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Salt, Fat, Acid, Heat. Un racconto di cucina al tempo di Netflix. Perché il nuovo format ha successo

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L'ultima produzione originale sul cibo di Netflix è diversa dai precedenti successi. C'è sempre il racconto dei territori e dei protagonisti del cibo, e una fotografia mirata a ingolosire chi guarda. Ma Samin Nosrat non è la solita eroina che sale in cattedra. 

 

Samin Nosrat. Chi è

Controlla questi quattro elementi e avrai il controllo della cucina”. È questo l'assunto che guida le peregrinazioni gastronomiche di Samin Nosrat, cuoca americana di origini israeliane decisamente conosciuta in America (ha lavorato anche per Alice Waters da Chez Panisse ed è columnist del New York Times), ancora poco nota al pubblico italiano. È lei, con la sua viscerale passione per il cibo, l'anima di Salt, Fat, Acid, Heat, i quattro pilastri di cui sopra, “che determinano la riuscita di un piatto”, Samin docet. La nuova serie prodotta da Netflix – e rilasciata in contemporanea in molti Paesi del mondo – parte dal successo dell'omonimo ricettario firmato dalla Nosrat, pubblicato nel 2017 e riconosciuto dalla James Beard Foundation miglior libro di ricette del 2018. E si addentra tra le pieghe di una narrazione inclusiva e leggera quanto basta per interessare un pubblico eterogeneo.

 

Una nuova serie sul cibo per Netflix. Cosa cambia

Probabilmente è questa l'intuizione più potente della serie, che segue produzioni originali a tema gastronomico altrettanto riuscite, come Chef's Table (da qualche settimana è disponibile la quinta stagione del fortunato format, ora chiamato a rappresentare nuovi protagonisti, meno chef star e più figure chiave di rivoluzioni culturali e sociali che passano attraverso il cibo), Ugly Delicious – un David Chang show che indaga tra consuetudini alimentari, stereotipi e origini delle tradizioni gastronomiche – e ancora prima Cooked, anche questa frutto di una trasposizione visiva del libro di Michael Pollan. Con Samin, e questa è la sorpresa più gradita, il piano di lettura dei “fatti” gastronomici è incredibilmente semplice. Godibile e godurioso come l'assaggio di un Parmigiano Reggiano 40 mesi, mangiato guardando in camera “come se fossero caramelle alla tirosina”. Questo non significa che manchi consapevolezza del tema: Samin è una professionista, e l'idea stessa di scomporre il racconto in categorie di gusto – sale, grasso, acido, calore – lascia intuire l'intenzione di risalire alle origini della cucina partendo dalla conoscenza di prodotti, cotture e chimica degli alimenti. Eppure non si indugia in tecnicismi, mentre Samin fa di tutto per raccontarsi così com'è. Nessuna mania di protagonismo, né ricerca spasmodica della perfezione per un format che, come sottolineato da un recente articolo di Eater, rinnova un format che ha fatto la storia del cibo in tv, quello delle lezioni di cucina per tutti. In questo caso, però, non siamo al cospetto di Julia Child o Lidia Bastianich, e Salt, Fat, Acid, Heat beneficia del fatto di essere un ibrido. C'è la voglia di esplorare il mondo, raccontare storie (specie di piccole o piccolissime realtà produttive), scoprire tradizioni lontane per voce di chi le tramanda, ma nell'era che celebra il documentario di viaggio e i novelli Indiana Jones gastronomici pronti ad affrontare mille peripezie e mirabolanti avventure, Samin riconduce il gioco tra le mura di una cascina toscana o nella sua cucina di Berkeley, alle prese con un pollo arrosto. Si diverte e mangia di gusto, proprio come ciascuno di noi farebbe al suo posto.

 

L'Italia e l'uso del grasso

All'Italia (ma ci si muove anche in Giappone, per scoprire che “il sale fa vivere il cibo”, in Messico dov'è evidente quanto “l'acidità abbia il compito di bilanciare i sapori”, e California, alla ricerca dell'elemento principe di ogni trasformazione il calore) è dedicato il capitolo sul grasso, “perché è lì che l'arte dell'uso dei grassi per valorizzare anche gli ingredienti più semplici si esprime meglio che in ogni parte del mondo”. L'episodio è tutto concentrato sul dimostrare questa “verità”, ma ancor di più è un'esaltazione del rapporto tra gli italiani e il cibo, e una bella vetrina per realtà produttive e territori d'Italia – dove Samin ha vissuto anni fa, per imparare a cucinare “imiei piatti preferiti”, e quindi padroneggia la lingua – a cavallo tra la Liguria, l'Emilia Romagna e la Toscana. Si passa così dagli uliveti liguri alla “nonna” Lidia Caveri per imparare a fare il pesto, e ancora in Liguria per raccontare come nasce la focaccia ligure, in uno dei passaggi più golosi dell'episodio, perché “l'olio è l'elemento più rappresentativo di quanto il grasso di uno specifico territorio possa raccontare il sapore di una cucina”. Di grasso si parla anche con Lorenzo Chini, allevatore e norcino di Gaiole in Chianti, che guida Samin alla scoperta dei tagli che si ricavano dal maiale, dimostrando come differenti qualità di grasso debbano indirizzare la produzione per sfruttare tutto ciò che l'animale può offrire. Con Mauro Montipo e Tania Barbieri, invece, Samin conosce da vicino le Vacche Rosse, segue la produzione del Parmigiano, lo assaggia. E di nuovo in Toscana, ospite di Benedetta Vitali, chiude il cerchio, tra un soffritto e una pasta all'uovo per celebrare la tavola italiana.

 

saltfatacidheat.com 

 

a cura di Livia Montagnoli


Il cacao. La nuova classificazione. Come e perché è cambiata

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La nuova classificazione del cacao, work in progress, comprende ben 10 famiglie di cacao destinate a crescere, ma per comodità (soprattutto delle industrie) vengono nominate sempre e solo le stesse tre varietà: forastero, criollo e trinitario.

 

Nel mensile di ottobre del Gambero Rosso abbiamo pubblicato uno speciale di 12 pagine sul cioccolato a seguito di un'indagine che ha preso in esame gli artigiani “bean to bar”, le piccole produzioni “tree to bar” o a chilometro zero, i progetti etici, le filiere dal campo al cioccolatiere. Un lavoro immenso che era impossibile concentrare nel solo mensile, e così il focus sul cioccolato continua anche qui, sul web.

Il triangolo perfetto e il quarto fratello scomodo

Prima la classificazione del cacao era relativamente semplice, basata sulla tripartizione perfetta di forastero, criollo e trinitario, con il suo codazzo di origini nel prodotto finito. Il forastero, la varietà più diffusa e meno pregiata, basic, che rappresenta il grosso della produzione mondiale (87-90%), è amaro, acido e astringente, dalle note cupe e terrose, un po’ volgarotte e cioccolatose, per questo viene sottoposto al concaggio e spesso alla potassatura. Il criollo è il cacao più nobile e raro – secondo alcune stime copre appena lo 0,01%, secondo altre non arriva allo 0,001% – e costa quasi quattro volte di più del forastero; si distingue per i semi di colore chiaro, quasi bianchi, il gusto poco amaro e astringente, gli aromi delicati e floreali con richiami alla crema di latte e alla frutta secca. Il trinitario (l’8-9% del raccolto mondiale) è l’incrocio tra il criollo e il forastero, con le caratteristiche organolettiche che ricordano il criollo, ma la produttività e la resistenza alle malattie degli ibridi. Prende il nome dall’isola di Trinidad, nelle Canarie al largo della costa venezuelana, dove nel XVIII secolo le piantagioni di criollo furono decimate e sostituite dal forastero, dando origine a un incrocio stabile nel tempo, grazie all’isolamento genetico dovuto all’ambiente insulare. Da qui la “nuova varietà” è stata diffusa in tutto il mondo, andando a sostituire anche il pregiato criollo in America Latina, e diventando un grande ombrello sotto il quale trovano riparo tanti ibridi delle due sottospecie. Questa tripartizione era – ed è ancora – uno schema granitico. Dove il nacional dell’Ecuador veniva considerato il fratello scomodo che rovinava la festa al numero perfetto di una regola aurea, un cacao schizofrenico con la genetica di un forastero e l’aromaticità di un fine flavour cocoa, purtroppo oggi minacciato dal dilagare del CCN-51, un ibrido resistente alle malattie che sta “sporcando” le piantagioni di uno dei migliori cacao del mondo (tanto che Slow Food ha creato il Presidio cacao Nacional, prodotto in Ecuador nella regione di Napo).

fave di cacao

Le 10 famiglie di cacao che sconvolsero il mondo del cioccolato

La rivoluzione nel mondo del cioccolato ha portato al superamento di questa tripartizione con il quarto lato sghembo del nacional.“Viene usata a livello commerciale dall'industria del cioccolato per facilitare il mercato”, sintetizza il “chocofair” Andrea Mecozzi. A partire dal 2000 sono partite ricerche sul Dna del cacao che hanno portato, nel 2008, alla pubblicazione di quella che viene considerata la nuova bibbia del cacao, “Geographic and genetic population differentiation of the Amazonian chocolate tree” del genetista venezuelano Juan C. Motamayor. Grazie a questa ricerca approfondita sull'analisi genetica del cacao, si è potuto finalmente affermare che il cacao nasce in Perù nell'area del fiume Marañón e che si è diffuso nel sud America attraverso il fiumi dell'Amazzonia. Inoltre, Motamayor ha mappato le famiglie genetiche del cacao proponendo una nuova classificazione, elaborata in base alla biodiversità, divisa in 10 varietà principali (destinate a crescere), o cluster, dalle quali derivano le cultivar oggi coltivate: marañon, curaray, criollo, iquitos, nanay, contamana, amelonado, purús, nacional, guiana.

classificazione varietà di cacao

“Ci sono 1300 tipi di cacao classificati, ma non c’è una catalogazione mondiale come nel vino: ogni paese ha il suo sistema”, dice Mecozzi. “La Heriloom Cacao Preservation Found, fondazione nata da un'idea di Mark Christian, guru dei cacao perduti, e creata dalla statunitense Fine Chocolate Industry Association per salvare le antiche genetiche originarie, stanno cercando di dare una “sistemata” alle categorizzazioni dei cacao nel mondo”.

 

a cura di Mara Nocilla

Tiri Bakery e Caffè. Il maestro del panettone apre una nuova pasticceria a Potenza: lievitazioni grandi protagoniste

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Inaugura oggi, in sordina, la nuova pasticceria con laboratorio di Vincenzo Tiri, che sceglie Potenza per cimentarsi con una sfida ambiziosa: ripensare la pasticceria tradizionale in funzione degli impasti lievitati. Da colazione a sera, per colazioni, pranzo, aperitivo. Ed entra in produzione anche il pane. 

 

Da Acerenza a Potenza

L'inaugurazione arriva quasi improvvisa in un pomeriggio di fine ottobre, sull'arteria principale di Potenza, al civico 255 di via del Gallitello. Ma per l'improvvisazione, nella nuova sfida che Vincenzo Tiri si appresta a intraprendere con un po' di incoscienza e tanto entusiasmo - “solo un folle poteva pensarlo così” dice lui a proposito del nuovo progetto – non c'è proprio posto. Ci sono voluti mesi di ricerca, tra le mura del pluripremiato laboratorio di Acerenza che tutta l'Italia ha imparato a conoscere (siamo a 20 minuti di macchina dalla città), per perfezionare un'offerta senza precedenti, pure per un maestro pasticcere della sua levatura. Vincenzo Tiri, del resto, vive per le lievitazioni, “ne sono innamorato – ribadisce – e quando ho pensato per la prima volta ad aprire una pasticceria che mi rappresentasse, la direzione da intraprendere è stata subito chiara”. Quindi il filo conduttore di Tiri Bakery e Caffè sarà il lievito madre, difficilissimo da gestire a questi livelli di maniacalità, specie perché nel nuovo negozio il pasticcere lucano non si accontenterà di vendere i suoi celebri panettoni. E però sulla pasta lievitata sarà improntata l'intera offerta, dai lieviti per la colazione – e fin qui restiamo nel solco della tradizione dolciaria, con un'ampia proposta di viennoiserie – alle monoporzioni, “come non le avete mai viste”.

La pasticceria della pasta lievitata

Sulla volontà di ripensare i grandi classici della pasticceria in funzione della pasta lievitata (che sostituisce le basi tradizionali come la sfoglia, il pan di spagna, il biscotto...) si gioca la sfida: il Tirimisù è un bicchierino con panettone al caffè e crema al mascarpone, “davvero un lungo lavoro di sperimentazione per armonizzare le consistenza, perché combinare un impasto come quello del panettone con una crema non è per niente facile”; la cheesecake, invece, è ripensata con una base di panettone tostato, che sostituisce il biscotto; mentre dalla Sacher di Tiri sparisce il pan di spagna, rimpiazzato da un panettone al cacao, farcito con confettura d'albicocca.

E così via, continuando a giocare sul filo, con la linea di cioccolatini ripieni di una parte morbida al panettone, le mini monoporzioni lievitate che sostituiscono i bignè. E le torte, millefoglie compreso, realizzato con una stratificazione di pasta lievitata intramezzata da creme, per un risultato difficilmente immaginabile, “senza dubbio una sorpresa per chi l'assaggia, perché è complicato riconoscere il lavoro che abbiamo fatto con il lievito”.

Panettone... E pane

Chiaramente non mancherà il panettone, già servito per colazione, anche in versione tostata, accompagnato con creme e confetture della casa; e poi di nuovo per il pranzo, in versione panettone gastronomico. O per l'aperitivo, con un percorso di degustazione molto particolare. La pasticceria di Potenza vivrà da mattina a sera, 7-22, con orario continuato. Proporrà anche un'offerta di caffetteria – 13 metri di banco divisi tra vetrina dei dolci e bar, più 38 coperti per il consumo sul posto – e, sorpresa nella sorpresa, venderà anche il pane, “forme da un chilo e mezzo lievitate per 48 ore nello stampo del panettone, che a pensarci bene non è altro che un pane arricchito”. Fare il pane, non a caso, era un altro sogno nel cassetto di Vincenzo, “un desiderio cresciuto in famiglia, guardando mio nonno, che mi sta dando grandi soddisfazioni. Sono felice del risultato, e dell'umidità che la massa riesce a conservare in cottura: il nostro pane si mantiene per 20 giorni”. Due le tipologie in produzione, da farine macinate a pietra e con semola di grano duro mista a patate, “uso contadino”. Le pagnotte saranno vendute al dettaglio, ma anche proposte affettate per colazione, con burro e marmellata, e durante il giorno. Tutta la produzione di pasticceria si svolgerà a Potenza, mentre resta dedicato ai grandi lievitati il laboratorio di Acerenza ("lì il lievito ha trovato il suo habitat, vive e cresce in tranquillità"), “dove la produzione è necessariamente rallentata dalla scelta di operare tre lievitazioni anziché due. Mi interessa la qualità, anche se mi dispiace non riuscire a esaudire tutte le richieste: a Natale e Pasqua è sempre difficile”. Se non altro, però, il pellegrinaggio alla volta di Acerenza di curiosi e appassionati di pasticceria in arrivo da Campania, Puglia e tutta la Basilicata, ora avrà una nuova meta, più accessibile, verso cui indirizzarsi: “Speriamo di lavorare bene, e tutto l'anno. Spero che Potenza sia pronta per raccogliere la sfida e capire il nostro progetto. Noi ci proviamo, con un concetto che sento mio. E per questo ci credo molto”.

Tiri Bakery e Caffè - Potenza - via del Gallittello, 255 

 

a cura di Livia Montagnoli

foto di apertura di Stefano Dragonetti

Art&Caffeine. Il Flagship store di Faema a Milano per i professionisti del caffè

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È ancora Milano il centro focale delle maggiori novità caffeicole della Penisola. Dopo la tanto attesa inaugurazione dello Starbucks Reserve, ora è la volta del Flagship di Faema, marchio di macchine espresso che ha aperto il primo bar dedicato agli operatori del settore. 

 

Il caffè a Milano

In principio fu Orsonero, del canadese Brent Jopson, a portare una ventata di aria nuova nella scena caffeicola milanese, con caffè specialty monorigine estratti in espresso e in filtro. Un primo tentativo di presentare un modo diverso di concepire il caffè in una città dove già realtà come Pascucci Caffè e Taglio avevano provato a dire la loro. È stato poi il turno del Flagship store di Lavazza (mentre a Piazza Gae Aulenti ce n’è uno di illy con una offerta amplissima presa dalla gamma del brand triestino), locale di design che ha segnato un cambio di rotta nel percorso del colosso torinese del caffè, che nello spazio di piazza San Fedele si destreggia con v60 e chemex. E poi Cofficina Ticinese 58, fra i migliori bar della città, Milano Roastery, Cafezal, l'originale Pascucci Moka in Piazza Duca D'Aosta e il tanto atteso (e temuto) Starbucks Reserve, che ancora continua a far parlare di sé gli amanti della tazzina. Insomma, sembra proprio che Milano sia destinata a diventare la capitale italiana del buon caffè, grazie al lavoro dei baristi più giovani e intraprendenti, ma anche dei grandi nomi che scelgono di investire nel capoluogo meneghino.

 

Faema

Il bar per gli addetti ai lavori

A scommettere sull'oro nero di qualità ora è Faemamarchio di macchine per espresso parte del Gruppo Cimbali, che conta tre stabilimenti produttivi. E lo fa con Art & Caffeine, il suo primo Flagship store inaugurato lo scorso 23 ottobre in via Forcella, a pochi passi dalla stazione di Porta Genova. Un bar, sì, ma prima ancora uno spazio di degustazione pensato per diffondere la cultura dell'oro nero, rivolto agli operatori del settore e gli addetti ai lavori, aperto al pubblico solo durante gli eventi e le manifestazioni più rilevanti in scena a Milano, dalla Design alla Fashion Week. Una caffetteria per operatori, locale di nicchia specializzato in cui poter migliorare le proprie tecniche e ampliare le conoscenze, confrontandosi con i colleghi. Masterclass dei maestri torrefattori e dei baristi professionisti, competizioni di caffetteria, di coffee in good spirits (l'arte di preparare cocktail con il caffè), ma anche tante lezioni e laboratori saranno al centro del Flagship.

 

faema

La formazione

Ampio spazio, infatti, sarà dedicato alla formazione, con sessioni di approfondimento sulle macchine e corsi a cura di MUMAC Academy, l'Accademia della Macchina per il Caffè di Gruppo Cimbali, centro di formazione costituito da un team di trainer ed esperti assaggiatori. Ma nei 160 metri quadri di Art&Caffeine sarà inoltre possibile provare la gamma Faema E71: in particolare, sarà messa a disposizione la Faema E71 E, la nuova macchina disegnata da Giugiaro Design e progettata per mettere alla prova la manualità del barista, che potrà interpretare a proprio gusto ogni estrazione. Personalizzata, poi, anche l'estetica dei macchinari: durante il laboratorio dedicato, i baristi potranno colorare e caratterizzare ogni aspetto della macchina, dai portafiltri alle doccette.

Un luogo d'incontro, dunque, ma anche di creazione, “di dialogo e condivisione”, come ha spiegato Simona Colombo, Direttore Marketing e Comunicazione di Gruppo Cimbali. Che aggiunge: “Qui si accolgono i professionisti del caffè che possono sperimentare sulle migliori attrezzature, e si invitano gli appassionati, i curiosi, i visionari a degustare i migliori caffè, sempre diversi”.

Art&Caffeine – Milano – via Vincenzo Forcella, 7 - www.faema.it/

a cura di Michela Becchi

 

Anteprima Vini d'Italia 2019. Premi speciali: cantine e viticoltori dell'anno

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Quali sono le cantine che si sono distinte nella guida Vini d'Italia 2019? e quali quelle su cui puntiamo per il futuro? Ecco la nostra top list.

 

Vi abbiamo raccontato il panorama vitivinicolo della Penisola con i vini che – in ogni regione - hanno conquistato i Tre Bicchieri 2019, massimo riconoscimento nella guida Vini d'Italia 2019, siamo poi passati ai vini che, in ogni categoria, sono risultati in migliori in assoluto, oggi siamo arrivati al top della classifica, per raccontare chi (e perché) quest'anno ha meritato i premi speciali. Quelli che consacrano Cantina dell'Anno, Viticoltore dell'anno, Cantina Emergente, Premio al progetto solidale o alla Cantina Sostenibile. E infine il premio per il vino dal miglior rapporto qualità-prezzo.

 

Viticoltore dell'anno. Francesco Cambria. Cottanera

Viene dalla Sicilia il Viticoltore dell'Anno 2019. E in particolare da uno dei territori che è cresciuto di più negli ultimi dieci anni, l'Etna. In nome del vulcano (anzi “a Muntagna”, come la chiamano da queste parti) e di quello che rappresenta per questo territorio, Francesco Cambria di Cottanera ha abbandonato la toga di avvocato per le sue vigne. “Lo rifarei altre mille volte” dice “le soddisfazioni che ti dà questo mestiere non hanno eguali. Da ultimo anche il premio Viticoltore dell'anno del Gambero Rosso, che è una gratificazione importante per chi come me, insieme al resto della famiglia, ha portato avanti il progetto iniziato da mio padre”. Una scommessa sul vigneto, quella di Guglielmo Cambria, che oggi è stata vinta dai suoi discendenti. Cottanera è, infatti, una delle aziende di riferimento dell'Etna per estensione e qualità. E anche quest'anno, conquista i Tre Bicchieri per l'Etna Rosso Zottorinoto, un vino raffinato, complesso ed elegantissimo. Non certo frutto del caso. Dietro c'è tutto un lavoro di ricerca e “zonazione aziendale”, per dare ad ogni vino una chiara identità territoriale e poter arrivare a indicare su ogni etichetta la contrada di provenienza. Lavoro che riguarda un po' tutta la denominazione. Il futuro della Doc Etna? Per Cambria, che siede anche nel nuovo cda del Consorzio “la strada intrapresa è quella giusta, con il notevole lavoro di investimento sugli autoctoni. Ma il prossimo passo è la Docg, per continuare a valorizzare il territorio come merita”.

Cottanera - Castiglione di Sicilia (CT) - Strada Provinciale, 89 - Contrada Iannazzo - 0942 963601 - https://cottanera.it/it/cottanera/

 

Cantina dell'Anno. Cantine Ferrari

Perché dare il Premio Cantina dell'Anno ad una delle maison più accreditate del panorama vitivinicolo mondiale? Perché in casa Ferrari c'è visione e progettazione, due elementi capaci di dare continuità al passato. Senza dimenticare le sfide del futuro. In particolare, quella sostenibile, che lo scorso anno è valsa alla famiglia Lunelli il Premio Sostenibilità. “Noi, alle Cantine Ferrari” ha spiegato il presidente Matteo Lunelli da anni riteniamo fondamentale conciliare l’obiettivo di ottenere un vino di eccellenza con la necessità di tutelare l’ambiente e la salute di chi lavora in campagna. Puntiamo a creare valore per tutti i nostri stakeholders e vorremmo portare benessere, bellezza e sicurezza anche alla comunità che ci ospita. E, poi, in casa Ferrari c'è quella marcia in più, nel desiderio di alzare sempre di più l’asticella alla ricerca costante dell’eccellenza. Lo dimostra il fatto che ogni etichetta finisce per diventare un palmarès. Dallo storico Giulio Ferrari, ormai simbolo della Chardonnay di montagna, fino all'ultimo arrivato, il nuovo rosè (Pinot Nero 80% e Chardonnay 20%, con 11 anni di maturazione sui lieviti) che punta già in alto, per duplicare il successo dell'illustre predecessore. Ma quest'anno i Tre Bicchieri vanno a un'altra novità: il PerléZero 2011, un vino di grande forza con finale lunghissimo. Un autentico fuori classe. Un po', come lo è Ferrari, la cantina per eccellenza ambasciatrice dell'Italian Lifestyle nel mondo. “Oltreconfine” conclude Lunelli “ci piace promuovere Ferrari come ambasciatore dell'arte di vivere italiana, richiamando lo stile di vita che tutto il mondo ci invidia, quella speciale combinazione di cultura, arte, tradizioni e storia che fa dell’Italia la patria della bellezza”.

Cantine Ferrari - Trento - Via Ponte di Ravina 15 - 0461 972311- https://www.ferraritrento.com/it/

 

Cantina Emergente. Antonella Corda

Di madre in figlia” è il payoff della cantina Antonella Corda. Sta a indicare il passaggio generazionale e il travaso di esperienze all'interno di questa famiglia che il vino lo produce e lo commercializza da cinque generazioni. Un interesse che Antonella (laureata in Agraria con un master alla Fondazione Mach) ha ereditato da sua madre Maria Argiolas (figlia del grande Antonio Argiolas) così come ha ereditato nel 2010 i vigneti, dando vita a un progetto d'alta qualità nelle campagne di Serdiana, a nord di Cagliari, per la valorizzazione dei vitigni autoctoni. Quattro anni di sperimentazione, la costruzione della cantina nel 2013 e le prime bottiglie nel 2016. E, dopo soli due anni dall'esordio sul mercato, il Gambero Rosso l'ha scelta come Cantina emergente dell'anno, nella Guida Vini d'Italia 2019. Si tratta del secondo riconoscimento di questo tipo a un'azienda di Serdiana (nel 2014 toccò a Cantine Pala), segno che questo centro del Parteolla è ormai uno stabile punto di riferimento per la viticoltura sarda e italiana. "Non ci aspettavamo così presto un premio di tale livello", commenta la giovane produttrice "ritengo siano state apprezzate la qualità dei nostri vini e la volontà di dare valore al territorio attraverso il prodotto". Quindici ettari in produzione, 30 mila bottiglie e l'idea di trovare la massima espressione delle uve Vermentino, Nuragus e Cannonau, attraverso la selezione dei terreni, l'uso di sovesci, di inerbimenti e l'eliminazione dei pesticidi, in funzione di un minor impatto ambientale. Coadiuvata dall'enologo Luca Dattoma e da Andrea Carpi per la parte commerciale, oggi la cantina Antonella Corda commercializza i suoi vini nel circuito horeca, con una propensione all'export del 60%. "Abbiamo il potenziale per crescere ulteriormente" conclude Corda "ma vogliamo assestarci su dimensioni piccole, privilegiando gli aspetti qualitativi".

Cantina Antonella Corda - Serdiana (CA) - Strada Statale 466 km 6 - 070 796 6300 - http://www.antonellacorda.it/

 

Premio progetto solidale. San Patrignano

Quest'anno San Patrignano festeggia i suoi primi 40 anni. Anni di lotta alla tossicodipendenza condotta attraverso percorsi di recupero e inserimento professionale, che includono attività legate anche all'agroalimentare e all'enogastronomia. La vitivinicoltura è una di queste. La comunità, del resto, nasce su terreni vitati, quelli della famiglia Muccioli, originariamente una quindicina di ettari, oggi 110, sui circa 300 complessivi della struttura. Qui il vino si è sempre fatto, anche se i primi anni non si andava oltre il consumo interno; “il vero salto di qualità c'è stato nel 1997, con l'incontro con Riccardo Cotarella” racconta Piero Prenna, responsabile commerciale della comunità e oggi presidente in cui lui stesso è stato ospite nei primi anni '90. Nel 1997 si misero le basi del progetto così come lo vediamo oggi con l'espianto e il reimpianto delle vigne e il potenziamento della superficie vitata, poi c'è stata la realizzazione di una nuova cantina, adeguata alle dimensioni più ampie. Oggi San Patrignano impiega circa 70 ragazzi tra vigna e cantina, “che stanno facendo un percorso di recupero ritrovando loro stessi attraverso l'attività vitivinicola” spiega Prenna “come è stato per me. Dal 2000 mi sono dedicato al vino, che è molto più di un lavoro: una passione che mi ha cambiato la vita. E farlo qui lo è molto di più. Perché tutte le attività sono in primis uno strumento per la crescita umana e professionale dei ragazzi, e in più” aggiunge“contribuiscono al sostentamento della comunità”. Ormai San Patrignano è una cantina riconosciuta per il suo valore enologico, a prescindere da quello sociale. Quest'anno conquista i Tre Bicchieri (per il Colli di Rimini Cabernet Sauvignon Montepirolo ’15) cui si aggiunge il premio per il Progetto Solidale. E il motivo è sotto gli occhi di tutti, in questi 40 anni di lotta alla tossicodipendenza.

Vini San Patrignano - Coriano (RN) - via San Patrignano, 53 – 0541 362111 - https://www.vinisanpatrignano.com/

 

Miglior Rapporto Qualità Prezzo. A. A. Lago di Caldaro Cl. Sup. Quintessenz '17. Cantina di Caldaro

Quintessenz è la linea premium della Cantina di Caldaro, nata dall'esigenza di creare una nuova gamma dopo la fusione, nel 2016, con Erste+Neue, l'altra storica realtà della zona”: sono le parole di TobiasZingerle,direttore generale di questa solida realtà cooperativa altoatesina (650 soci, 450 ettari vitati, tre milioni e mezzo di bottiglie), che quest'anno con il Lago di Cladaro Classico Superiore Quintessenz '17 ha conquistato il Premio Speciale Miglior Rapporto Qualità Prezzo: lo troverete sugli scaffali delle enoteche a circa 14 euro, difficilmente oltre i 15. Ma come si fa a mantenere così vantaggioso il prezzo di un vino che rappresenta una delle punte di diamante dell'azienda? “La schiava è il vitigno più coltivato in Alto Adige: per noi rappresenta il 25% del vigneto. Anche se la percentuale sta diminuendo, la grande superficie ci permette di essere flessibili, di scegliere le migliori partite dai migliori vigneti per la linea Quintessenz e nello stesso tempo di vendere il vino a un prezzo competitivo. Questo vale però per tutta la nostra gamma: il consumatore deve essere sicuro di ricevere un ottimo rapporto qualità prezzo indipendentemente dal vino che sceglie”. Un ruolo importante in questo meccanismo è svolto ovviamente dai numerosi soci: “In montagna la cooperazione è da sempre essenziale per sopravvivere. Qui in Alto Adige il 70% della produzione vitivinicola proviene dalle cooperative. La maggior parte dei nostri soci non sono professionisti (la media è sotto l'ettaro, 7.000m² per socio), ma curano i loro vigneti come un giardino nel loro tempo libero. Per loro l’obiettivo principale non è quello di guadagnare molto - anche se naturalmente i soldi contano, e in Alto Adige l’uva viene pagata molto bene -, ma di fornire l’uva di massima qualità. Questo è il segreto: aver capito che insieme si va più lontani”.

Cantina di Caldaro – Caldaro (BZ)- via Cantine 12 - 0471 963 149 - https://www.kellereikaltern.com/it

 

Premio per la Vitivinicoltura Sostenibile – Torrevento

Francesco Liantonio è al timone dell'azienda fondata nel 1913 dal nonno, una realtà che oggi conta 500 ettari vitati in diverse zone della Puglia, nella Valle d'Itria, nel Salento e nella Murgia, culla e sede principale dell'azienda. In Vini d'Italia 2019, Torrevento si è guadagnata il Premio per la Vitivinicoltura Sostenibile grazie a un percorso improntato a queste tematiche iniziato già diversi anni fa: "da 20 anni la nostra azienda ha intrapreso un percorso di Qualità Certificata, che ha visto come ultimo step la certificazione rilasciata da EQUALITAS. Siamo tra le prime nove aziende italiane ad aver ricevuto questa certificazione, la prima riconosciuta al livello mondiale attestante la Sostenibilità Aziendale e di Prodotto sotto il profilo Ambientale, Etico, Economico". Perché "sostenibilità" non riguarda solo l'ambiente, ma anche la società e l'economia: "vivere nel Parco Rurale dell'Alta Murgia e avere proprio qui i nostri vigneti non solo ci 'onora' e ci permette di rappresentare un territorio di eccellenza, ma soprattutto ci impone un ulteriore dovere e senso di responsabilità etica e ambientale. Prima ancora della sua valorizzazione noi portiamo avanti la tutela di questo ambiente naturale straordinario, patrimonio di biodiversità, attraverso il rispetto del territorio e l’implementazione di pratiche agricole sane come la limitazione nella scelta dei prodotti fitosanitari e nel numero dei trattamenti, l'oculata gestione dell'irrigazione, la difesa della biodiversità, l'utilizzo di soli concimi organici e organo-minerali”. Ma Torrevento si fa carico anche di rispettare le regole etiche del lavoro e a garantire la sostenibilità sociale: “ci impegniamo a garantire l’accesso a beni considerati fondamentali come sicurezza, salute, istruzione e a condizioni di benessere divertimento, serenità, socialità, in modo equo all’interno della nostra comunità ma anche tra la generazione attuale e quelle future. L’azienda non è il fine ma il mezzo per concretizzare i veri valori della nostra esistenza terrena”.

Torrevento - Corato (BA)- SP 234, km 10,600 - 080 898 0923 - http://www.torrevento.it/

Buon compleanno Joselito. A Madrid la festa per i 150 anni di grande prosciutto (e grande marketing)

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Un mega evento ha riunito il meglio dell'enogastronomia, artisti e vip di vari settori a Madrid. Il motivo? I 150 anni di Joselito, uno dei brand più (giustamente) noti di jamon spagnoli.

 

Trasformare una grande capitale europea – Madrid – per un giorno intero in capitale mondiale e testimone del proprio prodotto di famiglia, inalberato come terzo vessillo accanto alla bandiera nazionale e al gonfalone cittadino. Ma, soprattutto, impartire un’autentica lezione di marketing: di marchio e territorio.

I 150 anni di Joselito, il prosciutto più “dorato” che ci sia (fosse una gara sportiva sarebbe quello che becca a mani basse il MVP, la sigla del più “valutato”, alla lettera, tra i player in competizione) sono andati così. Con 1500 ospiti (alta ristorazione, comunicazione, giornalismo di settore, amici e testimoni vari, artisti, rockstar e scienziati inclusi, arrivati da 56 paesi) ospitati per una mega kermesse dimostrativa/celebrativa al Teatro Real. A sentirsi raccontare, in pochi minuti di discorso commosso, da Josè Gomez il come e il perché si sia potuto arrivare a tanto.

Gomez, quinta generazione delle sei sin qui al lavoro per creare “il miglior prosciutto del mondo”: la sua reputazione assoluta e i relativi riflessi su prezzo e corposo margine per chi lo fa e chi lo vende; 15 fincas in cui allevare caparbiamente allo stato brado maiali griffati con lo stesso brand dei prosciutti e altri prodotti che verranno; un sistema di stagionatura che permette di esportare ovunque e rendere iconici pezzi con invecchiamenti da Barolo, più che da coscia di suino; un “lab” di alta gastronomia per la creazione e diffusione di ricette e menu dedicati gestito ogni anno con una stella di caratura mondiale, tra cui anche il Max Alajmo delle Calandre e ultimo Yannik Alleno.

Lo show

E, prima di passare – diciamo così – ai fatti, cioè al megafestone di “sabòr” curato nel foyer del teatro dagli stellati madrileni Álbora e A'barra e dal pasticcere-star Paco Torreblanca (che ha tirato su per l’occasione un dolcetto alto 3 metri a supportare le 150 candeline) ma il cui protagonista è stato ovviamente il Joselito Vintage 2011 - 84 mesi di maturazione! - gestito per il taglio da 18 cortadores laureati e annaffiato da Dom Pérignon 2009 in magnum e vinelli indigeni tipo Vega Sicilia Unico, Perez Pascuas Gran Selección, Abbazia Retuerta, Marqués de Murrieta e Ossian; prima di tutto questo, dicevamo, ecco lo show.

Anch’esso pensato come mix sartoriale tagliato sul concept di Joselito. E cioè: l’anima territoriale profonda, flamenco al più alto livello possibile, affidato all’impagabile ballerina e coreografa Sara Baras; il linguaggio totale e la voce forte del prodotto (qui traslata in quella seduttiva e limpida della soprano Ahinoa Arteta); la carica cosmopolita con cui un prosciutto spagnolo è andato alla conquista del mondo (nuovi “compratori” e millenials giusti in testa) tradotta nel ricorso al giovane, virtuoso e già premiato pianista cinese Haochen Zhang. Un cocktail di gran suggestione, incisivo e divertente.

Una bella lezione di marketing

Ma ispiratore anche di bei “mumble mumble” da fumetto (leggi: laboriose riflessioni) sul coté nostrano dell’oggetto protagonista della big night madrilena. Distillati in quanto segue: l’Italia è oggi diva coi suoi stilemi di gusto, i suoi attori e prodotti in tutto il mondo; il prosciutto è certo uno di essi, e Parma e San Daniele (per stare ai campeones) sono alfieri di gran peso.

Ma perché mai finora, e quando invece potremo andare a vivere una serata d’analoga taglia al Regio (con Muti, Verdi, Dessì, e il “pop” di Bocelli magari) o alla Fenice o al Malibran con Servillo che legge Svevo e Pasolini in furlàn, Clooney che fa il caffè e un’orgia di vini top italiani e prosciutti di caratura assoluta? Oh, beninteso: non che non si capisca quanto facciano e sappiano fare (ultime tournée appena partite in giro nel mondo) i Consorzi di riferimento. Ma la voglia, il piacere e l’ambizione di lavorare anche su un’immagine e un prodotto apicale, oltre che sulla qualità diffusa, è nazionalisticamente (e anche economicamente, forse) forte assai.

La sesta generazione in rampa di lancio

A certificare che intanto l’egemonia Joselito nella sua fetta di mercato e la “historia detràs de una leyenda”, come dicono loro, continuerà alla grande, da registrare il giorno dopo il J-day lo sbarco a proscenio, amabile ed efficace, della sesta generazione.

Il Josè Gomez del futuro, 26 anni, economista (e già al lavoro sui 175.000 ettari di proprietà, almeno tre a maiale con 10 chili a testa di ghiande al giorno in stagione, vita libera fino alla fine, ecosostenibilità e ancestralità dei metodi difesi a oltranza con modernissima percezione del loro valore aggiunto), presentatosi per i primi scambi con la stampa specializzata ha fatto strike al volo. Invecchierà (pardòn: maturerà), tutto lo fa presagire, con la stessa classe dei jamòn da gioielleria della casa.

 

a cura di Antonio Paolini

Biodiversità olivicola italiana. Il vivaio di Pescia impegnato nella tutela degli ulivi

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Erano gli anni '50 quando Spoolivi cominciava a diffondere in Italia e nel mondo la tecnica di riproduzione per talea, oggi la più utilizzata in olivicoltura. Un'azienda che ha fatto e continua a fare scuola nel settore, e che rifornisce i più grandi produttori italiani. Tutta la storia. 

 

La chiamano la città dei fiori ma Pescia, a nord della Valdinievole, è piuttosto il borgo degli ulivi. La tradizione orticola e floristica locale, infatti, è andata nel tempo scomparendo, ma non quella olivicola, grazie al vivaio specializzato nel recupero delle varietà più antiche.

Il vivaio

L'azienda è Spoolivi, vivaio di riferimento a Pescia dal 1932, dal '59 impegnato a diffondere la tecnica di propagazione degli ulivi per talea, quel frammento di pianta immesso nel terreno e curato fino a far nascere una nuova vita, un metodo innovativo divenuto ben presto un modello standard a livello internazionale. Oggi, di quegli anni restano intatti lo spirito rivoluzionario, l'amore per la natura e la ricerca continua. A portare avanti con orgoglio la tradizione familiare è Pietro Barachini, vivaista esperto che si occupa di riprodurre piante di olivo e venderle ai produttori. Ma anche di tutelare l'immenso patrimonio olivicolo italiano, una biodiversità ricchissima, unica al mondo, che annovera oltre 500 cultivar. Ma procediamo con ordine, e cominciamo a capire meglio come nascono gli ulivi.

 

talee

Le talee

Innanzitutto le talee: provenienti da 500 piante madri di circa 35 varietà diverse, controllate ogni tre mesi per prevenire eventuali patologie e attacchi parassitari. “I frammenti vengono stoccati nel frezeer e poi si prepara il substrato di terra sterile dove verranno inseriti”. Un team di professioniste, poi, posiziona ogni piantina nella terra alla stessa distanza l'una dall'altra, “un lavoro manuale di estrema precisione”. Con questo sistema, circa l'80% delle talee riesce a mettere radici, “caratterizzate dalla forma a raggiera che si sviluppa in senso ortogonale”. Un metodo antico che continua a prevalere, nonostante nuove tecniche innovative siano ormai all'ordine del giorno, come gli impianti a cilindretti di torba, “che consentono di risparmiare manodopera e tempo, ma che non permettono il controllo della corretta formazione delle radici”.

 

radice talea

La talea si sviluppa in base alla capacità di vascolarizzazione della pianta, “più linfa scorre, più facilmente avverrà la crescita”, ma non tutte le cultivar hanno questa peculiarità fin dall'inizio, “per questo non possiamo ottenere molte varietà mediante la riproduzione per talea”. Per accompagnarle nella fase di crescita, poi, servono acqua e luce, bancali riscaldati e una buona irrigazione.

 

piante madri

Gli innesti e gli ulivi appena nati

Ma non c'è solo la talea: da Spoolivi si fanno anche molti innesti a partire dai noccioli, che trascorrono un anno e mezzo in ambiente asciutto, per essere poi immersi in acqua per circa 20 giorni ad agosto, prima di venire piantati in quella che potremmo definire una sorta di “incubatrice” per ulivi: uno strato di terra di montagna battuta a mano sopra la quale vengono poggiati i noccioli, ricoperti di sabbia finissima. Si irrigano e si tengono al caldo finché non nasce una nuova vita. A fine ottobre i “piccoli” iniziano a sbucare dal terreno, rompendo la terra con i loro steli sottili e apparentemente fragili, primi vagiti di un'esistenza rigogliosa e longeva: “È questa la forza della natura. Un essere così piccolo che forza la terra per venire alla luce”.

 

ulivi

Pietro è così. L'animo si accende all'istante, gli occhi si illuminano, saettano, in difesa della biodiversità, della salubrità dell'ambiente, nella sua lotta instancabile al superintensivo, una battaglia portata avanti senza sosta con l'entusiasmo di un innamorato, il disappunto generato da tante delusioni, ma la convinzione di chi ci crede ancora... e poi, improvvisamente, la commozione. Pietro papà, Pietro creatore, Pietro orgoglioso dei suoi bambini. “Questa è la parte più emozionante”.

 

ulivi piccoli

A gennaio e febbraio, quando iniziano a comparire le foglie, i neonati ulivi vengono lasciati scoperti per fare fotosintesi. Infine, arrivati a circa 7/8 centimetri di altezza, si iniziano a irrigare “con acqua a nebbia” e poi viene tolta la terra, “cercando di non rompere le radici, che sono fini come capelli”. Verso aprile si estrae la pianta, picchiettando piano piano la terra. “Li aiutiamo a nascere”.

 

varietà toscana

Le varietà e il legame con il passato

Passeggiare con Pietro nel suo universo verde significa anche imbattersi in varietà peculiari, cultivar antiche ma nuove, appena (ri)scoperte. “Innovazione? Non c'è niente da inventare né da scoprire. Nell'olio è stato già fatto tutto, occorre solo ricordarcelo e riportarlo in vita”. C'è il rossellino per esempio, varietà toscana ritrovata di recente: appena due anni e già ricca di olive verdi, “abbiamo trovato l'arbequina italiana”, scherza Pietro commentando la grande quantità di drupe attaccate al piccolo alberello. E poi il leccio del corno, per tempo dimenticato e riportato in auge proprio da Pietro, il morcone, “varietà autoctona della zona di Arezzo”, la verzola, “un clone di frantoio che si trova nelle Marche”. Senza dimenticare il celebre uovo di piccione, oliva che si è fatta conoscere fra gli appassionati del settore per le sue dimensioni pronunciate, “è difficile ottenere l'olio da questa pianta, ma è ottima per il monitoraggio della mosca, perché è la prima a essere attaccata”.

 

piante spoolivi

La lotta al superintensivo

Tutto, da Pietro, è in biologico. Accanto alla tutela dell'ambiente, c'è poi la battaglia contro il superintensivo. “Nel superintensivo, gli olivicoltori acquistano varietà di 12 mesi, ma la pianta a quel punto non è ancora formata e il suo apparato radicale non è sufficientemente ampio”. Pietro, invece, fornisce piante già potate, di minimo 18 mesi, con una struttura più robusta e un'impalcatura solida: “Mesi in più in vivaio richiedono costi maggiori, ma non si può togliere una piantina fragile dalla serra e gettarla in campo. Le nostre, dopo circa 3 anni, vanno in produzione e le olive sono pronte per la prima frangitura”. Per acquistare da Pietro, dunque, occorre essere produttori coscienziosi e preparati, che operano - al massimo - con sistema intensivo, “fino a 600 piante per ettaro. Un metodo meccanizzato e non industrializzato, che è ben altra cosa”. A ogni professionista, il suo mestiere: “l'olivicoltore deve curare gli alberi in campo; il vivaista si occupa della nascita e della prima fase di crescita”.

 

ulivi

Il futuro dell'olivicoltura

E accanto alle piante, anche l'olio. L'annata in corso sembra promettere piuttosto beneper Pietro, che è pronto a portare in frantoio le sue olive. Niente vendita, solo qualche bottiglia d'olio per gli amici, ma soprattutto per la squadra, “per studiare le varietà”. Un vero pallino, quello per la biodiversità: “in Toscana esistono 40 cultivar ma ne conosciamo solo una quindicina. Nel 2000, grazie a una ricerca, vennero prelevati campioni in tutto il territorio per vedere quali corrispondessero al germoplasma toscano: se ne scoprirono 70 cloni”. Il rossellino, il morcone, l'americano, “una sorta di leccino più resistente”. Serve la ricerca, dunque, “e ne serve tanta. È facile giocare con le cultivar brevettate, più impegnativo è studiare quelle del nostro passato”.

 

articoli giornale

Eppure, il futuro è proprio qui. Nella biodiversità, nel recupero del nostro patrimonio olivicolo. “Il vivaismo sta vivendo un momento di crisi, quei pochi che vogliono investire in questo settore, lo fanno per coltivazioni superintensive”. Una scelta che Pietro non ha intenzione di vagliare, una decisione dettata da un senso di lealtà raro: “Ho rispetto per gli olivicoltori, sono fedele alle mie radici”. E devoto alle piante. “Gli ulivi? Spero di salvarli”.

Un obiettivo ambizioso ma, se queste sono le premesse, non possiamo che auspicare che il suo messaggio arrivi a toccare l'intero comparto. Coinvolgendo tutti gli attori della filiera, “se sono il solo a crederci, serve a ben poco. Se siamo tutti, possiamo cambiare le cose”.

Spoolivi – Pescia (PT) – viale Guglielmo Marconi, 53 - 05721905714 - www.spoolivi.com/it/

a cura di Michela Becchi

 
 

E Teo Musso inventa il Beermouth. Com'è il vermouth firmato Baladin

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Con Dennis Zoppi e Giacomo Donadio, Teo Musso ha realizzato l'ennesimo sogno nel cassetto, produrre un "vermouth" ottenuto aromatizzando la birra anziché il vino. Ecco il risultato. 

 

L'universo Baladin

Brunate, Cannubi, Paiagallo, Terlo, Ravera: sono solo alcuni dei cru del Barolo che si attraversano per arrivare da Baladin, a Piozzo. Una ventina di anni fa stupiva il fatto che in una terra profondamente legata a tradizioni e prestigio vinicolo nascesse un birrificio; oggi invece la creautra di Teo Musso è una più che solida realtà, player importante per tutte le attività del luogo, un motore che mette in movimento tanti attori, locali e non. In trent'anni Teo ha sviluppato una creatura multiforme: birrificio (tra gli artigianali, è uno dei più grandi in quantità di ettolitri prodotti annualmente), locali (una dozzina, tra Italia e estero), campi in cui vengono coltivate le materie prime per la produzione della birra (per ora siamo al 90% dell'autoproduzione, ma il progetto è di arrivare al 100% intorno al 2020).

L'ultimo arrivo, la scorsa estate, è stato il Baladin Open Garden, sempre a Piozzo: intorno a una cascina risalente agli ultimi anni del 1600 che ospita un forno, una "salsicceria" (macelleria con cucina), una piccola torrefazione, un laboratorio per il cioccolato, un pub, una sala incontri, il mercato dei contadini locali (nei fine settimana), si sviluppa l'attività produttiva con il nuovo birrificio e un locale ultra-tecnologico adibito alla rifermentazione delle bottiglie. In questo contesto, lo scorso 23 ottobre, Teo Musso ha presentato la sua ultima creatura: il Beermouth.

 

Cos'è il Beermouth

Vulcanico e visionario sono gli aggettivi che più spesso si accostano al nome di quello che è uno dei padri nobili della birra artigianale italiana: Teo Musso, con uno spirito imprenditoriale fuori dalla norma, realizza tutto quello che riesce a pensare, e se qualcosa non lo ha già fatto, probabilmente sta per farlo (inutile dire che a breve ci saranno altre novità dal mondo Baladin). Due anni fa, dall'incontro con Dennis Zoppi e Giacomo Donadio, nomi di rilievo nel mondo della mixology italiana, l'idea di creare un vermouth a base birra, per omaggiare la grande tradizione piemontese di questo prodotto sempre più alla ribalta sulla scena del bartending. Il Beermouth nasce da un'idea apparentemente semplice: aromatizzare la birra invece del vino. Ma la cosa si può fare in maniera più agevole quando produci una birra "sui generis" come la Xyauyù, tra i cavalli di battaglia del birrificio, una birra ad alta fermentazione che subisce un lungo e particolare processo di ossidazione, risultando alla fine piatta, morbida, complessa, sfaccettata. A questa, Dennis e Giacomo, dopo varie sperimentazioni, hanno aggiunto 13 botaniche, rispettose del disciplinare del vermouth di Torino, lavorate con tecniche di estrazione innovative (ultrasuoni e distillazione sottovuoto a bassa temperatura) per mantenerne fragranza e aromi.

 

L'assaggio

La parola chiave di tutta l'operazione è contaminazione, e l'obiettivo ovviamente non è sostituirsi a un prodotto tipico, quanto piuttosto crearne uno nuovo, diverso nelle evidenti somiglianze organolettiche: il profilo olfattivo amalgama sensazioni maltate e cerealicole con note più terrose e vegetali che riportano alla genziana e all'artemisia, il tutto su un sottofondo speziato e intrigante; in bocca la differenza principale rispetto a un vermouth è la maggiore densità e avvolgenza, che però non diventa mai pesantezza o stucchevolezza; la componente morbida è armonizzata da un piacevole apporto amaricante e l'alcol (19% vol.) non è mai protagonista, ma solo amplificatore di aromi e sapori.

Durante la serata di presentazione il Beermouth è stato plasmato da Dennis e Giacomo in cocktail che hanno accompagnato i piatti dello chef di Casa Baladin Christian Meloni Delrio che ha proposto una cucina solida, senza pericolosi voli pindarici: un esempio il riuscitissimo Raviolo pizzicato a mano con ripieno liquido alla toma di capra da intingere in un brodo di Beermouth. A chiudere la presentazione ci hanno pensato quattro tra i bartender più famosi al mondo: David Rios Aguilar, miglior bartender nel circuito internazionale Diageo Reserve World Class nel 2013, Franco Tucci Ponti del Doping Club dello Yard Hotel di Milano, Marian Beke dal The Gibson di Londra e Eric Lorincz, capo bartender dell'American Bar del Savoy Hotel di Londra: ognuno di loro ha preparato una ricetta a base Beermouth, dimostrando un ampio ventaglio di utilizzi di questo nuovo prodotto. Primo imbottigliamento: circa 11mila bottiglie; prezzo a scaffale: 33 euro.

 

a cura di William Pregentelli


Tre Bicchieri 2019. I migliori vini d’Italia e la grande degustazione

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Il conto alla rovescia è finito: la guida Vini d'Italia è uscita e la presentiamo a tutti gli appassionati con una super degustazione: 447 etichette in assaggio, per un evento imperdibile.

 

Finalmente ci siamo: il conto alla rovescia è finito e con esso le anticipazioni dei Tre Bicchieri che per più di un mese hanno accompagnato l'arrivo della guida Vini d'Italia. Di cui tiriamo le somme ora, all'uscita dell'edizione numero 32 e all'alba della grande degustazione dei vini premiati coni Tre Bicchieri che si tiene a Roma, il primo di una serie di eventi, ben 50 in Italia e all'estero, che toccherà 30 città in tutto il mondo. Cominciano a Roma le grandi degustazioni, allo Sheraton Rome Hotel, sabato 27 ottobre, ci saranno in assaggio oltre 400 etichette, tutte premiate con i Tre Bicchieri. Le tappe successive? Saranno Napoli,il 28 ottobre all'Eurostars Excelsior Caracciolo, Torino, il 30 a Palao Copernico Garibaldi, e il 26 novembre a Lecce a Torre del Parco.

 

Vini d’Italia è giunta alla trentaduesima edizione. La prima, datata 1988, è stata redatta da un manipolo di appassionati nell’estate del 1987, in un momento molto difficile della storia recente del vino italiano, ma anche ricco di quei “fermenti” innovativi che hanno caratterizzato gli anni Ottanta, il decennio dell’Italian wine renaissance.

In questo lasso di tempo siamo passati dal recensire 500 cantine e 1500 vini a oltre 2500 produttori e quasi 23mila vini.

La squadra di appassionati è diventata un favoloso team di 70 e oltre degustatori, motivati e competenti, che abbiamo selezionato negli anni e che ci aiutano a valutare otre 40mila vini in ogni regione italiana e persino nel Canton Ticino. Un panorama sempre più ricco, fatto di mille terroir diversi, di mille e più uve della tradizione e internazionali; dove è possibile trovare sia vini realizzati con le tecniche enologiche più avanzate sia straordinarie espressioni di una tradizione plurimillenaria vinificate in vasche di pietra o in anfore di terracotta come 2500 anni fa.

 

La valutazione

Come si articola il nostro giudizio? Quali sono i canoni secondo i quali decidiamo se un vino è buono, molto buono o eccellente (rispettivamente classificati con uno, due o Tre Bicchieri)? Non c’è una risposta univoca, una parola che riassuma la complessità del nostro metodo di giudizio e dell’affascinante panorama enologico italiano, la terra della diversità (oggi va di moda chiamarla bio-diversità). Sono, probabilmente, criteri allo stesso tempo edonistici, umanistici e culturali. Degustiamo alla cieca, a bottiglie coperte, ma lo scopo dei nostri assaggi non è esprimere un numero, bensì raccontare a chi ci legge il piacere che abbiamo provato bevendo un vino. Un criterio edonistico, insomma, dove la maturità del tannino e la freschezza acida valgono tanto quanto la storia del vignaiolo che quel vino l’ha realizzato.

 

Storie, poesie, emozioni. E centinaia di migliaia di vini assaggiati

Noi raccontiamo la storia, anzi, le infinite storie del vino italiano, che è il più complesso, difficile e articolato da comunicare in questo splendido pianeta azzurro. Dove alla fine vince il palato sulla tecnica, la poesia sulla ragione, dove c’è posto per l’artigiano che fa 30mila bottiglie come per la grande azienda che esporta su tutti i mercati del mondo. Perché premiamo un vino di una certa annata e di una certa vigna, e quello del confinante che ha le stesse uve e la stessa esposizione arriva, poniamo, solo alle nostre degustazioni finali ma non ai Tre Bicchieri? Le spiegazioni tecniche e scientifiche non conducono, secondo noi, a una completa definizione di ciò che accade in un vigneto e in una cantina; la riuscita di un vino e la differenza tra un buon vino e quello che (secondo noi) è un grande vino a volte - o spesso - è piuttosto rimesso al gioco di mille complesse variabili difficili da quantificare. E allora, una volta ancora, quello che vale è la nostra percezione immediata, la nostra emozione di quel preciso momento. Inutile dire che un bagaglio esperienziale di oltre trent’anni di assaggi e di centinaia di migliaia di vini rappresenta un know how irripetibile, che ci rende unici e ci permette di intercettare le novità, le tendenze, i nuovi territori, e raccontare tutto ciò al mondo nel momento in cui accade.

A questo aggiungete che non siamo schiavi di una visione univoca, ma siamo affascinati dalla complessità e dalla molteplicità di modi e di stili in cui i nostri terroir e le nostre uve, grazie al talento dei nostri vignaioli, riescono a esprimere i mille volti dell’Italia del vino, e avrete un’idea di come lavora la squadra dei degustatori della Guida dei Vini...

 

La guida nel mondo

Trentadue edizioni, per una Guida che è tradotta ogni anno in inglese, tedesco, cinese e giapponese testimoniano che il nostro impegno riscuote un consenso in Italia e nel mondo che forse non ha eguali. Essere presenti sulla Guida del Gambero Rosso, avere i Tre Bicchieri sono ormai “benchmark” universali, riferimenti obbligati, che continuano a favorire l’affermazione del vino italiano sullo scenario internazionale. A questo aggiungete che ogni anno siamo presenti con oltre cinquanta eventi nelle città più importanti del globo, sui mercati consolidati come su quelli emergenti, a raccontare i piccoli e i grandi vini italiani, i loro artefici, a incontrare consumatori, stampa, sommelier, importatori e distributori. Il merito della nostra squadra è aver costruito uno strumento di lavoro importante per un settore fondamentale della nostra economia, che si è guadagnato sul campo una credibilità e un consenso indiscussi a livello mondiale. Di questo andiamo davvero orgogliosi. Sono 54 i produttori che debuttano con i Tre Bicchieri. Troverete poi la segnalazione dei Tre Bicchieri Verdi, quelli prodotti da aziende biologiche o biodinamiche certificate, che quest’anno sono ben 102. Infine segnaliamo anche i vini premiati reperibili in enoteca entrro la fascia dei 15 euro, che sono ben 92, oltre il 20% dei vini premiati.

 

La guida in cifre

 

Circa 40000 vini degustati

Circa 70 deugstatori

 

2530 produttori (129 new entry)

22100 vini

447 Tre Bicchieri

1643 Due Bicchieri Rossi

6254 Due Bicchieri

3199 Un Bicchiere

 

I Tre Bicchieri

92 Tre Bicchieri sotto i 15 euro

102 Tre Bicchieri Verdi

11 Premi Speciali

11 Tre Bicchieri sopra i 150 euro

54 Tre Bicchieri per la prima volta

1 Spumante Rosato

3 Vini Rosati

6 Vini Dolci

33 Spumanti Bianchi

139 Vini Bianchi

265 Vini Rossi

Annata più vecchia: 2007. Sannio Taburno Falanghina Libero – Fontanavecchia

 

Annate dei Tre Bicchieri

2017 – 83 Tre Bicchieri

2016 – 130 Tre Bicchieri

2015 – 107 Tre Bicchieri

2014 – 40 Tre Bicchieri

2013 – 44 Tre Bicchieri

2012 – 17 Tre Bicchieri

2011 – 12 Tre Bicchieri

2010 – 3 Tre Bicchieri

2009 – 3 Tre Bicchieri

2008 – 3 Tre Bicchieri

senza annata – 4 Tre Bicchieri

Coal Drops Yard a Londra. Come un centro commerciale può diventare un polo gastronomico d'eccellenza

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Il progetto di riqualificazione urbanistica affidato a Heatherwick Studio ripensa edifici industriali di epoca vittoriana in funzione commerciale. E i nomi coinvolti, specie sul versante della ristorazione, sono di alto profilo. Da Alain Ducasse all'ambizioso progetto che unisce Tom Dixon e Assaf Granit. 

 

Coal Drops Yard. Un bel progetto di riqualificazione urbanistica

Ha appena inaugurato in King's Cross, ma a Londra l'attesa per il taglio del nastro del nuovo polo commerciale ribattezzato Coal Drops Yard era alle stelle da mesi. Questo innanzitutto per l'ambizione del progetto di riqualificazione urbanistica dell'area adiacente a Regent's Canal e Granary Square, che denuncia il suo passato industriale anche a seguito della (bella) ristrutturazione che ha ripensato i due antichi magazzini del carbone di epoca Vittoriana, ora fulcro del complesso attraversato da una corte all'aperto centrale. Il lavoro è firmato Heatherwick Studio (per questa parte specifica: molti altri gli studi all'opera sugli edifici circostanti), che è riuscito nell'intento di rendere unico lo spazio valorizzando le preesistenze del passato con espedienti architettonici di grande impatto scenografico, come i tetti sinuosi che “prendono il volo” incontrandosi in aria, o gli appartamenti ricavati all'interno dei vecchi gazometri che funzionano da quinta scenica della parte commerciale. Ma di più, il progetto rappresenta un invito a vivere gli spazi della città, e per questo anche l'offerta commerciale si orienta su una selezione di brand e proposte accattivanti. Puntando molto sulla ristorazione come elemento d'attrazione. Non a caso, a poche ore dall'apertura e con diverse insegne ancora spente in attesa di inaugurare nei prossimi mesi, Coal Drops Yard è già considerato uno dei poli gastronomici più interessanti della scena londinese.

L'offerta gastronomica. Da Barrafina al cioccolato di Ducasse

Tra le vecchie conoscenze, il quarto locale del tapas bar stellato Barrafina, che marcherà la differenza con i precedenti concentrando la proposta sulla tradizione catalana; e pure Casa Pastor, evoluzione dello street food messicano El Pastor, celebre indirizzo del Borough Market. A Coal Drops Yard l'insegna ha a disposizione 80 coperti e una piazza all'aperto, Plaza Pastor, dedicata alla brace. Sempre sotto la gestione dell'Harts Group (proprietario di Barrafina e Casa Pastor), esordisce The Drop, un wine bar con cucina di moderna impostazione inglese.

Ed è già operativo anche il negozio del cioccolato di Alain Ducasse, prima esperienza a Londra per l'insegna parigina Le Chocolat Alain Ducasse che fa capo all'arte del maestro cioccolatiere Nicolas Berger.  Tra un mese l'impegno dello chef francese raddoppierà, con l'apertura de Le Cafè Alain Ducasse. Per lo stesso periodo è previsto l'esordio della Bodega's Rita (i panini d'autore di Missy Flynn e Gabe Pryce) e del ristorante Hicce, dedicato alle cotture sul fuoco vivo, tra affumicature, griglia, yakitori e pane cotto a legna (il progetto è frutto dell'alleanza tra lo chef Pip Lacey, Gordy McIntyre e il brand Wolf and Badger). Tra gli chef coinvolti anche Anthony Demetre (già Wild Honey a Mayfair), presto alla guida del ristorante che prenderà forma all'interno della Vermuteria, format dedicato al vermouth, con proposta gastronomica di ispirazione spagnola. Per ora aperto solo per colazione.

Tom Dixon e Assaf Granit. Design e cucina del Medio Oriente

Ma la novità più chiacchierata è indubbiamente legata al sodalizio tra il designer Tom Dixon e lo chef Assaf Granit (proprietario in città tra gli altri di The Palomar e The Barbary, oltre che di alcuni locali in Israele): all'interno del Coal Office – showroom e ristorante, dove tutti gli oggetti di design sono in vendita; 160 coperti all'interno su due piani e rooftop con vista sui giochi d'acqua di Granary Square – la cucina è legata alle origini medio-orientali di Granit, protagonista del successo della New Israeli Cuisine (ma il precursore resta Yotam Ottolenghi) a Londra. E molte altre novità gastronomiche popoleranno nei prossimi mesi Coal Drops Yard. Non resta che seguire gli sviluppi, registrando l'ennesima operazione di riqualificazione urbanistica che punta sull'alleanza con la cucina d'autore. A Parigi, da un paio di mesi, analoghe premesse fanno registrare il tutto esaurito al Beaupassage.

Coal Drops Yard - Londra - King's Cross (Stable street) - coaldropsyard.com

 

a cura di Livia Montagnoli

Best in Travel 2019: Lonely Planet premia il Piemonte e Copenaghen per la loro cucina

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La Lonely Planet, nome di riferimento nel mondo delle guide di viaggio, ha stilato la classifica dei Best in Travel, le migliori esperienze da fare nelle più belle destinazioni del mondo. Il Piemonte è la regione migliore, mentre Copenaghen è la città numero uno. Il motivo? La loro offerta gastronomica. 

 

La gastronomia piemontese

Una tradizione solida frutto dell'influenza francese ma anche di quella ligure, grazie al continuo passaggio di commercianti in arrivo dalla regione vicina, che oltre alle spezie portavano con loro ricette tipiche e tradizioni culinarie. Il Piemonte può fare affidamento su una cucina robusta , fatta dei prodotti locali, burro, latticini e carboidrati, ma anche frutta secca legumi, cereali e tuberi. Una tavola che nasce alla corte dei Savoia, ma che prende spunto anche dalle abitudini di consumo dei ceti più poveri, pescando dalle ricette della tradizione contadina. Il risultato è un accordo di sapori e piatti molti diversi tra loro, sia per la complessità delle preparazioni che per la tipologia di ingredienti utilizzati. Non c'è da stupirsi, quindi, che sia proprio il Piemonte la regione ad aver conquistato cuore e palato della giuria di Lonely Planet, che ha pubblicato lo scorso 25 ottobre la guida con Best in Travel per il prossimo anno, un vademecum prezioso per scoprire le destinazioni migliori e tutto ciò che hanno da offrire.

Il premio

A vincere, dunque, è il Piemonte, che si aggiudica il titolo di miglior regione del mondo dell'anno. Un po' per le sua tante attrattive, dai festival musicali a quelli artistici, un po' per i suoi paesaggi incontaminati, ma anche e soprattutto per i suoi sapori intensi e decisi, i suoi prodotti prelibati e le sue ricette storiche. Ristoranti, birre artigianali, il celebre tartufo bianco e poi gli angolotti, le tante paste all'uovo, i dolci profumati di burro buono, biscotti secchi che hanno fatto il giro del mondo, la cioccolata, il bicerin, il buon caffè, il vino delle Langhe. Scorrendo le pagine dedicate al Piemonte, si scorgono foto delle nocciole, del Barbaresco, il Roero, il Monferrato, e poi i progetti più innovativi degli ultimi tempi, Edit e la Nuvola di Lavazza in primis. Foto e racconti a tema gastronomico, in cui protagonista assoluto è sempre il cibo, fattore determinante ormai nelle scelte di molte liste e classifiche di viaggi.

Copenaghen e la New Nordic Cuisine

Lo conferma anche la vittoria di Copenaghen come migliore città da visitare nel 2019, riconoscimento ottenuto anche e soprattutto grazie al suo fermento gastronomico. “La capitale danese del cool è inarrestabile”, ha dichiarato entusiasta la squadra di Lonely Planet, descrivendo la metropoli come punto di riferimento del design e dell'architettura scandinava. Ma anche come uno dei punti nevralgici dell'alta cucina contemporanea, polo gastronomico unico al mondo e in continua evoluzione, che ha da sempre un occhio di riguardo particolare verso il tema della sostenibilità. Basti pensare a un nome fra tutti, quello di René Redzepi, da anni al centro della ristorazione danese e internazionale, ideatore di uno dei migliori ristoranti al mondo, il Noma, e di una serie di progetti innovativi e rivoluzionari, ma anche di locali di stampo diverso, come il recente Hart Bageri, bakery di livello nata in collaborazione con il panettiere inglese Richard Hart. Fra le esperienze da non perdere a Copenaghen, infatti, gli esperti di Lonely Planet consigliano di assaporare i prodotti del territorio e scoprire i gusti della New Nordic Cuisine al Noma o al Kadeau, oppure ai più accessibili Høst e Mes.

A vincere, dunque, è l'offerta ampia e variegata, la proposta più innovativa mescolata in maniera armonica con la parte più antica della città: "Questa è una città sinonimo di avanguardia. Tra le caratteristiche strade acciottolate ci si imbatte in menu innovativi e design che dettano tendenza. Palazzi storici, chiese e vecchi magazzini si intersecano ad audaci architetture contemporanee, mentre l'ex Meatpacking District della città è in pieno fermento con le sue gallerie, un’offerta gastronomica locale e bar alternativi. Copenaghen è il simbolo dello stile cool scandinavo e merita di essere riconosciuta sulla scena mondiale."

a cura di Michela Becchi

Libri. Impara con Giorgione, il libro dedicato ai ragazzi

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Imparare non è mai stato così divertente. Parola di Giorgione, che dedica il suo ultimo libro alle nuove generazioni.

 

Quando il Gambero Rosso mi ha chiesto di pensare a qualcosa per la nuove generazioni mi sono subito ricordato della mia infanzia”. Comincia così Impara con Giorgione il nuovo libro di Giorgio Barchiesi, in arte Giorgione, che prima di essere volto di Gambero Rosso Channel è oste patron di Alla Via di mezzo a Montefalco. Una premessa (e promessa) mantenuta lungo tutto il libro, che per comodità di lettura è suddiviso secondo i mesi.

La suddivisione per mesi

Si comincia così da gennaio con le verdure e la frutta disponibili in questo periodo, i consigli per coltivarli e due ricette tematiche. Lo schema si ripete nel corso di tutti e dodici i mesi, e comprende anche le ricette base, come quella per preparare la pasta fresca, per fare lo yogurt a casa, la marmellata o la passata di pomodoro. Non solo, il libro vuole avvicinare i ragazzi alla vita di campagna attraverso le utili dritte per progettare un orto, sia che si abbia a disposizione un pezzo di terra o un solo balcone. Il tutto senza mai dare nulla per scontato: ci sono i consigli su come concimare, seminare o trapiantare, ma vengono anche spiegate alcune tecniche, come per esempio la consociazione o la sarchiatura. Nel corso dei capitoli, i più piccoli possono anche approfondire alcune tematiche, che magari per noi adulti risultano scontate. Qualche esempio? Giorgione racconta per filo e per segno come si fa il miele, come si produce la farina o come si lavora l'uva per ottenere il vino. Il tutto scritto in maniera scorrevole, piacevole e diretta.

gnocchi con i finferli al forno

La ricetta di novembre: Gnocchi al forno d'autunno

Un modo per rendere gli gnocchi (la ricetta base la trovate nel libro) ancora più golosi è passarli in forno. Qui la ricetta.

Ingredienti

1 kg di gnocchi

400 g di funghi finferli (o altre varietà)

300 g di crema di latte

200 g di provola

200 g di Parmigiano Reggiano grattugiato

Olio extravergine d'oliva

1 cipolla rossa di Cannara

Sale e pepe

Per prima cosa puliamo i funghi – finferli, galletti, gallinacci, giallarelle, il Cantharellus cibarius ha mille nomi diversi in tutta Italia – prima con un coltellino per spazzare via la terra, poi velocemente con un panno umido. Li tagliuzziamo e li saltiamo in padella con olio e con la mia amata cipollina di Cannara, ben tritata al coltello. Quando i funghi sono pronti, versiamo la crema di latte e, nel frattempo, cuociamo gli gnocchi in acqua bollente salata. Appena vengono a galla, li scoliamo direttamente nella padella con l'intingolo, facciamo insaporire e, a fuoco spento, uniamo qualche cucchiaio di parmigiano. Versiamo nei cocci, inserendo a strati la provola a cubetti, cospargiamo con il rimanente parmigiano e mettiamo in forno caldo a gratinare con il grill acceso, finché non si è formata una crosticina laida e appetitosa. Mangiamo con calma, senza ustionarci.

 

Impara con Giorgione – Giorgio Barchiesi – Gambero Rosso – 160 pag – 18,00 € - Già acquistabile online, sarà in libreria dal 31 ottobre

 

a cura di Annalisa Zordan

 

Roma da Sù il tiramisù croccante di Loretta Fanella. Per Halloween ricetta zucca&amaretto

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La pastry chef con un passato nelle grandi cucine d'Italia e d'Europa brevetta il tiramisù croccante. Il segreto? Una cialda al cioccolato nascosta tra savoiardi e mascarpone (artigianale). È questa la scommessa di Sù, a Roma, che ora propone le edizioni limitate stagionali. Cominciando con il tiramisù perfetto per Halloween. 

 

Loretta Fanella. Chi è

Gran parte della sua vita professionale, Loretta Fanella l'ha trascorsa nelle migliori cucine del mondo e d'Italia, pastry chef d'esperienza al fianco di Carlo Cracco (ai tempi del ristorante Cracco Peck), dei fratelli Adrià nell'era visionaria di ElBulli, e poi di ritorno dalla Spagna alla corte fiorentina di Annie Feolde e Giorgio Pinchiorri (“Siamo andati a prendercela direttamente in Spagna, a El Bulli di Ferran. In due anni ha portato il vento della cucina concettuale anche nella nostra pasticceria. Il suo Prato, omaggio ai paesaggi dolci di casa Adrià, è un pezzo della nostra storia”  ci raccontava Annie Feolde un anno fa, ripercorrendo la storia dell'Enoteca Pinchiorri). Oggi lavora come consulente per ristoranti e scuole di cucina – da poco la sua linea di pasticceria è arrivata anche a Torino, nuova alleata di Massimiliano Prete nel piano di “ristrutturazione” di Gusto Madre, che ora si chiama Sesto Gusto – e la voglia di lavorare sull'evoluzione del gusto e delle forme di pasticceria non l'ha più abbandonata dagli incredibili anni catalani. Così anche il suo ultimo progetto romano si nutre di solide basi classiche, tecnica contemporanea e desiderio di sfidare le convenzioni, giocando con il dolce italiano più amato nel mondo, il tiramisù, che Loretta ha ripensato in versione croccante. Su questa innovazione sostanziale scommette da qualche mese a questa parte il concept store Su!, nel centro di Roma (a pochi passi da Piazza Navona) con l'idea di cavalcare il trend delle pasticcerie monoprodotto, ma da una prospettiva inedita.

Il tiramisù croccante di Sù

A crederci sono i tre soci che hanno fondato l'attività -  Luna Basaia, Carla Ladau e Carlo Mosso – e chi li ha consigliati in tal senso, un “direttore creativo” di tutto rispetto come Paolo Parisi, che è pure il fornitore delle uova e il selezionatore di ingredienti artigianali come i savoiardi dell'Antica Fabbrica di Ciaccio, il latte e la panna dell'azienda agricola Faustini di Paliano (per realizzare il mascarpone fatto in casa), il cioccolato giapponese di Meiji The Choco, i chicchi di caffè tostati in esclusiva per Sù dalla Torrefazione Mauceri. Ma l'anima del progetto è indubbiamente Loretta, con la sua cialda brevettata che cambia il modo di pensare (e mangiare) il tiramisù: uno scrigno croccante in cioccolato ripieno della parte liquida che bagna il savoiardo quando la cialda si rompe a contatto col cucchiaino. I vantaggi sono numerosi, a cominciare dalla possibilità di sperimentare una serie infinita di abbinamenti: sei sono i gusti sempre presenti in linea, tradizionale al caffè, anche in versione deca, pistacchio, nocciola, fragola e una versione tropicale a base di mango e frutto della passione. Ma l'idea della cialda che trattiene la parte liquida fino al momento del consumo nasconde anche un'accortezza tecnica non indifferente: l'amalgama finale si concretizza solo con l'assaggio, facendo del tiramisù una ricetta compatibile con l'idea di pasticceria espressa. A realizzarlo, nel laboratorio romano, c'è Marco Veronelli, una formazione da chef (ex Pipero al Rex, nella brigata di Luciano Monosilio) che per Sù si cimenta con la pasticceria, seguendo le direttive della Fanella.

I tiramisù stagionali. Zucca e amaretto per ZùC!

L'idea in più, a proposito delle infinite possibilità di personalizzare la ricetta e i ripieni della cialda, esordisce in occasione di Halloween con il primo di una serie di Tiramiseason, varianti stagionali del tiramisù. Dunque la festa delle zucche ispira una ricetta perfetta per i mesi autunnali, un'edizione limitata con zucca e amaretto proposta in negozio dal 29 ottobre al 30 novembre. Il nome? Semplice e divertente: ZùC! Seguiranno ogni mese nuovi gusti stagionali. Intanto Loretta Fanella ci propone una variante “casalinga” del tiramisù con zucca e amaretto. Non sarà croccante, ma sicuramente è molto goloso!

 

Tiramisù con zucca e amaretti

Ingredienti per 4 persone:
4 tuorli d’uovo 
140 gr di zucchero semolato
125 gr di mascarpone
8 savoiardi
80 gr di zucca candita
120 gr di caffè espresso
30 gr di amaretti
 
Mescolare i tuorli con lo zucchero e montare energicamente sul bagnomaria per pastorizzarli.
Togliere dal calore e a parte mescolare il mascarpone fino ad ottenere una crema ben soda e montata.
Dentro l’apposito contenitore di vetro alternare il biscotto inzuppato di caffè, la crema e la zucca candita tagliata a cubetti. Finire con amaretti sbriciolati a granella e decorare a piacere con la zucca.

 

Sù - Roma - via di Tor Millina, 34a - sutiramisu.it

 

a cura di Livia Montagnoli

Top Italian Restaurants 2019. Ecco i migliori ristoranti italiani nel mondo

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500 ristoranti da 35 Paesi diversi. Così la Top Italian Restaurants festeggia la sua seconda edizione. La 2019, che insieme al gotha dei “Tre” tricolori – Forchette, Gamberi, Spicchi, Bottiglie - assegna dei premi speciali. Ecco quelli della TIR 2019.

 

Competitiva, identitaria, sempre più orgogliosa nel portare in tavola le sue ricette regionali, e il suo profilo più semplice e rustico, in contesti anche di vero lusso. La cucina italiana si apre al mondo e porta a casa un amore incondizionato, senza eguali. La ricetta dello scarpariello trova posto nei grandi hotel di Hong Kong, il sapore della trippa alla romana sposa cantine da mille e una notte in Scandinavia, il fior di latte di Agerola si adagia su pizze napoletane sempre più buone nei locali di New York. Sono 5 milioni gli italiani che vivono all’estero, 100mila i locali che si rifanno alle nostre tradizioni.

Nella nostra Top Italian Restaurants – la guida online ai migliori ristoranti italiani nel mondo - ne abbiamo selezionati 500 da oltre 35 Paesi: locali gestiti da professionisti, capaci di proporre prima di tutto un gusto italiano e un modo di pensare la tavola. Un gusto fatto di materie prime che raccontano la zona di produzione, raccontano chi siamo. E come viviamo. Il fattore comune dei premiati? Una buona dose di coraggio. Sono chef, pizzaioli e imprenditori che hanno rischiato per trovare qualcosa di nuovo. E che ce l’hanno fatta. Questi i nostri i premi speciali.

 

Pizzeria dell’Anno: Song’ e Napule (New York)

Un angolo di Fuorigrotta tra Soho e Greenwich. La pizzeria di Ciro Iovine e la moglie Austria è un locale piccolissimo, quantomeno pittoresco, più coperti che metri quadri, con tanto di bancomat semi-nascosto tra le magliette del Napoli. La pizza? Favolosa, cornicione alto e soffice, morso avvolgente e arioso, cottura puntuale e ottima digeribilità. Le materie prime sono di qualità, dall’olio al pomodoro San Marzano, al fiordilatte di Agerola, ma è il manico, e la stesura perfetta dei dischi, a fare la differenza. L’accoglienza e il servizio sono a di poco calorosi. Imperdibile la pasta patate e provola.

 

 

Apertura dell’Anno: Don Alfonso (Toronto)

Dopo Macao e la Nuova Zelanda, la famiglia Iaccarino rilancia la sfida internazionale a Toronto, nel cuore del Financial District. E lo fa in bello stile, in un edificio ottocentesco, affidando le redini della cucina allo chef Daniele Corona (a lungo braccio destro di Oliver Glowig). Sapori mediterranei puliti, netti, tra marmi italiani e una carta di vini da oltre 700 referenze. A poco più di 100 giorni dall’apertura gira già a pieno ritmo, ottimo servizio e una carta molto ben impostata: spiccano i Rigatoni Vesuvios e una sfogliatella tirata ad arte.

 

Carta dei vini dell’Anno: Osteria del Becco (Città del Messico)

Una cantina da sogno nel quartiere di Polanco, a pochi metri dalle boutique del lusso di Avenida Presidente Masaryk. Qui Rolly Pavia ha voluto fortemente un caveau di sole bottiglie italiane, tra le più ampie e profonde collezioni al mondo, circa 30mila etichette dal dopoguerra a oggi. Lo studio sulle annate è chirurgico, la profondità impressionante, molti millesimi non sono reperibili neanche nelle cantine di origine. Rolly ha lasciato l’Italia per il Messico a 17 anni con il padre Angelo e ha creato un vero impero con diversi ristoranti a Città del Messico e non solo.

 

Business Innovation Award: Luigia (Ginevra, Nyon, Losanna, Dubai, Friburgo)

Enrico Coppola e Luigi Guarnaccia sono riusciti a creare un progetto di successo puntando su una ricerca maniacale delle materie prime direttamente importate, una gestione manageriale all’avanguardia che sfrutta le nuove tecnologie sia nei processi formativi che nei sistemi di controllo. Il prodotto finale è una pizza gourmet di alto livello, abbinata a una carta di vini importante, in un contesto accattivante che presta massima attenzione al cliente, con tanto di stanza giochi per i più piccoli. La capacità di replicare il format, facendo diventare soci i dipendenti, ha permesso di mantenere qualità invariata, e molto alta, nelle diverse aperture, da Ginevra a Dubai.

 

Chef dell’Anno: Michele Farnesi (Parigi)

29 anni, chef, toscanaccio e - nel suo piccolo - imprenditore. Michele Farnesi si è formato all’Osteria Francescana, esperienze importanti con gli amici Giovanni Passerini e Simone Tondo a Parigi, e ancora Fulvio Siccardi e Jean-Francois Piège. Ha investito i suoi risparmi nel bistrot, Dilia, a Belleville.La sua è una cucina d’autore, istintiva, con abbinamenti incisivi e sapori che stuzzicano la pancia. Una cucina che ha coraggio, golosa, capace di spiazzare con spunti creativi e puntuali. Sensibilità francese e creatività italiana, pizzico anarchico e passione. Ama il vino e si diverte in cucina. E si sente.

 

Ristorante dell’Anno: LuMi (Sydney)

Il fine dining che ci piace. Ampie vetrate sull’acqua (siamo a Pyrmont, nella baia di Sydney), tavoli ben distanziati, cura del dettaglio senza eccessi. È il regno dello chef Federico Zanellato, classe 1980, giramondo: prima a Londra, poi a Roma con Apreda e Beck, ancora in Giappone da Riygin, esperienze al Noma e Attica, per poi mettersi in proprio a Sydney con la moglie Michela, sommelier. La sua è una cucina italiana con contaminazioni giapponesi, stimolante, attentissima alla sostenibilità delle materie prime. Il menu degustazione è uno spartito perfetto, fatto di picchi e intervalli ritmati, perfetto racconto del suo bagaglio. Il sevizio garbato, gli abbinamenti dei vini brillanti tra tanta Italia e un’Australia viticola sorprendente.

 

Giorgione mattatore al Wine Not? di Ancona con Umani Ronchi. Le foto della serata

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Un libro, tanti aneddoti da raccontare, storie di cucina e di cibo da tutta Italia introdotte col piglio e la simpatia di Giorgione. È stato l'oste più amato d'Italia, volto di Gambero Rosso Channel, il protagonista di due serate speciali al Wine Not? di Ancona. Ecco le foto. 

 

Metti una sera – anzi due – a cena con Giorgione. È successo al Wine Not? di Ancona, il 24 e 25 ottobre, per il consueto appuntamento che vede l'oste più amato d'Italia ospite del capoluogo marchigiano.

E quest'anno l'opportunità di scoprire da vicino i racconti e la cucina di Giorgio Barchiesi è stata doppia: due serate in compagnia, all'insegna di buone chiacchiere, libri – Giorgione Orto e Cucina 3, ma ricordiamo anche il libro appena pubblicato dal volto di Gambero Rosso Channel, Impara con Giorgione, dedicato ai ragazzi che vogliono avvicinarsi alla cucina – e la tavola delle occasioni speciali, con la brigata del Wine Not complice dell'oste per due cene all'insegna della grande cucina regionale, con i vini di Umani Ronchi.

Ecco, nella photogallery delle serate, cosa vi siete persi qualche giorno fa. In attesa delle occasioni che verranno.


Il weekend dell’arte contemporanea a Torino: mangiare in fiera. E Artissima incontra i Costardi per The Edit Dinner Prize

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Dal 2 al 4 novembre, la 25esima edizione di Artissima si presenta a Torino con una serie di novità. Tra queste l’esordio del premio dedicato alle relazioni tra arte e cibo, celebrato dalle cene performative che prenderanno forma da Edit, con la complicità dei Costardi Bros. Ma si mangia anche in fiera. 

 

25 anni di Artissima

Comincia il 2 novembre a Torino la tre giorni di Artissima, la Fiera Internazionale d’Arte Contemporanea che in città ha costruito la sua storia negli ultimi 25 anni, stabilendo un primato di genere in Italia: era il 1994, e Roberto Casiraghi e Paola Rampini inauguravano al Lingotto l’edizione pilota della prima fiera nazionale dedicata all’arte moderna e contemporanea, aperta anche alle gallerie straniere e da subito attenta al lavoro degli artisti emergenti. Nel 2018 la kermesse festeggia un anniversario importante, con il secondo anno di direzione per Ilaria Bonacossa, che esorcizza il tempo trascorso scegliendo il tema Time is on our side: un desiderio di proiettarsi verso il futuro, più che di guardare indietro a quel che è già stato. Di novità ce ne sono, infatti, a partire dal coinvolgimento di diversi spazi in città, oltre ai consueti 20mila quadri a disposizione al quartier generale dell’Oval. Si animano all’insegna del Sound le Ogr, mentre un nuovo premio, The Edit Dinner Prize, celebra le relazioni tra arte e cibo appoggiandosi a una delle realtà che meglio racconta come l’investimento sul fronte gastronomico, se ragionato, sia in grado di restituire spazi condivisi alle città.

 

The Edit Dinner Prize

Il polo di via Cigna, nell’ex fabbrica di cavi elettrici di Barriera di Milano, tra qualche settimana spegnerà la prima candelina, ed è partner di Artissima nell’organizzazione del premio inedito assegnato dalla giuria a un artista tra quelli presenti nelle otto sezioni della Fiera. A decidere l’esito sarà una triade con competenze artistiche e di food innovation, presieduta dall’artista Massimo Bartolini, con Roberta Ceretto e Giorgio de Mitri; e il vincitore, che riceverà un premio in denaro, sarà chiamato a organizzare una cena multidisciplinare da Edit in occasione di Artissima 2019. Già tra qualche giorno, però, il polo nato da un’idea di Marco Brignone accoglierà due eventi speciali nel segno dell’arte e del cibo d’autore, frutto della collaborazione tra Bartolini e i fratelli Costardi– resident chef del ristorante di Edit – protagonisti della prima edizione di The Edit Dinner Party. Quel che conta, in questo caso, è mescolare arti diverse per dare il buon esempio, sorprendendo gli ospiti – solo 60 a serata, il 2 e 3 novembre (150 a persona, solo su prenotazione) – con effetti speciali che sollecitano tutti i sensi. Dunque del menu non è stato anticipato nulla, se non che si dipanerà come un racconto caricato di significati dalla direzione artistica di Bartolini, indirizzata a far riflettere sui concetti di collettività, inclusione e condivisione (in gergo, quelle che si definiscono “cene performative”).

 

Mangiare in fiera. Con Mariangela Susigan

Di servizio, invece, è il compito assegnato per il secondo anno consecutivo a Mariangela Susigan, che dalla sua cucina di Caluso arriva a Torino per coordinare l’offerta gastronomica della Fiera presso l’area Vip Lounge dell’Oval. Due le proposte complementari, al ristorante e al bistrot, con l’idea di interpretare anche a tavola il concetto del tempo che scorre, guardando al passato per proiettarsi nel futuro. Ci sarà dunque, dopo l’esordio del 2017, la Zuppa Francigena ideata dalla chef in omaggio a una ricetta medievale, e quindi realizzata con ingredienti reperibili in Piemonte prima del XVI secolo, come i fagioli, l’ortica, la borragine, fave e radici: niente patate e ortaggi arrivati con la scoperta dell’America. Poi una rassicurante parata di piatti della tradizione regionale, dai tajarin all’uovo agli agnolotti, alla battuta di fassone. E, per incontrare le esigenze del pubblico internazionale, la pizza protagonista sul menu del bistrot, ma sempre tesa a offrire uno spaccato di prodotti regionali d’eccellenza e ingredienti di stagione reperiti sul territorio (da anni la chef divulga proprietà e virtù delle erbe spontanee che crescono nelle valli piemontesi). In Fiera si mangerà sospesi sul percorso espositivo, nel temporary restaurant allestito per l’occasione.

 

I festival collaterali

Mentre alla Caserma La Marmora, per la 14esima edizione di Paratissima, che inaugura già il 31 ottobre, si riconferma l’offerta di street food di alcune insegne note in città. E così per gli altri festival collaterali, come The Others, giunto alla sua terza edizione negli spazi dell’Ex Ospedale Regina Adelaide (ma la kermesse, per natura itinerante, è nata sette anni fa): per i quattro giorni di rassegna, dal 1 al 4 novembre, l’offerta gastronomica è affidata a Bottega Baretti e Dogana Grimm, nell’area dell’ex mensa - con food pairing, pizza, mixology e vini del territorio selezionati dalla Città del gusto di Torino del Gambero Rosso, che in fiera sarà presente con un suo corner – e nel garden, con street food e servizio bar.

 

www.artissima.art

 

a cura di Livia Montagnoli

Mostra del tartufo bianco delle Crete Senesi. La festa del tartufo in Toscana

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È il tartufo bianco il protagonista della mostra-mercato del borgo senese di San Giovanni d'Asso. Una manifestazione pensata per presentare il prodotto in tutte le sue sfumature, attraverso un programma fitto di appuntamenti. 

 

Il tartufo

Autunno. Tempo di zucca e funghi, castagne e mele, delle prime crucifere come verza e cavolo cappuccio, ortaggi che ci accompagneranno per tutto l'inverno. È il momento della raccolta delle olive e della fine della vendemmia. Ma è anche il periodo del tartufo, il tubero che continua a mietere successi fra i buongustai di tutta Italia e del mondo, uno dei prodotti più ricercati, al centro di itinerari di viaggio e gite turistiche all'insegna del gusto. Nel mese di novembre, tappa imperdibile per tutti gli appassionati è la Mostra del Tartufo Bianco delle Crete Senesi, una mostra-mercato in scena a  San Giovanni d'Asso, frazione di Montalcino, il fine settimana del 10 e 11 novembre e poi di nuovo il 17 e 18. Un appuntamento che si ripete da ben 33 anni, grazie al lavoro dell'Associazione Tartufai Senesi e dell'Amministrazione del comune.

L'evento

Una kermesse di artigiani e produttori, specialità tipiche e tante interpretazioni del tubero più amato di sempre. Si comincia con l'apertura del mercatino, fra dolci, confetture, mieli e conserve, e si continua con la rievocazione storica dell'associazione culturale Antichi Popoli. Cuore pulsante dell'evento è poi lo Square Food, 300 metri quadri di spazio interamente dedicati al Tartufo Bianco delle Crete Senesi, un ristorante dove poter assaporare le migliori espressioni del tartufo in tante varianti. Ancora, degustazioni guidate, street food, itinerari da percorrere a piedi oppure sul Treno Natura che conduce da Siena a San Giovanni d'Asso. La sera del 10, poi, la grande cena di gala “Viaggi nella Val d'Orcia”, con i piatti dello chef Ronald Bukri del ristorante Osticcio di Montalcino: cacao e tartufo di San Giovanni d'Asso, miele e tartufo saranno solo alcuni degli abbinamenti in assaggio durante la degustazione.

Il programma

Non solo tartufo, però: sono tanti i produttori della zona a scendere in campo con le loro prelibatezze. Fra tutte, è il pecorino senese a dominare la scena, tanto da essere protagonista di un concorso: la mattina dell'11 novembre verrà infatti premiato il miglior pecorino locale al Castello di San Giovanni d'Asso, con tanto di degustazione guidata. Fra le più folcloristiche tradizioni che da sempre coinvolgono il mondo dei tartufi, poi, la caccia del tubero, che sarà simulata all'Orto di sesto. A cucinare la domenica, durante un cooking show tutto al femminile, Giuseppina Cuomo della Locanda Vesuna, e Rossella Giulianelli dell'associazione Cuochi Alta Etruria. E ancora assaggi di dolci al tartufo, laboratori, seminari, convegni (da non perdere il “Distretto Rurale di Montalcino”, che analizzerà le tematiche principali dell'agroalimentare del territorio) e anche uno spettacolo del Gruppo Sbandieratori, oltre allo show itinerante per le vie del borgo. Infine, la consegna del premio internazionale “Un Tartufo per la Pace”, riconoscimento destinato a organizzazioni o personaggi di rilievo che si sono distinti per l'impegno sociale nella difesa dei diritti umani.

Mostra del tartufo bianco delle Crete Senesi – San Giovanni d'Asso (SI) - www.mostradeltartufobianco.it/trentanni-di-mostra/

a cura di Michela Becchi

Ferrero e il Progetto Nocciola Italia. Chiamata per Abruzzo e Molise: chi vuole coltivare nocciole?

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L'Italia è il secondo produttore di nocciole nel mondo, ma solo 70mila ettari del territorio nazionale sono dedicati alla corilicoltura. E Ferrero punta a incentivare la filiera, per dipendere sempre meno dalle importazioni. Ora cerca adepti in Abruzzo e Molise. 

 

Il mercato globale delle nocciole

Quando si parla di settore corilicolo il riferimento è alla coltivazione della nocciola, che vede l'Italia al secondo posto nel mondo per volumi di produzione, subito sotto la Turchia. La forbice, però, è ampia, dal momento che il primo Paese produttore assorbe il 70% del mercato complessivo, mentre l'Italia si assesta sul 12% della produzione globale. Ma i margini di crescita, grazie al gran numero di territori particolarmente vocati alla coltivazione di nocciole di qualità, sono incoraggianti: oggi nella Penisola sono 70mila gli ettari di terreno riservati al comparto corilicolo, per una produzione media annua di nocciola in guscio di circa 110mila tonnellate l'anno. E chi ha particolare interesse che il mercato nazionale subisca un'impennata tanto in fatto di quantità, che – soprattutto – di qualità, è Ferrero, il gruppo piemontese del cioccolato che dei suoi prodotti a base di nocciola, Nutella in testa, ha fatto un vanto da esportare in tutto il mondo. Non a caso, nel 2014 è nata la divisione interna Ferrero Hazelnut Company, con il duplice obiettivo di sviluppare il settore corilicolo e insieme incentivare l'innovazione e le buone pratiche territoriali, in fatto di sostenibilità ambientale e salvaguardia delle tradizioni rurali. Del resto Ferrero opera lungo tutta la filiera, dal campo fino al processo industriale, con la vendita di prodotti semilavorati e prodotti diretti al consumatore finale; e questo rende necessario pianificare un'azione integrata con gli agricoltori, gli agronomi e i ricercatori.

 

Il Progetto Nocciola Italia

Con questo obiettivo è nato Progetto Nocciola Italia, per investire su una filiera di qualità 100% italiana e creare sul medio-lungo periodo le condizioni per una riconversione e valorizzazione di ampie porzioni di territori agricoli in tutta la Penisola. Come? Partendo dalle basi, e quindi seguendo il comparto vivaistico perché incentivi la piantumazione di nuovi frutteti selezionati; ma pure operando sul territorio per schedare i terreni, fornendo della mappe di “vocazionalità” redatte in collaborazione con le Regioni, per individuare le aree più adatte a sviluppare la filiera. Infine schierandosi in prima linea, garantendo cioè accordi di filiera che impegnino Ferrero all'acquisto al giusto prezzo delle nocciole prodotte dal circuito integrato.

 

La chiamata per Abruzzo e Molise

In concreto a chiamata più recente del Progetto Nocciola Italia sollecita gli agricoltori di Abruzzo e Molise che vogliono investire nel settore: l'obiettivo di Ferrero è quello di raggiungere i 90mila ettari dedicati alla corilicoltura sul territorio nazionale (una soglia che comunque coprirebbe solo il 5% del fabbisogno della produzione mondiale di Ferrero, tanto per sottolineare quali sono i margini di crescita: una nocciola su tre prodotte nel mondo viene utilizzata per produrre ). E per scovare i 20mila ettari “mancanti” sollecita i produttori che operano in territori a rischio abbandono o utilizzati per colture a bassa redditività. In cambio, come confermato in occasione dell'Euro ortofrutticola del Trigno (in un territorio tradizionalmente legato alla coltivazione del pesco), Ferrero si impegna ad acquistare le nocciole a un prezzo minimo garantito per un periodo di 19 anni. Sull'esempio del progetto già avviato nella Tuscia – dove entro il 2022 saranno piantati a nocciolo 500 nuovi ettari – e che nei prossimi anni potrà coinvolgere molte altre regioni. Il progetto è partito la primavera scorsa, entro il 2025 si punta a disporre di 20mila ettari di noccioleti in più. Invertendo anche una tendenza che negli ultimi anni ha visto diminuire la qualità delle produzioni per fattori climatici e agenti patogeni (ma qualcuno fa già notare che proprio l'incentivo alla monocoltura rischia di compromettere la biodiversità e la produttività dei terreni).

 

progettonocciolaitalia.it 

 

a cura di Livia Montagnoli

MammaItalia, la app con cui trovare autentico cibo italiano all’estero

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Un progetto lanciato a ottobre e per ora attivo in cinque città europee. Ma che, grazie a tanti dettagli che ne fanno un servizio completo, e alle numerose segnalazioni già ricevute da ogni parte del mondo, ha tutte le carte in regola per crescere. Ne abbiamo parlato con Gaetano Biondo, uno dei fondatori.

 

A Bratislava, Luca vuole preparare un’amatriciana ma è costretto a rinunciare perché non riesce a trovare gli ingredienti necessari. A Tokyo, invece, Ivano gli ingredienti per una cena con amici e colleghi li scova, ma deve attraversare tutta la città. Ecco solo due delle tante storie che hanno portato alla nascita di MammaItalia, una app (a oggi in versione beta, scaricabile gratuitamente su iOS e Android) che geolocalizza e permette di individuare cibo italiano all’estero. Dietro il progetto – oltre a Luca Marmo Ivano Rotondo– ci sono Gaetano Biondo, Claudio Vitale Caterina Diglio, che in comune hanno la scelta di essere emigrati per studio o per lavoro e la conseguente nostalgia dei sapori di casa. E mentre per i ristoranti italiani all'estero la nostra guida Top Italian Restaurants è giunta già alla sua seconda edizione, per quanto riguarda i prodotti tricolori il progetto MammaItalia è appena partito. Ma già promette bene.

Come funziona MammaItalia?

Il nostro obiettivo è renderci utili”, ci racconta Gaetano, “e il potenziale valore del motore di ricerca che abbiamo ideato ce lo ha dimostrato subito Ivano, lo sviluppatore che ha vissuto a Tokyo: lavorando alla messa in pratica della app ha scoperto che avrebbe potuto acquistare prodotti made in Italy di qualità in un negozio a pochi metri da casa sua”.Ma, entriamo più nel dettaglio e capiamo come funziona MammaItalia. “Per il momento è attiva a Londra, Berlino, Parigi, Madrid e Barcellona”, spiega, “abbiamo scelto di lanciarla solo dove potevamo garantire una mappa abbastanza esaustiva, frutto di una lunga raccolta dati che è stata possibile anche grazie alla collaborazione di numerosi connazionali che vivono all’estero”.

Chi si trova in una di queste città, può consultarla - in italiano, inglese o spagnolo, mentre le due prossime lingue previste sono francese e tedesco - e verificare che ciò che sta cercando sia disponibile (se sì vengono segnalate le insegne, con tanto di indirizzo e distanza dal punto in cui è situato l’utente). Come? Scrivendo il nome del prodotto nella barra di ricerca o selezionando una delle categorie presenti. Il “database” MammaItalia, seppur molto giovane dato che la app è stata lanciata a inizio ottobre, raccoglie già un po’ di tutto: sughi pronti, pasta, vino e olio, bottarga di muggine, porchetta di Ariccia, Provolone del Monaco e speck altoatesino, spaziando dai grandi marchi dell’industria alimentare nostrana a piccole realtà specialmente del Centro Sud (in ogni caso è tutto tracciabile, al 100% italiano e dotato delle caratteristiche necessarie a renderlo esportabile).

Oltre gli acquisti, tra ricette e segnalazioni

E non finisce qui, perché l’assistenza prosegue pure dopo che l’acquisto è stato completato o se non è andato a buon fine. Se infatti l’ingrediente di cui si ha bisogno non risulta rintracciabile nelle vicinanze, MammaItalia suggerisce gli e-shop che lo potrebbero spedire; quando invece l’ingrediente viene individuato, in molti casi fornisce ricette con cui valorizzarlo. “Si tratta di ricette tradizionali che abbiamo raggruppato, spesso consultando mamme e nonne: vogliamo non solo offrire una soluzione alle esigenze degli italiani che hanno lasciato il loro paese, ma anche avvicinare alla nostra cucina persone di nazionalità e culture gastronomiche diverse”, precisa Gaetano. E se MammaItalia ha tutte le carte in regola per crescere, il merito va inoltre a una vera e propria community che si è già creata: “abbiamo ricevuto migliaia di segnalazioni da ogni parte del mondo”conclude “a partire da quelle delle aziende che esportano nelle zone in cui siamo attivi e dei negozi in cui è possibile comprare tali prodotti; per tutti loro comparire sulle nostre mappe è gratuito”.

 

mammaitaliafood.com

a cura di Agnese Fioretti

Ristoranti d'Italia 2019 del Gambero Rosso. Premi e classifiche

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Bistrot, trattorie, neo-osterie, etnici e tradizionali. Nella guida Ristoranti d'Italia 2019 del Gambero Rosso uno spaccato della scena ristorativa nazionale.

 

2813: tante sono le insegne raccontate dalla nostra guida (presentata oggi a Roma all'hotel Sheraton & Conference Center). Non saranno troppe? Tirate le somme dell'edizione 2019 della guida Ristoranti d'Italia di Gambero Rosso, la domanda è sorta spontanea. Ma dati gli 83 miliardi spesi per mangiar fuori dagli italiani, di cui 15milioni sono con le gambe sotto a un tavolo tra le 3 e le 4 volte a settimana (dati Fipe 2017), la risposta è stata: no. Perché è la ristorazione a essere tornata “tanta”, e questa selezione è una realistica e ponderata disamina del buono che c’è nelle cucine di tutta Italia.

 

Stato dell'arte

Florida, variegata, “complessa”, interattiva, alle prese con un cliente che non perdona: l’enogastronomia nostrana sta ufficialmente archiviando la crisi. E la guida - come sempre - registra i fatti e prova a fornirne un'interpretazione funzionale per farsi servizio. Per capirci: ci sono quasi 300 novità su un turn over di 150 locali (circa la metà si tratta di chiusure o cambi di gestione). Inoltre: 437 indirizzi sono in Lombardia, regione traino per tutto il settore pure secondo le ultime statistiche, seguiti dai 315 del Lazio, dove la megalopoli romana concentra gran parte del business, mentre 259 si trovano in un Piemonte eletto dalla Lonely Planet la miglior regione al mondo da visitare nel 2019 LINK, e 238 in Veneto, che vanta quattro nuovi ingressi ai vertici: La Peca di Lonigo (Tre Forchette), Amo (Tre Cocotte) e sudest1401(Tre Mappamondi, primo e finora unico fuori dai Bastioni) a Venezia, Nidaba a Montebelluna (Tre Boccali).

I bistrot arrivano a quota 200, segno che la trasposizione italiana del format d'Oltralpe - cucina d'autore a prezzi umani, materie prime di mercato, ambiente chic e friendly al contempo, bere sfizioso e non convenzionale - ha trovato la quadratura e un mercato stabile e remunerativo cui rivolgersi, mentre sul cibo etnico abbiamo ancora da imparare dal Nord Europa (Milano e i suoi nove su dodici mappamondi totali a parte). Anche se qualche luce che brilla sullo standard c’è: l’unica new entry tra i top dell’esotico - il succitato sudest1401- è, infatti, oltre che un’originale e sofisticata avventura fusion siculo-balcanica, l’ultimo tassello di un progetto imprenditoriale di integrazione socioculturale che si chiama Orient Experience, e della storia di Hamed Ahmadi, ex rifugiato politico che con questo progetto, in sei anni, ha dato una speranza e un futuro a decine di immigrati e rifugiati come lui.

 

L'avanguardia della tradizione

Ai vertici, poi, i 38 campioni del fine dining e le 27 migliori espressioni delle tradizioni regionali, viaggiano su due linee oggi non più così distanti. L’ancestrale distinzione fra chi mantiene vivo il passato e chi sperimenta guardando al futuro si sfuma, l’esperienza d’alta cucina diviene laica e accessibile, la trattoria si reinventa nella forma delle neo-osterie. Ossia posti dove si spadella tenendo ben presente il ricettario della nonna (e spesso volumi antichi, sconosciuti, dimenticati) e con la spesa di giornata, e dove il menu, spesso snello e a variazione quotidiana, la tradizione se la reinventa con estrema serietà nei contenuti (soprattutto in termini di cultura e ricerca della materia prima e di valorizzazione delle piccole produzioni locali) e piglio scanzonato nella forma. È stato il caso di Trippa, a Milano, al suo secondo anno nel Gotha dei Tre Gamberi, è quello di Mazzo, a Roma, esordiente nell’edizione 2019.

 

Laboratorio Italia e chef training

In generale, comunque, sono la riscoperta della “manifattura” culinaria, lo studio incessante sull’ingrediente, la ricerca e la voglia di interagire col cliente e di confezionare - per lui e con lui - un’esperienza unica sì ma pure comprensibile e non ingessata - sala e servizio del vino inclusi - a descrivere oggi i lavori di squadra più entusiasmanti che si compiono dietro le quinte e tra i tavoli. Chi mandando avanti storie di famiglia e successi senza sedersi mai sugli allori (vedi i fratelli Portinari della Peca), chi studiando senza tregua, a ogni livello, per riproporre, per esempio, piatti come il rognone alla pressa di Apicio. È il caso quest’ultimo di Riccardo Camanini di Lido 84, nuovo ingresso tra le Tre Forchette, che nella formazione continua e culturale tout court, sua e della brigata, crede e investe. Come ci crede da un pezzo Niko Romito, confermata la migliore espressione - oggi, a nostro avviso - dell’imprenditoria di settore più completa, eclettica e trainante, tra didattica, appunto, esportazione colta e consapevole del Made in Italy, divulgazione e “alfabetizzazione” del pubblico in termini di consapevolezza sul cibo.

 

Valore social e plusvalore sociale

Perché bisogna “sapere” e “saper scegliere” per non finire alla deriva alla ricerca di un buon posto dove andare a cena. Sia leggendo e usando concretamente una guida, sia navigando nel web, croce e delizia, opportunità e limite di addetti ai lavori e non. La comunicazione e la presenza attiva sui social, l’aggiornamento dei siti, l’autopromozione intelligente sono ormai una parte consistente dell’attività di un ristorante (e il premio alla miglior comunicazione digitale, quest’anno alla squadra della Madonnina del Pescatore di Senigallia, lo conferma). Senza esagerare, però. Perché essere cuochi e cuoche è ancora in primis testa (dura), mano, cuore e tempra, sensibilità e apertura mentale, tenacia e curiosità. E, oggi più che mai, responsabilità sociale.

Dopo il successo dello scorso anno, Gambero Rosso rilancia il Progetto Le grandi cantine della regione, pensato con l’obiettivo di segnare le grandi Aziende vinicole della regione, fornendo così una bussola per i lettori nella scelta dei vini che meglio si abbinano ai piatti del territorio. Gambero Rosso dedica così le aperture di ogni sezione regionale della Guida Ristoranti d’Italia 2019 a un numero limitato di Grandi cantine, a ognuna delle quali è stata dedicata una pagina che ne racconta storia e produzione e descrive tre delle etichette di punta.


a cura di Valentina Marino


Guida Ristoranti d'Italia 2019 Gambero Rosso | Prezzo: 22€ | Già disponibile on line, in settimana sarà anche in edicola e libreria


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I PREMI DELLA GUIDA


TRE FORCHETTE

Il punteggio è espresso in centesimi.

96
Reale
- Castel di Sangro (AQ)


95
Le Calandre - Rubano (PD)
Osteria Francescana - Modena
La Pergola dell’Hotel Rome Cavalieri - Roma


94
Don Alfonso 1890 - Sant’Agata sui Due Golfi (NA)
Piazza Duomo - Alba (CN)
Torre del Saracino - Vico Equense (NA)
Uliassi - Senigallia (AN)
Villa Crespi - Orta San Giulio (NO)


93
Enoteca Pinchiorri - Firenze


92
Cracco
- Milano
Laite - Sappada (BL)
Lorenzo - Forte dei Marmi (LU)
Madonnina del Pescatore - Senigallia (AN)
Dal Pescatore - Canneto sull’Oglio (MN)
Seta del Mandarin Oriental Milano - Milano
La Siriola La Siriola dell’Hotel Ciasa Salares - San Cassiano/Sankt Kassian (BZ)
St. Hubertus dell’Hotel Rosa Alpina - San Cassiano/Sankt Kassian [BZ]
La Trota - Rivodutri (RI)
Da Vittorio - Brusaporto (BG)

 

91
Agli Amici dal 1887
- Udine
Enrico Bartolini Mudec Restaurant - Milano 
Berton - Milano
D’O - Cornaredo [MI]     
Duomo - Ragusa 
Taverna Estia - Brusciano (NA)
La Madia - Licata [AG]
Quattro Passi - Massa Lubrense [NA] 
Ilario Vinciguerra Restaurant - Gallarate (VA)
Casa Vissani - Baschi (TR)

 

90
Da Caino - Montemerano (GR)
Le Colline Ciociare - Acuto (FR)
Imàgo dell’Hotel Hassler - Roma
Lido 84 - Gardone Riviera (Brescia)
Miramonti l’Altro - Concesio (BS)
Il Pagliaccio - Roma
Pascucci al Porticciolo - Fiumicino (RM)
La Peca - Lonigo (VI)

 

TRE GAMBERI

Angiolina - Pisciotta [SA]
Antica Osteria del Mirasole con Locanda - San Giovanni in Persiceto (BO)
Antichi Sapori - Andria (BT)
Armando al Pantheon - Roma
All’Osteria Bottega - Bologna
La Brinca - Ne [GE]
Ai Cacciatori - Cavasso Nuovo [PN]
Il Capanno - Spoleto (PG)
Consorzio - Torino
Al Convento - Cetara [SA]
Caffè La Crepa - Isola Dovarese [CR]
Futura Osteria - Monteriggioni [SI]
La Locanda delle Grazie - Curtatone [MN] 
La Locandiera - Bernalda [MT]
La Madia - Brione [BS]
Locanda Mariella - Calestano (PR)
Masseria Barbera - Minervino Murge [BT]
Mazzo - Roma
Nerodiseppia - Trieste
Osteria Ophis - Offida [AP]
Osteria del Treno - Milano
Pretzhof - Val di Vizze/Pfitsch [BZ]
Sora Maria e Arcangelo - Olevano Romano [RM]
Tischi Toschi - Taormina [ME]
Trippa - Milano
Vecchia Marina - Roseto degli Abruzzi [TE]
Osteria della Villetta dal 1900 - Palazzolo sull’Oglio [BS] 
 
 
TRE BOTTIGLIE
I migliori Wine Bar

La Baita - Faenza [RA]
Barnaba - Roma
Le Case della Saracca - Monforte d’Alba [CN]
Damini Macelleria & Affini - Arzignano [VI]
Del Gatto - Anzio [RM]
Al Donizetti - Bergamo
Enoteca Fiorentina - Firenze
Enoteca Marcucci - Pietrasanta [LU]
Roscioli - Roma
Trimani Il Wine Bar - Roma

 
TRE BOCCALI
Le migliori Birrerie
 
Casa Baladin - Piozzo (CN)
Nidara - Montebelluna (TV)
Open Baladin - Roma
L’Osteria di Birra del Borgo - Roma                

 

TRE MAPPAMONDI
I migliori locali etnici

Casaramen - Milano
Iyo - Milano
sudest1401 - Venezia
Wicky’s Wicuisine Seafood - Milano

 
TRE COCOTTE
I migliori Bistrot
 
Amo - Venezia
Caffè Propaganda - Roma 
Cucina.eat - Cagliari
Lanzani Bottega & Bistrot - Brescia
Pisacco - Milano
Spazio Niko Romito - Roma 
 
 

PREMI SPECIALI

 

Cuoco Emergente Premio Alessandro Narducci

Michelangelo Mammoliti | La Madernassa - Guarene (CN)


La novità dell'anno
Casa Rapisarda - Numana (AN)

Il ristoratore dell'anno
Nuccia De Angelis - D.one Ristorante Diffuso - Roseto degli Abruzzi (TE)


Miglior comunicazione digitale
Madonnina del Pescatore - Senigallia (AN) 


Servizio di sala
Il Faro di Capo d'Orso - Maiori (SA)

Servizio di sala in albergo
George's del Grand Hotel Parker's - Napoli

 

Terra e ambiente

"Quando la sostenibilità è forma e sostanza. Valorizzazione del territorio e dei suoi prodotti attraverso una cucina nel pieno rispetto della terra, dell’ambiente e dell’uomo”.
 
Balzi Rossi - Ventimilgia (IM)
 
Caffè La Crepa - Isola Dovarese (CR)
 
Agli Amici dal 1887 - Udine
 

Ristorante con la miglior proposta di piatti di pasta
Al Convento - Cetara (SA)


Miglior pane in tavola
Kresios - Telese Terme (BN)

 


Ristorante che valorizza i grandi prodotti caseari Dop italiani
Locanda San Lorenzo - Alpago (BL) 
 
 


Il pastry chef dell'anno
Leonardo Zanon - Agli Amici dal 1887 - Udine
 
 


Miglior rapporto qualità/prezzo

Almare - Fano (PU)
La Bandiera - Civitella Casanova (PE)
Biafora - San Giovanni in Fiore (CS)
Osteria Casa di Mare San Domenico - Forlì
Da Felice - Chiavari (GE)
Il Foro dei Baroni - Puglianello (BN)
Locanda dei Buoni e dei Cattivi - Cagliari
Mocajo - Guardistallo (PI)
Pensando a Te - Baronissi (SA)
Senza Tempo Osteria - Caggiano (SA)
Tosto - Atri (TE) 

 
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