Gualtiero Marchesi: sorrisi, insegnamenti, rigore e tanto genio. Il ricordo di Riccardo Camanini
“Di Marchesi ricordo i sorrisi, tanti sorrisi” comincia a raccontare Riccardo Camanini, all'Albereta con Gualtiero Marchesi dal '93 al '97 “una cosa atipica, in un lavoro come il nostro, pieno di tensioni e di persone che approcciano in ben altro modo” e continua: “mi stupiva questo signore elegante e acculturato sempre pieno di sorrisi. Lui e la moglie Antonietta mi ricordano due zii di Milano, due professionisti, colti ed eleganti, cavalieri del lavoro.
Gualtiero Marchesi e Riccardo Camanini
Era la Milano bene degli anni '80. Io, figlio di operai, di un paesino poco lontano, ne sentivo il confronto e rimanevo incantato”. Una famiglia estremamente elegante, dice: “lei, una signora raffinata, cordiale; non mancava mai di entrare in cucina a salutare, mai una volta abbia preteso cose impossibili”. Continua: “del primo impatto ho un ricordo vivissimo: due rampe di scale e davanti a me una cucina come non avevo mai visto prima: 25-30 cuochi in divisa candida, silenzio assolto, assaggiavano tutto con il cucchiaio, la schiena dritta”. Qualcosa di completamente diverso da quanto provato fino ad allora. Aveva 19 anni e un'esperienza limitata a qualche albergo di poco conto. Nulla che gli avesse fatto amare il suo lavoro “forse avevo trovato la strada per incanalare la passione e non viverla con la frustrazione che avevo avuto finora”.
Raviolo aperto di Gualtiero Marchesi
Gli insegnamenti
“Abbiamo perso un genio rivoluzionario, un uomo di cultura e di rottura” si rammarica“ha riletto la cucina e ha lasciato segni profondissimi, un vero grande innovatore”. Ora qualcosa cambia, “è come quando muoiono i nonni e tu non sei più nipote”. Perché non sono solo i piatti che hanno fatto la differenza con Marchesi, ma il suo approccio, del tutto nuovo. Si sa che aveva l'abitudine di fermarsi a discorrere con i suoi cuochi, ma non di cucina. O almeno non solo di cucina. Era una specie di accademia, e un privilegio “dopo un anno che ero lì mi chiama nel suo studio, probabilmente su indicazione di Berton e Cracco: un'emozione incredibile. Io mi limitavo ad ascoltare perché molte nozioni erano fuori dalla mia portata, mescolava gastronomia, arte, musica, testi antichi” aggiunge: “forse è lui che mi ha dato questa passione per la lettura”. Gli ultimi periodi ci sono state parecchie chiacchierate, per Camanini. Gli insegnamenti fondamentali? “Una delle frasi che si sente più ripetere è: la miglior forma di insegnamento è l'esempio. Ed era davvero così, con lui. Tu lavoravi e lui ti seguiva per correggere e migliorare” e poi? “Semplicità e sintesi, ricordo che ho cominciato a capire forse dopo un anno e mezzo o due ogni piatto nuovo, ne vedevo la leggibilità, ma anche un punto di vista diverso; spiazzava il fatto che fosse estremamente sottile e leggibile”. Ricorda il suo modo di disegnare e mettere su carta le nuove idee, semplice e quasi astratto “ha toccato la mia sensibilità. Marchesi mi ha cambiato la vita, ha lasciato delle tracce profondissime: la mia evoluzione non sarebbe stata questa” dice ancora “tutti quelli che ci sono passati credo che abbiano sentito una grande umanità, la cultura, chi ha potuto lavorarci insieme ne ha subìto la fascinazione” ci pensa e aggiunge “le cucine dei marchesiani sono riconoscibili, anche se diverse tra di loro”
Il torchio di Riccardi Camanini
I piatti
“Ricordo l'attenzione che doveva esserci nel risotto alla milanese, ricordo con precisione il gusto, la ripetizione del gesto, la quantità e il colore dei pistilli. E poi la foglia d'oro, la prendevi da quelle scatolette nere e la poggiavi con tantissima attenzione, con un colpo deciso”. Non era mica semplice. “E infatti non lo potevano fare tutti”. La perfezione in ogni momento:“per scegliere 20 foglie di prezzemolo per il raviolo aperto si impiegava anche un'ora: dovevano essere consistenti ma non troppo coriacee, tutte uguali, perfette”. E la milanese: “era difficilissima: il burro doveva arrivare a metà carne, bisognava cuocere 7 minuti da una parte 5 dall'altra, pulire l'osso con il raschietto, usare pane grattuggiato leggermente seccato e passato al setaccio che doveva dorare perfettamente”. Uguale ritualità per il filetto: “nappato nelle pentole di rame. Non si doveva fare rumore neanche per raccogliere il burro. C'era molta severità” spiega: “anche questo faceva parte di un'estetica incredibile”. E poi le grandi cotture, la gestualità, le tecniche che hanno matrici storiche profonde, quei passaggi che sono delle grandi maison: “selvaggina, grouse, piccione scozzese, e poi, anatra al torchio, lepre alla royale: ho visto tutto lì”. Nel periodo di Natale ancora di più: “preparazioni complicatissime e materie prime pazzesche, si faceva la petite marmite in onore di Escoffier, le terrine, e tutte le persone più importanti venivano da Marchesi”. Vissani, Pierangelini e molti stranieri “che avevo visto solo sulle pagine Le gand table du monde”. Per la ristorazione, Marchesi era il centro del mondo, tutto passava da lui, “un giorno si facevano delle foto, io impiattavo e il fotografo scattava dall'alto poggiando il piatto per terra, a un certo punto gli dice: 'Marchesi c'è un ragazzo che vuole conoscerti, e vorrebbe che tu conoscessi la sua cucina, si chiama Massimiliano Alajmo, ha 21 anni e 2 stelle' ... che periodo!”.
Il risotto di Gualtiero Marchesi
I primi
Da Marchesi, che 35 anni fa osò presentare in Italia un menu senza pasta né riso, le paste avevano un ruolo fondamentale: “per esempio le orecchiette con cime di rapa e foie gras: geniali, lo stesso per il raviolo aperto, una rivoluzione estetica o lo spaghettino con il caviale ed erba cipollina, una sintesi della semplicità, ancora oggi un piatto da premio” e lo dice uno che ai primi è stato per un anno e mezzo, come comis e poi come capopartita“mi ha influenzato moltissimo, ancora oggi il mio riso è fatto alla Marchesi, con l'acqua, e continueremo a farlo così” e aggiunge “ricordo l'attenzione che bisognava mettere anche nel riso”. Il riso, uno di quei passaggi iconici che porteranno per sempre il marchio Marchesi, se realizzati in un certo modo.
Una teiera di Lido 84
La sala
E poi i profumi, i servizi d'argento delle uova, tutti quegli oggetti per la tavola: “oggi vado dal suo stesso argentiere, Afferri. È un regalo per me”. Un certo gusto che si ritrova nella sala di Lido84 arriva da lì: “i servizi di Ginori, per esempio, sinonimo di italianità e classicismo”. Alcuni dei piatti usati, Marchesi glieli avrebbe poi regalati, come quello oro e quello del Gap, il grande antipasto di pesce. Nella sua cucina totale, il servizio a tavola era parte stessa della cucina. E molto di Camanini deriva proprio da lì. Da alcune esperienze indimenticabili. Come una cena con il fratello, ancora ben impressa nella memoria dopo circa 30 anni: “Giancarlo ricorda piatto per piatto tutto il menu: astice con peperoni, raviolo aperto, spaghettino al caviale ed erba cipollina, riso e oro, filetto alla Rossini e soufflé al frutto della passione con gelato alla vaniglia. E Gualtiero Marchesi e Antonietta che passarono al tavolo”.
Al Lido 84
“Al Lido veniva a trovarmi, sarà stato 4 o 5 volte in 3 anni. Era un regalo per me. E anche in quelle occasioni era quello di sempre: estremamente elegante, educato, con la battuta pronta”.E poi i sorrisi, quelli sempre. Ricordi bellissimi, dice. “Mi bacchettava, anche: sul cappello, che diceva che bisogna portare sempre, e deve essere altissimo” per dare valore al lavoro di cuoco. “E poi non era d'accordo su come impiattavo il risotto nero: come poteva piacergli?”.
Il risotto di Riccardo Camanini
Ma il famoso spaghetto al burro e lievito di birra? “Quello sì, gli piaceva, mi diceva che lì avevo capito, perché avevo toccato il lato più intimo delle persone, con il burro. È tra le prime cose che uno mangia, e poi c'è l'odore di lievito”. Quello spaghetto l'ha messo in carta anche Ducasse: “eh fa piacere, giorni fa è venuto uno dei suoi ragazzi a vederlo”. E poi il lavoro in sala “Mi ha fatto i complimenti anche per quello, sia per i rognoni e il torchio che per la cacio e pepe”. La prendeva in aggiunta al degustazione, quello da 7 portate. “Ci stupivamo di quanto mangiasse anche se aveva già più di 80 anni”.
Al Fiordaliso no, invece, non era mai andato, eppure era il primo posto dopo il suo rientro in Italia “Al Fiordaliso non eri tu, diceva. Un passaggio così, ma che serviva. Alla fine sono stato fortunato che ho aperto a 40 anni, Marchesi a 48” sorride “è proprio vero che non c'è un tempo stabilito per le cose”.
Lido 84 – Gardone Riviera (BS) - corso Zanardelli, 196 - 0365 20019- http://www.ristorantelido84.com/
a cura di Antonella De Santis