Campagna acquisti del gigante britannico alla ricerca di cuochi italiani. Ecco come si è svolta la selezione (e perché non dobbiamo essere così soddisfatti).
Ferisce un po' l'orgoglio doverlo ammettere, ma (anche) questa volta gli inglesi ci hanno dato una bella lezione in fatto di organizzazione, ristorazione, rispetto per il lavoro e per le competenze acquisite. Stavolta è stata Soho House, la mega catena mondiale che raggruppa brand della ristorazione, dell'accoglienza e dell'intrattenimento.
Con circa 72 outlets in Europa e America, proprietaria oltre che degli alberghi di lusso anche di brand familiari a gourmet e golosi come Cecconi's, The Ned, Soho Farm House, Electric Diners and Cinemas, Cafe Boheme e Cowshed Products - solo per citarne alcuni - Soho House è venuta fino in Italia per reclutare le figure professionali da impiegare nel progetto di espansione che ha in atto. Una massiccia campagna acquisti che segue quelle – tuttavia sfortunate – di Germania e Spagna. Obbiettivo? Reclutare chef de partie, demi chef de partie e commis de partie da impiegare subito nel Regno Unito.
Le selezioni
Tre gli open day, l'ultimo il 16 ottobre a Roma, ma ce ne sono altri in programma e a stretto giro si sapranno esattamente le date. Tra i requisiti richiesti una buona conoscenza della lingua inglese, soprattutto per quanto riguarda la terminologia tecnica di cucina/sala, almeno 2 anni di esperienza nel settore e la disponibilità a trasferirsi seduta stante in Inghilterra.
La risposta non si è fatta attendere: più di 600 le candidature che, scremate al 50% circa, sono arrivate fino alla prova pratica.
“Abbiamo selezionato curriculum per curriculum, chiamando al telefono ogni candidato per sincerarci della coerenza tra quanto scritto e l'atteggiamento che abbiamo riscontrato parlando a voce”. Enrico Camelio, docente presso l’Istituto alberghiero Pellegrino Artusi a Roma e consulente di Soho per questa avventura italiana, ci racconta così quanto accaduto. “Non è stato facile selezionare i candidati da portare alla prova pratica, anzi... Nei curricula abbiamo letto di tutto: vista l'appetibilità della proposta, si tende a esagerare. Delle oltre 600 candidature, in parte per la selezione telefonica e in parte per mancata presenza, circa la metà ha sostenuto la prova pratica”. E qui arriva la parte quasi spettacolare della storia.
La prova pratica
Ricorda, neanche troppo da lontano, lo stile Masterchef. Un candidato per postazione, chiamato a scegliere se preparare un primo, un secondo o un dolce con ingredienti che restano segreti fino al via. Mistery box. Poi la prova. Su dei tavoli si scoprono le materie prime cui si dovrà attingere e un periodo molto limitato di tempo per l'esecuzione. Nel frattempo i giudici, cioè gli chef arrivati direttamente da Londra per valutare i candidati, si aggirano tra i banchi osservando in silenzio e con discrezione il lavoro di ognuno. Infine la prova di inglese.
La tensione è alle stelle, d'altra parte la posta in gioco è alta. “Molti sono impacciati, altri nervosi, qualcuno ha paura” e gli si legge in faccia “qualcun altro fa lo spavaldo, poi c'è quello bravo sul serio, quello che si impegna al massimo. Insomma, in fatto di varietà proprio non possiamo lamentarci”.
La posta in gioco
Ma veniamo al sodo, ossia ai compensi visto che qui in palio non c’è la vittoria di uno show televisivo ma un vero posto di lavoro. Quella di Soho è un'offerta di tutto riguardo rispetto agli standard nostrani. Per i suoi ristoranti, hotel e club privati in Inghilterra la proposta prevede per lo chef de partie un salario annuale tra le 24.000 e le 26.000 sterline. Per il demi chef si scende a 22.000/24.000 sterline. Il commis si attesta tra le 20 e le 22. Non male.
Ma non è tutto. Oltre alla paga, decisamente alta per gli standard italiani e dignitosa per quelli inglesi, dato che la sede di lavoro è a Londra, è prevista una free accomodation per le prime 2 settimane. In caso di sede di lavoro fuori Londra (Oxfordshire o Somerset), l'alloggio è per tutta la durata del contratto.
E poi un welcome pack di assistenza per l'arrivo nel Regno Unito con una quota di 400 sterline a copertura delle spese di viaggio e le prime spese di assestamento, versate direttamente sul nuovo conto corrente inglese prima di iniziare a lavorare. Assistenza per aprire conto corrente bancario e ottenere codice fiscale sanitario inglese. Contratto di 12 mesi più il pagamento di ogni eventuale ora di straordinario. 28 giorni di ferie all'anno e possibilità di unire i 2 giorni di riposo settimanali. In ultimo, ma non per importanza, l'opportunità di seguire corsi di lingua parzialmente pagati dall'azienda. Questo sono le carte sul tavolo pur di venirsi ad accalappiare il meglio che esce dalle nostre scuole alberghiere. Insomma lo Stato italiano investe per formare giovani talenti che però poi vanno ad arricchire una industry straniera e molto difficilmente torneranno in Italia per restituire ciò che hanno avuto in anni e anni di formazione gratuita di qualità.
Luci e ombre
E allora perché, come si diceva in apertura, a raccontar queste cose l'orgoglio ne esce ferito? Un player d'Oltremanica sceglie proprio l'Italia per reclutare i professionisti che impiegherà nelle sue strutture di alto e altissimo livello. Che la cucina italiana e quindi i suoi interpreti siano i più apprezzati al mondo è risaputo, quindi che c'è da stupirsi?
L'altra faccia della medaglia riguarda tutto quello che resta in ombra. Riguarda un sistema che forma delle figure professionali per poi regalarle al primo che si presenti con una proposta dignitosa. Perché qui non si parla di oro, ma di dignità. Riguarda cose come il contributo volontario di 170 euro richiesto in Italia dal terzo anno di alberghiero che serve a sostenere l'acquisto delle materie prime per le esercitazioni e che gran parte delle famiglie sceglie di non pagare. Riguarda una politica del lavoro che disincentiva le assunzioni perché il dipendente costa all'attività quasi il doppio di quanto segnato in busta paga (e parliamo di una busta paga spesso miserabile). Ma soprattutto riguarda 600 persone tra le quali potrebbero nascondersi talenti da non lasciarsi sfuggire, o, perché no, i nuovi Niko Romito o Massimo Bottura. E che l'Italia di fatto accompagna fuori dalla porta.
a cura di Saverio De Luca