Nella sua nuova vita, ad appena 34 anni, Gianluca Gorini riesce a dare il massimo nel cuore dell’Appennino Tosco Romagnolo, in quella che fu la storica casa (e trattoria) di Giuliana Saragoni. La cucina di Gorini – che nulla ha a che vedere con la tradizione di questa terra – riesce a parlare al cuore di chi qui vive e a essere provocatoria e rassicurante in un inedito (almeno per lui) mix di rabbia creativa e di rotonda armonia.
Le ricette le trovate sul prossimo Gambero Rosso in edicola, quello di novembre… Intanto vi raccontiamo un po’ di lui. Fa strano ritrovarlo nella casa che fu per anni e anni il regno di Giuliana Saragoni e di suo marito, grande cercatore di erbe sull’Appennino Tosco Romagnolo.
Gianluca Gorini Sara Silvani
Fa strano per noi, ma per lui, per Gianluca Gorini, è invece normale, come trovarsi a casa: “Sono orgoglioso” sorride“Tanto che non ho esitato un momento a lasciare la targa che accoglie gli ospiti: Benvenuti alla Locanda del Gambero Rosso”. Che ora, però, è daGorini, nel cuore di San Piero in Bagno, a due passi da Bagno di Romagna e dall’Hotel Tosco Romagnolo di Paolo Teverini (Due Forchette per la guida Ristoranti d'Italia del Gambero Rosso), uno dei maestri di Gianluca. L’altro è stato (o è?) Paolo Lopriore: “Un genio!”. E ci troviamo d’accordo.
La sala
L’arrivo in pieno Appennino
L’apertura del nuovo locale ha poco più di un mese. “Ed è sempre pieno, a pranzo e a cena” fa lui “Non ce lo aspettavamo, davvero. E ovviamente ne siamo felici”. La prima cosa che salta all’occhio è l’età media del suo pubblico: sostanzialmente giovane. La sala, piena – vabbè, non sono più di 30 coperti, ma di mercoledì sera in pieno Appennino non sono pochi – non supera di molto gli –enta. C’è chi sceglie i 4 piatti della degustazione base, a 40 euro, chi sceglie alla carta due piatti e un buon calice, ma anche chi decide di affidarsi alle 7 portate dello chef raccontati da Sara Silvani – con cui Gianluca condivide la vita e una bimba di 4 anni – e da Matteo Albanesi (un volto noto a chi ha frequentato la sala del Reale di Niko Romito), che segue la cantina.
La cantina
“Ho avuto tante proposte da quando chiusi con Le Giare” racconta Gianluca “A un certo punto non sapevo davvero cosa fare: a 34 anni devi un po’ decidere dove puntare nella vita. Non riuscivo a farmi un’idea. È stata Sara a darmi una ricetta: chiudi con tutto e tutti, rifletti, chiarisci dentro di te e poi decidi. Così è stato: non rispondevo più al telefono, mi sono ritirato a pensare, ad approfondire il mio animo. E ho deciso: venire qui è stato come tornare a casa, una casa dove non ho mai vissuto, ma che in un certo senso mi aspettava”. Continua ancora“La mia compagna è di qui, la sua famiglia alleva bestiame e lo fa in modo eccezionale, questa è una zona ricchissima di suggestioni e di spunti… E la vita è tranquilla. In paese mi salutano come uno di loro, mi sostengono. E in molti son venuti a mangiare da me e tornano. Non era scontato, per me è un punto di orgoglio”.
Animelle di vitello, erba cipollina, capperi e tè verde
Una cucina equilibrata, ma non facile
E c’è da dire che la sua non è certo una cucina facile. Se da Paolo Teverini ha appreso l’importanza della tecnica e dell’organizzazione, la dolcezza di una cucina tonda e armonica, Gianluca ha preso anche molto da Paolo Lopriore: la provocazione del cubo di manzo alla brace (ovviamente crudissimo e rossissimo) e dell’insalata mista (alghe ed erbe senza null’altro, da mangiare con le mani) – solo per citare due degli ultimi piatti del Canto di Siena prima dell’ultima parentesi più “toscaneggiante” e dell’abbandono dello chef oggi al Portico di Appiano Gentile vicino Como – sono ancora molto vivi nella mente di Gianluca e anche nella sua cucina. I suoi piatti ora possono spaziare liberamente tra questi due estremi, entrambi contemporanei ed espressione di due diversi approcci alla cucina italiana: dalla dolcezza deltortello di erbe spontaneein cui l’estratto di salvia infonde un nervo amaro, fino alla lepre cruda e ai dessert, che sono fantastici fine pasto leggeri e pieni di giochi e di rimandi tra sensazioni calde e fredde, aromi e toni di dolce e amaro (anzi, amari). “Io qui mi sento più tranquillo e disteso” spiega lo chef “E credo che anche i miei piatti stiano decantando, si arrotondano, si affinano… Sentivo il bisogno di un contesto amico, familiare, di una realtà in cui poter esprimere la mia creatività. la mia voglia di cucinare ma senza troppi e pressanti urgenze o condizionamenti. Ora faccio cose in modo diverso rispetto alle Giare, mi sento di vivere una pienezza che prima cominciava a mancare”.
Ma andiamo piatto per piatto…
Radicchio al fumo di brace, un Bitter, salsiccia secca e arancia amara
I piatti
La battuta di manzo, cacio, pepe e birra scura. Un’entrata che se si fonda su una splendida qualità di carne, eccezionale, è in realtà un percorso dentro e intorno al formaggio, che qui si esprime nelle maturazioni (più o meno lunghe) in fossa e nei latti di pecora e di mucche al pascolo. In primo piano esplodono i diversi formaggi, shot di sapore e consistenze in cui la dolcezza della carne rappresenta il sentiero che tiene insieme i toni che vanno dalla dolcezza (a volte pungente) del cacio fino all’amaro-dolce-luppolato della salsa di birra scura. In questo piatto la crosta di pane – fatto in casa – dà la chiave di volta, la spiegazione del perché quel pane così cotto e tirato, da sembrare al principio strano ma che invece ben accompagna tutti i piatti.
Omaggio alla cucina di montagna è la Salsiccia alla brace, cavolo viola, rosa canina e pepe rosa. Piatto rustico, ma gentile e impreziosito da una bella marinatura in un aceto di pinot nero elaborato da Giorgio Melandri. La rosa canina dà il tocco di eleganza finale riemettendo insieme la dolcezza della carne di maiale al limite della crudità (ben rosa e golosissima) e la durezza a(s)cetica del cavolo marinato. Una provocazione. “Non poteva mancare in montagna” sorride Gianluca. Ma in questo caso la sensibilità della cucina dà molta grazia, eleganza (specialmente nelle note floreali del pepe rosa) e godibilità a una tradizione montanara non sempre molto “commestibile”, spesso rinsecchita e divorata da una brace fuori controllo di tempo e di temperatura (oltre che da una materia prima non certo più al livello di quella che avevano a disposizione i nostri nonni).
Provocazione e rotondità
Dei tortelli abbiamo parlato: portata davvero godibile e golosa nella pienezza del morso e del gioco delle dolcezze e degli amari tra burro e parmigiano affumicato da una parte, ed erbe spontanee ed estratto di salvia dall’altro.
Tra le pietanze, invece, arrivano due fuori-carta che sono anche due fuoriclasse in cui si esprime al massimo la nuova cucina e l’anima di Gianluca, segnata dallo studio delle 10 lezioni (e dal libro Apparentemente Semplice) di Niko Romito e dalle emozioni provocatorie (ma allo stesso tempo pensatissime e iper-razionali) di Paolo Lopriore. Il carciofo, capperi e polvere di matcha è un omaggio (molto personale e intimo) proprio a Niko (il miglior cuoco d’Italia secondo la guida del Gambero Rosso di quest’anno): un piatto al limite del sostenibile, tutto giocato sugli amari che riesce a tirar fuori la dolcezza del cuore del carciofo in un rimando di zuccheri estremi e di tannini, di erbacei e floreali davvero estremo e allo stesso tempo goloso e godibile. Un piatto vegetale, vegano, splendido… Seguito a ruota dall’anti-vegano:lepre, verza ginepro e alloro. L’esaltazione del lombo crudo passa attraverso il sacrificio sul fuoco di petto, coscia, spalle e una punta di interiora: il lombo resta intero e avvolto dalle altri carni tritate e passate velocissimamente in padella, il ginepro si lega all’idea del sangue di un classico civet e la verza media il tutto, arricchita dalle sensazioni di alloro intorno al piatto. Il tutto accompagnato dal crostino con il salmì di interiora di lepre. Una portata non facile, complessa, dove il senso del selvatico è alla base di sapori forti che spaziano dalla selvaggina al sottobosco sottolineato dall’alloro (macchia mediterranea) ma anche e soprattutto dalla fine presenza del gambo di porcino in cima al salmì.
Fucsia
Chiusura elegante e contemporanea
Il Semifreddo alla liquirizia, mandarino e semi di finocchioè una preparazione leggera, eterea, che mette insieme tanti insegnamenti e tanta tradizione in una forma (anche aromatica) del tutto nuova. Pochi zuccheri e tanti elementi nutraceutici, digestivi, antichi. Il Fucsia è espressione di una stessa filosofia, ma con declinazioni del tutto diverse in cui il gioco è interamente sulla dolcezza e suggestione degli amari. Una fine del pasto che – con una freschezza e un punto di vista che solo la giovane età sa dare – che a noi ben oltre gli –anta fa scattare in testa (provocazione per provocazione) i versi del Nuttless di Capossela: … “buttarci a piedi pari nella vasca del Campari abbattere la notte a raffiche di Gordon Rouge… ...chabidubidù! …”
DaGorini | San Piero in Bagno (FC) | via Giuseppe Verdi, 5 | tel. 0543 1908056 | www.dagorini.it
a cura di Stefano Polacchi