Realizzare un monocultivar, ovvero un extravergine con una singola varietà di oliva, richiede uno studio approfondito e costante della pianta e del frutto. In provincia di Siracusa, Giovanni Galioto si dedica tutto l'anno alla cura degli ulivi per ottenere oli monovarietali d'eccezione.
Le varietà siciliane
Est e ovest. Sono queste le due grandi aree produttive della Sicilia, una delle prime regioni italiane a conoscere l'ulivo e l'olio. Già gli abitanti delle poleis greche di Sicilia, i Sicelioti, che colonizzarono inizialmente la costa orientale dell'isola, in particolare la zona di Siracusa, consideravano l'ulivo una pianta sacra, ma fu la dominazione araba iniziata nell'800 a diffondere maggiormente la coltivazione di questa pianta in tutto il territorio. Una tradizione antica, dunque, che unita alle conoscenze e tecnologie moderne rende la Sicilia una delle regioni più affascinanti in fatto di extravergine. Tante cultivar autoctone che danno origine a oli dal carattere definito, come la nocellara del Belice e la cerasuola, tipiche della parte occidentale, e la tonda iblea, varietà della zona est, senza dimenticare la biancolilla, cultivar più delicata, e la nocellara etnea, più rara e difficile da trovare in purezza ben fatta. E la moresca? Fra le cosiddette cultivar minori, ovvero quello meno utilizzate e diffuse nella produzione olivicola, quella della moresca è una delle storie più curiose. A valorizzarla ci ha pensato Giovanni Galioto di Ferla, in provincia di Siracusa, titolare dell'azienda Sebastiana Fisicaro Oleificio Galioto. Con il suo monovarietale di moresca, l'olivicoltore si è aggiudicato le Tre Foglie e il premio speciale nella guida Oli d’Italia 2017.
Le origini
Nasce nel 1952 l'azienda della famiglia Galioto, che vede oggi al comando la quarta generazione. “Mio papà ha ereditato la passione per gli ulivi da mio nonno, e l'ha poi trasmessa a me. Col tempo ci siamo dedicati allo sviluppo di nuove tecniche, con esperimenti e prove in campo e in frantoio, avendo sempre come obiettivo finale quello di far esprimere ogni oliva al meglio”. Si trova nella zona dei Monti Iblei, precisamente nella valle del fiume Anapo, la tenuta di oltre 100 ettari della famiglia, che dal 2005 ha inserito anche un frantoio aziendale, “in questo modo possiamo gestire in maniera più autonoma tutto il lavoro, sperimentare con le varie cultivar e controllare le fasi di lavorazione, oltre ad accorciare i tempi fra raccolta ed estrazione e garantire il massimo igiene delle macchine”.
La produzione
Con circa 60 ettari di terreno olivetato e 15mila piante di moresca, tonda iblea, nocellara etnea e nocellara del Belice, l'azienda produce diverse etichette, lavorando ogni oliva singolarmente nei vari monocultivar, più un blend a base di moresca e altre varietà che dà origine alla Dop Monti Iblei. La coltivazione è da poco passata al regime biologico, che prevede trattamenti a base di rame ripetuti due, tre volte l'anno circa, “in base alla quantità di pioggia e il grado di umidità”. La potatura avviene ogni 4/5 anni, “perché le nostre piante sono tutte ultracentenarie, e quindi non hanno bisogno di una potatura annuale perché sufficientemente resistenti e vigorose”. La potatura è manuale, così come la raccolta, che comincia a metà settembre, “la moresca è la prima a maturare”, seguita dalla nocellara del belice, la nocellara etnea e, infine, la tonda iblea.
La scelta dei monocultivar
Come abbiamo già avuto modo di vedere con Alessandra Paolini dell'azienda agricola Doria di Cassano allo Ionio (vincitrice ex aequeo del premio Miglior Monocultivar), quella di realizzare oli monovarietali è una decisione azzardata, una sfida a tutti gli effetti che comporta una conoscenza profonda della materia prima e delle sue reazioni nel momento della lavorazione. Ma la qualità dell'olio comincia in campo, con la cura delle piante: “La moresca soffre molto il vento e predilige il clima caldo, al contrario della tonda iblea che invece necessita più aria. Ancora oggi non riusciamo sempre a raccogliere dagli alberi di tonda iblea piantati dai miei nonni giù a valle, perché il paesaggio ideale per questa pianta è quello collinare”. Massima attenzione anche ai tempi di raccolta: “La difficoltà maggiore della moresca risiede nei tempi di maturazione, che sono molto brevi. Bisogna raccogliere in anticipo se si vuole ottenere un fruttato intenso e ricco di profumi e note erbacee”, e soprattutto in fretta, perché l'oliva invaia velocemente.
Ma perché puntare così tanto sulle singole varietà? “Inizialmente producevamo un olio standard, un blend semplice e versatile. Con i cambiamenti climatici ci siamo trovati di fronte a un ostacolo: non tutte le piante erano in grado di fruttificare allo stesso modo in un'annata, e fare solamente blend non era più possibile. Allora mi sono chiesto, perché non provare con i monocultivar?”. Era il 2011, e Giovanni cominciava i primi esperimenti in campo e in frantoio. “Ogni varietà ha dei profumi completamente diversi, sarebbe un peccato non valorizzarli tutti al meglio. Non è stato semplice produrli, tantomeno farli apprezzare ai consumatori, abituati a oli più tenui, ma alla fine ci siamo riusciti”. E da allora, non ha più smesso.
La riscoperta di una varietà autoctona: la moresca
Diffusa soprattutto nella zona centrale e orientale dell'isola, la moresca è un'oliva piccola, “somiglia un po' alla taggiasca ligure”, e dà solitamente origine a oli dal fruttato leggero. O almeno, questo è quello che succedeva fino a qualche anno fa. “I monocultivar di moresca non sono mai stati apprezzati perché venivano lavorati male. Io stesso ero abituato a ignorare questa varietà perché non facevo mai in tempo a raccoglierla, per via della velocità della sua maturazione”. Una volta capito come muoversi, invece, Giovanni ha reso questa cultivar protagonista assoluta dell'azienda, andando a discapito della resa: “Abbiamo perso circa il 3% di prodotto, ma in questi casi si tratta di scegliere: o la resa o il gusto. Prediligere la qualità ripaga sempre di tutti i sacrifici”.
Oggi è il suo fiore all'occhiello, un oliodal fruttato medio-intenso ricco di sfumature, dall'ortica al cardo, dal pomodoro verde alla foglia di mirto, note che si traducono al gusto con sensazioni di amaro e piccante piacevoli, dinamiche e di estrema eleganza. Un olio complesso e articolato, ben lontano dall'idea di moresca che c'era in passato. “Inoltre, ho notato che il monocultivar di moresca mantiene molto più a lungo i profumi rispetto a una tonda iblea, che inizialmente può affascinare di più con il suo sentore di pomodoro ma che perde precocemente la sua complessità aromatica”. La moresca può essere gustata anche in versione oliva da mensa, “nera e non verde”, ma l'azienda rimane concentrata sull'extravergine, “abbiamo provato a fare anche le olive ma non ci mettevamo la stessa passione e dedizione che abbiamo per l'olio”.
Frantoio: a ogni cultivar, la sua lavorazione
Come abbiamo ripetuto più volte, non esistono regole fisse per l'estrazione dell'olio, poiché ogni varietà presenta caratteristiche diverse, che cambiano di volta in volta a seconda dell'annata e dei tempi di maturazione. La moresca, per esempio, passa in gramola dai 30 ai 35 minuti a una temperatura di circa 27/28°C, e prima ancora viene franta in tempi brevi “perché la pasta è molto morbida e delicata”. L'impianto è un Leopard DMS (Decanter Multi Fase) a due fasi, che Galioto mette a disposizione anche per altri piccoli produttori locali, “a patto che le loro olive siano sane e la loro filosofia simile alla nostra”. La nocellara del Belice invece, che ha una pasta più dura rispetto alla moresca, richiede tempi di gramolazione più lunghi, “circa 40 minuti”, proprio come la nocellara etnea. Quest'ultima è una varietà particolare, difficile da gestire“perché se raccolta quando è ancora verde necessita di tempi molto lenti, mentre quando è più matura, la pasta di olive diventa melmosa e complicata da lavorare”. Una volta ottenuto l'olio, questo passa nel decanter, mentre il filtraggio avviene solo in seguito: “Sono dell'idea che gli oli vadano sempre filtrati per poter rimanere stabili nel tempo. Alcuni clienti però richiedono il prodotto grezzo, che siamo disposti a vendere ma solo per un consumo immediato”. Perché dopo un mese circa, un extravergine non filtrato va incontro a un processo di deterioramento, con tanto di formazione di difetti, dal quale è impossibile tornare indietro.
La comunicazione e la vendita
I primi passi per Giovanni, entrato ufficialmente in azienda nel '98, non sono stati semplici: “Nel 2001 ho seguito il corso di assaggio con Marino Giorgetti”, esperto di analisi sensoriale dell'olio e capo panel del concorso Sol d'Oro, “e la degustazione è stata fondamentale per la mia crescita professionale. Assaggio sempre i miei oli, e anche quelli dei colleghi, per potermi confrontare e capire come si muovono gli altri produttori”. Un lavoro duro e impegnativo, quello dell'olivicoltore, che ha portato una ventata d'aria nuova, moderna e innovativa, all'azienda di famiglia. “Abbiamo iniziato a partecipare alle maggiori fiere del settore italiane e straniere, invitando sempre i consumatori a provare gli oli prima di acquistarli ed essere più curiosi nei confronti del nuovo”. E soprattutto, essere pronti a pagare una cifra diversa rispetto a quella a cui erano abituati: “Ricordo ancora il mio primo cliente. Era il 2000 e una bottiglia da mezzo litro costava circa 3mila lire. Il mio? 10mila”. Ma con pazienza e costanza, anche quello del prezzo è uno scoglio che può essere superato: “Avevamo un tesoro prezioso in mano e ancora non ce ne rendevamo conto. Oggi siamo più consapevoli ma, fortunatamente, lo sono anche i consumatori, che apprezzano un buon prodotto e sono disposti a pagare di più per la qualità”.
Ancora indietro è invece il mondo della ristorazione, che deve (quanto prima) iniziare a porre maggiore attenzione a uno dei prodotti chiave della nostra cucina. “Siamo presenti in qualche ristorante più ricercato che ha un carrello degli oli dall'ampio respiro, con tante etichette diverse fra loro. Ma gli chef sono ancora poco interessati al nostro prodotto”. Ma senza una buona base, la ricetta non può funzionare: “Siamo nel 2017, è impensabile essere rimasti ancora così indietro, quando l'attenzione per altri prodotti, vino in primis, è massima”.
Oggi, Galioto vende nei negozi specializzati della Penisola e in diversi paesi esteri, dove è presente tramite dei distributori di prodotti italiani, “soprattutto in Russia, Giappone, Svezia, Cina”.
Gli altri prodotti e i progetti futuri
Un'azienda tutta dedicata all'extravergine, dunque, ma che non rinuncia a una piccola produzione vitivinicola: “Abbiamo un vigneto di 3 ettari a Pachino, con piante di nero d'Avola. Realizziamo circa 20mila bottiglie l'anno appoggiandoci a una cantina locale”. Niente patè o prodotti secondari, “si tratta di specialità che vanno preparate con la massima cura, un amore che noi in questo momento abbiamo solo per l'olio”. Nel futuro di Galioto, al momento, lo studio delle cultivar e delle loro diverse espressioni resta centrale e fondamentale, “ogni oliva ha un gran potenziale, sta a noi tirarlo fuori”. Un consiglio per chi vuole intraprendere questo mestiere? “La qualità deve venire sempre al primo posto, anche se è un percorso più difficile, complicato e lungo, nonché costoso. La qualità premia sempre, anche quando sembra impossibile”.
Sebastiano Fisicaro Oleificio Galioto | Ferla (SR) | via Ronco D'Aquile, 1 | tel. 338 2131983 | www.frantoiogalioto.it/
a cura di Michela Becchi
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