Yogurt, kefir, kombutcha, salsa di soia, miso, tempeh: nomi stranieri presenti su tutti gli scaffali dei supermercati. Parliamo di fermentazione: tecnica antichissima di conservazione e purificazione dei cibi, che torna in auge anche in cucina. molti chef utilizzano prodotti fermentati per i loro piatti. Il cibo diventa più sano e amplifica i sapori. E in casa torna il fai-da-te dei tempi delle nonne.
Il gran chiasso della bolla tecnologica si è affievolito e si fanno strada nuove (si fa per dire) tecniche. Non che la tecnologia sia finita, anzi. Però, già da qualche stagione, non è più la protagonista della cucina e non solo in Italia. I cuochi hanno ricominciato a prendere in mano le redini dei fornelli e soprattutto degli ingredienti. La tecnica della fermentazione, utilizzata da sempre per conservare gli alimenti, torna a conquistare la passione di tanti giovani (e non solo) cuochi e a stimolarne la curiosità. Ma torna anche nelle case, dove sempre più sono le persone attente alla salute, alla salubrità, alla digeribilità degli alimenti, alla loro naturalità e alla nutraceutica, ovvero alla loro capacità di fornire nutrienti.
Salvatore Tassa Piatto dell'orto
In una recente intervista, Salvatore Tassa racconta di come abbia radicalmente cambiato il suo approccio creativo e di come si sia profondamente convinto che usare la tecnica della fermentazione (tanto più se abbinata alla crioestrazione) sia il vero modo di fare cucina di territorio: “Niente più dei batteri autoctoni” figli dei luoghi in cui si trovano “riesce a marcare il cibo. Ogni luogo ha batteri differenti che interagendo con il cibo danno luogo a sapori e aromi differenti”. E ne è così convinto che ha passato un paio di settimane a Parigi, nella cucina di Yannick Alléno al Ledoyen, dove centinaia di barattoli pieni di verdure in acqua e sale stanno lì a fermentare anche da anni, in attesa di essere provati e testati da una delle più importanti cucine di Francia e servite ai facoltosi ospiti in cerca di stupore ed emozioni.
Savatore Tassa Trota
Insieme a Tassa, sono diversi i cuochi italiani che da tempo seguono questa antica tecnica, utilizzata soprattutto negli anni in cui non esistevano i frigoriferi o nelle realtà dove climi estremi non permettono di avere ingredienti freschi in molti mesi dell’anno. Non a caso, non sono state tanto le ricette delle nonne a riportare in auge la fermentazione, bensì i giovani e curiosi, creativi interpreti della Nuova Cucina del Nord.
Emrico Mazzaroni Albicocche lattofermntate
Enrico Mazzaroni
Grazie a loro, molti hanno riscoperto anche sulle rive del Mediterraneo questa tecnica arcaica. Come Enrico Mazzaroni, cuoco colto con due lauree (in Diritto Internazionale e in Storia delle Religioni), che ha studiato a fondo e da autodidatta le fermentazioni “moderne” portate avanti dai suoi colleghi del Nord e nelle montagne di Montemonaco alle spalle dei Piceni (prima che il terremoto distruggesse il suo Tiglio costringendolo a trasferirsi a Porto Recanati) e nella sua acquacotta (uno dei piatti più poveri della cultura contadina) ci mette il radicchio latto-fermentato che ne arricchisce il sapore e dà eleganza al tutto. “Ho scoperto come le idee e le pratiche della cucina del nord siano estremamente più vicine alla mia sensibilità e alla mia situazione, sia negli ingredienti che nelle tecniche” sorride Enrico “E la trovo una cucina più immediata e semplice”. La filosofia l’ha incontrata seguendo Magnus Nilsson, lo chef svedese del Fäviken Magasinet con i suoi 12 coperti immersi nel bosco di Järpen. La lattofermentazione, ad esempio, l’ha incontrata frequentando la cucina della trattoria di famiglia dove una signora rumena faceva la lavapiatti. “Ci ha insegnato a conservare le verdure in una salamoia al 2%. Si applica a ogni verdura: si pulisce e si lava il vegetale e si mette a marinare sommerso in acqua e sale, per una settimana a temperatura ambiente. Quando si cominciano a vedere le bollicine, vuol dire che la fermentazione è avviata: si ripongono in frigo e si consumano nel giro di 2-3 settimane. Poi, studiando e osservando i miei colleghi nordeuropei, ho visto che la stessa cosa si può fare e meglio con il sottovuoto: le verdure pulite vanno nel sacchetto con il 2% del loro peso in sale, quindi si ripongono al fresco per un paio di settimane. Sono pronte quando il sacchetto sottovuoto si gonfia. A questo punto si estraggono, si lavano e si possono riporre nuovamente sottovuoto in frigo dove si conservano a lungo”.
E ora, in riva all’Adriatico nel suo nuovo Tiglio in Vita, quella tecnica la utilizza per abbinare alla triglia le albicocche: “Ci piace molto l’acidità unita al pesce e il contrasto che regala l’albicocca è davvero fantastico, in particolare con un pesce di carattere come la triglia”. Le albicocche latto-fermentate – affumicate e lasciate poi a per un mese in soluzione salina al 3% al buio – accompagnano sia un ristretto di teste di triglia, sia un ragù di triglia che condisce gli spaghetti. Sapori di territorio, per quanto creativi, e che descrivono bene una contemporaneità costruita partendo dal lontano passato.
Cristiano Tomei Spaghetti con salsa di pane fermentato
Cristiano Tomei
“Ci sono nato con la fermentazione… Sono stato il primo!” sorride con il suo brio toscano Cristiano Tomei dal suo Imbuto nel Lu.C.C.A. (centro di arte contemporanea) di Lucca. “Mio nonno faceva il contadino, la fermentazione era sempre con noi” racconta “Vino a parte, si usava per conservare i ravanelli, o lo zucco (la cimetta delle rape). Oggi, i ravanelli li metto freschi in acqua, aceto e zucchero: fanno tutto da sé. Il ravanello è molto terroso e tende ad avere un aroma molto molto forte: somiglia un po’ alle cipolle della giardiniera di una volta”. Anche le rape sono molto adatte per esser fermentate: hanno una bella terrosità che si esalta. “La fermentazione è molto divertente sul piano del gusto” spiega Cristiano “ha uno spettro aromatico molto vasto e complesso: parti da una materia prima ottima e la esasperi. Poi, mi piacciono i paradossi: chiudi gli occhi e mangia la panzanella. Ecco, se lasci la panzanella all’aria si inacidisce il pomodoro che fermentato fa molto male. Io della panzanella uso il pane e lo tratto con una tecnica lituana, paese dove è nata mia moglie: prendo un pane nero che in Lituania usano per fare la birra lo bagno in acqua e lo lascio fermentare al sole. Poi ci condisco gli spaghetti insieme ai fiori di elicrisio, abbinandoli magari a degli scampi o anche solo a del buon Parmigiano. Il pane fermentato ha un sapore fortissimo ed esaspera tutti gli aromi del pane fresco: sa di iodio, minerale, lievito… Ora è diventata una tecnica fighetta, ma viene dall’esperienza della cultura materiale povera. E ti dà la possibilità di esaltare i gusti…”
Davidde Del Duca Anguilla con verdure e riso fermentati
Davide Del Duca
Lasciando da parte Niko Romito (da pochissimo in testa alla guida Ristoranti d'Italia) che grazie alla fermentazione è approdato a un nuovo concetto di piatto presentando la verza come portata principale, un altro giovane cuoco di tendenza che utilizza molto la fermentazione è Davide Del Duca, titolare dell’Osteria Fernanda a Roma dove dà nuovi spunti e stimoli a una delle tradizioni gastronomiche più saporite d’Italia. “Mi piace poter avere forti e complesse acidità senza utilizzare per forza agrumi. Ad esempio per servire un pesce potente e grasso come l’anguilla, uso riso e radicchio, daikon e rape: le verdure le lascio in succo di melagrana per due settimane (poi le passiamo velocemente sottovuoto a 60° per 10 minuti); il riso invece viene cotto, poi lasciato in parte della sua acqua unita a zucchero e fermenta per una ventina di giorni: prima di usarlo si fa bollire di nuovo, pochi minuti, e ci si fa una salsa di riso acido… Il cibo diventa anche più digeribile e più completo dal punto di vista nutrizionale” spiega Davide “Spesso associo cibo fermentato a elementi grassi: essendo molto alta l’acidità, il suo sapore deve essere unito a una nota grassa altrimenti rischia di essere preponderante. È una tecnica molto semplice, che si può fare tranquillamente in casa, molto economica”. Si può fermentare tutto: dalle verdure alle carni, ma anche formaggi magari partendo da semi di frutta secca. “Ma molto si lavora sui vegetali: sono il 90% dei nostri lavori. Fermentiamo le nespole per fare i chutney da usare con l’anatra alle nocciole, ad esempio, o le zucchine…”
Le Colline Ciociare | Acuto (FR) | via Prenestina, 27 | tel. 0775 56049 | http://www.salvatoretassa.it/
Tiglio in Vita | Porto Recanati (MC) | viale Scarfiotti, 47 | tel. 071 9798839
L'Imbuto al Lu.C.C.A. | Lucca | via della Fratta, 36 | tel. 340 5758092| www.limbuto.it
Reale | loc. Casadonna | piana Santa Liberata snc | Castel di Sangro (AQ) | tel. 0864 69382 | www.ristorantereale.it
Osteria Fernanda | Roma | via del Monte Crescenzo, 18 | tel. 347.4459593 | www.osteriafernanda.com
a cura di Stefano Polacchi
Articolo uscito sul numero di settembre 2017 del Gambero Rosso. Per abbonarti clicca qui