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I nuovi piatti 2018 di Massimo Bottura all'Osteria Francescana

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Le mele di New York e le ciliegie di Vignola. I dessert di cacciagione e il riso che oscilla tra l'anatra all'arancia e l'anatra alla pechinese. I nuovi piatti di Bottura per capire se sono davvero ancora definibili “piatti”.

 

Il nuovo menu di Massimo Bottura all'Osteria Francescana di Modena, la nuova combinazione di piatti inediti messa a punto a cavallo tra 2017 e 2018, è un'esperienza che ogni appassionato dovrebbe fare almeno una volta. Considerato tuttavia che gli impedimenti sono parecchi (dal costo, non affrontabile per tutti, fino alla quasi-impossibilità di riuscire a prenotare), è opportuno scriverne il più possibile: ovviamente non sarà come esserci stati, ma qualche concetto può passare, qualche pezzetto di storia può rimanere e contribuire ad insegnare.

Che si tratti del suo miglior menù di sempre non è una notizia. Anche se lo fosse stata, Bottura per primo l'avrebbe “bruciata” affermando lui stesso il primato assoluto di questi piatti. “Sono il top che io abbia mai fatto” ha sentenziato più volte in questi mesi. Il punto, dunque, non è questo. Il punto è capire cosa sia questo meglio, da quali elementi sia composto, in funzione di che si sia generato. Il punto è capire come si possa gettare a tal punto il cuore oltre gli ostacoli della creatività culinaria quando, oltre al cuoco, si sta facendo il testimonial dell'italian lifestyle (moda, arredamento, auto veloci, orologi e altri lussi grazie ai quali il nostro sistema produttivo si tiene in piedi), il pivot di una poderosa operazione di solidarietà (i Refettori), il format maker di nuovi concetti gastronomici (Gucci Osteria) e mille altre cose ancora.

Massimo Bottura

Uno chef che ha tanti impegni può essere ancora cuoco?

Quando hai tutti questi impegni solitamente la cucina ne risente, non c'è niente da fare. Le giornate durano 24 ore perfino per Bottura. E ogni tanto devi pur riposare perché hai 55 anni suonati, non 30. Però nulla di tutto questo è avvenuto alla Francescana. Il livello di creatività ma anche di equilibrio; di rischio e insieme di consapevolezza; di profondità e al contempo di leggerezza e sicurezza di sé sono esplosi proprio nei mesi di super lavoro, di super impegni, di super distrazioni. Proprio nei mesi in cui vai in giro per il mondo senza fermarti praticamente mai e ovunque sei osannato - tu e il tuo team - manco atterrassero i Rolling Stones.

Ecco appunto, il rock. Anzi la musica, tutta. Poi c'è l'arte visiva. E ancora la performance, l'alto artigianato, la tradizione, la memoria. E i viaggi (anche se in forma misurata, perché l'osmosi arriva principalmente dall'Italia, quella contemporanea e quella di cinquecento anni fa). Tutto questo viene mescolato su stratificati livelli di lettura nelle nuove preparazioni barocche, cariche, cucinate, dense, anti-minimal di MassimoBottura. “Preparazioni”, non piatti. Non cucina. Lo vuoi provare a teorizzare tu questo concetto, ma è un'illusione perché anche qui (come per il giudizio sul menù “migliore di sempre”) ti anticipa lui. Fa le cose e se le giudica da solo (vedi alla summenzionata voce “sicurezza di sé”). E allora ecco: “E se non fosse cucina questa qui? Se non lo fosse più? Se fosse una performance, un'esperienza, se fosse teatro?” si domanda simulando un'improvvisa ispirazione.

Quella di Bottura è ancora “cucina”?

C'è probabilmente molto di vero in una risposta affermativa a questa domanda. Ma il punto è che è vero anche il contrario. I nuovi “pezzi” di Massimo Bottura grondano senso, ambiscono a essere prodotto culturale, non cibo. Ma riescono nell'intento di non cadere nella trappola. Il carico intellettuale che si portano dietro grava solo su chi ha voglia e intenzione di leggerlo, non necessariamente su tutti. Potrete, insomma, godervi tre ore di infinito racconto transitando attraverso le Corti Estensi e casa di nonna passando da New York City; potrete parlare senza sosta di arte contemporanea passando dai grandi maestri del Novecento fino ad arrivare ai giovani artisti di super moda oppure potete godervi una dozzina di piatti strabilianti dal punto di vista del gusto, dell'intensità, della – vivaddio – piacevolezza, godibilità, perfino leggibilità e golosità. E questo si badi bene è un messaggio, è una apertura, è un superare certi cliché dell'alta cucina. Un po' come accadde alla fine dei Settanta – questo è un parallelo che a Bottura piacerebbe – quando dopo troppi anni di concettuale durante i quali prendere un pennello era considerata cosa da negletti, si tornò a una pittura ancestrale, colta ma primigenia, carica e volendo comprensibile anche a un pubblico più vasto. Non è un caso che la premiatissima ditta Massimo Bottura & Lara Gilmore (ben poco di quello che raccontiamo in questo articolo sarebbe stato possibile senza la sua presenza) stia arricchendo ultimamente la propria collezione d'arte proprio con molte opere firmate dagli artisti che in quel periodo nacquero professionalmente.

Cucina italiana come made in Italy d'eccellenza

Insomma la golosità, il dente, il morso, il sapore (ancor prima, anzi molto prima, della bellezza dei piatti); e dall'altra parte il supporto concettuale che non è impalcatura meramente gastronomica, ma è stimolo produttivo che connota quella culinaria come un'arte esattamente alla stregua delle altre. L'Italia eccelle in maniera indubitabile su alcuni campi (pochi, purtroppo, ma buoni). Moda, design, arte e patrimonio, industria di precisione. Se la creatività culinaria si pone in sintonia con questi ambiti e ci lavora assieme, l'equazione è presto fatta: così come la moda di Gucci, la produzione di Maserati o il design di Ginori, la cucina italiana può anzi deve ambire ai vertici mondiali. Punto. Eccola con ogni probabilità la costruzione corticale che sta dietro a questo nuovo approccio “olistico”, trasversale tra discipline, che si può sperimentare all'Osteria Francescana. È del tutto evidente dunque che qualsiasi riflessione tipo “Massimo Bottura s'ispira all'arte contemporanea”, può tranquillamente essere derubricata a sciocchezza. Non è il problema di ispirarsi a un'altra disciplina, il problema è servirsene, metterla a sistema, utilizzarla come trampolino.

Ma Bottura non c'è mai in Francescana!

Un'altra sciocchezza bella e buona è la diffusa preoccupazione sulla presenza o sull'assenza dello chef in cucina. Davvero dopo tutto quello che abbiamo snocciolato fin qui, il vostro pensiero va al fatto che Bottura debba starsene ai fornelli? Allora non ci siamo spiegati bene. Come dice lui stesso (perché, come abbiamo ribadito, lui si fa le domande e si dà le risposte da solo, semplificando il ruolo del cronista) “le Ferrari che uscivano da Maranello erano tutte perfette, ma mica le faceva Enzo Ferrari con le sue mani una a una”. Ecco, così vale per i piatti. Anzi auguratevi che quando andrete in Francescana lui proprio non ci sia, perché quando non c'è è da qualche parte nel pianeta o a far del bene all'immagine dell'Italia o a far del bene alla sua stessa creatività così come accade per quasi tutti gli chef a questo livello. È vero, incontrare Bottura in Francescana è un privilegio, ma lo è soprattutto per l'apporto narrativo che la sua presenza conferisce all'esperienza di un pasto. Apporto narrativo, sì, perché questa è una proposta che ha bisogno di un bel po' di racconto. E Bottura in questi anni è diventato un narratore affascinante. Ma anche qui la sua eventuale assenza è superabile, perché se in cucina c'è un team che dà garanzie sulla perfetta esecuzione dei piatti, il sala c'è un team che dà garanzie sull'impeccabile storytelling attorno agli stessi. A Beppe Palmieri – tra i più dotati maître del mondo – il compito di rendere l'esperienza difficilmente dimenticabile sulle ali dell'ormai celebre motto “basso profilo, altissime prestazioni”. Più la proposta è fitta semanticamente più la mediazione verso il cliente è decisiva e strategica. Per cui possiamo parlare quanto vogliamo dei piatti di Bottura, ma dobbiamo farlo avendo la convinzione che negli equilibri del ristorante in cui vengono serviti, la sala conta perfino di più di lui.

La cucina di Massimo Bottura lancia dunque delle sfide a voi che dovete provarla, a noi che proviamo a raccontarla e a lui stesso che deve superarla e davvero questa volta non sarà facile. Una cucina che non è più cucina pur non essendo mai stata così profondamente cucina come oggi. Una carriera che non è mai stata globale come oggi e che eppure mai come oggi è stata così radicalmente italiana. Con la costante di quell'espressione stampata sul viso un po' come a volerti dire: “ueh vecchio, pare totalmente impossibile, ma è proprio così!”.

E visto che è proprio così ed è tutto vero, concludiamo con una carrellata dei piatti aggiungendo qualche commento per ciascuno.

I piatti

Si parte con una serie di stuzzichini. Sono degli stuzzichini nel vero senso della parola. Servono a dare i primissimi suggerimenti e ad aprire la mente predisponendosi anche al gioco (Macaron di coniglio alla cacciatora, sublime - borlengo di parmigiano reggiano, poi frittura di albarelle con gelato di carpione, poi la cialda di pane che è una finta anguilla) e sollecitando, ebbene sì, l'appetito. Talvolta sono suggerimenti anche fuorvianti, non a caso.

Corn on the Cob di Massimo BotturaCorn on the Cob

Ad esempio Corn on the Cob è una meringa che ricostruisce una pannocchia e dentro c'è ceviche e guacamole che ti viene subito da pensar male: Bottura ci sta per somministrare un menu international style per raccontarci tutti i suoi mille viaggi attorno al mondo? Ma dopo il rischio viene scongiurato e il prosieguo si rivela un omaggio, un'ode, una canzone, una preghiera all'Italia.

Insalata di mare di Massimo BotturaInsalata di mare

L'insalata di mare è assai simbolica di questo menù. Prende un po' il posto della mitica Cesar Salad in bloom ed è esteticamente meno affascinante, meno piaciona, meno scenografica. Ma più pregnante. Anche più divertente. Il cuore resta di lattuga ma poi ogni foglia è una chips derivante da una insalata o da un elemento ittico (qualcuno ha detto che c'è tanto mare in questo menu di Bottura. Ebbene no: anche tra il pesce e la terra l'equilibrio alla fine risulta perfetto): polipo, gamberetti, ostriche, impepata di cozze. Acidità, iodio, consistenze, morso, rumore, mare in tempesta spruzzato sopra.

La Sogliola di Massimo BotturaSogliola in tre cotture

La foglia d'acqua essiccata copre la sogliola in tre cotture (cartoccio, crosta di sale, mugnaia) e fa pensare al katsuobushi. Ancora un richiamo alle cucine del mondo? Non proprio: piuttosto un richiamo concettuale al cartoccio con la stagnola bagnata che tutti abbiamo fatto in campagna e poi, a livello visivo, un richiamo alle plastiche combuste di Alberto Burri.

Burnt di Massimo BotturaBurnt

Burnt ha un compito importante: preparare lo stomaco e il palato all'impegnativo lavoro che lo aspetterà nei quarti d'ora successivi. C'è un brodo di calamari, c'è tanto aspro e tanto citrico, c'è il sentore di agrume bruciato che ritornerà poi tra non molto nel risotto. La cialda, fatta di farina al nero di seppia, è ripiena di una crema nera seppia e pesce bianco. Qui la dedica è all'artista del Bronx Glen Ligon. 

Clam chowder di Massimo BotturaClam chowder

La pie di pasta brisé è coperta da un tappo di pelle di pollo. Il contenuto rimpalla tra Adriatico (per la materia prima) e il New England per le origini di questo clam chowder. Dentro lumachine, cannolicchi, ma anche giardiniera di cavolfiori e tartufo tutto coperto da una salsa topinambur.

Autumn in New York  di Massimo BotturaAutumn in New York

Autumn in New York è il piatto feticcio dell'attuale Bottura, forse l'unico piatto non nuovo. Un piatto versatile e adattivo che cambia a seconda delle stagioni o perfino a seconda dei luoghi in cui viene fatto; autentica sliding door del menu, è un piatto che ha un gusto familiare, accettabile per tutti, come quello della mela. Un piatto che dalla mela (anzi dalle tante diverse declinazioni della mela) prende la parte dolce, avvolgente, umami. E poi patate, barbabietole e affumicature. Ma Autumn in New York – ovviamente dedicato a Billie Holiday – non può essere compreso se almeno una volta non si è transitati al greenmarket di Union Square a New York, Grande Mela appunto.

In campagna di Massimo BotturaIn campagna

Si parlava di piatti golosi e godibili (pur essendo puliti e praticamente tutti privi di grassi aggiunti, leit motiv di tutto il menu). E questo lo è moltissimo. In campagna: ravioli ripieni di piccione e foie gras, erbe aromatiche a coprire tutto, qualche goccia di civet di lepre e lumache. Sul fondo c'è una emulsione di prezzemolo. Freschezza e intensità insieme boccone dopo boccone. 

Riso tra un'anatra all'arancia e un'anatra alla pechinese di Massimo BotturaRiso tra un'anatra all'arancia e un'anatra alla pechinese

Altro piatto indimenticabile: Riso tra un'anatra all'arancia e un'anatra alla pechinese. Il riso è cotto in brodo di anatra e arancia, scorze d’arancio e crema di zucca arrosto. Alla base, sotto come una sorpresa, anatra in stile Peking Duck, rifinita con olio di sesamo e cubi di rapa bianca e coriandolo. Sopra generosa grattugiata di scorza bruciata d'arancia dell'Etna. Piatto simbolo della cucina orientale sdrammatizzato con l'abbinamento a un piatto icona della superata&ripescata cucina degli anni Settanta. Barocco di pienezza e golosità già nel riso, e poi quando si arriva all'anatra si accentua la goduria. I piatti Ginori, qui come altrove, danno un compendio visivo fondamentale e convalidano l'approccio olistico che abbiamo detto sopra. 

Piccione camouflage e meatballs di pernice di Massimo BotturaPiccione camouflage e meatballs di pernice 

Piccione camouflage e meatballs di pernice, ovverodove il piccione (cotto nel foie gras) ha una cottura e un colore incredibile, la polpetta è carne di pernice battuta al coltello e poi riassemblata in un finto cosciotto, e fritta. Le verdure fanno sfoggio di tecnica: sono sempre le stesse in tre consistenze per le varie aree del piatto: a fette sopra al piccione, in salsa nel piatto e in polvere attorno alla pernice. Pensando ad alcune mappe di Alighiero Boetti. Con questo piatto inizia una mitragliata di quelli che di fatto sono una serie di “dessert di selvaggina” uno più sorprendente dell'altro.

Per forza poi la cucina di Bottura fatica a trovare una chiusura dolce all'altezza di tutto il resto: perché il dessert già c'è, la parte dolce è già stata declinata. Dopo il piccione e la pernice ci sarà una tarte tatin di germano e una torta al cioccolato e beccaccia: che diamine di dolce vuoi mangiare dopo? 

Tarte Tatin di frattaglie di germano, piccione e pernice di Massimo BotturaTarte Tatin di frattaglie di germano, piccione e pernice

Ecco la Tarte Tatin di frattaglie di germano, piccione e pernice. Pasta sfoglia con impasto di cacciagione, mele caramellate e brodo di anatra che racchiude un ripieno di germano e foie gras, coperto da pickles di zucca. Siamo al sontuoso.

Con Cioccolato e beccaccia (foto in apertura) Bottura conferma le nostre ipotesi sulla “New Ancient Cuisine”: sguardo alla grande cucina nobile italica, potremo essere a palazzo in qualche ricevimento estense, in Modena, cinque o seicento anni fa. Tortino di paté di beccaccia e volatili, ricoperto da una salsa di fondo di frattaglie con cioccolato e caffè.

Vignola  di Massimo BotturaVignola

Emilia, terra di ciliegie da celebrare con questo dolce che prova con un apporto di acidità a fare l'impossibile: ovvero superare il fuoco di fila dei tre “dolci” di cacciagione di cui sopra. Vignola è pomodorini marinati, succo marasche, pane croccante, caffè macinato, sale alla vaniglia coperto da spuma di ricotta con latte di mandorla, sorbetto di marasche e ciliegie.

Si chiude con una piccola pasticceria che richiama, in miniatura e in chiave dolce, alcuni piatti storici della Francescana come ad esempio il Magnum di Foie Gras. “Ce li chiedevano sempre, così per lo meno li vedono in versione mignon” dice Palmieri strappando un sorriso.

E poi pensi che in realtà hai sorriso per tutto il pranzo.

 

Osteria Francescana - Modena – via Stella, 22 – 059223912 - osteriafrancescana.it

 

a cura di Massimiliano Tonelli

 

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