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Morto Raffaele Chiumento, il grande ristoratore di Nonna Sceppa di Capaccio

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Ha fatto di Nonna Sceppa un faro nel Cilento del gusto, con il pallino della ricerca della materia prima e dell'alta qualità, ma anche con quella sua umanità, con la sensibilità e la gentilezza che lo hanno reso un amico, prima che una figura del mondo della ristorazione.

"…io volevo ed eran voli di uno sparso, antico sogno,
per non rimanere soli, accecati nell'abbaglio.
Io non appartengo e lascio lo spiraglio alla mia porta,
solo, quando vieni fallo con l'amore di una volta
" …

È l’ultimo post che appare nella sua pagina Facebook. I due precedenti, sulla facoltà di giurisprudenza di Bologna, erano invece una sorta di invito ai figli, Raffaella e Davide, la prima impegnata a studiare Giurisprudenza a Bologna, il secondo – nelle speranze del padre – avrebbe potuto seguirne la strada. Raffaele Chiumiento se ne è andato così, all’improvviso, nel pieno di una vita piena e carica di pensieri e riflessioni. La citazione dal finale della canzone di Roberto Vecchioni (Io non appartengo più) sembra quasi un biglietto di addio. Ci eravamo sentiti pochi giorni fa e con la solita ironia diceva che andava tutto bene.

Un “mangificio” di alto livello

Ma chi è – chi era – Raffaele Chiumiento? La prima risposta che mi viene immediata: era un grande uomo profondamente laico e incredibilmente profondo. Non so se credesse a un qualche dio, né mi interessa saperlo. So che credeva nella vita e negli uomini. Queste due caratteristiche – laicità, sensibilità, spessore – le applicava alla sua vita e ai suoi rapporti, a ciò che faceva quotidianamente. E le applicava al suo lavoro: il ristoratore. Raffaele era un gallo nel pollaio.

Era lui a sovrintendere – con il pensiero e con la pratica quotidiana della spesa e della scelta degli ingredienti – a una cucina fatta di tutte donne: sua moglie Francesca e sua cognata Cinzia (la moglie del fratello Luigi, che insieme a Raffaele dirigeva la trattoria NonnaSceppa a Capaccio, Paestum), sua mamma (che fino a poco fa ancora sovrintendeva alla fattura del pane, ogni giorno) e sua sorella Anna. Era lui il motore di un locale che Davide Paolini definì “mangificio” – e Raffaele ne andava fiero, perché poi si diceva di come quel ristorantone da centinaia di coperti aveva una qualità e uno standard incredibili – e che impegnava tutta la famiglia, anche in sala con il fratello Luigi e i nipoti Luigi e Antonio. Era lui il motore e la testa: non voleva nessun “grado”, non aveva un ruolo definito, però seguiva tutto e con la intelligenza e la sua autorevolezza impostava il lavoro di tutti.

Raffaele Chiumiento era un ristoratore come pochi: non aveva dogmi, non aveva schemi, era molto curioso e aveva una particolare intelligenza per sapori e consistenze. Anche per i lardi e gli insaccati che sicuramente non hanno fatto bene né al suo cuore, né al suo peso, né ai suoi calcoli. Era un omone da 160 chili (ma il peso non lo ha mai dichiarato), un gigante buono e gentile… era un amico con cui si stava “sotto al portichetto” (la sua casa e quella del fratello erano incorporate nell’area accanto al ristorante e tutti vivevano e vivono lì) per ore e ore, dopo cena, fino a mattina, a parlare di tutto: di cibo, certo, ma anche di politica, di poesia, di filosofia, di cose semplici in maniera profonda, sempre con ironia e con il sorriso.

Passione e curiosità

Ci siamo conosciuti all’inizio della mia avventura al Gambero, una quindicina di anni fa: stavamo chiudendo una guida per il riso Gallo mi sembra e stavamo controllando i ristoranti da inserire. Contattammo anche lui. Non ci si conosceva ancora. Ma disse che ci avrebbe mandato dei prodotti da assaggiare. Era fine luglio, e non ci si sentì più. Alla chiusura di Ferragosto degli uffici, scovammo una cassetta di polistirolo dietro il banco del centralino: era per noi. Non avevamo idea di cosa fosse. Ma il mittente era Nonna Sceppa. Aperta la scatola – stava lì da almeno una decina di giorni – ne tirammo fuori delle ricotte di bufala che ovviamente non sembravano mangiabili. Sotto c’erano delle grandi mozzarelle da mezzo chilo: un peccato buttarle così, quindi provammo ad assaggiarle. Ce le siamo finite, erano ancora molto ma molto meglio di altri prodotti freschi. E ne restammo entusiasti. Raffaele voleva che provassimo le mozzarelle di Rivabianca, caseificio di Paestum che ancora non aveva la grande notorietà che ha oggi fuori dal suo territorio. Fu una vera scoperta (poi il caseificio ebbe varie vicissitudini…) e ci incontrammo lì dove ci si conobbe. Da allora non ci siamo mai più persi di vista: ci siamo frequentati molto, sia di persona che telefonicamente. Era un amico, vero.

La qualità è quotidianità

Ma non era solo un amico. Era un punto di riferimento per un territorio sostanzialmente agricolo e abbastanza ricco dove il miraggio di un turismo facile ha moltiplicato locali di ristorazione senza molto spessore e senz’anima. Lì, lungo la costa che da Salerno va ad Agropoli, non è facile fare una cattiva ristorazione: basta prendere i prodotti freschi della terra e del mare. Eppure, sempre più ci si è allontanati negli anni dalla terra e dalla costa. Raffaele andava continuamente alla ricerca di contadini in gamba, seri, e di pescherie di valore; provava di continuo nuovi tipi di pasta secca, era in contatto con tutti i produttori di Fiano e di Greco della zona: voleva il meglio, anche sapendo che nei weekend e in estate la sua Nonna Sceppa faceva anche centinaia e centinaia di coperti al giorno. La qualità per lui non era un lusso: era l’unica strada che aveva per continuare a fare il suo lavoro lì, che significava tenere insieme tutta la famiglia, continuare la tradizione, conoscere e parlare del suo territorio e farlo conoscere nel mondo. Non perdeva un’occasione per cercare di portare fuori provincia e fuori regione giovani produttori che riteneva validi. Lottava ogni giorno contro le banalizzazioni e il folklore da cartolina che spesso prendeva il sopravvento tra colleghi e negli eventi che lì si facevano e si fanno.

Forse aveva un difetto, o almeno una caratteristica che oggi – nell’era mediatica della sovraesposizione – può essere considerata un difetto o un limite: non amava mostrarsi, da buon artigiano voleva che le cose, i fatti, il suo lavoro quotidiano parlassero da sé. E purtroppo, anche se Nonna Sceppa era sempre piena, non ha mai avuto i riconoscimenti che a mio avviso avrebbe meritato. Lui, Raffaele, era uno di noi: era in naturale sintonia con la filosofia originaria del Gambero Rosso. Per lui il piacere del gusto era la prima cosa, in gastronomia e in cucina. Il buono e il bello avevano un posto di primo piano, oltre le chiacchiere e oltre i sofismi, oltre le ideologie e gli schemi, convinto che il bello e il buono fossero anche de per sé validi per l’essere umano. In una parola: credeva nell’autonomia del gusto, senza che l’esperienza del piacere dovesse essere giustificata da altre motivazioni “più spirituali”. E su questa strada ha formato i suoi nipoti che più gli stavano vicini sul lavoro, Luigi e Antonio figli della sorella e del fratello. Ora saranno loro a portare avanti l’insegnamento di Raffaele: quel pezzo di Cilento, ricco si gioielli enogastronomici, ha davvero bisogno che l’azione e il pensiero di Raffaele continui verso il futuro.

ps. poiché di piaceri insieme ce ne siamo goduti molti, in memoria di Raffaele voglio citare i piatti di cui mi sarà difficile fare a meno: acqua sale e bufala, vermicelli e vongole, spaghetti con la cicala di mare, frittura di mare, frittura di verdure, carciofo imbottito. Piatti semplici, ma infinitamente lunghi.

 

a cura di Stefano Polacchi

 

Nonna Sceppa | Capaccio Paestum (SA) | loc. Laura, 45 | tel. 0828 851064

 


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