Guarda indietro e al futuro insieme, lo chef di Savona che i gourmet milanesi già conoscono bene. E dall'intreccio tra classicità e sperimentazione, pensiero e tecnica, nasce la cucina di Lume, nell'ex fabbrica Ginori, zona Naviglio Grande.
Il ristorante nell'ex fabbrica
C'è voluto del tempo, prima di trovare la dimensione più giusta per ricominciare. Tra qualche ora (seguendo, di poco, il ritorno di Davide Oldani) Luigi Taglienti si confronterà ancora una volta con la platea milanese, da una prospettiva un po' defilata rispetto ai tempi di Trussardi alla Scala. Ma questo non significa rinunciare all'ambizione che ha accompagnato il suo percorso in cucina sin qui. Anzi. Di Lume, come si chiama la nuova insegna appellandosi in primo luogo alla luce naturale che filtra dalle grandi vetrate di via Giacomo Watt, si è già parlato nei mesi scorsi, soprattutto per il peculiare contesto di archeologia industriale che accoglierà il ristorante come parte integrante di un progetto polifunzionale, W37. L'idea di riqualificare l'ex fabbrica di Richard Ginori in zona Naviglio Grande, infatti, è venuta dal gruppo MB America, che al rinnovamento dell'immobile ha associato la creazione di spazi per eventi, abitazioni, uffici e, non ultimo, un ristorante, nato per volontà di Emanuela Verlicchi Marazzi, l'imprenditrice che ha commissionato il progetto. Il passo successivo è stato quello di individuare in Luigi Taglienti un giovane di talento che rendesse giustizia allo spazio progettato da Monica Melotti, che alla cucina ha assegnato un ruolo cardine, racchiudendola in un cubo di vetro al centro della sala.
La cucina di Lume. Pensiero, gesto, ospitalità
E lo chef di origini liguri (da Savona, con celebri trascorsi nella ristorazione piemontese e milanese) ha accettato la sfida, presentandosi al fischio d'inizio con un bel bagaglio di esperienze pregresse e una maturità nuova, che di tecnica, ricerca, memoria e territorio fa le coordinate certe da cui ripartire. “Siamo tesi, ma carichi, la percezione è molto positiva, sentiamo interesse e curiosità intorno – ci conferma Taglienti a poche ore dall'apertura – Siamo partiti costruendo la sala con grande attenzione, perché il servizio fosse umano, ma professionale, studiato sulle esigenze dell'ospite e pensato per fare la differenza senza ostentazione”. La sala si divide in due (con pareti mobili e mille metri quadri modulabili secondo necessità), per 40 coperti complessivi, riservando un ulteriore spazio privato al tavolo per dodici per gli ospiti in cerca di tranquillità. E poi c'è il giardino interno. Dalla cucina arrivano tre proposte diverse (più un light lunch a 40 euro), una scelta alla carta e due degustazioni, sperimentale la più innovativa (12 portate, 150 euro), più tradizionale l'altra (120 euro per 7 portate), tra inediti e piatti signature dello chef, con particolare attenzione riservata alla pasticceria, che potrà contare su un laboratorio dedicato e svilupperà “l'idea del dolce non dolce che mi accompagna da anni, ma pur sempre legata al piacere di gustare un buon dessert alla fine del pasto”.
Dialogo, tecnica, territorio
La domenica, invece, ci sarà spazio per sbottonarsi un po': stesso menu, ma una cucina ben disposta al dialogo: “Chiediamo ai clienti di confrontarsi con noi. Per il nostro primo servizio domenicale, per esempio, abbiamo già un tavolo da 8 che ha “prenotato” un cappon magro come quello che preparavo anni fa. Il lusso in questo caso sta nella semplicità di confrontarsi con lo chef”. Protagonista in tavola sarà soprattutto la materia prima, valorizzata da un lavoro di sottrazione che riflette sulla modernità dell'essenza, in equilibrio tra una creatività che non vuole mortificarsi, ma non ricerca neanche il virtuosismo fine a se stesso. Quella che Taglienti definisce cucina umanista: “In poche parole libertà di pensiero e di gesto, dove tecnica e tecnologia sono in funzione del pensiero, non viceversa”. E naturalità, che poi vuol dire, necessariamente, stagionalità, nel rispetto dei cicli produttivi. E gli “studi classici” come chiudono il cerchio? Per elaborare il menu lo chef ha dedicato grande attenzione alle salse, studiandole in relazione al piatto, attribuendogli una dignità propria, rendendole più contemporanee a partire da una grande abilità tecnica, “secondo l'uso antico, ma in ottica innovativa, lavorando a caldo o a freddo”. In abbinamento una cantina che già conta 400 referenze, dalle grandi etichette ai piccoli produttori scovati sul territorio.
Ma la modernità della formula Lume risiede anche nel dialogo con gli altri spazi del polo W37: una cucina fine dining che si presta al catering per eventi interni e persino alla cena personalizzata in casa per gli appartamenti del lotto. E un deciso orientamento sulla clientela internazionale, che potrà prenotare un tavolo attraverso la piattaforma Open Table, per la prima volta in Italia a disposizione di un ristorante. E infatti le richieste sono già importanti. Di buon auspicio per il primo servizio, stasera.
Lume | Milano | via Giacomo Watt, 37 | tel. 02 80888624 | dal 16 giugno, martedì-sabato a pranzo e cena, domenica a pranzo | www.lumemilano.com
a cura di Livia Montagnoli