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Fichi d'India: il libro della FAO per promuovere la coltivazione della pianta

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Originario del Messico ma naturalizzato in tutto il bacino del Mediterraneo, il fico d'India è uno dei frutti più apprezzati da grandi e piccini. E una preziosa risorsa per il territorio e la nostra salute. A confermarlo, la FAO, che per tutelare il prodotto ha lanciato un libro informativo sulla pianta.

Il fico d'India: storia e proprietà

Gli Atzechi lo chiamavano nopalli e lo consideravano un frutto sacro: il fico d'India è uno dei prodotti più antichi della storia dell'uomo, nato sull'altopiano del Messico ma diffusosi in breve tempo in tutte le civiltà affacciate sul Mediterraneo. Il nome stesso, infatti, secondo la leggenda, sembra essere derivato dall'italiano Cristoforo Colombo che, credendo di essere approdato in India, fu fra i primi europei ad assaggiare il frutto, ribattezzandolo con il nome con cui ancora oggi è conosciuto. Spazi aridi, terreni vulcanici, fra i tre e cinque metri di altezza e un tronco senza rami: sono queste le caratteristiche della pianta, presente in diverse tipologie e forme, e diffusa soprattutto nel Sud Italia. La polpa può essere di diversi colori, dal giallo (Sulfarina) al bianco (Muscaredda) fino ad arrivare al rosso (Sanguigna), e queste tre tipologie si trovano distribuite un po' ovunque su tutto il territorio. Nella tradizione contadina più antica della pianta non si butta via niente, e anzi, ne vengono utilizzate diverse parti: le pale, private di spine, venivano infatti usate in passato per “conzare” (condire) le insalate, oppure tagliate a metà e infornate, consumate poi per curare diversi malanni come le tonsilliti o la febbre. I fiori, invece, hanno proprietà diuretiche, e ancora oggi sono disponibili presso diverse erboristerie, da utilizzare per infusi e tisane. I frutti sono la parte più gustosa e ricca di proprietà nutraceutiche, a cominciare dal potassio, magnesio, calcio, fosforo, senza dimenticare le vitamine A e C.

Il fico d'India in Sicilia

In particolare, il fico d'India è uno dei simboli della Sicilia, al punto che spesso si ritrova a fare da contorno a cartoline e quadri rappresentativi dell'isola. Nella regione, sono ben 4000 gli ettari dedicati alla coltivazione della pianta, così profondamente radicata nella cultura gastronomica dell'isola che l'estate scorsa ha portato alla nascita di una nuova realtà di tutela e promozione di questo frutto, il Distretto Produttivo del Ficodindia di Sicilia, una squadra di professionisti del settore che si propone di valorizzare al massimo la produzione e il consumo del fico d'India siciliano. Con l'obiettivo di fare rete fra i quattro maggiori poli produttivi delle zone di Santa Maria del Belice, Roccapalumba, San Cono e Belpasso, in modo da creare le giuste sinergie per essere quanto più competitivi possibile sul mercato regionale e nazionale.

Il progetto della FAO

Il frutto rappresenta, dunque, una risorsa importante per la nostra salute, ma anche per l'alimentazione e il foraggio del bestiame nelle zone aride, in Sicilia e non solo. Per questo, la FAO ha riunito esperti del settore per condividere le proprie conoscenze nel tentativo di aiutare gli agricoltori e i responsabili politici a fare un uso più strategico ed efficiente di questa specialità naturale spesso dimenticata. Inoltre, per diffondere le tecniche agronomiche, la FAO e l'ICARDA ( Centro internazionale per la ricerca agricola nelle aree aride) hanno lanciato lo studio Crop Ecology, Cultivation and Uses of Cactus Pear, un libro con informazioni aggiornate sulle risorse genetiche della pianta, sui suoi tratti fisiologici, su quali suoli preferisce e sulla vulnerabilità ai parassiti. Il volume offre anche suggerimenti su come sfruttare le qualità culinarie della pianta, com'è stato fatto per secoli in Messico. "I cambiamenti climatici e i crescenti rischi di siccità sono motivi validi per aggiornare gli umili cactus allo stato di raccolti essenziali in molte aree", ha affermato Hans Dreyer, Direttore della Divisione Produzione e Protezione delle Piante della FAO. Non solo: la presenza di cactus può contribuire anche al miglioramento del suolo, agevolando così la crescita di altre piante. Come si legge nel libro, infatti, in Tunisia, per esempio, i raccolti di orzo sono aumentati notevolmente da quando il fico d'India viene coltivato nello stesso appezzamento di terra.

Il fico d'India contro la siccità

In particolare, la pianta può rivelarsi un valido alleato per combattere l'annosa questione della siccità. Durante le recenti problematiche nel sud del Madagascar, infatti, il cactus si è rivelato una fonte cruciale di cibo, foraggio e acqua per la popolazione locale e gli animali. La stessa zona aveva sofferto inoltre di una grave carestia anche e soprattutto in seguito allo sradicamento della pianta, che alcuni consideravano una specie invasiva, ma che è stata poi prontamente reintrodotta. Il fico d'India, poi, può diventare parte integrante di sistemi agricoli e zootecnici sostenibili, che strizzano l'occhio all'alimentazione sana e soprattutto al mondo del biologico, nel pieno rispetto del territorio.

a cura di Michela Becchi


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