A distanza di 30 anni dalla prima uscita sulle pagine del Gambero Rosso, pubblichiamo di nuovo il Manifesto Slow Food.
Era il 3 novembre 1987 quando Il Gambero Rosso, all'epoca supplemento del quotidiano Il Manifesto, pubblicava a sua volta un Manifesto, quello di Slow Food. A firmarlo gente come Dario Fo e Francesco Guccini, Sergio Staino e Valentino Parlato e un altro gruppetto di teste pensanti e capaci di un approccio trasversale come Folco Portinari, Gina Lagorio, Enrico Menduni e altri. Oltre ovviamente a Carlo Petrini e a Stefano Bonilli. Furono loro a metter su quella think task quanto mai eterogenea destinata ad avere un'influenza che – nella politica e ella cultura – probabilmente non ha avuto pari.
A leggerlo ora quel manifesto, quella collazione di intenti aerei e utopie, quell'elenco di NO al mondo così come si presentava sul finire degli anni '80, il mondo della velocità come valore supremo cui si intendeva contrapporre quello della lentezza, lascerebbe presupporre un programma astratto fatto di ideali più che di idee concrete. Qualcosa destinato a smuovere gli animi più che a creare un effettivo cambiamento nella vita delle persone. E invece non è stato così. Quel manifesto è forse il più fulgido esempio di utopia fatta storia, di rivoluzione mossa da un sentimento di equità e cambiamento di valori che ha avuto un impatto a valanga su tutto il mondo. Più di un movimento politico, più di una corrente culturale, più di una religione, Slow Food è stato capace di convogliare energie e pensieri e operare un cambiamento di risonanza planetaria: milioni di persone, contadini, artigiani, cuochi, imprenditori in 160 paesi del mondo hanno aderito più o meno consapevolmente alle istanze lanciate il 3 novembre 1987 per un cibo buono, pulito e giusto (ma questo slogan sarebbe arrivato solo dopo). E tutto a partire da frasi (nate dalla penna di Folco Portinari) come “contro coloro, e sono i più, che confondono l’efficienza con la frenesia, proponiamo il vaccino di una adeguata porzione di piaceri sensuali assicurati, da praticarsi in lento e prolungato godimento” e ancora “lo slow-food è allegria, il fast-food è isteria” in uno stile visionario e ispirato che a tratti occhieggia quello di certi manifesti artistici del primo novecento.
Certo, dietro a queste parole, c'era già Arcigola, nato nel 1986 (come “movimento per la tutela e il diritto al piacere” a partire dal luogo privilegiato della tavola, sintesi di storia, cultura, convivialità) e trasformatosi nel 1989 in Slow Food, nello storico incontro di Parigi ospitato all'Opéra-Comique.
Di questa storia, che giunge fino agli anni nostri, parla la riedizione a firma di Gigi Padovani, del volume Slow Food. Storia di un’utopia possibile, uscito nel 2005 con il titolo Slow Food Revolution. Da Arcigola a Terra Madre. Una nuova cultura del libro di Carlo Petrini e Gigi Padovani (Rizzoli 2005). Tra quel volume a quello attuale passano 12 anni, fedelmente riportati nell'ultima versione, profondamente rivisitata e aggiornata, che include anche la voce di personaggi – anche loro condizionati dalla visione di Carlo Petrini - come Guido Barilla, Alessandro Ceretto, Oscar Farinetti, Giuseppe Lavazza. Un volume che segue, passo passo, le evoluzioni di un movimento che ha fatto la storia a partire da quelle parole pubblicate sul Gambero Rosso 30 anni fa e che oggi vi riproponiamo.
Il Manifesto di Slow Food
Questo secolo è nato, sul fondamento di una falsa interpretazione della civiltà industriale, sotto il segno del dinamismo e dell’accelerazione: mimeticamente, l’uomo inventa la macchina che deve sollevarlo dalla fatica ma, al tempo stesso, adotta ed eleva la macchina a modello ideale e comportamentale di vita. Ne è derivata una sorta di autofagia, che ha ridotto l’homo sapiens ad una specie in via di estinzione, in una mostruosa ingestione e digestione di sé.
È accaduto così che, all’alba del secolo e giù giù, si siano declamati e urlati manifesti scritti in stile sintetico, “veloce”, all’insegna della velocità come ideologia dominante. La fast-life come qualità proposta ed estesa ad ogni forma e a ogni atteggiamento, sistematicamente, quasi una scommessa di ristrutturazione culturale e genetica dell’animale-uomo. Uno stile adeguato al fenomeno, pubblicitario ed emozionale, di slogan intimidatori più che di razionali considerazioni critiche. Giunti alla fine del secolo non è che le cose siano molto mutate, anzi, la fast-life si è rinchiusa a nutrirsi nel fast-food.
Due secoli abbondanti dopo Jenner, i sistemi di vaccinazioni contro ogni male endemico ed epidemico si sono ormai imposti come gli unici che diano garanzie. Perché non seguire, allora, e assecondare la scienza nella sua lezione di metodo? Bisogna prevenire il virus del fast con tutti i suoi effetti collaterali. Perciò contro la vita dinamica propugniamo la vita comoda. Contro coloro, e sono i più, che confondono l’efficienza con la frenesia, proponiamo il vaccino di una adeguata porzione di piaceri sensuali assicurati, da praticarsi in lento e prolungato godimento. Da oggi i fast-food vengono evitati e sostituiti dagli slow-food, cioè da centri di goduto piacere. In altri termini, si riconsegni la tavola al gusto, al piacere della gola.
È questa la scommessa proposta per un progressivo quanto progressista recupero dell’uomo, come individuo e specie, nell’attesa bonifica ambientale, per rendere di nuovo vivibile la vita incominciando dai desideri elementari. Il che significa anche il ripristino di una masticazione giustamente lenta, la riacquisizione delle norme dietetiche salernitane, ingiustamente obsolete, nel recupero del tempo nella sua funzione ottimale, di organizzazione del piacere (e non della produzione intensiva, come vorrebbero i padroni delle macchine e gli ideologi del fast). D’altra parte, gli efficientisti dai ritmi veloci sono per lo più stupidi e tristi: basta guardarli.
Se poi imbarbariti dallo stile di comunicazione dominante, si reclamassero gli slogan a tutti i costi, certo non mancherebbero: a tavola non si invecchia, per esempio, sicuro, tranquillo, sperimentato da secoli di banale buon senso.
Oppure: lo slow-food è allegria, il fast-food è isteria. Sì, lo slow-food è allegro!
D’altra parte sappiamo da millenni che il pieveloce Achille non raggiungerà mai la tartaruga, la quale esce vittoriosa dalla corsa. Con bella lezione non solo matematica ma morale.
Ecco, noi siamo per la tartaruga, anzi, per la più domestica lumaca, che abbiamo scelto come segno di questo progetto. È infatti sotto il segno della lumaca che riconosceremo i cultori della cultura materiale e coloro che amano ancora il piacere del lento godimento. La lumaca slow.
Folco Portinari
Carlo Petrini
Stefano Bonilli
Valentino Parlato
Gerardo Chiaromonte
Dario Fo
Francesco Guccini
Gina Lagorio
Enrico Menduni
Antonio Porta
Ermete Realacci
Gianni Sassi
Sergio Staino