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Mangiare a Bologna. Guida ai ristoranti in città indicati dai grandi chef

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Abbiamo selezionato dieci noti locali di Bologna e abbiamo chiesto a chef, pizzaioli, pasticceri, gelatieri di consigliarci i loro tre posti del cuore. Così avete dieci indirizzi bolognesi selezionati da noi. E 24 selezionati direttamente dagli addetti ai lavori.  

L’atmosfera delle mitiche osterie è in gran parte perduta, ma noi siamo andati alla ricerca degli indirizzi imperdibili grazie ai consigli di chi, Bologna, la vive davvero. Ecco dunque una guida stilata dagli addetti al settore, per godersi appieno la città.

Forno Brisa – Davide, Pasquale, Esmeralda e Giovanni

L'idea di quattro ragazzi che si incontrano a Bologna con un obiettivo: produrre il pane buono di una volta. Si può riassumere così l'avventura del team di Brisa, dietro al quale c'è un corso di Alto apprendistato per mastro birraio e panettiere-pizzaiolo organizzato da Slow Food a Pollenzo, e uno stage di Gabriele Bonci, che trasforma in oro ogni cosa che tocca. Il forno di via Galliera, che ha preso il posto di una storica bottega, mantiene da sempre il contatto con la tradizione artigianale. Qui potete trovare pizza al taglio, biscotti, dolci da forno e ovviamente il pane preparato utilizzando una selezione di farine da grani antichi. Oltre al prossimo raddoppio e alla loro consulenza alla pizzeria Sega!, dal 15 febbraio serviranno speciality coffee grazie alla consulenza di Enrico Cirilli, presentato dai ragazzi di Aroma Caffè. Ma veniamo alla loro top 3: “Gelateria Galliera 49 perché per noi fanno il gelato più buono della città, utilizzando una materia prima incredibile – molto spesso tra noi e loro c'è un vero e proprio scambio sui produttori – e in più animando il quartiere con varie iniziative”. Secondo indirizzo, la Trattoria di Via Serra, nata dai soci dell'Osteria del Sole di Zocca, mantenendo team e fornitori. “Abbiamo pensato di andare oltre ai soliti noti, scegliendo un posto nuovo che fa della vera qualità, in un equilibrio perfetto tra informalità e ottima cucina. Pensate che dopo aver assaggiato la loro torta di mele, dove hanno utilizzato il nostro pane raffermo, abbiamo deciso di metterla in vendita qui da noi chiamandola “Torta di mele di Via Serra”. Sempre nell'ottica di suggerire posti nuovi, il terzo indirizzo è l'Enoteca al Risanamento di Francesco Barsotti “perché qui si possono bere vini naturali di altissimo livello, poi va anche detto che è stato il nostro primo cliente e ci siamo affezionati”.

Trattoria di Via SerraTrattoria di Via Serra

Berberè - Matteo e Salvatore Aloe

Ormai stelle nazionali della pizza a degustazione, la grande forza dei fratelli Aloe è data dalla ricerca accurata delle materie prime - dal pomodoro di Torre Guaceto al fiordilatte della Puglia Querceta, dalle carni della macelleria Zivieri alle farine semintegrali selezionate con Alce Nero - e dallo studio approfondito su impasti e farine. Premesse mantenute anche quando si è trattato di replicare il brand: a seguito del successo bolognese, sono arrivati Berberè Castel Maggiore, Firenze, Torino, Milano e a Londra nelle vesti di Radio Alice. Al gioco dei “tre posti del cuore” partecipa Matteo:“Sono affezionato a tante persone e a tanti luoghi e fare una lista ristretta è una sofferenza! Ma ci provo: Quanto basta è il luogo dove Fabio Fiore e lo staff ti accolgono sempre calorosamente, cosa molto rara quindi piacevole. La cucina è romana, non bolognese. Io salto sempre primi e secondi perché voglio assaggiare più piatti possibili, per cui mi butto sugli antipasti, come le crocchette di baccalà, le alici fritte, la panzanella, e i contorni, a cominciare dalle puntarelle, i carciofi alla giudìa, la cicoria e i cannellini. Staff super anche al Bistrò Twinside, progetto gemello del Caminetto d’oro, noto ristorante che serve cibo tradizionale bolognese di altissima fattura. Che fortuna averlo tra lavoro e casa, anche perché spesso ci accolgono anche tardi. L'ambiente è informale, Paolo ti intrattiene tra mille sorrisi e Francesca sa sempre consigliarti il vino giusto. Qui le tagliatelle al ragù sono una garanzia, ma il bistrot accontenta tutti i gusti. Per l’aperitivo o per il post lavoro i migliori cocktail in centro città vengono serviti al Ruggine, un locale che mancava a Bologna, dove si respira energia fresca data dai giovani e simpatici proprietari”.

Quanto BastaQuanto Basta

Cremeria Santo Stefano - Mattia Cavallari

Quanto Basta è la prima scelta anche di Mattia Cavallari, titolare di una piccola e rassicurante gelateria artigianale con ambienti rétro, che passa la maggior parte del suo tempo nel laboratorio a vista con selezionatissimi ingredienti e latte del Sud Tirolo e di una piccola latteria locale. “Fabio Fiore è attentissimo alla scelta delle materie prime, a cominciare dalla carne. Un consiglio spassionato? Provate la sua gricia”. Per il secondo indirizzo il gelatiere va sul classico con l'Osteria Santa Caterina “dove ci sono una selezione di salumi eccellenti e una cantina importante”. Mentre per il terzo consiglio si orienta verso una gastronomia familiare:“L'Antica Salumeria e Gastronomia Rosa vive grazie all'omonima famiglia che cura con grande passione la selezione delle materie prime”. Qui Novello Rosa e la moglie Maria, insieme al figlio Gabriele, propongono i migliori salumi della tradizione bolognese e tutte le specialità locali, come lasagne, tortellini alla panna, ragù e dolci caserecci.

All'Osteria BottegaAll'Osteria Bottega

'O Fiore Mio - Matteo Tambini e Davide Fiorentini

La pizzeria gourmet nata a Faenza e approdata a Milano Marittima, ha conquistato anche Bologna con ben due indirizzi, uno dedicato alla pizza in teglia ('O Fiore Mio – Pizze di strada) e l'altro alla tonda (Pummà) da gustare comodamente al tavolo. L'anima del progetto sono sempre loro: Matteo Tambini e Davide Fiorentini, che si occupano di curare impasti, ricette, menu, selezione dei fornitori, della formazione dei pizzaioli e del personale di sala in quella che è una sorta di "academy". Ai lettori del Gambero Rosso consigliano senza ombra di dubbio All'Osteria Bottega perché “è rimasta l'unica autentica osteria bolognese, e Daniele Minarelli l'ultimo grande oste. Qui sbizzarritevi con la tradizione, a cominciare, ovviamente, dai tortellini in brodo”. Il secondo consiglio è Aroma caffè “per la grande qualità del caffè”, proveniente da selezionati fornitori nel mondo, dosato con cura (ogni giorno conta sei diverse miscele), pressato con attenzione ed estratto alla giusta temperatura. L'ultimo consiglio è per il ristorante di Massimiliano Poggi, da poco spostatosi a Castel Maggiore, “perché è un cuoco umile, che riesce a dare un'impronta tradizionale alla sua cucina strizzando l'occhio alla contemporaneità. Lasciatevi guidare da lui, optando per il menu degustazione”. Altrimenti potete scegliere alla carta tra piatti che omaggiano la Romagna, come Piada, squaquerone e rucola con salmerino affumicato e scalogno, quelli della tradizione, come Lingua e cotechino o Tortellini in brodo, oppure tra le proposte dedicate alla campagna, pensiamo alle Lumache nel verde o al Minestrone di verdure, ovvero brodo di verdure, ravioli di parmigiano e verdure croccanti.

All'Osteria Bottega - Daniele Minarelli

Sul grande oste Daniele Minarelli concordano in molti. E anche noi. Già, perché Daniele rappresenta la vera Bologna della tradizione, e la sua identità, quella dell'oste di una volta, va di pari passo con il racconto dell'Osteria Bottega, dove il rapporto con i fornitori è stato alimentato negli anni quasi in modo maniacale. Ma quando non gira tra i tavoli, senza mai essere invadente, dove va Daniele? “Baluardo della città, della qualità, della bolognesità è l'Enoteca Italiana di Claudio Cavallari e Marco Nannetti. Qui l'ambiente è unico, non si può venire a Bologna senza farci un salto anche solo per un calice di ottimo vino”. Oltre a un'offerta amplissima e accurata di vini, spumanti, Champagne, grappe, cognac, whisky, calvados, rum, questa enoteca è un vero tempio del gusto dove trovare paste fatte a mano, dolci tipici, marmellate, salse, sottòli e ghiottonerie del territorio e d'Italia. Tornando ai consigli dell'oste, ci sonoGino Fabbri, una persona di altissima umiltà nonostante il successo. Rappresenta una grande famiglia e una grande pasticceria dall'atmosfera unica. Il terzo indirizzo è quella di una famiglia che ha dato la vita per questo mestiere, parlo dei Carati e del loro Caminetto d'Oro. Hanno una grande competenza anche se purtroppo non va di pari passo con i pochi riconoscimenti da parte della critica”. Qui si può scegliere tra antipasti come Culaccia di Parma con pan brioche e burro d’alpeggio, Tonno di coniglio in insalata o Zuppetta di ceci e baccalà con limone candito. Ottimi anche i primi, come i passatelli tradizionali in brodo o le tagliatelle alla bolognese con il ragù, e i secondi, sia di carne che di pesce.

Massimiliano Poggi

Massimiliano Poggi

I Portici - Agostino Iacobucci

Siamo nel cuore di Bologna, all’interno di un hotel lussuoso che coniuga le atmosfere Liberty di Palazzo Maccaferri con interni di design, moderni e minimalisti. Il ristorante annesso è collocato in uno spazio affascinante, la sala ottocentesca dell’ex Teatro Eden. E la cucina è nelle mani del bravo chef campano Agostino Iacobucci che propone piatti insoliti e creativi frutto della contaminazione fra nord e sud, cui si affiancano influenze esotiche. Non a caso, a Bologna, privilegia quei posti in cui la tradizione strizza l'occhio all'internazionalità: “Consiglio di provare le creazioni di Gino Fabbri, un grande maestro e un grande uomo, che ha cambiato gli schemi della pasticceria tradizionale grazie a uno sguardo internazionale. Poi è una persona vera, un uomo onesto e un grande professionista. E i piatti di Massimiliano Poggi che è riuscito a toccare la tradizione con creatività e allo stesso tempo rispetto. Qui consiglio di provare i cappelletti ai carciofi con brodo di scampi (ndr. Fanno parte del menu “Omaggio alla Romagna”).Per mangiare l'autentica cucina bolognese andate invece All'Osteria Bottega, anche perché Daniele è un vero oste. Qui provate assolutamente la cotoletta alla petroniana”.

Antica Trattoria di SacernoAntica Trattoria di Sacerno

Massimiliano Poggi

Traslocare dalla periferia di città (con Al Cambio) alla campagna bolognese senza alterare lo spirito, ma riscoprendo una verve creativa più libera e incontaminata. Non è semplice ma sembra che Max Poggi ci sia riuscito. Dopo il rodaggio e importanti lavori di ristrutturazione, il nucleo operativo dello chef è sbocciato ritrovando una "seconda giovinezza". L'intuizione brillante di Poggi è stata quella di non snaturare l'impronta tradizionale della sua cucina, ma di rafforzare la precisione tecnica preservando un timbro fedele al territorio con maggiore leggerezza e cura dei dettagli. Da qui la possibilità, per il commensale, di scegliere tra tre menu: Omaggio alla Romagna, Tradizione e La campagna oggi. La sua classifica comincia con l'Antica Trattoria di Sacerno “perché il pesce è freschissimo e trattato con verve creativa”. Effettivamente nel menu ci si muove tra un "Magro" di anguilla con patate al limone, bosco ed erbette e un Ramen di canocchie, passando per un Vortice di baccalà. “Marco Ferrara di Scacco Matto è invece il più bravo cuoco di cucina contadina, provate assolutamente il suo Rollino di capretto in umido alle erbette e funghi cardoncelli”. Se siete amanti dei primi non temete, potete scegliere tra le molte proposte. Qualche esempio? Scialatielli, verza, seppia e limone; Raschiatelli, sugo con polpettine, rafano e pecorino, Tortellini tradizionali in crema di brodo di parmigiano e lemongrass o Ravioli pizzicati ripieni di cipolla e parmigiano liquido con funghi e nocciole. Per il terzo consiglio anche Max sceglie il maestro Gino Fabbri“dal maestro meritano pure i salati, consiglio di assaggiare il suo calzone”.

Gino FabbriGino Fabbri

Gino Fabbri Pasticcere – Gino Fabbri

E arriviamo al Maestro. Ovviamente non potevamo non selezionarlo. Parliamo infatti di un'istituzione della pasticceria nazionale e mondiale, ma prima di tutto di un mito per i bolognesi dal 1982, quando ha creato la Caramella, guadagnandosi negli anni la loro fiducia che oggi è vero e proprio amore. Anche per lui solo tre indirizzi. “Consiglio i tre indirizzi che secondo me, oggi, rappresentano al meglio Bologna”. Comincia col ricambiare Daniele Minarelli, consigliando All'Osteria Bottega (ve ne abbiamo parlato abbondantemente) e prosegue con Oltre, “per provare la vera autentica tradizione bolognese”, e la pizzeria + 39 Italian Food. Nel primo locale sbizzarritevi con Tagliatelle al ragù, Rigatoni di pasta fresca al torchio con ragù bianco di salsiccia di Savigni, Tortellone di zucca con formaggio erborinato Blu di Montefeltro, Tortellini con il ripieno tradizionale in brodo di cappone. E ancora Cotoletta alla bolognese o Baccalà in umido su crema di polenta. Nella pizzeria di Luca Di Massa, di origini ischitane, andate sul sicuro sia che prendiate una margherita, dal cornicione pronunciato, o una marinara, come la tradizione partenopea comanda. Sia che scegliate proposte più sfiziose come la pizza Selvaggia (pomodorini, fiordilatte, filetto di coniglio saltato in padella), la Capricciosa (pomodori, fiordilatte, salame campano, cotto, carciofini, olive nere, olio extravergine e basilico), la ricca Guglielmo Marconi o la Scarola.

Ristorante MarconiRistorante Marconi. Ph: Lido Vannucchi

Ristorante Marconi - Aurora Mazzucchelli

La Mazzucchelli ha carattere e intuito da vendere, autodidatta, o meglio allieva di padre e madre, è egregiamente alla guida di quella che tanti anni fa fu un'osteria dell'entroterra bolognese. Cresciuta tra mattarelli e ragù cotti ore e ore, ha saputo sfruttare questo impagabile bagaglio per costruire una sua personalissima interpretazione della tradizione. Oggi proposta nel rinnovato locale senza sconti di creatività, seguendo l'istinto e utilizzando tecniche moderne qualora queste siano funzionali alla valorizzazione dell'ingrediente. Per lei tre indirizzi inediti: Enoteca Storica Faccioli in pieno centro, rilevata da poco da dei ragazzi giovani e appassionati, che fanno una selezione di vini interessante, per una bevuta seria. Un posto nuovo è Radici, aperto da poco da un amico vegano. Rappresenta un'ottima alternativa alle trattorie tipiche e poi so per certo che l'investimento non è stato fatto per moda ma per una specifica scelta salutistica”. Terzo posto è l'Antica Osteria del Mirasole con Locanda a San Giovanni in Persiceto “perché è una trattoria che ricalca ancora la cucina vera, quelle delle autentiche trattorie bolognesi. Approfittate del braciere in sala per provare la carne alla brace ma non fermatevi qui, perché le loro frattaglie sono da provare”. A proposito di frattaglie Franco Cimini, oste di razza che sa stare al passo con i tempi, gli dedica addirittura un intero menu con Cipolla dorata e fegatini di coniglio, Minestra di fagioli con le cotenne, Tagliatelle col ragù di cortile, Fegatello di maiale avvolto nella rete con l’alloro e Trippa grigia di foiolo, centopelle e lampredotto.

Fourghetti - Bruno Barbieri

Terminiamo il nostro sondaggio sui “tre posti del cuore” con Bruno Barbieri che a giugno dello scorso anno, grazie all'incontro con l'imprenditrice Silvia Belluzzi, ha aperto nella sua città natale Fourghetti. Un bitstrot (ma è anche locanda con quattro camere e una suite) dove la cucina tipica e tradizionale incontra nuovi gusti e nuovi sapori, comprese le sfumature dei Paesi Arabi e del Basso Mediterraneo. Per lui non ci sono dubbi: “al primo posto Osteria Numero Sette di Matteo ed Elena Gavioli, due giovani ristoratori. Mi piace perché ci sanno fare, si mangia molto bene sia a livello di piatti tradizionali che di proposte contemporanee. La loro cotoletta alla bolognese è super, e da fantascienza la cicoria ripassata, il cavolo romanesco, la toma e il tartufo bianco. Speciali le paste fatte in casa e il pane. Poi hanno ottimi i vini, da loro trovi anche qualche bottiglia introvabile da altre parti, come vecchi Amaroni, Baroli o degli interessanti biodinamici e Champagne. È un posto dove vado spesso”. Seconda proposta è la pizzeria al taglio di 'O Fiore Mio, “qui la pizza al taglio è stupenda, quando vado prendo sempre Fiori di zucca e ricotta, chiaramente in stagione! Una svolta quando si ha quel leggero languorino pomeridiano! Assolutamente da provare”. Per il terzo consiglio Barbieri vira sul dolce e opta per la Pasticceria Regina Di Quadri per “gli ottimi dolci di Francesco Elmi, un pasticciere molto creativo. Ottimo anche il bar dove si bevono aperitivi stratosferici fatti di infusioni di spezie e fiori. È sicuramente un posto da provare, non solo: le colazioni valgono il viaggio”.

GLI INDIRIZZI SCELTI DAGLI CHEF

RISTORANTI e TRATTORIE

Antica Osteria del Mirasole con Locanda | San Giovanni in Persiceto (BO) | via G. Matteotti, 17a | tel. 051 821273 | www.osteriadelmirasole.it

Antica Trattoria di Sacerno | Calderara di Reno (BO) | via di Mezzo Levante, 2b | tel. 051 6469050 | www.sacerno.it

Caminetto d'Oro | Bologna | via de' Falegnami, 4 | tel. 051 263494 | www.caminettodoro.it

Massimiliano Poggi | Castel Maggiore (BO) | tel. 051 704217 | www.mpoggi.it

All'Osteria Bottega | Bologna | via Santa Caterina, 51 | tel. 051 585111

Osteria Numero Sette | Pianoro (BO) | via Andrea Costa, 7 | tel. 051 742017

Quanto basta | Bologna | via del Pratello, 103 | tel. 051 522100

Radici | Bologna | via San Vitale 31 | tel. 393 829 0455 | www.facebook.com/radicienotecaecucina

Oltre | Bologna | via Augusto Majani, 1 | tel. 051 006 6049 | www.oltrebologna.it

Osteria Santa Caterina | Bologna | via Santa Caterina, 43 | tel. 051 582264 | www.osteriasantacaterina.net

Scacco Matto | Bologna | via Broccaindosso, 63 | tel. 051 263404 | www.ristorantescaccomatto.com

Bistrò Twinside | Bologna | via de' Falegnami, 6 | tel. 051 9911797

Trattoria di Via Serra | Bologna | Via Luigi Serra 9/b | tel. 051 6312330 | www.trattoriadiviaserra.it

PIZZERIE

+ 39 Italian Food | Castenaso (BO) | via B. Tosarelli, 25 | tel. 051 787751 | www.piu39italianfood.it

'O Fiore Mio - Pizze di Strada | Bologna | Piazza Malpighi, 8 d/e | tel. 051 0402308 | www.ofioremio.it

BAR e COCKTAIL BAR

Aroma caffè | Bologna | via Portanova, 12b | tel. 051 225895 | www.ilpiaceredelcaffe.it

Ruggine | Bologna | vicolo Alemagna, 2/C | tel. 051 4125663 | www.ruggine.bo.it

PASTICCERIE e GELATERIE

Galliera 49 | Bologna | via Galliera, 49b | tel. 051 246736 | www.galliera49.it

Gino Fabbri Pasticcere | Bologna | via Cadriano, 27 | tel. 051 505074 | www.ginofabbri.com

Pasticceria Regina di Quadri | Bologna | via Castiglione, 73/A | tel. 051 6446201 | www.pasticceriareginadiquadri.it

ENOTECHE

Enoteca Storica Faccioli | Bologna | via Altabella, 15b | tel. 051 223171 | www.enotecastoricafaccioli.it

Enoteca Italiana| Bologna | via Marsala, 2b | tel. 051 235989 | www.enotecaitaliana.it

Enoteca al Risanamento | Bologna | Via Zamboni, 57 | tel. 051 006 2532

BOTTEGHE

Antica Salumeria e Gastronomia Rosa | Bologna | Via Collegio di Spagna, 25/a | tel. 051 331355 | www.facebook.com/AnticaGastronomiaRosa

 

LA NOSTRA SELEZIONE

Alce Nero Berberè | Bologna | via G. Petroni, 9c | tel. 051 2759196 | www.alceneroberbere.it

Cremeria Santo Stefano | Bologna | Santo Stefano, 70 | tel. 051 227045

Forno Brisa | Bologna | via Galliera, 34D | tel. 051 248556 | www.fornobrisa.it

Gino Fabbri Pasticcere | Bologna | via Cadriano, 27 | tel. 051 505074 | www.ginofabbri.com

Ristorante Marconi | Sasso Marconi (BO) | via Porrettana, 291 | tel. 051 846216 | www.ristorantemarconi.it

Massimiliano Poggi | Castel Maggiore (BO) | Trebbo di Reno | via Lame, 65 | tel. 051 704217 | www.mpoggi.it

'O Fiore Mio - Pizze di Strada | Bologna | Piazza Malpighi, 8 d/e | tel. 051 0402308 | www.ofioremio.it

All'Osteria Bottega | Bologna | via Santa Caterina, 51 | tel. 051 585111

I Portici | Bologna | via Indipendenza, 69 | tel. 051 4218562 | www.iporticihotel.com

 

a cura di Annalisa Zordan

 

Guide ai ristoranti in città indicati dai grandi chef:

Mangiare a Milano

Mangiare a Napoli

Mangiare a Firenze

Mangiare a Torino

Mangiare a Roma

Mangiare a Venezia 

 

 

 


Scoprire Venezia tra le tavole e i racconti di Hugo Pratt

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Una guida di Venezia insolita, fatta seguendo le tracce di Hugo Pratt, nel cinquantenario dalla nascita del suo personaggio più famoso, Corto Maltese.

Mentre ricorre il 50° anniversario della prima avventura di Corto Maltese, personaggio di fantasia del grande fumettista Hugo Pratt, e mentre Bologna ne ricorda la grandezza con una mostra, che racconta il lavoro del famoso interprete amato da Umberto Eco, ecco un altro modo per festeggiare le cinquanta candeline del fortunato fumetto d’essai, attraverso la tavola e i luoghi preferiti di Hugo Pratt a Venezia, sua città d’elezione, e inesauribile fonte d’ispirazione, con una guida d’eccezione. Ma partiamo dall'inizio.
 

Hugo Pratt - foto: cortomaltese.com

Chi era Hugo Pratt?

Scrittore, saggista e attore, ma soprattutto fra i maggiori autori di fumetti di tutti i tempi, e padre del celeberrimo Corto Maltese, tra i più importanti personaggi del fumetto italiano e internazionale. Nato il 15 giugno 1927 a Rimini, Hugo era figlio di Evelina Generoma, e Rolando Pratt, un militare di carriera romagnolo di origini inglesi, morto prigioniero nel 1942 in Africa orientale. Giramondo, attore, chitarrista, fu straordinario interprete di una letteratura dell’immaginario disegnato, che non si poneva confini, narrando il mare, il sogno, la realtà, le atmosfere picaresche, il pericolo, il realismo fotografico, attraverso London, Conrad, Yeats, Rimbaud, Borges, riconoscendosi nel fumetto americano, da Milton Caniff a Héctor Oesterheld. Hugo Pratt morì a Losanna il 20 agosto 1995. Nel 2015 un disegno di Corto Maltese, una copertina acquerellata che Pratt regalò al suo editore, è stato battuto all’asta, e aggiudicato a Sotheby’s, per la cifra record di 315.000 euro.

 

Corto Maletese - foto: cortomaltese.com

La Venezia di Corto

Era un’altra Venezia. Piazza San Marco alla fine degli anni ’70 non era ancora preda del turismo di massa, e al Caffè Florian dove ho lavorato dal 1977 al 1992, poteva capitare di incontrare Moravia insieme alla sua musa, vedere Peggy Guggenheim seduta ai tavolini, e Rubinstein improvvisare una sonata al pianoforte a coda” afferma Roberto Pellegrini, barman di lungo corso, e padre di Federica, campionessa olimpionica di nuoto, per 13 anni barman al Caffè Florian, poi passato dal ’92 al ’97 all’Hotel Danieli, e promosso capo barman al Gritti Palace dal ’93 al 2012. Un rapporto speciale quello tra lui e Hugo Pratt, che non lo considerava solamente un barman di fiducia, ma un confidente, un amico: a lui Pratt affidava la corrispondenza che intratteneva con i molti volti noti dell’epoca e che venivano a ritirare o a lasciare al Florian bozzetti, memorandum, lettere, come fosse un fermo posta.

Pratt viveva a Losanna e tornava spesso a Venezia, ma non era ancora cosi famoso in Italia, all’estero si, gli era già stata tributata una mostra al Grand Palais di Parigi” racconta Pellegrini “Era di casa al Florian: capelli brizzolati, corporatura imponente, fronte bassa, voce pastosa, rotonda, che raccontava se stesso, sciarpe lunghissime”; passava delle giornate intere al banco dell’antico caffè, dove nacque il cocktail CortoMaltese, ancora oggi nella carta dei drink del Florian, del Gritti, e del Tacco 11, il locale che Pellegrini ha aperto nel 2012 insieme al figlio.

Entrava, qualche volta con la sua corte di amici, qualche volta da solo, ti fissava e ti diceva 'famme una museruola'. Io sapevo cosa intendeva, e gli scaldavo un brandy spagnolo nel bicchiere snifter grande, lui ci metteva il naso dentro, prima annusando e poi gustando il pregiato distillato, e iniziava a raccontare storie incredibili, dei suoi viaggi, dei popoli e delle persone che aveva incontrato”.

Roberto Pellegrni 

I gusti di Pratt

Odiava il Carnevale, perché diceva che Venezia veniva sfruttata” ricorda, e aggiunge: “non amava particolarmente i miscelati, preferendo i distillati, un bere di quegli anni, pulito e asciutto. Nel corso della nostra amicizia, mi fece dono di alcuni disegni che conservo con affetto”.

E il cocktail dedicato al suo personaggio più famoso? “Il cocktail CortoMaltese nacque così, in una di quelle giornate così speciali per un giovane barman all'inizio della carriera e amico di Hugo Pratt, tra i racconti della sua vita e la divisa da marinaio di Corto. Un giorno mi chiese in veneziano: 'provemo un drink per Corto'. Così nacque”. E che caratteristiche doveva avere? “Doveva essere esotico, sapere dei mari del sud, maschio, ma non esageratamente forte, bello, perché Corto è tutte queste cose! E nacque il CortoMaltese: nel frullatore, con ghiaccio cristallino, fette di ananas fresco, maturo, gocce di limone, gocce di granatina, rum bianco e liquore all'arancio, nel bicchiere dove al Florian vengono serviti il Pernod e il Pastis”.

 

Le gite in laguna e i posti del cuore

Una volta Pratt organizzò un'escursione in laguna, con la Rai, su un rimorchiatore di lusso di proprietà del gioielliere Missaglia” racconta ancora Pellegrino, ricordando di una gita particolare in cui c’erano tutti gli amici di Pratt e le persone vicine a lui che interpretavano i personaggi della saga di Maltese, “mi chiese di vestire i panni di Rasputin, diceva che ero giusto per quel ruolo, ma io dovevo lavorare… un po’ mi pento oggi di non avergli detto di sì”. E dove andava di solito?“Andava alle Poste vecie da Fulvio, un personaggio incredibile, dove si narra vi sia il camino più antico di Venezia, oppure prendeva la barca e andava a Torcello a mangiare da Cipriani” così racconta, riportando in vita quella Venezia in cui il 15 ottobre finiva tutto: “avevi un cliente o due ogni sera e ci passavi la serata, racconti, storie, aneddoti, venne qualche volta anche al Danieli: in quell’epoca al bar andavi per parlare e tutto il resto era relativo, anche il bere. Fu dopo l’80 che la città cominciò a diventare commerciale”.

 

La guida ai luoghi di Corto

E per chi ne volesse sapere di più, c’è un libro: Corto Sconto – La guida di Corto Maltese alla Venezia nascosta, di Hugo Pratt, Guido Fuga, Lele Vianello, Edizioni Rizzoli-Lizard. Un viaggio negli angoli sconosciuti e i luoghi ameni della città dei Dogi, preferiti dal fumettista; decisamente un volume per appassionati, giunto alla nona edizione. Al suo interno ci sono trent’anni di errare per Venezia di Hugo Pratt (e Corto Maltese), insieme ad amici e colleghi, attraverso lunghe passeggiate per calli, ponti e sotoporteghi, con un unico obiettivo: mangiare e bere in compagnia, magari trovando spunti per dare vita alle famose avventure dei suoi personaggi. Volendo tracciare una mappa non si possono tralasciare l’infanzia nella casa di famiglia a San Giovanni e Paolo; la trattoria da Scarso a Malamocco (Lido), famosa per le polpette, non lontano dall’abitazione dove viveva Pratt quando era a Venezia e disegnata poi nell’Angelo della finestra d’Oriente; l’Harry’s Bar a Calle Vallaresso; il ristorante Al Graspo de Ua a Rialto, spesso frequentato da Pratt, a cui è stata dedicata una sala e si organizzano incontri sul fumetto veneziano; l’Osteria Alla vedova, sosta prediletta del famoso autore per le polpette, il buon vino e l’atmosfera; Alle Do Marie, un tempo famosa per le sarde al peperoncino; Ai Do Forni, dove quando arrivava Pratt era festa, con castraure, moleche, risotto con luganega e arancini di riso; l’Hotel Sofitel Papadopoli, a piazzale Roma, cui Pratt donò un pregevole ritratto del suo marinaio gentiluomo. La memoria dell’intellettuale e fumettista rimane viva nei veneziani, che nel 2013 gli hanno dedicato la biblioteca comunale del Lido di Venezia, a Malamocco.

 

La mostra

Anche Bologna rende omaggio a Hugo Pratt nel 50° della nascita di Corto Maltese con una mostra (fino al 19 marzo 2017 a Palazzo Pepoli) che racconta il famoso autore. Un viaggio alla scoperta dell’arte e dell’estro del fumettista con oltre 400 disegni, acquerelli, chine, riviste, rarità, e 164 tavole originali di Hugo Pratt, a 50 anni dalla loro pubblicazione, compresa la preziosa Ballata del mare salato dove compare per la prima volta Corto Maltese: viaggiatore, antieroe, divenuto mito del Novecento letterario, figlio di un marinaio inglese e di una zingara andalusa, nato a La Valletta, Malta, nel 1887, avventuriero, gentiluomo, marinaio, “alto un metro e ottantatré, con occhi color del miele e un’anella all’orecchio sinistro, che ha fatto sognare generazioni di lettori”. E alla domenica, su prenotazione, all’interno del Museo della Storia c’è il brunch domenicale a cura di Colazione da Bianca, con i piatti preferiti da Corto Maltese e dal suo autore.

 

Hugo Pratt e Corto Maltese 50 anni nel mito | Bologna | Palazzo Pepoli – Museo della Storia di Bologna | Via Castiglione, 8 | tel. 051 19936343 | www.mostrapratt.it

 

Caffè Florian | Venezia | Piazza San Marco, 57 | tel. 041 520 5641 | www.caffeflorian.com/it/

Hotel Danieli | Venezia | Castello 4196 | tel. 041 5226480 | www.danielihotelvenice.com/it

Gritti Palace | Venezia | Campo Santa Maria del Giglio| tel. 041 794611 | www.thegrittipalace.com/it

Tacco 11 American Bar | Spinea (VE)| via Cici, 3 | tel. 041 3099511 | www.tacco11americanbar.com/www.tacco11americanbar.com/Home.html

Poste vecie da Fulvio | Venezia | San Polo, 1608| tel. 041 721822 | www.postevecie.com/

Locanda Cipriani | Torcello (VE) | Piazza Santa Fosca, 29 | tel. 041 730150 | www.locandacipriani.com

da Scarso | Venezia | Piazzale Malamocco, 5| tel. 041 770834 | www.locandadascarso.altervista.org/trattoria.html

Harry's Bar | Venezia | Calle Vallaresso, 1323, Sestiere San Marco | tel. 041 5285777 | www.harrysbarvenezia.com

Al Graspo de Ua | Venezia | Sestiere di S. Marco, 5094 | tel. 041 098 8030 | www.graspodeua.it/it/

Osteria Alla vedova | Venezia | Calle Cà D'Oro, 3912 | tel. 041 5285324 

Alle Do Marie |San Francesco della Vigna (VE) | Calle de l'Ogio, 3129 | tel. 041 296 0424 | www.aledomarie.com/

Ai Do Forni | Venezia | Sestiere S. Marco, 457| tel. 041 523 2148 | www.aidoforni.it/

Hotel Sofitel Papadopoli | Venezia | Fondamenta Condulmer, 245, | tel. 041 710400 | www.sofitel.com/it/

 
 

a cura di Luca Bonacini

Maido a Milano. Lo street food giapponese che scommette sull'okonomiyaki. Ma cos'è?

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Una piastra calda e una ricetta che arriva da Osaka, dove le frittelle a base di verza, farina e uova sono la street food più apprezzato. E da qualche tempo anche a Milano c'è un posto dove scoprirle come tradizione comanda: si chiama Maido, e sta conquistando la città. A Isola arriva il terzo locale, poi chissà... 

Se lo street food arriva dal Giappone

L'ultimo arrivato, in casa Maido, ha qualche giorno appena. Ed è la sorpresa che il 2017 ha portato tra le strade di Isola, quartiere milanese dalla forte personalità, recentemente baciato dalla notorietà per la vicinanza con il polo di piazza Gae Aulenti e l'apertura di tante attività che l'hanno trasformato in punto di riferimento della movida cittadina. Un tempo “sobborgo” popolare, oggi enclave radical chic, all'ombra del Bosco Verticale di Stefano Boeri sono molte le insegne che animano le serate di Isola; da neanche una settimana (la saracinesca si è alzata per la prima volta il 7 gennaio 2017) in via Jacopo dal Verme è arrivato anche il terzo punto vendita del format ideato nel 2014 da Costanza Zanolini, nella sua versione street food, quella originale. A Milano ormai sono tanti i fan di Maido, che nel capoluogo meneghino ha portato una nuova prospettiva sulla cucina giapponese, impostando l'offerta su una specialità che in Italia ancora non aveva guadagnato un posto al sole: l'okonomiyaki. E cioè, per chi ancora non avesse avuto occasione di provarlo, qualcosa di molto simile a una frittella a base di farina, verza e uova, cotta con maestria al momento su un'apposita piastra – il teppan – farcita e guarnita con gli ingredienti più disparati (che non manchino mai, però, la salsa okonomi, una sorta di maionese giapponese, meglio se realizzata artigianalmente, i fiocchi d'alga e il katsuobushi): “Quando ho scelto di lavorare su un format innovativo per Milano, l'istinto mi ha portato alla cucina nipponica” ricorda Costanza “Su consiglio di mia cognata, che è giapponese, ho voluto scommettere sul prodotto street food più celebre di Osaka: qual è il vostro equivalente della pizza?, le ho chiesto... Ma devo ammettere che all'inizio temevo potesse non funzionare: comunicare un prodotto del genere, a base di ingredienti poveri e apparentemente poco appetibile per un palato italiano, poteva rivelarsi difficile”.

Maido a Milano. La nascita di un format

E invece le cose hanno preso subito una piega diversa, anche per merito di Costanza, che nel mondo della comunicazione aveva lavorato fino a qualche anno prima: “Scoprire che l'okonomiyaki era la specialità della bottega di Marrabbio nel cartone Kiss Me Licia ha reso tutto più semplice”. Sì, perché quando puoi contare su una solida base di seguaci della cultura giapponese (compresi manga e anime che rimbalzano alle nostre latitudini) e ci aggiungi anche il trasporto emotivo di tanti nostalgici degli anni Ottanta, il target di riferimento per trovare il coraggio di lanciarsi nell'impresa è presto individuato. Certo, poi è necessario guardare oltre. Come alla qualità dell'offerta gastronomica, e alla validità del format: elementi imprescindibili per sperare di sopravvivere al dinamismo del mercato ristorativo meneghino. Aprile 2014: il primo punto vendita di via Savona, un piccolo spazio conquistato proprio accanto alla prima attività di Costanza (titolare e ideatrice dell'Hambistrò, nato nel 2012 per sfruttare il traino dell'hamburger gourmet, e pure, dal 2015, di Amuse Bouche) presentava al pubblico di Tortona una carta street food agile e curiosa, da consumare sul posto o take away: okonomiyaki in più varianti, onigiri, zuppa di miso, yakisoba, insalata di goma wakame (le alghe fermentate con sesamo o zenzero). Ma anche le golosissime takoiyaki, polpettine di polpo in pastella a cui è difficile resistere. E rice burger, un'invenzione della casa che concilia l'anima dell'Hambistro con la cucina giapponese: al posto del pane, due “fette” di riso scottate alla piastra, farcite con manzo marinato, pollo teriyaki, e, più di recente, con salmone e spinaci o ripieno vegetariano. Tra i dolci doraiyaki e mochi, da bere anche del tè, per onorare la tradizione.

Da uno a tre. Milano ama l'okonomiyaki

Tutto preparato sotto gli occhi dei clienti, nella cucina a vista. Ambiente caldo e informale, tanto legno e qualche richiamo grafico al mondo dell'animazione giapponese. Persino il logo (Maido a Osaka significa benvenuto) nasconde lo strumento del mestiere di Marrabbio: la spatola metallica per girare le frittelle. Un successo. E all'inizio del 2016 un nuovo traguardo: un secondo punto vendita, più spazioso - “lo consideriamo il nostro ristorante, con tanti posti a sedere e un menu più ampio” - a pochi metri dall'Arco della Pace, in via Cagnola, con un occhio di riguardo al posizionamento del marchio: “In via Savona abbiamo catturato l'attenzione di un quartiere che vive di giorno, il mondo degli uffici, del design e della moda, che ama mangiare qualcosa di diverso. All'Arco della Pace una clientela eterogenea, in parte più adulta, ma ci sono anche i ragazzi che si ritrovano al parco”. Qui, tra qualche settimana, i tempi saranno maturi per inaugurare un nuovo spazio, un corner dedicato alla miscelazione, con cocktail a base di whisky e classici rivisitati con sakè. Cosa chiedere di più? Il terzo punto vendita, quello di Isola appena inaugurato, che torna sul format dello street food: una vetrina su strada, spazio ridotto, piastre sempre calde, la lista degli okonomiyaki in bella vista e il gioco è fatto. Anche il 2017 si apre con una nuova sfida, “in un quartiere che offre grandi potenzialità soprattutto la sera, quando c'è molto movimento”. Nel frattempo oltre ai classici della casa – con pancetta di maiale, gamberi, spinaci e formaggio, uovo all'occhio di bue – sono arrivati altre ricette, “ci piace riprendere la tradizione giapponese, ma anche sperimentare proposte creative, contaminare i generi, penso a cheddar e bacon, per esempio. In fondo l'idea è quella di trattare la frittella come la base di una pizza”.

Maido a Roma?

E se il pubblico premia gli sforzi, l'idea di guardare oltre non può che essere dietro l'angolo: “Ci piacerebbe aprire a Roma, per un po' la possibilità è stata molto concreta, poi il nostro contatto è sfumato. Ma non desistiamo”. E all'estero? “Perché no, anche se a tempo debito. In passato ci hanno proposto Barcellona, invece mi sentirei di escludere Londra, dove l'okonomiyaki ha un mercato già molto battuto”. In Italia, invece, non si può dire lo stesso, e Maido, a quanto sappiamo, resta unico nel suo genere sebbene un okonomiyaki niente male venga confezionato, proprio a Roma, da Waraku. Chissà che un giorno, non troppo lontano, l'okonomiyaki non incontri la stessa fortuna del ramen. Le vie del Giappone, a quanto pare, sono infinite.

 

Maido | Milano | via Savona, 15/ via Cagnola, 4/ via Jacopo dal Verme, 16 | www.maido-milano.it

 

a cura di Livia Montagnoli

Storie di ritorno alla terra. Libri, jazz e tanta natura: Casa Vespina

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Ha animato la vita culturale romana per tantissimi anni. Poi Federico Scanni, con la moglie Margherita Cristiani, ha scelto l'isolamento di Ventotene per tornare alla terra e alla natura. Dopo 10 anni in mezzo al mare è nel cuore verde dell'Umbria che ha aperto la sua azienda agricola: Casa Vespina.

Lascio la città

A un certo punto Roma non mi dava più spinte dal punto di vista emotivo e culturale”. Inizia così il racconto di Federico Scanni, per decenni animatore della vita culturale capitolina, con la casa editrice e libreria Fahrenheit 451, Libri in Campo, i molti eventi, il teatro, l'arte, la grande stagione jazzistica della Palma. Poi la decisione di andare via, a Ventotene: “una scelta che sembra estrema: un'isola piccolissima, appena un chilometro e mezzo quadrato, dove d'inverno ci sono 300 abitanti e rimane bloccata per le condizioni del mare”. A quel punto il grande salto è fatto. Che è un salto nel vuoto: “Quando sono sceso non sapevo cosa avrei fatto. E ben presto ho abbandonato l'idea di lavoro. Arrivato ho chiesto, e mi sono chiesto, che si facesse lì”. Ventotene è un fazzoletto di terra circondato dal mare “ho iniziato a conoscerli, li ho vissuti intensamente. Ho cominciato a uscire in mare e pescare, una cosa mai fatta prima, quel che ottenevo magari lo barattavo con un albero di frutta. Ho imparato a pescare, coltivare e raccogliere anche frutti spontanei”. È il racconto di un'economia di scambio, molto diversa da quella cui era abituato. E non solo: “è nato un bel rapporto con i ventotenesi”. Sono stati 10 anni in cui ha imparato moltissimo. “Per esempio che se a Roma 2000 euro al mese erano appena sufficienti, a Ventotene ne bastava un quarto. Perché in città passa tutto attraverso la moneta, mentre ci sono altre vie, dall'autoproduzione, allo scambio, alla capacità di usare al meglio quello che si ha, adeguarsi a quello che si ha”. Se a Ventotene c'era moltissimo pesce sulla sua tavola, oggi, nella campagna Umbra dove si è trasferito da circa due anni (per la mancanza, sull'isola, di scuole superiori per i figli), ci sono funghi, e poi more, castagne e noci che prima non avevano. “Se vengono bene le castagne, è inutile piantare banani” sintetizza.

 

casa vespinaFederico Scanni, Margherita Cristiani e i due figli

L'agricoltura dell'ascolto

Con mia moglie Margherita cercavamo un posto meno contaminato possibile” e l'hanno trovato a Casa Vespina, nella campagna vicino a Orvieto: 12 ettari di cui 2 di bosco e due casali da ristrutturare. “Volevamo una parte selvatica: nel nostro approccio all'agricoltura la parte selvatica e quella coltivata sono quasi indistinguibili. Andiamo oltre il biologico, non concimiamo neanche, sono molto influenzato da Fukuoka, anche se non su tutto, per esempio non nei metodi di semina con le palline di argilla” spiega, e aggiunge “penso che la natura, in milioni di anni, abbia trovato equilibri che danno performance che noi non potremo mai avere. Ma spero un giorno di poter trovare un metodo mio”. Che si basa sull'armonia e l'ascolto: “è importante osservare quel che la natura ti dà nel tuo posto, saperla assecondare: mai andarci contro, fare un muro più alto, la natura è più forte. Ci sono sempre un terremoto o un diluvio che possono distruggere le fortificazioni”. È un'eredità di Ventotene: il porto di epoca romana resiste ancora oggi, perché è studiato per accogliere a accompagnare l'onda fino a smorzarla. Senza opporvisi. Il porto moderno, dagli anni '60 a oggi, è già crollato due volte, il mare lo sta mangiando. “Ora so che vale tantissimo quel che capisci di un posto, quanta energia riesci a prendere e quanta riesci a dare”. Insomma: non c'è un metodo unico, ma un metodo in un preciso luogo e in un preciso momento. Che può cambiare anno dopo anno.

 

prodottiI prodotti di Casa Vespina

La lenticchia di Ventotene umbra 

Da Ventotene abbiamo portato fagioli, fave, piselli, cicerchie e lenticchia”. Sono varietà antiche “in alcuni casi dei tempi dei Borboni”, conseguenza dell'isolamento in cui è stata Ventotene, quindi non ci sono ibridi, incroci o manipolazioni. Come stanno rispondendo? “Si stanno adattando, ma anche se il suolo è ugualmente vulcanico, è tutto diverso e noi dobbiamo ancora imparare tante cose: come viene giù l'acqua, o cosa fare nei 20 giorni in cui gela; magari una cosa funziona un anno e non l'anno dopo. Questo” spiega “è un lavoro mai uguale al giorno prima e se uno ha l'animo aperto può fare tante cose: sono un libro in cui vanno scritti un sacco di racconti”.

Lo scorso anno alcune cose sono andate bene, altre male: “le erbe selvatiche hanno soffocato le lenticchie, erano talmente tante e veloci a svilupparsi che non siamo riusciti a fare nulla. Se avessi avuto la monocoltura sarebbe andato tutto bene o tutto male, invece diversifico tantissimo”. Per questo stanno sviluppando diversi metodi.E poi si impara sempre qualcosa, anche da quel che non funziona. Bisogna cercare una visione più ampia”.

casa vespina il logoIl logo

Guardare oltre lo specifico

Un orizzonte aperto e tempi più dilatati. “Non bisogna avere fretta” dice, “non è tutto e subito, non bisogna bruciare ogni cosa, ma andare con i ritmi della natura, che ha anche l'acquazzone, la siccità, il gelo che brucia le piante, ma nello stesso tempo uccide molti insetti dannosi”. Si tratta di cercare di vedere oltre lo specifico. “Le mie galline non danno 330 uova come quelle di batteria ma non muoiono dopo un anno e mezzo perché sono consumate, volano sugli alberi, resistono al freddo, al caldo, alle malattie”. Le galline sono di razza nera locale “incroci vecchissimi. Il prossimo anno avremo le nuove generazioni e a breve anche altri animali”. Insieme all'orto, alla frutta, allo zafferano, al grano tenero, al grano duro e al farro - “ma stiamo anche cercando grani antichi da seminare” - con cui producono pasta (in 5 formati per il grano duro, ma c'è anche quella di farro), farine, farro perlato, e da febbraio anche la birra di farro (tutti i prodotti si trovano in azienda, nel negozio Terra Viva di Orcvieto Scalo, e a breve anche a Bagnoreggio e online sul sito, attivo verso la fine di gennaio) . “Stiamo testando diversi mulini in zona, è ancora un work in progress”. Ancora un po' di tempo per le api e il miele: “vengono gli sciami spontaneamente da noi, ma in questo momento non siamo pronti, inoltre vorrei un'arnia naturale, ci vuole tempo”.

 

 

Ospitalità e la conoscenza della natura

Anche perché tra le priorità c'è il casale. “Ristrutturare è molto complicato: moltissime pratiche, richieste e procedure, spesso contro ogni logica, ma solo in virtù di un calcolo matematico, magari smentito tra 50 anni. L'edilizia è parte del tempo in cui si vive, che sia quello della costruzione veloce e dei calcoli matematici o quello del buon senso”. Una fatica immane, insomma, raggiungere il proprio obiettivo: solo materiai naturali, locali e di recupero. Una casa tradizionale, ma molto moderna all'interno, per impianti di ventilazione meccanica, riscaldamento a pavimento, e poi stufa a legna (che qui c'è in esubero), cappotto in sughero naturale per coibentare. Pronta tra pochi mesi - da settembre potrà contare su un primo spazio di ospitalità - mentre dal prossimo anno parte la ristrutturazione dell'altro casale destinato completamente all'ospitalità, con un piccolo ristorante con i prodotti del luogo, in gran parte di produzione di Casa Vespina. “Vorremmo che fosse un luogo aperto, dove le persone vengono a prendere frutta verdura, raccontare la propria storia e scambiarsi esperienze con altri che lavorano nella zona”.

 

Dove ha fallto la cultura

Nessun rimpianto nella vita precedente? “In questo momento credo sia molto più importante cercare di aprire dei percorsi alternativi a un modo di vivere che è autodistruttivo, penso che la cultura abbia fallito da questo punto di vista”. E spiega: “pensavo che attraverso la cultura si potessero fare tante cose, forse lo sguardo non era nelladirezione giusta, bastava guardare più in basso o in alto, alla terra o al cielo. Se hai la capacità di vedere capisci un sacco di cose su di te e gli altri. La natura parla di economia, medicina, società, di cosa stiamo facendo per il nostro futuro”. E forse lo sguardo di cui parla è quello dato anche da una cultura che arricchisce l'animo, non solo il cervello. “Se dovessi raccontare una cosa a qualcuno, oggi, non gli proporrei un concerto ma di andare nel bosco o nel campo a vedere come funziona”.

 

Casa Vespina | Orvieto (TN) | località Le Macchie 16 | tel. 339 2308282 | casavespina.it/

 

a cura di Antonella De Santis

 

Storie di ritorno alla terra. Dal teatro alla campagna, la storia di Tularù

 

 

McDonald's distribuisce cheeseburger ai senzatetto di San Pietro. È pace fatta con Roma e il Vaticano?

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Il discusso punto vendita di Borgo Pio ha aperto i battenti lo scorso 30 dicembre, dopo mesi di proteste che avevano travalicato i confini della città. In discussione il decoro di un fast food a pochi metri dal colonnato di San Pietro. Ma ora il colosso americano si vota alla carità cristiana e offre pasti gratis alle persone in difficoltà. 

Il McDonald's che non si doveva fare

A Roma la querelle ha tenuto banco per diversi mesi. Sull'annoso caso Mc Donald's a Borgo Pio, a pochi metri dal colonnato di San Pietro, nell'ultimo scorcio del 2016 si sono pronunciati un po' tutti, specialmente i detrattori - dal professor Asor Rosa al presidente del I Municipio Sabrina Alfonsi, al comitato di quartiere costituitosi per avversare l'arrivo dell'invasore – che ad accettare l'apertura di un fast food nel perimetro del luogo di culto più importante della città non sembravano proprio disposti. E così la vicenda è diventata affaire nazionale, rimbalzando persino oltreoceano, soprattutto quando si è trattato di constatare – come ha rilevato il New York Times – che alla fine dei conti la battaglia tra le parti si era conclusa in un “tanto rumore per nulla”. Sì, perché alla fine di dicembre, poche ore prima dello scoccare dell'anno, il punto vendita di Borgo Pio ha aperto “impunemente” i battenti, senza clamori di sorta e con l'approvazione dell'agenzia che sovrintende il patrimonio immobiliare del Vaticano (il palazzo interessato è di proprietà dell'Apsa), che ha ratificato il contratto di locazione dello spazio rimasto sfitto dopo la chiusura della banca che occupava i locali in precedenza. Cinquecento metri quadri riallestiti nello stile che compete alla celebre catena americana e la routine di un fast food qualunque in una città del mondo come tante.

Panini gratis ogni lunedì. L'accordo con l'Elemosineria Apostolica

Eppure qualcosa di diverso ci sarà, perché i vertici di McDonald's Italia, forse ispirati dalla vicinanza con la città-stato cattolica, hanno pensato fosse giusto onorare la carità cristiana, in collaborazione con l'Associazione Medicina Solidale Onlus. L'accordo sottoscritto solo un paio di giorni fa garantirà la distribuzione di pasti gratis alle persone senza fissa dimora che gravitano nell'area di San Pietro, in sinergia con l'Elemosineria Apostolica. Ogni lunedì, a partire dal 16 gennaio, dalle 13, i volontari dell'associazione distribuiranno i mille pasti gratuiti offerti dal fast food: un doppio cheeseburger, mele e acqua per sfamare i senza tetto che popolano le strade intorno alla Basilica, già oggetto delle attenzioni di Medicina Solidale, che fornisce visite mediche e cure necessarie alla sopravvivenza di chi vive in strada. E, trovato l'accordo con Mc Donald's, sarà in grado di fornire loro anche un sostegno alimentare.

Non tutto il male viene per nuocere, come peraltro abbiamo già provato ad argomentare in passato, a fronte di un panorama desolante di locali acchiappaturisti e specchietti per le allodole che non si sognano nemmeno gli standard di una grande catena internazionale. Né, tanto meno, sposano simili iniziative. Perché poco importa se resta il sospetto che si tratti di un'operazione riparatrice (e conciliatrice), quando sul piatto c'è l'interesse di tante persone. E allora che pacifica convivenza sia. Sperando di non dover commentare nuove puntate.  

 

a cura di Livia Montagnoli

Macchu Pisco. Storia dell’azienda che promuove il distillato del Perù

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Come molte famiglie sudamericane, anche la sua ha inseguito l'american dream. Senza però mai rinnegare le proprie origini. Ecco perché oggi Melanie Asher, assieme alla sorella Lizzie, è orgogliosa di esportare uno dei prodotti più tipici del Perù: il pisco.

Dal Perù a Wall Street e ritorno. Lei è la prima donna distillatrice di pisco e la sua storia sembra la trama di un film. Nata a Ica, in Perù, trasferitasi in giovane età negli States con mamma, papà e sorella, un giorno ritorna in patria, come ogni anno durante le vacanze estive - “mia mamma ha sempre voluto mantenere il legame con il nostro Paese d'origine” - e nel corso di un pranzo in famiglia aggiunge un po' di pisco al suo gelato. Da lì l'illuminazione: portare questo prodotto cento per cento peruviano negli Stati Uniti. Già, però lei aveva solo dodici anni. Passano gli anni, Melanie Asher si diploma in un campo particolare, chiamato Comparative Area Studies, una specie di storia specializzata solo in alcune aree geografiche, inizia a lavorare a Wall Street, concentrandosi sui mercati emergenti dell'America Latina, e si laurea ad Harvard dove redige il business plan della sua futura azienda. Idee chiare. Basti pensare che nel suo armadietto di scuola, invece di tenere le foto della boy band di turno, esponeva Donald Trump.“Fin da piccolina sapevo di voler diventare un'imprenditrice e lui era la mia massima aspirazione. Era ovunque a promuovere il suo brand, ha pure fatto una comparsata in Mamma ho perso l'aereo 2!, era determinato e vero leader. C'è da dire che all'epoca non c'erano donne imprenditrici, altrimenti la foto nell'armadietto sarebbe stata diversa”. Ma torniamo alla sua intuizione, quella di individuare una nicchia nel mercato nordamericano totalmente inesplorata.

Macchu Pisco

Prima del 2004, quando Melanie ha iniziato a muoversi per introdurre Macchu Pisco (questo il nome del suo brand) nel mercato nordamericano, la categoria del pisco era piccola e poco conosciuta, nonostante quel mercato si dimostrasse assai interessato a tutto quello che ruotava attorno a cocktail&spirits. Una base solida per gli affari dell'ex niña terrible - “così mi chiavano a Ica” - alla quale si aggiunge la conoscenza della vinificazione, appresa in Francia, dove ha trascorso un po' di tempo nelle cantine Mouton Rothschild e Lafite Rothschild. “Queste conoscenze sono state essenziali, dato che il primo passo per la produzione di pisco è creare un vino giovane, da distillare successivamente”. Di lì a poco il business diventa cosa di famiglia: la sorella Lizzie è presidente della società che ha base sia in Perù (per la parte produttiva) che in America (per la parte logistica), mamma e papà le hanno dato il loro sostegno e la nonna di 98 anni la appoggia con il suo mantra: “un sorso di pisco ogni notte è quello che mi ha mantenuta giovane”. “Mia nonna degusta ogni blend della nostra linea ultra-premium, La Diablada, prima che venga ufficialmente imbottigliata”. Tutto molto bello, non senza le difficoltà iniziali del caso.

Un pisco buono, etico e autentico

Fin dall'inizio ho voluto integrare la qualità all'autenticità e all'etica, ideando una società verticalmente integrata, per garantire il controllo su gusto, qualità e valore a ogni passo del processo produttivo. Da sempre, poi, ho voluto pagare salari equi alle donne che facevano la vendemmia. Il che ha costituito un precedente per gli standard delle condizioni di lavoro peruviane. Ci siamo dovuti scontrare contro la resistenza delle altre aziende che comprano l'uva cercando di mantenere bassi i costi a scapito dei lavoratori. Noi vogliamo semplicemente creare posti di lavoro per garantire una reale qualità di vita ai nostri dipendenti, per produrre un pisco di cui andare orgogliosi”. Melanie è anche attivamente coinvolta in organizzazioni che promuovono il commercio equo nel suo paese d'origine e le donne latino-americane nel mondo degli affari.

Le origini del pisco

Ma vediamo cos'è il pisco? E quali sono le sue origini? Una delle versioni più accreditate - anche se i vicini cileni rivendicano a loro volta la primogenitura – racconta che si tratta di un distillato nato alla fine del XVI secolo, sotto la dominazione spagnola. I colonizzatori introdussero la coltivazione della vite per produrre in loco l’aguardiente che non riuscivano a far arrivare dalla madrepatria. Senza sapere che stavano inaugurando una storia che nei secoli avrebbe unito due culture, quella iberica e quella andina. Sì, perché ancora oggi la coltivazione della vite prospera nei dipartimenti di Lima, Ica, Arequipa, Moquegua e le valli di Locumba, Sama e Caplina in Taca. Ovvero le zone dove si coltiva l’uva pisqueras dal cui mosto fermentato si ricava, per distillazione, il pisco, nome che deriva da quello del porto da cui si esportava: Pisco, una città a circa 200 chilometri a sud di Lima. Melanie aggiunge un tassello in più alla storia: “In pochi sanno che il primo centro di viticoltura nel nuovo mondo doveva essere Machu Picchu, ma purtroppo (o per fortuna)ad alta quota le vigne non resistevano all'inverno, così vennero trapiantate a valle di Pisco. Ecco spiegato il nome del nostro brand, che vuole essere un inno alla storia della viticoltura in Perù”.

La vendemmia e la produzione

Le vendemmia avviene fra febbraio e marzo - “durante questo periodo ci avvaliamo anche di cinquanta persone” - ed è proprio in questi mesi, caratterizzati da molte feste popolari, che inizia la distillazione. Le uve impiegate dall'azienda sono quattro: quebranta, moscatel, albilla e italia. E vengono usate o singolarmente o in blend. “Siamo l'unica azienda al mondo che produce tre pisco differenti: Macchu Pisco, il nostro monovitigno a base di uva quebranta; Diablada, con un blend delle quattro uve come suggerito da nostra nonna fan del pisco; Nusta ottenuto da uve italia, che necessita di circa 15 chili di uva per bottiglia, più di un cognac”. Quest'ultimo è stato introdotto nel 2016 con una produzione di sole 200 bottiglie. Davvero poche se paragonate alla produzione totale che conta 100.000 bottiglie, con acquirenti da tutto il mondo, compresi Australia ed Emirati Arabi Uniti. “In questo momento il nostro brand è presente negli Stati Uniti, Inghilterra, Italia, Francia, Dubai, Hong Kong, Thailandia, Singapore e Australia. Vendiamo ogni bottiglia che produciamo e tutte le nostre bottiglie incarnano l'uva e la terra che hanno dato loro i natali. In realtà, la nostra sfida più grande, ora, è stare al passo con la domanda! La particolarità del nostro pisco è che il tempo di riposo supera di gran lunga i dictat della DOO (simile alla nostra DOC). Secondo i quali il prodotto deve riposare minimo tre mesi prima di essere imbottigliato. Noi lo facciamo riposare per circa un anno”. Parla del loro prodotto base. “Per quanto riguarda La Diablada, gli anni diventano due, e per la Nusta tre”. Un tratto davvero distintivo, che ovviamente si percepisce soprattutto degustando.

Le note organolettiche

Va bevuto a piccoli sorsi, per coglierne tutti gli aromi. Ma qual è la particolarità dei loro pisco? “Ovviamente ciascuno dei tre ha delle caratteristiche ben precise ma il fil rouge è che in generale risultano più leggeri rispetto ai pisco che si trovano attualmente in Perù, quelli che ti tagliano le gambe. Ho cercato di ritornare ai pisco che bevevano i nostri nonni, decisamente più delicati, recuperando la lunga esperienza peruviana. Ecco perché il periodo di riposo è così lungo ed ecco perché ho un gran rispetto dell'uva che utilizzo”. A coronare questa bella storia, i molti riconoscimenti: l'ambasciata peruviana l'ha nominata nel 2013 La donna imprenditrice peruviana dell'anno negli Stati Uniti", nel 2016 è stata selezionata come una delle dieci migliori distillatrici donne nel mondo da The Spirits Business journal. E il ministero degli Esteri del Perù l'ha premiata per il suo impegno volto alla promozione della cultura peruviana.

www.macchupisco.com

 

a cura di Annalisa Zordan

 

 

10 anni di Eataly. Chef, street food, carbonara e ravioli cinesi per il compleanno: gli appuntamenti in tutta Italia

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Il prossimo 27 gennaio saranno passati esattamente dieci anni dall’inaugurazione del primo punto vendita di Eataly, al Lingotto di Torino, che dava avvio all’impero costruito in Italia e nel mondo da Oscar Farinetti e famiglia. E per onorare l’anniversario, tutto il mese di gennaio proporrà eventi speciali, nelle principali sedi italiane dello store. Dalla supercena di Torino alla carbonara romana, ecco gli appuntamenti da non perdere. 

27 gennaio 2007. A Torino, Eataly Lingotto apriva per la prima volta al pubblico, rivelando alla città l'idea rivoluzionaria di Oscar Farinetti: un iperstore del gusto improntato alla valorizzazione del made in Italy, per acquistare, mangiare, condividere, imparare. Tutto in un unico spazio, come molti ne sarebbero venuti negli anni a seguire, sulla base di un modello di business replicabile all'estero, e ampiamente premiato dal pubblico. (Quasi) dieci anni dopo Eataly conta numerosi punti vendita nel mondo e si appresta a implementare ulteriormente la sua flotta: la prossima inaugurazione in ordine di tempo, il 17 gennaio, schiuderà al gastrostore le porte di Trieste. Ma solo tornando indietro di qualche mese il portfolio delle nuove aperture dimostra la solidità raggiunta dal gruppo, che lo scorso agosto inaugurava la seconda sede newyorkese al World Trade Center, per poi concentrarsi su altri fronti internazionali, come Copenaghen. E il 2017 segnerà un altro traguardo importante, con l'attesa inaugurazione di Fico il prossimo autunno. Nel frattempo il modello Eataly ha fatto scuola in tutto il mondo. Ecco perché la decima candelina ha tutto il diritto di essere celebrata in grande stile. Con le dovute caratterizzazioni geografiche, però, che fanno di ogni punto vendita cittadino un mondo a sé, seppur di immediata riconoscibilità perché strettamente legato al format originale. Così il compleanno di Eataly si festeggerà con un calendario di appuntamenti che coinvolgerà la principali sedi italiane, ma pure quelle internazionali. E noi cerchiamo di riassumere qui le più interessanti.

 

Torino

In avvicinamento al giorno del compleanno, la sede dove tutto è cominciato propone al pubblico un ciclo di cene, degustazioni, aste, che coinvolgeranno molti dei protagonisti della scena gastronomica locale, a cominciare dalle osterie della tradizione, ospiti a turno, fino al 29 gennaio, del ristorantino temporaneo in Aula 1. Poi, il 19, sarà la volta di 5 chef a sorpresa, che insieme si cimenteranno con il menu di Indovina chi viene a cena? Ai commensali indovinare da dove arrivano i piatti che stanno mangiando; e il giorno seguente, in Cantina, la festa a ingresso libero tra vini, birre, taglieri e sfizi di cucina. Ma l’appuntamento più atteso è quello con la grande cena del 27 gennaio, quando al Lingotto – dopo la conferenza stampa del pomeriggio con Oscar Farinetti e Andrea Guerra– sarà il momento della parata di stelle: la cena servita nei ristorantini del piano terra (dalle 18.45 alle 23, un piatto 10 euro, carnet da 10 piatti a 90 euro, fino a esaurimento, anche in prevendita online, dal 16 gennaio) vedrà in azione Massimo Bottura, Moreno Cedroni, i fratelli Cerea, Pino Cuttaia, Gennaro Esposito, Philippe Leveille, Alessandro Negrini e Fabio Pisani, Claudio Sadler, Davide Scabin, Luigi Taglienti, Ciro Salvo, Luca Montersino. Un parterre di chef d’eccezione (più un pizzaiolo e un pasticcere) per onorare i festeggiamenti, in abbinamento a 10 etichette selezionate, al costo di 8 euro al calice.

Roma

Anche la Capitale, nella sede del quartiere Ostiense, partecipa alle celebrazioni in grande stile. Tra le osterie coinvolte, si avvicendano in piazza XII Ottobre 1492 L’Arcangelo, Flavio al Velavevodetto, L’Oste della Bon’Ora, Trippini, Fernanda, Al Convento e tante altre, affiancate da celebri volti della pasticceria romana e non solo, da Dario Nuti ad Andrea De Bellis, da Attilio Servi a Sal De Riso. E molte insegne della tradizione, dal 20 al 22 gennaio, animeranno pure il Festival della Carbonara in programma al terzo piano: in “gara”, con una o più proposte (dai 2 ai 6 euro, acquistabili in gettoni prepagati), Flavio con i suoi mitici rigatoni, Supplizio con la carbonara in versione supplì, la variante di mare di Rosario da Fregene, i bocconcini di vitella alla carbonara di Mordi e Vai, ma anche la proposta crudista di Solo Crudo. E poi Bistrot Bio, La Maisonnette, Café Merenda, Pigneto 1870, La Polpetteria. Inutile nascondere che l’evento di punta si celebrerà proprio nella serata del 27, con 10 chef per 10 anni di Eataly; loro sono i fratelli Serva e Antonello Colonna, Roy Caceres e Giulio Terrinoni, Massimiliano Mascia, Marco Martini, Lele Usai, Massimo Viglietti, Marco Bottega e Gigi Nastri. In menu piatti come la carpa in crosta di semi di papavero e i Tortelli con coda di bue con coulis di carote e polvere di sesamo, gli Spaghetti aglio nero, anemoni e mandorle e il Tortello di mortadella, pizza bianca e pistacchi. Tutti disponibili anche in mezza porzione, e prezzi variabili tra i 5 e i 16 euro.

Milano

Punta tutto sull’originalità la proposta meneghina. All’ex teatro Smeraldo la consueta cena con le stelle andrà in scena già il 18 gennaio, coinvolgendo 7 protagonisti dell’alta ristorazione locale e internazionale: Yoji Tokuyoshi, Viviana Varese (che gioca in casa), Enrico Bartolini, Andrea Berton, Salvatore Tassa, Antonia Klugmann, Yannick Alleno. Costo della serata 90 euro. Mentre per tutto il week end di compleanno, dal 27 al 29 del mese, si celebrerà il Festival del raviolo, con proposte a tema da tutto il mondo, che suggeriscono la versatilità di una preparazione trasversale, comune alla tradizione italiana come alla cucina di molti Paesi lontani. Non a caso a conquistare i milanesi con i suoi ravioli da strada ci pensa ogni giorno la Ravioleria di via Sarpi, tra i protagonisti della festa di Eataly. Tra gli altri anche Delicatessen, Taj Mahal, Porta di Basso, Shambala, Uzbek, Gam Bistrot, Rangoli. Con il laboratorio pratico per i bimbi della domenica mattina.

 

Firenze

Nel cuore del capoluogo toscano, in attesa del brindisi del 27, l’appuntamento clou va in scena il 19 gennaio, con la cena a 10 mani che vedrà collaborare 5 chef “toscani”: Maria Probst, Simone Cipriani, Filippo Saporito, Alberto Sparacino, Entiana Osmenzeza. Costo della serata – che animerà l’Osteria, attualmente affidata alle cure della Torre One Fire - 55 euro. Il 31 gennaio una seconda cena a 10 mani porterà in cucina i cuochi dell’Alleanza Toscana Slow Food, per onorare i prodotti d’eccellenza italiani. E il 28 e 29 c’è spazio anche per il Festival della street food, tradizionale e d’autore.

Bologna, Bari e le altre

Ma ogni città sarà partecipe dei festeggiamenti per il decennale. A Bologna, per esempio, il 27 gennaio arriverà Piergiorgio Parini per una cena gourmet, a Piacenza saranno protagonisti gli agriturismi del festival La campagna va in città; mentre a Bari per tutto il week end si banchetterà con lo street food regionale. E a Forlì per la cena di compleanno sfileranno una serie di celebrità locali, da Gianluca Gorini a Paolo Teverini, a Riccardo Agostini.

 

a cura di Livia Montagnoli

Gelo, freddo e neve: i danni per l'agricoltura

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Italia sotto la morsa del gelo: danni per oltre 700 milioni di euro nel settore dell'agricoltura e quello zootecnico. Quali sono le regioni più colpite e quali i primi interventi da fare?

L'ondata di maltempo che sta gelando l'Italia colpisce duro, soprattutto l'agricoltura, con danni ingenti nelle regioni del centro sud e nelle aree già toccate dal terremoto. Raccolti bruciati dalle temperature sottozero, capi di bestiame ammalati o deceduti a causa del troppo freddo (quindi un ulteriore problema e costo, quello dello smaltimento, di cui si vorrebbe sollevare gli allevatori e gli agricoltori), difficoltà nei trasporti, danni a frutteti, serre e capannoni agricoli, aziende e intere aree isolate, mancanza di energia elettrica e di acqua, impianti e macchinari bloccati dal gelo, costi esorbitanti di riscaldamento per le colture in serra. Una situazione drammatica. E intanto si avvicina la scadenza della quarta rata dei contributi di coltivatori diretti e imprenditori agricoli, che sarà il prossimo 16 gennaio: una delle ipotesi prospettate da Dino Scanavino, presidente nazionale di Cia-Confederazione Italiana Agricoltori, è richiedere la suasospensione.

 

Le aree più colpite e la prima stima dei danni

La Puglia è la regione più ferita, dice Massimo Aliprandi di Coldiretti, “proprio per la sua vocazione agricola è quella che sta contando maggiori danni”, valutati per oltre 110 milioni di euro (dato Coldiretti), registrando situazioni di criticità mai vissute prima; ma tutto il centro sud ha danni considerevoli. La stima complessiva per quanto provvisoria (l'ondata di maltempo non è ancora terminata), per Cia, raggiunge quota 700 milioni, tra danni alle produzioni e mancata commercializzazione dei prodotti (400 milioni), alle strutture (oltre 250 milioni) cui si devono aggiungere spese aggiuntive (25-30 milioni) come quelle per il riscaldamento di serre e allevamenti. Coldiretti calcola che sono oltre 10mila le aziende coinvolte. Anche in Campania i danni sono imponenti, secondo Rosario Rago – Presidente di Confagricoltura Campania - intorno ai 100 milioni di euro, in gran parte dovuti alle produzioni fortemente compromesse, con Avellino e Benevento le province più colpite. Insieme, e il quadro è di Cia ma converge con quello di tutte le altre associazioni, ci sono Basilicata, Sicilia, Calabria, Abruzzo, Umbria, Marche e Molise: “si tratta di territori dove il settore primario vale oltre 21,2 miliardi di euro, dove si produce il 61% degli ortaggi italiani, il 97% della produzione agrumicola e il 19% degli allevamenti zootecnici”.

Dello stesso tono il bilancio fornito da Alleanze Cooperative: 30 mila ettari di coltivazioni ortofrutticole e agrumicole attualmente compromessi dal gelo e il 35% della produzione di latte del centro sud che rischia di non essere ritirata.

 

Zone terremotate

Emergenza che si aggiunge all'emergenza nelle aree terremotate. Nella zona di Amatrice le temperature hanno raggiunto -16 gradi, in quella di Ascoli -15. Gli interventi più urgenti sono per la messa in sicurezza del bestiame. Il comparto zootecnico, già duramente colpito dal sisma, si ritrova con la necessità di cercare altri ricoveri per difendere i capi di bestiame dal freddo, data l'inagibilità di quelli abituali: è in gioco la sopravvivenza degli animali e delle attività a essi legata, ovviamente quelle che sono riuscite a ripartire dopo gli eventi sismici dei mesi scorsi. Ai danni del terremoto e a quelli del gelo si aggiungono quelli della burocrazia: “Era stata fatta una gara da parte della Regione Lazio per le stalle provvisorie “ha detto il sindaco di Amatrice, Sergio Pirozzi, in un'intervista a Radio Cusano Campus “Purtroppo su 52 stalle, 25 sono state cantierate e 27 no. Oggi qualcuno scopre che c’è un’ordinanza del 28 novembre e ora si affannano tutti per darsi da fare. Ma dal 28 novembre al 9 gennaio passano quasi due mesi”. Perché solo ora ci si muove per risolvere questo problema? È cronaca di un'emergenza annunciata: per quanto l'ondata di gelo sia stata eccezionale e non prevedibile, si tratta pur sempre di un'inverno da affronare in località a 1000 metri di altitudine pesantemente danneggiata dal terremoto. Che facesse freddo e ci sarebbe stato bisogno di strutture per il bestiame non è certo una sorpresa. E se ci sono dei ritardi nella costruzione di questi ripari provvisori, possibile che ce se sia accorti solo ora? E possibile che non si avvisino gli allevatori che potrebbero cercare altre soluzioni? In una fase come questa, "di guerra" dice Pirozzi "i ritardi rappresentano la differenza tra la vita e la morte morale delle persone".

 

Stato di calamità naturale

Si prospettano richieste dello stato di calamità naturale per diverse zone di Puglia, Lazio, Sicilia e Campania, ma non sono ancora state avanzate richieste ufficiali, dicono dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, anche perché devono essere fatte solo dopo una verifica definita dei danni subìti. L'unica azione per ora registrata è la richiesta dello stato di crisi da parte della ragione Puglia, si tratta, in ogni caso, di un documento non ufficiale. Difficile dunque stabilire in questa fase se e dove verrà dichiarato lo stato di calamità. Ma, ricorda RosarioRago, anche fosse riconosciuto, non risolverebbe certo l'emergenza, al massimo porterebbe a interventi di tipo contributivo: accesso agevolato al credito agragio, riduzioni dei tassi di interesse, non ci sarebbe invece per i produttori possibilità di rientrare dei danni o del mancato guadagno: “non c'è ristoro di quanto perduto: si profilano tempi duri per gli agricoltori”.

 

Conseguenze a lungo termine

Il freddo non sta solo compromettendo il raccolto di questi giorni, ma avrà conseguenze più a lungo termine: gli alberi da frutto, ma anche i tendoni da uva da tavola, hanno avuto cedimenti strutturali a causa del peso della neve. Stesso discorso per capannoni e serre. Non solo: per molte produzioni (come quella delle fragole o delle pesche) il gelo ha cotto i fiori con conseguenze importanti sul ciclo vitale e produttivo. Non si tratta solo di danni immediati, dunque, ma di ferite all'agricoltura che avranno effettianche nei prossimi mesi.

Un finocchio gelato

Le produzioni più colpite

La stima, necessariamente provvisoria, degli effetti del freddo, per Coldiretti è di un dimezzamento nella consegna degli ortaggi e di una riduzione del 30% nella produzione di latte. Entrando nel dettaglio, il 9 gennaio Cia segnalava che i danni riguardano principalmente le coltivazioni invernali a pieno campo: broccoli, bietole, carciofi, verze, spinaci, cavolfiori; introvabili i broccoletti di Anguillara, andati tutti distrutti, e i finocchi delle Marche. Ma anche i terreni coltivati a legumi (in Basilicata) e cereali sono stati colpiti, così i vigneti, principalmente in Puglia, con danni dovuti ai crolli per il carico della neve (la vite è in “letargo” in questo momento), esattamente come avvenuto per i frutteti. Le perdite negli agrumeti riguardano tanto il raccolto che gli alberi, in alcuni casi letteralmente travolti dal vento; in Calabria, soprattutto sul versante Ionico, è a rischio il bergamotto. L'emergenza in tutto il centro sud riguarda anche serre, allevamenti, logistica.

Il florivivaismo è in difficoltà, soprattutto in Puglia e Campania, per i danni subìti dalle serre, per la difficoltà ad approvvigionarsi del gasolio extra per riscaldarle o per problemi contingenti al gelo.

 

Le urgenze

Le opere più urgenti da mettere in campo riguardano, dicevamo, il bestiame“che, soprattutto nelle aree colpite dagli eventi sismici, ha bisogno di ricovero al più presto” ribadisce il presidente di Cia Dino Scanavino, calcolando che tra Marche, Umbria e Lazio servono 500 ripari provvisori per gli animali. Scanavino aggiunge come si debba intervenire anche per agevolare la consegna dei prodotti freschi, là dove sono salvi: un aiuto serve quindi tanto nella raccolta che nella logistica che nei trasporti, in alcuni casi bloccati per il 70%. Agevolare le spedizioni di prodotto fresco, là dove c'è, è un imperativo per non perdere quel che si è salvato dal gelo, ortaggi ma anche latte (secondo il direttore Coldiretti di Puglia Angelo Corsetti in pochi giorni sono state buttate tonnellate di latte) e per non favorire un'impennata dei prezzi, già in atto, a danno dei coltivatori.

 

Conseguenze per i consumatori

Aumenti dei prezzi anche di oltre il 200%. Le ragioni sembrerebbero diverse: la drastica riduzione dei raccolti, la speculazione sul foraggio, l'aumento delle spese per il riscaldamento in serra, le difficoltà nei trasporti e nella logistica che fanno salire vertiginosamente le quote di prodotto invenduto. Ma è davvero così?

Attenzione, però, che il gelo di questi giorni non assista i furbi. È l'allarme dato dal presidente di Cia, Dino Scanavino, che sottolinea che “le quotazioni sui campi non hanno subìto alcun aumento”, ma di fatto i prezzi dal campo al mercato risultano anche triplicati. I dati del Cia, rilevati al Mercato Ortofrutticolo di Fondi (LT), segnalano rincari anche del 230% per zucchine e bietole, rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.

Aumenti ingiustificati riguardano anche prodotti che non sono stati colpiti dal gelo: mele, pere e kiwi che sono oggi sulle nostre tavole, infatti, sono stati già raccolti da mesi, quindi il freddo non ha potuto comprometterne il raccolto. Differente è il caso delle arance e degli agrumi in generale, che provengono proprio dalle aree più colpite.

Allerta anche sull'origine di quanto esposto sui banchi del mercato, è l'allarme della Coldiretti: proprio in situazioni critiche come queste, con mancanza di approvvigionamenti, il rischio che venga spacciato come italiano un prodotto straniero è dietro l'angolo.

 

a cura di Antonella De Santis


Mangiare in montagna: Bormio, Valtellina e Valchiavenna

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Una zona della Lombardia immersa nella natura, lontana dallo smog e dalla confusione delle città, rinomata per la gastronomia e la produzione vitivinicola. Siamo in Valtellina e Valchiavenna, due valli che formano un “corridoio verde” che va dalla Svizzera al lago di Como. Per la rubrica mangiare in montagna oggi vi raccontiamo Bormio, Valtellina e Valchiavenna.

Valtellina e Valchiavenna

Se quando pensate alla Lombardia vi viene subito in mente Milano, con i professionisti sempre di corsa e lo smog, non siete mai stati in Valtellina. Insieme alla Valchiavenna e ad altre valli minori questa zona è il polmone verde della regione: splendide vette assolate d’estate e innevate d’inverno, enogastronomia ricca di storia, natura incontaminata e sport di tutti i tipi. Un’area che ha sempre avuto un profondo legame con il vino, fin dai primi insediamenti delle popolazioni di origini celtiche, liguri ed etrusche. Secondo la tradizione, furono proprio i Galli liguri ad avviare qui una prima economia vitivinicola, importando il vitigno nebbiolo. Passando dalla Valchiavenna, l’uva assunse il nome di chiavennasca, con cui è conosciuta ancora oggi: è alla base di due denominazioni molto rinomate, la Doc Valtellina e la Docg Valtellina Superiore.

 

ValtellinaValtellina

 

Cosa visitare a Bormio

Bormio, dal punto di vista turistico, è uno dei centri più importanti della Valtellina: fa parte del Parco nazionale dello Stelvio e della Comunità montana Alta Valtellina. Un piccolo comune capace di attrarre ogni anno visitatori e turisti, grazie alla grande versatilità della zona che prevede attività sia invernali che estive: se nei mesi più freddi la zona si popola di sciatori e snowborder, in quelli estivi diventa il regno dei camminatori e dei ciclisti.

Un’attività da fare in tutti i mesi è invece legata al benessere: Bormio è infatti conosciuta anche per le sue antiche terme. Sono tre le strutture da provare, le tradizionali Terme di Bormio, che si trovano all’interno del territorio comunale, e i due stabilimenti, Bagni vecchi e Bagni nuovi, che si trovano nel comune limitrofo di Valdidentro.

Per gli appassionati di arte la Collegiata è una tappa imperdibile: costruita nell'800 e ricostruita a seguito del devastante incendio avvenuto nel 1621 a causa dell'esercito spagnolo, nell'abside ospita due tele del Prina risalenti al XVIII secolo. Da visitare anche l’Oratorio di S.Vitale, realizzato nel 1196 con uno stile tipicamente romanico, che conserva i resti di diversi affreschi del 300 sulla facciata; infine il Kuer, una volta il luogo dove avvenivano le adunanze e si amministrava la giustizia, risalente al XIV secolo.

 

Bormio Ski PassBormio Ski Pass

Bormio è inoltre ricca di appuntamenti fonclorici popolari molto antiche. Fra le più interessanti troviamo il Gabinát, una tradizione legata all’epifania, il Geneiron,rito di origine pre-cristiana che celebra la primavera e ilCarneval di Mat, la versione locale del Carnevale, risalente al 400.

 

Piste da sci

Con 50 chilometri di piste da sci e 1.800 metri di dislivello, Bormio Ski è uno degli impianti maggiori per estensione e per dislivello. La pista più famosa è la Stelvio, sede fin dal 1993 della discesa di Coppa del Mondo maschile. Insieme alla pista Genziana, sono le uniche due attrezzate anche per lo sci in notturna. I principianti possono inoltre usufruire di 2 campi scuola, uno al Ciuke e l'altro a Bormio 2000, entrambi dotati di tappeti mobili. Fra le piste più facili troviamo la Bosco Basso, la Rocca, la Nevada, l’Ermellina 1 e 2; fra le medie ci sono la S. Ambrogio, la Genziana e le varie piste Stella Alpina (da 1 a 4); infine fra i percorsi più complessi è da segnalare la pista Betulle.

 

Valtellina, foto Hotel ParadisoValtellina - Foto Hotel Paradiso

 

Per gli amanti dello snowboard a 2300 metri c’è lo snowpark con super-pipe, una serie di jups, rails e box. Diverse piste sono allestite per lo sci di fondo, in particolare la pista Alute, che conta un totale di 10 chilometri, e le piste dello Stelvio, la Scorluzzo e la Sasso rotondo.

Cosa mangiare a Bormio

Sapori netti, decisi, ma allo stesso tempo raffinati, per una cucina priva di fronzoli: è la gastronomia della Valtellina e Valchiavenna, fatta di ricette antiche la cui origine si perde nel tempo. Vino a parte, sono molti i prodotti tipici che hanno fatto la fortuna di queste terre, tra gli altri il burro, le patate, i formaggi, le mele e il grano saraceno.

 

Pizzoccheri della ValtellinaPizzoccheri della Valtellina

Tra i primi piatti più celebri i pizzoccheri, preparati proprio con grano saraceno e farina 00 e conditi con burro e salvia, oppure con verdure locali; gli sciatt, che sono delle palline di pastella fritta ripiene di formaggio; la polenta taragna, preparata con farine miste di mais e di grano saraceno con burro e formaggio; e la polenta cropa, cioè cotta nella panna.

Questa è zona di selvaggina, eccezion fatta per quei territori più vicini al lago di Como, dove sono frequenti piatti a base di pesce d'acqua dolce. Sulle tavole valtellinesi sono d'uso comune piatti come la tagliata di cervo con ribes, oppure il cervo in salmì, il coniglio con le verdure, il carpaccio di capriolo.

 

Bresaola della Valtellina, azienda Del ZoppoBresaola della Valtellina, azienda Del Zoppo

Anche le verdure, qui, vengono preparate in ricette robuste, in abbinata ad altri prodotti tipici, come nel taroz, piatto unico fatto con patate, fagiolini, pancetta, burro e formaggio tipo bitto o fontina, e il mausc, una sorta di puré di patate, fagiolini e formaggio da mangiare insieme alla bresaola. Un’altra specialità valtellinese sono i chiscioi: frittelle di grano saraceno riempite di formaggio fuso, accompagnato solitamente da una verdura locale.

 

Scimudin della Latteria Sociale ValtellinaScimudin della Latteria Sociale Valtellina

Fra i salumi più rinomati la bresaola, la slinzega (molto simile alla bresaola ma in pezzature più piccole), il violino di capra, la mortadella di fegato, la filzetta (un salame di suino). Per quanto riguarda i formaggi un posto d'onore ce l'ha il bitto, un formaggio d’alpeggio vaccino, adatto a grandi stagionature che raggiungono quotazioni importante, ci sono poi il casera,la bormiolina,lo scimudin, il pecorino di Monte.

Infine i dolci, tra cui il panettone valtellinese, chiamato anche bisciöla, fatto con noci, nocciole fichi secchi e uva sultanina; il curnat, fatto con farina, zucchero, burro e uova; la cùpetaa base di ostie, miele e noci. Più tipica della Valchiavenna è invece la torta fioretto, chiamata anche fügascia de fiorétt, caratterizzata dall’uso del fiore essiccato del finocchio selvatico che, cosparso di zucchero e burro d’alpeggio, dona un aroma unico alla torta.

 

CONSIGLI DALLA GUIDA RISTORANTI D'ITALIA 2017

Altavilla (Bianzone)

È uno degli indirizzi storici più solidi della zona, aperto fin dai primi del ‘900 e gestito sempre dalla stessa famiglia. La cucina è sostanziosa e gustosa, tutta giocata sui sapori e sulle materie prime locali, ma con un tocco di estro. Ad accompagnare il pasto 5 tipi di pane, la focaccia di patate della casa e un’interessante selezione di oli. Tre le proposte, adatte ad ogni tasca, per i menù degustazione. Ricca la cantina, con vini locali e un’importante selezione di distillati. Due Gamberi nella guida Ristoranti d’Italia 2017.

 

Cantarana (Chiuro)

Cucina contemporanea e creatività ma senza perdere di vista la tradizione della Valtellina, per un indirizzo curato e accogliente nella piccola Chiuro. In menù le migliori produzioni locali, lavorate dallo chef con rispetto e grande tecnica. Diversi i menù degustazione fra cui scegliere, accompagnando i piatti con etichette locali. In estate scegliete la curata corte esterna in cui pranzare. Una Forchetta nella guida Ristoranti d’Italia 2017.

 

Crotasc (Mese)

Sono 3 le generazioni passate per questo locale storico della zona, aperto fin dal 1928. L’ambiente è rustico ma elegante, reso ancora più intimo dagli arredi in stile montano e dal camino sempre acceso. La cucina affonda le radici nella tradizione valtellinese, con rivisitazioni dei piatti locali in ottica creativa. Ottima la selezione di salumi e formaggi, le paste fresche e ripiene. Buoni i dolci della casa, in linea con il resto del menù. In cantina una selezione di etichette regionali. Ottimo rapporto qualità prezzo per i due menù degustazione. Una Forchetta nella guida Ristoranti d’Italia 2017.

 

Il cantinone (Madesimo)

Cucina di montagna raffinata ed elegante, in una delle strutture alberghiere più belle della zona. Ai fornelli c’è Stefano Masanti, che cura il menù in ogni dettaglio, proponendo una cucina equilibrata e creativa, tutta tesa a valorizzare il territorio. Diversi i menù degustazione, suddivisi per temi e abbinati a interessanti proposte al calice. Possibilità di richiedere menù ad hoc per celiaci, vegetariani e intolleranti. Due Forchette nella guida Ristoranti d’Italia 2017.

 

Le preséf dell’agriturismo La Fiorida (Mantello)

Un angolo gourmet all’interno di un agriturismo di livello elevato che ospita una fattoria con orto biologico, allevamento, caseificio e bottega. L’ambiente del ristorante è molto curato, l’atmosfera è intima e accogliente. Il menù, incentrato prevalentemente sul km zero e affidato a Gianni Tarabini, valorizza le ricette locali con piatti dai sapori puliti ed equilibrati. Valida e attenta selezione di formaggi, carta dei vini ben strutturata e a forte vocazione territoriale. Una Forchetta nella guida Ristoranti d’Italia 2017.

 

Osteria del benedet (Delebio)

Un’antica casa ben ristrutturata ospita questa trattoria dall’atmosfera calda e rilassante, resa ancora più accogliente dal bel camino sempre acceso nella stagione invernale. Il menù esprime tutta la passione del patron Vittorio Citrini per i vini e i formaggi locali e valorizza la tradizione valtellinese, senza dimenticare un tocco creativo. Carta dei vini ampia, con etichette nazionali e internazionali, frutto di un’attenta selezione. È consigliata la prenotazione. Due Gamberi nella guida Ristoranti d’Italia 2017.

 

Umami restaurant (Bormio)

Situato in uno dei design hotel più moderni della zona, il ristorante guidato da Antonio Borruso propone una cucina unica, frutto dell’incontro tra la tradizione napoletana e i prodotti del territorio. Interessanti e creativi anche i dolci, che puntano su sapori puliti ed equilibrati. Due i menù degustazione a disposizione dei clienti. Due Forchette nella guida Ristoranti d’Italia 2017.

 

Vecchia combo (Bormio)

Nel cuore di Bormio un ambiente rustico e piacevole per una solida trattoria a conduzione familiare. Il menù tutti i sapori tipici della Valtellina, con una predilezione per i prodotti locali, soprattutto per quanto riguarda salumi e formaggi. Golosi e invitanti i dolci, in linea con il menù. Due Gamberi nella guida Ristoranti d’Italia 2017.

 

CONSIGLI DALLA GUIDA BAR D’ITALIA 2017

Caffè Mastai (Chiavenna)

In una zona di confine fra la Valchiavenna e la Valtellina un indirizzo dove sostare per un’ottima colazione o una golosa merenda. Si parte con i lievitati, fragranti e saporiti, da abbinare a espressi aromatici e cappuccini cremosi. Si prosegue con gli spuntini di metà mattina, sia dolci che salati. A pranzo diverse le proposte, dai piatti freddi alle insalatone, dai primi della tradizione a tramezzini e panini creativi. Possibilità di acquistare biscotti, caramelle artigianali, torte, marmellate e miele della casa. Due Chicchi e Due Tazzine nella guida Bar d’Italia 2017.

 

CONSIGLI DALLA GUIDA PASTICCERI&PASTICCERIE 2017

Centro bontà Moreschi

Un locale polifunzionale che propone dolci, gelati, pane e focacce, ma anche piatti gourmet. Roberto Moreschi ha fatto di questo indirizzo un luogo dedicato alla ricerca, sulle farine in particolare, e alla valorizzazione dell’arte bianca. Speciali le torte della casa, dalle più tradizionali alle più creative, ma anche la pasticceria mignon e il pane fresco, sfornato ogni giorno in tante tipologie diverse. Due Torte nella guida Pasticceri&Pasticcerie 2017.

 

indirizzi

Altavilla | Bianzone(SO)| via ai Monti, 46 | tel. 0342 720355 | www.altavilla.info

Caffè Mastai | Chiavenna (SO) | piazza Donegani, 3 | tel. 0343 54198 | www.mastai.it

Cantarana | Chiuro(SO)| Via Ghibellini, 10 | tel. 0342 212447 | www.ristorantecantaranachiuro.it

Centro bontà Moreschi | Prata Camportaccio (SO) | strada Comunale vecchia, 1 | tel.0343 20257 | www.moreschichiavenna.it

Crotasc | Mese (SO) | via Don Primo Lucchinetti, 63 | tel. 0343 41003 | www.ristorantecrotasc.com/it

Il cantinone | Madesimo (SO) | via A. De Giacomi, 39 | tel. 0343 56120 | www.ristorantecantinone.com

Le preséf dell’agriturismo La Fiorida | Mantello (SO) | via Lungo Adda, 12 | tel. 0342.680846 | www.lafiorida.com

Osteria del benedet | Delebio (SO) | via Roma, 2 | tel. 0342 696096 | www.osteriadelbenedet.com

Umami restaurant | Bormio (SO)| via Stelvio, 23 | tel. 0342 911734 | www.umamirestaurantbormio.com

Vecchia combo | Bormio(SO)| piazza Santuario, 4 | tel. 0342 901568

 

a cura di Francesca Fiore

 

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Wine&Flight. All’aeroporto di Capodichino lezioni aperte e degustazioni per celebrare il Falerno del Massico

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Celebrare uno dei vini più antichi d’Italia, il Falerno del Massico di Villa Matilde, all’interno dell’aeroporto di Capodichino, Napoli. È Wine&Flight, iniziativa ospitata da “Tradizione Italiana Cocktail Bar” che, attraverso lezioni aperte, incontri e degustazioni, permetterà ai passeggeri e al pubblico di conoscere le caratteristiche di questo storico vino campano.

Il nuovo volto degli aeroporti

Gli aeroporti stanno cambiando volto. Da luoghi di passaggio in cui, nostro malgrado, si era costretti a mangiare, per lo più panini stantii a prezzi esorbitanti, gli scali aeroportuali stanno diventano luoghi di incontro in cui la gastronomia di qualità e la cultura si intrecciano sempre di più. Ne avevamo già parlato con le nuove aperture illustri a Fiumicino o con i progetti di Autogrill negli Stati Uniti, ma sono diverse le iniziative promosse anche da nomi meno altisonanti e più legati al territorio. È il caso di Wine&Flight, che durante il mese di gennaio celebrerà il Falerno del Massico di Villa Matilde con degustazioni, laboratori con sommelier ed esperti, abbinamenti e cene.

 

Il calendario degli eventi di Wine&Flight

Per tutto il mese di gennaio, dalle 11.30 alle 15, appassionati e viaggiatori potranno approfondire la scoperta delle migliori etichette di Villa Matilde, seguiti da esperti sommelier che spiegheranno caratteristiche dei vini, tecniche di degustazione, abbinamenti consigliati. Insieme a Villa Matilde, ci saranno anche eccellenze irpine e beneventane, con le cantine Tenuta Rocca dei Leoni e Tenuta d’Altavilla.

Oltre alle degustazioni quotidiane, Wine&Flight prevede tre appuntamenti speciali, dedicati al Falerno del Massico. Passato l’appuntamento del 9 gennaio, che ha visto protagonista lo chef Gianluca D’Agostino del ristorante Veritas di Napoli , si continua il 16 gennaio con “Il vino è storia -  Il Falerno decantato da Plinio, Ovidio e Marziale, tra storia e letteratura”, un reading sulle origini del Falerno a cura di Maria Luisa Firpo, designer e attrice, curatrice di Hart. Il 30 gennaio sarà invece la volta di “Spume di vino, l’aperitivo è servito”, una performance gastronomica con lo chef Carlo Olivari, che condurrà una lezione aperta su come realizzare un aperitivo gourmet con spume, crostini e abbinamenti giusti.

Per favorire la partecipazione all’evento, in occasione di Wine&Flight tutti gli ospiti potranno usufruire del parcheggio multipiano dell’aeroporto alla speciale tariffa unica di 2 euro.

Wine&Flight | Napoli | Aeroporto di Capodichino | viale F. Ruffo di Calabria | tel. 081 789 6111 | www.aeroportodinapoli.it

 

a cura di Francesca Fiore

 

Pop up e novità tra Londra e New York. Dan Barber nella capitale inglese, i dim sum di Tim Ho Wan negli States

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Tra qualche settimana lo chef del Blue Hill porterà a Londra la sua cucina che combatte lo spreco, con il pop up WastED, in collaborazione con tanti colleghi in arrivo dall’Europa. Intanto a New York sbarca una delle più celebri catene internazionali a basso prezzo a vantare la stella: Tim Ho Wan e i suoi dim sum, da Hong Kong. 

La cucina sostenibile e sana di Dan Barber

Dan Barber. Negli Stati Uniti tutti lo conoscono come lo chef dell’alta cucina sostenibile, il cuoco che alla ricerca agricola, al benessere a tavola e alla lotta allo spreco ha dedicato tutta la sua carriera, ben prima che questi sentori diventassero urgenza comune. E la tenuta di Blue Hills a Stone Burns, non troppo distante da New York (dove Barber guida la cucina della sua prima insegna al Greenwich Village, il Blue Hill), è una chiara dimostrazione di coerenza con quanto lo chef si è impegnato a divulgare in libreria e tv negli ultimi anni. Ecco perché a Londra c’è grande fermento per l’apertura del pop up più atteso dell’anno, che per la prima volta porta lo chef americano a confrontarsi con il suolo inglese, e pure con la formula del temporary restaurant itinerante che di questi tempi affascina un numero sempre più cospicuo di colleghi chef altrettanto blasonati (da Redzepi a Blumenthal, a Dacosta). Si chiamerà WastED, un’insegna eloquente, e l’inaugurazione è prevista per il prossimo 28 febbraio; poi il ristorante resterà aperto fino al 2 aprile, prima che Barber faccia ritorno nella sua cucina di New York.

WastED. Da New York a Londra

E qualche previsione si può avanzare proprio sulla base di un’esperienza analoga promossa nel 2015 all’interno del Blue Hill, dove per tre settimane Barber aveva sperimentato il format WastED coinvolgendo tanti volti celebri della cucina – da Grant Achatz a Daniel Humm, a Enrique Olvera -  per dimostrare che con gli scarti si può realizzare un ottimo pasto d’autore, analogamente a quanto sostiene da anni il nostro Massimo Bottura. La replica londinese di questo esperimento prenderà forma in Oxford Street, sul rooftop del Selfridges, per sei settimane, e anche in questo caso coinvolgerà colleghi in arrivo da tutta Europa nella preparazione di un menu che denuncia lo spreco, chiamando in causa anche agricoltori, allevatori e produttori inglesi che forniranno gli “ingredienti” necessari per dimostrare che un sistema alimentare sostenibile, e di qualità, è possibile. In abbinamento i cocktail di Iain Griffiths (Dandelyan). Un progetto ambizioso che, c’è da scommetterci, richiamerà un gran numero di appassionati gourmet (mentre sale l’attesa per scoprire chi affiancherà Barber in cucina): le prenotazioni online si apriranno già domenica 15 gennaio, sul sito del Selfridges.

Foto di EatNyc

I dim sum più famosi di Hong Kong a New York

Intanto però, anche i newyorkesi attendono una bella novità, e per uno chef che va, c’è una catena di fama internazionale che arriva. Si tratta di Tim Ho Wan, nota realtà della ristorazione di Hong Kong, e dei suoi fondatori Mak Kwai Pui Leung Fai Keung, che al talento in cucina uniscono un grande fiuto per gli affari e ottime doti imprenditoriali. Tanto che la loro bottega di dim sum, premiata per la prima volta con la stella Michelin nel 2009 (dopo appena un anno di attività), quando risultò essere la prima insegna per tutte le tasche a ricevere il riconoscimento della Rossa (apripista per altri che sarebbero venuti in seguito), si è presto rivelata un format da esportare, e oggi conta oltre 40 filiali tra l’Estremo Oriente, il Sud-Est Asiatico e l’Australia. E ora il brand si muove per la prima volta alla conquista dell’America, per intercettare il gusto dei newyorkesi, piuttosto inclini a premiare la cucina dell’Estremo Oriente. Come i dim sum.

Il ristorante aprirà ufficialmente il 18 gennaio (in soft opening già da un mese) nell’East Village e proporrà tutte le specialità della casa (ognuna costa meno di 6 dollari), compreso il piatto di punta, il bun ripieno di maiale bbq. In cucina ci sarà lo chef cinese Wai Chan, dopo una lunga formazione a Hong Kong. E per avvicinarsi alle preferenze del pubblico americano l’insegna proporrà per la prima volta anche birra e vino, ma i puristi del genere potranno comunque contare su una selezione di tè d’accompagnamento. Mentre in menu ci sarà ampio spazio per le proposte vegetariane, un’altra concessione allo stile alimentare che va per la maggiore in città. E la folla già si accalca fuori dal locale, replicando le file di Hong Kong. Storia di un successo annunciato.

 

WastED | Londra | Selfridges, Oxford Street | dal 28 febbraio al 2 aprile 2017 | www.wastedlondon.com

Tim Ho Wan | New York | 85 4th avenue, East Village | www.timhowan.com

 

a cura di Livia Montagnoli

 

Libri. 12 nuovi imperdibili volumi su chef, birre, caffè e cucine etniche

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Volete imparare a cucinare indiano oppure nordeuropeo? Sapere come fare la birra in casa o conoscere tutti i segreti del caffè o del sushi? Scoprire quel che si nasconde dietro gli allevamenti intensivi o nel mondo dell'alta ristorazione? Oppure desiderate approfondire le tecniche di potatura, o scoprire quali sono le migliori insegne della vostra città? Ecco 12 libri da regalare e regalarsi.

La nuova cucina del nord, le ricette indiane e quelle “Unte e Bisunte di Chef Rubio”. Il libro-gioco sul sushi e quello sui sughi. Le tecniche di potatura e il viaggio da incubo tra gli allevamenti intensivi. Le ricette per fare la birra in casa, l'agenda veg e la guida ai migliori ristoranti e street food di Milano. Ecco una lista della spesa tutta da leggere e da sfogliare.

 

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Cucina Indiana

Se amate la cucina indiana ma non avete mai osato cucinare a casa ciò che al ristorante è in grado di aprirvi tutti i chakra al primo assaggio, se cercate nuovi stimoli per i vostri menù ma avete sempre pensato di non avere abbastanza tempo, ingredienti o capacità, questo è il momento giusto per ricacciare indietro timori, insicurezze e pregiudizi e aprire questo libro”. Dalle basi, dalle spezie, fino ai piatti più ricchi e complessi, le ricette per piatti come il pollo in cocotte con limone e zafferano, cozze in brodo piccante di zenzero e foglie di curry, biryani di agnello, spinaci con zenzero, aglio e mandorle, e curry di barbabietola. Piatti facili da preparare e veloci, come il riso speziato con le verdure. Ricette pensate anche per chi ha poco tempo a disposizione o ama stare a tavola e ai fornelli senza stress.

Cucina Indiana | Amandip Uppal | Guido Tommasi editore | Pagine 256 | prezzo 30,00 euro | www.guidotommasi.it

 

Cessate il cuoco

Una ricetta per sopravvivere alla bolla dell’alta gastronomia (che presto scoppierà)”: è questo il sottotitolo del libro che Andrea Cuomo, giornalista, inviato e critico enogastronomico, da oltre 20 anni in forza a Il Giornale, firma per i tipi de Il Giornale. Piccolo caso editoriale, uscito in allegato al quotidiano e ora reperibile sul sito del giornale, è la sua sintesi del complesso e ambiguo mondo dell'alta ristorazione. Dove c'è “tanto fumo e poco arrosto”, dice. Parte dalla solitudine degli chef, divi condannati a rimanere sconosciuti alla gran parte dei loro fans, perché non è come per i cantanti che la canzone la puoi sentire anche su Youtube: per sapere ce fa un o chef bisogna andare al ristorante, e non è da tutti. Da qui Cuomo si inerpica tra equivoci, luoghi comuni (talvolta non troppo distanti dalla realtà) e falsi miti dei ristoranti di alto livello, li elabora in velocità: i prezzi altissimi e le porzioni da fame, l'emergenza sala, l'assenza della critica, i food blogger e i personaggi che girano a vario titolo in questo mondo, il vino e i sommeier, il chilometro zero e tutte le storture, gli errori (ma sarebbe da dire gli orrori) di un meccanismo che sembra sempre sul punto di bloccarsi. O la bolla di esplodere.

Cessate il cuoco | Andrea Cuomo | Società Europea di Edizioni Spa - il Giornale | in vendita sul sito

 

La Nuova cucina del Nord

Le vaste pianure spoglie dell’Islanda, gli arcipelaghi che affiorano sparsi lungo la costa, le distese di boschi e foreste: è possibile rivivere in cucina la suggestione di questi spazi nuovi e aperti, dove ogni cosa ha il sapore della scoperta e della conquista. Simon Bajada – chef, fotografo e foodstylist svedese – spiega i principi della Nuova Cucina del Nord e insegna a dare un tocco scandinavo a diversi piatti in una sorta di fusion personale dove più tradizioni si possono incontrare. Gli ingredienti base: salmone, aringhe, grano saraceno, farina di segale e frutti di bosco; le tecniche di conservazione: affumicatura, fermentazione e salamoia. E si parte, dalle polpette con purè di patate e salsa di mirtilli agli smørrebrød, i panini aperti, un vero must danese molto goloso; dal maiale arrosto con chutney di carote e salsa di girasole al salmone affumicato a caldo con aglio arrosto e insalata di mele. Con tanto di appendice su come sostituire eventuali ingredienti introvabili a latitudini più sudiste.

La Nuova cucina del Nord | Simon Bajada | Guido Tommasi editore | pp. 264 | prezzo 35 euro | www.guidotommasi.it

 

Pappamilano 2017

Cinquanta ristoranti con la R maiuscola e cento di cucina a presa rapida per soste agili, ma non meno curati e apprezzabili. Oltre a una immancabile sezione dedicata agli etnici di buon livello, caratteristica della Milano gastronomica. Esce Pappamilano, la guida firmata dal caustico e irreverente critico del Corriere della Sera. “Nella sezione dedicata alle novità, 15 locali su 20 sono neonati. Ma ci sono anche dei ritrovamenti archeologici, non meno che preziosi, come la trattoria La Carrettiera, suggeritami nientedimeno che da La Pina, multiforme ingegno di radio e televisione. Un altro carico di inediti va a rimpinguare la sezione dei locali 'prêt-à-porter': quelle botteghe, cioè, che sfornano cibo per consumi veloci. Una tipologia che, per ragioni economiche e sociali, sta proliferando in ogni quartiere della città” spiega Visintin.

Pappamilano 2017 | Valerio Massimo Visintin | Terre di mezzo | 128 pagine | prezzo 10,00 euro | libri.terre.it

 

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Abilità del Barista – Manuale Livello Base

Un libro suddiviso in 5 capitoli che parte dalle fondamenta: è Abilità del Barista – Manuale Livello Base, il primo volume che raccoglie tutte le informazioni e nozioni base per aspiranti baristi. A firmare questo progetto è Scae Italia (Specialty Coffee Association of Europe), realtà impegnata nella promozione e diffusione della cultura del caffè di qualità in Italia e che raduna tutti i professionisti del settore, dai torrefattori ai baristi, dagli importatori ai rivenditori di macchine. Si parte dalle caratteristiche delle diverse specie di caffè per finire con un intero capitolo dedicato all'igiene e la sicurezza nel bar, passando per l'estrazione in espresso, le attrezzature e un focus sul latte. A raccontare in maniera chiara ed esaustiva i primi passi dell'aspirante barista, un team d'eccezione: Alessandro Galtieri, autore del libro, trainer Scae e titolare di Aroma Caffè a Bologna, Davide Cobelli, supervisore dei contenuti e coordinatore della formazione per Scae Italia e Cristina Caroli, responsabile della comunicazione di Scae Italia che per questo progetto ha curato l'intero coordinamento editorale.

Abilità del Barista – Manuale Livello Base | Alessandro Galtieri | ed. Scae Italia | Euro 20.00

 

Uniti e Bisunti

In questo volume Chef Rubio (al secolo Gabriele Rubini) racconta le migliori ricette della trasmissione in onda su Dmax: le più unte, le più succulente, le più saporite. “Quelle che garantiscono la riuscita di una grigliata, di una cena con gli amici, di un pranzo della domenica, dove la buona compagnia va a braccetto con la buona tavola e con piatti golosissimi: meglio ancora se si possono mangiare con le mani (per poi leccarsi le dita)!”assicura l’autore. Dagli involtini di salsiccia ai bomboloni fritti, oltre 130 ricette da leccarsi le dita, promette il sottotitolo.

Uniti e Bisunti | Chef Rubio | Rizzoli | pp. 432 | prezzo 19,90 (ebook 9,99) | www.rizzolilibri.it

 

VegAgenda 2017

Quest'anno VegAgenda cambia look e si arricchisce del contributi di molti vignettisti e comici, una nuova generazione di artisti che ha fatto la scelta vegan e che la sa raccontare in modo originale e divertente. Come ogni anno, tanti consigli per chi ha già fatto la scelta di non mangiare proteine animali o vuole provare a farla: le principali ricorrenze del mondo veg e animalista, con l'elenco di frutta e verdura di stagione mese per mese, un elenco di ristoranti, locali e negozi di alimentazione veg e vegetariani. E ogni mese, una breve scheda informativa su una pianta e una ricetta con cui preparare in casa infusi e sciroppi, digestivi e liquori.

VegAgenda 2017 | edizioni Sonda | prezzo 10,90

 

Cordone Speronato

In libreria il secondo volume della scuola di potatura della vite di Marco Simonit: focus sul cordone speronato. Dopo il primo approfondimento sul Guyot, il potatore friulano codifica in questo nuovo libro teoria e pratica della tecnica di potatura su cordone speronato: con oltre 400 illustrazioni a colori e 324 pagine, il manuale è rivolto non solo a viticoltori, tecnici, università, istituti ma anche a appassionati di verde e natura, e riporta l’attenzione sulla potatura riassegnando un ruolo di primo piano a un’operazione dalle origini antiche, rivisitandola in chiave innovativa e di semplice applicazione.

Cordone Speronato | Marco Simonit | Ed. l’Informatore Agrario | pp. 324 | prezzo 45 euro | www.libreriaverde.it|

 

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The sushi game. Guida banzai alla cucina giapponese

Un gioco alla scoperta della tradizione culinaria del Sol Levante, con un libro pop. Dall'amichevole onigiri al “pasto danzante”, in un crescendo di sapori strabilianti con 10 livelli di difficoltà, in ognuno due ricette più un mostro finale da sconfiggere per continuare l’avventura: un viaggio gastronomico e culturale che svela le meraviglie, le stranezze, ma anche gli orrori delle tavole nipponiche. Per ogni piatto la storia, le complessità e come si prepara.

The sushi game. Guida banzai alla cucina giapponese | Francesca Scotti e Alessandro Mininno | Terre di mezzo | pp. 128 | prezzo 13,00 euro

 

Birra Artigianale

Perché preparare da soli la birra? I pub ne hanno un’ampia scelta, idem i supermercati. Una birra fatta in casa può essere migliore di quella dei professionisti? In realtà, fare la birra è un’attività divertente, soddisfacente e creativa. Qui consigli e guida per cominciare. Un monito: niente compromessi con i preparati, materie prime ben scelte, cercare l’equilibrio. Le ricette del libro provengono dai 50 migliori birrifici del mondo: dai garage di Brooklyn ai monasteri trappisti, da Londra, Colonia e Copenhagen agli esperimenti italiani in Piemonte e Lombardia.

Birra Artigianale | Euan Ferguson | Guido Tommasi editore | pp. 192 | prezzo 22,50 euro

 

L’interpretazione dei sughi

Cosa è il sugo? “Ogni preparazione che serve ad arricchire un piatto, qualunque esso sia”, risponde Bay: e quindi anche ragù e salse. Ecco dunque le 400 ricette di un “sugofiloseriale” che non concepisce una preparazione che non sia nappata con un abbondante sugo acconcio, dice di sé l’autore. A partire dalla suddivisione dei “gruppi” in cui il sugo può essere utilizzato: paste, riso, ripieni, patate… e quant’altro.

L’interpretazione dei sughi | Allan Bay | Giunti | 448 pagine | prezzo 16 euro

 

Cowspiracy

Dagli autori del pluripremiato docufilm che ha sconvolto l’America, prodotto da Leonardo Di Caprio, Cowspiracy, il saggio denuncia sull’allevamento intensivo animale. Con tutte le conseguenze che comporta: deforestazione, distruzione della foresta pluviale, erosione del manto terrestre e inquinamento idrico. Compresi il maltrattamento degli animali e la pessima qualità del cibo.

Cowspiracy | Kip Andersen e Keegan Kuhn | Sonda | pp. 240 – Prezzo 18,00

 

 

L'Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo cerca assaggiatori volontari

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Continua il progetto di ricerca Italian Taste, dedicato alla raccolta di informazioni sulle percezioni sensoriali, le papille gustative e le scelte alimentari dei consumatori. Promosso dalla SISS (Società Italiana di Scienze Sensoriali), il progetto vede la collaborazione dell'Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo. E ora l'istituto cerca assaggiatori volontari. 

Degustare un piatto

Continua a crescere l'interesse degli esperti del settore enogastronomico verso lo studio dell'analisi sensoriale, della sensibilità ai gusti, la funzionalità delle papille e tutto ciò che concerne la sfera dell'assaggio. Perché dietro un piatto c'è una storia, un'anima ma ci sono soprattutto sapori, profumi, aromi, gusti. E la degustazione resta la parte fondamentale e imprescindibile per il giudizio di un prodotto alimentare. Ma come si articola il momento dell'analisi sensoriale? Come funzionano le papille? Esistono persone con percezioni gustative più sviluppate? E perché? A queste e molte altre domande ha intenzione di rispondere lo studio portato avanti dalla SISS, Società Italiana di Scienze Sensoriali, che sta coinvolgendo sempre più consumatori per approfondire il tema dell'assaggio.

Italian Taste

Si chiama Italian Taste ed è un'iniziativa che si propone di raccogliere quante più informazioni possibili relative ai comportamenti e alle scelte alimentari, oltre che sulla sensibilità ai gusti. Il progetto coinvolgerà 3000 soggetti in 3 anni e si avvale della collaborazione di diverse università e centri di ricerca italiani pubblici e privati. L'obiettivo? Costruire una banca dati che consenta di studiare il nesso tra sensibilità, gradimento e abitudini alimentari degli italiani. Nel Comitato Scientifico, 12 ricercatori soci SISS, ognuno dei quali è responsabile del coordinamento nazionale di una delle attività necessarie alla conduzione del progetto.

Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo

Fra gli istituti che hanno aderito al progetto, l'Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, che partecipa con un programma articolato e complesso, costituito da ben 22 laboratori, centri di ricerca e aziende. E poiché lo studio richiede un team solido e numeroso, l'università è attualmente alla ricerca di volontari italiani che partecipino come assaggiatori presso il Laboratorio di Analisi Sensoriale dell'Ateneo. Possono proporsi come volontari uomini di età compresa tra i 31 e i 60 anni e donne dai 31 ai 40 anni. Per entrare a far parte del team di ricerca, è necessario partecipare a due incontri di due ore circa, nel corso dei quali verranno effettuati diversi tipi di test per esaminare il palato e le percezioni sensoriali di ognuno. Dall'assaggio di prodotti alimentari a quello di soluzioni acquose, dai questionari sulle abitudine alimentari alla foto della lingua per stimare la densità di papille fungiformi. Saranno testati infatti il numero di papille, la sensibilità gustativa ma anche il livello di neofobia, ovvero il rifiuto verso quei cibi nuovi, mai assaggiati prima. 

Il calendario

- 18 e 19 gennaio, ore 14.00 oppure16.45 (è possibile scegliere orari diversi nei due giorni)

- 31 gennaio e 1° febbraio, ore 16.45 oppure 20.30 (è possibile scegliere orari diversi nei due giorni)

 

a cura di Michela Becchi

 

Eatsa, il fast food senza personale in cui si mangiano solo cibi sani

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Un fast food innovativo, che distribuisce pasti salutari e vegetariani ai clienti, in maniera completamente automatizzata e senza nessuna interazione umana. È Eatsa, nuova catena americana che ha già aperto a San Francisco e Los Angeles. L’obiettivo, a detta dei fondatori, è “democratizzare l’accesso ai cibi salutari”. 

Eatsa, ordinare con un clic pasti salutari

Se quando pensate al pranzo fuori casa vi viene in mente un cameriere o un barista con cui scambiare due chiacchiere, questo non è certo il posto per voi. Mangiare da Eatsa, nuova catena di fast food americano, significa invece interagire con un i-pad per scegliere e attendere che il vostro pasto sia recapitato in maniera automatica, tramite una macchina che lo trasporta fino al punto di ritiro. Il concept è ben definito: da Eatsa si mangiano solo piatti salutari a base di quinoa. L’idea è di Scott Drummond eTim Young, esperti di informatica, in collaborazione con David Friedberg, un ex-dirigente di Google: negli USA sono attivi già due punti vendita, a San Francisco e Los Angeles, ma gli ideatori promettono una rapida espansione in tutti gli States.

Come funziona il fast food automatico

L’assenza di interazione umana potrebbe spaventare i più tradizionalisti. Ma gli ideatori difendono un obiettivo sociale che va oltre il semplice business: vendere pasti sani a prezzi competitivi, “democratizzando” il cibo salutare. Il sistema messo a punto da Dummond, Young e Friedberg, infatti, permette di produrre cibo in tempi brevissimi e a costi contenuti. Di conseguenza un piatto di Eatsa può essere venduto a poco meno di 7 dollari, pari a circa 6.60 euro, un prezzo sicuramente conveniente rispetto alla media dei pasti biologici. I menu sfruttano le proprietà nutritive della quinoa, condita in più modi, con prodotti rigorosamente bio, di livello qualitativo elevato. Per ogni ristorante il personale ammonta a tre cuochi che lavorano “a porte chiuse”, cioè dietro un vetro (ma invisibili dal lato cliente, in barba alla moda della cucina a vista), più un paio di assistenti che aiutano i clienti ad effettuare l’ordine in caso di necessità. Ma qual è il prezzo da pagare in termini di occupazione?

Il sistema senza interazioni: soluzione o problema?

Secondo i detrattori del progetto, il taglio del personale per comprimere i costi, apparentemente vantaggioso, se dovesse diventare un modello di riferimento potrebbe creare gravi problemi all’occupazione. Senza parlare di quella visione romantica del pasto che ci invoglia a scambiare due chiacchiere col cameriere, sempre pronto al consiglio e alla battuta: un’idea forse più vicina alla cultura europea che a quella statunitense.

Ma, secondo i fondatori, sostituire i dipendenti con le macchine non vuol dire necessariamente foraggiare la disoccupazione, anzi: il personale addetto al servizio sarebbe rimpiazzato da tecnici dell’informatica, che si concentrerebbero su software, ordinazioni e sistema. Inoltre, in un contesto come quello americano in cui l’obesità è un problema pressante, l’accesso a cibi salutari per una fascia di popolazione a cui generalmente sono preclusi potrebbe essere talmente d’impatto da oscurare il problema dell’interazione. Ma in Europa un modello del genere avrebbe successo?

Una cosa è certa: negli States i primi due punti vendita hanno visto aumentare in maniera esponenziale i clienti in pochi mesi. Tanto che gli ideatori si preparano ad aprire 10 nuovi fast food in tutto il territorio americano.

 

www.eatsa.com

a cura di Francesca Fiore

 

 

La toscana in 10 biscotti tradizionali e la ricetta dei cantucci della pasticceria Nuovo Mondo di Prato

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Cantucci, befanini, brutti ma buoni: la tradizione toscana abbonda di biscotti conosciuti anche in altre zone d’Italia. Per la seconda tappa della rubrica sui biscotti regionali abbiamo affrontato questa zona del nostro Paese e ci siamo la ricetta dei Biscotti di Prato da Paolo Sacchetti, premiato dalla guida Pasticceri&Pasticcerie 2017 con il massimo riconoscimento, le Tre Torte.

Nel nostro viaggio alla scoperta dei biscotti regionali oggi andiamo alla scoperta delle tradizioni toscane. 10 tip diversi, tutti da gustare, con in più una ricetta, quella dei Biscotti di Prato del maestro maestro Paolo Sacchetti, premiato dalla guida Pasticceri&Pasticcerie 2017 con il massimo riconoscimento, le Tre Torte.

 

BefaniniBefanini

 

Befanini

Partiamo da questi soffici biscotti il cui nome parla chiaro, i befanini. Diffusi nelle zone della Versilia e della Lucchesia, sono i tradizionali biscotti dell’Epifania. Vengono preparati il 5 gennaio e servono a riempire dei canestri che saranno messi sul camino, al posto della classica calza della Befana. Benché oggi siano stati sostituiti in parte da dolci più industriali, questa tradizione rimane viva nella zona intorno a Lucca. La ricetta prevede farina, zucchero, burro, uova, lievito, latte, scorza d’arancia, un pizzico di sale e un bicchierino di rum. Per decorarli si usano i confettini colorati che si trovano in qualsiasi negozio per pasticceria.

 

Biscotti di Panicaglia

Panicaglia è una frazione di Borgo San Lorenzo, comune della città metropolitana di Firenze. Pare che qui ci fosse un forno dal nome non ben precisato che inventò questa ricetta priva di grassi animali, che oggi potremmo definire “vegan”. Per prepararli servono fecola e farina in parti uguali, zucchero, scorza di limone grattugiata, 2 bicchieri d’acqua oppure 12 cucchiai di olio d’oliva, una presa per dolci. Si impastano tutti gli ingredienti e si formano dei filoni da infornare per dieci minuti. Una volta trascorso questo tempo si sfornano i filoni e si tagliano in tante piccole parti che verranno infornati nuovamente per altri 10 minuti.

 

Brigidini di LamporecchioBrigidini di Lamporecchio

 

Brigidini di Lamporecchio

i brigidini sono biscotti molto sottili, simili a sfoglie, tipici di Lamporecchio in provincia di Pistoia. La storia di questi dolci è particolare: si dice che alcune monache seguaci di Santa Brigida arricchirono la preparazione delle ostie aggiungendo zucchero, uova ed anice per concedersi un piccolo peccato di gola. La ricetta prevede farina 00, zucchero, uova, un pizzico di sale, un cucchiaio di semi di anice e, a piacere, una stecca di vaniglia. La tradizione li vuole cotti sulla brace, con stampi di ferro chiamate schiacce, sulle quali venivano poste delle piccole palline di pasta da pressare e poi rimettere sul fuoco per qualche minuto. Una volta preparati venivano affidati ai brigidinai che li portavano nei paesi limitrofi. Ancora oggi alle feste popolari e alle fiere i brigidini sono i protagonisti della gran parte di stand e bancarelle.

 
 

Brutti ma buoni

 

Brutti ma buoni

La paternità dei brutti ma buoni è rivendicata sia da Pistoia che da Lucca. In realtà l’origine della ricetta è legata al Piemonte e, in particolare, ai pasticceri sabaudi. Quando nel neonato Regno d’Italia la Capitale fu spostata da Torino a Firenze per paura dell’invasione austriaca (1864), i pasticceri della corte invasero la Toscana, diffondendo questa ricetta un po’ ovunque. A Prato furono associati ai già celebri cantucci, creando un’accoppiata che poi diventerà classica. La preparazione dei brutti ma buoni è molto semplice - nocciole, mandorle, albumi e zucchero a velo - ma un po' lunga perché l’impasto ha bisogno di riposare per ben 8 ore.

 
 

CantucciCantucci

 

Cantucci e Biscotti di Prato

Un“biscotto a fette, di fior di farina, con zucchero e chiara d'uovo”, è questa la definizione che nel 1691 l’Accademia della Crusca dà dei cantucci, probabilmente i biscotti più famosi della Toscana. Qui però si apre una diatriba: cantucci e biscotti di Prato sono la stessa cosa? Tempo fa abbiamo provato a chiarire la questione, anche grazie all’aiuto di Francesco Pandolfini, erede di una famiglia di pasticceri pratesi. La risposta all’annosa questione è no, non sono la stessa cosa, benché siano prodotti molto simili fra loro. Il biscotto di Prato è fatto con una ricetta più “basica” - farina, zucchero, uova, mandorle e pinoli – senza l'aggiunta di lieviti o aromi, mentre il cantuccio è più ricco.

Un fatto è certo: la prima ricetta documentata dei cantucci, tuttora conservata nell'archivio di Stato di Prato, è contenuta in un manoscritto di Amadio Baldanzi, un intellettuale pratese del XVIII secolo. Ma è nel XIX secolo che viene messa a punto la ricetta che oggi consideriamo tradizionale, grazie al pasticcere pratese Antonio Mattei, chiamato “Il mattonella”.

Sia i cantucci che i biscotti di Prato, dolci dalla consistenza particolarmente tenace, si mangiano bagnati nel Vin santo, tipico vino da dessert toscano. I cantucci sono diffusi anche in Umbria e Lazio dove però vengono chiamatitozzetti.

 

Cavallucci di Siena e berriquocoli

Due tipologie di biscotti molto simili, legati alla città di Siena. Partiamo dai cavallucci, i più semplici: dolcetti dalla forma irregolare spolverati di zucchero a velo, tipici del periodo natalizio. Il nome deriva dall’usanza delle stazioni di posta di metterli a disposizione sia degli addetti al cambio dei cavalli che dei corrieri, che li mangiavano durante la pausa inzuppandoli nel vino. La ricetta del grande esperto di cucina senese Giovanni Righi Parenti ne La cucina toscana prevede farina 00, zucchero, miele, scorza d’arancia candita, semi di anice o di coriandolo in polvere e un pizzico di carbonato d’ammonio.

I berriquocoli, chiamati anche bericuocoli eberriquoccoli, sono una variante dei cavallucci, anche se non è ben chiaro quale delle due ricette sia nata prima: entrambe erano già diffuse ai tempi di Lorenzo Il Magnifico. Rispetto ai cavallucci, la ricetta dei berriquoli vuole l’aggiunta del cedro candito e delle noci tritate, cosa che rende il gusto del dolce più intenso e aromatico.

 

Necci della Garfagnana

In Garfagnana, un'area della provincia di Lucca tra le Alpi Apuane e la catena principale dell'Appennino tosco emiliano, neccio vuol dire castagna. Molto diffuse in zona, dalle castagne secche si ricava una farina, qui chiamata farina di neccio, spesso utilizzata nella produzione dolciaria e protetta dalla denominazione d’origine. Il nome neccio indica dunque sia la castagna in sé che questi tradizionali biscotti fatti con la farina ottenuta dalla lavorazione del frutto. I necci della Garfagnana sono delle cialde sottili e morbide, chiuse a mo’ di cannolo siciliano, da riempire con della freschissima ricotta di mucca. Per la cialda servono farina di castagne fresca, olio extravergine d’oliva, acqua, burro e sale, mentre per il ripieno ricotta di mucca, canditi e zucchero.

 

 

Ricciarelli di SienaRicciarelli di Siena

 

Ricciarelli di Siena

Quella dei ricciarelli di Siena è una ricetta che parla di viaggi e commistioni culturali. Secondo una tradizione la loro nascita si deve a Ricciardetto della Gherardesca, condottiero crociato, che riprodusse in Toscana una ricetta molto diffusa in Oriente. Li fece preparare nel suo castello vicino Volterra definendo non solo dosi e proporzioni ma anche la forma dei biscotti, che gli ricordava le babbucce dei Sultani conosciuti durante i suoi viaggi. Sono biscotti morbidi, preparati con pasta di mandorle, farina 00, canditi, zucchero a velo. L'impasto deve riposare per due giorni prima di essere infornato. La tradizione vuole che si mangino per le feste natalizie, ma ormai si producono durante tutto l’anno. Dei ricciarelli esiste anche una variante ricoperta di cioccolata, chiamati ricciarelli rozzi.

 

 

La ricetta dei Biscotti di Pratodella pasticceria Nuovo mondo

 

ingredienti:

1 kg di farina

900 g di zucchero

500 g di mandorle

100 g di pinoli della Versilia

6 uova intere

6 rossi d'uovo

scorza di limone grattugiata

1 baccello di vaniglia

 

procedimento:

Formare una fontana con la farina e mettere lo zucchero al centro. Aggiungere la scorza di limone, la vaniglia, le uova intere e i tuorli, lasciandone una parte per la spennellatura. Impastare gli ingredienti al centro senza incorporare troppa farina. Aggiungere pinoli e mandorle, impastando con tutta la farina. L'impasto deve risultare morbido.

Formare dei filoncini da 4-5 centimetri di lunghezza dalla forma tondeggiante. Metterli in una teglia e spennellarli con l'uovo rimasto. Cuocerli in forno a 210 gradi per 15 minuti.

Una volta cotti, tirare fuori dal forno i filoncini e lasciarli riposare per 20 minuti. Tagliarli a fette oblique e farli riposare ancora. Servirli insieme al Vin santo.

 

Nuovo Mondo | Prato | via Giuseppe Garibaldi, 23 | tel. 0574 27765 | www.pasticcerianuovomondo.com

 

 

 

a cura di Francesca Fiore

 

Leggi anche Dolci. Il Piemonte in 12 biscotti tradizionali e la ricetta dei baci di dama della pasticceria Gallizioli

 
 

La toscana in 10 biscotti tradizionali e la ricetta dei biscotti di Prato della pasticceria Nuovo Mondo di Prato

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Cantucci, befanini, brutti ma buoni: la tradizione toscana abbonda di biscotti conosciuti anche in altre zone d’Italia. Per la seconda tappa della rubrica sui biscotti regionali abbiamo affrontato questa zona del nostro Paese e ci siamo la ricetta dei Biscotti di Prato da Paolo Sacchetti, premiato dalla guida Pasticceri&Pasticcerie 2017 con il massimo riconoscimento, le Tre Torte.

Nel nostro viaggio alla scoperta dei biscotti regionali oggi andiamo alla scoperta delle tradizioni toscane. 10 tip diversi, tutti da gustare, con in più una ricetta, quella dei Biscotti di Prato del maestro maestro Paolo Sacchetti, premiato dalla guida Pasticceri&Pasticcerie 2017 con il massimo riconoscimento, le Tre Torte.

 

BefaniniBefanini

 

Befanini

Partiamo da questi soffici biscotti il cui nome parla chiaro, i befanini. Diffusi nelle zone della Versilia e della Lucchesia, sono i tradizionali biscotti dell’Epifania. Vengono preparati il 5 gennaio e servono a riempire dei canestri che saranno messi sul camino, al posto della classica calza della Befana. Benché oggi siano stati sostituiti in parte da dolci più industriali, questa tradizione rimane viva nella zona intorno a Lucca. La ricetta prevede farina, zucchero, burro, uova, lievito, latte, scorza d’arancia, un pizzico di sale e un bicchierino di rum. Per decorarli si usano i confettini colorati che si trovano in qualsiasi negozio per pasticceria.

 

Biscotti di Panicaglia

Panicaglia è una frazione di Borgo San Lorenzo, comune della città metropolitana di Firenze. Pare che qui ci fosse un forno dal nome non ben precisato che inventò questa ricetta priva di grassi animali, che oggi potremmo definire “vegan”. Per prepararli servono fecola e farina in parti uguali, zucchero, scorza di limone grattugiata, 2 bicchieri d’acqua oppure 12 cucchiai di olio d’oliva, una presa per dolci. Si impastano tutti gli ingredienti e si formano dei filoni da infornare per dieci minuti. Una volta trascorso questo tempo si sfornano i filoni e si tagliano in tante piccole parti che verranno infornati nuovamente per altri 10 minuti.

 

Brigidini di LamporecchioBrigidini di Lamporecchio

 

Brigidini di Lamporecchio

i brigidini sono biscotti molto sottili, simili a sfoglie, tipici di Lamporecchio in provincia di Pistoia. La storia di questi dolci è particolare: si dice che alcune monache seguaci di Santa Brigida arricchirono la preparazione delle ostie aggiungendo zucchero, uova ed anice per concedersi un piccolo peccato di gola. La ricetta prevede farina 00, zucchero, uova, un pizzico di sale, un cucchiaio di semi di anice e, a piacere, una stecca di vaniglia. La tradizione li vuole cotti sulla brace, con stampi di ferro chiamate schiacce, sulle quali venivano poste delle piccole palline di pasta da pressare e poi rimettere sul fuoco per qualche minuto. Una volta preparati venivano affidati ai brigidinai che li portavano nei paesi limitrofi. Ancora oggi alle feste popolari e alle fiere i brigidini sono i protagonisti della gran parte di stand e bancarelle.

 
 

Brutti ma buoni

 

Brutti ma buoni

La paternità dei brutti ma buoni è rivendicata sia da Pistoia che da Lucca. In realtà l’origine della ricetta è legata al Piemonte e, in particolare, ai pasticceri sabaudi. Quando nel neonato Regno d’Italia la Capitale fu spostata da Torino a Firenze per paura dell’invasione austriaca (1864), i pasticceri della corte invasero la Toscana, diffondendo questa ricetta un po’ ovunque. A Prato furono associati ai già celebri cantucci, creando un’accoppiata che poi diventerà classica. La preparazione dei brutti ma buoni è molto semplice - nocciole, mandorle, albumi e zucchero a velo - ma un po' lunga perché l’impasto ha bisogno di riposare per ben 8 ore.

 
 

CantucciCantucci

 

Cantucci e Biscotti di Prato

Un“biscotto a fette, di fior di farina, con zucchero e chiara d'uovo”, è questa la definizione che nel 1691 l’Accademia della Crusca dà dei cantucci, probabilmente i biscotti più famosi della Toscana. Qui però si apre una diatriba: cantucci e biscotti di Prato sono la stessa cosa? Tempo fa abbiamo provato a chiarire la questione, anche grazie all’aiuto di Francesco Pandolfini, erede di una famiglia di pasticceri pratesi. La risposta all’annosa questione è no, non sono la stessa cosa, benché siano prodotti molto simili fra loro. Il biscotto di Prato è fatto con una ricetta più “basica” - farina, zucchero, uova, mandorle e pinoli – senza l'aggiunta di lieviti o aromi, mentre il cantuccio è più ricco.

Un fatto è certo: la prima ricetta documentata dei cantucci, tuttora conservata nell'archivio di Stato di Prato, è contenuta in un manoscritto di Amadio Baldanzi, un intellettuale pratese del XVIII secolo. Ma è nel XIX secolo che viene messa a punto la ricetta che oggi consideriamo tradizionale, grazie al pasticcere pratese Antonio Mattei, chiamato “Il mattonella”.

Sia i cantucci che i biscotti di Prato, dolci dalla consistenza particolarmente tenace, si mangiano bagnati nel Vin santo, tipico vino da dessert toscano. I cantucci sono diffusi anche in Umbria e Lazio dove però vengono chiamatitozzetti.

 

Cavallucci di Siena e berriquocoli

Due tipologie di biscotti molto simili, legati alla città di Siena. Partiamo dai cavallucci, i più semplici: dolcetti dalla forma irregolare spolverati di zucchero a velo, tipici del periodo natalizio. Il nome deriva dall’usanza delle stazioni di posta di metterli a disposizione sia degli addetti al cambio dei cavalli che dei corrieri, che li mangiavano durante la pausa inzuppandoli nel vino. La ricetta del grande esperto di cucina senese Giovanni Righi Parenti ne La cucina toscana prevede farina 00, zucchero, miele, scorza d’arancia candita, semi di anice o di coriandolo in polvere e un pizzico di carbonato d’ammonio.

I berriquocoli, chiamati anche bericuocoli eberriquoccoli, sono una variante dei cavallucci, anche se non è ben chiaro quale delle due ricette sia nata prima: entrambe erano già diffuse ai tempi di Lorenzo Il Magnifico. Rispetto ai cavallucci, la ricetta dei berriquoli vuole l’aggiunta del cedro candito e delle noci tritate, cosa che rende il gusto del dolce più intenso e aromatico.

 

Necci della Garfagnana

In Garfagnana, un'area della provincia di Lucca tra le Alpi Apuane e la catena principale dell'Appennino tosco emiliano, neccio vuol dire castagna. Molto diffuse in zona, dalle castagne secche si ricava una farina, qui chiamata farina di neccio, spesso utilizzata nella produzione dolciaria e protetta dalla denominazione d’origine. Il nome neccio indica dunque sia la castagna in sé che questi tradizionali biscotti fatti con la farina ottenuta dalla lavorazione del frutto. I necci della Garfagnana sono delle cialde sottili e morbide, chiuse a mo’ di cannolo siciliano, da riempire con della freschissima ricotta di mucca. Per la cialda servono farina di castagne fresca, olio extravergine d’oliva, acqua, burro e sale, mentre per il ripieno ricotta di mucca, canditi e zucchero.

 

 

Ricciarelli di SienaRicciarelli di Siena

 

Ricciarelli di Siena

Quella dei ricciarelli di Siena è una ricetta che parla di viaggi e commistioni culturali. Secondo una tradizione la loro nascita si deve a Ricciardetto della Gherardesca, condottiero crociato, che riprodusse in Toscana una ricetta molto diffusa in Oriente. Li fece preparare nel suo castello vicino Volterra definendo non solo dosi e proporzioni ma anche la forma dei biscotti, che gli ricordava le babbucce dei Sultani conosciuti durante i suoi viaggi. Sono biscotti morbidi, preparati con pasta di mandorle, farina 00, canditi, zucchero a velo. L'impasto deve riposare per due giorni prima di essere infornato. La tradizione vuole che si mangino per le feste natalizie, ma ormai si producono durante tutto l’anno. Dei ricciarelli esiste anche una variante ricoperta di cioccolata, chiamati ricciarelli rozzi.

 

 

La ricetta dei Biscotti di Pratodella pasticceria Nuovo mondo

 

ingredienti:

1 kg di farina

900 g di zucchero

500 g di mandorle

100 g di pinoli della Versilia

6 uova intere

6 rossi d'uovo

scorza di limone grattugiata

1 baccello di vaniglia

 

procedimento:

Formare una fontana con la farina e mettere lo zucchero al centro. Aggiungere la scorza di limone, la vaniglia, le uova intere e i tuorli, lasciandone una parte per la spennellatura. Impastare gli ingredienti al centro senza incorporare troppa farina. Aggiungere pinoli e mandorle, impastando con tutta la farina. L'impasto deve risultare morbido.

Formare dei filoncini da 4-5 centimetri di lunghezza dalla forma tondeggiante. Metterli in una teglia e spennellarli con l'uovo rimasto. Cuocerli in forno a 210 gradi per 15 minuti.

Una volta cotti, tirare fuori dal forno i filoncini e lasciarli riposare per 20 minuti. Tagliarli a fette oblique e farli riposare ancora. Servirli insieme al Vin santo.

 

Nuovo Mondo | Prato | via Giuseppe Garibaldi, 23 | tel. 0574 27765 | www.pasticcerianuovomondo.com

 

 

 

a cura di Francesca Fiore

 

Leggi anche Dolci. Il Piemonte in 12 biscotti tradizionali e la ricetta dei baci di dama della pasticceria Gallizioli

 
 

Un Piano del cibo per Livorno. Strategie condivise per valorizzare il sistema alimentare cittadino

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Sul modello di Milano e Torino, anche la città tirrenica sposta l’attenzione sulle politiche che valorizzano il cibo e promuovono l’educazione alimentare come importanti risorse per la crescita e il benessere della città. Ecco come. 

Dal mercato al Piano del cibo

Della Livorno del cibo, oltre le più comuni rotte che fanno della tradizione gastronomica cittadina un microcosmo con caratteristiche tutte proprie nell’ambito del contesto regionale, abbiamo già avuto modo di parlare in merito al bel progetto di valorizzazione avviato per rilanciare lo storico mercato della città, edificio antico e imponente circondato dai canali. In questo modo l’amministrazione comunale si riproponeva di tutelare e ristrutturare l’intero sistema agroalimentare locale, rafforzando il legame tra campagna e città e facendo della filiera del cibo un’importante attrattiva per il turismo. Il modello da imitare, all’epoca, era stato quello del mercato centrale di Firenze; e in questo Livorno si sarebbe rivelata in grado di precorrere i tempi, se pensiamo come ormai il processo di riqualificazione dei mercati sia priorità di tante agende comunali. Ora però l’obiettivo è più ambizioso, e mira a coinvolgere associazioni, consumatori e agricoltori nell’elaborazione di un Piano del Cibo che anche stavolta recepisce le istanze più moderne sperimentate in altre città (Milano e Torino gli apripista in Italia, ma sulla pianificazione di strategie alimentari urbane efficaci puntano molto anche grandi capitali internazionali, da New York a Londra, a Bruxelles).

Come si realizza una politica alimentare integrata

Nel caso specifico, a Livorno si parla dell’approvazione di un più ampio Progetto Salute, (a presentarlo il vicesindaco Stella Sorgente, della giunta grillina di Filippo Nogarin) che dovrebbe fondare la propria validità sulla ricostruzione dei sistemi agroalimentari locali nel segno della sicurezza alimentare. E allora non è sbagliato parlare di “politica integrata del cibo”, cui farebbe capo un organo deputato a dirigere i lavori, il Consiglio del cibo, che opererà nell’ambito dell’agenda comunale. Un percorso partecipato che dovrà coinvolgere tutte le realtà cittadine che operano nel settore enogastronomico e nel campo dell’alimentazione (mense e scuole comprese) per arrivare a redigere un testo di riferimento e intraprendere così azioni concrete. Nella fattispecie si lavorerà sulla prevenzione e sull’educazione agli stili di vita, con particolare attenzione al fenomeno dello spreco alimentare, che è piaga sociale, ma pure economica.

Ma dal Piano scaturiranno anche i progetti culturali, turistici e formativi, come il Festival dell’arte e del cibo in programma per la prossima primavera e la progettazione di un Food hub digitale in collaborazione con l’Università di Firenze. E in generale tutte le linee guida relative al sistema di approvvigionamento: produzione, trasformazione, distribuzione e consumo. Intanto, fino a marzo, si procederà con le consultazioni e la fase preparatoria, necessaria per coinvolgere quanti più attori possibili e stabilire traguardi comuni, con il costituirsi di un’Associazione del cibo. Se tutto filerà secondo programmi, entro l’inizio dell’autunno 2017 si arriverà così a ratificare il Piano del cibo. Non resta che attendere, auspicando che altre città seguano il buon esempio.

a cura di Livia Montagnoli

Secondo Tradizione a Roma si rinnova. Banco e cucina tra artigianato gastronomico e la firma del Pagliaccio

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A concertare il progetto, in via Rialto 39, c’è Francesco Di Lorenzo, sous chef e braccio destro di Anthony Genovese, che sulla formazione di una squadra fidata sta scommettendo per diversificare l’idea di ristorazione del Pagliaccio. E insieme allo staff di gastronomia de La Tradizione elabora una nuova carta che parla la semplicità della materia prima, con l’estro della cucina d’autore. Affidata a due giovani chef: Piero Drago e Jacopo Ricci. 

Banco e Cucina con il sodalizio che non t’aspetti

Banco e Cucina, recita l’insegna, attingendo a una formula che oggi sembra andare per la maggiore, riscoprendo il valore aggiunto della gastronomia (a tal proposito si pensi al restyling di una realtà storica come Ercoli, sempre a Roma, ultimo nell'ordine di una serie di cambiamenti importanti nel genere). Ma da Secondo Tradizione l’idea si rinnova, inaugurando un’alleanza inedita: “Si tratta di un progetto diverso dal solito banco e cucina. Ha alle spalle due grandi realtà che si sono unite per proporre qualità e rispetto del cliente e della materia prima”. A parlare è Anthony Genovese, patron del Pagliaccio e abile concertatore di una brigata che vuole poter dire la sua, in autonomia e comunione di intenti. E ottiene lo spazio che merita. In via Rialto 39, non molto distante dalla mitica gastronomia di via Cipro, la nuova collaborazione si è avviata in sordina già da qualche mese, cambiando in corsa le intenzioni di un locale che non ha da poco compiuto un anno di vita (l’esordio di Secondo Tradizione vecchia maniera ve lo raccontavamo l'autunno scorso). E così ad affiancare Stefano Lobina e Francesco Praticò, che presiedono al banco dei prodotti garantiti La Tradizione, è arrivato lo staff del ristorante pluridecorato di via dei Banchi Vecchi, che qui si presenta in formazione compatta sotto la guida di Francesco di Lorenzo (“il suo apporto a Secondo Tradizione è fondamentale e continuo. Dalla scelta del personale all’elaborazione del menu, fino allo sviluppo dei piatti da proporre settimanalmente”) sous chef del Pagliaccio e braccio destro di Anthony Genovese. Che sa quando è il momento di lasciare spazio alla squadra.

La cucina che valorizza la materia prima

E infatti in cucina troviamo, uno affianco all’altro, due giovani chef che nella brigata di Genovese hanno lavorato negli ultimi tre anni, Piero Drago e Jacopo Ricci, rispettivamente classe 1987 e 1983. L’idea che presiede al nuovo concept di Secondo Tradizione ce la spiega, ancora una volta, proprio lo chef patron del Pagliaccio: “Francesco Praticò e Stefano Lobina de La Tradizione lavorano da anni nella storica bottega di Via Cipro e da anni selezionano, affinano e presentano a appassionati grandi prodotti di piccoli artigiani di tutto il mondo. Tutti a Roma li conoscono, tanti locali hanno i loro prodotti, e non solo nella Capitale. Questa è già una bella garanzia di qualità, da Secondo Tradizione la provenienza e selezione del prodotto è praticamente certificata da una delle botteghe storiche italiane. Dalla parte della cucina invece si è deciso di affidare il rinnovamento al nostro staff, dando estro e creatività a piatti tradizionali romani e non solo”. Il che significa che a pranzo e cena – ma anche per l’aperitivo – si può scegliere se pasteggiare con specialità e prodotti selezionati dal banco, salumi e formaggi rari e pregiati compresi (a cura del gastronomo Marco Marcelli), o affidarsi al menu della cucina, sempre in abbinamento con le etichette di una cantina ben fornita e trasversale, che spazia dalle proposte più informali ai vini pregiati. A concertare la sala, un’altra figura in arrivo dal Pagliaccio, Giulia Quintigliani. La materia prima, com’è logico, è il trait d’union tra le due anime del locale: “Mi vengono in mente il Parmigiano Reggiano e il tartufo utilizzati per Uovo, Parmigiano e Tartufo, il formaggio di capra del dessert Caprino, lamponi e cereali, ma anche la bottarga delle linguine cavolfiore e bottarga”.

Caprino, lamponi, cereali

Estro d’autore al servizio della semplicità

Del resto la carta dei piatti, pur parlando “un altro linguaggio rispetto al Pagliaccio”, si avvale di “una sinergia concettuale tra la tradizione e l’innovazione avendo a disposizione lo staff che mi ha seguito nel mio percorso in via dei Banchi Vecchi 129”. E quindi restano il fritto alla romana, la cacio e pepe, la carbonara e l’abbacchio alla scottadito, ma ci si diverte anche a scombinare le carte, con idee più divertenti che variano spesso, secondo disponibilità del mercato. Qualche esempio? I Cannelloni di cotechino con stracchino e cavolo nero; ma anche “i Calamari con puntarelle e bagna cauda, un piatto che racchiude ingredienti della tradizione romana, con le puntarelle accompagnate da un crumble di bagna cauda” che esalta il tenero dei calamari. O la guancia brasata con sedano rapa e topinambur, con tutte le accortezze d’autore del caso: “La guancia viene cotta nel Barolo Gianolio a fuoco dolce per 5/6 ore. Quel che viene fuori è una carne molto morbida, che si può mangiare senza utilizzare per forza coltello e forchetta, basta il cucchiaio”.

Il valore della brigata

Insomma, un’esperienza ancora diversa per il Pagliaccio, che nell’ultimo anno ha messo la firma anche sul progetto Yugo, nel quartiere Monti. Due sfide molto diverse – “da Yugo sono consulente e socio insieme a un gruppo di giovani imprenditori romani di un progetto incentrato su una cucina che parla di Asia, e quindi dei miei viaggi, degli anni di esperienze in Oriente”, una cucina fusion elaborata di concerto con Andrea Massari, anche lui passato in via dei Banchi Vecchi; mentre Secondo Tradizione si affida alla semplicità elaborata con concretezza, “un linguaggio italiano, semplice e di grande qualità” – entrambe rese possibili dallo stesso modo di guardare alla ristorazione: “Oggi il successo di un locale è affidato senza dubbio alla squadra, al gruppo, alla condivisione delle esperienze sotto una guida sicura. E io possono contare su ottimi collaboratori che mi affiancano e sposano le mie idee”. Prossimo traguardo?

Secondo Tradizione | Roma | via Rialto, 39 | tel. 06 39734757 | chiuso domenica sera e lunedì | www.secondotradizione.it

 

a cura di Livia Montagnoli

I consigli dell'oste. Michele Vallotti e i salumi di Vanni Forchini

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Iniziamo un viaggio alla scoperta di prodotti e produttori selezionati dagli osti più bravi d'Italia, premiati dalla nostra guida Ristoranti d'Italia 2017 con i Tre Gamberi. Ad aprire le danze è Michele Vallotti de La Madia che consiglia i salumi di Vanni Forchini.

Proviamo per un attimo a spostare i riflettori: al di là degli chef, la ricchezza e la fama della cucina italiana risiede in quei piccoli o grandi produttori che continuano a creare chicche gastronomiche con passione e dedizione. Solo che molto spesso questi artigiani del gusto sono pressoché sconosciuti. Dunque, perché non farci aiutare da chi, ogni giorno, ha a che fare con loro? Ovvero quei ristoratori che di secondo lavoro macinano chilometri alla ricerca del caprino o della slinzega perfetta, diventando, senza volerlo, una preziosa vetrina per il casaro o il norcino di turno. Comincia il viaggio dei “consigli dell'oste” Michele Valotti, chef e patron de La Madia a Brione, in provincia di Brescia.

Michele ValottiMichele Valotti

Michele Valotti

Chef e patron dal ‘98 di una trattoria solida e senza fronzoli in un paese di 500 anime sulle colline del Bresciano. Nasce perito agrario, cresce nella facoltà di filosofia ma poi abbandona tutto per mettersi a cucinare. Ecco così spuntare l'orto di casa per coltivare le migliori verdure di stagione, rileggere piatti della tradizione come lo spiedo bresciano (sostituendo gli uccelli con le sarde del vicino lago), riscoprire le parti meno nobili degli animali, come cuore e midollo, per dar vita a preparazioni dalla sorprendente semplicità, e distillare gli ingredienti più disparati a creare insolite essenze. Alla Madia si sciorinano nozioni, storie di cibi e di produttori, tecniche di cottura, ingredienti, in un vero e proprio turbinio enciclopedico. Ma il lavoro di Michele non si limita alle quattro mura del locale, il resto del tempo lo passa in macchina per andare a reperire i formaggi, le carni, la sarda secca dai fornitori più vicini che lavorano con coscienza. “I primi tempi arrivavo ai fornelli alle 17 dopo aver trascorso più della metà della giornata a fare la spesa. E questo per dare un senso al concetto di tradizione del domani. Il piatto che si faceva cent’anni fa ma realizzato con materie prime di dubbia provenienza, magari neanche italiane, non ci interessa. L’autenticità passa anche per il rapporto con il piccolo produttore che sa fare le cose, il più contiguo possibile a noi”. E nelle sue varie peregrinazioni ha conosciuto, quindici anni, fa Vanni Forchini: “Lavora con me da 15 anni, è sempre stato un norcino attivo in Val Camonica. Lui conosce e compra direttamente dagli allevatori e ha sempre fatto prodotti particolari, dal violino d'agnello alla berna (ndr carne secca di pecora), alla salsiccia di castrato, uno dei prodotti più tipici di Breno. Con lui stai sicuro che le carni non provengano dall'Argentina perché usa solo quelle del territorio”.

Vanni ForchiniVanni Forchini

Vanni Forchini

Comincia a 22 anni a lavorare in una macelleria di Cividate Camuno, poi ne compra un'altra più grande; ma non gli basta: vuole potersi occupare totalmente alla produzione di grandi salumi recuperando le tradizioni camune. Desiderio realizzato. Dal 2010 ci si dedica a tempo pieno e oggi è uno dei norcini più capaci della Val Camonica. Merito della sua perizia, della giusta selezione delle carni (chi più di un ex macellaio?), dell’utilizzo di aromi tradizionali come ginepro, alloro, rosmarino, del tempo dedicato senza costrizioni o compromessi. La sua, è arte antica che salva un prezioso patrimonio di conoscenze. “Faccio il norcino da più di trent'anni, nel corso dei quali ho riscoperto tecniche e usi ormai confinati ai membri di alcune famiglie contadine. Come la salsiccia di castrato fatta con pècoro maschio castrato, una ricetta antica, dove venivano usati anche animali vecchi, molto semplice: la carne viene disossata, macinata e impastata con le spezie e il brodo degli ossi stessi dell'animale”. Da mangiare cotta. “Oppure il violino, salume della tradizione valligiana, ricavato dalla coscia di pecora o di agnellone, che io metto in salamoia con sale, aglio e bacche di ginepro e dopo qualche giorno (prima la giro e la massaggio) appendo e lo stagiono per circa tre mesi. Tradizionalmente veniva fatto con l'osso ma siccome ne era difficile la commercializzazione, ho escogitato un sistema grazie al quale da ogni coscia vengon fuori due violini disossati”. In realtà, il nome “violino” deriva proprio dalla forma tradizionale di un violino, con la zampa che funge da manico e la massa muscolare da cassa.

Pancetta di maiale

Altro prodotto di cui va fiero è la testina: “Una volta non si buttava via nulla del maiale, così con la testa si preparava questo insaccato delicatissimo, cucinando tutte le parti della testa, aggiungendo aromi e insaccando il tutto”. A lui piace lavorare anche con animali meno comuni, pensiamo al suo petto d'anatra o allo speck di cinghiale, con un unico dictat: la provenienza delle carni è quanto più possibile territoriale. Stessa filosofia anche per le conce naturali, le spezie e gli aromi. “Tutto è del territorio e poco invadente, anche perché le persone si sono stancate di prodotti artefatti”. Il minimo indispensabile di sale e affumicature naturali dunque, tutto eseguito a regola d'arte nel suo laboratorio di Ranzanico. “Solo la settimana scorsa ho inaugurato il mio nuovo progetto: l'Agricola Maroni, con il mio socio, amico di sempre e pastore, Silvestro Maroni. Per avere ancora più controllo sulla filiera”. Un'azienda agricola, che è anche allevamento di pecora, asini e capre. E laboratorio di norcineria.

 

La Madia | Brione (BS) | via degli Aquilini, 5 | tel. 030 8940937 | www.trattorialamadia.it

www.agricolamaroni.it

a cura di Annalisa Zordan

 

L'Università del Caffè di illy: storia ed evoluzione della scuola di formazione di Trieste

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Nasce nel '99 a Napoli per poi trasferirsi a Trieste, tutt'oggi sede centrale dell'azienda. Da allora, ben 25 filiali sono state aperte in tutto il mondo, con un unico obiettivo: diffondere la cultura del caffè di qualità. Ecco la storia dell'Università del caffè di illy, ce la racconta uno dei suoi fondatori, Moreno Faina.

Scuole per baristi

Espresso, cappuccino, latte macchiato, caffellatte, marocchino e molto altro ancora: nel mestiere del barista ci sono preparazioni e gesti ripetuti più volte al giorno, per soddisfare le esigenze del cliente. Ma dietro ogni estrazione, ogni bevanda preparata, ci sono altrettanti tentativi non riusciti, prove, esperimenti, libri letti, calcoli, proporzioni. Perché un barista professionista è prima di tutto uno studente appassionato, un ricercatore, perché la lavorazione di prodotti artigianali richiede tecnica, esercizio, precisione.

Per questo in Italia si stanno creando sempre più scuole di formazione per baristi a cura di realtà indipendenti o piccole torrefazioni. Ma non solo.

illycaffè

Prima di tutte, 18 anni fa, è nata l'Università del Caffè di illy, dapprima a Napoli e in seguito a Trieste, e oggi presente in tanti altri paesi stranieri. Il colosso dell'oro nero triestino non ha bisogno di tante presentazioni: fondata nel '33 da Francesco Illy, l'azienda è oggi guidata dalla terza generazione della famiglia, e da anni il suo caffè è nelle case degli italiani.

Ma illy non è solo una torrefazione: è prima di tutto un'impresa ed è anche impegnata nella diffusione della cultura del caffè di qualità fra consumatori e addetti ai lavori con progetti di formazione, scuole, eventi, un'azione di comunicazione solida e mirata.

La prima scuola a Napoli e la nascita delle filiali estere

E un'azienda simile non poteva esimersi dal creare una scuola atta a preparare baristi professionisti e a formare consumatori consapevoli. È il 1999 quando Ernesto Illy decide di realizzare un centro per parlare del caffè “a tutto tondo”, una scuola che racconti il viaggio del chicco dalle piantagioni alla tazzina, affrontando aspetti di botanica, agronomia, chimica, fisica e spiegando, passo dopo passo, il complesso processo produttivo che porta all'espresso. L'Università del Caffè nasce a Napoli, in collaborazione con i docenti dell'Università degli Studi di Napoli Federico II. “L'azienda si è sempre occupata di formazione, anche prima della scuola”, racconta Moreno Faina, direttore dell'Università. E continua: “Abbiamo iniziato a tenere lezioni sul caffè in Brasile, direttamente in piantagione, rivolgendoci esclusivamente ai produttori”;col tempo quell'attività diventava sempre più ampia e complessa “e così Ernesto pensò di estendere i corsi anche ai consumatori e ai baristi amatoriali in Italia”.

Passano tre anni e, nel 2002, la sede viene spostata a Trieste, dove ancora oggi si trova la società. Allora la scuola comincia a prendere forma e strutturarsi sempre più: “Abbiamo aperto le lezioni a tutti e sviluppato circa 16/17 tematiche differenti”. Aumentano iscrizioni e lezioni, e illy decide di aprire delle filiali all'estero, dalla Corea del Sud a Cina, Olanda, India, Brasile, Egitto, Germania e arrivare a toccare tutte le latitudine. “Attualmente, sono 25 le filiali dell'Università nel mondo, con un'unica finalità comune: diffondere la cultura del caffè a diversi target, dai professionisti ai coffelover”.

Gli insegnanti

Ci sono diverse aule dedicate alla teoria e alla pratica. I docenti sono formati da noi e allenati nella nostra Università. Poi collaboriamo con professionisti esterni come produttori di macchine espresso e vari tecnici”. Questo, almeno, è quello che accade a Trieste. All'estero, “gli insegnanti sono meno e seguono un corso di aggiornamento che teniamo tre volte l'anno per allinearsi e avere standard comuni”. E non solo: “Abbiamo recentemente organizzato un'attività molto interessante in Honduras: un congresso sui metodi di estrazione con l'Università El Zamorano”, con la quale illy ha stretto un accordo a maggio 2016 per introdurre il tema caffè nel piano di studi dell’Università Panamericana che propone percorsi universitari principalmente dedicati a industrie agricole e agroindustriali. “Durante la convention gli ex studenti del master hanno fatto lezione ai docenti delle filiali. E abbiamo fatto attività direttamente in piantagione”, un genere di esercizio che l'azienda aveva organizzato già diverse volte per il modulo base, sia in Brasile che in Costa Rica. Lezioni e materiale didattico sono uguali in Italia e all'estero: “Standardizzare i prodotti editoriali sia cartacei che digitali ha richiesto molto tempo. C'è un team di 15 persone che si dedica esclusivamente a questo. Tutto il materiale viene tradotto in varie lingue – non solo in inglese – e aggiornato costantemente”.

La struttura dei corsi

Corsi per principianti e professionisti, dunque, ma anche per gli appassionati più curiosi che vogliono sapere qualcosa in più sull'espresso. Si parte dal modulo Maestro Barista per passare a quello Specialista del Caffè, Gestione del Business e Creatività Gastronomica, con un laboratorio a cura del maestro pasticcere (Tre Torte guida Pasticceri e Pasticcerie d'Italia 2017) Luigi Biasetto, con il quale l'azienda collabora già per la sua rete di Espressamente illy, locali che coniugano il gusto del caffè alla pasticceria e gastronomia di qualità. Non mancano poi corsi su misura, con consulenze e lezioni personalizzate su richiesta di baristi e gestori, “spesso svolte direttamente nel loro locale”.

Per i corsi divulgativi ci sono vari moduli di avvicinamento, con nozioni base sulla pianta, il chicco e il processo di produzione e un'introduzione all'analisi sensoriale. Last but not least; negli ultimi tempi “puntiamo sempre di più anche sui metodi brewing – estrazione con metodo filtro – che sembrano sempre più richiesti e apprezzati”. Per i corsi si usa la miscela illy, “declinata in tre diverse modalità di tostatura, dalla più chiara alla più scura”, ma vengono utilizzati e fatti assaggiare anche i monorigine 100% arabica che compongono il blend, “per far comprendere il valore aromatico che ogni singola origine conferisce alla miscela”.

Il master universitario

Discorso a parte invece per il Master in Economia e Scienza del Caffè Ernesto Illy, primo master universitario, in due livelli, dedicato al mondo del caffè e istituito dall'Università del Caffè con la Fondanzione Ernesto Illy, in collaborazione con l'Università di Trieste, Università di Udine, la SISSA – Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste, il CBM – Consorzio di Biomedicina Molecolare e il Distretto Industriale del Caffè della Provincia di Trieste. “Il master si rivolge a laureati in economia, agraria, ingegneria, scienze politiche, scienze matematiche, fisiche e naturali” e si svolge in lingua inglese e consente l'attribuzione di crediti formativi universitari.

Gli eventi e la comunicazione

Le lezioni si svolgono presso la sede di Trieste oppure in maniera itinerante in vari locali e centri di formazione o in occasione di manifestazioni di settore. “I nostri partner, tecnici e collaboratori organizzano lezioni durante tutto l'anno in tutta Italia. E poi siamo sempre presenti agli eventi con il nostro stand istituzionale e, durante le fiere, cerchiamo di divulgare le nozioni base del caffè attraverso laboratori e dimostrazioni pratiche, come nel caso del cluster del caffè a Expo2015”. È attraverso gli eventi e la comunicazione che si possono formare consumatori più consapevoli: “in Italia c'è ancora molto da fare, ma si sta creando un movimento molto interessante e sempre più solido. Ci sono tante scuole di formazione che si muovono bene, perché la formazione del barista è fondamentale, ma bisogna puntare prima di tutto sul consumatore, aumentando la sua consapevolezza e, ancora prima, il suo interesse verso l'argomento”. Perché solo un cliente interessato e preparato potrà richiedere un certo standard di qualità al proprio barista, “il consumatore è il motore trainante di tutto questo settore”.

Progetti per il futuro

In 84 anni illy è riuscita a stabilire standard di qualità apprezzati in tutta la Penisola, a creare un brand solido a livello internazionale e a diventare per tutti un marchio di garanzia e punto di riferimento per l'espresso all'italiana. Nonostante il successo ha continuato a evolversi, mettersi in discussione e rischiare, scommettere su investimenti significativi e ampliare costantemente la propria offerta, tenendosi al passo coi tempi.

Per il futuro, illycaffè ha ancora in serbo qualche novità. Prima fra tutti, “un kit aromatico per il caffè. La funzionalità è la stessa di quelli creati per il vino: consentire agli studenti di capire e riconoscere i vari aromi che sono all'interno della tazzina. Per farlo siamo partiti da zero, senza affidarci a kit già esistenti”. Sono 16 in tutto i composti aromatici del kit, “più uno, quello del caffè tostato”. Ad accompagnare gli aromi, presentazioni esplicative in PowerPoint e un libro dedicato all'assaggio e l'analisi sensoriale.

Non si ferma neanche il processo di internazionalizzazione iniziato anni fa: la società continua la ricerca di altri mercati di riferimento. “Ma al momento non ci interessa la quantità, ma la qualità”, specifica il direttore, “e siamo in trattativa per delle nuove sedi straniere. Cerchiamo di focalizzarci sui mercati principali del momento”. E poi si continua a lavorare sulle ricette, a organizzare i corsi, gestire le tante prenotazioni e migliorarsi ogni giorno. Sempre “consolidando le nostre basi, senza mai dimenticare da dove siamo partiti”.

Università del Caffè illy | Trieste | via Flavia, 110 | tel. 800 821 021 | www.unicaffe.com

a cura di Michela Becchi

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