Male, malissimo la Sicilia e l'estremo nord, meglio nel centro Italia. Quest'anno la produzione di miele segna un crollo deciso soprattutto nelle produzioni di spicco. Come correre ai ripari?
La notizia è rimbalzata su tutti i mezzi di informazione, tra carta stampata e online: l'ultimo raccolto del miele ha registrato un crollo della produzione del 70% rispetto alle potenzialità. E questo è niente. Il prezzo del miele aumenterà, così come il rischio di sofisticazioni, con possibili introduzioni in Italia di prodotti esteri scadenti grazie a triangolazioni tra Cina e Paesi europei consenzienti. E dopo due anni di seguito di crisi produttiva, come in Sicilia, Piemonte e Triveneto, alcune aziende apistiche rischiano di chiudere definitivamente i battenti.È quanto è emerso in una conferenza stampa che si è tenuta a Roma il 7 settembre scorso, indetta dal Conapi (Consorzio Nazionale Apicoltori), alla quale hanno partecipato Diego Pagani, presidente di Conapi, Giancarlo Naldi, presidente dell’Osservatorio Nazionale Miele, e l’on. Andrea Olivero, viceministro alle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali.
I dati parlano chiaro. “Produzione a picco soprattutto per i due grandi mieli italiani, l'acacia e l'agrumi, lo zoccolo duro dell'apicoltura nazionale” entra nel dettaglio Giancarlo Naldi “il 65/70% in meno per quello d'acacia, con produzione persa in Lombardia e nel Triveneto, e scarsa nel resto d'Italia. Per il miele di agrumi è andata anche peggio: 70/75% in meno, quasi niente in Sicilia, poco in Puglia e in Calabria”.
Il motivo del crollo produttivo
Nonostante la base sociale di produttori rimanga numericamente la stessa – 42.650 apicoltori, di cui 20mila professionisti e circa 23mila hobbisti, secondo il report rilasciato da Giancarlo Naldi – e 1 milione e 500mila alveari (tanto per dare un'idea: negli States sono censiti 2 milioni di alveari). Le cause della débâcle? “I cambiamenti climatici e l’uso di pesticidi in agricoltura” spiega Diego Pagani “ai quali si aggiunge l'interruzione del progetto Beenet” aggiunge, facendo riferimento al progetto nazionale di monitoraggio degli alveari e dell'ambiente, promosso e finanziato dal Mipaaf in collaborazione con altre istituzioni, enti di ricerca e università, avviato nel 2011 e chiuso nel 2014)”.
Le conseguenze sull'agricoltura e i danni economici
Si tratta di un disastro per molteplici motivi. “Il miele è un elemento chiave dello sviluppo della nostra agricoltura: su 100 piante di quello che mangiamo 70 sono impollinate dalle api” ci ricorda Pagani.
“Il miele italiano è una delle eccellenze del nostro paese, per qualità e varietà, con produzioni monoflora uniche al mondo” spiega l'onorevole Andrea Olivero. “E il settore è in costante crescita, c'è una grande richiesta del nostro miele” puntualizza Giancarlo Naldi.
Ma non basta. “A causa delle abbondanti piogge durante le fioriture primaverili, molti mieli, come acacia, tarassaco, alcuni millefiori, hanno un alto grado di umidità, con rischi di fermentazione” precisa LuciaPiana, figura di spicco del settore a livello internazionale, impegnata su entrambi i fronti della didattica e della ricerca nel miele, e dal 1981 coordinatrice del più importante concorso nazionale dedicato, il Premio Giulio Piana - Grandi Mieli d'Italia, che si tiene tutti gli anni a Castel San Pietro Terme (BO), del quale in questi giorni si sta chiudendo la 36a edizione.
Meno 70%: un dato da ridimensionare
“Non facciamo allarmismi” mettono in guardia alcuni produttori “la situazione è drammatica ma non tragica”. Il crollo produttivo del 70% è valutato sulle potenzialità e sul confronto con il raccolto 2015, che ha segnato un picco positivo grazie anche a un andamento climatico particolarmente positivo. La perdita sulla media produzione è intorno al 30%.Inoltre, il 2008, l'annus horribilis del settore, è stato anche l'inizio di una nuova era, un po' come – per altri versi – il 1986 per l'enologia, dopo lo scandalo del vino al metanolo: produzione in caduta libera ma anche la focalizzazione di una delle origini del problema, l’uso dei neonicotinoidi, i killer per eccellenza delle api, impiegati come concianti del mais, e la nascita di progetti di ricerca – prima Apenet (2009-2010), poi Beenet (2011-2014) – per raccogliere da una parte informazioni sullo stato di salute delle famiglie di api, dall'altra per valutare l'efficacia dovuta alla sospensione dell'impiego dei pesticidi. Sospensione che ha dato i suoi buoni frutti: il 2012 per alcuni tipi di miele è stata un'ottima annata. “Non si vedevano tante api così da almeno dieci anni “, fu il commento a caldo di Andrea Paternoster, uno delle personalità di spicco dell'apicoltura italiana, proprietario di Mieli Thun, azienda vicino all'omonimo castello a nord di Trento.
Poi gli apicoltori non sono degli sprovveduti. Negli ultimi anni si sono attrezzati aumentando il numero di apiari/alveari per bilanciare o quantomeno arginare le perdite produttive. Certo, a fronte di maggiori investimenti e di maggiore lavoro tra spostamento degli alveari, smielatura ecc.
Sulla, tiglio e coriandolo
Acacia e agrumi a parte, qual è la situazione degli altri mieli? “Alcuni monoflora che hanno tenuto, come il miele di sulla, foraggera spontanea dalla Romagna alla Sicilia, e di erba medica” precisa Naldi. “Vicina alla norma la produzione del tiglio, presente quest'anno anche in Toscana e nel Lazio. Non soddisfacentema in netta ripresa quelle di castagno e di eucalipto. In risalita anche il millefiori estivo, nel centro e nord Italia, grazie a colture da semina, quindi irrigate” dice, econclude: “Un exploit straordinario per il coriandolo, il miele rivelazione degli ultimi anni, prodotto in grande quantità, 50 chili per alveare, e in un'ampia area geografica, anche in montagna!”.
Perché il coriandolo? qualcuno si chiederà. Il coriandolo, o prezzemolo cinese, è una coltura molto recente nel nostro territorio, coltivata per produrre il seme, utilizzato come spezia. Una produzione in vertiginoso aumento per rispondere alladomanda dei mercati internazionali, soprattutto quello orientale, e peruna serie di plus: è un'alternativa economicamente sostenibile rispetto ad altre colture (per esempio grano ed erba medica),è rustico, facile da coltivare e non si alletta, si adatta bene a qualsiasi tipo di terreno, richiede pochi interventi eminori costi di produzione, assicurabuone rese, è una coltura miglioratrice del terreno e si inserisce bene nella rotazione con il grano duro, soprattutto viene coltivato sulla base di contratti “tranquilli” per i contadini (stipulati dalla società Anseme di Cesena, che fornisce il seme gratuitamente, garantisce il prezzo, prefissato prima della semina, il ritiro e il trasporto del raccolto). E anche il miele risponde bene presso i consumatori, che ne apprezzano i profumi caramellati e le note speziate e piccanti.
Danni maggiori in Sicilia
Ma pur armandosi di ottimismo e cercando il mezzo pieno tra le pieghe dei grafici, non si può negare che il danno c'è, soprattutto nell'estremo nord e nell'estremo sud, con punte di oltre l'80% di perdita. Basta incrociare i dati che ci forniscono, al telefono, gli apicoltori. “In Sicilia è successo di tutto”dice rassegnato Carlo Amodeo, famoso apicoltore di Termini Imerese, Palermo, con alveari sparsi in tutta l'isola, dalla Conca d'oro alle isole di Filicudi e di Marettimo. “Siccità in inverno, pioggia e vento in primavera. E, come se non bastasse, a metà giugno lungo la costa palermitana, nelle zone di Lascari, Cefalù, Gratteri, Castelbuono e Collesano,è divampato un grosso incendio, alimentato da temperature torridee scirocco. Il 2016 lo ricorderemo come l'annata peggiore degli ultimi 35 anni. Più del 2008, non c'è paragone!”. Due tonnellate e mezzo di miele d'arancio contro le 10-12 tonnellate preventivate: un quinto della produzione media. “Ancora più scarso il miele di mandarino di Ciaculli, e neanche una goccia di quelli di limone, di timo e di aneto”.
Di contro, discreta la quantità prodotta di miele di sulla e di cardo, mentrel'eucalipto è in ripresa dopo l'annata negativa del 2015 a causa della psilla. “Noi abbiamo tenuto botta perché oltre al miele produciamo sciami per il servizio di impollinazione e per gli apicoltori, che vendiamo anche all'estero. Ma altri apicoltori siciliani non hanno prodotto nulla, e alcune aziende stanno cominciando a chiudere”.
Una pessima annata all'estremo nord
Nel nord, regno quasi incontrastato dell'acacia, le cose non vanno meglio. “È stata una pessima annata per noi in montagna” fa il punto della situazione Andrea Paternoster “a parte qualcosa nel Parco del Ticino e in Lomellina, abbiamo prodotto pochissimo miele di acacia, 5 chili per arnia, e in alcuni casi era talmente scuro e poco puro che abbiamo dovuto declassarlo a millefiori”. Non finisce qui:“Altra perdita importante: il rododendro. Malgrado le alte temperature estive non è fiorito a causa della mancanza di neve nell'inverno scorso, che avrebbe dovuto proteggere le piante dal gelo. Non solo abbiamo perso la produzione del monoflora, ma abbiamo raccolto un millefiori senza quella eleganza e delicatezza che conferisce il rododendro. Un millefiori non cattivo, anzi, ma diverso”. Il castagno? “Capitolo a parte per il castagno. Dopo anni di problemi con il cinipide, insetto che ha devastato i castagneti di tutta l'Italia, quest'anno abbiamo avuto una buona produzione, in quantità e qualità, con quelle note tanniche, di zucchero bruciato, che ci piacciono tanto”.
I provvedimenti necessari
La moria delle api e la scarsa produzione di miele non sono dati preoccupanti soltanto in quanto perdita del prodotto finale e sua disponibilità sugli scaffali. Hanno altre ricadute. “L'apicoltura è un'attività economica importantissima perché fonte di reddito nelle zone rurali marginali e per l'attività di impollinazione, elemento chiave dello sviluppo della nostra agricoltura” precisa l'on. Olivero “per questo stiamo cercando di costruire con tutti i protagonisti del comparto unastrategia complessiva e condivisa finalizzata alla promozione della qualità del nostro miele e orientata in due direzioni: vigilanza e controlli per evitare frodi e truffe verso i consumatori, migliorare la qualità del miele e della sua vendibilità attraverso un'attività formativa e informativa, sia dei produttori che dei consumatori”. Cittadini più informati, consumatori più consapevoli.
a cura di Mara Nocilla