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Peliti's, il Vermut indiano

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Vi raccontiamo la storia di Federico Peliti, un pasticcere italiano in India, alla corte della Regina Vittoria, che ha ideato un vermut con un mix di spezie indiane e di erbe piemontesi, fra esotismo e tradizione. 

Fra Torino e il vermut o vermouth (alla francese) c’è una lunga storia. Con tanto di data ufficiale: 1786, quando nella bottega di piazza Castello (che oggi non esiste più, ed è ricordata da una targa all’angolo con via Viotti) Antonio Benedetto Carpano iniziò a produrre e vendere del vino bianco aromatizzato con le spezie, prima fra tutti l’artemisia, in tedesco – il Carpano pare fosse un fan di Goethe – per l’appunto vermut. Tra fine ‘700 e fine ‘800 a Torino e nel Torinese si contano decine di produttori, alcuni diventati famosi – Martini con il socio Rossi, Gancia, Cinzano... - altri tornati in auge in questi ultimi anni, merito del revival del vermouth, anche – forse soprattutto - in versione mixology. Tra questi, un vermouth che ha una storia davvero unica: il Peliti’s. Il genitivo sassone ci mette sulla strada. Si tratta di un vermut (usiamo la grafia originale) che ha a che fare con il mondo anglosassone, ma secondo un’angolazione speciale: passando per l’India.

Federico Peliti

Federico Peliti: un carignanese a Calcutta

Tutto comincia con una famiglia di mastri da muro e agrimensori originaria della frazione Ganna del comune di Valganna, nel Varesotto, arrivata a Carignano, nelle campagne attorno a Torino, alla metà del Settecento per costruire il Duomo e stabilitasi in Piemonte. Federico nasce nel 1844. È un giovane pieno di talento artistico, allievo di Vincenzo Vela all'Accademia Albertina. Si diploma nel 1865, e poi nel 1867-68 entra in contatto con alcune ditte di confettieri e pasticceri fornitori di Casa Savoia, e diventa decoratore di dolci. Quando Richard Bourke, VI conte di Mayo, diventa viceré delle Indie britanniche, nel 1869, bandisce un concorso proprio a Torino, all’epoca una delle capitali della pasticceria europea, per scegliere il pasticciere che dovrà seguirlo in India. Ed è Federico Peliti ad aggiudicarsi il posto. Inizia così l’avventura indiana, a Calcutta, dove le sue creazioni di pasticceria riscuotono grande successo. Quando Lord Mayo viene assassinato nel 1872 Peliti decide di rimanere in India, mettendosi in proprio. Apre una pasticceria, con annesso ristorante frequentato dalla high society inglese. Le sue foto (era pure appassionato di fotografia) testimoniano una “vita indiana” sorprendente per un piemontese, all’epoca. Antesignano del catering (è rimasto nella memoria un pranzo organizzato in Birmania per il Principe di Galles nel 1891, con trasporto di portate , tavoli, sedie in treno e in battello), Peliti ingrandisce la sua attività a Shimla, capitale estiva dell'India britannica, dove apre un albergo e un ristorante, citato da Kipling – amico di Peliti - nel racconto Il risciò fantasma. A Shimla costruisce Villa Carignano (oggi scomparsa) e inizia a fare la spola fra India e Italia per organizzare l’esportazione di prodotti.

Il vermut e le ricette ritrovate

E il vermut? Peliti crea una distilleria proprio per la produzione di un vermut esclusivo, il Peliti’s, confezionato dal 1877 espressamente per la Casa Reale inglese su richiesta del Re Edoardo VII. Vermut che riscuote un enorme successo, vincendo medaglie alle varie esposizioni internazionali: a Calcutta, a Parigi, a Torino. Il segreto di questo successo sta nella formula, mix di spezie indiane e di erbe piemontesi, sulla base del moscato del Monferrato. Fra esotismo e tradizione.

Dopo la morte di Federico Peliti, anche il suo vermut viene progressivamente dimenticato e la produzione cessa negli anni ‘40. Finché entra in scena la pronipote, Letizia Peliti, che qualche anno fa, riordinando documenti e lettere nella casa di famiglia di Carignano dopo la morte dei genitori, ritrova le ricette del bisnonno Federico, che suo padre aveva pazientemente recuperato accarezzando il sogno di produrre nuovamente il vermut di casa.

Il caso vuole che il genero di Letizia, Antonio Salvatore, sia un esperto del settore: a Torino si occupa di uno dei locali di tendenza del quartiere di San Salvario, il Lanificio, e già produce, insieme al socio Filippo Camedda, un amaro un po’ insolito a base di chinotto: l’Amarot.

La rinascita del Vermut Piliti's

Il bisnonno aveva messo a punto molte ricette” - spiega Letizia Peliti – “ne abbiamo recuperate una quarantina e insieme ad Antonio ne abbiamo scelte due, la XXII, più classica, e una decisamente indiana , la XXXVII, che utilizza spezie esotiche, soprattutto il cardamomo, all’epoca consigliata dopo un piatto al curry. E io sono davvero felice di aver realizzato il sogno di mio padre di vedere rinascere il vermut di famiglia”.

Ma come è stato accolto questo “vermut indiano” a Torino? “C’è molto interesse, il vermut attraversa una vera riscoperta, e noi abbiamo creato un prodotto di grande qualità, utilizzando solo Moscato piemontese e spezie selezionatissime, e curando ogni dettaglio”. Ci racconta Antonio Salvatore. “Le etichette per esempio, che Filippo ha realizzato con particolare raffinatezza, riprendono i colori e i disegni dei tatuaggi di henné e dei tessuti indiani”. Un bel prodotto che i due soci stanno cercando di spingere anche all'estero, sopratutto in America dove c'è grande interesse.

Come si degusta al meglio il Peliti’s? “Il rosso è perfetto per le miscelazioni, ma lo proponiamo anche in purezza, il bianco è più insolito, da degustare da solo, per coglierne tutta la complessità. In tal senso vorremmo aprire, sempre qui a Torino, uno spazio degustazione con uno show room, per far provare ai torinesi appassionati di vermut e ai turisti un “nuovo” storico prodotto che ha un tocco in più: è frutto dello spirito visionario di un piemontese-indiano protagonista di un’incredibile avventura”. Per la cronaca: Federico Peliti non ha mai preso la cittadinanza britannica ed è tornato in Piemonte poco prima della guerra. È morto a Carignano, nel 1914, ed è sepolto nel cimitero della cittadina.

 

www.pelitis.com

Per gustare un Peliti’s: Lanificio San Salvatore - Torino - via Sant’Anselmo 30 – 011 0867568

 

a cura di Rosalba Graglia

 

 

 

 


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