Incontro con Valeria Piccini. Dal 1978 saldamente alla guida di quella che, all'epoca, era una semplice trattoria e oggi rappresenta una delle più belle espressioni della grande cucina, quella che dalla tradizione si è saputa evolvere mantenendo altissima l'asticella della qualità e della coerenza.
“Prima mi ha messo in prova in cucina e solo dopo ci siamo sposati”. Scherza Valeria Piccini nel raccontare come la sua vita professionale sia legata a doppio filo con quella privata: il matrimonio nel 1978 con Maurizio Menichetti, la nascita del figlio Andrea l'anno successivo. Sempre in quell'angolo di Maremma che risponde al nome di Montemerano. Quando arriva, Caino è la trattoria della famiglia di suo marito, ci lavorava con i suoceri e il cognato.
A quel lavoro si appassiona presto, lei che alle spalle aveva studi di chimica e alla cucina non ci pensava proprio, né conosceva nulla di quel mondo fatto di ricette ma anche di guide e alta ristorazione. Erano gli anni '80, la Maremma gastronomica offriva piatti sostanziosi, ma poca varietà: “buglione, acquacotta, cinghiale”, in giro c'era poco altro. Insieme al marito, si mettono in testa che vogliono fare qualcosa in più, così cominciano a girare per ristoranti, soprattutto all'estero, “per vedere cosa succedeva”. In Italia la situazione è diversa: “il Gambero Rosso ancora non esisteva neanche come inserto del Manifesto” ricorda Valeria “poi, una volta, al Vinitaly, vedo una gigantografia del Gambero. C'era scritto che in Maremma, a Montemerano, c'è Caino: parlava di noi”. È il numero 32, supplemento del Manifesto del 10 ottobre 1989. In quei tempi cominciano a spingersi oltre la classica trattoria proponendo anche cose nuove, create da loro “ma con le radici della nostra Maremma”, cominciano a lavorare alla cantina, acquistata nel 1985 (poi arricchita di altre 4 stanze confinanti, riunificate nel 2009). La trasformazione è avviata, e le persone non tardano ad accorgersene: “avevamo perso tutti i vecchi clienti”.
Tortelli di cinta senese in brodetto di castagna e gallina
Verso gli anni '90
Insomma: i vecchi clienti non si ritrovano più in quella cucina, i nuovi non sono ancora arrivati. “È stato il momento più difficile della nostra storia, per fortuna avevamo le nostre famiglie alle spalle” ricorda Valeria “volevo quasi mollare, ma poi Maurizio mi ha convinto: se ci credi – diceva – e credi che quel che fai è la cosa giusta, arriverà”. Nascono allora cose come i tortelli cacio e pere o quelli di cinta in brodetto di castagna e gallina, due piatti che ci sono ancora, sempre uguali. La cosa più difficile, però, sono i secondi: “volevo fare cotture più veloci, avevo capito che le carni cotte al punto giusto rimangono più succulente, ma in Maremma chi avrebbe mangiato un cinghiale o un piccione cotto al rosa?”. La risposta non è incoraggiante: “qualcuno scrisse che il carpaccio di piccione era troppo crudo” ride ora, ma lì per lì la reazione è un'altra “mi sono arrabbiata, ma poi ci ho fatto una risata sopra e ho continuato più testarda di prima”. Aveva capito dove voleva andare: “per apprezzare i nostri prodotti dovevamo fare cotture veloci ed eliminare i fondi pesanti”. Cominciano ad arrivare, finalmente, i nuovi clienti, e tanti sono stranieri “più pronti a queste cotture”.
Pappardelle accoppiate farcite con formaggi di fossa e asparagi
I maestri stranieri e la scoperta del territorio
Nel 1991 arriva la prima Stella, e anche sul Gambero Rosso la valutazione è in crescita. I viaggi continuano, e sono fondamentali: “vedevamo quel che succedeva in Francia e in Spagna e, tornati a casa, cominciavamo a studiare il nostro territorio”. I punti di riferimento sono tanti: “ognuno mi ha dato qualcosa”. Ci sono Michel Bras per il lavoro sulla materia prima, le erbe, soprattutto, ma anche lumache e agnello, c'è Carme Ruscalleda, la ricerca di Ferran Adrià, e Andoni Luis Aduriz “per i fiori e le erbe quasi sconosciuti” e poi Baratasegui. Ne nomina tanti, Valeria: “è stato un bellissimo periodo di studio e ricerca”. Fondamentale per una come lei che non ha mai fatto scuole di cucina: “volevo fare uno stage, una volta, ma mi hanno chiesto 2 anni: ho rinunciato. Ma poco dopo è arrivata la Stella e ho capito che quel che facevo era la cosa giusta. E sono andata avanti”. Nascono negli anni '90 il piccione con le ciliegie, il cinghiale con olive servito con le patate come fosse arrosto ma cotto al momento. Oppure le pappardelle accoppiate farcite con formaggi di fossa e asparagi o al sugo espresso di faraona, in estate. È una cucina sempre più immediata, preparata al momento. “Si incominciava anche a lavorare bene, e non volevamo fermarci”. E non lo fanno. Quasi in contemporanea arrivarono le Tre Forchette del Gambero Rosso e le seconda Stella Michelin, “eravamo felicissimi”. Era il 1999. Poi la storia, con il Gambero Rosso, ha avuto un andamento incostante, con la riconquista delle Tre Forchette nell'edizione attuale, quella 2018 “per noi una grande soddisfazione” ammette Valeria. “Siamo contenti che siamo stati riscoperti, per così dire. Noi abbiamo avuto sempre lo stesso approccio, lavorando seriamente e serenamente su una grande materia prima, rispettando la nostra terra e la nostra tradizione”, riflette un po' e poi aggiunge “ma in alcuni anni, chi doveva valutarci non lo ha ritenuto allo stesso livello del prima e di oggi”. Le guide ci sono anche per questo: assumersi la responsabilità di cambiare una valutazione. “Ora speriamo venga riconfermato: siamo felici di far parte di questa èlite”.
Ravioli di olio extra vegine di olica con colatura di alici e capperi su coulis di pomodoro. Caino
Questioni di famiglia
Il tempo passa e anche il figlio Andrea entra a far parte della squadra. È del 2003 il suo famoso (e premiato) tortello ripieno di olio. Nonostante la sua esperienza in cucina, Andrea è uomo di sala e di cantina (che oggi conta 20mila bottiglie e 2000 etichette), di cui oggi ha preso le redini, lasciando a Maurizio la cura della vigna, dell'orto e degli ulivi di famiglia. Ma solo dopo una lunga esperienza negli Stati Uniti da una parte all'altra del pass.
Agnello e dintorni
La materia prima
“L'allevamento è tutto” risponde convinta Valeria quando le chiedi dei suoi fornitori, “chi assaggia il maialino rimane stupito e mi chiede come lo faccio” racconta “la verità è che non è buono perché lo faccio io ma perché è buono il maiale: in zona ci sono aziende biologiche che che ci danno carni buonissime”. Una è quella dei fratelli Tistarelli. E così per i formaggi e altri prodotti. Per le verdure no, perché per quelle c'è il loro orto, soprattutto in estate: in inverno cinghiali e caprioli mangiano il raccolto, ma con la bella stagione Caino è autosufficiente per gli ortaggi. “Non so se riuscirei a cucinare allontanandomi dalla nostra Maremma” spiega raccontando anche dei legumi che si trovano in questa zona stretta tra alto Lazio e bassa Toscana: lenticchie nere di Onano o i ceci, “che puliamo ancora con la cenerata, con la cenere del nostro camino”. Negli anni i piatti sono cambiati moltissimo, pur mantenendo sempre molta coerenza, quello che non è cambiato è il modo di lavorare: “non siamo abituati a ordinare per telefono un taglio di carne, quando vado da Roberto (Tistarelli ndr) prendo l'animale intero, devo riuscire a lavorarlo tutto quanto. Vengo da una famiglia di contadini, sono abituata a fare così”. In menu quindi si trovano dagli zampetti alla pancia, fino alle interiora, come in un piatto recente, Agnello e dintorni “una spirale di crema di patate arrosto e l'agnello in ogni sua parte, da quella più pregiata al cervello fritto. Un viaggio nelle diverse intensità di gusto”.
L'ingresso. Foto: L. Tessaro
In cammino verso la leggerezza
Nel frattempo qualcosa è cambiato, sono nate le stanze che proiettano Caino nel mondo dei Relais & Chateaux, e anche il ristorante non è più quello di un tempo, con quel salottino che ora accoglie gli ospiti per un aperitivo o il dopo cena “non ci piaceva che chi entrava si trovava davanti ad altri clienti che mangiavano”, così i tavoli dalla prima sala sono andati via come quello accanto alla cucina. E altri progetti continuano, di pari passo con il lavoro in cucina “i piatti nuovi sono fatti stando sempre con i piedi per terra” spiega, anche se tutte le tecniche moderne, “quelle apprese dalla Spagna e non solo” sono a disposizione “uso quelle che aiutano a migliorare il prodotto che abbiamo in mano, molte servono, ma quando sono estreme è il gusto che ci rimette”.
Non la solita bistecca
Ci sono twist moderni, fantasiosi nelle presentazioni, ma che mantengono stretto un legame con il territorio, come per esempio la pancia di maiale servita in una griglia insieme alle verdure “e a un sasso di fiume sbollentato su cui versiamo un'acqua al finocchietto che sprigiona un fumo profumato che ricorda quello della griglia, anche la salviettina è imbevuta in una tisana al finocchio”. Poi c'è Non la solita bistecca, un parallelepipedo di carne, il cuore del controfiletto di manzo, servito con una preparazione a base di fagioli “a ricreare l'idea della fiorentina”, delle crocchette liquide di crema di fagioli neri conditi, accompagnata dagli sfilacci di carne portati in tavola in un pentolino, un manzo proposto in due servizi “che va bene anche per i palati che non sono pronti per il piccione o altre carni”. In menu anche riletture di piatti tipici: coniglio in marinata, tortelli toscani, il panino con il lampredotto (straordinario). E poi il piccione “che in un modo o nell'altro non manca mai”.
Tagliolino canocchie cacao e pmpelmo
Un passo verso il mare
Oggi la cucina si sposta sempre più verso una maggiore leggerezza, i fondi di carne sono sostituiti da salse, brodi ed estratti di verdure, ed è stato introdotto anche del pesce, “dell'Argentario o di Montalto” spiega “non cappesante, per dire, ma pesce nostro: calamaro, seppia, triglia, sgombro e via così, abbiamo cominciato a mescolare carne e pesce e poi a creare piatti di solo pesce”. Cose come il tagliolino di farine antiche con canocchie, cacao e pompelmo “che incontra molto il gusto dei clienti”, come pure il cannolo con cicorietta di campo con scampi crudi ed emulsione di arancio, o la tagliatella di calamaro, gamberi crudi, salsa di patate affumicate e gelato di impepata di cozze. I clienti gradiscono. Ma come è il cliente di Caino, oggi? “Lavorare in questo momento è bello, perché tanti sono consapevoli di quel che mangiano, sono preparati e apprezzano”. Ma non è sempre stato così: “il periodo peggiore è stato qualche anno fa, quando sono cominciate le trasmissioni sulla cucina. Bastava che uno guardasse una puntata che si sentiva un superesperto che pensava di aver capito tutto”. I danni della spettacolarizzazione di certa cucina, di cui in molti hanno parlato. E Valeria Piccini che cliente è? “Sono una bella forchetta!” esclama ridendo “apprezzo tantissimo ma non sono di quelle che si mette a tavola per fare un esame. Mangio come se fossi a casa mia, poi le mie riflessioni le faccio in un altro momento”.
Caino – Montemerano (GR) – via della Chiesa, 4 - 0564602817- http://www.dacaino.com/
a cura di Antonella De Santis