspetto.

 

In vigna

Visitiamo la cantina al termine della giornata, dopo aver conversato con i Bressan più di agronomia che di vino, ma - si sa - senza il marmo non si può scolpire, ed è stato giusto anche parlare del significato delle cose. L'approccio alla vigna è molto simile a quello di cantina: i vigneti vengono costantemente arati, le rese - molto basse - ottenute non per vendemmia verde, ma per potatura cortissima: cinque gemme, pertanto i grappoli che cresceranno su ogni pianta si potranno contare sulle dita di una mano. I nuovi vigneti entrano in produzione almeno dopo sei anni, così come il vino riposa non meno di tre o quattro anni (o anche di più per alcuni vitigni) prima d'essere imbottigliato. A mano. Se da un lato la terra mossa dal piccolo aratro spinge l'apparato radicale delle piante in profondità, dall'altro non consente quell'inerbimento perenne oggi molto in voga: passeggiando in un campo di pinot nero, Fulvio spiega che questo è un mezzo per escludere del tutto l'irrigazione sulle viti, uniche padrone del terreno in cui vivono.

bressan

In cantina

In cantina c'è molta pragmaticità, cemento e legno rigorosamente non tostato, incuriosisce un'area - prossima all'ingresso - simile a un loft: una zona living, uno dei tanti elementi di non-separazione tra la cantina e la vita. Nei calici cerchiamo conferma di quella che Bressan chiama "un'unica filosofia": il principio per il quale non possono esistere primi o secondi vini, ma solo figli del millesimo. Anche chi è abituato ai suoi prodotti rimane straniato dalla spiccata verticalità, sempre preceduta da un naso complesso.

 

I vini

Nello Schioppettino 2011 è la nota di pepe bianco a farla da padrone su un corpo più slanciato che robusto, che ci ricorda che la ribolla nera (altro nome di questo vitigno tradizionale) è vettore di grande acidità naturale. Certo, mai quanto il Pignol, pignolo in purezza, proveniente da un vigneto di circa 120 anni in località Corona: coi suoi tannini crudi necessita di un adeguato, lungo affinamento, meglio se in legno di grande capacità. Il millesimo 2003 era un distillato di sensazioni silvestri, con una nota sulfurea che si perdeva in indistinguibili, piccoli, dolci frutti rossi. In un futuro prossimo verrà immessa sul mercato l'annata 1997, una gran riserva che abbiamo assaggiato "in preview". Le due decadi asciugano ulteriormente questo antico vitigno e ne sprigionano note di muschio e rosmarino, anche cuoio, lunghissima persistenza, come si addice a un "signore" di vent'anni fa.

Congedandosi da questa giornata in Friuli, riflettiamo su come questi assaggi, così giocati sul lirismo, figli del terroir in cui crescono, possano sembrare diversi dal sanguigno carattere di Fulvio anche ripensando a quella diatriba mediatica. Gli sottoponiamo questa riflessione: lui replica che, sì, comprende l'appunto, ma in realtà interiormente si sente proprio come i suoi vini.

 

 

BressanFulvio Bressan 

 

L'intervista

 

Dopo molti premi e anni di presenza nelle guide, a seguito di un vero e proprio caso mediatico in cui alcune tue affermazioni sui social networks hanno creato scalpore, la Bressan - Mastri Vinai oggi è stata esclusa da ogni strumento, Fulvio quanti anni sono passati da allora?

Sono passati tre anni e mezzo da quel 23 agosto 2013.

 

E cos'è cambiato?

Per me nulla, assolutamente. Vedi, la gente che ha bevuto i miei vini, continua a berli, però ci siamo ripuliti da quelle persone che forse erano fuori luogo accostate a quello che produco.

 

Stai dicendo che sei tu che scegli le persone che consumano i tuoi prodotti?

Al momento dico proprio di sì. Perché visti gli ordini che continuiamo a ricevere posso affermare questo.

 

Non stai un po' esagerando?

Beh dai, sarebbe più corretto sostenere che ci scegliamo a vicenda...

 

Come ti sei sentito ad essere escluso, non per la qualità dei tuoi prodotti, ma per le offese che hai pubblicato, forse con troppo impeto, su Facebook?

Sai... ho forse avuto la triste conferma della mediocrità italica. Ho capito che l'Italia non andrà da nessuna parte. Nelle guerre, la nostra nazione non ha mai finito il conflitto con lo stesso alleato con il quale le aveva iniziate. Ecco un esempio della “coerenza” dei nostri concittadini.

 

Perché secondo te? Contestualizzando al mondo del vino?

Se in questo settore cercassimo il reparto "etica", lo troveremmo vuoto. Io non critico il fatto che un produttore sofistichi il vino, ma che abbia pensato di poterlo fare senza dichiararlo apertamente.

 

Ti stai forse riferendo al Sauvignon Gate in Friuli?

A quello come a tanti altri casi, perché forse ci siamo dimenticati della gente che ha perso la vista, o è morta a causa dei danni procurati dal metanolo. Oppure dello scandalo del Pinot Grigio nell'Oltrepò Pavese.

 

D'accordo, quindi critichi chi si scandalizza per un'affermazione, per quanto indegna, e poi non si batte per la liberazione dalle sofisticazioni e manomissioni?

All'italiano piace pontificare, predica bene e razzola male. In Italia, sappiamo di avere sessanta milioni di commissari tecnici e altrettanti chef, ma abbiamo anche sessanta milioni di perbenisti.

 

Io penso che così come fu nella seconda metà del secolo scorso, oggi le battaglie sociali dovrebbero essere fatte in campo enogastronomico.

Sì - vedi - è proprio il concetto da portare avanti, ma le incoerenze di fondo non ci permettono di uscire da certi paradossi. Ed inevitabilmente anche la libertà di stampa ne risente. Quello che io ho sempre criticato è la mancanza di libertà intellettuale, a destra come a sinistra.

 

Infatti alcune testate francesi ti hanno definito un "Echo Fascista"...

Evidentemente fanno più attenzione alla forma che alla sostanza, ma l'importante è capire il punto di partenza, il concetto.

 

E dunque qual è il tuo concetto di fare vino?

Parti dall'idea che se la natura fa uno starnuto, ammazza due milioni di persone... che l'uomo è niente, in fondo. Quando mio figlio mi chiede se la terra è di mia proprietà, io rispondo "No, ne sono il temporaneo gestore". Il vino è come un valzer con la Natura: non tutti i passi ti riescono, non tutte le annate "riescono bene". Noi ad esempio nel 2005 non abbiamo prodotto vino, l'uva era bella, ma non aveva corredo aromatico. Quell'anno la Natura ha deciso di riempirti gli occhi ma non il cuore.

 

Quindi una cantina dovrebbe rinunciare ad un anno d'introito?

Sì, e - ricordo per precisione - deve anche pagare le spese sostenute durante l'annata agraria. Ogni decade accantono qualcosa: provvedo io stesso a garantirmi un'assicurazione.

 

Ma un ritorno alla normalità, dopo questi anni d'isolamento mediatico, lo auspichi o no?

No, assolutamente. Ci sarà un’ulteriore divisione, forse, ma con alcuni invece ci stiamo inaspettatamente riavvicinando... pensa che nella "rossa" Emilia, dopo un calo, siamo tornati a crescere: il mio agente mi ha detto che interessa più il vino che le mie opinioni. Prima si sono scandalizzati, ma poi - domando - perché sono tornati a comprarlo? Spero per la qualità del prodotto o per le richieste dei loro clienti nei locali.

 

Poco fa al telefono ti ho sentito dire che il 2016 è stata un'annata memorabile, qui non avete avuto problemi con la peronospera e la primavera piovosa?

Sì li abbiamo avuti, infatti io prima stavo parlando di qualità. Sulle quantità io ho perso il 35% della mia normale produzione. La DOC Collio prevederebbe una resa massima di 110 q/ha, io solitamente ne faccio 35: quest'anno ho dovuto rinunciare a un ulteriore 30%, quindi il 2016 avrà una resa di 25 quintali d'uva: ecco il risultato di una primavera difficilissima.

 

In Zoran, un noto film di qualche anno fa girato nel mondo rurale friulano, il protagonista Giuseppe Battiston aveva il tuo stesso nome. Lui ha dichiarato di prendere ogni distanza dai tuoi atteggiamenti perché "il razzismo sa di tappo"? Cosa ne pensi tu del razzismo?

Io non ho mai valutato una persona dal colore della sua pelle... probabilmente sono razzista verso i cretini, i buonisti e coloro che sfruttano le persone per la loro etnia o provenienza. Gli stupidi sono equamente divisi tra i bianchi, così come tra i neri.

 

Bressan Mastri Vinai | Farra d'Isonzo (GO) | Via Conti Zoppini, 35 | tel. 0481 888 131 | http://www.bressanwines.com/indexitaliano.html

 

a cura di Luca Francesconi

BressanFulvio Bressan 

 
 

Anteprima Koto-Lab. Koto Ramen cresce: da Firenze a Prato, con un nuovo ristorante e il laboratorio dei ramen

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Grandi novità in casa del ramen bar fiorentino che ha appena spento la prima candelina. Dalla metà di febbraio a Prato aprirà il secondo locale con sorpresa: non solo ristorante, ma soprattutto laboratorio di sperimentazione, ricerca e formazione. All'insegna della contaminazione tra culture e della valorizzazione degli ingredienti. Qualche anticipazione. 

Un anno di Koto Ramen

15 gennaio 2016. Riavvolgiamo il nastro per tornare a un anno fa. In una Firenze che negli ultimi dodici mesi ha fatto registrare tanti movimenti gatronomicamente importanti, apriva le porte al pubblico il ramen bar che avrebbe molto fatto parlare di sé, primo segnale di una rinnovata apertura fiorentina al contributo della cucina etnica di qualità (persino l'oste Fabio Picchi ha recepito il messaggio, e si appresta a portare un contributo alla causa con il suo Ciblèo). Un anno dopo l'insegna di via Verdi 42r può dire di aver brillantemente superato la prova, scommettendo su una valorizzazione della cultura giapponese tout court, che ammette però la contaminazione di generi, il confronto tra istanze diverse, la sperimentazione. In comunione d'intenti tra soci che sommano origini ed esperienze diverse, proprio per questo disposti al dialogo, meglio se davanti a una ciotola di ramen fumante. In cucina, allora come oggi, c'è Shoji Minamihara, che nonostante i natali giapponesi di esperienza in Italia ne ha maturata eccome, tra la cucina di Andrea Berton all'Albereta e l'alunnato di Enrico Crippa. Ma pure forte di uno stage da Zaza Ramen, a Milano. E ora sembra aver trovato la dimensione che gli è più congeniale nell'ambito di un progetto che visto l'ottimo riscontro di pubblico e critica non potrà fare a meno di crescere. In quale direzione?

Shoji Minamihara

Koto Ramen a Prato. Cucina e ricerca

C'è ampio spazio per la ricerca gastronomica e l'approfondimento culturale nell'investimento che si profila all'orizzonte, e che il team di via Verdi ci rivela in anteprima, quando ormai manca poco più di un mese all'esordio nella città di Prato. Già, perché nel futuro prossimo di Koto Ramen c'è l'apertura di un nuovo fronte nella città toscana più storicamente legata alla contaminazione culturale, vista la numerosa comunità orientale che la abita. A Prato, in via Valentini civico 102, lo staff di Koto aprirà un nuovo ristorante (operativo dalla metà di febbraio), 80 metri quadri con cucina a vista e una trentina di posti a sedere. Ma la vera novità sarà lo spazio destinato alla sperimentazione, il laboratorio del retrobottega che supporterà anche la cucina di Firenze: 250 metri quadri a disposizione per realizzare un vero e proprio laboratorio del ramen, probabilmente il primo in Italia. Insomma, un centro di ricerca doveMinamihara potrà sperimentare su prodotti e processi di preparazione, cui si affiancherà la scuola di formazione del nuovo personale, perché “programmi di formazione in cucina giapponese sono ancora poco diffusi in Italia ed è per questo che è quasi impossibile trovare persone capaci di cucinare il ramen” spiega Antonia Alampi Ai nostri cuochi offriremo sempre un corso di specializzazione di 4 settimane”.

Il rendering di Koto Ramen a Prato

Il laboratorio dei ramen

Il laboratorio, dove ci si appresta a completare gli ultimi lavori, potrà contare su un macchinario per la preparazione del ramen in arrivo da Osaka, che permette di preparare la pasta con una quantità d'acqua molto minore, così che i noodle siano più resistenti alle alte temperature, “un investimento significativo che abbiamo voluto sostenere perché crediamo fortemente nel nostro progetto, fondato sulla qualità e sull'equilibrio fra tradizione e ricerca”. L'idea di fondo, infatti, è quella di integrare le qualità migliori di due tradizioni culinarie secolari – la giapponese e l'italiana – cercando l'innovazione, “ma prestando attenzione a rispettarne il contenuto profondo, a cominciare dalla riconoscibilità e dalla freschezza degli ingredienti”.

Shoyu al tartufo

Questo renderà possibile sperimentare nuovi piatti e ricette, da servire in tavola a Firenze e nel nuovo ristorante di Prato. Con una libertà creativa che non tradisce le origini: un recente viaggio in Giappone alla scoperta del ramen non ha fatto altro che rafforzare l'intuizione del team, “con la conferma dell'esistenza di tante diverse varianti e filosofie interpretative del piatto. Continueremo a servire una cucina creativa e genuina. In entrambi i Paesi questa filosofia è un forte elemento identitario, che investe anche il modo di stare insieme, la vita di tutti i giorni, non solo a tavola”.

L'idea del piatto: lo Shoyu ramen al tartufo di Doris Maninger

Cucina genuina e creativa. Esaltare le differenze

Ma attenzione, ribadiscono da casa Koto Ramen, l'idea che ha sempre indirizzato il progetto non cambierà: “Integrare non significa negare l'esistenza di differenze, ma riconoscerle e farle convivere”, perché si esaltino l'un l'altra. In tavola l'esempio più concreto proposto finora è lo Shoyu ramen al tartufo, ma la disponibilità di un grande laboratorio consentirà di battezzare molte altre ricette, che i clienti di Prato potranno assaggiare in anteprima, in attesa che i risultati migliori entrino definitivamente in carta. Il nome del polo che sta nascendo? Semplicemente Koto-Lab. La curiosità è tanta, ne riparleremo nelle prossime settimane.

 

Koto Ramen | Firenze | via Verdi, 42r | www.kotoramen.it

Koto-Lab | Prato | via Valentini, 102 | dalla metà di febbraio 2017

 

a cura di Livia Montagnoli


La storia dei Quattro Passi a Nerano. Tre Forchette nella Penisola Sorrentina

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In quell'angolo magico dell'alta ristorazione italiana che è la Penisola Sorrentina, c'è un nuovo ristorante Tre Forchette. È il Quattro Passi di Nerano, dove la famiglia Mellino in 30 anni ha costruito un sistema articolato di ristorazione, ospitalità, consulenze. Ecco la loro storia.

Lì prima non c'era nulla, se non ulivi e un capanno degli attrezzi. Poi Antonio Mellino ha iniziato a costruire. Era il 1983 e insieme a lui c'era Rita, che sarebbe diventata sua moglie. A quei tempi Antonio faceva le stagioni sulle navi da crociera, come molti suoi conterranei: “c'era poco lavoro, qui all'epoca” racconta il figlio Fabrizio “e la maggior parte delle persone in Penisola andava per mare”. Sei mesi di fila in cucina, una faticaccia, ma si guadagnava bene, molto meglio che in terraferma. Un modo per mettere da parte i soldi necessari per costruire il proprio sogno. Così è stato per i Mellino con Antonio imbarcato in giro per il mondo per tutto l'inverno. L'estate poi stava al Quattro Passi, che all'epoca era anche pizzeria, “ma sempre con la scelta della qualità”. 7 anni così, tra terra e mare, poi verso il '90 si ferma: il locale, ormai solo ristorante, si regge anche senza quelle iniezioni di liquidità date dal lavoro invernale e Antonio può concentrarvisi al 100%. All'epoca si lavorava meglio: “eravamo aperti 10 mesi l'anno, ma erano altri tempi, le persone uscivano di più e noi facevamo una ristorazione più semplice, alla portata di tutti”. Anche perché in quel periodo non c'era l'abitudine di frequentare ristoranti importanti, “soprattutto al sud, dove l'idea diffusa è che anche a casa si mangia bene, e una spesa più alta per cenare fuori non era contemplata”. Quando spingono sul pedale della qualità hanno tutti contro. Ma non importa.

 

Quattro PassiQuattro Passi. Il giardino

Gli anni Novanta

Sono stati anni floridi, i '90, con la clientela locale, che da Napoli o Capri raggiungeva il ristorante che continuava a crescere: “è in questi anni che mio padre conosce tutto quel che gira intorno a un grande ristorante: servizio, cantina, mise en place, guide e premi. E anche un certo modo di fare cucina”. Allora era molto tradizionale, e una nota di innovazione – per quella zona e in quel periodo - era quel riverbero della nouvelle cuisine che arrivava trasformata dal passaggio nelle cucine degli alberghi nostrani, anche perché spesso i collaboratori di Antonio venivano da esperienze in hotel della zona. È l'epoca di pennette al salmone, crêpe suzettee zuppa di gamberi in crosta. “Non erano piatti innovativi, ma hanno segnato un'epoca della cucina italiana”.

Trascorre così una decina di anni, sempre in evoluzione, che culminano con la conquista della prima Stella Michelin. “Un premio all'impegno”: dalla selezione degli ingredienti, alla crescita costante della struttura che nel tempo conta due eleganti sale, alcune stanze, una cucina con il reparto pasticceria separato, una scuola. Ogni anno Antonio aggiunge un pezzetto al suo mosaico e consolida quanto già fatto. Nel frattempo la sua cucina torna sui suoi passi, per continuare ad andare avanti.

Quattro passiQuattro Passi. Linguine alla Nerano

 

I primi anni 2000

Antonio torna in modo convinto alla tradizione: “tutti i piatti tipici di questa zona, ma fatti meglio”. Inizia a manifestarsi lo stile che ci sarà ancora oggi. I grandi classici del territorio ci sono tutti: pasta e patate, gnocchi alla sorrentina, e poi gli spaghetti alla Nerano, con le zucchine: “mio padre non ne era convinto” dice Fabrizio. Poi li mette in carta, ma fatti con le linguine, perché secondo lui prendono meglio il condimento, e sono ancora lì, “alcuni clienti vengono apposta per quelli”. È il periodo anche del mezzo pacchero con coccio e scorfano. “Ma è anche un periodo di enorme crisi”. Si fatica, il nuovo millennio segna un minor afflusso in tutta la Penisola Sorrentina, e inizia a cambiare la clientela, che diventa più internazionale; 5-6 anni in cui il cambio di pubblico porta a una cucina più elementare: lo straniero voleva la ricetta tradizionale, come probabilmente non l'aveva mai mangiata, e non spingeva a fare qualcosa di nuovo. “Gli italiani venivano ogni anno, cercavano piatti diversi, imponevano un rinnovamento” sia nella cucina che negli ingredienti. “Ma è stata una lezione: la tradizione non la puoi dimenticare”. Ma intanto la via è segnata. Una strada che non tradisce la l'identità gastronomica, ma la approfondisce: “non si trattava più di prendere spunti, ma di crearli” sintetizza Fabrizio.

 

Quattro PassiQuattro Passi. Un angolo

 

I secondi anni 2000

Nel 2006 le cose cambiano ancora: “iniziavamo con i degustazione, e le persone non venivano più solo per un piatto e via”. Erano i tempi di piatti come i gamberi scottati su crema di zucca, gli gnocchi ripieni con fave e piselli, o l'agnello scottato in padella. Si inizia a conoscere quel che accade all'estero e la ricerca che rivoluziona il mondo dell'alta cucina. Merito anche della clientela, cambiata ancora. È di nuovo il turno degli italiani, stavolta più colti: “persone che volevano anche ragionare a tavola” racconta “che suggerivano o cercavano qualcosa di preciso, parlavano di prodotti o tecniche. E se tre o quattro persone chiedono la stessa cosa, ci si inizia a fare delle domande. I clienti ci hanno fatto evolvere” conclude. È l'input giusto. Continuano a fare ricerca sui piatti, anche col rischio di allontanare gli stranieri che si aspettavano una cucina tipica. Ma stanno elaborando proprio quella di cucina, con un lavoro su tecniche, consistenze, contrappunti. Cose che nessuno avrebbe potuto riprodurre a casa.

 

Quattro PassiQuattro Passi - La nuova sala

 

Gli anni Dieci

Nel 2011 inaugurano una sala vista mare, molto suggestiva, che pare raddoppiare la vista del mare. Viaggiano all'estero nel periodo di chiusura invernale per visitare grandi ristoranti. Migliora il servizio, migliora la cantina. La cucina preme sempre più su un'evoluzione che non tradisce la cultura gastronomica del luogo; la ricerca della materia prima e il rispetto nel trattarla sono un faro guida. E intanto arriva la seconda Stella.

Fabrizio e Raffaele, due figli, stanno ancora studiando, il primo all'istituto Paul Bocuse di Lione, l'altro in Svizzera, in una scuole di hotellerie. Fanno le loro esperienze e poi rientrano a Nerano. E le cose prendono ancora un'altra strada. È il momento di moltiplicare gli sforzi.

 

Quattro passiQuattro Passi. La cantina

 

Il ristorante come impresa

Si parte con l'apertura del locale a Londra, il Quattro Passi, che nasce da una lunga consulenza di Antonio Mellino a Mosca: “Nerano è un luogo di vacanza, si lavora 6 mesi l'anno, per gli altri mesi si deve trovare un'alternativa” spiega Fabrizio, che ricorda:“un cliente una volta propose a mio padre di insegnare la sua cucina in un ristorante in Russia. Rimase mesi. Fu la stessa persona che propose l'apertura di Quattro Passi in Gran Bretagna e poi a Miami”. Per Londra creano un gruppo di lavoro che non è più solo una brigata di cucina ma uno staff completo, che può seguire diversi progetti. A capo di tutto c'è Antonio, ma ognuno ha un compito be preciso: “ci sediamo spesso a tavola a Nerano per studiare il menu di Londra che cambia 3 volte l'anno”, dice. Ognuno ha un suo ruolo, Fabriziodirige la cucina del Quattro Passi a Nerano, il fratello Raffaele cura le consulenze in giro per il mondo. E insieme mettono su un gruppo di lavoro.

Quattro passi

Quattro Passi

Lo staff e i progetti futuri

Il discorso collaboratori è un tasto delicato, nella ristorazione italiana. Servono persone fidate su cui puntare, soprattutto per sviluppare nuovi progetti, e non è facile trovarle. “Da Ducasse ho vissuto l'esperienza di un grande gruppo di persone, dove mi avevano proposto di rimanere. Un gruppo in cui è difficile entrare ma è anche difficile uscire”. Perché è fondamentale circondarsi di persone valide e formate e una volta trovate non bisogna lasciarsele sfuggire. “Bisogna dare fiducia e avere fiducia” per organizzare un team efficiente che segua i vari progetti. Le consulenze intanto aumentano: tra pochi giorni aprirà il Forte dei Marmi di Miami (dello stesso gruppo del locale di Londra), e a maggio sarà la volta di Dubai.

Il Quattro Passi è oggi un sistema imprenditoriale e non più solo un ristorante di famiglia. Per questo occorre cambiare passo. “Vogliamo cercare di creare intorno a Nerano un piccolo centro di formazione per creare le figure adatte per le consulenze, e un piccolo spazio di ricerca e sperimentazione di tecniche e idee dove analizzare nuovi prodotti, creare nuovi piatti” spiega e aggiunge: “ora si tratta di creare e non più di prendere spunti, gli spunti sono ovunque. Ora ogni piatto ha una storia. Dobbiamo creare gli spazi per fare queste cose duranti mesi invernali”. Il traguardo? “In un paio di anni dovremmo farcela”.

 

Il 2016 e le Tre Forchette

Nerano è la nostra vetrina, è quello che ci ha dato tutto. Ogni anno cerchiamo di fare meglio”. Le consulenze sono fondamentali per reggere in equilibrio tutto il sistema. Perché l'investimento su Nerano non è finito, il lavoro è stagionale, e nel resto dell'anno i viaggi e le esperienze all'estero sono fondamentali per farsi conoscere, ma anche per crescere professionalmente e conoscere altri mercati. Danno ossigeno all'azienda e permettono di essere all'altezza di una clientela internazionale di alto livello.

L'obiettivo oggi è completare l'azienda: la sala (l'ultima) è stata fatta nel 2010, il bar lo scorso anno, le camere nel '90 per cui bisogna rinnovarle. “Ogni 5 anni facciamo un grande investimento, serve l'energia giusta per completare”. Ci sono poi circa 50 ettari coltivati che producono il 35% di quel che si serve al ristorante. “Vogliamo trasformarla in azienda agricola al 100%, ampliandola e aggiungendo anche degli animali da cortile”.

E nel 2016 sono arrivate anche le Tre Forchette sulla guida Ristoranti d'Italia, il massimo riconoscimento per il Gambero Rosso. Che significano? “Grande responsabilità, nei confronti della guida, dei nostri clienti, e del nostro staff. È come vedere giocare Messi” spiega “ti aspetti un grande match”. E chiude: “Mi diceva una volta in macchina il grande chef Quique Dacosta: non si accontenteranno di uno 0 a 0

 

Ristorante Quattro Passi | Nerano (NA) | Marina di Cantone | via Amerigo Vespucci, 13/n | tel. 081 8081271 | http://www.ristorantequattropassi.it

Ristoranti d’Italia del Gambero Rosso 2017 | pp. 640 | La guida è acquistabile in edicola, libreria e on line

 

a cura di Antonella De Santis

 

I nuovi premiati della guida Ristoranti d'Italia 2017

 

La Siriola. Tre Forchette in Alta Badia

Il Capanno. Tre Gamberi a un passo da Spoleto

Taverna Estia. Tre Forchette nella Campania Felix

Alle porte di Roma un corso professionale per chi vuole lavorare in campagna. Ed è gratuito

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150 ore per imparare a coltivare la terra e allevare animali, valorizzando le aree rurali della regione Lazio. L’iniziativa, riconosciuta dalla Regione, fa capo alla Comunità Montana Castelli Romani e Prenestini, e c’è tempo fino al 31 gennaio per presentare la propria candidatura. Ecco i requisiti necessari per partecipare. 

Il ritorno alla terra. E il corso gratuito

Un corso regionale, e gratuito, per cercare di trovare la propria strada nel mondo del lavoro. E perché no, proprio ripartendo dalla terra. Negli ultimi tempi l’attività agricola rappresenta una risorsa alternativa da non sottovalutare, che – complice la crisi economica e occupazionale – sta lentamente riconquistando il posto che merita in un Paese come l’Italia che non ha mai dimenticato la propria vocazione rurale. Anche se, fino a qualche anno fa, il comparto faceva parlare di sé principalmente per la difficoltà di arginare il fenomeno dell’abbandono dei campi: lavoro duro, sveglia all’alba, rese spesso non soddisfacenti e raccolti in balia delle condizioni climatiche (si pensi agli ultimi danni causati dall’ondata di gelo che imperversa sul Centro Sud della Penisola) non sono per tutti. Eppure, dati alla mano, la percentuale di giovani che tornano a subire il fascino della terra è in crescita. E ora la Comunità Montana Castelli Romani e Prenestini, in partenariato con l’Associazione Culturale Minerva Formazione, organizza un corso di formazione per imprenditori agricoli professionali riconosciuto dalla Regione Lazio alle porte della Capitale.

Il corso della Comunità Montana alle porte di Roma. Chi può partecipare

150 ore per acquisire un numero di competenze pari alle molteplici opportunità che la campagna sa offrire a chi vuole “domarla”: coltivazione da fondo, selvicoltura, allevamento di animali ed attività connesse nel rispetto della tutela dell’ambiente e della qualità del prodotto. Al corso, che prenderà il via a febbraio presso la sede della Comunità Montana a Rocca Priora, possono partecipare profili diversi, a partire dai giovani imprenditori tra i 18 e i 41 anni già impiegati nel settore agricolo, alimentare o forestale che operano nel Lazio, o altri soggetti al lavoro nelle aree rurali della regione che hanno superato i 41 anni d’età. Ma c’è spazio anche per chi ancora non ha avuto modo di cimentarsi con il mondo del lavoro: possono presentare candidatura i possessori di titoli di studio, non universitari, inerenti discipline agrarie e forestali, biologiche, naturali, ambientali, chimiche, farmaceutiche, mediche e veterinarie, che non esercitino già attività professionale pubblica o privata.

Per farlo c’è tempo fino al 31 gennaio, termine ultimo per presentare domanda secondo i moduli disponibili sul sito della Comunità Montana (sezione albo pretorio online, avvisi), che poi procederà a organizzare il corso gratuito. L’obiettivo dell’iniziativa è duplice: consentire l’accesso al mondo del lavoro a persone qualificate che vogliono riscoprire il valore della terra e recuperare al contempo l’eredità rurale del territorio regionale, così che l’economia locale di tante aree agricole torni a girare. Perché solo il lavoro (di qualità) genera nuovo lavoro.

Comunità Montana Castelli Romani e Prenestini | Rocca Priora (RM) | via della Pineta, 117 | tel. 06 9470820 | www.cmcastelli.it

 

a cura di Livia Montagnoli

 

La tradizione emiliana su due ruote: a Bologna lo Scrambler Ducati Food Factory

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Mettere insieme la passione per le due ruote e quella per il buon cibo. Ci ha pensato la Ducati, la storica casa di Borgo Panigale, che ha deciso di puntare sulla ristorazione: dopo i due caffè di Roma e Seoul, l’apertura del primo ristorante a Bologna, dove protagonista è la cucina emiliana. 

Appena festeggiato il novantesimo anniversario, la storica Ducati, brand bolognese e fucina di velocissimi gioielli di tecnica e perfezione, apre in Via Stalingrado nella città delle Due Torri, un locale dal conceptinnovativo, il primo di molti, che guarda alla cucina tipica e alle principali eccellenze enogastronomiche emiliane, non solo per gli appassionati delle due ruote. Nel nuovo locale, Scrambler Ducati Food Factory, confluiscono il mondo Ducati e la tradizione culinaria emiliano romagnola, in linea con la filosofia Scrambler "Land of joy", letteralmente Terra della gioia, e coesistono negli stessi spazi, una pizzeria gourmet, un bistrot, uno shop d’abbigliamento e accessori Scrambler Ducati. 500 metri quadri per uno spazio destinato a diventare un punto di incontro e divertimento, connotato dai diversi ambiti dell’universo Scrambler Ducati: food, arte, musica, fotografia, customizzazione, ed eventi, sorto nel quartiere Bolognina, un tempo polo della meccanica di precisione, grazie alla collaborazione di Sviluppi Urbani, società bolognese specializzata nello sviluppo Retail.

La Ducati

La Ferrari delle due ruote, nasce a Bologna nel 1926, la prima sede aziendale, inizialmente denominata Società Scientifica Radio Brevetti Ducati, è in centro in Via Collegio di Spagna 9, ma i suoi fondatori, i fratelli Adriano, Bruno e Marcello Cavalieri Ducati si sposteranno nel 1935 nella grande area di Borgo Panigale, sulla Via Emilia, 120.000 mq allora circondati da campagna e da poche case coloniche, dove si trova tuttora. Un orgoglio bolognese all’avanguardia già nei primi anni, una piccola città che impiegava 3500 persone, e disponeva di due mense, due aule di lettura, una scuola professionale, campi da tennis e pallavolo. Oggi Ducati è uno dei fiori all’occhiello del Made in Italy, e dà lavoro a 1.594 dipendenti. Un brand davvero in buona salute con 55.451 moto vendute nel 2016 agli appassionati di 90 Paesi nel mondo, con un incremento del 1,2% rispetto al risultato del 2015 (54.809), con Stati Uniti primo mercato, crescita del 20% su quello italiano e + 20% in Cina.

Il ristorante

Un capannone anni ’50 al civico 27 di via Stalingrado, un tempo adibito a canapificio, ospita oggi Scrambler Ducati Food Factory. La sala, ripensata dall'architetto Giacomo Migliori, dispone di 130 coperti, e un design contemporaneo di stampo industrial che integra il grigio del cemento “on the road”, il giallo Scrambler, i tubi che richiamano alla produzione e alla fabbrica. La cucina è open space, un soppalco con trenta posti è ideale per meeting riservati, e alle pareti interventi a mano libera, alla bomboletta, con inserti che richiamano al mondo Ducati (di grande effetto la parete di serbatoi colorati), del writer e artista modenese Mauro Roselli, che ha già collaborato con Converse e Museo Pavarotti. Le atmosfere calde e metropolitane, determinate da un attento light design, portano invece la firma di Viabuzzuno di Bentivoglio (BO).

Il menu

Nella cucina a vista si preparano piatti classici bolognesi e contemporanei, con ingredienti genuini e del territorio, ma anche gli impasti e le farciture delle pizze gourmet. La pasta fresca è uno dei punti forti, con tortellini, tortelloni, gramigna, lasagne, tagliatelle, che arrivano dal forno artigianale Pallotti; ma si può scegliere anche la cotoletta alla petroniana, o gli hamburger di Chianina; mentre il capitolo affettati, che riempiono i taglieri e farciscono le pizze, è appannaggio della Villani Salumi di Castelnuovo Rangone (Modena), che è la più antica azienda salumiera dell’Emilia Romagna e tra le più longeve d’Italia. Il reparto pizza garantisce impasti morbidi e croccanti, sia per le tonde (rosse o bianche), che si preparano con lievito madre naturale, 36 ore di lievitazione, farina biologica di tipo 1 macinata a pietra del Molino Grassi, e cotture in un forno combinato gas e legna, che per le pizze in pala, preparate con farina multicereale biologica, e cotte in forno elettrico. Grande attenzione è riservata ai topping delle pizze, farcite con selezionate materie prime, tra cui le acciughe del Cantabrico, il Prosciutto crudo di Parma 24 mesi, il formaggio Blu del Monviso, la Salsiccia di Mora Romagnola, l’Aceto balsamico di Modena, la burrata pugliese Querceta bio. Per quanto riguarda la parte del beverageinvece, la scelta cade su una selezione di birre italiane, anche artigianali e vini nazionali, in particolare il Franciacorta Contadi Castaldi; e il Lambrusco Ottocentonero di Cantina Albinea Canali.

 

Scrambler Ducati food factory | Bologna | via Stalingrado, 27 | tel. 051 362777 | www.scramblerducatifoodfactory.it

 

a cura di Luca Bonacini

Sigep 2017, a Rimini il salone dedicato all'artigianato più goloso

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È giunta alla sua 38esima edizione la fiera nata per valorizzare l'artigianalità nelle sue declinazioni più dolci. Dal 21 al 25 gennaio, Rimini si anima con degustazioni, contest e laboratori dedicati a pasticceria, gelateria, panificazione e caffetteria.

L'evento

Il 2017 gastronomico inizia con uno degli eventi più gustosi dell'anno. È il Sigep, salone mondiale del dolciario artigianale che si propone di esaltare e promuovere la tradizione italiana e internazionale della gelateria, pasticceria e panificazione, con un occhio di riguardo anche alla caffetteria e torrefazione di qualità. Promosso dal Ministero dello Sviluppo Economico, il Mipaaf, la Regione Emilia Romagna, il Comune di Rimini e ospitato da Rimini Fiera, Sigep è giunto quest'anno alla sua 38esima edizione. Una kermesse di convegni, laboratori, competizioni, seminari, dibattiti e, naturalmente, tanti assaggi: la manifestazione chiama a raccolta i migliori artigiani a livello internazionale per confrontarsi (e sfidarsi) su tecniche, preparazioni e trucchi del mestiere. Un festival dedicato in maniera particolare agli addetti ai lavori, ma che si rivolge a tutti, dall'appassionato amatoriale al consumatore comune, dagli adulti ai più piccoli.

Le competizioni

Cuore pulsante dell'evento sono i contest fra professionisti, a cominciare dal Campionato Mondiale di Pasticceria Juniores, The Planet of Fantasy, che ha come tema centrale la creatività, per finire con The Star of Sugar, gara che vede i maestri pasticceri alle prese con la lavorazione dello zucchero. Fra gli artigiani del dolce, non possono mancare i maitre chocolatier: con The Ultimate Chococake Award si celebra il cibo degli dei, declinato in una delle sue versioni più golose, la torta al cioccolato. Spazio poi all'arte bianca, con Bread in the City, competizione fra panettieri di fama internazionale, e ancora al concorso Young Ideas, che premia le idee migliori dei fornai più giovani. Protagonista dell'evento sarà poi il gelato con ilGelato World Tour German Challenge, una sfida fra 100 gelatieri che, con una sola mantecata, devono realizzare di fronte alla giuria il proprio gusto cavallo di battaglia per poter accedere direttamente alla semifinale tedesca del campionato mondiale di Berlino.

Parte fondamentale del programma è poi la sezione dedicata al caffè di qualità: fra degustazioni e gare fra baristi, l'oro nero sarà protagonista per tutte le giornate della manifestazione. Campionato Italiano Baristi, Campionato Italiano Latte Art (preparazione e decorazione dei cappuccini), Campionato Italiano Coffee in Good Spirits (cocktail a base di caffè), Brewers Cup (preparazione caffè filtro), Campionato Italiano Cup Tasting (assaggio del caffè), Campionato Italiano Ibrik (preparazione caffè alla turca) e Campionato Italiano Roasting (tostatura): sono queste le diverse discipline in cui dovranno sfidarsi i professionisti del settore. In mostra e in degustazione tanti caffè estratti con metodi diversi, dall'espresso al filtro.

I convegni

Ma il Sigep è anche un'occasione di confronto e scambio fra consumatori e addetti ai lavori. Sono tanti infatti i seminari dedicati ai vari temi del settore dell'artigianato. C'è il focus sulle farine, sulle diverse tipologie di grano e di macinazione e sulle civiltà del pane. E poi laboratori per i macchinari, elementi imprescindibili per la buona riuscita di un prodotto artigianale. Fra i vari marchi, sarà presente anche Bravo, azienda vicentina di macchine per gelato, cioccolato e pasticceria che al Sigep si affianca a professionisti del calibro di Ernst Knam, Iginio Massari, Alessandro Borghese e Simone Rugiati. In occasione del suo 50esimo anniversario, Bravo presenta inoltre un'edizione limitata di una nuova linea di macchine con la plancia dorata.

E poi dibattiti sul gelato: con Gelato In-Forma, i maestri della gelateria italiana presenteranno gusti creati per gli sportivi, con abbinamenti insoliti e un apporto proteico e vitaminico più elevato rispetto a quello dei gusti canonici. Perché il gelato è un prodotto goloso, ma può diventare anche un alimento sano e nutriente, funzionale e adatto alle diverse esigenze.

La guida Gelaterie d'Italia del Gambero Rosso

Last but not least, il gelato è anche il protagonista della nostra nuova guida gastronomica. Lunedì 23 sarà presentata alle ore 14.00 nella Sala Neri 2 la prima edizione della guida Gelaterie d'Italia, l'ultimo progetto editoriale del Gambero Rosso che raduna i migliori indirizzi della Penisola da raggiungere per un buon gelato. Cremoso, leggero, senza lattosio e poi il gelato gastronomico, che coniuga in un unico gusto dolce e salato: le declinazioni del gelato contemporaneo sono svariate, e la nuova guida le raccoglie tutte in un'unica mappa di indirizzi, ampia e articolata. Nomi già noti agli appassionati e indirizzi meno conosciuti, insegne storiche e aperture recenti, e diversi premi speciali: Gelaterie d'Italia – prima e unica guida italiana dedicata a questo prodotto – è un manuale che si rivolge a tutti i consumatori più golosi in cerca del gelato che meglio risponde alle proprie esigenze.

Sigep | Rimini | via Emilia, 155 | dal 21 al 25 gennaio 2017 | www.sigep.it/

a cura di Michela Becchi

Incontri D Cibo&Altro a Milano. D Repubblica convoca chef, giornalisti e designer per raccontare il cibo

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Appuntamento sabato 21 gennaio a Milano, in Villa Necchi Campiglio, per la quarta edizione di Incontri D, che per la seconda volta dopo Expo torna a occuparsi di cibo. E delle sue interazioni con design, arte, moda, imprenditoria. Ricco il parterre di ospiti, ingresso libero per tutti.   

Incontri D... Cibo

Sabato 21 gennaio, a Milano si torna a parlare di cibo. L'occasione giusta arriva dall'iniziativa promossa dalla redazione di D LaRepubblica, che nel 2014 proponeva per la prima volta il format Incontri D, momenti di condivisione, riflessione e divertimento su un tema dato, a partire dalla bellezza. Nel 2015, nella Milano d Expo, fu la volta del cibo, poi, nel 2016, venne la musica. L'ultima delle edizioni organizzate sin ora. Ma tra qualche giorno sarà Villa Necchi Campiglio a ospitare il quarto appuntamento della serie, ancora una volta per esplorare l'universo enogastronomico, incontrare i suoi protagonisti, condividere nuove storie che raccontano un'Italia del gusto fatta di chef, consorzi, critici, fotografi, editori e imprenditori illuminati. Dalle 10.30, l'evento realizzato con la collaborazione di FuoriFormat e curato per l'organizzazione dei contenuti da Giovanna Zucconi porterà sul palco numerosi ospiti, afferenti da ambiti molto diversi, per riflettere su tematiche disparate, dall'etica al design, dalla cultura alla moda, all'imprenditoria, seguendo il comun denominatore del cibo, tra sostenibilità, racconto, tendenze, nuovi consumi.

Incontri D Cibo&Altro. Il programma

E infatti, tra talk e degustazioni (tutti a ingresso libero e gratuito, fino a esaurimento posti), il programma della giornata sarà scandito da una scaletta ricca di interventi, all'insegna dei buoni propositi per il futuro (ma prima ancora per il presente): cominciare, leggere, prevedere, rispettare, non sprecare, creare, raccontare, dipingere, assimilare sono gli imperativi all'infinito che definiscono gli incontri. A ogni momento i suoi protagonisti. Si comincia in mattinata con Lisa Casali, Licia Granello, Luca Mercalli della Società Metereologica Italiana (per parlare dell'impatto dei cambiamenti climatici sulle coltivazioni), La Pina da Radio Deejay. E poco prima della pausa pranzo salirà sul palco un quintetto di donne di piglio: il direttore di D Valeria Palermi a moderare Tiziana Primori (responsabile del progetto Fico), Chiara Marzaduri di Alce Nero, la chef Viviana Varese, Alessandra Bianchi di Lavazza. Nel pomeriggio, tra gli ospiti attesi, gli chef Antonio Guida Fabrizio Borracino per parlare di cucina creativa e stagionale, lo stilista Antonio Marras, il giornalista e food editor Luca Iaccarino, il critico d'arte Flavio Caroli e la fotografa Francesca Moscheni (che insieme illustreranno com'è stato raccontato il cibo nell'arte nei secoli e come lo rappresentiamo oggi) l'attrice Geppi Cucciari.

 

Incontri D Cibo&Altro | Milano | Villa Necchi Campiglio, via Mozart, 14 | sabato 21 gennaio, dalle 10.30 | http://d.repubblica.it/promo/incontridcibo/

La carne grass fed. Tutto quello che c'è da sapere

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Se ne parla già da anni, anche se in Italia è ancora un terreno inesplorato. È la carne grass fed, molto in voga negli States, anche grazie a Michael Pollan che nel libro “Il dilemma dell’onnivoro” non usa mezzi termini:“I bovini non sono nati per ingoiare cereali in una stalla, ma per brucare vegetali allo stato brado: rispettare questa inclinazione mi sembra doveroso”. Di che si tratta?

Carne grass fed

Grass fed significa letteralmente “nutrito a erba”. E quando si parla di allevamento grass fed, si intende un sistema di crescita che permette ai bovini di restare al pascolo per l’intero ciclo di vita, dalla nascita alla macellazione. A differenza dell'allevamento tradizionale dove gli animali vengono spesso nutriti con cereali e mangimi, per una crescita e un ingrasso rapidi. Il sistema grass fed, oltre a rispettare il benessere degli animali, è decisamente meno impattante, dato che mais e soia (usati per alimentare gli animali negli allevamenti convenzionali) da una parte richiedono un'enorme quantità di acqua, dall'altra contribuiscono in alcuni paesi al consumo di suolo strappato alle foreste. Non solo, negli allevamenti tradizionali subentra un ulteriore problema: lo smaltimento di migliaia di tonnellate di liquami prodotti.

Come riconoscerla

In Italia una certificazione ancora non c'è, a differenza degli Stati Uniti dove crescono i produttori certificati dall'American Grassfed Association, e sono ancora poche le realtà che praticano questo tipo di allevamento (solitamente quelle che non si sono mai ammodernate). A peggiorare il quadro è il fatto che chi lo pratica non ha quasi mai né un sito né un servizio di spedizione. Anche se qualcosa si sta muovendo.

Ce lo conferma Giuseppe Zen di Macelleria Popolare: “Abbiamo aperto due anni fa dopo una vita di ricerca delle materie prime. Girando, ogni tanto trovavo qualcuno che allevava al pascolo, allo stato brado, ma non tutti potevano garantire la quantità di carne di cui necessitavo. Così siamo partiti con sette allevatori fidati, che poi sono diventati cinque perché, uno ha deciso di scappare in Slovenia con la fidanzata, e l'altro è stato chiuso dall'Asl” racconta ancora Zen, che continua “Apro una parentesi: in Italia e in Europa pare ci sia una sorta di ostracismo per ciò che è naturale, basti pensare alla demonizzazione dei formaggi a latte crudo, quando, per quanto mi riguarda, quelli fatti con latte pastorizzato sono di gran lunga inferiori”. Chiusa parentesi. “Da due anni a questa parte sono gli stessi allevatori grass fed a cercarci. Oggi siamo passati da 5 a 12 realtà, tutte familiari, dislocate in Italia, dalla Sicilia al trevigiano, e all'estero. C'è quello nella penisola a nord della Germania, e c'è l'allevatore del mantovano che prende le vacche dalla Sardegna, da un altopiano sopra Olbia”. L'elenco dei fornitori continua con una famiglia di allevatori di Noto, una nel Lodigiano ed Eugenio Barbieri nell'Oltrepò Pavese, allevatore scrupoloso che in base ai periodi possiede dai sette ai ventidue capi.

Razze, marketing e micro joint venture

Con alcuni abbiamo creato delle micro joint venture (de noialtri!), nel senso che se servono sei capi, tre li comprano loro e tre li paghiamo noi. Facendo sempre riferimento ad aziende fidate e senza prestare troppa attenzione alle razze selezionate, dato che il discorso della “razza” è puro marketing: una volta non esisteva la distinzione tra vacca da latte e vacca da carne. Ieri, per esempio, ho mangiato una bistecca di una Frisona (ndr: categorizzata come razza da latte) che era una meraviglia”. Neanche a dirlo questa carne è di gran lunga superiore, rispetto alla carne tradizionale,anche dal punto di vista organolettico. E dal punto di vista delle cotture, che cambia?

Il punta di vista del cuoco

Uno dei clienti di Giuseppe Zen è Vittorio Fusari, chef di Al Pont de Ferr da quasi due anni, lavora da sempre con una filosofia di cucina che parte dal buono, pulito e giusto, per arrivare alla conservazione della bellezza del pianeta, attraverso piatti che valorizzano i prodotti della terra e degli uomini che lavorano in sintonia con la natura. A lui abbiamo chiesto quali sono le principali differenze in cucina. “La grass fed è una carne molto dura, che necessita di un trattamento di frollatura prolungata. Zen ce la consegna con dodici giorni di frollatura, che noi prolunghiamo fino ad arrivare anche a un mese, un mese e mezzo. Una volta presa questa accortezza le tecniche di cottura sono quelle tradizionali. Cosa ben diversa il risultato: la carne è decisamente più saporita.”. Il food cost? “Il prezzo è più alto, non altissimo, ma bene così, anche perché quello che si risparmia dal macellaio, lo si spende poi in farmacia”.

Valori etici e valori organolettici

Nella carne dell'animale “nutrito a erba” c'è una minore o nessuna presenza di antibiotici, chemioterapici, pesticidi: la vita degli animali in spazi aperti e meno affollati riduce infatti la probabilità di contrarre malattie, di conseguenza i medicinali utilizzati sono sicuramente meno. Inoltre la vita all'aria aperta e l'alimentazione basata principalmente sull'erba (male che vada d'inverno si usa il fieno), assicura una presenza quasi nulla di pesticidi e di conservanti nelle carni. Poi c'è una maggiore presenza di acidi grassi omega 3 e di vitamine liposolubili: mentre la quantità di grassi saturi è la stessa rispetto alla carne tradizionale, ciò che cambia in modo sostanziale è la presenza di omega 3, acidi grassi essenziali spesso poco presenti nella nostra alimentazione e fondamentali nella prevenzione di malattie cardiovascolari e per il buon funzionamento di cervello, occhi e ghiandole endocrine. Gli alimenti più ricchi di tali sostanze sono il pesce, alcuni semi oleosi e i prodotti dei ruminanti, qualora effettivamente si alimentino ruminando. Questi, infatti, sono fra le poche specie animali in grado di produrre gli omega 3 autonomamente senza introdurli con l'alimentazione. Inoltre la carne grass fed ha un maggior contenuto di vitamina E, potente antiossidante di cui è ricchissimo anche l'extravergine, e di carotenoidi, precursori della vitamina A.

Dove comprarla

Facendo una breve ricerca ci siamo resi conto che la strada da fare, per i nostri allevatori, è ancora molto lunga, dato che quasi nessuno ha un sito proprio (molti sono citati nei siti o blog che parlano della paleo dieta o dieta paleolitica, ovvero quella filosofia alimentare ispirata al regime che ha alimentato l'uomo per oltre 2 milioni di anni).

Ma siamo incappati in www.grassfeditalia.com. Il progetto di tre under 30 campani che hanno dato vita a un sito di e-commerce dedicato. Sono Paolo Ercolano (commercialista), Antonio Petito (laureando in ingegneria, lavora presso una grossa azienda di riqualificazioni energetica ed industriale) e Gianmarco Scioscia (praticante avvocato abilitato al patrocinio specializzato in diritto ambientale). “Tutto è nato perché stavamo cercando, per uso personale, della carne grass fed. Ci siamo resi conto subito che in Italia è molto difficile da reperire perché quei rari allevatori che praticano solo il pascolo hanno pochissimi capi e li vendono ai loro conoscenti”. Così si sono rivolti agli allevatori irlandesi. “Attualmente l'Irlanda è il miglior luogo di produzione per la carne grass fed perché riesce a garantirne una qualità e una quantità costante nel tempo. Inoltre il Paese ha un clima unico nel suo genere, che permette ai bovini di pascolare e mangiare erba fresca tutto l’anno, cosa impossibile nella stragrande maggioranza delle realtà italiane”.

I tre si riforniscono da più consorzi, tutti aderenti al più grande programma di ecosostenibilità irlandese, Origin Green, che garantisce il controllo costante da parte di enti indipendenti di tutta la filiera produttiva: dalla qualità delle acque e del terreno al benessere dei lavoratori. “Ovviamente volevamo dare la possibilità anche ad altri, che magari avevano riscontrato le nostre stesse problematiche iniziali, di poter acquistare questa carne online. Da qui il sito di e-commerce, nato ad aprile 2016, che è anche un blog specializzato nella grass fed, un argomento ancora troppo poco trattato in Italia”. Ma un dubbio ci viene: non è un controsenso optare per una carne “etica” e poi farsela arrivare da lontano?“Il trasporto inquina molto meno rispetto all'allevamento intensivo. Poi in Irlanda ciascun allevamento ha il proprio macello, quindi si risparmia sul tragitto allevamento - macello”.

 

Macelleria Popolare | Milano | Piazza XXIV Maggio c/o Mercato Coperto | tel. 02 3946 836 | www.mangiaridistrada.com

Al Pont de Ferr | Milano | ripa di Porta Ticinese, 55 | tel. 02 89406277 | www.pontdeferr.it

www.grassfeditalia.com

 

a cura di Caterina Pamphili e Annalisa Zordan 

Home restaurant: la legge approvata alla Camera. Trasparenza, tracciabilità e limiti stringenti. Le reazioni

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Passa alla Camera con 326 voti favorevoli la legge sugli home restaurant, che detta norme precise per regolare il fenomeno del social eating. Soddisfazione della Fipe, ma non mancano le polemiche dei ristoratori fai da te. 

La legge sugli home restaurant. L'iter legislativo

All'inizio di novembre, per i titolari di home restaurant, era scattato il primo campanello d'allarme. Dietro insistenti richieste, e per la presa di coscienza tardiva della politica italiana (su proposta del M5S, e presa in carico del deputato Pd Angelo Senaldi), il ddl approvato dalla commissione Attività Produttive si prefiggeva di regolare quella terra di nessuno che fino a oggi sono state le attività di ristorazione “casalinga”. Un fenomeno in crescita esponenziale anche nel nostro Paese – esploso in ritardo rispetto all'Europa che fa tendenza – e presto sfuggito alle maglie della burocrazia nazionale, tanto farraginosa per molte pratiche quotidiane e invece praticamente assente in materia di home restaurant, causa lampante buco legislativo. Ora però, facendo seguito all'iter parlamentare posticipato per dare precedenza al referendum dello scorso dicembre, la parola definitiva arriva con 326 voti favorevoli alla Camera dei deputati (solo Cor e Lega hanno votato contro, 23 i no), che ratifica il primo ddl sugli home restaurant. La nuova legge dovrà regolamentare il settore favorendo la concorrenza leale tra attori della ristorazione, finora minacciata dall'impossibilità di imbrigliare dentro confini certi il fenomeno del social eating, che secondo stime della Confesercenti nel 2014 ha generato un fatturato di oltre 7 milioni di euro.

Il ddl 3258. Le nuove regole

E le regole del gioco sono quelle di cui abbiamo già auto modo di parlare: in quanto “attività saltuaria”, la ristorazione fai da te non potrà fatturare più di 5mila euro all'anno, né servire un numero di coperti superiore alle 500 unità per anno solare. Limiti rigidi, cui si aggiunge l'obbligo di affidarsi alle piattaforme digitali dedicate per relazionarsi con i potenziali clienti, e, soprattutto il pagamento obbligatorio tramite sistemi elettronici, per scongiurare l'evasione fiscale (ma qui sarà necessario vigilare attentamente perché il provvedimento si dimostri efficace). E poi c'è un requisito in più, che negli ultimi mesi ha fatto molto discutere, in merito alla presentazione – da oggi obbligatoria, ma in forma telematica, e quindi meno vincolante rispetto alla proposta iniziale – della cosiddetta Scia, la dichiarazione di inizio attività commerciale, che si aggiunge alla certificazione igienico sanitaria e alla stipula di un'assicurazione sulla casa e per coprire i rischi derivanti dall'attività. Passa anche il cavillo sancito dall'articolo 5 del nuovo ddl AC-3258: “l'attività di home restaurant non può essere esercitata nelle unità immobiliari a uso abitativo in cui sono esercitate attività turistico-ricettive in forma non imprenditoriale o attività di locazione per periodi di durata inferiore a trenta giorni”. Con l'evidente volontà di spezzare l'accoppiata sociale eating e Airbnb.

Le reazioni. Soddisfazione Fipe, contrario Scivoletto

Le reazioni a caldo dei diretti interessati? C'è chi esulta – la Fipe tramite Marcello Fiore, “finalmente si mette fine a un'evasione fiscale e contributiva pressoché totale” - e chi, invece, non nasconde lo scoramento per una legge definita troppo stringente, Giambattista Scivoletto (fondatore del sito homerestaurant.com) in testa, che contesta tanto l'obbligo di registrazione sulle piattaforme dedicate, che quello di pagamento elettronico: “Impedirà l'85% delle probabili aperture”, sostiene sondaggi alla mano Scivoletto.

La proposta di Gnammo. Più respiro per la sharing economy

Nel mezzo c'è la posizione della principale piattaforma di social eating italiana, indirettamente chiamata in causa proprio dal testo, in qualità di garante dell'attività. Secondo Cristiano Rigon, founder di Gnammo, è positivo che esista una norma in materia, “in quanto permetterà a tutti gli aspiranti cuochi di sperimentare la sharing economy senza paura di andare contro le autorità”. Ma molti dei limiti stabiliti non sembrano piacergli neanche un po': a suo parere la legge sarebbe frutto “di insistenti attività di lobbying da parte delle associazioni di categoria che non hanno realmente compreso quanto l’home restaurant sia lontano dall’esperienza del ristorante e sia non avversario ma strumento di sviluppo del settore”. L'alternativa auspicabile? “Normare a livello quadro la sharing economy, negli aspetti condivisi da tutte le attività”. E non è ancora detta l'ultima parola, che ora spetta al voto del Senato: “L’augurio è che il Senato sappia produrre una legge sufficientemente agile e snella, rispondente ai suggerimenti UE di non promulgare norme che limitino, ma che favoriscano lo sviluppo del mercato del social eating, limando ancora i forti vincoli presenti nel testo approvato oggi alla Camera”. 

 

a cura di Livia Montagnoli


In viaggio. Roero, grandi vini e splendidi salumi

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Attorno ai crinali ocra delle Rocche, quella lunga dorsale di marne a nord del Tanaro, c’è un lembo di Piemonte – le colline del Roero – dove il senso del bello e del buono si rinnova a ogni angolo, il corpo si ricarica, lo spirito si rigenera. Una magica alchimia di benessere tra boschi, castelli sabaudi, frutteti e lussureggianti vigneti.

Tra le colline del Roero su tutto regna la gastronomia tentatrice e genuina unita a un’accoglienza un po’ timida, ma sotto sotto calorosa. Un paesaggio magnifico, tutto da scoprire grazie all’Ecomuseo delle Rocche, istituito nel 2003, che valorizza le risorse naturalistiche del Roero, territorio proclamato patrimonio Unesco insieme a Langhe e Monferrato. Le colline del Roero sono attraversate da una dorsale marnosa di circa 40 chilometri, che lambisce 8 paesi da Pocapaglia (Cuneo) a Cisterna d’Asti, l’unico comune dell’astigiano interessato da questo fenomeno geologico erosivo, conosciuto anche come “cattura del Tanaro”. Un’area naturalistica e boschiva percorsa da 18 sentieri tematici ad anello e da 4 itinerari ciclabili che permettono di esplorare i territori dei 23 Comuni del Roero.

 

La_Rocca_di_Santo_Stefano_Roero_Cn.jpgLa Rocca di Santo Stefano Roero

Le nuove sfide dell'agroalimentare

Dal cilindro di questa cornucopia abbondante di certezze – vini, cucina, prodotti – spuntano anche sorprese e novità: come il primo sidro spumante di pere madernassa; o il recupero alimentare della canapa sativa, sotto forma di farine, olio e semi; ma anche originali utensili di cucina in legno e un rinnovato “orgoglio birrario” che si fa largo in una terra dominata dai signori del vino.

Idee, sperimentazioni, iniziative che a volte prendono le mosse dai giovani o dalla categoria degli “ex” – ex informatici, ex chimici, ex disegnatori industriali – che decidono di cambiare vita e si reinventano salumieri, falegnami, produttori di birra artigianale. A volte riallacciando i fili di una tradizione familiare che stava per concludersi, altre per trasformare in lavoro una passione: il Roero aiuta e gioca di sponda, grazie al potenziale enoturistico ancora tutto da sviluppare.

 

Birra e sidro. L'altro terroir

Su queste colline nascono grandi vini rossi e bianchi come il Roero Docg e il Roero Arneis, ma le nostre birre corrono su binari paralleli. Sono meno impegnative, equilibrate, più facili d’abbinare. Nessuna scelta estrema e niente spezie marcate: sono adatte a una cucina di territorio priva di gusti esagerati”, spiegano Alessandro Accossato e Alberto Scaglione del nuovo Birrificio Alba, dal 2015 produttori a Guarene di “crude non filtrate rifermentate in bottiglia”, dopo anni spesi tra laboratori di chimica (Alessandro) e un’azienda di distribuzione pneumatici (Alberto). Crude, non filtrate, rifermentate in bottiglia almeno un mese “per sviluppare un ricco bouquet”. Nelle cantine ottocentesche di Cascina del Conte, a Guarene, nel nuovo Birrificio Alba, Accossato e Scaglione producono cinque birre artigianali; come la Blanche, che si abbina a pesce, primi leggeri e formaggi freschi; e la Marte, ideale con carni grigliate, selvaggina e brasati, grazie a note caramellate intense.
Altri due giovani, Massimo Rivata ed Emanuele Borio, hanno lanciato da due anni il primo sidro spumante di pera madernassa– il Maderè– una varietà autoctona del Roero. Per ora 5mila bottiglie. “In realtà il sidro viene dalle mele, questo invece è fatto di pere: sarebbe un perry! Ma è complicato anche farlo conoscere come sidro!”fa Borio “Un tempo era una bevanda diffusa qui al nord, ma oggi è difficile convincere le persone a metterlo a tavola. Dopo lo sconcerto iniziale, però, chi lo beve ne rimane poi positivamente colpito”. Di basso grado alcolico (8%) si beve come aperitivo o insieme a piatti di pesce poco conditi, insalate di mare e spaghetti ai frutti di mare, ma anche formaggi e salumi. Da provare con pizze alle verdure. Senza glutine, senza solfiti e vegano.

La strategia adottata da Borio e Rivata passa per la collaborazione con altri attori gastronomici del Roero: una birra aromatizzata al succo di pera con il Birrificio Alba, un risotto al Maderècon lo chef Davide Odore del ristorante Miralanghe e un gelato al “perry” con la gelateria Mara dei Boschi, ad Alba.

 

Il prosciutto arrosto di Canale di Sandro FaccendaIl prosciutto arrosto di Canale di Sandro Faccenda

Tartufi, carni e salumi

Ma se Rivata e Borio nascono agricoltori – il primo fa anche vino in Langa, il secondo vende nel suo negozio, l’Orto Smeraldo – al contrario l’ex restauratore Luca Aloi ha trascorso anni davanti a capolavori d’arte e antiquariato prima di reinventarsi addestratore di cani e cercatore di tartufi, confidando sul fiuto sottile dei suoi quattro amici pelosi. Oggi guida anche i turisti e gli appassionati a caccia di tuberi, con soste golose in un casotto nei boschi per concludere l’esperienza a suon di salumi, formaggi e profumi di tartufo del Roero.

Benvenuti a Canale, il paese del vino e del prosciutto arrosto!” ci accoglie Sandro Faccenda, un altro ex che per mantenere viva la norcineria di famiglia ha gettato giacca e cravatta alle ortiche, già qualche anno fa. “Ero manager informatico, guadagnavo bene, ma davanti all’ipotesi di chiudere bottega ho imparato il mestiere di mio padre”. Così oggi fa squisiti salami crudi e cotti, pancette, salamini e una golosità come il prosciutto arrosto di Canale: sei ore di forno a bassa temperatura.

Sandro Faccenda, quarta generazione, continua una tradizione familiare di norcineria cominciata nel 1894. Oltre a salami crudi, cotti, salamini e pancetta prepara con cura artigianale uno squisito prosciutto arrosto. Le carni di coscia di suino sono scotennate, disossate e ripulite del grasso in eccesso, poi messe in ammollo in vino bianco Roero Arneis un paio di giorni. Una volta asciugate sono aromatizzate con sale, pepe e un mix d’aromi, come rosmarino fresco e aglio a spicchi grossi. Cucite a mano e legate con spago elastico, che stringe il prosciutto anche in cottura, le carni si mantengono più compatte. Inoltre il lato più magro del coscio è coperto da un pezzo di cotenna per favorire un rilascio lento del grasso interno, durante le 6 ore in forno a convenzione, a bassa temperatura. Senza conservanti, naturale, il prosciutto arrosto di Canale si mangia a fette con frittelle di pane, con salsa di maionese o bagnato da gocce d’aceto balsamico.

 

I taglieri di Cristiano RapettiI taglieri di Cristiano Rapetti

Il legno

Invece, all’ombra del Castello di Guarene, il quarantenne Cristiano Rapetti, professione amministrativo, sta trasformando il suo hobby di falegnameria in un lavoro che potrebbe diventare a tempo pieno. Su disegno della moglie Vittoria realizza con legno massiccio, di prima segagione, locale e certificato, utensili e oggetti d’arredo per bar, cantine e cucine, come taglieri a forma di grappolo d’uva o di bottiglia, carrelli in design per il taglio del prosciutto, banconi, tavoli, sedie personalizzate.

 

canapaUn campo di canapa Carmagnola nella fattoria Tenute del Roero a Baldissero d'Alba

La canapa

Un’altra curiosità arriva dai fratelli Ruata, imprenditori del settore olio (l’extravergine Goccia d’Oro, oli di semi, di sansa, di riso). Nei campi della fattoria Tenute del Roero, a Baldissero d’Alba, i Ruata coltivano a usi alimentari una cinquantina d’ettari di canapa sativa, varietà carmagnola, per trasformarla in farina di semi di canapa, olio di semi di canapa, semi decorticati, pesto con semi di canapa.

Al centro Giovanni Negro con i figli Angelo (sx) e Gabriele (dx). Cantina Angelo Negro, a Monteu Roero (Cn)Al centro Giovanni Negro con i figli Angelo (sx) e Gabriele (dx). Cantina Angelo Negro, a Monteu Roero (Cn)

 

Il vino

Tra tutte queste novità il mondo del vino non sta certo a guardare. La prima notizia è che all’Enoteca Regionale del Roero, tempietto enologico locale e della cucina pluripremiata di Davide Palluda è arrivato il nuovo amministratore Pierpaolo Guelfo, che dopo qualche settimana di rodaggio ha rimesso in moto la promozione e ripensato gli spazi interni all’Enoteca.

Sul fronte cantine, invece, il Consorzio produttori ha approvato prima dell’estate il progetto delle “menzioni geografiche aggiuntive”, i cosiddetti cru, forse riportati in etichetta già dalla vendemmia 2017; annata che comunque inaugurerà la stagione nascente dei primi Roero Arneis Riserva, bianchi con almeno 16 mesi d’età a partir dalla vendemmia. “Questa novità vuole dimostrare la capacità di affinamento della varietà a bacca bianca arneis” sottolinea Giovanni Negro, della cantina Angelo Negro “Noi già dal 2001 produciamo solo nelle migliori annate il 7 Anni, un bianco Arneis che fa 6 mesi d’acciaio e 6 anni e mezzo di bottiglia”.

Anche tra i progetti della cantina Matteo Correggia c’è un Arneis di lungo affinamento, pronto nel 2018 con l’annata 2012. “Il tempo fa esprimere al meglio la mineralità di questo vitigno”, spiega la signora Ornella, che insieme ai figli Giovanni e Brigitta oggi guida la cantina, dopo la scomparsa del marito.

La nostra deviazione tra le vigne si conclude con una degustazione in un ciabòt panoramico, un tipico casotto per gli attrezzi di lavoro che il produttore Maurizio Ponchione ha trasformato in spazio di visita e accoglienza. Con una breve scarpinata arriviamo sulla cima del Bricco degli Albazzi, ma la fatica è ripagata da una golosa merenda sinoira (salame cotto, prosciutto crudo, formaggi, focacce, frittatina alle erbette fatta in casa…) e dai buoni vini bianchi e rossi di Ponchione. “Qui siamo alle porte del Roero!” esclama il vigneron “appena sotto questa collina comincia il Monferrato e la provincia d’Asti”. Un altro bel paesaggio Unesco, ma le Rocche sono un’esclusiva del Roero.

 

L'Enoteca Regionale del RoeroL'Enoteca Regionale del Roero

Andar per cantine tra crutìn e ciabòt

I crutìn sono grotte e cunicoli scavati anticamente accanto alle cantine nella pietra tenera delle Rocche e utilizzate a partire dal ‘600, con l’avvento delle bottiglie in vetro, per conservare i vini. Nei centri storici del Roero sono ancora tante le case con il loro crutìn. Se ne possono visitare due a Monteu Roero nel B&B Corte dei Rotari: uno è interno alla struttura, usato per affinare e degustare il vino, l’altro è vicino alla piazza centrale, adibito a mostre d’artisti locali e degustazioni di gruppo.

I ciabòt sono invece piccoli casotti in legno usati come capanni per gli attrezzi in campi e vigneti. Tra i più belli, il ciabòtsuper panoramico della cantina Maurizio Ponchione, in cima al Bricco degli Albazzi, al confine con la provincia di Asti.

Da non perdere la bella cantina Angelo Negro, a Monteu Roero, guidata con passione e competenza dal signor Giovanni e dai quattro figli. Dalle botti dei Negro escono gioielli enologici come il Sudisfà 2013, un Roero Docg Riserva fatto con le migliori uve nebbiolo (Tre Bicchieri in Vini d’Italia 2017). Tra i bianchi, il Perdaudin Roero Arneis ha note di fiori d’acacia e d’arancio e un palato deciso dal finale lungo.

A Canale, sede dell’Enoteca Regionale del Roero, ci si può dilungare su una vera e propria panoramica della produzione enologica. Da non mancare una visita alla cantina Matteo Correggia: tra i suoi progetti la conversione bio delle vigne, un Nebbiolo affinato in anfore di ceramica e un Arneis con tappo a vite e lungo affinamento in bottiglia, 6-8 anni.

 

 

GLI INDIRIZZI

 

Mangiare

 

All’Enoteca | via Roma 57 | Canale (CN) | tel 0173.978228 | www.enotecadelroero.it|

Castello di Guarene | via Alessandro Roero 2 | Guarene (CN) | tel. 0173 441332 | www.castellodiguarene.com|

La Madernassa Resort | loc. Lora 2, Guarene (CN) | tel. 0173 611716 | www.lamadernassa.it

Trattoria Cantina dei Cacciatori | loc. Villa Superiore 59 | Monteu Roero (CN) | tel. 0173 90815 | www.cantinadeicacciatori.it|

 

Dormire

Casalora | loc. Lora 3 | Guarene (CN) | tel. 334 829 9339 | www.casalora.it|

Castello di Guarene | via A. Roero, 2 | Guarene (CN) | tel. 0173 441332 | www.castellodiguarene.com|

Relais Corte dei Rotari | via XXV Aprile, 5 | Monteu Roero (CN) | tel. 0173 96 0058| cell. 333 767 8652 | www.cortedeirotari.it|

 

Foodshop

 

Enoteca Regionale del Roero | via Roma 57 | Canale (CN) | tel. 0173 978228 | cell. 338 562 2924 | www.enotecadelroero.ite www.roeroturismo.it|

Apicoltura Caudamiele | via Cavour, 14 | Montà (CN) | tel. 0173 975 219 | www.caudamiele.it|
Fattoria Tenute del Roero | fraz. Baroli, 107 | Baldissero d’Alba (CN) | tel 0172.40811 |
www.gocciadoro.it|
Ortofrutta Bajaj | via del Forno, 4 | Monteu Roero (CN) | tel. 0173.90346 e 347.7030889 |
www.giobajaj.it|

Salumeria Faccenda | via Roma 113 | Canale (CN) | tel. 0173.978131 | www.faccendasalumi.it|

VMGuarene | via Alessandro Roero 22 | Guarene (CN) | tel. 391 379 8482| www.vmguarene.com|

Birrificio Artigianale Alba | via Roero 27 | Guarene (CN) | tel. 328 485 7078 | www.birrificioalba.it

Ortofrutta Orto Smeraldo | via Mulino Vecchio 49 | Frazione Vaccheria | Guarene (CN) | tel 0173.211538 | www.ortosmeraldo.it

 

Visite in cantina

 

Angelo Negro | fraz. Sant’Anna, 1 | Monteu Roero (CN) | tel. 0173 90252 | www.negroangelo.it|

Cantina Maurizio Ponchione | via R. Sacco, 9 | Govone (CN) | tel 0173.58037 | www.ponchionemaurizio.com|

Cantina Matteo Correggia | loc. Case Sparse Garbinetto, 124 (via Santo Stefano Roero) | Canale (CN) | tel. 0173 978009 | www.matteocorreggia.com|

 

info

 

Ecomuseo delle Rocche del Roero | p.tta della Vecchia Segheria, 2/b | Montà (CN) | tel. 0173.976181 | www.ecomuseodellerocche.it

Ente Turismo Alba Bra Langhe Roero | P.zza Risorgimento 2 | Alba |tel 0173.35833 | www.langheroero.it|

Ecomuseo delle Rocche | www.ecomuseodellerocche.it

 

 

testi e foto di Massimiliano Rella

 

 

 

Dove acquistare la carne a Roma: 11 indirizzi raccomandati dagli chef

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Dopo aver tracciato la mappa delle migliori pescherie della Città Eterna consigliate dagli esperti del settore, è ora la volta di andare alla ricerca delle carni più buone. Ci siamo rivolti di nuovo agli chef e abbiamo chiesto loro quali sono le macellerie più valide della Capitale.

La tradizione della carne a Roma

È impossibile raccontare delle usanze gastronomiche capitoline senza parlare di carne. E altrettanto impossibile è recarsi in una qualsiasi trattoria di tradizione di Roma oggi e non trovare in menu amatriciana, coratella, coda alla vaccinara, trippa e così via. Quasi tutte le ricette più antiche e che meglio di tutte rappresentano la cultura culinaria romana nel resto d'Italia e del mondo hanno come ingrediente principale la carne. Basti pensare ai piatti di pasta che prevedono praticamente tutti (tranne la cacio e pepe) l'utilizzo del guanciale, o a tutti i possibili usi del quinto quarto, che nella Città Eterna è più valorizzato che mai. Ma non solo frattaglie e interiora: la tavola dei romani è fatta anche di pollo con i peperoni, abbacchio alla scottadito e saltimbocca alla romana.

Che si tratti di carne bianca o rossa, maiale, manzo, agnello, quinto quarto o tagli pregiati, la cucina romana non esisterebbe senza allevatori preparati e attenti e senza validi macellai che selezionano e lavorano la carne. Destreggiarsi fra botteghe, macellerie, supermercati e vari punti vendita non è facile, per questo abbiamo chiesto agli addetti ai lavori di indicarci le insegne migliori della città. A questa valida lista di nomi, è doveroso però aggiungerne uno noto fra gli appassionati gourmet della città, che non è presente perché non rifornisce alcun ristorante. È Magini, macelleria dell'Eur che seleziona scrupolosamente vari allevamenti dalla Toscana e che propone ogni tipo di taglio e di carne, dagli animali da cortile al manzo. Gli chef invece, ci hanno segnalato i seguenti 11 indirizzi.

Annibale

A cominciare da Annibale, una delle incrollabili certezze per i romani più golosi. L'insegna in via di Ripetta di Annibale Mastroddiè infatti un vero tempio della carne, con materie prime di massimo livello e frollature ad hoc. Carne Kobe, fassona piemontese, Chianina, maiale brado di Cinta Senese e ancora polli biologici di San Bartolomeo, selvaggina, castrato abruzzese e frattaglie. Qui il cliente può andare a colpo sicuro, proprio come fa il team di Marzapane: “Per noi, la carne è solo quella di Annibale. Ha il meglio di tutto”. La specialità della casa? I tagli con l'osso per bistecca.

 

Annibale

Annibale | Roma | via di Ripetta, 236 | tel. 06 3612269 | www.annibale.com

Angelo Feroci

Un altro indirizzo storico per la carne è Angelo Feroci in zona Pantheon. Qui, l'antica arte della lavorazione della carne si custodisce da tanti anni. Dai tagli classici delle migliori razze, al manzo danese a quello nazionale ben selezionato, passando per carne suina, animali da cortile e frattaglie: il bancone della macelleria è in grado di soddisfare le esigenze di qualsiasi cliente. Anche di quelli più impegnati che non hanno tempo per cimentarsi in cucina, e che qui possono scegliere fra i tanti preparati pronti da cuocere come il polpettone, il roast beef o i fagottini di melanzane con vitella e ricotta. Ma ci sono anche piatti anche a base di verdure, come il tortino di broccoli e patate o i panini di zucchine. Una realtà di qualità che da sempre rifornisce diversi ristoranti capitolini, specialmente le trattorie tradizionali come Il Matriciano a Prati o il Ristorante Garibaldi all'Isola Tiberina.

Angelo Feroci | Roma | via della Maddalena, 15 | tel. 06 68801016 | www.angeloferoci.it

Bottega Liberati

Una cura spasmodica nella selezione degli animali e massima attenzione alle fasi di frollatura: da Bottega Liberati ogni taglio è il risultato della ricerca scrupolosa che Roberto Liberati compie giorno dopo giorno. Tante le scelte e le razze, che cambiano a rotazione così come gli allevatori. Bue Grasso, bistecche di toro, maiali allevati sul lago di Martignano: le prelibatezze della bottega sono svariate e tutte provenienti da allevamenti che rispettano a pieno i principi della sostenibilità. Oltre alle carni fresche, da provare anche gli insaccati, dal lombo affumicato dal Tirolo al prosciutto Nero Reatino. Diversi gli chef che scelgono di affidarsi a questa insegna, fra cui Adriano Baldassare di Tordomatto e il re del Trapizzino, Stefano Callegari: “Per il nuovo punto al Mercato Centrale di Termini, posso contare sulle specialità di Roberto” che si trova appena qualche stand più in là e che fornisce al pizzaiolo le materie primeper le varie farce dei suoi trapizzini come la coda alla vaccinara, le polpette al sugo, il bollito picchiapò e il pollo alla cacciatora.

 

Botteg Liberati

Bottega Liberati | Roma | via F. Stilicone, 278 | tel. 06 7101156 | www.facebook.com/www.bottegaliberati.it/?fref=ts

Bordiga

E Callegari ci consiglia anche un altro indirizzo, questa volta in zona Vaticano: è Bordiga, un tempio della tradizione gastronomica romanesca. Dalle costolette di abbacchio panate ai saltimbocca, dalla trippa al pollo ruspante, tutte le specialità tipiche delle tavole capitoline sono disponibili al bancone della macelleria. E poi ancora polpette, hamburger, cotolette, polpettoni e arrosti solo da cuocere, senza dimenticare salsiccia e porchetta.

 

Bordiga

Bordiga | Roma | via G. Vitelleschi, 17 | tel. 06 6869839 | www.facebook.com/Macelleria-Bordiga-snc-561493637251711/?fref=ts

DOL Di Origine Laziale

Una garanzia per tutti gli appassionati di cibo: Dol è il progetto di VincenzoMancino, ricercatore e selezionatore di prodotti che ha deciso di coniugare in un unico punto tutte le eccellenze laziali, dai salumi ai latticini, passando per vino, olio extravergine di oliva e molto altro ancora. Non c'è carne è vero, ma solo suoi derivati. Sono diverse le realtà romane che si riforniscono qui per insaccati e salumi vari come, per esempio, Baccano, il bistrot/caffetteria a tutto pasto che offre proposte golose e interessanti a tutte le ore. Dal guanciale cotto al vino di Cori allo speck affumicato al ginepro, dal prosciutto affumicato di Campocatino a quello di Bassiano, nella bottega di Centocelle c'è davvero l'imbarazzo della scelta. Oltre a fare acquisti per casa, da Dol è possibile fermarsi a mangiare o degustare un aperitivo con gli sfiziosi taglieri della casa.

 

Dol-Di Origine Laziale

DOL Di Origine Laziale | Roma | via Domenico Panaroli, 35 | tel. 06 24300765 | www.facebook.com/DOL.bottegadelgusto/?fref=ts

F.lli Giovannelli

Una botique della carne ai Parioli, con tagli esposti in bella vista, e piatti pronti per essere cucinati. A rifornirsi nella macelleria dei fratelli Giovannelli è lo chef Federico Delmonte di Chinappi che, in particolare, consiglia l'hamburger di filetto: “materie prime di grande qualità e ottimi hamburger. Con Giovannelli, si va sul sicuro”. Ma qui si trova anche il pollame di San Bartolomeo, il manzo Wagyulem (simile al celebre Kobe) e tanti altri tagli bovini di razze nazionali o estere. Disponibile anche il servizio di consegne a domicilio.

F.lli Giovannelli | Roma | via G. Antonelli, 37 a | tel. 068072153 | www.facebook.com/pages/Macelleria-Giovannelli/247957518583189?fref=ts

F.lli Giovannini

All'interno del mercato di Piazza Epiro, fra i banchi più apprezzati c'è la macelleria dei fratelli Giovannini, al box 37. Carne Chianina, preparati di produzione propria e anche piatti pronti da cuocere sono le specialità della macelleria. E sono naturalmente i vicini di casa Matteo Baldi e Marco Mattana, chef di Trattoria Epiro, a consigliarci questo box: “tutti i tagli sono ottimi e la scelta qui è davvero ampia. Ci piacciono molto le carni rosse, soprattutto il maiale”. Ad arricchire l'offerta, hamburger, polpette, arrosti e varie golosità per chi non ha tempo per dedicarsi ai fornelli.

 

Giovannini

F.lli Giovannini | Roma | piazza Epiro, 9 | tel. 340 9845817 | www.facebook.com/macelleriaf.lligiovannini/?fref=ts

Macelleria Minozzi

Altro indirizzo di fiducia dei ristoratori romani è la macelleria Minozzi, attiva dal '44. Tutta la carne proviene da allevamenti controllati italiani e stranieri. Da Minozzi si trovano infatti anche il manzo danese e la vitella olandese, accanto ai prodotti italiani come scottona, fassona piemontese, anatra, faraona, lepri, polli ruspanti, capponi e molto altro ancora. Disponibile anche, su richiesta, il capretto durante il periodo pasquale.

 

Macelleria Minozzi

Macelleria Minozzi | Roma | via di Monte d'Oro, 61 | tel. 335 8427139 | www.minozzicarni.it/

Macelleria Orelli

Nel centro storico di Roma, un'insegna sempre valida è Orelli, realtà di piazza del Biscione che nel tempo è ha conservato il fascino delle botteghe di una volta. È la tradizionale Sora Lella a rifornirsi qui, trattoria dell'Isola Tiberina che ha fatto la storia della cucina romana.“Dalla coda alla trippa, per tutto il quinto quarto – e non solo – ci riforniamo qui da sempre. Una garanzia”. Tutte le carni sono 100% italiane e la scelta varia da quelle di manzo al pollame, dal coniglio all'abbacchio. È possibile trovare, a seconda delle disponibilità e stagione, anche frattaglie e selvaggina.

Macelleria Orelli | Roma | piazza del Biscione, 97 | tel. 06 68802346 | www.confraternitamacellairoma.org/onlus/soci/macelleria-orelli/

Supercarni

A Monteverde invece, l'insegna consigliata è Supercarni, in viale dei Quattro Venti. A indicarcela è Roberto Campitelli di Osteria Monteverde, che ci raccomanda il quinto quarto: “Sono i numeri uno a Roma per le animelle, ma più in generale per tutte le interiora. Imbattibili”. Ma Supercarni vende anche macinati, hamburger, polpette, filetti, tagli di diverso tipo, carni bianche e rosse.

Supercarni | Roma | viale Quattro Venti, 17 | tel. 06 5894901 | www.facebook.com/pages/Supercarni/214680688646095?fref=ts

Viceré

In zona Ostiense, il punto di riferimento per la carne è Viceré, specialmente per gli amanti delle carni bianche come polli, conigli, tacchini e faraone. È la squadra di Open Baladin a rifornirsi qui (hamburger a parte) e a consigliare in particolar modo il loro pollo. Spazio anche alle carni di suino, abbacchio, selvaggina, manzo e vitello nazionale. Dall'estero poi, ci sono i tagli danesi e argentini. Qui si possono inoltre acquistare prodotti pronti da cuocere e ordinare forniture per la ristorazione. La macelleria offre anche un comodo servizio di consegna a domicilio.

Viceré | Roma | via P. Matteucci, 104 | tel. 06 3614150

a cura di Michela Becchi

30 Under 30 di Forbes. Tra i giovani più promettenti d'Europa due chef italiani

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Due giovani chef italiani conquistano la finale della classifica europea Under 30 di Forbes: sono Isabella Benedetta Poti, sous chef e pastry chef del ristorante Bros di Lecce e Alberto Sanna, head chef del ristorante di famiglia Il Campidano di Samassi, in provincia di Cagliari. Fra gli italiani anche una disegnatrice di gioielli, un vignettista, un artista e una fotografa.

Gli Under 30 di Forbes

Ogni anno Forbes stila una classifica delle 30 personalità più interessanti sotto i 30 anni: persone che, per motivi diversi, rappresentano una promessa per il futuro, destinati a cambiare le regole del gioco e a innovare il proprio settore. Una lista che in passato ha visto incoronare nomi come Mark Zuckerberg per gli USA e Adele e John Collison per l’Europa (gli ideatori di Stripe, startup diventata leader nel settore dei pagamenti online).

Mentre si discute della classifica americana appena pubblicata sulla rivista, quella europea è in fase di valutazione da parte dei giudici. Su oltre 300 candidati, in semifinale sono stati scelti, fra gli altri, due giovani chef italiani che hanno già conquistato premi e riconoscimenti in patria.

 

Gli chef candidati

Loro sono Isabella Benedetta Poti e Alberto Sanna. La prima ha vinto nel 2016 il premio Chef emergente per il Sud: è una giovanissima pastry chef (26 anni) che ha affinato la sua esperienza in pasticceria con lo chef Claude Bosi a Londra, e prima ancora al fianco di Martin BerasateguiPaco Torreblancas. Attualmente è sous-chef del ristorante Bros dei fratelli Pellegrino a Lecce, locale che ha ricevuto il punteggio di 78 nell'edizione 2017 della guida Ristoranti d'Italia.

Il secondo guida la cucina dell'albergo-ristorante Il Campidano di Samassi, a nord di Cagliari (74 nell'edizione 2017 della guida Ristoranti d'Italia). 28 anni, già vincitore nel 2016 del Campionato italiano di cous cous, che si svolge in occasione del Cous cous fest di San Vito Lo Capo.

Ma nella sezione The Arts, Poti e Sanna non sono gli unici due chef in gara. A lottare per il titolo di miglior under 30 ci sono altri 5 cuochi: l’irlandese Mark Moriarty, chef del Culinary Counter di Dublino e vincitore dell'edizione 2015 del San Pellegrino young chef, David Andrés dell’ABaC Restaurant di Barcellona, il norvegese Christian Pettersen del ristorante Spiseriet di Stavanger, il venezuelano Andrea Dopico Cafarelli attualmente al Moments di Barcellona e il britannico Dan Smith, sous chef del ristorante The Clove Club.

 

Gli altri candidati italiani

Oltre ai 7 chef, la sezione The Arts accoglie anche altri quattro nomi di giovani italiani talentuosi e creativi: la disegnatrice di gioielli Beatrice Bongiasca, il vignettista Giò Pastori, l’artista Edoardo Tresoldi, la fotografa Federica Dell’Orso.

Per scoprire tutti i candidati www.forbes.com/30-under-30-europe-2017/the-arts/#62e4e8502c7c

 

a cura di Francesca Fiore

Culinary Cinema alla Berlinale. Il Refettorio di Massimo Bottura e Chef's Table per l'XI edizione

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Da undici anni il festival del cinema di Berlino dedica una sezione ai film che raccontano il mondo enogastronomico. E quest'anno, dal 12 al 17 febbraio, sarà soprattutto lo storytelling a giocare un ruolo da protagonista, con tanti reportage concentrati su chef, barman e produttori vinicoli. A corredo le cene servite da grandi chef al Gropius Mirror. I film da non perdere. 

Culinary Cinema alla Berlinale

Il rapporto tra cinema e cibo è noto e manifesto. Come l'uno rappresenta l'altro, che a sua volta è una potente fonte d'ispirazione per registi e sceneggiatori in cerca di stralci di vita reale o fantasiosi soggetti che vogliono prenderci per la gola. E infatti di film a tema gastronomico, nella storia del cinema, se ne contano molti, per non parlare delle pellicole che pur concentrandosi su altre vicende finiscono per immortalare abitudini, vizi e vezzi della società alimentare. Oggi, come in passato, quando le citazioni in questione assurgono a testimonianza di stili di vita e usanze che molti non ricordano più. E la Berlinale, il festival del cinema di Berlino che quest'anno celebra la sua 67esima edizione, le potenzialità attrattive di questo scambio reciproco sembra averle intuite già diversi anni fa. Dotando la categoria del cinema gastronomico di una sezione dedicata tra i film in concorso: Culinary Cinema, si intitola il format, e nel 2017 si presenta in grande spolvero per l'undicesima edizione, dopo i festeggiamenti che l'anno scorso hanno accompagnato il decimo compleanno. Passion Food è il tema del cartellone che prenderà forma dal 12 al 17 febbraio, in parallelo alle proiezioni in concorso.  Ogni giorno, dalle 19.30, lo spettacolo avrà inizio: alla proiezione delle pellicole protagoniste di giornata seguirà la cena servita presso il ristorante Gropius Mirror da uno degli chef invitati a partecipare alla Berlinale 2017.

Il cartellone e i protagonisti

Un “parterre” d'eccellenza che alterna glorie nazionali e guest star in arrivo dall'estero: Eneko Atxa, Alexander Koppe, Tim Raue, Sebastian Frank e Christian Lohse, che presenteranno agli ospiti un menu ispirato ai film in programma. Cinque (+ una) le premiere più significative, su cui ci dilungheremo più sotto, cui si affianca il cartellone della seconda serata, con proposte altrettanto interessanti come Atlantic (di Risteard O Domhnaill) e la sua indagine sullo spopolamento dei mari, o le riflessioni animaliste di At the Fork (di John Papola e Lisa Versaci). Del resto, a detta del direttore del festival Dieter Kosslick, il criterio che ha orientato la scelta è sempre lo stesso: la passione che accomuna chef e registi, che di conseguenza animerà la narrazione e sarà protagonista sullo schermo. Gli fa eco il curatore della sezione, Thomas Struck, che dell'edizione 2017 evidenzia il melting pot di stimoli raccontati dalle pellicole in programma. E non solo, perché tra gli appuntamenti collaterali anche quest'anno si ripete l'iniziativa Tea Time, con talk e approfondimenti in compagnia di chi sul cibo può offrire prospettive alternative e spunti di riflessione, come lo chef attivista Kamal Mouzawak, a Berlino per parlare di migrazioni e culture gastronomiche in viaggio. A corollario, perché anche la buona tavola sia onorata come merita sotto i riflettori, le proposte street food dei truck selezionati in collaborazione con Slow Food e il Markthalle Neun, che animeranno l'area antistante la Berlinale dall'8 al 19 febbraio.

 

Premiere e film da non perdere

Ora, però, torniamo ad occuparci dei film, passandoli brevemente in rassegna. È prevedibile che troveranno un posto tra le novità più intriganti offerte dal cinema gastronomico nel 2017.

 

Chef's Table, la terza stagione (escludendo dal computo lo speciale in quattro episodi dedicato alla cucina francese): Il nuovo capitolo della serie evento prodotta da Netflix per la direzione di David Gelb – presente al festival - sarà disponibile online a partire dal 17 febbraio. Solo due episodi su sei saranno proiettati in anteprima mondiale al festival di Berlino, ma i nomi dei protagonisti sono già noti: Tim Raue (a Berlino gioca in casa, e a lui sarà dedicata la prima premiere), Jeong Kwan (Corea), Vladimir Muhkin (Russia), Virgilio Martinez (Perù), Ivan Orkin (New York), Nancy Silverton (Los Angeles). Ne riparleremo.

 

Soul: Il documentario di Josè Antonio Blanco e Angel Parra segue le vicende dello chef basco Eneko Atxa, e del suo ristorante vicino Bilbao, l'Azurmendi di Larrabetzu. Ma alla visione del giovane tristellato – 39 anni e una vita spesa nell'alta ristorazione – contrappone quella di Jiro Ono, 91 anni e una fama planetaria dovuta alla precedente incursione nel mondo del cinema con Jiro Dreams of sushi, sempre per la regia di David Gelb, che ha fatto scuola in materia di reportage incentrati sul mestiere dello chef. E Soul, che si muove tra l'orizzonte spagnolo e quello giapponese, tra l'avanguardia gastronomica e la tradizione culinaria (con incursioni di Joel Robuchon e Martin Berasategui, Carmen Ruscalleda e il direttore Michelin Michael Ellis), non fa altro che confermare il successo di questo filone narrativo. A proposito di storytelling gastronomico: fenomeno di tendenza o preziosa risorsa?

 

Schumann's Bar Talk: L'interesse di Marieke Schroeder si concentra sulla figura leggendaria di Charles Schumann, barman tedesco classe 1941, che nel 1982 apriva la sua prima attività nel centro di Monaco, lo Schumann's American Bar. Da allora è stato in grado di costruire un impero fondato sulla professionalità e la qualità del servizio (“il barman è la persona che dirige il bar, non solo colui che miscela i cocktail”, tra le frasi che gli attribuiscono, anche se “la maggior parte della mia vita l'ho passata con lo shaker in mano”). Sullo schermo lo seguiremo alla scoperta dei migliori bar del mondo.

 

Andrè – The voice of wine: Il docufilm porta sullo schermo la storia dell'enologo russo emigrato in America che alla fine del Proibizionismo influenzò la ripresa della produzione vinicola in California, determinandone gli orientamenti futuri. Nato a Mosca nel 1901, Andrè Tchelistcheff (scomparso nel 1994) ha attraversato il Novecento da protagonista della storia enologica internazionale, e il film ne ripercorre la vita con il contributo di tante personalità del settore che l'hanno incontrato sul proprio cammino. Alla regia il pronipote Mark.

 

Theater of Life: La produzione canadese affidata alla regia di Peter Svatek racconta l'esperienza del Refettorio Ambrosiano di Massimo Bottura. Il risultato? “Un intenso documentario sulla vita, il cibo, lo spreco”, recita lo slogan del film. Già presentato in tanti paesi del mondo, il progetto (che può contare su un esauriente sito web, che vi consigliamo di visitare all'indirizzo www.theateroflifemovie.com) arriva alla Berlinale per la sezione Culinary Cinema Goes Kiez, e al termine della proiezione sarà il mercato cittadino a fornire gli ingredienti per la cena organizzata dal ristorante Restlos Glucklich.

 

Culinary Cinema | Berlino | dal 12 al 17 febbraio | www.berlinale.de

a cura di Livia Montagnoli

Gelaterie d'Italia del Gambero Rosso. La prima guida che dà i voti ai migliori maestri gelatieri

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Da uno a Tre Coni per premiare l'eccellenza della gelateria italiana, quella che non si nasconde  dietro alla presunzione di artigianalità, ma dimostra ogni giorno sul campo rispetto per la materia prima e la salute del consumatore. Senza rinunciare alla golosità. Ecco la prima guida che premia i gelati più buoni della Penisola. La presentazione al Sigep di Rimini. 

Il buon gelato. Se artigianale non basta

Sono oltre 37mila in tutta la Penisola. È l'esercito delle gelaterie italiane (bar e pasticcerie che si cimentano con il genere compresi), un grande calderone in cui troppo spesso si fatica a distinguere dove sta di casa la qualità. Sì, perché nascondersi dietro alla presunzione di artigianalità, nel mondo del gelato, può essere poco indicativo, e molto rischioso. Del dilemma abbiamo già avuto modo di parlare: in mancanza di una legislazione in materia, che definisca i parametri e regoli la produzione così da identificare caratteristiche comuni e criteri minimi per onorare il lavoro artigiano, spesso abbiamo interpellato i protagonisti del settore per imparare a riconoscere (o almeno provarci) un buon gelato. Ma una mappatura più puntuale degli indirizzi meritevoli di un assaggio, nessuno aveva ancora pensato di realizzarla. Tra pochi giorni, invece, in occasione del Sigep 2017, Gambero Rosso presenterà la prima guida dedicata alle Gelaterie d'Italia, un goloso vademecum per orientarsi tra le realtà che rendono giustizia alla grande tradizione gelatiera del nostro Paese.

La guida. I migliori gelatieri d'Italia

Dopo una capillare ricerca degli ispettori sguinzagliati in tutta Italia, la guida comprenderà meno di 300 gelatieri, assegnando loro un riconoscimento di qualità in Coni (da uno a tre), a seconda del grado di bontà riscontrato. Con l'intento di stimolare il dibattito e far cresce un settore che davanti a sé ha ancora tanta strada da fare. I criteri che hanno guidato la selezione fanno appello alla qualità e valorizzazione della materia prima, e quindi al rispetto della stagionalità e al legame con il territorio di appartenenza; alla bontà e alla salubrità del prodotto finale. E così, oltre all'assegnazione dei Coni, la guida esordisce sul mercato editoriale dispensando anche quattro premi speciali per il Gelatiere Emergente, il Miglior gelato al cioccolato, il Miglior gelato gastronomico, il premio Gusto&Salute. Per scoprire protagonisti e premiati bisognerà attendere lunedì 23 gennaio, quando la fiera del Sigep, a Rimini, ospiterà la cerimonia di presentazione della guida, dalle 14. In libreria, invece, la guida sarà disponibile a partire dalla fine di marzo 2017. In tempo per l'arrivo della bella stagione, che per i più golosi significa una cosa sola: gelato a tutte le ore! Meglio se con la nostra guida in tasca.

 

Gelaterie d'Italia | Gambero Rosso, 2017 | pp. 208, 8,90 euro | presentazione il 23 gennaio, al Sigep di Rimini | on line dal 23 gennaio, in libreria dalla fine di marzo 2017

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