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Cristiano Tomei. Lucca, il nuovo Imbuto a Palazzo Pfanner e altre storie

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Dopo 6 anni tra le sale espositive del Lu.C.C.A. Cristiano Tomei si prepara a trasferire il suo Imbuto a Palazzo Pfanner. Ne approfittiamo per fare una riflessione con lo chef viareggino.

 

Scommettevano su di me, se sarei riuscito ad arrivare a 6 mesi” scherza Cristiano Tomei ricordando i primi tempi a Lucca. Quando è arrivato lui, viareggino doc, il capoluogo toscano era ancora un po' sonnacchioso, c'era una bella tradizione locale, originale e ancora non abbastanza conosciuta “una gastronomia che per certi versi non ha molto da invidiare a quelle più note, come la fiorentina o piemontese” spiega Cristiano, prima di snocciolare le aree circostanti che racchiudono i grandi prodotti della zona: la Garfagnana, le colline dell'Abetone (la Borgogna dell'olio, la chiama) e così via, per carni, ortaggi, vino. Una riserva preziosa. Che fa il paio con una gastronomia propria: “Lucca ha una sua storia particolare, è sempre stato uno stato a se stante” racconta Tomei “anche a tavola. Per esempio ci sono i tordelli, una pasta ripiena di carne condita di carne che pare risalga ai Monzù partenopei, un piatto opulento creato per omaggiare la ricchezza di Lucca, ma ci sono anche altri piatti gloriosi, per esempio il buccellato”.

Lucca oggi: cultura e cucina

Oggi Lucca è una città in fermento. “È frequentata bene, piena di bella gente che ha voglia di fare esperienze nuove, anche gastronomiche. C'è una maturità che la mette al pari di altri posti internazionali, magari non megalopoli, ma centri più piccoli”. Del resto rimane un posto a misura d'uomo, come dice Tomei, “una città straordinaria per tanti punti di vista, dove la qualità della vita è altissima” ci pensa e aggiunge: “un posto ricco e non dal punto di vista meramente economico, ma soprattutto culturale, pensa che in una cittadina come questa l'anno scorso ci sono stati i Rolling Stones e quest'anno arriverà Roger Waters, durante Lucca Comics girano i più importanti produttori mondiali di animazione, e anche sulla musica classica andiamo forte. Una cosa bella dietro l'altra, che ti porta a fare bene”. E dal punto di vista gastronomico?

Da quando sono arrivato 6 anni fa, ho visto una bella crescita della città: ci sono i ragazzi del Punto che stanno facendo belle cose. Ma anche i tre ragazzi del Giglio, che è un posto storico, accanto alla linea classica stanno facendo una loro proposta molto interessante”. Senza contare gli indirizzi più tradizionali, posti che hanno fatto la storia: “per esempio la Buca di Sant'Antonio, o l'Osteria Miranda, che è cresciuta tantissimo. Insomma” conclude “c'è uno stimolo a fare bene e rinnovarsi, a credere in quel che si fa sia nel classico che nel contemporaneo”.

Tomei: 6 anni di Imbuto

In questi anni di cambiamenti per la città, cosa è accaduto all'Imbuto? “Sono stati 6 anni bellissimi, quando sono arrivato da Viareggio sono stato un po' un apripista. E anche per me è stata tutta una scoperta, una piacevole scoperta”. A partire da quel locale senza insegna e senza affaccio su strada, all'interno del Lu.C.C.A., il museo d'arte contemporanea cittadino “un posto eroico, gestito da una fondazione privata: non è mica il Guggenheim”. Di questo museo per 6 anni ha colonizzato le sale, con i tavoli circondati da opere d'arte. “È stato un posto sperimentale per Lucca e forse lo è ancora, sia per dove stava che per il fatto di non avere una carta: decidiamo noi cosa far mangiare ai clienti”. È andato così “una scommessa fatta in totale incoscienza” che in 6 anni ha saputo creare uno zoccolo duro di clienti, molti internazionali “ieri avevamo un tavolo di cinesi, non sono mica clienti facili, invece erano stracontenti”. Insomma Lucca e L'Imbuto sono diventati nel tempo una meta gastronomica. Cui si è aggiunto, nel tempo, anche Satura, quell'officina gastronomica che ha trovato sede in una ex fabbrica di ceramiche in cui proprio in questi giorni si sta concentrando su pizze e lievitazioni, “ma nulla di gourmet” ammonisce “solo una pizza bòna, fatta bene”.

Cambio sede

Ma allora perché spostarsi? “L'ambiente ci andava un po' stretto” dice semplicemente “avevamo bisogno di un'altra postazione. E poi” aggiunge “Siamo ambiziosi, sono ambizioso. Vogliamo dare un valore aggiunto anche dal punto di vista dell'ambiente”. E dire che lascia alle spalle un edificio storico: “Un palazzo del ‘500 va bene, ma avere un giardino all'italiana è meglio”. Quello che circonda Palazzo Pfanner. Un posto che molti troveranno familiare, perché ci hanno girato molte scene del Marchese del Grillo. “Con quel film ci sono cresciuto, e poi con Monicelli sento un legame forte. Viareggino, uno spirito libero; io e la mia famiglia lo sentivamo molto vicino”. E dal ristorante, si vedrà l'androne del palazzo con la scalinata che Alberto Sordi ha reso famosa. Se gli chiedi com'è Palazzo Pfanner risponde sicuro: “Credo sia uno dei posti più belli d'Italia, in una città che ora funziona tantissimo ma ti sembra di essere in campagna, con quel giardino molto grande dove avremo uno spazio solo per no”. Il nuovo Imbuto è in una parte della limonaia e dell'officina del palazzo che prende il nome dalla famiglia austriaca che l'ha acquistato nel '700. Rimane un ristorante di piccole dimensioni: 40 coperti più 25 in giardino che ospiterà anche gli eventi, sempre affidati alla cura di Laura Verpecinskaite, la cucina nella scuderia dove ferravano i cavalli, le cantine nella cantina del palazzo dove ci sono ancora le vasche della birra che si produceva lì:“non ti nego che l'idea di ricominciare a produrre birra insieme ci starebbe pure. Era un birrificio famoso, attivo fino all'inizio del secolo scorso”. Al momento fervono i lavori, insieme alla famiglia Pfanner. Ancora molto da definire, un punto fermo però già c'è: “parte degli oggetti e degli arredi sono di Andrea Salvetti, ma ancora non so cosa: stiamo valutando con la moglie di Andrea quel che c'è in laboratorio, di sicuro una parete di canne di bambù che riprende quella he c'è in giardino”. Una presenza, quella delle opere dell'artista scomparso, che testimonia il legame profondo tra i due e sancisce ancora una volta la relazione tra mondo dell'arte e quello dell'alta cucina che Salvetti, in varie forme, aveva saputo instaurare.

 

Il futuro della cucina dell'Imbuto

La cucina? Quella non cambia: è la mia, una cucina sempre in evoluzione e anche se con l'età ho imparato a mantenere dei piatti non mi fermo mai” racconta e poi sorride quando dice “chi viene da me a lavorare spesso non resiste, lo capisco, perché è un modo di far cucina che mette sempre tutto in discussione, resiste chi ha voglia di rinnovarsi per conoscere e crescere non per stupire”. E a questo punto attacca a parlare di una cucina che si tuffa nelle proprie radici culturali “che possono anche essere lontane, anche perché noi siamo fortunati, siamo dei bastardoni” dice alludendo a un passato di scambi gastronomici e culturali che hanno attraversato le acque del Mediterraneo e varcato le Alpi, ma sempre avendo ben fermo, come punto di partenza, il patrimonio agroalimentare autoctono “noi non abbiamo bisogno del lichene artico perché abbiamo dell'altro, tante erbe selvatiche che gli garberebbe avere nei paesi del nord, pensa solo al cappero e alle sue foglie. E poi anche la pasta. Che a un certo punto, 15 o 20 anni fa, nei ristoranti buoni quasi ci si vergognava a mettere in carta, invece è u patrimonio immenso che abbiamo solo noi”. Insomma: contaminazione sì, perché è nel nostro Dna, ma con giudizio, senza rifare per forza cose di altri, “la cucina a livello globale dovrebbe parlarsi, ma il capretto della Garfagnana è così buono, perché devo usare quello iberico?”. Quindi via, a giocare con i sapori.

Non cambia l'impostazione del ristorante “ma crescerà tutto, anche l'ambiente”, aperto a pranzo e cena con lo stesso menu, “perché i nostri clienti spesso hanno più voga di divertirsi a pranzo che a cena”. E se gli chiedi qualcosa in più, non manca di tirare fuori la sua verve da toscanaccio che in molti hanno imparato a conoscere: “la cucina non deve essere masturbativa ma scopativa”, insomma rivolta all'altro, al piacere condiviso, all'incontro e magari anche scontro con l'altro. Ma mai solo verso se stessi. “La cucina deve avere due obiettivi, uno ludico e uno evocativo, non vai per fame in un posto come il mio” e poi aggiunge “ma neanche è necessario che tutti debbano sapere il come e perché di ogni cosa, altrimenti diventa manierismo. L'emozione del ricordo vale di più”. E anche la sorpresa, aggiungiamo noi, se è vero che uno dei piatti di questo momento è una pasta in bianco con la panna: qualcosa che sulla carta dovrebbe essere dolce, avvolgente e rassicurante, quasi un piatto da bambini, “invece la panna fresca è gelificata, rotta e montata con olio all'elicrisio che è amarissimo: una pasta in bianco con due grassi importanti in cui però si ha una sensazione contraria a quella che uno si aspetterebbe”. E forse è proprio la meraviglia la chiave di una cucina che sa giocare, ricordare, stupire.

 

L'Imbuto al Lu.C.C.A. - Lucca - via della Fratta, 36 - 340 5758092 - www.limbuto.it

Satura – Lucca - via Nazario Sauro, 513 - 0583 48182 - www.facebook.com/saturalucca/?fref=ts

 

a cura di Antonella De Santis

 


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