L'Assemblea annuale della Federazione è stata l'occasione per parlare di consumi. Ma anche per ribadire l’importanza delle trattative commerciali in corso, dal Ceta al Ttip, e lanciare il progetto formativo #Beremeglio
Negli ultimi cinque anni hanno ridotto o abbandonato il consumo di vino 1,8 milioni di consumatori italiani (-5%), mentre negli ultimi dieci anni la contrazione dei consumi di bevande alcoliche (vino, birra, ecc.) è stata del 25% (31,1 vs 22,9 Mio/Hl). I dati sono il risultato di un’indagine Nielsen intitolata 'Il consumo di bevande alcoliche in Italia: dove eravamo, dove siamo e dove andiamo', commissionata da Federvini e presentata in occasione della sua assemblea annuale svolta a Roma.
“Il 2015 è stato ancora un anno difficile” ha detto il presidente Sandro Boscaini, introducendo i lavori “sebbene le esportazioni abbiano indubbiamente rappresentato una valida boccata di ossigeno per l’intero settore (+4,8% rispetto al 2014) occorre ridare dignità al mercato interno e ai consumi domestici e riconoscere alle produzioni di vini, di spiriti e di aceti un ruolo strategico nell’economia nazionale”. Se da una parte l’export e in generale i mercati internazionali richiedono un’attenzione costante, dall’altra il mercato nazionale merita un rinnovato impegno “lo dobbiamo innanzitutto ai nostri consumatori cui la crisi economica ha imposto di rivedere totalmente i criteri di spesa” ha commentato Boscaini “ma lo dobbiamo anche ai milioni di turisti e a tutti coloro che guardano al nostro stile di vita per la sua piacevolezza, il suo equilibrio e la sua validità”.
L'export in cifre
Nel 2015 l’Italia ha esportato vini e mosti per un valore pari a 5,5 miliardi di euro (+4,8% sull’anno precedente) e in volume 21 milioni di hl (-2,3%), anche in virtù del gioco delle valute e dal favorevole cambio euro/dollaro. In particolare i vini Dop raggiungono 4,6 milioni di hl (+0,3%) e un valore di poco inferiore ai 2 miliardi di euro (+4,1%). I vini Igp 5,8 milioni di hl (+4%) con 1,5 miliardi di euro (+7,7%). Gli spumanti esprimono performance brillanti segnando un +15,3% in quantità con 2,7 milioni hl e un +17% in valore con 956 milioni di euro. I vini liquorosi mantengono tendenze positive con 126 mila hl (+34,6%) e 57 milioni di euro (+0,8%). I vini aromatizzati presentano un rallentamento in valore ed in volume rispettivamente con 991 mila hl (-12,3%) e 148 milioni di euro ( -12,6%). Gli Stati Uniti si confermano essere il primo mercato extra Ue di destinazione di vini e mosti in valore ed in quantità, rispettivamente con quasi 1,3 miliardi di euro (+13,8%) e 3,2 milioni di hl (+6,6%).
Buoni i flussi di esportazione verso la Cina con 273 mila hl (+5,9%) e quasi 90 milioni di euro (+17,9%) e verso il Canada con 717 mila hl (+2,1%) e 302 milioni di euro (+8,4%). In Europa, la Germania è il primo mercato di destinazione dei vini e mosti in quantità con 5,7 milioni di hl, seguito dal Regno Unito dove si registrano volumi pari a 3,2 milioni di euro (+13%). Anche i vini spumanti seguono la tendenza generale, registrando risultati positivi in Germania con +4,6%.
Non a caso oggi il settore vinicolo rappresenta il 22,5% del totale dell’agroalimentare nazionale. Paola De Micheli, sottosegretario all'Economia, ricordando l’obiettivo dei 50 miliardi di export agroalimentare da raggiungere entro il 2020, lanciato dal premier Renzi, ha detto che “oggi siamo a 37. Il traguardo è possibile e siamo convinti che il vino, con la sua qualità e identità, possa essere la chiave per riappropriarci di quel ruolo di leader dell’agroalimentare nel mondo che come Italia ci compete”. A questo proposito i 7 mld che il vino dovrebbe raggiungere, secondo la Federazione è un risultato possibile “ma per far questo, abbiamo bisogno di una strategia e una politica nazionale che sostenga le necessità della filiera. A livello di negoziazioni europee vorremmo vedere inserite alcune misure affinché il regolamento per la promozione nei mercati dei Paesi terzi risulti meno rigido e molto più attento alla realtà dei mercati”.
Il ruolo delle trattative commerciali
Federvini inoltre ha ribadito l’importanza delle trattative commerciali in corso di discussione con i paesi extra Ue. “A partire dal 2017 entrerà in vigore l’accordo tra Ue e Canada (Ceta)” ha ricordato Boscaini “con un’importante sezione per il riconoscimento delle indicazioni geografiche europee, tutelate secondo i principi di difesa della proprietà intellettuale e una graduale rimozione dei dazi doganali. Di prossima attuazione anche l’accordo di libero scambio tra Ue e Vietnam che, una volta approvato, aprirà alle aziende europee un mercato dall’enorme potenziale”. Sul Ttip tra Ue e Usa “continuiamo a sostenere l’esigenza dell’accordo senza far venire meno la tutela dei nostri capisaldi e altrettanto interesse lo abbiamo nelle trattative con America Latina, Giappone ed India, mercati internazionali dalle grandi potenzialità”.
Riguardo al Testo unico del vino e della vite in corso di approvazione viene rinnovato l’invito al Parlamento di “dedicare la massima attenzione alle nuove regole affinché abbiano la massima flessibilità nel tempo e evitino così di immobilizzare gli operatori e l’intero comparto. Ne abbiamo bisogno e non mancheremo di far sentire il nostro contributo ed il nostro supporto”.
Il progetto #Beremeglio
Infine, visto che il settore vinicolo non è solo produzione e vendita ma anche cultura e formazione, Federvini ha lanciato il progetto formativo #Beremeglio insieme a Fipe/Federazione Italiana Pubblici Esercizi“per promuovere un servizio di somministrazione delle bevande alcoliche di qualità che possa garantire una esperienza di consumo altrettanto di qualità… che intende anche contribuire attivamente alla prevenzione e al contrasto dei rischi collegati all’abuso di alcol”. Attualmente in corso di sperimentazione nel territorio di Padova e provincia sta coinvolgendo per 6 mesi 600 operatori. Federvini e Fipe, che hanno così firmato un patto per la qualità nel 'consumo fuoricasa' delle bevande alcoliche, hanno come obiettivo di “dare vita a un progetto nazionale con l’avallo del Ministero della Salute”.
Le abitudini degli italiani secondo l’indagine Nielsen
La contrazione dei consumi di alcolici, il calo della frequenza di consumo (da 4 volte a settimana del 2011 a 3,6 del 2015) e la riduzione del numero dei consumatori (da 34 milioni del 2011 ai 32,2 del 2015) si preferisce non bere a pranzo (da 60% al 52%) ma cresce l’abitudine dell’aperitivo serale (dal 12% al 19%), di bere a cena (dal 74% all’80%) e anche nel dopo cena (dal 20% al 25%). Contemporaneamente crescono i consumi fuori casa in ristoranti, pizzerie, bar e pub. Risulta sempre più condiviso l’approccio mediterraneo per cui si beve per accompagnare i pasti (74%) e per gustarne il sapore (60%).
Nell’ultimo quinquennio poi è cresciuta la consapevolezza del valore della nostra cultura enogastronomica (dal 78% all’84%) e aumentano coloro i quali pensano che bere tanto e perdere il controllo non sia più di moda (dal 73% all’83%). Da questo punto di vista va sottolineato che l’educazione, secondo gli italiani, funzioni meglio delle norme e dei divieti (85%). Ne consegue una maggiore attenzione alle comunicazioni sul “bere responsabile” (67%), il 53% ne tiene conto e il 69% capisce che la salute del consumatore, con il rispetto dei limiti suggeriti, è più tutelata.
L’antropologo prof. Marino Niola, docente dell’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli, direttore del MedEatResearch,intervenuto nel dibattito, ha ricordato che “Siamo il paese dove Raffaello fa rima con Culatello e Amarone con Giorgione. Intrecci tra cibo e cultura, storia e tradizione, che però troppi pochi conoscono. Anche per questo si deve ripartire dalle scuole, fin dai primi anni, facendo cultura e formazione e mettendo la cultura del cibo, che non è semplice educazione alimentare al centro del discorso, coinvolgendo anche le famiglie”. Per recuperare consumatori e consumi.
a cura di Andrea Gabbrielli
Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri del 19 maggio
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