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La pasta italiana in Puglia. 15 formati tipici e la ricetta delle orecchiette

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Orecchiette, cavatelli, tria, ma non solo: la pasta è un elemento fondamentale nella cucina pugliese, declinato in diverse sfumature a seconda della zona e della relativa tradizione. I formati tipici della regione e la ricetta per preparare le vere orecchiette pugliesi.

 

Una terra che nella semplicità dei suoi prodotti ha trovato la chiave di volta privilegiata per conquistare il palato di tutti: è proprio con i sapori autentici delle materie prime regionali che i pugliesi hanno saputo nel tempo creare una serie di piatti robusti e dal gusto inconfondibile, fatti di pochi ingredienti, spesso nati come ricette di recupero, per sfruttare gli avanzi del giorno prima. Anche il grano arso, farina che oggi simboleggia più di tutte l'arte bianca locale, è nata per recuperare le spighe di frumento cadute a terra. Dopo la trebbiatura, i campi venivano bruciati per dare maggiore fertilità alla terra, e le famiglie più povere raccoglievano i pochi grani bruciati rimasti e li macinavano ottenendo così una farina nera dal sapore affumicato, che veniva mescolata alle altre per produrre pane e pizza. Oggi, il grano arso viene realizzato in maniera diversa, con una semplice tostatura del grano, ma il suo impiego resta invariato nella maggior parte delle ricette tradizionali, dal pane ai formati di pasta più celebri. Paste che, proprio per la grande produzione cerealicola regionale, si colorano dei toni più scuri dell'orzo, farro e grano arso, assumendo consistenze e aromi singolari.

Anelletti

Fino agli anni '30, gli anelletti erano dei formati presenti in diverse forme e varianti nel Sud Italia, in particolare in Sicilia – dove ancora oggi sono molto popolari – e Puglia. Si dice che la prima versione, gli anelloni d'Africa (oggi scomparsi) fosse ispirata agli orecchini a cerchio delle donne africane. In Puglia prendono il nome dai cerchietti a campanelle che le donne portavano alle orecchie nei giorni di festa, e sono chiamate anche taraddhuzzi (Lecce) o cerchionetti (Ruvo di Puglia). La ricetta più conosciuta è quella siciliana del timballo con melanzane fritte, mentre in Puglia vengono solitamente consumati in brodo.

Cajubi

Ditalini, minchiareddhi, tubettini, o più comunemente cajubi: a Lequile e Matino, i protagonisti dei primi piatti sono questi cordoncini di pasta arrotolati su ferretto e lasciati essiccare. Serviti in brodo oppure lessati in acqua e insaporiti con ricotta salata e verdure, i cajubi sono spesso al centro di minestre tipiche regionali, come quella con i piselli. A conferire il sapore è il grano arso, che qui si esprime con tutte le sue note di tostatura, attenuate e bilanciate dal brodo caldo.

Calzoncelli

Detti anche agnolotti baresi, calzoncieddi o cazune, questi fagottini ripieni sono famosi soprattutto nella versione dolce, particolarmente diffusa durante le feste di Natale, con una farcia a base di castagne, miele, buccia d'arancia e cacao. In realtà, si tratta di una tipologia di raviolo nata dapprima come specialità salata e poi reinterpretata dalle massaie pugliesi nella variante dolce. In origine, i ravioli venivano consumati durante le feste oppure nelle occasioni speciali, come le visite da parte di parenti lontani: in questo caso, venivano fritti nell'olio o nello strutto e poi serviti freddi agli ospiti, come antipasto o merenda. L'impasto è a base di semola e acqua (talvolta con aggiunta di uova) e viene farcito con un composto di ricotta e uova, oppure con carne macinata. Possono essere anche lessati e conditi poi con sughi della tradizione, solitamente ragù di carne.

 

calzoncelli

Cavatelli

Nati in Molise, i cavatelli sono stati esportati in Puglia in tempi antichi, tanto da diventare parte del patrimonio gastronomico della regione. È una pasta di semola di grano duro e acqua dalla caratteristica forma allungata che, secondo una teoria, fu inventata sotto il regno di Federico II, anche per soddisfare le esigenze gastronomiche del re. Sono fatti a mano “incavando” - come si dice in dialetto locale - la pasta (talvolta arricchita con patate lesse) con la pressione dell’indice e del medio. In Puglia, vengono preparati con verdure come broccoli o funghi cardoncelli, oppure al sugo.

Cecatelli

Semola di grano duro, acqua, sale: sono questi gli ingredienti alla base dei cecatelli, pasta condivisa anche con la Campania, ma nata probabilmente a Lucera, dove viene consumata con rucola e pomodoro, e spesso preparata con farine integrali oppure di orzo o altri cereali. Il nome deriva dal tardo latino caecula, ovvero “anguilla di aspetto filiforme e trasparente”, e sta a indicare la forma allungata della pasta che ricorda, appunto, un'anguilla. Un formato che è stato un po' dimenticato nel tempo, ultimamente riportato in auge dai cuochi del territorio più dediti alle tradizioni locali.

Fainelle

Un altro formato a lungo dimenticato, oggi recuperato grazie agli chef in cerca delle ricette più antiche: le fainelle sono una delle paste più popolari del foggiano, un prodotto raro dalla forma simile a quella della carruba (chiamata, appunto, “fainella” in dialetto locale). Per realizzarle, si utilizza lo sferre, coltello senza manico dalla punta arrotondata col quale si tirano dei pezzetti di impasto fino a ottenere un cannello allungato e incurvato. La tradizione vuole che vengano lessate insieme a rucola e patate, e poi condite con un soffritto di acciughe o pancetta.

Mescuetille

Ancora una specialità quasi del tutto dimenticata, dalle origini antiche e il sapore caratteristico: le mescuetille (o miscuitili) sono una pasta particolarmente diffusa nella zona di Altamura e Monteparano, a base di grano duro, semola e acqua, ma quasi sempre realizzata con l'aggiunta di farine scure, grano arso in primis. Dalla sfoglia – tirata non troppo sottilmente – si ricavano dei quadretti di circa 2 centimetri, che vengono poi incavati con un dito. Il condimento tipico è a base di vincotto, prelibatezza riservata alle occasioni speciali: in passato, infatti, le mescuetille venivano solitamente preparate per la festa di San Giuseppe.

Orecchiette

Formato pugliese per antonomasia, le orecchiette sono tipiche della zona di Bari e risalgono al periodo fra il XII e il XIII secolo. Ogni pezzetto di impasto viene trascinato sulla spianatoia con lo sferre oppure con la punta del dito, fino a ottenere la tipica forma tonda concava, perfetta per accogliere i sughi più ricchi. Ogni provincia, poi, ha i suoi nomi e le sue ricette tipiche: cicateli nel foggiano, chagghiubbi o fenescecchie nel barese, stacchiodde nel leccese. Secondo una delle teorie più accreditate, questa tipologia di pasta trae ispirazione da un prodotto della Francia del Sud, dove venivano preparate con farina di grano duro e vendute secche, ideali per essere conservate a lungo dai marinai durante i loro viaggi. Un tempo, il condimento tradizionale era il ragù di castrato, ma oggi sono le cime di rapa a farla da padrone, anche se esistono anche altre versioni, come quella con il soffritto di acciughe tipica di Conversano. A Taranto, Massafra e Manduria esistono poi le chiancaredde (o recchietedde), delle orecchiette larghe 4 cm e leggermente più piatte di quelle tradizionali, che vengono consumate con cavolo e pancetta oppure sughi di carne. Il nome fa riferimento alle chianche, le pietre per la pavimentazione delle strade e dei giardini dei paesini pugliesi, dalla superficie ruvida proprio come quella della pasta. Nel foggiano, invece, ci sono le pestazzulle (chiamate anche pizzarelle), tirate a mano con forza in modo che il bordo non si sollevi: un'orecchietta meno incavata e più piatta.

 

orecchiette

Ravioli alle cime di rapa

Fiore all'occhiello dell'orticoltura del tavoliere, le cime di rapa non possono mancare fra le farce delle paste regionali. Nelle regioni del Sud, dove la pasta ripiena si è cominciata a diffondere a partire dall'Ottocento, vengono da sempre privilegiate le farciture a base di verdure e formaggi, come nel caso dei ravioli alle cime di rapa, che vengono lessati in acqua bollente e conditi con ciccioli di maiale e peperoncino.

Sagne incannulate

Diffuse in tutta l'Italia centro-meridionale, le sagne sono fra i formati più antichi della Penisola, declinate in vari modi a seconda della zona. In Puglia, le striscioline di circa 1 centimetro e mezzo vengono attorcigliate su loro stesse e “incannulate” (“girate”) per tre volte con il palmo della mano, oppure attorno a un cannello di legno. In passato, venivano confezionate dalle ragazze ricoverate nei conservatori per orfani: secondo la “Statistica del Regno di Napoli” del 1811 erano i due conservatori di Foggia, quello delle orfane e quello della Maddalena, a produrre la maggior parte delle sagne incannulate di tutta la regione. A base di semola e acqua, la pasta viene tradizionalmente condita con ragù di carne, oppure sugo di pomodoro e ricotta salata.

Scarfiuni

Ancora una pasta ripiena, famosa per le decorazioni realizzate con cura dalle massaie. Gli scarfiuni sono delle mezzelune prodotte con semola di grano duro e acqua, farcite con ricotta e pecorino, e servite con ragù di carne e pecorino brindisino. Per prepararle, la pasta deve essere tirata molto sottile, e poi tagliata in tanti cerchi della dimensione di un bicchiere d'acqua. In ogni disco, un cucchiaio di ripieno, ma la fase fondamentale è quella della chiusura: una volta ripiegato l'impasto a mezzaluna, si inizia a decorare il bordo con le dita o aiutandosi con i denti di una forchetta, realizzando cordoncini da intrecciare fra di loro oppure delle semplici righe.

Scorze di nocella

A Taranto la pasta assume la forma delle nocciole: sono le scorze di nocella, chiamate anche scagghjuzze o abissini, delle palline di impasto incavate al centro che ricordano il guscio di una nocciola. Alla base, farine scure, quelle derivate dalla macinazione di granaglie e leguminose: le più difficili da lavorare e mescolare insieme, che per questo venivano utilizzate per formati semplici e pratici da realizzare come questo. A insaporire il piatto, legumi, ricotta oppure brodo, per una minestra scura dalle note tostate e fortemente aromatica.

Strascinati

Non è facile tracciare le origini degli strascinati, termine con cui si intendono diversi tipi di pasta, tutti accomunati dalla pratica di “strascinare” con il dito l'impasto, per ottenere dei pezzi allungati e appiattiti. Una specialità condivisa fra Campania, Basilicata, Calabria e Puglia (dove vengono spesso preparati con grano arso), e che cambia nome a seconda della preparazione. Cavatello se schiacciato con un solo dito, cecatello con due e via dicendo. Possono essere più o meno ampi, con bordi più o meno sollevati, tirati a mano o con strumenti particolari. In Puglia si usa il coltello sferre, col quale si preparano le cuppetiedde (a forma di coppetta), i minchialeddi, tipici di Gallipoli, Parabita, Lecce, Castro e Alezio, i cavatelli lunghi e stretti, e poi quelli salentini, simili ma fatti di farina di grano e orzo.

Tria

Fra le più antiche ricette salentine, al centro di un rituale affascinante chiamato “Le Tavole di San Giuseppe”, in cui le famiglie benestanti dei vari paesi allestiscono banchetti per i meno abbienti della comunità, spicca la minestra ciceri e tria. Una specialità a base di ceci lessati e pasta tria, conosciuta anche come Massa di San Giuseppe, proprio per il legame con la festa del 19 marzo, un piatto composto da pasta di semola di grano, acqua e frizzuli, ovvero pasta fritta in olio extravergine di oliva. Ma cos'è, esattamente, la tria? Uno dei formati più antichi, già descritto dall'arabo Al-Idrisi nel 1154: “In Sicilia vi è un paese chiamato Trabia, luogo incantevole dotato di acque perenni e di mulini, in questo paese si fabbrica un cibo di farina a forma di fili in quantità tali da rifornire oltre i paesi della Calabria, quelli dei territori musulmani e cristiani”. Nonostante l'associazione con l'isola, la tria in realtà è, in Puglia, l'antica denominazione generica della pasta, come spiega Mastro Barnaba nel “De naturis et proprietatibus alimentorum” del 1338. Citata molto nei trattati arabo-andalusi (prima con il termine arabo fidaws, e poi con il castigliano fideos), la tria viene preparata a partire da una sfoglia sottile, dalla quale si ricavano paste di vari formati e misure a seconda dell'aria di produzione, solitamente molto simili a delle tagliatelle larghe e spesse.

Troccoli

Già descritti nelle opere di Bartolomeo Scappi, i troccoli sono un formato presente anche nella Sabina reatina, a Chieti e in Basilicata. In Puglia, si trovano soprattutto nella zona di Foggia, originariamente preparati con il ferro da maccaroni. Oggi, questa pasta simile a quella alla chitarra abruzzese, viene realizzata con uno strumento in legno chiamato torcolo o troccolo. Sugo ideale per questo formato, il ragù del macellaio, un insieme di carni che un tempo il macellaio era solito preparare con gli avanzi del giorno, fra cui erano sempre presenti agnello e maiale.

 

troccoli

La ricetta: orecchiette

Ingredienti

500 g. di semola di grano duro

200 g. di acqua

Versare la semola in una ciotola piuttosto capiente e unirvi l'acqua a poco a poco, iniziando a mescolare con le mani o con l'aiuto di una forchetta. La quantità di acqua necessaria può variare secondo il tipo di semola, dunque si consiglia di non versare tutta l'acqua subito e lavorare bene e a lungo il composto (più si fatica in lavorazione e più la pasta che si ottiene avrà dente!). In ogni caso l’impasto che si deve ottenere è piuttosto sodo. Far riposare in frigorifero per circa un'oretta. Trascorso il tempo necessario, dividere l'impasto in parti uguali e iniziare a stenderlo con le mani fino a ottenere delle corde piuttosto affusolate (circa un centimetro di diametro). Tagliare le corde ottenute a tocchetti di un centimetro. Su una superficie di legno esercitare una leggera pressione con il pollice su ciascun tocchetto, trascinandolo fino a ottenere la caratteristica forma dell'orecchietta. Adagiare le orecchiette su un vassoio precedentemente cosparso di semola e lasciar asciugare almeno un'ora.

a cura di Michela Becchi

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