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Trippa. Intervista a Diego Rossi: Così ho conquistato i Tre Gamberi a Milano

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Con quello stile che attinge a piene mani dalle trattorie di una volta, Trippa ha cambiato il panorama della ristorazione milanese. Ecco perché.

Rognoni, coda, fegatini, midollo, pajata. Un menu che gira vorticosamente sulla cucina povera, tra frattaglie, piatti popolari e grandi materie prime. Arredi che paiono usciti direttamente da un'istantanea degli anni '50 che più che vintage si potrebbero chiamare vecchi, ma con quell'allure familiare che fa sentire subito bene. Niente fronzoli, tanta sostanza, altrettanti sorrisi e voglia di divertirsi: una formula magica che ha conquistato Milano, tra curiosità ed entusiasmo. Lo stesso che ha suscitato la partecipazione al mitico Omnivore di Parigi lasciando dietro di sé una lunga scia di brusii ammirati. È Trippa, la trattoria di Diego Rossi e Pietro Caroli. Tre (meritatissimi) Gamberi per la guida di Milano 2018 del Gambero Rosso.

Foto scherzosa di Diego Rossi

 

Siamo una trattoria storica dal 2015” scherza Diego Rossi, ma nel raccontarla in questo modo centra perfettamente l'anima di Trippa, quella sua creatura che ha scosso, in pochi mesi, il panorama della ristorazione milanese e non solo. Perché, a ben vedere, l'onda lunga di Trippa è arrivata anche fuori dal capoluogo meneghino.

Lui è Diego Rossi, il pasionario del quinto quarto che – hachimaki d'ordinanza - ha sdoganato la cucina dei tempi che furono senza inciampare nel ritratto imbalsamato di una tradizione antica, ma rinnovandola come fa chi sa. Diego, infatti, non è l'outsider che sembrerebbe a uno sguardo distratto. Alle spalle parecchie esperienze, da quel primo L'Oste scuro di Verona, all'ultimo, Villa Berghofe di Redagno. In mezzo la Locanda della Tamerici, il St Hubertus, la Locanda Margon e le Antiche Contrade. Una ristorazione d'alto rango con un debole per l'alta quota, parrebbe. Fino a qualche anno fa, quando approda a Milano. “Non conoscevo praticamente nessuno, se non Pietro Caroli: lavorava in una multinazionale, ma aveva una seconda vita da foodblogger e mi seguiva con interesse sin dai tempi di Cuneo”.

L'arrivo a Milano

Arriva a Milano e quel contatto si stringe fino a diventare un'amicizia. Diego continua a lavorare, fa consulenze in giro. “Dopo un po' mi sono detto che non volevo più ascoltare nessuno. Non volevo essere subordinato a qualcun altro”. Così nasce l'idea di un posto tutto suo. Inizia a cercare dei soci, le proposte non mancano ma nessuna si concretizza. Perché a parole è facile, ma all'atto pratico è tutta un'altra cosa. “L'unico che è rimasto è stato Pietro, intenzionato com'era a cambiare vita”. Uno con un piglio da economista “laureato alla Bocconi” che crede nell'idea di Diego, “l'ha abbracciata in pieno e anche arricchita con un sacco di proposte”. Persino il nome – Trippa - è di Pietro. “Dentro Trippa ci siamo alla pari”. Così prende forma il progetto, con i giri in banca e tutto il resto, e quel gruzzoletto provvidenziale lasciato dal nonno di Diego, “che all'inizio mi ero rifiutato di usare. Ci siamo indebitati comunque, ma un po' meno, e abbiamo aperto Trippa”. Ma in ritardo, con i lavori che durano il doppio del previsto “anche perché bisognava fare tutto, mancava persino la canna fumaria”. Poi finalmente arriva il momento di tirar su le serrande, “nel lontano 20 giugno 2015”.

A quel punto però è già successo qualcosa, ben prima che una sola pentola fosse sul fuoco: “Già ci conoscevano: avevamo 2mila like sulla pagina Facebook già due mesi prima di aprire”. Diego girava per ristoranti, “per vedere cosa offriva Milano”. E ogni volta che poteva raccontava il suo progetto. “Ne parlavo con tutti, appena ne avevo l'occasione”. L'attesa cresceva e insieme le aspettative. “La cosa vincente è stata che poi le abbiamo rispettate praticamente tutte quante”. Funziona per quello, spiega, “e perché siamo persone sincere, se dici qualcosa di vero, ci credi, hai passione e competenze, poi anche la gente ci crede”.

Broccolo fiolaro e guanciale di Trippa a MilanoBroccolo fiolaro e guanciale

La cucina di casa

Sono partiti così, senza una vera comunicazione, come in un soft opening continuato. Come è andata? “Dal primo giorno mai avuto una sedia libera”. Con un'unica eccezione: un tavolo vuoto, a Natale del primo anno. “Ma abbiamo capito il problema: c'era il menu fisso e il menu da noi non funziona. Qui la gente vuole essere libera; Trippa è libertà”. Che poi è la stessa con cui si muove Diego: “se ho solo tre porzioni, faccio quelle” con una proposta del giorno che gira veloce acconto alla carta in continuo movimento. “Un po' come a casa”. E la sensazione di essere in una casa è sottolineata anche dalle foto vintage alle pareti, “tutte originali della nostra famiglia”. A completare un arredo che più d'antan non si può, in cui tutto – dalle piastrelle alle pareti ai bicchieri usati – sembra uscita da un film degli anni '50. E quel servizio scanzonato e familiare, ma non per questo poco professionale.

Il ritorno della trattoria

Ho aperto Trippa perché non sapevo dove andare a mangiare. Era quello di cui avevo bisogno io”. Dice. E se gli chiedi di spiegare cosa intende, risponde mangiare cose semplici, di qualità, vere. “Secondo me è un momento in cui la gente è stufa della cosiddetta cucina gourmet, che poi a ben guardare significa usare prodotti di qualità, e cuocerli al meglio rispettandoli, ma poi spesso il cuoco ci mette troppo il proprio ego”. Poi ci ripensa e fa “ce lo metto anche io, perché ne ho tanto, ma senza disturbare il cliente” e puntualizza “in fondo decido io cosa si mangia, ma le persone non si sentono sopraffatte”. Un modo per rispettare il cliente, che non deve sentirsi costretto dal menu “e da sofisticazioni mie”. Significa fare un passo indietro, e dare spazio a un pensiero che guida un nuovo movimento: “è la ripresa di un concetto semplice e più popolare di ristorazione, il nostro, ma non siamo i soli”. Chi ci metti dentro? “Penso al Consorzio di Torino che c'è ormai da 10 anni, il Punto a Lucca, Mazzo o Retrobottega di Roma, o a un posto come Essenziale a Firenze. Ma sono in tanti”. Voi però avete fatto più rumore... “forse perché siamo a Milano, o magari perché l'abbiamo comunicata bene questa idea di ritorno alla trattoria” continua “loro forse non hanno una connotazione così forte e dichiarata, quindi sono stati recepiti come locali diversi, più vicini al bistrot”. Trippa no, non puoi che chiamarlo trattoria, complice quell'ammiccare ai locali semplici di una volta, senza ricercatezze di design, ma con un'attitudine low fi in piena controtendenza che è piaciuta tanto.

Risotto allo zafferano di Trippa a Milano

Il ruolo della cucina gourmet

Li mette tutti insieme, Diego, i suoi colleghi, nonostante le differenze: “gente giovane che si è stufata dei gourmet, che ci ha lavorato e ha capito che la strada è un'altra, e la percorre ognuno con un proprio stile”. Gente con un'anima molto rock, che poi lui si diverte a invitare per cucinare insieme. Non cene a 4 mani, ma un'ospitata, come la chiama lui. C'è appena stato Simone Cipriani, ci saranno altri.

Prima di Trippa non si era notato, ma dopo le analogie sono parse evidenti. Proprio per la capacità che ha avuto di comunicare il suo progetto. Che all'inizio ha fatto scalpore, e subito dopo ha fatto scuola. “Sarebbe quasi da fare un manifesto, ma non sono bravo a farli”. Ma allora l'alta cucina che fine fa? “I ristoranti di alto livello aiutano gli altri, perché migliorano anche gli altri. Lì ho imparato non tanto sui prodotti, ma metodo e tecniche”. Sono molti, oggi, che vorrebbero fare qualcosa di simile, secondo Diego, fuori dalle gabbie dell'alta ristorazione. “E molti sarebbero più bravi se facessero un genere più vero e meno sofisticato”.

Uovo tra bruscandoli, rosolacci e tartufo di trippa a MilanoUovo tra bruscandoli, rosolacci e tartufo

La cucina

Quando ho trovato la pajata, che a Milano forse abbiamo solo io e Giuseppe Zen, o i testicoli di gallo, per me è stato un evento” racconta, e poi continua “o il tamaro o le anguille come le volevo io, piccoline da fare alla griglia”. Ma non hai mai pensato: 'forse questo è troppo, non andrà mai?' “Mah, in realtà è veramente raro che qualcosa non funzioni. Per esempio la trippa fritta la prende anche chi di solito non mangia trippa: anche perché pare un calamaro” e così un sacco di frattaglie apprezzate anche da chi abitualmente non le ama. “Forse perché gli ingredienti molto molto freschi; la maggior parte delle persone ha una bassa conoscenza di queste materie prime” e i preconcetti sono forti, “per esempio che la pajata non abbia un buon odore. Quindi quando provano questi piatti sono sorpresi”. I clienti sono contenti e arrivano persino vegani e vegetariani “forse perché il locale è diventato così di moda che anche chi non sopporta questi cibi vuol poter dire che è stato da noi”. O forse perché in fondo ci sono un sacco di verdure in carta. Se gli chiedi qual è il piatto che centra di più quel che è Trippa risponde il vitello tonnato “perché mette insieme tutti i nostri principi: è un piatto della tradizione, rivisitato in maniera corretta, senza sconvolgerlo, è alleggerito ma senza togliere niente. La tecnica c'è, ma è al servizio della tradizione, non c'è nessun ingrediente in più o in meno”. Ma poi ci ripensa e aggiunge la terrina di fegatini di pollo e il rognone trifolato e hai la sensazione che stia per dirli tutti, uno a uno. Perché sono i piatti che voleva lui, preparati come li voleva lui, con le materie prime che cercava lui. Ma dove trovarle a Milano?

I fornitori

Pian pianino li abbiamo consolidati” racconta. Qualcuno lo aveva già, come Marco Martino per la carne, eredità della sua esperienza a Cuneo. Con altri ha stretto un rapporto solo di recente. “Per esempio lo stoccafisso giusto l'ho trovato solo ora”. La ricerca è fondamentale: “in Langa non fai pesce di mare, a Milano sì”. Lo stesso vale per le verdure (lui si fornisce al Frutteto Casagrande, “Raffaele mi dice che rompipalle così siamo solo due a Milano”): devi trovare quelle giuste, non è mica come in campagna che hai i contadini a un passo, “a Milano intorno hai cemento”. Bisogna andare a trovare i produttori, “un sacco di produttori: per me quella che impiega multifornitori non è una cucina di ricerca, al massimo è ricercata”. E tu come fai? “Ho fornitori da tutta Italia. Quasi uno per ogni cosa”. Per alcuni ingredienti fa più fatica: deve insistere e farseli fare apposta, prodotti di nicchia che pochi conoscono o che hanno un mercato solo locale. “Ora è più facile, ma all'inizio era complicato, soprattutto per alcune cose”. Anche perché non è certo uno che si accontenta Diego Rossi: “O mi stai dietro o stai a casa tua. Magari acquisto meno di un altro, ma con competenza. Dunque fino a che non trovo uno come dico io non mi fermo”.

Un imperativo che pare racchiudere l'intera vicenda di Trippa: il locale che voleva non c'era e allora se l'è fatto lui, come diceva lui.

 

Trippa | Milano | via Giorgio Vasari, 3 | tel. 327 6687908 | www.trippamilano.it

a cura di Antonella De Santis

foto di apertura: Paolo Zuf


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