Appena metti piede ad Abu Dhabi capisci subito che ti trovi in una città in fieri. Nulla di quel che è stato, qui, sarà ancora. Solo la cucina si misura con una radicata tradizione emiratina e una insaziabile curiosità verso le altre culture gastronomiche.
Perle, datteri, latte di cammello e spezie. Per secoli le uniche attività commerciali, ad Au Dhabi, sono state proprio la raccolta delle perle e quella dei datteri. Le oltre 200 isole naturali del Golfo erano l'ambiente ideale per le ostriche e il commercio delle perle era – con la pesca – tra le poche fonti di sostentamento per le popolazioni costiere. Poi ci furono la Prima Guerra Mondiale, la Grande Depressione degli anni '20, l'arrivo delle perle coltivate dal Giappone: insomma dopo la Seconda Guerra Mondiale l'economia locale, basata su questo commercio, si sgretolò. Seguirono anni difficilissimi.
I datteri, indispensabile risorsa alimentare
In questa economia i datteri – presenti in moltissime varietà – occupavano un posto capitale per gli abitanti dell'entroterra; ancora oggi questa indispensabile risorsa alimentare è l'epicentro di un vivace commercio locale e custodisce un enorme valore simbolico: sono celebrati a Liwa, nella regione di Al Dhafra e offerti spesso in segno di benvenuto insieme al profumato caffè arabo, patrimonio mondiale dell’umanità Unesco. La loro raccolta, come quella delle perle, segue rituali suggestivi. Così come suggestivo è l'animato mercato dei cammelli di Al Alain e il concorso di bellezza di cammelli di Al Dhafra. Di questi animali – preziose “navi del deserto” – si consumano la carne e il latte, fondamentale alleato per i beduini che potrebbe presto entrare nei mercati europei. Ha gusto simile al latte di mucca: se ne fanno formaggi, gelati, cioccolata, persino un sapone di bellezza o si consuma fresco, spesso aromatizzato al timo (Haleeb Bosh). Centrali sono poi le spezie, a testimoniare gli scambi commerciali che hanno interessato queste rotte: zafferano, cardamomo, curcuma e cannella sono praticamente in ogni pietanza locale, spesso insieme al loumi (limone nero essiccato al sole) dal sapore amaro e aspro, bilanciato dal ghee (il burro chiarificato). Ma la cucina oggi è molto di più.
La grande corsa degli Emirati
Corrono in fretta, gli Emirati Arabi Uniti. Ad Abu Dhabi tutto cambia rapidamente e poco si conserva, se non l'omaggio incondizionato allo sceicco Al Zayed. A lui si deve gran parte del benessere attuale di questo territorio fino a ieri poverissimo, dove la natura impervia – per quanto affascinante – dettava regole aspre: il seminomadismo era il modo di sopravvivere a temperature che raggiungono i 50°. Era in questo periodo che si attraversava il paese spingendosi verso il confine con l'Oman, in cerca del riparo che la montagna riusciva a concedere. Il caldo e la natura dei terreni desertici impedivano qualsiasi coltura, se non intorno alle oasi come quella di Al Ain, la città verde. È difficile, guardando il futuristico skyline della città, immaginare Abu Dhabi solo 50 anni fa, prima del petrolio. Erano i primi anni '60 e da allora tutto è cambiato. Nel 1971 nacquero gli Emirati Arabi Uniti, si costruirono strade e scuole, abitazioni e ospedali. Il benessere strappò la popolazione a condizioni durissime e una sorta di oligarchia benvoluta trasformò il paese con un'energica attività edilizia.
Turismo e offerta gastronomica
Dubai si è affermata come meta turistica ancor prima di Abu Dhabi, e così è stato anche per l'offerta gastronomica, tant'è che molti grandi chef hanno piantato lì la loro bandiera. E nonostante Abu Dhabi sia il crocevia del jet set internazionale, conserva maggiormente il legame con le sue tradizioni pur all'interno di una enorme varietà gastronomica. Poche (ancora) le star, eccezion fatta per Enrico Bartolini. Ma le cose qui cambiano rapidamente e non è difficile prevedere un imminente arrivo in massa di grandi firme. Anche perché nell'avveniristico orizzonte metropolitano, la cucina riveste il fondamentale ruolo di passaporto verso il mondo: negli alberghi s’incontrano cucine di mezzo pianeta. E una clientela indifferentemente del luogo (pochissimi qui i nativi: 500mila su 3 milioni di abitanti) e internazionale. Abu Dhabi è una Babele gastronomica: grandi brand (per esempio Zuma, Marco Pierre White steakhouse and grill o La Petite Maison) e tanta varietà, ma non si trascura la cucina tradizione, complice anche l'Emirati Cuisine & Hospitality Capacity Building, un programma di promozione della cucina locale negli hotel 4 e 5 stelle. Così si è creato un cosmopolitismo gastronomico che non scorda la propria identità, simile a quella araba ma ricca di suggestioni indiane: del resto la via delle spezie passava per il Golfo. Una cucina che varia secondo le regioni: dalla carne (di cammello, di pollo, montone o agnello) in cotture prolungate al pesce della costa (tipico è lo squalo). Con il pane arabo servito caldo con i mezzeh, la selezione di antipasti di origine mediorientale in cui l'hummus è il protagonista indiscusso. Poi ci sono moltissimo riso, alcune insalate, zuppe e diversi tipi di pane. Ne parla Khulood Atiq, starchef, Food Ambassador per l’Ente del Turismo di Abu Dhabi e autrice di Sarareed – la cucina degli Emirati dal mare al deserto, il primo libro che ha dato forma scritta a una cultura gastronomica prettamente orale.
Le cucine dei grandi alberghi
La maggior parte dei locali è nei grandi alberghi, sintesi di un lusso difficile da immaginare in Occidente. Basti pensare all'Emirates Palace dove colonnati altissimi e saloni immensi definiscono uno spazio di raffinata opulenza (che vale la pena visitare), famoso per il suo gelato al latte di cammello con scaglie d'oro e per il burger sempre di cammello. 1200 dipendenti, 14 ristoranti tra cui l'italiano Mezzaluna e l'emiratino Mezlai dove lo chef AliSalemEbdowa rielabora con eleganza la cucina locale. Tra i piatti più interessanti il lamb madfoun, agnello cotto in foglie di banano a ricreare la tradizionale cottura sotto terra, mentre al Jumeirah il ristorante Li Beirut propone cucina libanese contemporanea con lievi suggestioni europee. A tenere alta la bandiera italiana, Enrico Bartolini, responsabile del Roberto's ad Abu Dhabi e Dubai, dove ha cesellato una proposta articolata: l'immancabile triade - pizza, pasta, risotto in ricette classiche – affianca i piatti più iconici dello chef, “ma con FrancescoGuarracino, head chef di Abu Dhabi, ci divertiamo anche a sperimentare alcune novità durante le serate speciali”. Fino a tratteggiare una cucina che incarna i valori più riconoscibili dell'italianità senza perdere di vista un twist contemporaneo, intercettando anche i gusti locali, “per esempio per le carni cotte a lungo, i sapori tondi e speziati”. L'importazione non è semplice, ma per alcuni prodotti, come formaggi e olio di oliva, non si può soprassedere. “Si ha bisogno di referenti in loco– dicono dal Cipriani, che ha sedi nelle due maggiori città emiratine – Alcuni prodotti li inviamo dall'Italia, per gli altri come pesce o carne abbiamo fornitori di fiducia lì”. I piatti che vanno di più? Carpaccio, tagliolini, risotto. “Abbiamo stessa cucina, stesse attrezzature e personale italiano formato all'Harry's Bar”. C'è anche il giovane Lorenzo Paiato che al Larte del gruppo Alta Gamma – che conta spazi anche a Milano e Dubai – propone una cucina genuina e molto confortevole, tra calamari fritti e pasta alla Norma, a un passo dal distretto dei musei.
a cura di Antonella De Santis
Articolo uscito sul Gambero Rosso di aprile. Un numero tutto rinnovato che potete trovare in versione digitale su App Store o Play Store
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