Una realtà fatta di spore, fermenti, latte, verde, prati. E di pazzie, di chimica, di viaggi. Una bella storia, grandi prodotti. Quelli dell'affinatore Marco Bernini, che produce degli erborinati incredibili.
Marco Bernini è riuscito a creare un fil rouge tra birra, formaggi e pane. Con un'attenzione ai lieviti al limite del maniacale e una grande sensibilità nei confronti dei processi chimici. Ecco la sua storia.
Piccola introduzione ai formaggi erborinati
Persille, fromage bleu, blue cheese, erborinati (dal dialetto milanese “erborin” che significa prezzemolo). Chiamateli come volete ma saranno sempre quei formaggi caratterizzati da muffe. Tecnicamente, i microorganismi che generano la fioritura verde o blu, sono dei miceti che non interferiscono con i batteri lattici, essenziali per la caseificazione, appartenenti al genere Penicillium (ad esempio Penicillium glaucum per la produzione di Gorgonzola o Penicillium roqueforti per la produzione di Roquefort e Danablu). Un tempo questi erano già presenti nei luoghi in cui venivano prodotti i formaggi. Mentre oggi, con il “proliferare di troppa igiene” e regole ferree di HACCP è necessario addizionarli al latte prima della cagliata, sotto forma di spore, che poi germinano durante la stagionatura, espandendosi e creando le tipiche muffe. Questo è in generale il processo che sta dietro agli erborinati. In quelli di Marco Bernini c'è qualcosa di più...
Marco Bernini
Con un passato milanese, da arciere cacciatore prima, da fotografo di moda e food poi, e un intermezzo da homebrewer, che si è rivelato fondamentale; Marco Bernini in età adulta si è riscoperto casaro autodidatta. “Vivevo a Milano e facevo il fotografo, toccando un po' tutti i rami della fotografia, compreso il food. Poi, quando il settore ha iniziato a scemare, ho adibito lo studio in un micro birrificio”. Ma la passione per la fotografia, quella no, non era scemata. “Mi sono trasferito in campagna a Pozzol Groppo con l'intento di continuare a fare il fotografo, ma all'epoca la tecnologia non me lo consentiva. Nel frattempo sono diventato papà di due bambini e siccome mia moglie faceva la pendolare su Milano mi sono ritrovato a fare il mammo”. E la birra? “Avrei dovuto investirci parecchi soldi, non potevo permettermelo. Così mi sono comprato un gregge di capre per produrre formaggio”.
Da lì un'escalation non preventivata: “Inizialmente erano gli amici, poi la voce si è sparsa anche tra i grandi chef. Eppure avevo calcolato di prendermi del tempo tecnico per imparare”.
A quanto pare non necessario: fin da subito è riuscito a esprimersi perfettamente grazie a una manualità invidiabile e alla conoscenza della chimica, quella che aveva imparato per birrificare. D'altronde l'attenzione ai lieviti e la sensibilità nei confronti dei processi chimici sono fondamentali tanto nel mondo brassicolo quanto nell'universo dei formaggi. Universo che Marco ha sovvertito: “Ho sviluppato tecnologie inconsuete nella caseificazione. Inizialmente mi sono studiato i cataloghi di quelle due, tre multinazionali che vendono fermenti, traducendo i nomi in greco e in latino utilizzati, nel loro nome comune antico, per andarli a cercare negli scritti dei frati trappisti e benedettini. Così facendo sono risalito ai fermenti nativi, quelli presenti in natura nelle cortecce o nelle radici, per esempio”. Staccandosi dalla chimica casearia canonica, e utilizzandone una parallela, più storica, è riuscito ad avere il controllo totale sui suoi erborinati. “Spesso capitava che durante la caseificazione dovevo andare a prendere i miei figli a scuola, ma sapevo che ginepro, alloro ed erba limoncina potevano retrocedere le reazioni chimiche. Così il formaggio era salvo”.
Andrea Ribaldone utilizza i formaggi di Marco Bernini durante Identità di Formaggio
I suoi erborinati e il pane
Nelle sue pazze sperimentazioni ha anche brevettato una nuova tecnologia: Pané. “Una tecnica che parte dal pane”. Anche in questo caso, non ha inventato nulla: ha “semplicemente” studiato le reazioni chimiche e i libri di storia. Quelli dove si racconta la nascita del roquefort, un erborinato frutto di un errore umano: “Pare che il formaggio sia nato in seguito a una dimenticanza da parte di un giovane pastore, che si è scordato un pezzo di pane di segale e un formaggio in un'umida grotta”. Il pane, la farina, gli errori e in generale tutte le contaminazioni spontanee che un tempo erano all'ordine del giorno e che hanno dato vita a prodotti straordinari. Sono questi i trucchi del suo mestiere. “Nelle cucine di una volta le donne conservavano il latte sotto il tavolo dove poi si mettevano a stendere la pasta, potete immaginare la moltitudine di contaminazioni tra i batteri o i fermenti che c'erano nell'aria. Oggi, purtroppo, si è persa gran parte di questa alchimia anche a causa di regole di igiene (troppo?)ferree”. Regole che fanno di lui un “illegale”.“È successo tutto molto in fretta: mi sono subito trovato sotto i riflettori dato che la voce tra gli chef è girata in fretta. Quindi, tra una cosa e l'altra, non sono ancora riuscito a certificare il mio laboratorio, che dedicherò fondamentalmente alla didattica”.
Per legge, dunque, Marco non può vendere i suoi formaggi, ma nulla vieta di andarlo a trovare a Pozzol Groppo per tastare con mano quel che vi abbiamo raccontato. “Nel frattempo vivo grazie al mio pane, che (ironia della sorte)ho cominciato a produrre per accompagnare i formaggi”. Il Bernini dei fermenti ha infatti applicato le sue conoscenze in fatto di lieviti per creare il pane. Con l’acqua luppolata, le farine coltivate da lui e macinate in un antico mulino ad acqua, utilizzando i saccaromiceti (i lieviti che si usano per birrificare). “Con i miei pani riproduco gli stili birrari, mettendo in solido quel che solitamente è liquido. C'è il panelager, lo stout, il weiss o il guinnes, che io impasto e metto a cucinare a legna a bassa temperatura”.
Le collaborazioni
Oggi la sua enorme conoscenza (e consapevolezza) la trasmette grazie alle molteplici collaborazioni - Quando lo contattiamo al telefono è nel laboratorio di un suo amico norcino per risolvergli un problema –tra cui quella con Andrea Ribaldone. “Mi ha chiesto di interpretare la robiola con le mie tecniche. Il giorno che è venuto a trovarmi non scorderò mai la sua faccia quando gli ho fatto assaggiare la robiola GB, chiamata così perché fatta con spore provenienti proprio dall'Inghilterra”. Sembrerà impossibile ma lui viaggia “spatolina alla mano” per raccogliere le spore dai caseifici e dalle grotte di tutto il mondo. “Una volta fatte analizzare, le metto in coltura, le rendo plastiche, dato che non le voglio volatili, e le inserisco in dei contenitori. Quando decido di usarle le reidrato”. Potete immaginare la sua produzione di erborinati, di formaggi ma anche di birra, di sidro, di prodotti, che lui non vende ma offre a chi viene a trovarlo.
Marco Bernini - La Cavarchella | Pozzol Groppo (Al) | via Ca' d'Andrino 6
a cura di Annalisa Zordan