Dopo un crollo durato 40 anni, si notano timidi segnali di ripresa, ma i consumatori abituali sono sempre più anziani e crescono quelli saltuari. Nel complesso, il mercato interno resta asfittico. E per non costringere le imprese a una disperata corsa all’export servono strategie e determinazione
Grazie a condizioni metereologiche particolarmente favorevoli, l'Italia ha ripreso il posto di primo produttore mondiale di vino in quantità con quasi 50 milioni di ettolitri, spodestando così la Francia, il cui vino, però, vale quasi il doppio di quello italiano, che nel 2015 si è attestato sui 9,7 miliardi di euro (+3%). Merito soprattutto alla performance delle esportazioni, favorite da un euro debole, che hanno raggiunto la quota record di 5,4 miliardi, con un aumento del 5% sul 2014. Se, tuttavia, da una parte si festeggiano i successi del sistema vitivinicolo italiano, cresciuto esponenzialmente sia in qualità sia in valore, dopo il picco negativo dello scandalo del metanolo nel 1986, dall’altra emerge in tutta evidenza il problema dei consumi interni.
Il collasso dei consumi interni e il resto del mondo
Questi ultimi, infatti, a partire dagli anni Settanta sono letteralmente collassati nell’Europa mediterranea. E per l’Italia la contrazione in quantità è stata dell’ordine del 70%, da 120 a 36 litri pro-capite a testa. Il rapporto Istat 2016 L’uso e l’abuso di alcol in Italia riporta che dal 2005 al 2015 la percentuale di persone che consumano bevande alcoliche è calata di oltre 5 punti (dal 69,7 al 64,5%), peraltro con un rilevante spostamento dal consumo giornaliero a quello occasionale.
Con una popolazione stagnante e in rapido invecchiamento, con il consumo quotidiano in forte contrazione e quello saltuario sempre più diffuso, ciò si è tramutato in un parallelo tracollo dei consumi domestici totali, che ha costretto le nostre aziende vitivinicole a cercare disperatamente di esportare i propri prodotti per non vedere riempito a dismisura il magazzino e per non vedere posticipato a tempo indefinito l’incasso. Francia e Spagna versano in condizioni simili. Nei Paesi del Nord Europa e del Nuovo Mondo, invece, i consumi pro-capite di vino sono in crescita e il potere d'acquisto in molti casi superiore al nostro.
Il ritardo dei pagamenti
La ricerca di importatori stranieri è, dunque, divenuta una via obbligata per quasi tutti i produttori, complice il drammatico ritardo dei pagamenti da parte dei distributori e rivenditori italiani, che ha assunto le dimensioni di un’autentica emergenza, come evidenziato nell'ultimo rapporto (marzo 2016) sulle abitudini di pagamento in Italia nel settore food & beverage di Cribis-D&B. Secondo lo studio, sono ancora troppo pochi i pagatori puntuali: l'Ho.Re.Ca. resta ancora la maglia nera, con solo il 15% degli operatori che rispetta i tempi richiesti dalla legge, ma anche negli altri comparti del food&beverage la percentuale di puntualità non supera mai il 24,8%, mentre la situazione rispetto agli anni scorsi si è notevolmente aggravata.
I problemi per il nostro sistema produttivo
Qual è il problema in tutto ciò? Ve ne sono svariati. Il primo è, appunto, che se i consumi interni continueranno a contrarsi i nostri viticoltori dovranno cercare di esportare quote sempre crescenti della propria produzione, in un circolo vizioso del quale non si vede la fine: un cane che si morde la coda.
Il secondo è che la via dell’esportazione è praticabile soprattutto per i grandi produttori che hanno le risorse finanziarie e le competenze manageriali necessarie a internazionalizzarsi, mentre i piccoli incontrano enormi difficoltà ad aprirsi ai mercati esteri e, se ci riescono, finiscono spesso – visti i volumi ridotti – ad affidarsi a un unico grande importatore, col rischio di essere “presi per il collo” se altri concorrenti iniziano una distruttiva guerra dei prezzi.
Il terzo è che è più facile crescere quando i consumi domestici aumentano: i Paesi che negli ultimi quarant’anni hanno visto aumentare i consumi interni hanno registrato anche un incremento della produzione (ad esempio i Paesi del Nuovo Mondo). Piuttosto logico e per nulla sorprendente, dirà qualcuno.
Il quarto, infine, è che il viticoltore, per aumentare le vendite, finisce spesso per adattare il proprio vino ai gusti del compratore. Si corre così il rischio di snaturare i nostri prodotti adeguandoli, ad esempio, ai gusti degli americani che, come è noto, preferiscono vini fruttati, con maggiore residuo zuccherino e un marcato uso del legno. Una filosofia molto diversa dalla nostra. La rispettiamo, ma non necessariamente la condividiamo.
Segnali di ripresa
Alla luce di queste considerazioni appare evidente la necessità di arrestare il crollo dei consumi domestici. Su questo fronte si intravedono finalmente timidi segnali ripresa: la stima Oiv dei consumi italiani di vino del 2015 è tornata in positivo con un +0,3%, mentre i dati Iri Infoscan Census certificano per lo stesso anno un aumento delle vendite nel canale Gdo (che veicola circa il 66% degli acquisti di vino nel complesso) sia a volume sia a valore. Segnali incoraggianti, ma è presto per poter parlare di inversione di tendenza e troppo poco se guardiamo al tracollo dell’ultimo mezzo secolo. Senza considerare che il Paese continua ad invecchiare e i giovani a sostituire il vino con altre bevande alcoliche.
Le possibili soluzioni
Attualmente l’apprendimento delle tecniche di degustazione, delle aree vitivinicole più pregiate e delle tecniche di abbinamento cibo-vino avviene su base volontaria da parte di chi decide di tasca propria di seguire dei corsi di sommelier, senza alcun ruolo o contributo da parte dello Stato. Manca una strategia nazionale, come richiesto a gran voce dalle organizzazioni di categoria. Il presidente di Federvini, Sandro Boscaini, ha recentemente sottolineato la necessità di attivare corsi di avvicinamento al vino negli ultimi anni delle scuole superiori per educare il palato dei giovani e affinarne i gusti. Nulla di più condivisibile: è parte del nostro patrimonio culturale e un investimento una tantum che produce effetti perpetui sulla qualità del vino consumato e sulla disponibilità a pagare dei consumatori.
I corsi andrebbero, ovviamente, corredati da un modulo sui danni da abuso di alcool per insegnare a degustare consapevolmente. Tutto ciò richiede un impegno organizzativo ed economico forte da parte delle pubbliche autorità, nella consapevolezza che, di tutti i Paesi Ocse, l’Italia è quello che ha minori danni riconducibili ad abuso di alcool, nonostante la totale assenza di campagne di informazione e prevenzione. Tra il 2010 e il 2015, la Francia è riuscita a invertire la tendenza all’aumento dei non bevitori di vino promuovendo tra i giovani fino ai 24 anni un consumo moderato e consapevole. Il consumatore va educato, non ostacolato. È giunto il momento di rimboccarsi le maniche.
I benefici del consumo moderato e le conseguenze dell'abuso
La letteratura scientifica ha dimostrato come il consumo moderato di alcool produca una serie di effetti benefici sulla salute psico-fisica delle persone, mentre l’abuso – inteso come l’assunzione di più di 2 unità alcoliche al giorno o addirittura l’assunzione compulsiva nel fine settimana con l’obiettivo di perdere il controllo – una serie di danni a sé ed agli altri. Le conseguenze nocive dell’alcol non derivano solamente dall’assunzione di quantità troppo elevate, ma anche dalle modalità di consumo (consumo giornaliero moderato o binge drinking).
L’abuso di alcol è responsabile del 4,5% delle malattie e degli incidenti e provoca ogni anno circa 2,5 milioni di decessi – circa il 4% del totale mondiale, più di malattie come l’Hiv/Aids e la tubercolosi – risultando così una delle prime cause di morte soprattutto per i giovani e gli uomini (fonte Oms). I danni causati all’organismo sono tutti provocati attraverso tre meccanismi: effetti tossici di lungo periodo su organi interni e tessuti; intossicazione di breve periodo; dipendenza. Gli effetti sono, poi, ancora più nocivi quando l’alcol è prodotto in casa, di provenienza illegale o comunque al di fuori dei controlli governativi, che secondo alcune stime riguarda quasi il 30% del totale. In generale, le conseguenze negative possono riguardare il consumatore (self-regarding), i soggetti terzi (other-regarding), entrambi e la società nel suo complesso.
a cura di Stefano Castriota
Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri del 9 giugno
Abbonati anche tu se sei interessato ai temi legali, istituzionali, economici attorno al vino. È gratis, basta cliccare qui.