A lungo maltrattato e considerato come un vino di second'ordine, il Lambrusco ha oggi costruito una sua dignità. Nel numero di giugno del Gambero Rosso abbiamo raccontato tutta la storia, intervistando i diretti interessati; qui vi regaliamo un assaggio.
Mai ritorno alle origini fu più azzeccato. Nel Lambrusco, alla gioia delle bollicine s’aggiunge l’emozione di un sorso fresco e di sapore antico, ancor più se realizzato con il metodo ancestrale, quello alla base di tutte le rifermentazioni in bottiglia. Così, in questa terra sanguigna e amante del piacere, il percorso produttivo aderisce in pieno allo spirito del luogo. Con bei risultati, sicuramente lontani da standard od omologazioni.
Il segreto del Lambrusco
Accadeva così, spontaneamente: l’inverno scemava, le giornate allungavano e il termometro saliva, certe bestiole abbandonavano il letargo e certi lieviti si ridestavano nelle bottiglie; in quattro e quattr’otto il vino, come per miracolo, diventava brioso e frizzante, acquisendo la sua magica spuma. In fondo il segreto del Lambrusco era tutto qui: imbottigliare con gli zuccheri non totalmente fermentati, legare il tappo con lo spago affinché non saltasse e lasciare che la natura facesse il suo corso. Per poi abbandonarsi al sorso secco e fruttato, talvolta scorbutico, sghembo, sempre diverso dal precedente ma comunque festoso, avvolgente; magari adeguarsi a un residuo eccessivo sul fondo, sopportare lo schianto di qualche bottiglia che cedeva alla pressione e ritinteggiava le pareti...
Il metodo ancestrale
Si era nel Modenese o comunque in Emilia, al più a Mantova, eppure fratelli del Prosecco, cugini dello Champagne. Si era qui, contadini innamorati della buona tavola, tortellini e zampone, Parmigiano e borlenghi e una vitis vinifera che veniva da lontano, citata da Virgilio e Plinio il Vecchio e quindi raccontata da Andrea Bacci, botanico nonché medico di papa Sisto V: “Sulle colline di fronte alla città di Modena si coltivano lambrusche, uve rosse, che danno vini speziati, odorosi, spumeggianti per auree bollicine, qualora si versino nei bicchieri”. Era tutto naturale, più o meno pacifico e più o meno ben fatto. Poi arrivarono le autoclavi del metodo Martinotti-Charmat, guai demonizzarle, il successo di certo cooperativismo e di milioni di bottiglie che colonizzarono gli Stati Uniti, il mondo, con un Lambrusco che sapeva farsi più affabile e beverino, talvolta scadendo nella bibita gassata; la novella che varie volte ci siamo sentiti raccontare, che divide e allo stesso tempo unisce e ferisce un territorio, nonché il lavoro di intere generazioni. Eppure c’è chi non ha mai smarrito la bussola, chi non ha cessato le pratiche ancestrali e affina il metodo della rifermentazione in bottiglia, o addirittura spumantizza con tanto di sboccatura e aggiunta di liqueur, andando ben oltre un “ideale abbinamento con i piatti tipici locali”.
Le uve son sempre quelle, o perlomeno le famiglie: sui colli di Castelvetro trova culla il Grasparossa (e la sua Doc), una varietà scura e fruttata, rotonda che vien da dire larga, fragrante, così lontana dal Sorbara della pianura, che letteratura vuole problematica fin dall’impollinazione (tradizionalmente ogni due filari se ne alterna uno di Salamino, il terzo vitigno storico); chiara, quasi trasparente nel bicchiere, acidula e scontrosa, è la regina di zona nonché la predestinata per chi punta all’eleganza, al sorso affilato e teso. La storia del Lambrusco passa dalla famiglia Chiarli, dall’omonima azienda avviata nel 1860, ma anche dalla cantina Paltrinieri, avviata dal chimico Achille nel 1926, e da molte altre realtà che abbiamo intervistato per il mensile di giugno del Gambero Rosso.
a cura di Emiliano Gucci
foto di Paolo Righi
QUESTO È NULLA...
Nel numero di giugno del Gambero Rosso, un'edizione rinnovata in questi giorni in edicola, trovate il racconto completo con le interviste ai rappresentanti più virtuosi del Lambrusco metodo ancestrale, dalla famiglia Chiarli alla cantina Paltrinieri, dalla Cantina della Volta a Francesco Bellei. E ancora Gianluca Bergianti, Terre Vive, Cavicchioli e Cantina Sociale di Carpi e Sorbara. Un servizio di 9 pagine che comprende anche il bellissimo racconto di Francesco Guccini, il punto di vista di Marco Sabellico e Francesco Beghi, e del maître e sommelier dell'Osteria Francescana Giuseppe Palmieri. Non solo, c'è poi un utile glossarietto per orientarsi al meglio, la spiegazione delle 4 denominazioni del modenese, gli indirizzi utili dove poter bere un eccellente Lambrusco metodo ancestrale e le note di degustazione fatte. Il tutto reso ancor più comprensibile dalle infografiche di Alessandro Naldi.
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