Biscotti semplici ma dal sapore intenso, spesso vere e proprie opere d’arte, grazie ai decori delle sapienti mani di pasticcere e pasticceri locali. Sono le specialità sarde, alcune influenzate dai legami storici di questa terra con altre regioni d’Italia, altre uniche nel loro genere.
Per la rubrica sui biscotti regionali vi portiamo in Sardegna, con 11 preparazioni locali e la ricetta delle pardulas della pasticceria La Dolce Vita di Ghilarza, in provincia di Oristano, Due Torte nell’edizione 2017 della guida Pasticceri&Pasticcerie.
Amarettos de mendula
In questo viaggio fra le specialità locali è impossibile non partire dagli amaretti in stile sardo, una ricetta praticamente identica a quella piemontese, fatta eccezione per le armelline, assenti in questa versione e sostituite da un’aromatizzazione all’arancia. I legami storici fra Piemonte e Sardegna sono ben noti e si riflettono nelle tradizioni culinarie isolane, soprattutto per quanto riguarda le zone più a nord. Così, molte specialità della pasticceria piemontese sono arrivate in terra sarda, alcune legate alla ricetta originale, altre rivisitate. È il caso degli amaretti di mandorla, che si preparano con mandorle dolci e amare, zucchero, albumi d’uovo montati a neve e acqua di fiori d’arancio. In alcune zone del Nord Sardegna c’è una versione un po’ diversa, chiamata amarettos is pabassinase che prevede l’aggiunta all’impasto di uvetta passa e sapa. Sono biscotti facili da preparare: si riducono le mandorle a farina insieme allo zucchero e a parte si montano gli albumi. Si uniscono i due composti facendo attenzione a non smontare gli albumi e si ricavano delle palline da schiacciare leggermente e passare prima nell’acqua di fiori d’arancio e poi nello zucchero. Infine, si infornano a 170 gradi per 20 minuti.
Amarettos de mendula
Anicini
Il Piemonte non è l’unica regione a vantare legami storici con la Sardegna: altrettanto avviene con la Liguria, in questo caso nelle zone più a Sud dell’isola. Qui, nela metà del XVIII secolo, l'arrivo all’isola di Carloforte da parte di coloni genovesi provenienti dall'isola di Tabarca, vicino Tunisi, portò una a una mescolanza unica, risultato dell’apporto di tre differenti culture. Sono tante le specialità qui importate dai genovesi (un piatto tipico, ad esempio, è la pasta alla carlofortina, con sugo di pomodoro, tonno e pesto di basilico) fra cui anche gli anicini, di cui abbiamo già parlato nella puntata sui biscotti liguri. Gli ingredienti sono gli stessi, con l’eccezione del vermouth, presente solo nella ricetta sarda, e dell’olio, che in questa versione sostituisce il burro.
Anicini
Biscotti di Fonni
Biscotti di Fonni o savoiardi? In pratica sono la stessa cosa, in virtù del già citato legame fra Sardegna e Piemonte. Questi dolcetti - utilizzati anche qui sia per il tiramisù che per la colazione - sono molto diffusi in Barbagia, una vasta zona montuosa che si estende sui fianchi del massiccio del Gennargentu e comprende la provincia di Nuoro e la nuovissima provincia del Sud Sardegna (che a sua volta riunisce le ex province del Medio Campidano e Carbonia-Iglesias). In particolare sono molto celebri quelli di Fonni, nella Barbagia di Ollolai, la subregione più settentrionale: qui sono chiamati anche pistoccus. Per riprodurli a casa servono solo tre ingredienti: uova in grandi quantità, e due parti uguali di zucchero e farina.
Si inizia montando tuorli e zucchero e, a parte, montando anche gli albumi a neve fermissima. Si mettono insieme i due composti, mescolando dall’alto verso il basso. Infine si aggiunge la farina ben setacciata, facendo attenzione a lasciare l’impasto abbastanza liquido. Si mette il tutto in un sac à poche e si creano delle lunghe strisce di impasto, abbastanza distanziate fra loro. Si infornano su una placca rivestita di carta da forno per 15-20 minuti a 180 gradi.
Biscotti di Fonni o pistoccus
Copulettas
Biscotti ripieni molto diffusi in Gallura, la parte nord-orientale dell'isola, famosa per le coste selvagge e per lo splendido mare: un territorio che fa parte della provincia di Sassari e ogni anno richiama turisti da tutto il mondo.
Le copulettas sono dolcetti a forma di mezzaluna, farciti con ingredienti che variano di paese in paese, ma i prodotti di base della farcia sono mandorle, marmellata, miele e sapa (o saba, ingrediente che vi abbiamo già raccontato nell’articolo sui biscotti emiliani), a cui si possono aggiungere anche scorze di arancia o limone, vaniglia, albumi d’uovo montati a neve. La pasta è realizzata invece con farina, zucchero, uova, strutto, latte intero e lievito.
Una volta create le mezzelune, è tradizionale il taglio con la rotella tagliapasta, in modo che i bordi vengano arricciati, e la copertura con una glassa fatta di acqua e zucchero.
L’origine delle copulettas è legata ai matrimoni e ai battesimi: sulla parte superiore dei dolcetti, ancora oggi si incidono le iniziali dei futuri sposi o del bambino che riceverà il sacramento. Nel caso in cui siano preparate per queste celebrazioni, si usa aggiungere in cima ai biscottini delle palline di zucchero argentate.
Capulettas
Gallettinas o pistoccheddus grussus
Biscotti originari del Monte Linas, nella Sardegna sud occidentale, dove vengono chiamati gallettinas, mentre in altre zone sono più conosciuti come pistoccheddus grussus. Sono i classici dolcetti da colazione, molto friabili e leggeri, con un deciso gusto di limone. Per riprodurli a casa servono farina, zucchero, uova, strutto, latte, lievito e scorza di limone.
Si parte lavorando le uova con lo zucchero in una ciotola e mettendo a scaldare il latte in un tegamino, senza farlo bollire. In un altro tegame si fa sciogliere lo strutto molto lentamente, tenendo la fiamma al minimo. Si aggiunge la scorza di limone al composto di zucchero e uova e si versa anche lo strutto, poco per volta. Nel frattempo si mette il lievito nel latte, badando che non sia troppo caldo, per evitare di inficiarne l’azione. Infine, si versa anche il latte nella ciotola con il composto e - anche questa poco per volta - la farina. L’ordine degli ingredienti è molto importante: solo così sarete sicuri di ottenere la giusta morbidezza.
Quando il tutto è ben amalgamato si stende su una piano di lavoro creando una sfoglia da 1 centimetro circa e si taglia nelle forme desiderate, solitamente a rombi. Come ultimo passaggio, si spennellano i biscotti con del liquore, quasi sempre maraschino, e si infornano a 200 gradi per 15 minuti.
Gallettinas o pistoccheddus grussus
Mustazzolos di Oristano
Anche in questo caso una versione locale dei mostaccioli, biscotti diffusi con le dovute varianti in tutto il centro-sud Italia, in particolare in Campania, Puglia, Molise, Umbria e Abruzzo. La caratteristica di questa versione sarda risiede nella tecnica di preparazione, e in particolare nella fase di lievitazione, che una volta durava ben due settimane, mentre oggi si riduce a “soli” due giorni. Gli ingredienti sono in parte simili a quelli dei mostaccioli di San Francesco (Umbria): differiscono per l’assenza di uova e del mosto d’uva, non presenti nella ricetta sarda, che in compenso prevede la glassa sulla parte superiore dei biscotti. Gli ingredienti sono farina, zucchero, lievito, cannella e scorza di limone, mentre per la glassa servono zucchero, acqua e liquore (ancora una volta il maraschino) oppure acqua di fiori d’arancio, se si preferisce un gusto più delicato.
Mostazzolus di Oristano
Papassini
Niente ossa o fave dei morti in Sardegna per il due novembre, piuttosto tanti fragranti papassini. Sono biscotti di pasta frolla decorati con la glassa e arricchiti con uva passa: papassa, opabassa,è appunto il nome sardo di questo ingrediente. La ricetta di base è già ricca, inoltre ci sono piccole varianti secondo la specifica zona di provenienza: alcuni aggiungono nell’impasto la sapa, altri la cannella, il finocchietto selvatico o il liquore all’anice, oppure si fanno variazioni della glassa, che può essere a base di albume d’uovo oppure di acqua.
Papassini
Ad ogni modo, quello che non deve mancare perché siano dei veri papassini sono farina, mandorle, gherigli di noce, uva passa, zucchero, lievito, strutto (nelle versioni più moderne sostituito dal burro), uova intere più tuorli, scorza di limone e arancia, un pizzico di sale. Si parte lasciando rinvenire nell’acqua l’uva passa e tritandola insieme al resto della frutta secca. Poi si impastano insieme uova, tuorli, farina, zucchero, lievito, strutto ammorbidito e il pizzico di sale. Infine si aggiunge il trito di frutta secca e le scorze di arancia e limone. Si avvolge la massa in una pellicola e si fa riposare in frigorifero per una mezz’ora. Trascorso il tempo di riposo, si riprende l’impasto per qualche minuto e si stende in una sfoglia alta due centimetri circa, da cui si ricaveranno dei biscotti a forma di rombo. Infine si infornano a 180 gradi per 20 minuti circa.
Pardulas
Tipici dolcetti pasquali chiamati pardulasnelle zone del Sulcis, nel cagliaritano e nell’oristanese, casadinasin Barbagia e nel Logudoro, formaggellenel resto dell’isola. A metà fra il biscotto ripieno e la tartelletta farcita, le pardulas esistono sia in versione dolce che salata, e assumono diverse forme secondo la zona di produzione. La base è una frolla mentre il ripieno può essere di ricotta, che darà ai dolcetti un sapore particolarmente delicato, oppure di formaggio fresco, che invece conferirà loro un gusto più deciso.
Pardulas
Per i dettagli sulla preparazione delle pardulas vi rimandiamo alla fine di questo articolo: è questa la ricetta che ci siamo fatti regalare dalla pasticceria La Dolce Vita di Ghilarza, in provincia di Oristano, Due Torte nell’edizione 2017 della guida Pasticceri&Pasticcerie.
Pastissus o pastine reali
Spesso in Sardegna i dolci e i biscotti destinati alle cerimonie sono vere e proprie opere d’arte, decorati dalle abili mani delle is drucceras, le casalinghe-pasticcere chiamate appositamente per queste ricorrenze. È il caso della pastissus, conosciute così nella zona di Cagliari, chiamatepastine realinel Campidano, capigliettasnella zona di Borore (Nuoro) e timballinasnell’alto Oristanese. Sono biscotti composti da un cestino di pasta sfoglia, con un ripieno morbido alle mandorle, ricoperti con sa cappa, la glassa di zucchero aromatizzata ai fiori d’arancio. Nella parte superiore una serie di decori di glassa, arricchiti da s’indoru, la foglia d’oro. Riprodurre a casa la maestria delle donne sarde è davvero difficile, ma si può ricreare una versione base delle pastissus, con pochi semplici ingredienti. Per la pasta, che i sardi chiamano pasta violata, occorrono farina (00 o rimacinato di semola, secondo le zone), strutto, zucchero e un po’ d’acqua. Mentre per il ripieno farina di mandorle, zucchero, uova, lievito, scorza di limone e liquore all’anice.
Pastissus o pastine reali
Pistoccheddus di Serrenti
I biscotti dalla pasta croccante ricoperti di glassa decorata tipici del territorio di Serrenti, Sud Sardegna, vengono chiamati anche pistoccheddus de cappa. Sono modellati dai pasticceri locali a forma di animali oppure a forma di esse. Sono impastati con due farine, semola e grano tenero, a cui si aggiungono uova intere e tuorli, strutto, zucchero e scorza di limone in abbondanza. Una volta data la forma ai biscotti, si infornano a 180 gradi per 15-20 minuti. Nel frattempo si prepara la glassa a base di albumi montati a neve, zucchero e succo di limone, che verrà spalmata sui biscotti tiepidi, mettendoli nuovamente in forno a 50 gradi per qualche minuto, in modo da far rassodare il tutto.
Pistoccheddus di Serrenti
Tiriccas
Tiriccas, tiliccas, tericcas, tziliccas, cucciulendi e meli, caschettas, cotzuli, fraones, seddines, panigheddose cosi via: si tratta – ancora una volta - di biscotti tipici del periodo dei morti, il cui nome varia secondo la specifica zona di produzione. Originari delle zone centrali della Sardegna, sono diffusi in tutta l’isola. Si preparano con la pasta violata e con un ripieno chiamato pistiddu. Per la pasta gli ingredienti sono sempre gli stessi: farina di semola, strutto, acqua tiepida e, a piacere, un po’ di zucchero. La farcia invece è composta da farina di semola, mandorle dolci sgusciate e tritate, sapa, scorza di arance e cannella. Una volta creato. l’impasto può essere suddiviso in tanti pezzettini e messo negli stampi, oppure si possono tagliare dalla massa delle striscioline di pasta lunghe circa 12-14 centimetri, da arrotolare insieme al ripieno, ricreando così la forma originale, “a goccia”. Infine, si possono decorare nella parte superiore con glassa realizzata con albume d’uovo, zucchero e succo di limone.
Tiliccas
Ricetta delle pardulas della pasticceria La Dolce Vita di Ghilarza, Oristano
Ingredienti:
per la pasta
1 kg di farina di semola rimacinata
150 g di strutto
100 g di zucchero
sale q.b.
acqua q.b.
per il ripieno
100 g di farina 00
150 g di lievito
1 kg di ricotta (in alternativa formaggio fresco)
200 g di zucchero
160 g di tuorli d’uovo
1 limone
scorza di 2 arance
zafferano e latte a piacere
Procedimento
Mettere la farina di semola a fontana su un piano di lavoro e versarvi al centro l’acqua calda dove precedentemente si è fatto sciogliere lo strutto. Aggiungere lo zucchero, il pizzico di sale e impastare fino ad ottenere una masso soda e liscia, abbastanza consistente. Se necessario, aggiungere altra acqua tiepida. Avvolgerla con della pellicola e lasciarla riposare in frigorifero per almeno un’ora.
Per il ripieno spurgare la ricotta il più possibile dal siero, mettendola in un canovaccio su un colapasta (passaggio da saltare se si utilizza il formaggio fresco). Una volta scolata la ricotta, lavorarla insieme alla farina, ai tuorli d’uovo, al lievito, allo zucchero, alla scorza e al succo degli agrumi. In alcune zone della Sardegna a questo punto si aggiunge anche un po’ di zafferano sciolto in un goccio di latte caldo. La farcia deve essere piuttosto densa: una volta raggiunta la consistenza giusta suddividerla in tanta piccole palline.
Tirare fuori la sfoglia dal frigo, stenderla e ricavare dei dischetti di circa 8 centimetri di diametro. Posizionare al centro di ogni dischetto una pallina di ripieno e pizzicare i bordi della sfoglia, in modo da formare un cestino. Infornare in forno già caldo a 170 gradi circa per 30-40 minuti. Spolverarle con zucchero a velo e servire.
a cura di Francesca Fiore
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