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Storie di grande ristorazione: intervista ad Alfonso Iaccarino

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È stato uno dei primi grandi ristoranti campani, cucina d'autore e accoglienza impeccabile, grande scuola e calore umano. È il Don Alfonso, un tempio dell'ospitalità completamente immerso nei fasti gastronomici, paesaggistici, culturali della Penisola Sorrentina.

Il Sud non ha avuto, negli ultimi trent’anni, una vita gastronomicamente molto facile. “Oggi finalmente i nostri prodotti e le nostre tradizioni hanno cominciato ad affermarsi nei ristoranti importanti del Nord e nel mondo… Ma per anni non è stato così”. La parola ad Alfonso Iaccarino, da sempre ai vertici della guida Ristoranti d’Italia e tra i primi ad avere le Tre Stelle in Italia. Oggi Iaccarino è un nome noto anche lontano dalla Campania: a partire da Roma, dove nel tempo hanno collezionato esperienze in grandi strutture alberghiere (e a breve dovrebbe unirsi anche il St. Regis) fino a Marrakech, Macao ed Helena Bay in Nuova Zelanda.

In realtà, nonostante le ricchezze agroalimentari e la profondità della sua cultura gastronomica, il Mezzogiorno d’Italia ha sofferto molto una marginalizzazione dovuta al fatto che, dall’Unità d’Italia a qualche anno fa la misura è sempre stata fortemente improntata agli standard del Nord. Qui ci sono stati i Greci e i Romani, qui sono nati i primi trattati di cucina e di gastronomia, qui la raffinatezza dell’Islam ha incontrato l’opulenza borbonica, qui è passato Federico II. E qui sono arrivati i Savoia, a conformare – forse eccessivamente – la cucina sui parametri piemontesi e dell’Europa continentale delle grandi corti, nella seconda metà dell’800.

Qui, purtroppo”esclama Iaccarino “molti prodotti di altissimo livello e di grande efficienza sono stati abbandonati nel corso degli anni. E devo dire che il Gambero Rosso ha sempre difeso le nostre produzioni, anche contro una standardizzazione industriale che l’ha fatta da padrona e che ora, per fortuna, vedo un po’ meno egemone”.

alfonso iaccarino ed ernesto iaccarinoAlfonso ed Ernesto Iaccarino

La scelta e la passione

Alfonso, figlio di albergatori importanti della Penisola Sorrentina, sceglie di diventare ristoratore alla metà degli anni ’70. “L’ho fatto per passione, per scelta: non certo per soldi”sorride “Quando mio padre stava morendo mi chiamò per dirmi due cose: che nel mondo ci sono persone per bene e persone non per bene e che io avrei dovuto essere per bene; che la vecchiaia è brutta, ma ha un grande valore: la forza, la saggezza dell’esperienza. E devo dire che, pur non sentendomi affatto vecchio, oggi credo sia di aver assolto sia a quel consiglio, sia di apprezzare la saggezza dell’esperienza”. È un racconto sentito, il suo, che si conclude con una riflessione sul suo territorio: “Credo che il nostro sia stato un percorso importante, per noi ma anche per tutto il Sud. Oggi tanti ragazzi e professionisti che si sono formati da noi e con noi sono nelle cucine di ristoranti importanti e mi sembra che tutta la ristorazione e la gastronomia del Sud sia cresciuta e molto”.

 

La tavola e la campagna

Nord e Sud, oggi, sono più vicina a tavola? O le differenze si sono acutizzate? “Non c’è un ristorante, oggi, che non ti presenti i pomodorini del Vesuvio o i paccheri di Gragnano. Prima (parlo di 30-40 anni fa) non c’era nulla del genere. Oggi tutti i ristoranti del Sud hanno un piatto col tartufo di Alba, prima era sconosciuto. A Napoli trovi piatti col gorgonzola e a Milano la mozzarella di bufala” e via un elenco di rimandi tra territori e prodotti, per concludere“C’è stata evoluzione e affratellamento della cucina. I pistacchi di Bronte o la colatura di alici li trovi nei ristoranti o nelle pizzerie più importanti della Lombardia. Così come di frequente trovi al Meridione la pizza con la bresaola… Questi scambi hanno aperto nuovi orizzonti. Io spero che i giovani tornino di più all’agricoltura, a coltivare i campi e gli orti, ma anche a conoscerli”.

orecchiette don alfonso

Un'economia basata sul capitale umano

Qual è il valore aggiunto che l’economia della ristorazione può offrire al Paese nel suo insieme? “Noi ristoratori siamo stati una delle categorie che si sono sacrificate di più in Italia. Noi oggi abbiamo un’azienda con 50 dipendenti e fatturiamo, facciamo un esempio, 10; un’azienda tessile o metalmeccanica fatturerebbe 100 se avesse le nostre dimensioni”. Un dato che fa riflettere.“Questo per far capire come nel nostro settore è sempre e ancora l’uomo al centro del lavoro: è l’investimento maggiore”spiega “E questo sarà un settore che avrà sempre più bisogno di personale, specialmente in sala: oggi tutti vogliono fare lo chef, ma c’è una centralità incredibile della sala. È fondamentale. Ed è uno spazio, una funzione in cui serve cultura, capacità di interazione, di scambio”.

 

Don Alfonso, la terra, la cucina e la coscienza critica

Parliamo però anche di come sarà, il Sud. Da Punta Campanella l’orizzonte sembra tingersi di ottimismo, nelle parole di Alfonso. “Viviamo in un mondo in cui Internet ha cambiato la sostanza delle cose, dei rapporti, delle relazioni e della conoscenza. Una volta le multinazionali potevano fare il lavaggio del cervello e importi i loro prodotti. Oggi è un po’ diverso: c’è la possibilità di formarsi una coscienza critica, vedo che le persone sono più consapevoli e complessivamente cercano di più la qualità. Si mangia di meno e si sceglie con più attenzione, c’è più cura del proprio benessere e del proprio piacere”.

Oggi Don Alfonso vorrebbe fare il contadino, curare più l’origine degli ingredienti che non la loro manipolazione. “Sì, ma sono i miei figli (Mario ed Ernesto ndr) a volermi ancora qui! Non so, probabilmente serve ancora qualcuno che ribadisca con forza le idee che ci hanno fatto diventare ciò che siamo”.

E sono idee chiare che partono dalla terra ma fanno un giro ampio: “Non ho mai ceduto a compromessi sulla qualità: per far crescere un pollo dall’uovo al piatto, una volta serviva almeno un anno; oggi, con l’allevamento intensivo, bastano 45 giorni” e da riflessione nasce riflessione: “Dicono che costa meno, ma per chi? Una parte di mondo si arricchisce, ma un’altra grande parte si impoverisce: pensate ai grandi costi sanitari delle malattie legate alla cattiva alimentazione. La verità è che una volta i ricchi mangiavano la carne e i poveri fagioli e patate; oggi i ricchi mangiano prodotti di alto livello tra cui legumi e verdure di qualità, i poveri mangiano la carne” e conclude avendo ben chiaro il binomio tra qual che si mangia e lo stato di salute “Io cerco di dare alla cucina, allo sviluppo della mia cucina, un valore di benessere e di arricchimento per la salute dei miei ospiti. E credo che in questo sia anche il motivo del grande successo che qui a sant’Agata sui Due Golfi stiamo vivendo, sia a livello italiano che internazionale”.

 

La cucina italiana e quella del Don Alfonso

Quale futuro per la cucina italiana? Dove andiamo? “Ci sono stati, negli anni, tentativi di farla diventare sempre più chimica. Ma io sono convinto che il futuro sarà sempre più ricerca della qualità, perché cresce la consapevolezza. Che non significa per forza prezzi alti. Oggi i cuochi, quando danno le ricette, dicono: prendete un pollo, un uovo, un etto di farina… Domani diranno: prendete un pollo di Nicola dalla Toscana, le farine del mulino umbro, la pasta del pastificio tale”. Insomma, un po’ il percorso che ha portato alla centralità del vino: non basta dire Barolo, per capire servono il produttore, il cru, l’annata. Ed è un percorso che, da qualche parte, inizia a già a essere visibile.

Ma a questo punto, torniamo alla cucina: i piatti che per Alfonso raccontano l’inizio e quelli che vanno verso il futuro. “A cambiare, davvero, il mio percorso sono stati i vermicelli pomodori e basilico. Erano gli anni della nouvelle cuisine, delle pennette al salmone o alla vodka, dei soufflé. Io non capivo la cucina della Dolce Vita. Così risposi con l’estrema, solare, semplicità. Allora, siamo stati i primi a sfilettare i pesci, le pezzogne (ma chi le conosceva?) il pesce bandiera” e guardando a domani, invece? “Di evoluzione, invece, parla lo gnocco alla sorrentina rivisto oggi: una pasta di patate ripiena di fondente di mozzarella, un piatto che richiede molta cura, tecnica e tecnologia nella preparazione. Sempre nel massimo rispetto di prodotti importanti, selezionati, pieni di sapore”.

 

Don Alfonso | Sant'Agata ai Due Golfi (SA) | corso Sant’Agata, 11-13 | tel 081.8780026 | www.donalfonso.com

 

a cura d Stefano Polacchi

 

 

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