Entra in vigore il nuovo decreto per regolamentare l'uso dei buoni pasto in Italia. Via libera in agriturismi, mercati, ristoranti, spacci aziendali, fino a 8 ticket al giorno. Il buono sostituisce il contante? Pro e contro.
Spendere i buoni pasto. Cosa cambia
Buoni pasto, croce e delizia dei consumi. Il nuovo decreto del Ministero dello Sviluppo, in vigore dal 9 settembre scorso, apre un nuovo dibattito sul tema. Se da un lato l'idea è quella di favorire i consumi, riequilibrando le sorti di un'economia nazionale in lenta ripresa, dall'altro la nuova normativa – seppur con buon margine di applicazione alla facoltà dei singoli – potrebbe rivelarsi insidiosa per esercenti e attività commerciali. Di fatto, le novità lampante consiste nella possibilità di pagare un servizio in buoni pasto con molti meno limiti rispetto al passato. E quindi per fare la spesa al mercato, pagare un pranzo in agriturismo, acquistare in fiere e spacci aziendali, saldare il conto del bar. Ma la vera “rivoluzione” riguarda l'innalzamento del tetto giornaliero di spesa, per un ammontare complessivo di circa 40 euro (8 buoni al giorno, ma il Codacons chiede a gran voce l'abbattimento definitivo del tetto).
8 buoni al giorno
E con questo si scontreranno i controlli, che d'ora in avanti, fanno sapere dal Ministero, saranno più rigorosi: finora, infatti, la legge autorizzava l'utilizzo di un singolo ticket al giorno. Ma quanti (!) rispettavano la norma? Stesso discorso se si considera la deroga al valore nominale del buono (che resta tale), mai davvero sanzionata. Dunque, la possibilità di cumulare 8 ticket in un giorno potrebbe conferire ai buoni un ruolo importante nel pagamento di tanti servizi e prodotti, rendendo più trasparente (e legale) un'abitudine di fatto già cristallizzata, specie al ristorante o al bar, in pausa pranzo, o alla cassa dei supermercati. Ma il perimetro di legalità conferito alla prassi già consolidata ora spinge nuovi attori di peso ad accettare il sistema: è il caso di Esselunga, che finora non vedeva di buon occhio i buoni pasto. D'altro canto, l'innalzamento del tetto di spesa riconosce i tempi che cambiano: quanti, oggi, riescono a mangiare con 5 euro o poco più (l'equivalente di un ticket), pur contenendo le spese? Per gli esercenti che scelgono di sposare il sistema, invece, gli affari si complicano nella misura in cui il rimborso del servizio anticipato in cambio dei buoni dipenderà dai tempi di pagamento delle società emettitrici (generalmente dai 3 ai 6 mesi). E poi ci sono le commissioni, che variano dal 13 al 20%, e sui ricavi dei piccoli commercianti potrebbero fare la differenza, nel senso deleterio del termine.
Il mercato dei buoni pasto in Italia
Ma certo, il bacino potenziale di utenti che vedono di buon occhio la nuova frontiera dei buoni pasto dovrebbe esortare molte attività a correre il rischio: in Italia il 16% degli occupati dispone di buoni pasto (2 milioni e mezzo di italiani), principalmente a Nord Ovest e Centro, circa il 60% del totale finora è stato utilizzato per fare la spesa. E il valore di mercato raggiunge i 2,8 miliardi all'anno, con una crescita costante nell'ultimo periodo. Coldiretti, per esempio, registra positivamente il cambiamento: “È una opportunità per 4 italiani su 10 che fanno la spesa dal contadino, negli agriturismi e nei mercati degli agricoltori”. La palla ora passa alle società emettitrici: perché il sistema possa davvero premiare tutti, è necessario limitare le speculazioni e le aste a ribasso, a scapito degli esercenti. Ma i nodi verranno al pettine solo con l'apertura delle nuove gare d'appalto, nei prossimi mesi.
a cura di Livia Montagnoli