Nella seconda giornata de Le strade della Mozzarella il viaggio si spinge ancora più lontano alla scoperta di territori e paesaggi diversi. Lontani, se non geograficamente, nelle atmosfere e le culture.
Chi ancora non fosse convinto che la gastronomia possa rappresentare la chiave d'accesso alla cultura di un paese, avrebbe dovuto passare qualche ora nelle sale del Savoy Hotel di Paestum.
Nella seconda giornata de Le strade della Mozzarella continua il viaggio verso territori e paesaggi diversi, lontani e non.
Il piatto di Javier Olleros
Lo spagnolo Javier Olleros di Culler de Pau a Pontevedra, in Galizia
La vicina Spagna si rivela selvaggia e tumultuosa in quell'area di confine e di contasti che è la Galizia. Natura ruggente, scarpate precipitose e pascoli scoscesi. È questo il panorama che si scorge dalle grandi vetrate di Culler de Pau di Pontevedra. Un finis terrae dove Javier Olleros,tra i più interessanti spagnoli della sua generazione, officia una cucina che stringe relazioni non solo virtuose ma quasi simbiotiche con i produttori della zona. Che gli offrono, da un'area pure circoscritta, tesori capaci ancora - dopo anni - di stupire lo chef stesso, che ricambia con la presa in carico di un impegno di responsabilità, onestà e rispetto nei loro confronti. In questa prospettiva, “cucinare il paesaggio” rappresenta l'ideale didascalia del suo lavoro, nel quale tradizione e modernità vanno a braccetto. Ed è interessante vedere in che modo il suo approccio alla cucina, così intimamente legata alla materia prima e al territorio (inteso anche come organismo di luoghi persone e conoscenze), abbia affrontato un prodotto complesso come la mozzarella di bufala. Lo ha scisso nelle sue componenti, studiato e sperimentato mediante le temperature. Con l'obiettivo non di coprirlo, ma di svelarlo nella sua caratteristica centrale: la freschezza. Ne è nato un piatto molto contemporaneo nell'uso di un'acidità presente ma misurata con estrema eleganza, nelle consistenze, nei contrasti tra morbidezze e spigoli, fresco eppure lussuoso. Un raviolo di sfoglia leggerissima di farina di riso e siero e cuore di mozzarella. Insieme, sul fondo di latte di mozzarella, una perla ottenuta lavorando insieme e poi facendo bollire mozzarella siero e panna, del pesce marinato nel siero e, a contrasto, tocchi erbacei e vegetali. Ma le prove del galiziano non finiscono qui e continuano nei brodi intensi e gelatinosi, nella ricerca di sfumature saline e di punte sapide a restituire la forza di quel mare che osserva ogni giorno dal suo ristorante e che anche qui a Paestum, è compagno fedele della terra rigogliosa.
Il russo Vladimir Mukhin del ristorante White Rabbit a Mosca
Ci introduce invece alla grande madre Russia Vladimir Mukhin che, con il suo White Rabbit di Mosca, è lo chef più famoso della sua nazione. Il più internazionale e quello che, più di ogni altro, ha interiorizzato la lezione della gastronomia mondiale. Che oggi esibisce un interesse sempre più deciso verso le tradizioni locali. Nel suo intervento Mukhin ci dà uno spaccato di una cultura ancora troppo poco conosciuta, quella di una nazione da sempre incline a cogliere prodotti e suggestioni straniere, la cui identità gastronomica è debitrice tanto delle sue condizioni climatiche quanto di una storia alimentare tutta da indagare. Ci sono le acidità e le fermentazioni, le zuppe opulente, i sapori sferzanti di certi vegetali, i cetriolini di molte fogge (a quanto pare uno dei prodotti caratteristici), ma anche la passione per i latticini la cui ricchezza fa da contraltare alle caratteristiche note pungenti di certi sapori. Scopriamo infatti una lunga familiarità con mozzarella, ricotta e soprattutto burrata. Importate prima, prodotte in loco in questi tempi di embargo: certamente prodotti diversi da quelli originali (e la meraviglia di Mukhin nell'assaggiare il latticino campano e il suo liquido di governo, la stessa di tutti gli chef stranieri, ne è la testimonianza più evidente) ma rivelano le potenzialità di un territorio che va ben oltre le distese gelide a cui di solito si associa. La capasanta marinata al melograno, unita a foglie di radicchio, cipollotti, cren e gli immancabili cetrioli, sono gli elementi che accompagnano la morbidezza materna della mozzarella. Prosegue a mescolare sapori di origini diverse, Mukhin, come caviale di trota, cetrioli, burrata e acqua di mozzarella, o ancora in una versione della caprese in cui l'aceto balsamico (in Russia ingrediente immancabile di questo piatto che ci rivela un'importazione non proprio fedele) è sostituito dal malto fermentato usato nel pane nero.
Gaggan Anand e il suo locale omonimo a Bangkok
Un viaggio più lungo porta in India, e dall'India in Thailandia. È quello in cui ci accompagna Gaggan Anand, miglior chef per la 50 Best Asia con il suo locale omonimo a Bangkok. Indiano di nascita, traccia una linea tra le sue origini e quelle del nostro paese, rivela inaspettati punti di congiunzione e li filtra attraverso lasua esperienza thailandese, che dura ormai da 10 anni. “Devo cambiare l'India fuori dall'India” dice. E non è l'unica cosa che racconta: con il suo fare da grande mattatore mette in fila storia e passioni, battute irresistibili e spunti di riflessione, in un intervento che pare essere un manifesto di quanto la cucina possa sintetizzare e raccogliere della vita. Il latte come simbolo dell'elemento materno e come richiamo decisivo alla sua infanzia in India è uno degli snodi centrali. Con gli allevamenti visitati a Paestum che mettono in moto il cortocircuito del ricordo dei villaggi dove è cresciuto, dove le vacche avevano un ruolo fondamentale nella comunità e il latte era un alimento base. Poi il suo quadro si compone: il rito del tè e quello dello street food, le 25 cucine del suo paese, il fritto ovunque, il masala e la passione per i fermentati che, dice “non devono essere fini a se stessi, ma funzionali al piatto”. E poi la necessità di spingersi oltre il già visto e il già fatto, di uscire dalla comfort zone per entrare nella vita vissuta, abbracciando le sfide che si pongono giorno dopo giorno, traguardo dopo traguardo. Un'ondata di parole e racconti profumata di spezie, quelle del tè masala accompagnato dalla crocchetta nera di ricotta, spinaci ed erbe aromatiche.
Il piatto di Antonia Klugmann
Continua poi il giro per il mondo e sulle strade della mozzarella: la vicina Barcellona di Paolo Casagrande (Restaurante Lasarte), autore di una meravigliosa insalatina di pesce, il Belgio di Kobe Desramaults che ha annunciato la prossima apertura a Gent, quella terra di confine che è il Collio, dove alberga Antonia Klugmann, la Cina contemporanea tradotta da Ed Schoenfeld, patron del Red Farm di New York e i molti spunti che, anche in Italia, la regina bianca ha portato con sé.
LSDM | Paestum (SA) | Savoy Beach Hotel | il 19 e 20 aprile | www.lsdm.it
Le Strade della Mozzarella 2017 report. Prima giornata
a cura di Antonella De Santis