Ragazzi Down e ristorazione. Una formula che convince sempre più. Ecco il nuovo progetto dell'Associazione Italiana Persone Down.
L'esperienza più nota è forse quella della Trattoria degli Amici, costola gastronomica della Comunità di Sant'Egidio, ristorantino che impiega volontari, professionisti della ristorazione e persone con sindrome di Down e gestito da una cooperativa sociale. Un bellissimo progetto di solidarietà e un'azienda che mira a essere autonoma e a fare profitto, come altre imprese sociali: Assurd pucceria di Potenza, la Locanda alla mano di Milano, 21 grammi di Brescia o il Ca' Moro di Livorno (qualcuno ricorderà la visita motivazionale di Cannavacciuolo in Cucine da Incubo). Tutte realtà esemplari ma per forza di cose difficili da replicare, dove creare anche percorsi lavorativi protetti per chi necessita di particolari condizioni difficilmente replicabili altrove. L'obiettivo dell'integrazione non può però essere legato all'eccezionalità di poche situazioni ma alla quotidianità di molte – normalissime – attività. Perché la disabilità in età adulta, come giustamente proclamato sul sito della Trattoria, può essere una risorsa per la società.
La Sindrome Down
L'aspettativa di vita, negli anni, si è allungata del 60%: negli anni '40 era intorno ai 12-13 anni, circa 33 nel '79, ora siamo a 62. Questo dipende non solo dai progressi della medicina nel combattere le patologie correlate (per esempio le cardiopatie), ma dallo stile di vita condotto “in Italia oggi chi è affetto dalla sindrome vive principalmente in famiglia e non in un istituto come un tempo” dice Anna Contardi, coordinatrice nazionale Aipd – Associazione Italiana Persone Down. Sono, dunque, ragazzi che diventeranno adulti. E da adulti potranno essere un carico per la società – come avveniva un tempo - oppure una risorsa, come sempre più frequentemente accade oggi. L'emancipazione delle persone con sindrome di Down è un discorso che riguarda tutti: sostenere l'integrazione e l'autonomia delle fasce più deboli, ma in grado di provvedere a se stesse, significa avere una società più sana e inclusiva, in grado di convogliare energie e risorse verso altre situazioni che richiedono assistenza più specifica. Per questo il primo passaggio è quello legato alla formazione all'indipendenze: gestire soldi, muoversi in città, avere il senso del tempo e degli orari, assolvere da soli a tutte quelle attività sa espletare nella quotidianità. È un prerequisito necessario per abitare da soli e lavorare.
Di cosa c'è bisogno
Alle persone con sindrome di Down servono più tempo e più impegno per raggiungere un buon livello di autonomia e per l'apprendimento. E serve un inserimento protetto nel mondo lavorativo. Ma quel cromosoma in più, nella coppia 21, in genere comporta disabilità intellettive non invalidanti. Porta caratteristiche fisiche, come il taglio degli occhi, e psicologiche, e - come per la maggior parte delle persone non affette da Trimosia 2 - una predisposizione a certe patologie e per alcune attività, per esempio il riordino e il controllo, vista l'attitudine alla precisione. Una potenzialità se ben impiegata. Senza contare che la conquista di un posto nella società, che solo fino a pochi anni fa sembrava inaccessibile, quel senso di riscatto e l'orgoglio per i propri risultati sono molle determinanti nell'approccio al lavoro.
Il progetto ValueAble: riconoscere le persone come portatrici di valore
Per questo l'Aipd sta sviluppando dei percorsi professionali, e uno riguarda il settore dell'ospitalità e la ristorazione: “che permette un inserimento di qualità perché ci sono molte mansioni semplici e ben organizzate” spiega Anna. Tant'è che le prime collaborazioni, con McDonald's, risalgono al 1992, poi c'è stato il caso – diventato un reality tv – di Hotel 6 Stelle, per l'inserimento in strutture alberghiere e tante altre esperienze. Ora, però, si vuole dare più solidità a questo impegno, con ValueAble: un progetto italiano finanziato con fondi europei, che fa seguito a On my own at work, un primo percorso di inserimento professionale in Italia, Spagna, Portogallo, oggi anche in Turchia, Ungheria, Germania.
Presentato da poco - ma dopo un anno di messa a punto – ValueAble vuole rafforzare quanto già fatto, lanciando un marchio che possa motivare le strutture che accolgono persone Down evidenziandone il coinvolgimento e consolidandone il legame con le associazioni di assistenza: “aiutiamo le aziende e ne riconosciamo l'impegno con un marchio: di bronzo se accolgono il tirocinante, d'argento se l'assumono, d'oro se si fanno ambasciatori del progetto e di una politica di non discriminazione e di inserimento” spiega, e aggiunge che il marchio implica un'assunzione di responsabilità da parte delle aziende che richiedendolo si impegnano a continuare nel percorso.
La rete
Oggi in Italia siamo nell'ordine del centinaio di esperienze lavorative e di tirocini, molti di più se contiamo anche gli stage brevi, con circa 24 strutture: catene alberghiere, fast food, ristoranti, bar. I locali aderenti a ValueAble, complessivamente, attualmente sono 52, ma è un numero destinato a crescere. Chi partecipa entra in un catalogo sul sito valueblenetwork.eu in cui, oltre alla visibilità dell'azienda, è indicata anche la struttura formativa con cui può collaborare, per semplificare l'interazione tra i vari attori. Sul sito non mancano testimonianze di chi, come azienda o come cliente, è entrato in contatto con questo progetto. Dal punto di vista pratico, l'associazione ha strutturato una formula di tutoraggio nell'avvio del tirocinio per individuare le strategie e la formazione necessaria, oltre alla selezione dei ragazzi.
Gli strumenti
“Abbiamo sviluppato due supporti, uno per i ragazzi e uno per le aziende” spiega Anna. Il primo è una app personalizzabile con l'agenda lavorativa, la lista dei compiti da svolgere, o magari - per chi deve preparare la sala dei ristoranti - le foto che mostrino l'apparecchiatura corretta, o le immagini dei prodotti da usare per chi si occupa delle pulizie. Tutte cose che i ragazzi possono consultare per diventare indipendenti il più rapidamente possibile. “Poi abbiamo realizzato 14 brevi video destinati ai colleghi, per ovviare agli errori più comuni (come l'eccesso permissivismo) e illustrare il modo corretto di interagire o spiegare le cose”. L'obiettivo ultimo non è fare beneficenza, ma rendere, il prima possibile, queste persone delle risorse per le attività in cui lavorano. “Questo avviene se si individuano chiaramente le mansioni più adatte per ognuno, e le giuste procedure” spiega Anna. Compatibilmente con le ore di lavoro, “consigliamo 25 ore, perché sono quelle in cui la produttività è più alta” dice Anna.
Produttività
Del resto anche prima del progetto ValueAble si sono avute esperienze simili, come quella di Valentina Burtone, addetta alle pulizie della società di catering Magnolia di Monteporio Catone, “Viene tre volte a settimana ed è completamente indipendente” racconta Filippo Buonomini “Dopo un primo periodo di affiancamento con un operatore dell'associazione”. Come se la cava? “In termini lavorativi Valentina è produttiva ed efficiente”. Non è un risultato isolato: nelle grandi catene di fast food, la valutazione della produttività è intorno al 70-80%, dunque allineata agli standard aziendali. Alfredo, un ragazzo dell'Aisp, è oggi capomagazziniere McDonald's a piazza di Spagna. Una posizione conquistata per merito. Ormai molti fast food (McDonald's e Burger King) hotel (come Ostuni Palace, foto in copertina) e ostelli, Gdo (Carrerfour), store (Bottega Nespresso), bar (Mychef dell'Aeroportodi Roma o Bacio di Latte di Bari) strutture come il Mercato Centrale di Roma e ristoranti impiegano persone Down.
Un caso emblematico è quello del Veritas di Napoli (Due Forchette per la guida Ristoranti d'Italia del Gambero Rosso e una Stella Michelin) in cui lavora Francesco Torre, arrivato poco dopo lo chef, Gianluca D'Agostino, di cui è amico di famiglia. “Quando si presentò l'ipotesi di prenderlo, ne discutemmo con il maître, e decidemmo di provare” racconta “inizialmente eravamo preoccupati di non riuscire a gestire la situazione”. Francesco si occupa della preparazione della sala fino alla mise en place e poi passa in cucina dove è di supporto ai cuochi per il riordino delle cose, “Francesco è molto ordinato e preciso, i ragazzi si appoggiano molto su di lui” spiega lo chef “è una figura molto importante, difficile da trovare e formare, un jolly nel vero senso della parola”. Dunque esperienza positiva? “Per noi, sì, senza dubbio” risponde lo chef “e credo lo sia anche per lui, visto che sta con noi da più di 7 anni”.
Il caso più recente è quello di Niccolò Manfredi, che dal 3 aprile - seguendo il progetto ValueAble - ha cominciato uno stage da Giulietta (alter ego del ristorante Romeo all'Aventino a Roma) dove poi verrà assunto: “arriva alle 18,30, fa il commis: prepara la sala e fa il primo servizio”, spiega Fabio Spada, con Cristina Bowerman patron della pizzeria. Il tutor, Vincenzo, arrivato per correggere eventuali errori nelle relazioni o nei modi in cui gli vengono spiegate le mansioni, sta riducendo la sua presenza affidando Niccolò al suo referente della struttura “così da avere informazioni univoche da una sola persona”. È bastata una settimana per capire con chi avevano a che fare: “Niccolò ha una dedizione al lavoro e correttezza comportamentale che in molti dovrebbero imparare. Ha rispetto delle regole, senso del lavoro e ha affrontato lo stress della prima settimana con lo spirito giusto” dice Spada. Con il resto del gruppo si integra bene, vuoi perché è molto tranquillo, vuoi perché per le nuove generazioni, come sono in molti da Giulietta, questa disabilità è ormai familiare. Per i clienti, invece? “Noi non abbiamo percepito stupore o imbarazzo”, la sua presenza è parsa un fatto normale. Niccolò è fidanzato e la sua ragazza già lavora in un fast food. Prossimamente si sposeranno.
Il valore aggiunto
“C'è imposto dalla legge di ridare qualcosa alla società” dice Filippo Buonomini, che ricorda che le aziende sopra i 15 dipendenti devono assumere una cosiddetta 104, una categoria protetta,“ma sono convinto sia un ottimo investimento. A prescindere dalla legge”. Perché è vero che nei primi giorni Valentina non era produttiva, ma la sua presenza ha portato qualcosa di positivo, migliorando il lavoro di tutti. “Un clamoroso valore aggiunto dal punto di vista emotivo: le poche volte che manca si sente” spiega che le dinamiche lavorative sono cambiate: “il suo contributo è enorme: siamo molto più efficienti anche grazie al suo lavoro, all'affetto e ai sorrisi che regala, magari in momenti di stress, anche solo dal punto di vista produttivo, ogni azienda dovrebbe avere una persona così” dice Filippo, e la sua testimonianza, aggiunge, è la stessa che farebbe chiunque abbia in azienda una persona con la sindrome di Down “Ho conosciuto manager che gestiscono Burger King e impiegano persone dell'Aipd, le loro esperienze sono identiche alle mie”. Stessa cosa dagli uffici Bulgari di Roma dove il fattorino è un ragazzo dell'Aipd: “Abbiamo fatto interviste per sapere come andava, e tutti ci hanno confermato un netto miglioramento delle dinamiche della squadra” racconta Anna.
Come cominciare
Una delle difficoltà, spiega ancora Anna, è avvicinare le persone. Molti farebbero qualcosa, ma non sanno come. O sono spaventati che possa non andare bene. È un timore legittimo.“Abbiamo proposto all'Aipd di prendere altri stagisti per formare nuovi ragazzi, in comunione con loro” dice Spada.Così che altri ristoratori possano inserirli nella squadra senza provvedere alla formazione ma potendo contare su persone già professionalizzate. Ma chi è titubante, può anche cominciare con brevi stage che sono comunque utili ai ragazzi per inizare l'inserimento nel mondo professionale: “sono in debito nei confronti di questa associazione” racconta Filippo “l'Aipd fa qualcosa di utile per i ragazzi, le famiglie, e le persone che ci entrano in relazione”. Senza contare un aspetto fondamentale: il cambiamento dell'immagine sociale cui abbiamo assistito egli ultimi anni e cui ancora assisteremo. Oggi è del tutto normale vedere un ragazzo Down andare al lavoro da solo, con i mezzi pubblici, passeggiare, fare sport o viaggiare. Oggi è così, domani sarà meglio. Anche grazie a progetti di sensibilizzazione come quello che vede insieme la coppia Bowerman-Spada con Maria Felicia Brini, di Masseria Felicia: un vino dedicato al progetto, in vendita da Giulietta. Si tratta di un piedirosso 2014 di una vigna storica, che grazie al consiglio di Alessio Pietrobattista ha trovato un destino unico: sostenere l'Aiap. Lo riconoscete dalla grafica e dal nome: Io posso, perché sei tu. Serve altro?
http://www.valueablenetwork.eu/
a cura di Antonella De Santis