La quinta generazione degli Scarello conduce il bel ristorante d famiglia, Agli Amici dal 1887, alla conquista delle Tre Forchette. Un riconoscimento che ha radici antiche che si spingono indietro per oltre 130 anni. Ecco la loro storia.
Generi coloniali e tabacchi. All'epoca l'insegna recitava così. Era il 1887 quando un trisavolo della famiglia Scarello aprì la sua bottega. “Era stato una guardia del re, per questo ebbe quella licenza” racconta Emanuele Scarello, quinta generazione alla guida del locale, che da emporio divenne ben presto un punto di aggregazione in paese. Ogni attività della comunità gravitava intorno a quel negozio: commerci, scambi, relazioni sociali. E così fu anche negli anni a venire. Passa il tempo e lo sconquasso della storia, e in quell'emporio arriva la prima televisione del paese, che ne rinsalda il ruolo di luogo d'incontro. È in quel momento, intorno agli anni '60, che gli Scarello cominciano anche a cucinare; inizialmente solo per le grandi occasioni: matrimoni, battesimi e altre feste comandate. L'attività di famiglia continua così, senza troppi scossoni, una generazione dopo l'altra. Almeno fino a Ivonne e Tino. Loro – la quarta generazione - decidono di invertire la rotta e trasformare quello che ormai è diventato un ristoro a tutti gli effetti, meta di operai e di militari delle molte caserme della zona. “Mamma e papà decidono di dare un'impronta diversa”. Comincia allora un cambiamento le cui conseguenze arrivano fino a oggi, perché Agli Amici dal 1887 ha conquistato le Tre Forchette sulla guida Ristoranti d'Italia 2018 del Gambero Rosso.
Michela e Emanuele Scarello
Il periodo di formazione
“Mamma va a scuola in Francia, al Lenôtre Plaisir”. Il padre, invece, dopo l'alberghiero diventa sommelier. “Si innamorano sempre più di questo tipo di cucina e di ristorazione e iniziano ad apportare dei cambiamenti al locale”. E intanto continuano il loro apprendistato con pellegrinaggi nei grandi ristoranti, in cui coinvolgono anche i figli, Emanuele e Michela. “Negli anni '80 ci portavano a Milano per assaggiare i piatti degli chef famosi o farci conoscere le grandi tavole” racconta “uno dei primi pranzi importanti fu in Austria, in un ristorante che mi pare avesse 19 ventesimi sulla Gault Millau”. Una rivelazione: il servizio, le cloche, la mise en place. E poi i piatti “ricordo ancora oggi un cervello di agnello tostato con verdure agrodolci; mi sembrava tutto incredibile, non ero abituato”. Così anche loro si appassionano, e intanto mamma Ivonne entra sempre più nel mondo dell'alta ristorazione e aumentano contatti e conoscenze.
La quinta generazione
Nel frattempo Emanuele, che dopo l'alberghiero ha fatto esperienza all'estero, rientra nell'attività di famiglia. “Sarà stato il '98-'99, avevo 28 anni”. La sorella 3 in meno, ma i due hanno idee chiarissime: “acceleriamo ancora”, mutano il passo e i desideri, “spieghiamo apertamente cosa abbiamo in testa a papà e mamma, e loro decidono di farcelo fare, anche se rimangono sempre dietro di noi”. Il ristorante diventa più elegante, la cucina più vera e ricercata. “Nei piatti e nel servizio c'è il frutto del nostro girovagare”.
“La prima Stella arriva che io ho 29 anni e mia sorella 26”. Allora comincia la vera trasformazione: “quella da ristorante a gestione familiare a impresa familiare” spiega “abbiamo modificato la nostra filosofia, perché volevamo fare qualcosa di più: portare in tavola non solo un bel piatto, ma anche quel che c'è dietro”. Una questione da sempre molto sentita dagli Scarello. “Dentro di noi questo è, sin da subito, un paletto importante; mi piace scoprire un bravo allevatore o un contadino che mette a dimora varietà antiche di patate, amo fare la spesa” racconta “certo mi piace anche pensare un piatto nuovo e cercare di realizzarlo, ma ci interessa dare un'impronta diversa, più attenta”.
Si aggiudicano un fondo regionale per l'inserimento dei giovani nelle aziende (“non si era presentato nessun altro…”), li affianca un consulente nella trasformazione dell'attività. “Ricordo che mi ha chiesto cosa c'era al piano di sopra. E io orgogliosamente ho risposto: il tavolo da ping pong” racconta divertito “mi ha detto subito, chiaramente, che dovevo mettere a reddito ogni centimetro quadrato. Oggi al piano di sopra c'è una seconda cucina Degli Amici dove si fa la mise en place”. Nel frattempo un primo restyling rinnova gli ambienti per adeguarli al nuovo corso della cucina, un altro sarà nel 2009, quando il locale conquista la dimensione attuale: “è allora che abbiamo creato questa nostra casa agli ospiti”.
La filosofia
“Siamo in periferia, chi viene da noi si deve sentire un principe. Se abbiamo 130 anni di storia è per questo” sintetizza così Emanuele quello che chiama un ragionamento del cuore: “dobbiamo mettere al centro delle nostre attenzioni l'ospite”. Quello di testa è, invece, un pensiero imprenditoriale. “Continuiamo su questa strada e arriviamo intorno al 2006, con un ulteriori passi avanti”. Passaggi possibili grazie a quanto appreso in famiglia: “mia madre ci ha portato a capire da vicino certe evoluzioni della cucina e ad avere una sensibilità diversa verso il cibo”. I cambiamenti sono concreti: più attenzione alla salute - “dobbiamo mangiare cose che fanno bene” ammonisce - la carne rossa non troppo di frequente - “in fondo mia nonna mica la mangiava tutti i giorni!” - e poi sempre più attenzione alla filiera, “preferisco usare ingredienti di cui conosco l'origine, se un ingrediente ha respirato la stessa aria che ho respirato io, allora nasce l'amore”. Perché il Friuli è una terra piccola ma ricchissima: “ci sono mare, orti, montagne, possiamo avere grandi vini, pesci, ortaggi, carni. Tutto”.
Come è cambiata la cucina
“Guardando foto di vecchi piatti penso: mamma mia come siamo cambiati!”. C'è stato un spartiacque, nel '98-99, prima dei primi riconoscimenti: la millefoglie di filetto e foie gras con riduzione di scalogni e Piccolit. “Lo considero il primo piatto, oggi mi pare facilissimo, ma all'epoca no”. Per via di quella salsa fatta con vino dolce, per l'idea di alternare filetto e foie gras, diversi per temperature e consistenze, “mi pareva una cosa difficilissima”. Poi è arrivata la ricerca al piatto migliore, di pari passo a una crescita graduale anche nel gruppo di lavoro, scelto con cura mettendosi vicino le persone giuste: oggi sono in 10, all'epoca in 3. “Oggi la leadership la condivido con Raffaello Mazzolini, siamo amici da 20 anni e da 6 anni lavoriamo insieme”.
Cerchiamo di tracciare un'evoluzione: “prima, nei piatti, c'era di tutto e di più, facevo una cucina molto barocca; ora per me è importante arrivare all'anima del piatto, non mi interessano i fronzoli, dobbiamo essere dritti e diretti, quella è la parte difficile”. Ma il cambiamento è continuo, dettato da suggestioni diverse e continue riflessioni “La cucina è un fatto personale, io cambio sempre: la testa viaggia e anche io viaggio molto, mi piace andare per ristoranti e provare di tutto”. Sempre alla ricerca di quella che lui chiama la cucina vera, “penso sempre che devi avere qualcosa da raccontare attraverso un piatto, non mi interessa tanto come lo fai ma perché lo fai” ecco allora che riemerge il legame con il territorio: “nel mio paese ci sono le patate, allora ci voglio fare una grandissima supreme che oggi è con cavolfiori, alici e alici affumicate, o gli gnocchi che nel mio menu ci sono sempre” e a cui ha dedicato anche un locale molto informale Gnocchi Kitchen Bar. E poi c'è il mare “il posto dove riesco a pensare meglio” cui ogni anno dedica un piatto tracciando, così, l'evoluzione del suo concetto di cucina di pesce nell’ultimo decennio. Ma come è stato accolto questo cambiamento? “All'inizio abbiamo fatto fatica” ammette, prima di tutto non c'era una cultura di un certo tipo di cucina in Friuli, “ma soprattutto mi ponevo in maniera sbagliata, non puoi cambiare tutto da oggi a domani senza ricordarti le radici, chi sei e dove sei” e aggiunge “pensavo che nessuno mi capisse, in realtà ero io a non capire loro: abbiamo una memoria gastronomica importante, se ti muovi in quella memoria, tocchi le corde in ognuno di noi; è la memoria del gusto”.
Consapevolezza e territorio
“Ci sono dei posti in cui ho detto 'mamma mia quanto è bravo', ma ora non direi mai 'questo piatto lo avrei voluto fare io': sono felice di fare quello che sto facendo con i miei ragazzi nella mia cucina”. E spiega questa nuova sicurezza: “quando hai creato il tuo stile, hai una cucina più matura che senti tua: è tua figlia non il frutto del guardare un altro. La chiave di volta è stato quando ho saputo perché facevo un piatto”. Perché le tecniche altrimenti rimangono fini a se stesse. Tra i punti cardine di questa evoluzione Le illusioni della pasta, un piatto realizzato senza farina “volevo che ricordasse del sapore della pasta, perché quella è l'Italia secondo me”. Oggi ai due degustazione si aggiunge un menu vegetariano “è stata una ricerca profonda perché nel mondo dei vegetali il lavoro cambia completamente nel corso dell'anno. È stata una cosa molto bella” che va di pari passo con il mantra di questi ultimi tempi: “cosa posso fare per mangiare sempre più sano?”. Una domanda che ha come conseguenza ulteriore, di nuovo, la comprensione del territorio: se in Friuli i pomodori non sono buoni, preferisce trasformare la classica caprese sfruttando acidità e dolcezza di un altro prodotto, la mela verde. È un passaggio importante, quello che certifica il motivo di alcune scelte e dà conto dello stare in un luogo specifico e non in un altro. “C'è un gusto diverso stare qui, qui sono nato e cresciuto, nel giardino del mio ristorante, dove ora c'è il prato inglese, da bambino giocavo a calcio” conclude “Questa è casa mia” e quella che lo circonda è la comunità che lo ha visto crescere e maturare, come persona e come cuoco.
Le Tre Forchette
“Sono cresciuto con il Gambero, avrei mille aneddoti da raccontare” poi ci pensa e ti dice quello che per lui forse ha più valore: “ci chiediamo continuamente cosa possiamo migliorare per raggiungere i nostri obiettivi e poi, un lunedì, arrivata la chiamata di Laura Mantovano che mi dice che abbiamo preso le Tre Forchette. Non potevo crederci.”
Agli Amici dal 1887 | Udine (UD) | via Liguria, 252 | tel. 0432 565411 www.agliamici.it
a cura di Antonella De Santis
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