Parte da Roma per scoprire produttori e allevatori virtuosi e poi li fa conoscere ai cuochi che cercano prodotti diversi da quelli che si trovano in giro. Così nasce Orme. Il selezionatore dei grandi chef.
“Andare a prendere il latte, nelle mie estati da ragazzino, significava andare dal pastore”. E così per la ricotta, o altri prodotti. “Fare lo slalom tra le pecore era una cosa normale” ed era normale il rito dell'incontro e dello scambio di saluti con chi il latte lo aveva munto e la ricotta preparata. Per Federico Falchetti, creatore di Orme, l'origine del suo lavoro è tutto qui. In quelle estati in Abruzzo, terra di origine della sua famiglia, trascorse tra la natura e i suoi frutti e i ritmi della vita contadina. Tra quei sapori e quegli incontri “quella legata al mondo contadino è un'umanità che mi è sempre piaciuta”. Poi ci sono stati i fine settimana da ragazzo, “quando invece di andare a fare bisboccia prendevo la mia bella guida e andavo in giro per ristoranti, che all'epoca, verso la metà degli anni '90, erano spesso in provincia”. Quella era l'occasione per conoscere il territorio, i produttori della zona. E magari tornare a casa con un bottino di prodotti ben più autentici di quelli che si trovavano normalmente in giro. “La natura è il miglior produttore di cibo al mondo, se si rispettano le sue leggi”.
Orme – Valori Agricoli ritrovati
Federico crea Orme quattro anni fa, dopo 15 anni nella ristorazione “in cui mi sono reso conto che c'era uno scollamento tra quella realtà e il mondo agricolo così come lo avevo conosciuto io”. Quello in cui c'è un rapporto diretto con il produttore, in cui i frutti del lavoro cambiano stagione dopo stagione e a volte giorno dopo giorno. Prodotti buoni ne girano nella ristorazione, intendiamoci, soprattutto quella di alto livello “ma spesso di produzione seriale e non italiani”. Insomma quel rapporto non mediato e profondo con la terra e i contadini, in città, è difficile da rintracciare. E nella perdita di questa relazione diretta si perde, in parte, anche il riconoscimento del valore del lavoro e delle storie che ci sono dietro. “Abbiamo una miniera di biodiversità, e poi ci sono moltissime realtà audaci, spesso giovani che hanno fatto una scelta di vita precisa” racconta “di ritorno alla terra, preferendo a un maggiore guadagno una maggiore qualità della vita” abbracciando un approccio focalizzato a ritrovare l'armonia con la natura e la coltura dei luoghi attraverso l'agricoltura più che a massimizzare la produzione. È la cosiddetta decrescita felice. Ma questo troppo spesso nelle cucine professionali non arriva. O meglio non arrivava. “Orme vuole essere un ponte tra le realtà contadine e quegli interpreti della cucina particolarmente attenti alla materia prima” quella dagli alti valori organolettici, ma che racchiude anche altri valori, legati al rispetto dell'ambiente, dei ritmi della natura e delle specie autoctone, in genere meno produttive rispetto a quelle selezionate da decenni, ma che racchiudono preziose riserve di cultura contadina e identità. Senza contare che “usare prodotti più onesti, mangiare meglio significa anche tenere i soldi sul territorio”
Il lavoro
“Vado in giro a cercare contadini” spiega “chi fa un'agricoltura molto tradizionale nel massimo rispetto della naturalità e della stagionalità, senza serre, senza chimica, senza forzature” e li mette in contatto con i cuochi “uso spesso un'immagine: è come se prendessi per mano lo chef e lo portassi in un farmer's market con 75 banchi di aziende agricole diverse ”, tanti sono i produttori con cui lavora oggi Federico. Un lavoro non facile, perché per loro natura questi prodotti non possono assicurare quella costanza e quella regolarità che serve ai ristoranti. Eppure la risposta c'è: tra i clienti di Orme alcuni dei maggiori e più blasonati locali capitolini, ma anche moltissime tra le nuove leve “c'è una generazione di cuochi trentenni particolarmente sensibile all'origine dei prodotti”. I vostri prodotti? “Lavoriamo tutte le categorie merceologiche, abbiamo circa 400-450 prodotti e cerchiamo in tutti lo stesso approccio”. Le merci arrivano al magazzino di Roma dove vengono controllate e solo dopo distribuite “abbiamo i nostri mezzi, anche il trasporto - come tutto il resto - viene fatto da noi, è lo stesso modo di lavorare delle nostre aziende: uno dei criteri di selezione, infatti, è che siano a ciclo chiuso e tutto venga realizzato internamente”.
Tra carne e pesce
Per la carne si rivolge ad allevamenti che seguono un metodo naturale, con monte non programmate, dunque la disponibilità dei capi non è sempre la stessa: “abbiamo 3 razze bovine, 4 suine, 3 ovine, tutte autoctone” spiega “ci sono differenze genetiche e legate alla latitudine degli allevamenti, così lo chef può scegliere secondo le sue esigenze e noi, avendo diverse opzioni, abbiamo sempre prodotto” lavorato esattamente come richiede lo chef, cosa possibile visti i numeri limitati e il rapporto diretto che si riesce a creare tra produttore e ristoratore, mediato solo da Federico e il suo staff, che oggi conta una decina di persone. Discorso simile sul pesce: “su questo la questione della variabilità delle consegne è ancora più esasperata: proponiamo solo quel che è stato pescato secondo criteri non intensivi e di prossimità e rispettando il fermo pesca”. Come vi approvvigionate? “Facciamo l'asta a Fiumicino tre volte a settimana e abbiamo un collegamento con una cooperativa i pescatori sarda che ci manda 2 volte a settimana quel che hanno pescato quel giorno”.
Il lavoro con i ristoranti
“Il nostro lavoro è settimanale” dice, e intende che ogni settimana si azzera tutto e si ricomincia da capo. Anche perché quelli selezionati da Orme sono prodotti mai uguali a se stessi e spesso da una settimana all'altra cambia completamente la disponibilità. “La difficoltà maggiore” spiega“è coordinare due mondi che hanno tempi, modalità operative e reazioni completamente diversi, come quello della campagna e quello della ristorazione, è un po' come far viaggiare insieme una barca a motore e una a vela”. Come ci si riesce? “Giocando di programmazione”. E invece per un cuoco - soprattutto nei fine dining i cui menu non prevedono certo l'inserimento di piatti del giorno - non è un ostacolo avere una materia prima sempre diversa per fare la stessa preparazione? “No, sono loro che creano il piatto a partire dal quel che arriva. C'era una richiesta latente e la voglia di avere un prodotto unico da interpretare”. Come hai intercettato questa esigenza? “Avevo già dei rapporti personali con i ristoranti” in virtù della vita precedente, “ma poi è stato il passaparola a fare il resto: questo è un mondo che fa molta rete, chi vuol una materia prima che abbia determinate caratteristiche virtuose si conosce e si scambia informazioni”. Ma così non c'è il rischio che abbiano in tanti lo stesso prodotto che è, sì, diverso dalla massa di quel c'è sul mercato - serializzata, uguale da Torino a Palermo - ma uguale a quello di un altro bravo ristoratore, magari di cui condivide intenti e stile di cucina? “Ai cuochi posso far scegliere qualcosa fatta quasi solo per loro, raramente qualcuno usa la stessa materia prima, e comunque mai più di 2 o 3 hanno lo stesso prodotto”. Su quanti? “Serviamo circa 80 ristoranti” la maggior parte a Roma, alcuni in Umbria. “All'inizio avevamo anche qualche cliente a Milano, ma per fare questo lavoro serve un contatto diretto, anche perché quel che lavoriamo è naturale: c'è tanta rotazione di settimana in settimana e poi ci sono molte variabili, basta un giorno di pioggia. Quindi bisogna avere un rapporto costante con i ristoranti”.
Questioni di comunicazione
A ben pensare non confrontarsi in modo continuativo con i cuochi sarebbe contrario allo spirito di questo progetto, che nasce a partire dalla ricerca di autenticità e di un contatto diretto. Dalla voglia di creare un ponte - Federico la chiama cinghia di trasmissione - tra i due mondi. Lui va da chi coltiva e alleva nel modo che dice lui, e poi fa conoscere il frutto di quel lavoro ai ristoratori “questa è un po' la nostra anima, la parte più importante è far conoscere l'esistenza di un prodotto e le sue caratteristiche a chi può interessare. La vendita è quasi una conseguenza”. Ed evidentemente di questo c'era necessità “in fondo è quel che farebbero i cuochi stessi se non avessero i tempi limitati imposti dal loro lavoro”. La difficoltà maggiore? “Trovare ragazzi appassionati che abbiano la voglia e l'umiltà di mettersi a studiare”, chi vuole un certo tipo di prodotto vuole anche saperne di più: “in questo lavoro devi portare un valore aggiunto: la conoscenza. E quella la devi fare tu, si tratti di spiegare la differenza tra un suino allevato in gabbia e uno come si deve, o di illustrare le 200 tipologie di pomodoro che lavoriamo”.
Orme | Roma | via Garessio 44 | tel. 06 88596021 | https://www.facebook.com/ORME-Valori-agricoli-ritrovati-1634340283505467/
a cura di Antonella De Santis
foto Alberto Blasetti