Quantcast
Channel: Gambero Rosso
Viewing all 5335 articles
Browse latest View live

Arriva TravelWithGusto, guide turistiche e gastronomiche per chi viaggia per cibo

$
0
0

State programmando un viaggio per tappe gastronomiche? Scordatevi appunti, ricerche tra i siti internet più affidabili, richieste di consigli. Oggi c’è chi lo fa per voi. Basta solo uno smartphone.

 

Viaggiare è conoscere genti, luoghi, paesi. E qual è il modo più semplice, più elementare di viaggiare? Ma di mangiare!”. Apriva così Mario Soldati una puntata del suo mitico programma “Viaggio nella Valle del Po - Alla ricerca dei cibi genuini” (Rai, 1957), in cui raccontava quel territorio attraverso uno dei nostri sensi: il gusto. E oggi vi vogliamo raccontare un nuovo progetto, una sorta di evoluzione di quello di Soldati, che avviene attraverso il digitale, solo online, con gli strumenti di comunicazione che usiamo quotidianamente per vivere (e anche sopravvivere). Se state programmando un viaggio per tappe gastronomiche, scordatevi appunti, disegnini e mappe da tenere a mente, ricerca dei siti internet più affidabili, richieste di consigli ad amici o sui gruppi Facebook, forum o similari. Oggi c’è chi lo fa per voi.
Il progetto si chiama TravelWithGusto, è online da poco meno di un mese e promette di fare grossi numeri. Ma cosa è e come è organizzato? Ce lo racconta la sua fondatrice e ideatrice, Mariachiara Montera.
 

Cos'è TravelWithGusto?
Lo dico in maniera ambiziosa, TWG è “il punto di riferimento di chi viaggia per cibo”.

Sintetizza il cosa e anche il perché
Il cosa: sono guide gastronomiche in formato eBook con una mappa interattiva, che rispondono alle esigenze di chi viaggia scegliendo prima cosa mangiare e poi dove andare, con in più la comodità di avere tutto in uno smartphone. Il perché: chi viaggia per cibo si trova a fare una ricerca tra mille fonti, facendo una selezione e dovendo unire poi tutti i puntini. Noi abbiamo voluto eliminare a monte i dubbi e far risparmiare tempo: abbiamo fonti affidabili, selezioni approfondite, tutto in un unico posto.
 

Bodega Santo Porcello, Barcellona. Foto di Stefania Talento

Chi c'è dietro a questo progetto?
Dietro a TravelWithGusto ci siamo io, Giulia Scarpaleggia e Tommaso Galli.

Da dove nasce?
Nasce da quel che mancava: un progetto digitale fruibile da smartphone dedicato a chi costruisce gli itinerari di viaggio per motivazioni gastronomiche. Se vuoi, poi, nasce da un’esigenza molto personale. Prima di partire per i miei viaggi seguivo sempre lo stesso iter: consultavo mille siti, qualche guida specializzata, leggevo blog, recensioni, e alla fine mettevo tutto in una mappa. Ho pensato a quanto sarebbe stato utile trovare tutto in un unico posto: guide e un blog multiautore dove tutte quelle fonti affidabili, i foodwriter, scrivessero i loro consigli più autentici. E l’ho fatto.

Come sono strutturate le guide?
Ogni guida contiene indirizzi su dove mangiare e cosa comprare: schede e recensioni per i diversi indirizzi.

Raccontacelo nel dettaglio
Cominciamo da “Il lato dolce”: bar, pasticcerie, caffetterie. Una selezione dei migliori indirizzi dove cominciare la giornata o fare merenda. Ci sono poi ristoranti per ogni tasca: quelli blasonati, le trattorie e una ricca selezione di ristoranti etnici. Non manca lo street food, che comprende forni, panetterie e pizzerie: per pause pranzo veloci o come scusa per visitare alcuni quartieri. C’è la parte dello shopping gastronomico e di cose belle: gastronomie, negozi specializzati in goloserie locali. E ancora: i piatti da non perdere e dove trovarli, i migliori cocktail, alcune gite fuori porta.
 

Pane Nostro, Rimini. Foto di Veronica Frison

Non è solo un indirizzario, però
Per ogni città raccontiamo poi le sue specialità, come ad esempio il cioccolato per Torino o la piadina per Rimini. In ogni guida sono incluse due interviste: a un local e a un expat, per raccontare il loro punto di vista nei confronti del cibo, e insieme del carattere di una città. Descriviamo anche la città con i nostri tips: box con informazioni per conoscere meglio il carattere di un luogo ancora prima di visitarlo.

Sono scaricabili in vari formati digitali. Ci puoi descrivere il loro utilizzo? 
Le guide sono disponibili in ePub, Mobi e Pdf, e sono leggibili da eReader o smartphone. Grazie alla funzione “Cerca” puoi navigare sezione per sezione, ma anche per parole chiave. Con la mappa puoi fare la ricerca in base a dove sei, e poi consultare la guida per la scelta definitiva. Puoi sfogliarla prima di partire, per organizzare il viaggio, prendendo appunti direttamente sull’eReader; o puoi usarla sul posto, combinando la mappa e le schede per una scelta all’ultimo minuto.

In base a quali criteri avete selezionato i posti da visitare?
Il nostro lavoro è stato pensare a quali esperienze coprire: cene gourmet e street food, shopping gastronomico ma anche di design, e così via. Ci siamo messi nei panni di chi viaggia per cibo. Agli autori abbiamo dato un unico obiettivo: scegliete dei locali e degli indirizzi che rendano felici i lettori come hanno reso felici voi.
 

Orso - Laboratorio Caffè, Torino. Foto di Sandra Salerno

Sono online le guide di Torino, Rimini, Barcellona. Quali territori intendete coprire? 
Per ora Italia ed Europa: a oggi in lingua italiana e un domani anche in inglese. Vorremmo arrivare a coprire il mondo intero, ma facciamo un passo alla volta.

Cos'hanno di diverso le guide di TravelWithGusto, ad esempio, da quelle cittadine del Gambero Rosso? Cosa offrono in più?
Che domanda insidiosa :) Secondo me ci sono due elementi, uno di contesto e l’altro di reputazione.

Spiegaci meglio
Per il primo: TWG si rivolge a un pubblico che viaggia per cibo, e che quindi vuole raggiungere un posto per scoprire tutto quello che incontra il suo interesse gastronomico. È quindi mirata per approfondire l'aspetto dell'appetito, non vuole dilungarsi in altro: vogliamo essere consultati nel momento o col pensiero della piacevolezza che il cibo può dare. Rispondiamo alla domanda: da quale cibo voglio essere sorpreso oggi? Le guide del Gambero sono approfondite in maniera diversa, sono più da meditazione, fatte per chi vive in città o frequenta la città più assiduamente e solo per un viaggio.

La reputazione, invece?
Lo spiego prima di essere fraintesa: da cliente io seguo le persone, più che le aziende. Più un’azienda ha una volto, più facilmente mi fiderò e acquisterò i suoi prodotti. Secondo me noi offriamo un volto che altre aziende, dal Gambero Rosso alla Michelin alla guida di Slow Food, non hanno in maniera così consistente: voi avete il brand, la storia, siete fortissimi, mentre noi siamo persone, e per ora un caotico ma bellissimo presente.

Creare un progetto così interessante, ma in un mercato quasi saturo è un atto coraggioso. Perché erano necessari questi tipi di guide?
Rispondo con la frase che dico da consulente di marketing: “la concorrenza non esiste”. Io credo che ci siano sempre clienti, nuovi mercati, potenziali passaparola se fai qualcosa di diverso e sai a chi vuoi parlare. Credo che per le diverse guide ci siano mercati diversi e sono convinta che noi ci conquisteremo il nostro mercato, perché sappiamo capire le sue esigenze: avere uno strumento pratico, una fonte affidabile, e una storia bellissima, la nostra.

Perché la gente dovrebbe scegliere le guide di TravelWithGusto?
Perché “Chi viaggia per cibo ricorda per sempre dove è stato”: con WithGusto potrai ricordare tutti i tuoi viaggi, partendo da un piatto che hai mangiato. E poi perché diamo guide e consigli pratici da consultare per chi ha fame di cose buone a tutte le ore, per godere del viaggio in ogni momento.
 

https://travelwithgusto.it/

Foto di apertura Osteria de Borg, Rimini - Veronica Frison

a cura di Antonella Dilorenzo

 

 
 

Nuove food hall aprono a Londra. È la riscossa dei mercati gastronomici britannici

$
0
0

Cucina asiatica, italiana, panini, hamburger, dolci e altre specialità di tutto il mondo riunite sotto lo stesso tetto. È il nuovo progetto londinese dei Market Halls, una serie di tre poli gastronomici nei punti nevralgici della città. 

 

Il progetto

I viaggiatori amanti di Londra ricorderanno sicuramente Victoria per la grande stazione metropolitana, con treni in arrivo e partenza per gli aeroporti, mentre i turisti in cerca della movida notturna, la assoceranno immediatamente a Pacha, la discoteca ibizenca approdata anni addietro nella capitale britannica che ha da poco chiuso i battenti. Ma l'elegante quartiere a pochi passi dalla cattedrale di Westminster, circondato da antichi teatri e parchi curati, ben presto varrà una visita anche per la sua offerta gastronomica. Si prepara a inaugurare, nello spazio che prima ospitava proprio il nightclub Pacha, una nuova food hall, parte del grande progetto messo a punto dall'investitore Andy Lewis Pratt. Si chiama Market Halls e, come si intuisce dal nome, si tratta di una serie di mercati gastronomici (tre, per la precisione) pensati per rispondere alle esigenze sempre più alte della clientela londinese. “Vogliamo creare dei centri di ristorazione permanenti in grado di soddisfare il pubblico delle varie comunità”, ha spiegato Pratt, che per questa iniziativa ha scelto di recuperare spazi abbandonati “riportandoli alla vita e rendendoli utili per i cittadini”. Ristoranti, bar, chioschi: ogni spazio avrà la sua identità, pensata su misura per il quartiere.

Il mercato di Victoria

A inaugurare il progetto, la food hall di Fulham, nell'ex stazione di Fulham Broadway, un mercato che propone birre, distillati e bevande inglesi, oltre a un banco gastronomia, un reparto caffetteria e un'area ristoro.Seconda tappa, Victoria, aspettando il prossimo punto a Oxford Circus. Proprio di fronte alla trafficata stazione, nascerà a fine settembre un'area ancor più grande, distribuita su tre livelli con 400 coperti e un'offerta ampia e variegata. Undici cucine diverse, tre bar e una caffetteria, per un polo gastronomico d'eccezione aperto da mattino a sera, il luogo ideale per sostare a ogni ora. Con tanto di terrazza panoramica, prevista per il prossimo anno. A coadiuvare le food hall, Simon Anderson, chef ideatore del celebre regno del barbecue Pitt Cue, con la supervisione di Pratt.

L'offerta

La formula è semplice: aspetto da mercato di street food, ma offerta da vero ristorante, con posate in acciaio, bicchieri di vetro e pietanze prelibate cucinate espresse, da consumare ai tanti tavoli sociali a disposizione. Terzo obiettivo, previsto per il prossimo inverno, Oxford Circus, con quello che promette di essere il più grande dei mercati del progetto, con venticinque ristoranti, quattro bar, stand di prodotti tipici, spazio eventi e una cucina per i laboratori. “Il punto di forza di questi mercati sarà la possibilità di offrire qualcosa per tutti. Parola d'ordine: qualità”. Così, sotto lo stesso tetto, si potranno assaggiare pizza, curry, hamburger vegani, panini, dolci, torte rustiche, “tutte le specialità che si trovano sparse per la città. Solo, in un'unica area”. Per puntare ancora una volta i riflettori sull'inarrestabile fermento gastronomico londinese, e la capacità imprenditoriale dei cittadini di creare spazi comuni all'insegna della condivisione, restituendo dignità ai locali ormai dismessi, e dando così linfa nuova all'intero quartiere.

www.markethalls.co.uk/

a cura di Michela Becchi

Anteprima Tre Bicchieri 2019. I migliori vini dell'Umbria

$
0
0

Le anticipazioni dei premiati dalla Guida Vini d'Italia 2019 del Gambero Rosso ci portano in Umbria.

 

Il numero record dei Tre Bicchieri nella piccola regione dell’Italia è un segnale forte. È bene però sottolineare tutto ciò che accade al di là dei premiati. I territori del vino che crescono non sono pochi: quelli più rinomati ci regalano grandi conferme, altri meno noti affermano la loro vocazione grazie a un buon numero di etichette da tenere sotto osservazione. Montefalco rimane la grande denominazione, che non possiamo ridurre al solo dal Sagrantino, dato che il Montefalco Rosso è ormai un grande vino quotidiano, di grande bevibilità e scorrevolezza, per tacere del Montefalco Bianco (dove al grechetto si sommano il trebbiano toscano e altre uve autorizzate) e del Montefalco Grechetto. La stessa varietà sta offrendo ottimi risultati anche e soprattutto nei Colli Martani e a Todi, dove s’impone anche il Trebbiano Spoletino, rivelazione recente.

L’Umbria bianca è oramai una realtà consolidata, soprattutto se si considera l’Orvietano, che sta compiendo passi da gigante per riaffermarsi come uno dei grandi comprensori bianchisti non solo regionali ma di tutta la Penisola. Tornando ai rossi, impossibile non citare i vini del Trasimeno, specie quelli ottenuti da gamay perugino (varietà appartenente alla famiglia del grenache) e il ciliegiolo a Narni: le ultime annate, grazie al lavoro impeccabile di alcuni vignaioli, ci regalano vini di estrema finezza, freschi e tipici nelle diverse espressioni varietali. Concludiamo con la doverosa citazione per Torgiano e i suoi vini da uve sangiovese che anche quest’anno ci offrono un’ottima versione di Vigna Monticchio, la 2013, la quattordicesima da Tre Bicchieri. A Montefalco le aziende premiate sono 4: Bellafonte, Caprai, Pardi col Sagrantino e Tenuta Castelbuono col Rosso. A questi aggiungiamo i due Trebbiano Spoletino di altre due realtà montefalchesi, Antonelli e Tabarrini. A Todi sono due i vini a eccellere, e ancora da uve grechetto: uno è il FiorFiore di Roccafiore, l’altro è I Rovi di Peppucci che conquista i suoi primi Tre Bicchieri. Nella zona di Orvieto, infine, tre vini già noti ai nostri lettori salgono sul gradino più alto del podio, il Bianco ’17 di Decugnano dei Barbi, il classicissimo Cervaro della Sala ’16 di Castello della Sala e un buonissimo Calcaia ’15 di Barberani, che testimonia la grande vocazione per i vini dolci ottenuti da muffa nobile di questo territorio.

 

Adarmando ’16 - Giampaolo Tabarrini

Cervaro della Sala ’16 - Castello della Sala

Fiorfiore ’16 - Roccafiore

Montefalco Rosso Ziggurat ’16 - Tenute Lunelli

Montefalco Sagrantino 25 Anni ’14 - Arnaldo Caprai

Montefalco Sagrantino Collenottolo ’14 - Tenuta Bellafonte

Montefalco Sagrantino Sacrantino ’14 - F.lli Pardi

Orvieto Cl. Sup. Il Bianco ’17 - Decugnano dei Barbi

Orvieto Muffa Nobile Calcaia ’15 - Barberani

Spoleto Trebbiano Spoletino Anteprima Tonda ’16 - Antonelli - San Marco

Todi Grechetto I Rovi ’16 - Cantina Peppucci

Torgiano Rosso Rubesco V. Monticchio Ris. ’13 - Lungarotti

 

 

 

 

Continua il rinascimento della pasta a New York. Apre il nuovo ristorante di Missy Robbins

$
0
0

Il terreno newyorkese non è mai stato così fertile per nuove incursioni made in Italy, che passano dal prestigio dei nostri maestri pizzaioli alla riscoperta della pasta fresca, protagonista di tante interpretazioni locali. L'ultimo arrivato è Misi di Missy Robbins: ecco la storia. 

 

La pasta-mania negli Stati Uniti

Ricapitolare le tante aperture di stampo italiano nella Grande Mela inizia a diventare un'impresa ardua. Dopo la rivoluzione dell'autentica pizza made in Italy, quella di Gino SorbilloStefano CallegariAngelo IezziGabriele Bonci, dapprima a Chicago e presto a Miami, ora New York è il regno della pasta artigianale. C'è stato il Pasta Flyer di Mark Ladner nella primavera del 2017, un nuovo format improntato alla ristorazione veloce, e soprattutto un nuovo tentativo di impresa italiana in cerca di gloria negli States. E poi Nonna Beppa, insegna di ispirazione emiliana inaugurata la scorsa estate in Hudson Street, ma presente sul territorio americano, più precisamente a Miami Beach, già dal 2014, con la regia della sfoglina Martha Salamanca e la supervisione dello chef Giancarlo Cacciatori e la moglie Valentina Imbrenda. Senza dimenticare La Pecora Bianca di Mark Barak, insegna che ha esordito tre anni fa a Manhattan, restituendo dignità alla cucina popolare, che nell'autunno 2017 ha raddoppiato con un secondo spazio a Midtown, ricalcando la formula consolidata, e che per il 2019 ha intenzione di aprire un terzo punto a Bryant Park, dedicato alla cultura della Costiera Amalfitana, con un'offerta tutta incentrata sui primi piatti. Last but not least, la serie di trattorie italo-americane create dal genio di Danny Meyer, ulteriore traduzione statunitense della cultura culinaria tricolore.

Missy Robbins e la pasta fresca

In questa fitta rete di piccole e medie imprese, si inserisce ora un nuova arrivata, che ancora una volta punta tutto sul piatto simbolo della Penisola: la pasta. E non una qualunque: quella preparata con maestria da Missy Robbins, ideatrice del format di successo Lilia, aperto nel 2016 dopo una serie di esperienze di livello in Italia, dove ha appreso l'arte della pasta fatta in casa, ma soprattutto lo spirito e la cultura del mangiar bene. Un'avventura, quella di Lilia, intrapresa a quattro mani con il partner Sean Feeney, una realtà dal successo immediato, tanto da raddoppiare poco dopo con un secondo locale a Williamsburg, eclettico e vivace quartiere newyorkese. Lo stesso che da qualche settimana ospita Misi, ultima follia targata Robbins che non ha tardato a raccogliere l'entusiasmo del pubblico. Sarà per la golosità dei formati ripieni, come i tortellini con spinaci e mascarpone, per la piacevole ruvidità delle linguine e tagliatelle, oppure per il fascino che la preparazione degli impasti, in scena proprio su strada grazie alla cucina a vista, riesce a esercitare sui passanti più golosi, ma dove c'è il nome di Missy Robbins, il successo è garantito.

 

Missy Robbins

La cucina a vista

Le persone amano guardare gli altri al lavoro”, ha dichiarato la chef a Eater. “Il numero di passanti che si fermano in strada a osservare lo staff è stupefacente”. È proprio questa stanza in vetro che consente di vedere le mani in pasta, perfettamente incorporata nel design del ristorante, il punto di forza del locale secondo la chef. Ma la Robbins non è l'unica in America ad aver colpito nel segno con questa idea: già SheWolf a Detroit, pastificio e tavola calda ispirato alla tradizione romana, e la trattoria Felix a Los Angeles si erano guadagnate la fiducia della clientela grazie alla dimostrazione pubblica dell'artigianalità italiana.

La stanza della pasta

Al di là della vista su strada, ciò che la chef voleva era avere uno spazio a parte per la preparazione delle sue specialità: “Il primo posto in cui ho lavorato in Italia aveva una stanza apposita per gli impasti. In questo modo, le cuoche avevano il loro spazio per lavorare in maniera serena e con maggiore concentrazione”. Fondamentale, dunque, è l'ambiente: “Quando ho visto la stanza in vetro, mi è sembrata perfetta come sala pasta. È stata una scelta nata in maniera spontanea”. Perché, come ha ricordato anche lo chef Evan Funke, “la pasta è un po' come un animale, come il pane: può essere altamente influenzata dall'ambiente circostante”.

Misi – New York - Kent Ave, 329 - www.misinewyork.com/

a cura di Michela Becchi

 

10 anni di Sherbeth Festival. E Palermo diventa una perfetta fabbrica del gelato

$
0
0

Meno dolce, più sano, meno slegato più ricercato. In quale direzione si muove il gelato artigianale? Facciamo il punto dal Festival di Palermo che ha dedicato ampio spazio anche al gelato gastronomico. E dove è stato presentato il gusto mediterraneo dell'integrazione

Un po' di storia

Palermo capitale della cultura italiana 2018, ma anche capitale del gelato.Si è svolta, infatti, nel capoluogo siciliano la decima edizione di Sherbeth, il festival internazionale del gelato artigianale (27-30 settembre). Proprio in quella stessa città, crocevia di culture, dove tutto è iniziato. Il gelato è, infatti, la massima espressione di quello che l'integrazione, anche gastronomica, è stata in grado di produrre. Radici arabe, scuola siciliana, divulgazione francese. La storia sembra curiosamente – e anche un po' beffardamente - ripetersi, ma senza niente togliere alla paternità italiana della miscela più golosa di sempre. È, infatti, universalmente riconosciuto che ad esportare questo sherbeth (sorbetto) in Francia fu il cuoco siciliano Francesco Procopio dei Coltelli, che a Parigi aprì il suo Café Procope, ottenendo la patente reale (una sorta di esclusiva sulla preparazione) direttamente da Luigi XIV. E proprio a questo primo ambasciatore del gelato nel mondo, lo Sherbeth Festival ha voluto rendere omaggio in questa edizione numero dieci.

La X edizione dello Sherbeth

Un'edizione particolarmente ricca che ha trasformato il centro storico di Palermo in un piccolo villaggio del gusto, lungo l’asse cittadino tra via Maqueda e corso Vittorio Emanuele, con quasi 20mila kg di gelato serviti ad un pubblico venuto da ogni dove, che ha così potuto fare il giro del mondo in 50 gusti. Gusti provenienti dal laboratorio, posto al centro della città, dove gelatieri e aiutanti hanno lavorato no stop per tutti i 4 giorni del Festival per poter “sfornare” (si fa per dire) centinaia di migliaia di gelati.

Ricorda la prima volta nel 2007 il direttore dello Sherbeth Festival Antonio Cappadonia, maestro gelatiere di Cerda, fresco di nuova apertura anche a Palermo (a breve è prevista anche una seconda insegna in città): “Alla prima edizione” ricorda“eravamo solo 12 gelatieri tutti siciliani. Oggi siamo 50 non solo da tutta Italia ma anche da fuori dei confini nazionali”. Sono, infatti, tanti i gelatieri che sono arrivati in quel di Palermo, percorrendo complessivamente 122.108 km. Il più distante? Alfonso Jarero (gelateria Ozio) da Città del Messico che ha proposto il gelato “camino por las nubes” a base di burro e frutto della passione.

Insieme a lui anche altri colleghi dai diversi continenti, come ricorda la co-direttrice del Festival Giovanna Musumeci (Santo Musumeci di Randazzo): “Quest'anno abbiamo avuto gelatieri dal Brasile, dalla Bolivia, dagli Stati Uniti, dal Giappone, solo per citarne alcuni. Sherbeth è ormai la manifestazione a cui il mondo della gelateria guarda e a cui viene. È una fucina di idee dove si incontrano culture diverse”.

Traccia un bilancio di questa edizione appena conclusa anche il direttore tecnico Arnaldo Conforto (gelateria Artigiani del Gusto di Sorio - Vicenza):“Spesso ci si dimentica” spiega lui, che è anche docente di chimica e fisica del gelato “che parliamo di un alimento fatto di proteine, acqua, sali minerali e che ogni ingrediente va dosato perfettamente. Qui allo Sherbeth, quest'anno, ho assaggiato gelati sempre più armonici, nonostante l'intensità dei gusti. Quindi: non troppo freddi, non troppo unti, non troppo separati e non troppo dolci. In materia di zucchero siamo sulla buona strada, con una percentuale utilizzata che è scesa dal 21% al 17%, in linea con le direttive della Commissione Salute della Comunità europea. Anche in virtù di questi elementi, posso dire che è stata un'edizione del Festival molto gratificante e che in generale il mondo della gelateria artigianale si sta muovendo bene”.

I vincitori

Sherbeth non è solo degustazione, ma anche concorso. Così, dei 50 partecipanti, il premio finale è andato a Fabio Solighetto (gelateria L’albero dei Gelati di Seregno - Monza) che ha vinto la decima edizione del Festival con un gusto a base di ricotta di bufala, grappa capovilla prunus aurum invecchiata 15 anni e pepe penja. Medaglia d'argento per Laura Mesa Franco (Gelateria Ottimo a Cruz della Sierra in Bolivia), con il gusto Dulce Arequipe, molto simile alla nostra crema spalmabile alla nocciola. Terzo posto per Rosario Leone D’Angelo della Sikè Gelato di Milazzo (Messina) per le sue granite al caffè e alla massa di cacao. A scegliere i loro gelati la giuria presieduta dal tecnologo alimentare Franco Bray, con il giornalista di R Food Luca Iaccarino e, per la prima volta, un gelatiere: Gianfrancesco Cutelli. Al tavolo delle valutazioni anche i due maestri giapponesi Taizo Shibano e Satoshi Takada, vincitori della passata edizione di Sherbeth.

Premiato, infine, anche lo chef Gaetano Sgroi, executive chef Opera Hotel a Kiev in Ucraina, “per avere promosso e valorizzato il gelato italiano artigianale nel mondo”.

Quote rosa

Diversi, nel corso della quattro giorni, i momenti dedicati alla riflessione. Una su tutti: fare gelato è ancora un mestiere prettamente maschile? A giudicare dalla presenza femminile allo Sherbeth qualcosa sta iniziando a cambiare. Hanno, infatti, risposto all'appello 10 donne su 50 partecipanti. Una quota ancora da modesta, ma delle dieci edizioni precedenti è senz'altro la percentuale migliore. Di questo e del famoso “soffitto di cristallo” si è parlato all'incontro “Storie di donne e gelato”, dove sono state presentate le storie di Simona Carmagnola (Pavé di Milano), la più giovane gelatiera in gara con i suoi 33 anni; di Barbara Bettera (gelateria Il gelato di Barbara di Rivolta d'Adda - Cremona) che si divide tra la passione per il gelato e il lavoro di avvocato; di Estelle Konan: originaria della Costa d’Avorio, è stata la prima donna presidente di una cooperativa che si occupa della coltivazione in biologico del cacao. “Nel mondo del cacao c’erano solo uomini al comando” ha raccontato Estelle “le donne lavoravano nelle retrovie. Io, che mi ero specializzata in finanza e amministrazione, quando ho preso il timone della cooperativa, ho dovuto superare la diffidenza di 35 soci, tutti uomini e più grandi di me. Oggi il nostro cacao, coltivato in biologico, nel rispetto dell’ambiente e dei lavoratori, è conosciuto in tutto il mondo. Perché lo dico sempre, non esiste un lavoro da uomini o un lavoro da donna: esiste il lavoro e basta. E la voglia di aiutarsi l’un l’altro per competere nei mercati”.

 

I gelati dell'integrazione

La forte vocazione sociale dello Sherbeth Festival è emersa anche da un'altra iniziativa: la creazione del cosiddetto gusto dell'integrazione. Un lavoro a quattro mani, nato dalla collaborazione dei gelatieri Antonio Cappadonia e Arnoldo Conforto. “Per i dieci anni dello Sherbeth” ha detto il direttore Cappadonia “volevamo lanciare un forte messaggio sociale. Spesso in questa società dell'opulenza ci si dimentica delle cose semplici, così abbiamo scelto tutte materie povere, presenti nell'area del Mediterraneo, più volte, purtroppo, agli onori delle cronache per le tragedie che si consumano: pale e bucce di fico d'india e datteri. Un gusto che, a partire dagli ingredienti, vuole essere simbolo di unione tra i popoli”.

Dal punto di vista tecnico” ha spiegato Conforto “abbiamo pensato a un crema non aggressiva, a cui aggiungere la pala di fico d'india che, grazie alla sua viscosità, trattiene molto l'acqua. Si tenga presente che noi gelatieri abbiamo sempre bisogno di sostanze colloidi per poter fare a meno di usare altri collanti. Infine, i datteri che contengono il 70% tra fibre e carboidrati e sono ipoglicemizzanti, ovvero rallentano l'assorbimento di zuccheri”.

Ha il sapore dell’integrazione anche un altro gelato creato per l’occasione dal maestro gelatiere Gianfrancesco Cutelli (gelateria de' Coltelli di Pisa),al gusto di baobab - in bocca molto simile al lime -  e zenzero, presentato insieme ai consiglieri della consulta delle Culture, Nadie Abadia (anche responsabile comunità tunisina) e Alamin Md. “Oltre all'intento sociale” ha spiegato Cutelli “quello al babobab è un gelato che fa bene anche alla salute, grazie alle sue proprietà antiossidanti e che in Africa - dove la pianta si trova a costo zero - viene utilizzato anche per problemi di dissenteria”. 

Tendenze in corso

La decima edizione di Sherbeth si è, quindi, rivelata anche una piazza privilegiata per individuare le nuove tendenze in corso: dall'esigenza di ricerca di materie prime di qualità alla voglia di sperimentare e mettersi in gioco, fino alla scelta di interpretare il gelato anche in direzione salutistica.

Perfetta sintesi di questi tre elementi è il gelato di Cutelli, vincitore morale dello Sherbeth che però - presente in giuria del concorso – ha deciso di non prendere parte alla competizione. Il maestro di origini siciliane (discendente di quello stesso Procopio de' Coltellli di cui sopra) ha presentato il gusto “olivello spinoso”: la bacca di una pianta di rovo proveniente dai Paesi del Nord e oggi impiantata anche in Toscana da un ricercatore svizzero. “Mi sono imbattuto in questa bacca in un centro benessere” ci ha detto “e incuriosito dalla sue proprietà terapeutiche ho provato a metterlo sotto forma di gelato”. Il risultato? Un gusto aromatico, con interessanti note acide agrumate che ricordano il frutto della passione. Il tutto completato da un tocco di menta che lascia la bocca fresca e balsamica.

 

Il gelato gastronomico

Ma c'è anche un'altra tendenza che, nata qualche anno fa, sembra ormai inarrestabile: la sinergia tra settori differenti. Il gelato, in particolare, che lascia il suo banco per incontrare la ristorazione e diventare propriamente gastronomico o per andare a miscelarsi con il mondo per eccellenza della miscelazione e diventare alcolico. Di entrambe le tendenze si è parlato a Palermo.

“Piazza Gelata” è stato il cooking show, in cui lo chef Tony Lo Coco (I Pupi di Bagheria) ha servito la sua pizza gourmet - “astratto” di pomodoro, sfoglie di mandorle tostate piccanti di Noto, tonno trafilato – in abbinamento al gelato alla bottarga e colatura di alici dei gelatieri Ida di Biaggio (della gelateria Novecento di Pescara e anche presidentessa dell'associazione nazionale Conpait Gelato) e Antonio Mezzalira (gelateria Golosi di Natura di Gazzo Padovano).

Un incontro ardito sicuramente, quello tra la pizza e il gelato, ma non di certo una moda del momento, come ricorda Lo Coco, che nel suo ristorante già da tempo propone, con grande seguito, il gelato ai ricci di mare: “Il gelato gastronomico è un elemento straordinario in quei piatti che hanno bisogno di freschezza. Un vero e proprio gioco di temperature per interrompere la monotonia del piatto”.

Il gelato alcolico

E il gioco è anche la chiave di lettura che accompagna il gelato alcolico, una via ormai sempre più praticata da barman e gelatieri. Così come ricorda la gelatiera Ida di Biaggio, che allo Sherbeth è stata protagonista del cooking show dedicato all'incontro tra cocktail e sorbetto: “Nel mio locale, avendo sia la parte gelateria sia quella cocktail, mi diverto da sempre a sperimentare. È anche un modo per far nascere nuove sinergie tra settori diversi e sdoganare le modalità di consumo classiche”. E il riscontro è stato subito positivo.È piaciuto, infatti, al pubblico dello Sherbeth il suo sorbetto (creato insieme al maestro Cutelli), estratto a partire dal cocktail proposto dalla Bottiglieria del Massimo: agrumi, passito di pantelleria, brandy e malvasia.

Un elisir che racconta i profumi della Sicilia, ma anche e soprattutto la voglia del gelato di prendersi nuovi spazi e affermarsi come prodotto italiano di eccellenza: gourmet, sperimentale, a tutto pasto e perché no, anche simbolo di integrazione.

 

a cura di Loredana Sottile

 

 

Premiare l'Eccellenza. Al via al bando degli Ambasciatori del Gusto per le imprese agroalimentari

$
0
0

L'Associazione degli ambasciatori del gusto ha lavorato sodo negli ultimi due anni, tanto da guadagnarsi un premio di 10mila euro. Che verrà messo a disposizione delle piccole imprese dell'agroalimentare italiano, attraverso un bando aperto fino al prossimo 16 novembre. 

 

L'Associazione

Nessun individualità, niente egocentrismi: per sviluppare insieme al meglio tutto il potenziale del comparto gastronomico italiano, gli chef della Penisola si sono alleati, lavorando fianco a fianco per ottenere grandi risultati. Tutto ha inizio a fine luglio 2015, con la presentazione del Food Act, un piano di azioni in 10 punti pensato per la valorizzazione della cucina italiana. “Un patto tra le Istituzioni e il mondo della cucina di qualità. Un'azione di squadra, di sistema per lavorare meglio sulla valorizzazione del Made in Italy”, come lo aveva definito l'ex Ministro Maurizio Martina. Una realtà senza scopo di lucro che si è fortificata durante Expo2015, e che il 12 ottobre 2016 ha dato vita a una vera associazione, con notaio, presidente e vicepresidente, soci onorari e il resto, sotto l'occhio attento di Martina. Si chiama Associazione Italiana Ambasciatori del Gusto e si impegna a rappresentare il meglio del settore in ogni suo aspetto: dalla terra alla tavola, dal grande ristorante al bar, passando per pizzerie, gelaterie, riuniti sotto lo slogan “L'eccellenza fa la forza”.

Il riconoscimento

La forza degli ambasciatori è stata riconosciuta anche dall'Accademia Italiana della Cucina, con il premio “Orio Vergani”, a testimonianza dell'intensa attività svolta nel tempo. Un riconoscimento dal doppio valore, perché l'Associazione ha scelto di mettere a disposizione il premio di 10mila euro per una microimpresa della filiera agroalimentare specializzata in produzioni di alta qualità che evidenzino il ruolo della tipicità territoriale, oppure una realtà specializzata in servizi destinati al canale della ristorazione italiana. Oltre al compenso economico, verrà fornita all'azienda vincitrice anche una consulenza di progetto da parte di due tutor dell'associazione.

Il bando

Nasce così il bando Premiare l'Eccellenza, in collaborazione con l'Accademia Italiana della Cucina. L'obiettivo? Coniugare due esigenze specifiche. Innanzitutto, i bisogni dei piccoli produttori di nicchia che trovano maggiori difficoltà nello sviluppo dei canali di distribuzione e promozione, e poi quelli degli chef e ristoratori che hanno sempre più bisogno di interlocutori in grado di soddisfare i loro alti standard qualitativi. Chi volesse partecipare, può presentare il progetto compilando una scheda di ammissione valida per la preselezione, dimostrando di avere i requisiti necessari e descrivendo nei dettagli l'azienda e l'offerta. Per iscriversi, è necessario essere un'azienda composta da meno di 10 persone e con un fatturato annuo non superiore ai 2 milioni di euro (questo si intende per “microimpresa”).

La giuria

Ad analizzare le iscrizioni, una giuria composta da cinque membri, incluso il presidente Cristina Bowerman: quattro indicati dall'Associazione e uno scelto dall'Accademia. I giudici esamineranno la struttura dell'azienda e il progetto presentato da ogni realtà, con il programma che si intende sviluppare per consolidare il proprio prodotto o servizio. Dopo la prima fase di scrematura, solo un 30% massimo delle domande ricevute accederà al secondo passaggio, in cui la giuria potrà richiedere interviste con le aziende selezionate e ulteriori approfondimenti. Infine, verrà decretato il vincitore del bando, che potrà usufruire dei 10mila euro messi a disposizione e della consulenza gratuita per lo sviluppo del proprio progetto.

Le iscrizioni rimarranno aperte fino al 16 novembre. Per iscriversi: www.ambasciatoridelgusto.it/progetti/bando/

a cura di Michela Becchi

Consumi di vino a Napoli. Cosa si beve in città? Indagine sui piccoli distributori

$
0
0

Come si beve a Milano Roma, Firenze, Torino, Bologna, Napoli? Proviamo a rispondere attraverso i feedback dei piccoli distributori di vino e degli agenti diretti dei produttori nelle città.

 

Quali sono le caratteristiche della clientela nelle diverse città? Abbiamo cercato di trovare pregi, ma anche difetti, dei vari clienti in base alla città d'appartenenza. E poi abbiamo cercato di capire su quali basi vengono scelti i vini dai ristoratori o albergatori. Insomma, ci siamo infilati nel dietro le quinte del grande mondo del vino, e ne è emerso un quadro interessante. Lo abbiamo messo nero su bianco noi, ma l'opera è principalmente di chi, il vino, lo vende e lo distribuisce.

La differenza tra Napoli e provincia

Giuseppe Cimmello, 77 anni, da oltre cinquanta lavora nel settore del vino come agente di commercio per conto di aziende vinicole. Un'esperienza, la sua, utile per capire come è cambiato negli anni il consumo di vino a Napoli e provincia. “Prima di tutto bisogna fare un distinguo tra Napoli città e la sua provincia, una differenza netta data dalla quantità di pizzerie presenti nella prima e il numero di ristoranti blasonati che ci sono, per esempio, a Capri e in Costiera Sorrentina. Certo, ora la pizza è sulla bocca di tutti, ma rimane pur sempre un prodotto popolare che il napoletano medio accompagna con la birra, e dunque a Napoli si bevono vini più economici, con una prevalenza dei campani come il Falanghina, il Greco di tufo o il Fiano. Per intenderci, il napoletano è disposto a spendere anche mille euro di pesce, ma se per un Falanghina deve spendere più di sette euro, storce il naso”. Discorso diverso se si va fuori Napoli: “Se io propongo a Capri dei vini campani, si mettono quasi a ridere! Vogliono vini francesi, come il Borgogna o lo Champagne, questo perché c'è una grossa fetta di turisti stranieri, che vengono in Italia sapendo sei, sette nomi di vini italiani, quelli campani gli sono quasi sconosciuti. E i ristoratori o gli albergatori, ordinano di conseguenza  vini di altre regioni o nazioni, e quindi più cari.

Alcuni ristoranti hanno cambiato il modo di percepire il vino

Per questa fascia di alto spendenti poco importa spendere più di vino che di cena, dunque il ristoratore deve proporre vini che non si trovano in gdo. “Questo ha dato una spinta al settore, prima le aziende di vino non ci volevano proprio venire in Campania: dobbiamo ringraziare posti come il Don Alfonso o la Torre del Saracino, se è arrivato il vino di qualità anche qui. Ricordo ancora quando Alfonso (Iaccarino, ndr) mi guardò con aria grave e mi disse: 'Giusè, abbiamo sbagliato tutto'. Da lì cominciò a far ricerca, a creare una rete di produttori seri, come il buon Giacomo Bologna(colui che ha ridato vita alla Barbera d'Asti, ndr) che portò gli altri produttori in Georgia - “il vino è nato qui”, diceva – poi in Francia e in America per un corso di aggiornamento in loco”. Il vino di ricerca in Campania, dunque, è storia recente.

calici di vino rosato

Il boom dei rosati. È reale?

Tornando ai giorni nostri: è reale il boom dei rosati? “Direi di sì, certo in quei ristoranti dove si mangia quasi coi piedi nel mare e sulla sabbia spopolano, vanno soprattutto quelli della Provenza, lontani dai rosati duri e scuri”. Altro dato interessante, sempre sulla base dell'esperienza concreta di Giuseppe (attenzione: non sono dati scientifici), il consumo dei rosati “coi piedi sulla sabbia” è prerogativa dei giovani, “quel giro di persone che va ad Ibiza, a Mykonos o a Montecarlo! Oppure i turisti, che non entrano nelle statistiche (nell'intervista a Cataldi Madonna è emerso che in Italia solo il 6% della popolazione beve vini rosati), ma rappresentano un consumo reale . E il Prosecco, che ci dice del Prosecco: rappresenta un aiuto o un problema (in soldoni, fa diminuire il fatturato)? “Faccio una premessa: il Prosecco ha il grande merito di aver aperto il consumo delle bollicine in Italia, ma purtroppo non è riuscito a valorizzare i singoli brand. Mentre per il Franciacorta e il Trentodoc anche i turisti richiedono un brand piuttosto che un altro, quando si tratta del Prosecco domandano semplicemente “un prosecco”. Per il mio mestiere questo dato è penalizzante, perché nel momento in cui trovo un marchio a dieci euro, il mio cliente me lo rimpiazza non appena ne trova uno che costa meno”. Concorda con Giuseppe Gianluca Lo Sapio (specializzato in vini naturali con The Great Gig In The Wine): “In generale il Prosecco è un problema, noi abbiamo trovato il giusto compromesso nel lavoro di un produttore”.

Quali sono le regioni italiane che vanno meglio?

Entrambi mettono al primo posto la Campania, poi nei vini tradizionali ci sono i bianchi altoatesini e, distanziati, i friulani. “I pugliesi e gli abruzzesi relativamente poco – sentenzia Giuseppe -  Lazio zero, Umbria qualcosa. Toscana e Piemonte, invece, la fanno da padroni con i rossi”. E il Piemonte compare anche nella classifica di Gianluca, al quale abbiamo anche chiesto come sono cambiati i gusti dei consumatori negli anni: “Dall'uso della barrique si è passati all'anfora o al cemento o vetroresina, ora se non bevi naturale non sei nessuno!”. Dunque, al di là delle mode si beve meno, ma si beve meglio.

 

a cura di Annalisa Zordan

World’s 50 Best Bars 2018. I migliori cocktail bar del mondo in una lista

$
0
0

Si posiziona al numero 52 il Jerry Thomas Speakeasy di Roma, segnando l’uscita dell’Italia dalla classifica dei 50 migliori cocktail bar del mondo. Oro per il Dandelyan di Londra, fra le città con più riconoscimenti, ma sul podio sale anche il Manhattan di Singapore, che guadagna il terzo posto. 

 

Il premio

Dieci anni di World’s 50 Best Bars. Un anniversario di tutto rispetto, celebrato in grande sfarzo al The Roundhouse, ex edificio industriale di Chalk Farm, Londra. A presentare la lista che da dieci anni a questa parte fotografa il mondo della mixology internazionale, decretandone i rappresentanti più meritevoli, William Reed, dalla scorsa edizione alle prese con l’organizzazione del premio. Una cerimonia vissuta con speranza e molte aspettativi dai tanti partecipanti e addetti ai lavori, che fino all’ultimo secondo hanno seguito con interesse la presentazione della classifica. Perché in autunno c’è l’attesa per gli stellati, i forchettati, i protagonisti del panorama della ristorazione, ma l’offerta gastronomica di qualità sempre più spesso passa anche attraverso i bar di livello, dove è accompagna da cocktail e signature drink di livello.

Londra e New York ancora in testa. Segue Singapore

Un’edizione che, ancora una volta, segna il trionfo di Londra e New York, metropoli che contano ben 10 bar in lista ciascuna. L’istantanea offerta dalla 50 Best, però, mostra 36 diverse città del mondo, con un’evidente crescita dei Paesi Asiatici. Si danno il cambio rispetto i primi due classificati dello scorso anno: i londinesi Dandelyan, che sale in cima alla classifica e guadagna la medaglia d’oro, e l’American Bar, vincitore dell’edizione passata, che quest’anno si posiziona sul secondo gradino. Bronzo, invece, per il Manhattan di Singapore, che sale di ben 4 posti e si fregia del titolo di Miglior Bar dell’Asia. Al suo fianco nella top ten, l’Atlas, ancora una volta di Singapore, che scala di ben 7 posizioni, classificandosi ottavo.

I premi speciali

Certo, fra i primi 10 bar menzionati è comunque la capitale britannica a distinguersi, con un totale di 4 bar presenti, ma l’America dice la sua, con il The NoMad, nominato Miglior Bar del Nord America, e il Dante di New York al nono posto. Premio speciale anche per il bar che è riuscito a scavalcare più posizioni in lista: il titolo “Highest Climber” va ancora all’Asia, al Native di Singapore, che dal numero 34 passa sorprendentemente al 13. Non mancano le new entry, ma solo una è la migliore: The Old Man di Hong Kong, nome nuovo per la 50 Best Bar, che con un’entrata di scena a sorpresa si posiziona subito in decima posizione.

E l’Italia?

Si nota la mancanza dell’Italia, fino allo scorso anno ancora presente con il Jerry Thomas Speakeasy al 33esimo posto, ultimo italiano rimasto a mantenere alta la bandiera, dopo l’uscita di Dario Comini e il suo Nottingham Forest. Nella classifica complessiva, quella che va da 1 a 100, l’hidden bar capitolino ancora c’è, ma in posizione numero 52. Resta, comunque, l’unico cocktail bar della Penisola a dire la sua in questo complesso sistema internazionale, nonostante – lo ricordiamo – anche se più nascosta, l’Italia in questa classifica c’è ancora, anzi: non se ne è mai andata. È Enrico Gozato, infatti, a coadiuvare il miglior bar del mondo, il Dandeylan, mentre alla guida del Connaught Bar (5° classificato) c’è Agostino Perrone.

La classifica

1. Dandelyan – Londra

2. American Bar – Londra

3. Manhattan – Singapore

4. The NoMad – New York

5. Connaught Bar – Londra

6. Bar Termini – Londra

7. The Clumsies – Atene

8. Atlas – Singapore

9. Dante – New York

10. The Old Man – Hong Kong

***

50. Lost Lake – Chicago, USA

49. Bar Benfiddich – Tokyo, Japan

48. Buck and Breck – Berlin, Germany

47. Salmon Guru – Madrid, Spain

46. Swift – London, UK

45. Fifty Mils – Mexico City, Mexico

44. Trick Dog – San Francisco, USA

43. Schumann’s – Munich, Germany

42. Candelaria – Paris, France

41. BlackTail – New York, USA

40. Tommy’s – San Francisco, USA

39. El Copitas – St Petersburg, Russia

38. Indulge Experimental Bistro – Taipei, Taiwan

37. Paradiso – Barcelona, Spain

36. La Factoría – Old San Juan, Puerto Rico

35. Happiness Forgets – London, UK

34. 28 HongKong Street – Singapore

33. Little Red Door – Paris, France

32. Linje Tio – Stockholm, Sweden

31. Tales and Spirits – Amsterdam, Netherlands

30. Black Pearl – Melbourne, Australia

29. Three Sheets – London, UK

28. Scout – London, UK

27. Central Station – Beirut, Lebanon

26. Employees Only – New York, USA

25. Lost & Found – Nicosia, Cyprus

24. Le Syndicat – Paris, France

23. Operation Dagger – Singapore

22. Baba Au Rum – Athens, Greece

21. Sweet Liberty – Miami, USA

20. Speak Low – Shanghai, China

19. Himkok – Oslo, Norway

18. Coupette – London, UK

17. Oriole – London, UK

16. The Dead Rabbit – New York, USA

15. Attaboy – New York, USA

14. Florería Atlántico – Buenos Aires, Argentina

13. Native – Singapore

12. Bar High Five – Tokyo, Japan

11. Licorería Limantour – Mexico City, Mexico

 


Mangiare a Torino. Guida alle migliori 5 pizzerie

$
0
0

Continua a dimostrarsi sempre più gastronomicamente interessante, Torino, che fra un ristorante gourmet e una caffetteria di ricerca, lascia spazio anche alla pizza d'autore. Ecco dove assaggiare le migliori secondo la guida Pizzerie d'Italia. 

 

Un tempo, fino agli anni '60, la pizza a Torino era quella spessa, soffice dentro e croccante fuori. Era la pizza al padellino, recentemente tornata di moda grazie al fenomeno dello street food, un disco di pasta morbido e condito con tanti ingredienti diversi. Un vero pezzo di storia della cucina piemontese, che nel tempo ha lasciato spazio, però, anche a contaminazioni da altre regioni, Campania in primis. Oggi, nella città sabauda sono diverse le insegne valide per assaggiare una buona pizza: napoletana, romana o a degustazione che sia. Qui, l'elenco dei migliori indirizzi a Torino e provincia secondo la guida Pizzerie d'Italia 2019 (solo quelli segnalati con un minimo di 85 punti).

Patrick Ricci. Terra, Grani, Esplorazioni

Una storia insolita, quella di Patrick Ricci, iniziata per caso nel 2008 su richiesta di un amico che non riusciva a gestire da solo il locale, abbandonato poco dopo e lasciato completamente in mano a Patrick. Un lavoro intrapreso senza tante ambizioni e con poca voglia, ma che si è trasformato ben presto nell'amore di una vita: dopo un po' di esperienza e studio, il pizzaiolo rimane folgorato dal mondo dell'arte bianca. Tanto da proseguire il suo cammino con un'attenzione e una cura dei dettagli senza eguali, che non smettono di stupire. La sua è una pizza pensata dal primo all'ultimo ingrediente, a cominciare dai grani per finire con i prodotti del condimento. Fra le ultime novità, il progetto #controvento, con cui l'artigiano bandisce le posate per invitare i consumatori a gustare al meglio i sapori con le mani. E poi una nuova carta articolata e sempre più originale. Da non perdere la Pane & Patate, la King Crab, C'era una volta in America – squisita, con pulled pork, insalata di cavolo rosso, mela verde, finocchio, sesamo, salsa barbecue e crema di arachidi – e la Sapori Lontani, versione dessert con burro, mela cotta, scaglie di fondente, cannella e rum.

Patrick Ricci. Terra, Grani, Esplorazioni – San Mauro Torinese (TO) – www.pomodoroebasilico.org

Berberè

Nasce in un ex capannone industriale il locale di design che oggi ospita Berberè, la creatura di fama internazionale dei fratelli Aloe. Una firma che garantisce prodotti di qualità, basati su un impasto a lievitazione naturale di minimo 24 ore, realizzato con farine biologiche macinate a pietra e topping originali ed equilibrati. Due le tipologie di impasto fra cui scegliere: classico o al farro, mentre per il condimento ci si può sbizzarrire tra fiordilatte con scarola saltata, taleggio, olive nere e scorza di limone, oppure fiordilatte, pomodoro e basilico. Non solo pizza, però: l'insegna è anche il luogo perfetto per un aperitivo o una sosta veloce ma gustosa, grazie all'offerta ampia di cicchetti, come il crostino con 'nduja e baccalà mantecato con cipolla rossa e prezzemolo. Ottima anche la selezione di birre e vini.

Berberè – Torino – via Sestriere, 34 – www.berberepizza.it

Libery Pizza & Artigianaò Beer

Fabrizio Marzo (in arte Fiocco) ha alle spalle oltre 40 anni di lavoro, iniziato alla corte dei pizzaioli del Sud arrivati a Torino a partire dagli anni '70. Il suo regno è un locale curato e accogliente, ricercato ma dai toni decisi, proprio come la sua pizza. Un disco di pasta libero dalle briglie della moda e delle tendenze del momento, fondato sulla tradizione ma creato con l'estro di un vero artista. Il menu è stagionale, assortito, tutto giocato sui prodotti genuini e stagionali, quelli delle piccole aziende di nicchia (come quella di famiglia, L'Angolo di Sapori, da cui arrivano frutta e verdura). Specialità della casa è la Mary, con topping a sorpresa che varia a seconda della disponibilità degli ingredienti e soprattutto dalla fantasia del pizzaiolo, e poi la classica Margherita, uno dei migliori assaggi, perfetta nella sua essenzialità.

Libery Pizza & Artigianal Beer – Torino – via Legnano, 14 – www.libery.it

Sestogusto

Pugliese di nascita ma piemontese d'adozione, Massimiliano Prete è un vero fuoriclasse dell'arte bianca, un lievitista d'eccezione sempre più attento alla digeribilità degli impasti e la qualità delle materie prime. Non c'è da stupirsi, quindi, se il suo esordio in città era carico di attesa. Da bravo professionista, il maestro pizzaiolo è riuscito ancora una volta a dimostrarsi all'altezza delle aspettative e sorprendere di nuovo i buongustai piemontesi. Il locale in legno e mattoni è permeato da un'atmosfera calda e familiare, dove la filosofia di base resta immutata: sperimentazione continua e selezione ferrea dei prodotti. Tanti gli impasti disponibili, fra cui l'originale Pizz'otto, otto spicchi dall'inconfondibile effetto nuvola, e altrettanti i condimenti fra cui scegliere. C'è il Pizz'otto Acciuga, con pomodorini dell'Agro Nocerino Sarnese, burrata di Gioia del Colle, acciughe del Cantabrico e origano di Pantelleria, ma anche la Gusto Autentico (impasto ottenuto per idrolisi) con cime di rapa, fiordilatte, salsiccia di Bra e ricotta salata.

Sestogusto – Torino – via G. Mazzini, 31 a – www.gustomadre.it

Starita

Prima Milano, poi New York, e infine anche Torino. La scorsa primavera Antonio Starita ha segnato il terzo goal con una pizzeria su due piani arredata in stile contemporaneo, proprio nel cuore del capoluogo piemontese. Certo, di strada, dal rione Materdei di Napoli dove ancora oggi risiede l'insegna di famiglia datata 1901, il pizzaiolo ne ha fatta molta, ma la sua concezione di arte bianca non è cambiata. Nonostante il percorso costellato di successi, lui è rimasto legato alla tradizione partenopea: niente prenotazioni, quindi, una scelta che può spesso generare code lunghe e discrete attese, che saranno però ripagate dalla qualità del prodotto. Qui si va dalle classiche Margherita, Marinara e Diavola, alla Napoletana S.T.G., con pomodoro San Marzano e bocconcini di bufala, oppure ancora la pizza del Papa, con crema di zucca, provola, peperoni, fiori di zucca, zucchine e basilico. È d'obbligo anche un assaggio delle fritte e delle stagionali, senza dimenticare la pizza dessert.

Starita – Torino – via XX Settembre, 36 – www.pizzeriastarita.it

a cura di Michela Becchi

Pizzerie d'Italia 2019 – pp. 395 – Euro 8,90 – La guida è acquistabile in edicola, libreria e online

Guida Pizzerie d'Italia 2019 del Gambero Rosso: è arrivato il tempo dei voti

Mangiare a Verona. Guida alle migliori 8 pizzerie 

Tastemotion – The ultimate dining experience. Quando la cena è parte del viaggio

$
0
0

Una cena evento organizzata per presentare la regione di Girona mediante una evento multisensoriale che trasporta gli ospiti in un viaggio di grande spettacolo.

 

Ci si sente come negli studios a Hollywood o come in una sofisticata science fiction d'animazione, a sedersi a tavola per Tastemotion, la cena evento itinerante che promette di portare gli ospiti in un viaggio multisensoriale alla scoperta dell'area di Girona e della Costa Brava in Spagna. Un'esperienza inconsueta, che abbiamo sperimentato. Anche per capire come cibo e gastronomia sono usati per promuovere un territorio. L’attesa che precede il momento è già tensione, mistero e curiosità, nelle chiacchiere davanti ai tendoni neri, sipario della scena che ci vedrà protagonisti. Può il cibo scatenare teatro, fiction, cene digital-sensoriali?

La scena

La stanza è buia, illuminato solo il grande tavolo quadrato con 24 postazioni - 6 per lato - ognuna segnata da uno scatolino quadrato. Si prende posto mentre immagini proiettate in mapping alle pareti e la colonna sonora, fanno il resto. Sembra di star dentro a un documentario in 3D di Piero Angela, un docufilm di National Geographic, con riprese in volo di terre, colline e mari del miglior Amenàbar in piano sequenza (cfr la prima scena di Mare dentro). Tre minuti così possono abbattere al suolo in un sol colpo stuoli di puristi gastronomici, quelli che ‘il cibo è solo natura e basta’.

Da scettici del nuovo mondo seguiamo, impazienti di capire a cosa e dove prestare più attenzione: alla sceneggiatura e al progetto, o alle sinapsi gustative partite a embolo alle prime note della sigla.

Cinque sensi, cinque atti, cinque piatti e cinque vini è il mantra di Tastemotion: cinque scene gastronomico-digitali in sequenza, intervallate da un break spazio-tempo non virtuale, in cui procedere al rapido bilancio tra quanto di più bello abbiamo visto a tavola finora (e non parliamo delle tavolate tutte lucine e fiori postate dalle wedding planners su Instagram) e quanto di più buono le nostre papille abbiano mai avuto modo di apprezzare. Cinque le tovaglie da tavola (in proiezione digitale), cinque i piatti diversi per tatto, forma e materiale.

Atto zero

Lo scatolino segnaposto aspetta di essere aperto. La voce fuori campo scandisce tempi e istruzioni per procedere. Tanto scorretto, quanto irresistibile, aprirlo prima del via ufficiale. L’odore del rosmarino è forte, non si può non sbirciare. Il bon bon azzurrino, nascosto tra erbe aromatiche e fiori colorati sembra un ovetto di Pasqua. La ‘voce’ dice che l’amuse bouche custodisce vermut tradizionale catalano, alle erbe dell’Empurdà, aromatizzato all’arancia. Vivamente consigliato farlo scoppiare in bocca come un Mon Chéri.

Primo Atto. Natura, cultura, vino, cibo e prodotti locali

Si comincia con un promemoria sulla cultura della colazione spagnola, preferibilmente salata: chi non conosce il pan con tomate, pa amb tomaquet in catalano? Sul tavolo si materializza una tovaglia digitale a quadretti gialli e azzurri. Il piatto è servito in tre passaggi come a comporre un puzzle da tre cocci di una mattonella in terracotta. Sembrano levigati dal mare. Ogni coccio ha un suo tema: c’è l’acciuga, anxova, in tre versioni: filetto, lisca e paté. C’è il queso Manyac e il kit per il pan con tomate fai da te, completo di fialetta con l’olio evo. Liberi tutti di incrociarvi sopra a piacere, tre o più combinazioni. Il vino abbinato è Groc d’àmfora 2017, Vinyes d’Olivardots (dosare con cura se al mattino).

Secondo Atto. La Costa Brava

La tavola viene invasa di acqua di mare digitale e scorfani rossi virtuali che gironzolano sui fondali, prima di posizionarsi a scodinzolare di fronte a ogni commensale. Si intuisce che si comincia a far sul serio in tema di mare e dintorni. Al posto del pesce digitale arriva un piatto-scultura in ceramica della stessa forma dello scorfano sottostante, dentro c’è il suquet: Plancton con gamberi rossi marinati di Palamos, salsa picada e brodo di pesce. L’esperienza gustativa invade i cinque sensi, a metà tra una crema lussuriosa e l’odore di alto mare che tocca dal naso al cuore. Il vino che lo accompagna è un Amic 2017 di Clos d’Aragòn.

Terzo Atto. Quando la cucina è il paesaggio messo in pentola

Al terzo atto il tavolo si illumina di una tovaglia campagnola a quadretti bianchi e rossi, i sensi prefigurano sapori di terra. E invece arriva altro, ovvero quel che racconta di una pace fatta da secoli - alla tavola di pescatori e contadini - tra il meglio della carne e il meglio del pesce, cotti ognuno per sé e poi assemblati insieme da riso insaporito dalla miscela dei due. Salsiccette di maiale e filetti di rombo si accompagnano disinvolti contro ogni pregiudizio di sorta, per una degustazione che lascia spazio al silenzio e alla scoperta di ogni nuova sfumatura di sapore. Un sorso di Flow 2015 di Sota els Angels segna il passo.

Quarto Atto. Omaggio a Girona, alta cucina

Sembra un dolcino glassato al cioccolato, la cupoletta adagiata nel piatto bianco dai bordi a onde, come nel cratere di una collina in miniatura. La tovaglia digitale diventa psichedelica. Custodito lì sotto c’è lo stracotto di vitello di Girona, buono, intenso e delicato da far girar la testa. Intorno funghi e ratafià catalano, quello a 50 erbe. Da bere il Clos Adrien 2014 di Terra Remota. L’omaggio è alle stelle Michelin del territorio. Il distretto di Girona ne conta 19, con una densità procapite tra le più alte al mondo. Oltre l’immancabile Ferran Adrià, i fondatori dell’era stellata di Catalunya sono stati i tre fratelli Roca, Joan, Joseph e Jordi nel loro laboratorio di El Celler de Can Roca. Le nuove stelle sono allievi e studiosi di quella scuola.

Quinto Atto. La prova del dolce

Chi conosce la cultura gastronomica spagnola sa bene che la pasticceria non è il suo punto più forte salvo eccezioni, a fronte di una consolidata tradizione di piatti di qualità eccellente. Il quinto atto era un rischio. Il digitale si calma, la scenografia pure, il tavolo è bianco. Entra la mela. Mela di Girona al forno e Garnatxa Solera di Mas Llunes, un parente nobile del nostro marsala. La crema di mela, aromatizzata all’arancia, è in una capsula oblunga poggiata su una terra croccante. Il resto è gusto morbido, genuino e delicato. Al quinto atto, alta pasticceria.

Epilogo

La musica riprende in un pop-rock ritmato, volume a mille. Una squadra di 10 persone esce in fila da dietro le quinte. Come in un musical corrono, ballano, battono le mani e ridono. In testa al gruppo lui, el Quim Casellas, chef al Casamar di Llafranc. Energia contagiosa, sguardo limpido, radioso più della stella che porta. Ai cinque sensi aggiungere entusiasmo, passione e gioia di vivere. E magari un biglietto per il prossimo viaggio nelle terre di Catalunya, tra la gente di Costa Brava e i Pirenei di Girona.

 

costabrava.org

pirineugirona.org

 

a cura di Emilia Antonia De Vivo

 

20 anni di Gastronomika a San Sebastian. L'inizio delle rivoluzione e gli chef d'avanguardia oggi

$
0
0

Nel 1999 la manifestazione dava inizio alla stagione dei congressi gastronomici internazionali, concentrandosi sullo stato dell'arte della cucina d'autore. 20 anni dopo, al Kursaal di San Sebastian, nei Paesi Baschi, sul palco si avvicendano chef spagnoli e dal mondo per riflettere sul presente e il futuro della gastronomia. Per l'Italia c'è Matias Perdomo. 

 

Il ventesimo compleanno

Compie 20 anni il congresso gastronomico più longevo d'Europa (nel 1999 nasceva col nome di Lo mejor de la gastronomia, e molto avrebbe influenzato la nascita di manifestazioni analoghe in Europa e nel mondo), che apre le porte a San Sebastian dall'8 al 10 ottobre per un'edizione speciale, che rende omaggio ai protagonisti dell'avanguardia gastronomica delle ultime due decadi. Così sul palco di Gastronomika, per festeggiare un compleanno che molto racconta dell'evoluzione gastronomica su scala internazionale, si ritroveranno insieme, per una “ponencia” corale, Juan Mari Arzak (che riceverà il premio alla carriere, in quanto “simbolo della rivoluzione gastronomica” spagnola), Martín Berasategui, Pedro Subijana, Andoni Luis Aduriz, Hilario Arbelaitz, Eneko Atxa, Josean Alija, Joan Roca, Carme Ruscalleda, Quique Dacosta, Ángel León, Paco Pérez, Dani García, Nacho Manzano, Pedro e Marcos Morán. Ben rappresentata anche la nuova generazione spagnola, e pure la compagine internazionale, con Virgilio Martinez, Paul Pairet, Josè Andres, Yoshihiro Narisawa. Dall'Italia Matias Perdomo. Tutti insieme per celebrare el principio de la rivolucion, e i nuovi traguardi da raggiungere.

 

I temi

Proprio sull'evoluzione della cucina d'avanguardia verterà il dibattito che mette a confronto Quique Dacosta eJoan Roca con i giornalisti Josè Carlos Capel, Rafael Garcia Santos e Benjamin Lana: capire dove sta andando la ristorazione, quanto sia ancora possibile innovare e come evolva il gusto sembra essere un compito sempre più complesso da assolvere (la questione è stata sollevata di recente anche a Torino, in occasione dell'incontro presso la Nuvola Lavazza durante il Salone del Gusto). Ma sul palco si parlerà anche di sostenibilità – con Virgilio Martinez, Rodolfo Guzman, German Martitegui – territorio e storia della cucina, coordinate indispensabili per guardare al futuro della gastronomia. Lo dimostreranno Carme Ruscalleda, con la ponencia dedicata alla “memoria contemporanea” del territorio, e lo stesso Joan Roca, quando salirà sul palco da solo per intessere il legame tra microterritorio e macrocreatività; e poi il catalano Albert Raurich, o il duo (per un giorno) galiziano Pepe Solla e Javier Olleros, con gli spunti “ludici”per contribuire all'evoluzione della cucina tradizionale, e Ramon Freixa, sul palco al grido di “senza tradizione non esiste avanguardia”.

 

Il premio postumo a Bourdain

Ci sarà spazio anche per l'innovazione tecnologica – tra gli altri anche il team di ricerca del Basque Culinary Center – per la mixology, e un premio al giornalismo gastronomico che quest'anno spetta alla memoria di Anthony Bourdain, e sarà ritirato in ricordo del giornalista scomparso dallo chef Josè Andres, che con Bourdain aveva girato la primavera scorsa la puntata di Parts Unknown dedicata alle Asturie. Ma gli chef in arrivo da tutta la Spagna si cimenteranno anche con la cucina di strada, offrendo al pubblico una parata di tapas d'autore sotto il portico d'ingresso del Kursaal. E si cucinerà molto pure durante i workshop dedicati a prodotti e piatti locali, dal riso alla carne d'agnello, alle ostriche.

 

Gastronomika – San Sebastian – dall'8 al 10 ottobre - www.sansebastiangastronomika.com

 

a cura di Livia Montagnoli

Tre Bicchieri. Parla Filippo Antonelli dell'azienda Antonelli

$
0
0

Una zona famosa per i rossi, ma che anche sui vini bianchi sta dando grandissime soddisfazioni. È il Montefalco. Che oltre al sagrantino riserva nel bicchiere molte, buonissime sorprese.

 

Vero punto di riferimento per tutto il territorio di Montefalco, Antonelli si trova a San Marco, sorta di sottozona ideale per la coltivazione del sagrantino. La superficie agricola può contare su 175 ettari, di cui 50 coltivati a vigneto, 10 a uliveti, 40 di bosco e 50 di seminativi. Un corpo unico condotto secondo i dettami del biologico, sia nella produzione di olio che di vino, con una cantina di vinificazione moderna e da poco ampliata. Ma qui si respira aria di storia: diversi documenti altomedievali ricordano San Marco de Corticellis come coorteagricola longobarda, di proprietà dei duchi di Spoleto. Dal XIII al XIX secolo la tenuta appartenne al vescovado di Spoleto e la villa fu residenza estiva del vescovo. Nel 1881 la proprietà venne acquistata da Francesco Antonelli, avvocato di Spoleto, che avviò una radicale trasformazione degli impianti, trasformando la tenuta in un’azienda modello. Cambiamenti di una mente lungimirante che riteneva che fosse necessario modificare le condizioni della vita dei coloni “perché la sanità loro, la facilità e comodità di soddisfare alle esigenze domestiche, li rende più adatti e alacri nei lavori, e li affeziona al fondo…”. Per circa un secolo il vino prodotto venne venduto sfuso fino al 1979, quando Montefalco ottenne la Doc, e la cantina cominciò l’attività di imbottigliamento. Dal 1986 l’azienda è diretta da Filippo Antonelli, agronomo, e oggi presidente del Consorzio Tutela Vini di Montefalco. A lui spetta il merito di aver puntato non solo sulla produzione di vini rossi ma anche su varietà bianche e in particolare sul Trebbiano Spoletino Anteprima Tonda '16, meritato Tre Bicchieri, decantato da Filippo.

 

Da anni produci Montefalco Sagrantino in una zona altamente vocata. Come ci si sente a ottenere il Tre Bicchieri con un bianco come l'Anteprima Tonda?

Anteprima Tonda nasce come una sorta di sfida, produrre un bianco come se fosse un rosso. È un bianco macerato sulle bucce per 8 mesi in anfore di terracotta e ceramica. Se avessimo fatto maturare in vino in contenitori in acciaio non avremmo avuto gli stessi risultati: nell'acciaio dove non c'è nessuno scambio di ossigeno con l'esterno avremmo avuto l'inconveniente di ottenere nel vino dei cattivi odori generati dall'idrogeno solforato che si sviluppa in assenza di ossigeno.

 

Tonda è la vigna, da dove prende il nome Anteprima...

Le uve non provengono ancora da lì. Abbiamo impiantato il trebbiano quattro anni in questa vigna circolare che non è ancora produttiva. Confidiamo tra due anni di utilizzarne le uve, ma comunque staremo a vedere...

 

A partire dalla vendemmia 2012, dopo 3 anni di conversione, i vini Antonelli San Marco sono ufficialmente biologici. Come avete operato per ottenere la certificazione Valoritalia?

La cantina è stata ampliata di recente con una sala di fermentazione sotterranea su due livelli, che consente la vinificazione e la svinatura per gravità, cioè senza l’uso di pompe che danneggerebbero l’integrità delle bucce. Anche la bottaia e il locale per l’affinamento in bottiglia sono stati realizzati sotto il livello del terreno per garantire ai vini una temperatura sempre costante e per evitare sprechi di energia. Ma la scelta architettonica è stata fatta anche per evitare di costruire un edificio troppo impattante a livello paesaggistico. Inoltre la nostra scelta bio è di fare un vino più buono e in seconda battuta un vino più salutare. Il bio implica minori difese antiparassitarie in vigna e rende pertanto necessario esaltare i meccanismi di autodifesa delle viti. Ciò si ottiene effettuando, vigneto per vigneto, specifici interventi mirati a seconda delle varietà, dei terreni e del microclima, in modo da ottenere un equilibrio in ogni singola parcella.

 

Da quest'estate hai ottenuto la nomina di presidente del Consorzio Tutela Vini Montefalco. Quante sono le cantine presenti che partecipano alle diverse iniziative?

Il consorzio comprende circa 60 cantine su 70 totali all'interno della Doc Montefalco. È questo un consorzio che è riuscito a crescere molto negli anni grazie alle azioni di promozione attuate, e anche a un lavoro di collaborazione che ha permesso di eliminare dissidi interni per omologarci anche a livello di prezzi. Attualmente le bottiglie di Montefalco Sagrantino commercializzate sono 1.300.000, oltre 2.000.000 di Montefalco. Non dimentichiamo che la Doc Montefalco comprende non solo vini a base di uve rosse, ma anche bianche come il grechetto.

 

In quale mercato estero il Montefalco Sagrantino è conosciuto?

Ha riscosso grande successo nel mercato degli Stati Uniti. È qui che abbiamo puntato con azioni di promozione come Sagrantino and States dove abbiamo proposto dei possibili abbinamenti del vino con il cibo americano. La traversata è iniziata a Toronto, poi siamo stati a New York, San Francisco e abbiamo concluso il viaggio a Los Angeles. È bene farsi conoscere in America, perché è un grande mercato di riferimento anche per quello asiatico.

 

Quindi come opererà il Consorzio in futuro?

Continueremo a valorizzare e a promuove la Doc Montefalco sia negli Stati Uniti che in Europa. Mentre in Italia l'idea è di convincere la gente a degustare il Montefalco Sagrantino, che a livello di palato e di struttura è molto diverso da quello di vent'anni fa, ma anche di spiegare come Montefalco non sia solo Sagrantino, che è sì il punto di riferimento della denominazione, ma che comprende invece tante versioni.

 

Antonelli San Marco -Montefalco (PG) Località San Marco, 60 - +39.0742.379158 - antonellisanmarco.it

 

a cura di Stefania Annese

 

 

 

 

 

La nutrizione nella ristorazione d'eccellenza. Il corso di Gambero Rosso per imparare la cultura del benessere alimentare

$
0
0

Si rivolge agli operatori della ristorazione il corso che Gambero Rosso Academy promuove in collaborazione con l'ospedale Gemelli per fornire solide competenze nutrizionali e chi cucina per gli altri. Il programma e le regole d'ammissione. 

 

Il benessere a tavola

Di pietanze gourmet e tecniche di cucina all'avanguardia si parla sempre a proposito di quella ristorazione d'eccellenza che vuole mantenere il primato sulla scena gastronomica nazionale e internazionale. Ma la vera sfida della ristorazione moderna è legata alla necessità di conciliare le istanze gourmet con una rinnovata attenzione al benessere, alle materie prime che si usano in cucina, al bilanciamento dei piatti che arrivano in tavola. Ed è sempre maggiore il numero di chef e imprenditori della ristorazione che sposano l'obiettivo di mettere al servizio della salute le proprie conoscenze in materia gastronomica. Il corso – prossimo a partire - che il Gambero Rosso organizza in collaborazione con l'ospedale Gemelli è dedicato proprio a chi, operando nel mondo della ristorazione in ambito formativo o professionale, voglia approfondire una formazione in campo alimentare specificamente legata agli aspetti nutrizionali della materia.

 

La Nutrizione nella ristorazione d'eccellenza. Il corso

La Nutrizione nella ristorazione d'eccellenza, alla sua prima edizione, si protrarrà per 2 mesi: 60 ore complessive di formazione, di cui 40 in aula e 20 di attività tecnico-pratica e tirocinio. Con doppia sede all'Università Cattolica di Roma e presso la Gambero Rosso Academy alla Città del gusto di via Ottavio Gasparri nella Capitale. Sei i moduli da 10 ore ciascuno, che a partire dal 22 ottobre prossimo si terranno ogni lunedì e martedì, dalle 9 alle 14. Ma perché frequentare il corso? Saranno numerose le figure professionali del settore sanitario, gli addetti della ristorazione e i rappresentanti dell'industria alimentare chiamati a formare la classe sul valore soggettivo personale e l'utilità sociale dell'atto alimentare studiato come disciplina che non può prescindere dalla consapevolezza nutrizionale e dalla sicurezza alimentare. E su questo si concentreranno i diversi moduli del progetto che intende formare operatori della ristorazione preparati, che sappiano contribuire alla correzione delle malattie metaboliche dovute a una scorretta alimentazione; diversi gli approfondimenti di nutrizione clinica e scienza dell'alimentazione, ma anche moduli sulla merceologia, le malattie del metabolismo, l'igiene degli alimenti. E ancora le lezioni monografiche sulle diverse categorie di alimenti: cereali e legumi, frutta e verdura, carne, pesce, latticini e formaggi, olio e grassi, vino e bevande alcoliche. Possono partecipare un massimo di 25 partecipanti, previa presentazione del curriculum formativo e professionale entro il 12 ottobre 2018. La frequenza del corso – erogato al costo di 2.500 euro – è obbligatoria.

 

Qui il modulo per presentare domanda d'ammissione

Assaggi di storia al Rione Testaccio. L'evento per riscoprire la storia (e il futuro) della cucina romana

$
0
0

Una tavola rotonda per discutere su che cosa sia oggi la cucina romana, esplorando il suo passato, le contaminazioni e gli incontri con le altre culture. Tutto in un luogo, come il Rione Testaccio, da sempre a vocazione commerciale e gastronomica.

 

È il fulcro di “Assaggi di storia”, un evento che si terrà a Roma il 6 ottobre, tra visite guidate, momenti di riflessione e workshop, dentro e fuori il Mercato Testaccio.

Assaggi di storia. Il programma

Al Rione Testaccio tutto è pronto per la prima edizione di “Assaggi di storia”, una giornata intensa volta a favorire e sostenere il legame imprescindibile tra il patrimonio enogastronomico e il paesaggio culturale e ambientale del quartiere capitolino, da sempre a vocazione commerciale e gastronomica. A partire dal II secolo a.C. qui vennero infatti ospitati porti fluviali, magazzini per la conservazione e la distribuzione delle merci ed edifici commerciali. Alla fine dell’età tardo antica, poi, la zona divenne interamente agricola e produttiva con la presenza di vitigni e la lavorazione del grano. Un destino, quello di Testaccio, che ha segnato anche l' età medievale e che gli organizzatori Matteo Ventricelli e Marco Morello vogliono far rivivere al pubblico di oggi.

Si comincia dalla mattina con le visite guidate ai siti archeologici del Museo diffuso di Testaccio, a cura dell’Associazione CCPAS, per continuare, fino a mezzanotte, con musica, laboratori e lezioni (ma anche degustazioni) sulla cucina della Roma antica, tenute dall'archeologa del gusto Gabriella Cinelli. “Studiare antiche fonti e cucinare antiche ricette – spiega la Cinelli - è un viaggio nei secoli alla ricerca di tracce, contesti, concetti e pratiche culturali, memoria e identità. E tutto ciò si intreccia con idee di futuro, di viaggio, di contemporaneità e di interculture”. Parole (sante) che gettano le basi per la tavola rotonda organizzata alle 18.00 presso la sala convegni Renato Biagetti, dove a intervenire saranno archeologi, architetti e cuochi per riflettere tutti insieme sulla cucina romana, sui suoi prodotti e sapori, sulla sua storia, che si lega a doppio filo con l’archeologia, l’arte e l’architettura. L'obiettivo? “Gettare i semi per il futuro di un’alimentazione sempre più attenta all’autenticità, alla sostenibilità e al benessere”, affermano gli organizzatori. Un intento virtuoso già apprezzabile all'interno dell'“Archeomercato della Terra”, allestito per l'occasione dalla rete Slow Food alla Città dell’Altra Economia.

Mercato Testaccio di sera

Capire il futuro della cucina romana, comprendendone il passato

Un evento, dunque, che parte dal cibo e dai prodotti del territorio per arrivare a una riflessione ben più complessa e articolata, che analizza e riutilizza la storia della gastronomia per capire quale possa esserne il futuro (una tendenza che noi del Gambero Rosso abbiamo riscontrato in molti chef e abbiamo chiamato New Ancient Cuisine). Un processo utile per comprendere cosa siamo stati e dove stiamo andando. Tanto utile da ispirare chef, ma anche imprenditori della ristorazione, come per esempio David Ranucci (suoi tre ristoranti a Milano e uno a Miami) che sul tema ha scritto addirittura un libro dal titolo provocatorio: “La cucina romana non esiste”. “La cucina romana non esiste è certamente una provocazione – spiega David nel suo libro – ma ciò che ci si prefigge è solo ricostruire un po' della lunga storia, che è passata attraverso le contaminazioni e incontri con le altre culture e storie gastronomiche”. Un excursus storico che dimostra come si possa fare tradizione anche attraverso l'innovazione e la contaminazione. E questo è uno spunto ( e ritorniamo ad “Assaggi di storia”) per un auspicabile “Manifesto della cucina romana” che gli organizzatori Marco e Matteo sognano di stilare con cuochi e gastronomi romani, dimostrando l'importanza fondamentale della contaminazione in cucina, ma anche nella vita.

 

Assaggi di Storia – Roma (quartiere Testaccio) – 6 ottobre, dalle 10.00 alle 24.00 - mercatoditestaccio.it

 

a cura di Annalisa Zordan

 

Anteprima Tre Bicchieri 2019. I migliori vini dell'Emilia Romagna

$
0
0

Le anticipazioni dei premiati dalla Guida Vini d'Italia 2019 del Gambero Rosso ci portano in Emilia Romagna.

 

Qualcosa si muove nella zona più orientale dell’Emilia: dopo qualche anno di calma, infatti, sia dai Colli di Parma sia, soprattutto, da quelli Piacentini arrivano segnali incoraggianti. Il vitigno che può rappresentare il simbolo del rinascimento locale è la malvasia di Candia aromatica, interpretata principalmente nella versione secca e ferma: un vino capace di essere piacevole da giovane, ma che mostra anche insospettabili doti di longevità. Ancora da definire, invece, cosa vorrà fare il Gutturnio “da grande”. La coesistenza nella denominazione di vini giovani, invecchiati, fermi, frizzanti rischia di creare confusione.

Sui Colli Bolognesi, invece, il fenomeno Pignoletto sta oscurando le altre tipologie di vino storicamente prodotte in zona. Nel mezzo, le vaste terre del Lambrusco. Detto che l’annata 2017 è stata più favorevole alle coltivazioni di pianura rispetto a quelle di collina, che hanno maggiormente sofferto la siccità, è sempre il Sorbara – con ovvie, virtuose eccezioni soprattutto dalle parti di Reggio Emilia – a spiccare nelle nostre degustazioni. Il ritorno sempre più in voga del Metodo Ancestrale e la crescita quantitativa e qualitativa delle versioni Metodo Classico promettono sviluppi interessanti nel prossimo futuro. In Romagna si lavora sulle diverse sottozone. Sul Sangiovese il processo ha definito una mappa ben codificata nella Doc Romagna, dove spesso viene dunque riportata in etichetta la Menzione Geografica Aggiuntiva. E c’è da dire che molti vignaioli stanno lavorando proprio in questa direzione, ridefinendo l’idea stilistica cercando di declinarla sul piano territoriale. Lavoro non facile, per le tante aree geografiche e per l’incredibile eterogeneità delle aziende presenti, dalle grandi cooperative ai piccoli artigiani. Eppure la meta vale il viaggio. Mai come oggi si sono assaggiati vini così diversi, dovuti al mix tra idee produttive e caratteri di terroir differenti.

Ne diamo conto con i Tre Bicchieri, ovviamente, ma soprattutto con una griglia di realtà che giocano a definire la “Nuova Romagna” del vino. Sul fronte bianchista non accenna a smorzarsi il fenomeno Albana. Tante le interpretazioni di questa varietà classica, da quelle in sottrazione alle più ricche e materiche, passando per le versioni macerate sulle bucce. Il fenomeno è interessante ma il rischio di confusione è alto. E le eccellenze vere sono ancora poche.

 

Callas Malvasia ’15 - Monte delle Vigne

Colli di Rimini Cabernet Sauvignon Montepirolo ’15 - San Patrignano

Lambrusco di Sorbara del Fondatore ’17 - Cleto Chiarli Tenute Agricole

Lambrusco di Sorbara Leclisse ’17 - Alberto Paltrinieri

Lambrusco di Sorbara V. del Cristo ’17 - Cavicchioli

Reggiano Lambrusco Brut Cadelvento Rosé ’17 - Venturini Baldini

Reggiano Lambrusco Concerto ’17 - Ermete Medici & Figli

Romagna Albana Secco I Croppi ’17 - Celli

Romagna Sangiovese Modigliana I Probi di Papiano Ris. ’15 - Villa Papiano

Romagna Sangiovese Predappio Godenza ’16 - Noelia Ricci

Romagna Sangiovese Sup. Bartimeo ’16 - Stefano Berti

Romagna Sangiovese Sup. Biagio Antico ’16 - Ancarani

Romagna Sangiovese Sup. Predappio di Predappio V. del Generale Ris. ’15 - Fattoria Nicolucci

Romagna Sangiovese Sup. Sigismondo ’17 - Le Rocche Malatestiane

 

Partecipa alla Grande Degustazione Tre Bicchieri 2019

 

 


La pasta italiana in Umbria. 10 formati tipici e la ricetta degli strangozzi

$
0
0

Considerata il cuore verde d’Italia, l’Umbria ha fatto della sua solida tradizione contadina il punto di forza attorno al quale costruire un’identità culinaria verace, dai sapori intensi e sinceri. A cominciare dalla pasta fresca. Ecco quali sono i formati da assaggiare. 

 

Incastonata al centro dello Stivale, racchiusa fra colline e rilievi montuosi, distese di verde che lambiscono laghi e corsi d’acqua, l’Umbria ha dovuto fare leva sulle risorse del proprio territorio per formare una cucina che, nel tempo, è riuscita a rimanere invariata, autentica e senza fronzoli. Una tavola frutto dei prodotti della terra e delle lavorazioni più antiche, portate avanti con orgoglio dal popolo umbro, un’identità culinaria vivace che vive un rapporto di profondo rispetto con il territorio rurale circostante. Piatti che preservano la memoria del passato, l’anima contadina della regione che si percepisce in ogni ricetta della cosiddetta “cucina povera”, che in realtà nasconde un patrimonio ricchissimo. Legumi e pasta fresca acqua e farina, insieme alla tipica torta al testo, rappresentano l’emblema della tradizione gastronomica umbra. Pochi formati di pasta, quelli di sempre, ma tutti gustosi, caratterizzati dalla sfoglia spessa e ruvida.

 

bringoli

Bringoli

Diffusi anche in Toscana, i bringoli sono un classico piatto contadino della Val Tiberina, dove in passato venivano privilegiati impasti semplici e senza uova, che rappresentavano invece una preziosa merce di scambio. Si tratta di spaghettoni spessi e lunghi a base di acqua e farina (talvolta con aggiunta di mais), chiamati anche bringuilli a seconda delle zone.

Ciriole

Devono il nome al termine latino cereolus, diminutivo di cereus(candela), le ciriole, spaghetti dalle dimensioni piuttosto grandi e la forma irregolare, solitamente serviti con ragù di carne o sughi di verdure, ma anche carne di cavallo nella zona di San Gemini. La parola ciriola, in dialetto, si riferisce a una piccola anguilla sottile di colore bianco, chiamata così per la somiglianza con il cero.

 

pappardelle

Pappardelle

Sembra sia stata la Toscana a dare origine alle pappardelle, ma questo formato – in origine a base di acqua e semola, oggi disponibile anche nella versione all’uovo – è in realtà condiviso da molte regioni del Centro-Nord Italia. Regine indiscusse per il condimento, in questo caso, sono le salse più ricche e saporite, come i ragù di carne o i sughi di cacciagione, ideali per accompagnare la pasta golosa che, come sempre nella tradizione umbra, viene tagliata piuttosto erta. Le origini della ricetta sono avvolte nel mistero, ma quel che è certo è che si tratta di un piatto storico, già presente nel Trecento, come spiega Giovanni Frosini ne “Il cibo e i signori. La mensa dei Priori di Firenze nel quinto decennio del sec. XIV”.

Picchiettini

Bastoncini di pasta corta a sezione quadrata, chiamati anche manfricoli, un formato antico a base di pasta all’uovo. L’impasto viene steso non troppo sottilmente, piegato in due e arrotolato attorno al mattarello, per essere poi tagliato da entrambi i lati. In questo modo, si ottengono due strisce di strati di pasta sovrapposti, che possono aumentare o diminuire a seconda dei giri che la pasta ha fatto attorno al mattarello. Infine, si sovrappongono le due strisce e si tagliano in tanti piccoli pezzettini, da gustare in brodi o minestre, specialmente quelle di legumi.

 

sagne

Sagne

Fra i formati che più di tutti accomunano le regioni del Centro Italia, le sagne, pasta di origine abruzzese molto diffusa anche in Umbria, nell’alto Lazio e nelle Marche, con le dovute variazioni locali. Farina, acqua e uova sono alla base di queste strisce spesse e di varie dimensioni, così radicate nella tradizione locale da essere considerate, in passato, una sorta di medicina. A raccontarlo, Antonio de Magistris da Introdacqua della “Biografia del Beato Bernardino da Fontavignone” del 1794: “Sicché li medici ne facevano pessima stima di sua guarigione… mangiando le sagne fatte da sua moglie subito cominciò a migliorare e in pochi giorni restò perfettamente libero e sano che tutti ne restarono meravigliati”.

Strangozzi

Forse il formato più rappresentativo della regione, una pasta lunga di sezione rettangolare (ma guai a chiamarli spaghetti!), nata fra Foligno e Spoleto e divenuta poi simbolo della cucina dell’intero territorio. Un prodotto povero, ancora una volta una sfoglia acqua e farina molto spessa tagliata in strisce di circa 4 millimetri di larghezza e 30 centimetri di lunghezza, dalle forme irregolari e imprecise. Strangozzi a Terni, anguillette nel Lago Trasimeno: in qualsiasi caso, il nome fa riferimento alla forma della pasta che, nel primo caso, prende spunto dalle stringhe di cuoio delle scarpe. Secondo la leggenda, al tempo dello Stato Pontificio, le stringhe venivano utilizzate dagli anticlericali per strangolare i prelati: da qui deriva la convinzione molto diffusa che strangozzi e strozzapreti siano sinonimi. Ma i secondi - che analizzeremo a breve - sono in realtà molto diversi.

Strascinati

Con il termine “strascinato” in Italia si intendono tanti diversi tipi di pasta, tutti accomunati dalla pratica di “strascinare” con il dito l’impasto, per ottenere dei pezzi allungati e appiattiti. Non è facile rintracciare le origini della versione umbra, ma sono tanti i racconti popolari tramandati nel tempo che hanno cercato di definire la storia di questa specialità. Fra i più apprezzati, quello descritto in “Una Cronaca Umbra del XV secolo”: si narra che i fratelli Paolo e Camillo Vitelli, che nel 1494 invasero Monteleone per aiutare Carlo VIII, allora alle prese con la conquista del regno di Napoli, chiesero un giorno ristoro al Castello di Vetranola. Diffidando degli abitanti, che ritenevano “infidi”, decisero di farli tutti prigionieri. A cucinare furono le donne che, arrabbiate e offese, servirono loro un misero piatto di “penchi” – strisce di pasta acqua e farina – mal conditi. I Vitelli ordinarono allora che tutti i prigionieri venissero legati ai cavalli e “trascinati, fino alla morte, attorno al Castello”. Per convincerli a cambiare idea, una fantesca si offrì di modificare la ricetta, approfittando del momento propizio della sagra del suino che le permise di utilizzare guanciale, salsicce, uova e pecorino per preparare una salsa migliore. Da allora, questo formato antico venne chiamato strascinato, anche se il termine penchi è ancora in uso. Leggende a parte, in Umbria gli strascinati sono simili alle pappardelle, ma più stretti e irregolari, e vengono conditi con sughi ricchi.

 

strozzapreti

Strozzapreti

Antica pasta corta caratteristica dell’Italia Centrale, citata più volte nella letteratura romanesca, in particolar modo nei Sonetti di Gioachino Belli. Il nome allude alla proverbiale golosità dei preti, ma a consumare questa specialità in passato erano soprattutto le famiglie di contadini più umili. Si tratta, infatti, di un cibo “povero”, in genere abbinato a un sugo di fagioli, da sempre considerati “la carne dei poveri”.

 

passatelli

Passatelli

Come nel caso dell’Emilia Romagna, patria di questo prodotto, inseriamo i passatelli fra i formati di pasta tipici perché rappresentano uno dei primi piatti più consumati e apprezzati. Non propriamente una pasta, ma sicuramente un classico intramontabile delle giornate più fredde, un impasto di parmigiano, pangrattato, uova e spezie che viene fatto passare in un apposito attrezzo forato. In questo modo, si ottengono dei cilindretti lunghi, da cuocere in brodo.

 

Quadrucci

Quadrucci

Quadratini di pasta all’uovo perfetti per minestre, brodi e zuppe, comuni un po’ a tutte le regioni, ma in particolare a quelle del Centro Italia, Lazio e Umbria in primis. Alla base dell’impasto, farina, uova e alle volte un pizzico di noce moscata, anche se ne esistono diverse varianti, da quella integrale a quella con farina di farro. Questa piccola specialità nasce in realtà come pasta di recupero, ricavata dalla sfoglia avanzata dopo la preparazione delle fettuccine nei giorni di festa.

Umbricini

Umbricini o umbricelli, questi spaghettoni acqua e farina sono uno dei formati storici della regione, un tempo piatto tipico dei contadini e delle famiglie meno abbienti. Per realizzarli, si staccano dei pezzetti di impasto e si fanno rotolare fra le mani, fino a ottenere dei cordoncini piuttosto spessi, oggi conditi con ragù di carni, in passato insaporiti con sughi di verdure, a seconda della disponibilità dell’orto.

La ricetta: Strangozzi al tartufo nero di Max Mariola

 

a cura di Michela Becchi

Nasce a Visso il villaggio della Compagnia degli artigiani. La rinascita a 2 anni dal terremoto passa dal cibo

$
0
0

Due anni dopo il terremoto che ha distrutto il paese, Visso fa sistema intorno ai suoi artigiani, che ora hanno uno spazio per produrre e vendere le proprie specialità. Dietro c'è l'investimento di Loro Piana e una grande voglia di far ripartire l'economia locale.La vita dopo il terremoto

 

La vita dopo il terremoto

Viaggio nel Centro Italia colpito dal sisma che resiste. E torna alla vita, seppur lentamente, a partire dalla rinascita delle attività produttive che proprio dalle risorse di un territorio tanto martoriato traggono linfa, e forza per ricominciare. Ne abbiamo parlato, con Massimiliano Rella, sul numero di ottobre del nostro mensile, a due anni da quello sciame sismico che a più riprese ha squassato la terra e cancellato interi paesi, dove più regioni si incontrano e condividono un destino analogo: chi oggi percorre le strade di confine tra Umbria, Marche, Lazio e Abruzzo non può fare a meno di notare quanto le ferite siano dure a rimarginarsi. Le macerie sono ancora lì, la vita di tante piccole comunità montane ha lasciato posto al silenzio irreale di paesi interrotti, sospesi nel tempo. Tutt'intorno però, e soprattutto contando sulle proprie forze, quelle comunità hanno trovato modo di riorganizzarsi, nonostante il bilancio dei danni subiti pesi come un macigno sulla ripresa di piccole e medie attività produttive, molte legate alla produzione e trasformazione di eccellenze gastronomiche.

Il cibo che traina l'economia locale

Nel frattempo è partita la gara di solidarietà, le iniziative pubbliche locali hanno portato alla nascita di circuiti turistici virtuosi come il pic nic diffuso di Alte Terre, promosso dal Consorzio Salariaè nella provincia reatina, il cammino nella Terre Mutate tra Marche e Abruzzo, e prima ancora l'iniziativa RisorgiMarche. E le cittadelle del cibo, nate come nuovo centro di aggregazione per chi ha perso ogni punto di riferimento sociale, su un orizzonte urbanistico totalmente cambiato: l'ambizioso Villaggio del Food Amate Amatrice, realizzato su progetto di Stefano Boeri e con le competenze dell'ingegneria antisismica friulana; o il Villaggio per le Attività Produttive ed Economiche alle porte di Norcia, intitolato alla Rinascita di Castelluccio, celeberrimo paese delle lenticchie. Dunque negli ultimi due anni qualcuno ha preferito traslocare sulla costa, non senza soffrire per lo sradicamento della propria attività, ma deciso a trasformare le difficoltà in sprone in più per farcela. Un caso per tutti? Quello del Tiglio (in Vita) di Enrico Mazzaroni, da Montemonaco a Porto Recanati. Altri, invece, hanno scelto di restare, e proprio nei nuovi villaggi del cibo hanno unito le forze per creare inediti punti d'attrazione sul territorio.

La compagnia dei maestri artigiani di Visso

L'ultimo nato in ordine di tempo è il centro artigianale di Visso, che riunisce “la compagnia dei maestri artigiani” del  borgo marchigiano in provincia di Macerata: 5 attività storiche distrutte dal terremoto dell'ottobre 2016 (che ha letteralmente sbriciolato buona parte del paese), tornate in attività lo scorso 26 settembre, una accanto all'altra, in una struttura antisismica in ferro, vetro e legno di 500 metri quadri per gli spazi commerciali e altrettanti per l'area industriale che lavorerà a ridosso delle attività, oltre a 14 locali per laboratori. Dietro c'è l'investimento dell'imprenditore tessile piemontese Pier Luigi Loro Piana e 34 soci finanziatori tra cui Kartell, con l'idea di contribuire alla rinascita della comunità. All'interno del villaggio, dunque, hanno riaperto le porte al pubblico il ristorante La Filanda della famiglia Cappa (dal 1983), la norcineria e macelleria Calabrò (finora ospitata nel laboratorio dell'amico norcino di Matelica Renato Bartocci), il caffè Sibilla dal 1967, la macelleria Troiani, la Tenuta Scolastici Cacio Sopravvissano con i suoi prodotti agricoli. I prodotti tipici – dal salame di pecora al Vissuscolo, salame spalmabile al finocchietto, tartufo o rosmarino, ai formaggi locali -  si degustano sul posto, ma si possono anche acquistare su una piattaforma online, compresa la lana della pecora sopravvissana, riscoperta proprio durante l'elaborazione del progetto per la ripartenza dell'economia del territorio, e oggi in produzione Loro Piana col marchio La compagnia degli artigiani di Visso. Con i filati della pecora locale, non a caso, sono state realizzate anche la tappezzeria del ristorante e le sedie del bar. L'investimento complessivo ha richiesto 2,5 milioni di euro, gli artigiani coinvolti potranno lavorare al villaggio per 5 anni in comodato gratuito. Poi si vedrà, è solo l'inizio.

 

a cura di Livia Montagnoli

Open day Soho House alla Città del gusto di Roma. L'esclusiva catena inglese cerca ragazzi che vogliono lavorare in cucina

$
0
0

Per la prima volta ospiti alla Città del gusto del Gambero Rosso di Roma, gli head chef del gruppo Soho House selezioneranno l'8 ottobre i migliori candidati per una serie di posizioni aperte a Londra. A gestire l'open day sarà Enrico Camelio, selezionatore delle risorse umane per la catena divenuta famosa in tutto il mondo per l'esclusività dei servizi di ospitalità, ristorazione e intrattenimento. Pronta a debuttare a Milano. 

 

Soho House. Cos'è

Partiamo dall'inizio, per spiegare a chi non lo sapesse cos'è la Soho House, anche se ignorare l'esistenza di questa grande realtà inglese è francamente difficile. Il gruppo londinese fondato nel 1995 è sinonimo di membership esclusivo in tutto il mondo (il modello è quello dei circoli per gentiluomini di fine Ottocento, traslato ai giorni nostri), già presente in 18 capitali internazionali con 65mila soci. E presto arriverà per la prima volta anche in Italia, a Milano – apripista per una seconda città della Penisola - proprio di fronte alla Pinacoteca di Brera, dove l'ingresso di nuovi investitori permetterà la ristrutturazione di un grande edificio da tempo abbandonato, destinato a trasformarsi in destinazione ambita per i soci del gruppo e il pubblico che vorrà approfittare dei molteplici servizi aperti all'esterno, con spa, palestra, lounge bar, piscina, terrazza panoramica, ristorante e persino un piccolo cinema. La catena raggruppa al suo interno brand dell'ospitalità, della ristorazione e dell'intrattenimento – tra questi Cecconi's, The Ned, Soho Farm House - e periodicamente organizza ambite campagne acquisti per reclutare figure professionali da inserire in organico (in crescita costante, nell'ultimo anno sono stati un centinaio i cuochi selezionati, con buone possibilità di fare carriera).

 

L'Open day alla Città del gusto di Roma

L'8 ottobre si terrà a Roma il sesto Open day del gruppo in Italia, ospite per la prima volta del Gambero Rosso, alla Città del gusto di via Ottavio Gasparri. La selezione riguarderà figure da inserire in cucina in Inghilterra (l'ultima apertura a Londra è la White City House, club e hotel a West London) e sarà mediata da Enrico Camelio, che per il gruppo si occupa da tempo di reperire i profili più giusti tra i candidati italiani in qualità di selezionatore delle risorse umane per la catena (ma lui è prima di tutto docente presso l'Istituto alberghiero Pellegrino Artusi e di Roma e consulente nella ristorazione internazionale) e nella necessità di investire nel food&beverage da parte dell'hotellerie, garantendo benefit e stimoli formativi ai ragazzi, ci crede parecchio. Dunque l'8 ottobre porte aperte per aspiranti chef de partie, pastry chef, breakfast chef, pizza chef, commis de partie, con esperienza lavorativa di almeno due anni nel settore, buona conoscenza della lingua inglese e disponibilità a trasferirsi all'estero nel giro di poche settimane dal colloquio. A Roma i candidati saranno valutati tramite colloquio e live cooking test dagli head chef della compagnia.

Lavorare per Soho House

Chi otterrà il posto riceverà un salario lordo variabile dalle 22mila alle 26mila sterline annue per 48 ore lavorative settimanali e pagamento extra degli eventuali straordinari. Oltre all'alloggio fornito per le prime settimane e al rimborso per le spese di viaggio, per favorire l'inserimento nel nuovo Paese. Ma è soprattutto la possibilità di fare carriera all'interno di un gruppo in continua espansione a incentivare l'appeal dell'offerta. La candidature per la prima giornata di colloqui sono già chiuse, ma presto seguiranno altri 5 open day in Italia (l'indirizzo a cui inviare il proprio curriculum è sempre lo stesso: recruitmentitalia@sohohouse.com ).

 

www.sohohouse.com

Il Giro d'Italia con il Lambrusco, la cena a Roma. Il menu della serata

$
0
0

Va in scena il prossimo 12 novembre la cena corale che riunisce chef da tutta Italia per celebrare le virtù del Lambrusco a tavola. Ecco chi cucinerà e cosa proporrà ognuno dei cuochi coinvolti. 

 

Sei chef per raccontare il vino emiliano, dicevamo qualche giorno fa a proposito dell'iniziativa Il Giro d'Italia con il Lambrusco, che il prossimo 12 novembre riunirà allo Sheraton Hotel di Roma Marianna Vitale, Mauro Uliassi, Marcello e Mattia Spadone, Nino Rossi e Cristiano Tomei. Un viaggio in 5 piatti per riportare un vino da sempre legato alla tradizione gastronomica del territorio emiliano nel cuore della ristorazione italiana, garantendogli il posto che merita. E allora ecco il menu della serata, e il racconto degli chef che la renderanno possibile.

 

Aperitivo in esterno

Abbinamento: Lambrusco metodo classico

I salumi emiliani, il Parmigiano Reggiano e i metodo classico da uve lambrusco

Può un territorio del vino inventare ancora oggi? Difficile, anche se non impossibile. Difficile perché l’invenzione  richiede una coincidenza di fattori straordinaria. Un territorio vocato, un vitigno adatto e la condivisione di un progetto da parte di una comunità di produttori. In Emilia è successo e i risultati stanno premiando chi, insieme, ha deciso di puntare su una scommessa difficile e ambiziosa: il metodo classico da uve lambrusco. C’è un’Emilia che sogna!

 

La cena

Antipasto: Marianna Vitale, SUD, Quarto (Napoli)

Sgombro marinato fritto servito con caponata di melanzane e panna acida con anice stellato e finocchietto

Abbinamento:  Lambrusco Modena secco DOC

A due passi da Pozzuoli, in quell’angolo meraviglioso di Campania che sbuffa nella solfatara e incanta per la bellezza del mare, Marianna Vitale cucina piatti che sembrano usciti dalle case del paese e sono però a pieno titolo dei piatti di alta cucina. Un equilibrio difficile e riuscito che da anni alimenta uno dei ristoranti più importanti del sud Italia. “Il sud è l’imprinting della mia cucina, la cifra complessiva di un modo di vivere, pensare, mangiare”. Sorride Marianna Vitale, che inventa coperta da una filiera straordinaria e da un gusto mediterraneo che lei non tradisce mai. La sua tappa, nel nostro giro d’Italia con il lambrusco, è golosa e originale, un audace cortocircuito nord-sud  che spiazza per la libertà. Sembra l’inglese di Pino Daniele nelle canzoni napoletane: ecco un fritto di sgombro marinato e caponata di melanzane serviti con la panna acida aromatizzata. Un vento freddo che soffia su una Napoli stupefatta.

In abbinamento al piatto di Marianna Vitale il lambrusco Modena Doc, l’emblema della sapienza modenese che in questo vino mescola vitigni e territori per ottenere equilibrio e armonia. È un lambrusco sapido ed elegante, tannico con garbo, fresco e diritto. Ottimo l’abbinamento con il fritto e la panna acida, dove si inserisce con la sapidità e tannini che puliscono la bocca.

 

Antipasto: Mauro Uliassi, Uliassi, Senigallia

Pancotto ricci e mandorle

Abbinamento:  Reggiano lambrusco secco DOC

Sono come le Marche, un po’ pescatore e un po’ contadino. Per questo mi viene facile mescolare queste sensibilità e gli ingredienti”. Così Mauro Uliassi parla della sua cucina e del piatto che porterà al nostro Giro d’Italia con il Lambrusco. E nel pancotto c’è anche tutta la cultura della cucina povera, quella che Uliassi recupera senza vergognarsene, che nobilita con piatti d’autore che strillano come i pescivendoli al mercato, un po’ colti e un po’ popolari in un gioco che è diventata la sua cifra stilistica. Ce l’aveva nel sangue e già con il suo Rimini fest si era sporcato le mani con una citazione tutta sagra e strada, anticipo di quello che sarebbe diventato un modo di essere. Uliassi ha fatto pace con la povertà, con i gesti semplici di donne, braccianti e pescatori, con quella cucina italiana che di privilegio non aveva mai sentito parlare e che spesso attraversava le tavole di nobili e contadini senza cambiare sostanza.

In abbinamento al piatto di Mauro Uliassi  il lambrusco Reggiano Doc, il lambrusco simbolo del territorio di Reggio Emilia, cremoso come solo il salamino, spesso protagonista, può essere: fruttato con austerità, vellutato nei tannini e sempre avvolgente. Si parla soprattutto della bassa reggiana o dei territori pedecollinari, della capacità dei produttori reggiani di regalare carattere con un taglio di lambrusco diversi, dosati per equilibrare un’espressione che di base resta sapida e fresca. Nell’abbinamento con il piatto di Uliassi è proprio la sapidità a dialogare con mare e con la dolcezza delle mandorle.

 

Primo: Marcello e Mattia Spadone, La Bandiera Civitella Casanova (Pescara)

Tortelli di anatra all’arancio e sugo di arrosto

Abbinamento:  CSC lambrusco secco DOC

Il loro ristorante è una “provincia felice”, perfetta sintesi tra una filiera a portata di mano e un’esperienza che arriva dal mondo. La Bandiera è una storia di radici, che alla fine tengono questa famiglia attaccata all’Abruzzo contadino, e di visione, quella che permette a Marcello e al figlio Mattia di osare piatti nitidi e poetici, tutti paesaggio e sensibilità. Mattia Spadone è uno dei migliori talenti italiani, un cuoco che ha personalità e sicurezza nonostante la giovane età, un ragazzo che già ha smaltito l’idea di una creatività fine a se stessa per mettere le sue capacità e il suo estro al servizio dei piatti della tradizione. Un’idea moderna di cucina d’autore  nitida e vicina alla sua tradizione, piena di passione e misura, aperto a una creatività mai esibita che resta ben nascosta nei dettagli. 

In abbinamento al piatto di Marcello e Mattia Spadone  il lambrusco Colli di Scandiano e  Canossa Doc, il lambrusco di collina del territorio reggiano, il vino che nasce tra Scandiano e la Val d’Enza, in un mosaico di suoli che ha pochi paragoni, nel cuore delle famose Terre Matildiche che Matilde di Canossa difese con un sistema di castelli (Pianello, Rossena, Canossa, Sarzano, Carpineti) e che sono uno degli inediti di questo mondo. Il vino è ottenuto da diverse cultivar di lambrusco con un taglio che mescola vitigni e suoli per cercare tensione e carattere. I tannini grintosi in abbinamento con la carne di anatra e i richiami terrosi e fruttati a contrastare le note agrumate del piatto.

 

Secondo: Nino Rossi, Qafiz,  Santa Cristina d'Aspromonte (Reggio Calabria)

Agnello dell’Aspromonte, parfait delle sue interiora, liquirizia Amarelli, cipollotto di tropea e ristretto di gambero rosso al barbecue

Abbinamento:  Lambrusco Grasparossa di Castelvetro secco DOC 

Porto la mia Calabria nell’anima e questo piatto è un omaggio alla mia terra, dal blu di un mare profondo ai boschi dell’Aspromonte, dove vivo e cucino”. È un piccolo viaggio in effetti questo piatto, cucina e cuore, boschi e fondali marini in un unico paesaggio. Ed è un viaggio vero quello che si fa per andare da Nino Rossi, boschi e immensi ulivi in quantità, curve che salgono sempre, felci e strapiombi. Si arriva qui e il mondo è improvvisamente lontano, lontanissimo. Nino Rossi cucina in una atmosfera che è più silenzio che voci, con una filiera che è nascosta e sfuggente come un brigante, meravigliosa. E la cucina, qui, non può che essere “drammatica” e spettacolare, piena di dettagli e profumi. Lui ci soffre, si scontra e ci fa pace in un corpo a corpo che è una bella rappresentazione delle contraddizioni della Calabria, una regione vera e dura, sempre ricca di umanità.

In abbinamento al piatto di Nino Rossi il Lambrusco Grasparossa di Castelvetro DOC  secco, il lambrusco della collina modenese, il più tannico e ruvido dei lambrusco, quello che cerca i suoli poveri e asciutti della collina, senza compromessi. L’abbinamento con l’agnello (e la liquirizia!!) è tutto in questa chiave, quella tannica e terrosa che nasconde il frutto fino all’ultimo e regala complessità nelle mille sfaccettature. Il Grasparossa è un vino invernale, asciutto e pieno, ideale nell’abbinamento con la carne, che esalta la brace con il repertorio speziato.

 

Dolce: Cristiano Tomei, L'imbuto, Lucca

Frollino all’inglese con elicriso, acqua di limone, ostriche marinate nello zucchero

Abbinamento:  Lambrusco di Sorbara secco DOC

Cristiano Tomei ha dato disciplina a una lunga stagione di sperimentazione e voglia di nuovo, di imprese impossibili e intuizioni sorprendenti. E quella libertà, che trainava tutto, oggi è una energia pazzesca che trascina una cucina piena di idee, sapori, amori. Lui in questa disciplina ha ripulito le idee ed è oggi, anche intellettualmente, una delle voci più sane della cucina italiana, sempre vicino alla realtà, sempre in grado di schivare gli eccessi inutili, quelli che reggono solo la teoria. I suoi piatti sono legati a una filiera di territorio, un vicinato che tifa per lui e che lui ripaga con quel talento libero e assoluto, spinto da una gioia che è diventata una firma. A Lucca ha stimolato una “nouvelle vague” che è in piena stagione e che trascina chissà dove. “Io faccio qualsiasi cosa, anche il dolce. Ho voglia di divertirmi però!” Ed ecco allora questo piatto impossibile da pensare, incredibile da mangiare, un piatto che esplora il confine tra dolce e sapido, tra mare e terra. Un piatto di una freschezza assoluta, che esplode di energia. Un boato.

In abbinamento al piatto di Cristiano Tomei  il Lambrusco di Sorbara DOC secco, il più tagliente e impalpabile dei lambrusco, tutto sale e agrumi, fiori bianchi e “brezze marine”. È il lambrusco della bassa modenese che ama i terreni poveri e sciolti che sono tra Secchia e Panaro, i fiumi che nel tempo hanno depositato sabbie e ciottoli. Il Sorbara si esprime al meglio qui, con esattezza impressionante. E la gente di Modena lo ripaga con un amore viscerale, un amore che non conosce cedimenti. È il vino che celebra la cucina emiliana, che accompagna i riti importanti dell’inverno ( e del maiale).

 

Il Giro d'Italia con il Lambrusco - Roma - Sheraton Rome Hotel - il 12 novembre 2018 - > Partecipa all'evento 

 

a cura di Giorgio Melandri

 

In collaborazione con

 

Tartufo bianco. Il 2018 è l'anno ideale per gli acquisti: quantità, qualità e prezzi bassi

$
0
0

Parte in tutta Italia la stagione delle fiere: attesi migliaia di turisti. La raccolta è prevista abbondante e i prezzi in netto ribasso. La filiera spera nel riconoscimento Unesco entro il 2019 per l'arte della cerca e della cavatura. E intanto Acqualagna spariglia le carte: pronti a chiedere la Dop per la varietà "nero pregiato".

 

Il 2018 è l'anno ideale per acquistare il tartufo

Il 2018 si annuncia come uno dei migliori anni per il tartufo bianco pregiato. Per chi lo cerca, per chi lo commercializza e, soprattutto, per chi sceglie di acquistarlo. Grazie a un clima favorevole, la produzione è in netta risalita, abbondante, con una qualità considerata molto buona. E le prime contrattazioni stanno spuntando prezzi di gran lunga inferiori rispetto a un 2017 in cui l'acquisto, per molti, è stato proibitivo, con medie intorno ai 4-5 euro/grammo e punte di 6-7 euro in alcuni territori. Il 2018 segna, invece, un'inversione di rotta, come affermano gli esperti consultati da Alba (Piemonte) a San Pietro Avellana (Molise). Pertanto, ottobre e novembre, che sono i mesi in cui si concentrano le fiere italiane, saranno una ghiotta occasione sia per fare acquisti a prezzi decisamente abbordabili (si parte da 2 euro/grammo) sia per avvicinarsi e conoscere meglio questa eccellenza, che potrebbe trovare una consacrazione nel riconoscimento Unesco (patrimonio immateriale) per l'arte italiana della cerca e della cavatura. Tuttavia, il settore sconta ancora un gap organizzativo e legislativo, dal momento che la proposta di regolamentazione giace in Parlamento da molti anni. Il risultato è che manca una sicura tracciabilità sia fiscale (giro d'affari) sia delle produzioni. Ma ad Acqualagna – ed è questa una novità importante – ci si sta muovendo per fare passi avanti sul fronte della tutela, segnando una svolta che potrebbe sparigliare le carte. Il distretto, infatti, è pronto a chiedere al Mipaaft, entro fine anno, la Denominazione di origine protetta (Dop) per la varietà "nero pregiato". Sarebbe la prima Dop per un tartufo.

Alba. L'annata 2018

Alba, Acqualagna, San Giovanni d'Asso, Valtopina, San Pietro Avellana. Dal Piemonte al Molise, a giudicare dal nostro sondaggio a campione tra gli operatori, si prospetta un'ottima stagione per il bianco pregiato. Dopo tre annate complicate, in cui il celebre “tuber magnatum pico” ha sofferto le bizze di un clima che, in particolare nel 2017, ha fatto salire i prezzi alle stelle, le piogge regolari di inverno e primavera 2018, unite all'alta piovosità di agosto e settembre, hanno determinato condizioni praticamente ideali. Il risultato è che il "tartufo c'è ed è abbondante", come sottolinea Antonio Degiacomi, presidente del Centro nazionale studi tartufo, che ha sede ad Alba. In quella che è considerata la capitale italiana del bianco pregiato, la raccolta è partita il 21 settembre e terminerà il 31 gennaio: si parla di "annata dai tratti rosei, con bei tartufi caratterizzati da ottimi profumi". In fiera sono attese oltre 600 mila presenze, come ricorda il direttore dell'Ente turismo Alba Bra Langhe Roero, Mauro Carbone: "Una clientela internazionale, da 70 Paesi, interessata a un'italianità forte che unisce il prodotto tartufo, l'offerta della ristorazione e la festa di piazza. Considerate le premesse, ci attendiamo ottimi risultati per arrivi e presenze".

Uomo che annusa un tartufo bianco. Foto di Davide Carletti

Il resto d'Italia

Prospettive interessanti anche in provincia di Siena, dove operano circa 1.500 cavatori dotati di tesserino. Non ha dubbi il presidente dell'Associazione tartufai senesi, Paolo Valdambrini: "Ci aspettiamo un'annata favorevole, molto buona. E sarà un 2018 con un ottimo rapporto qualità-prezzo: partiamo infatti da circa duemila euro al chilo". Prudente Giancarlo Picchiarelli, vice presidente di Città del Tartufo, che in Umbria, a Valtopina, registra "aspettative positive, considerate le piogge di luglio e agosto, anche se potrebbero incidere gli effetti a lungo termine della siccità dello scorso anno". Ad Acqualagna, dove ha sede l'Associazione conduttori di tartufaie, l'esperto Giorgio Remedia (da oltre 50 anni nel settore) traccia un primo quadro: "La pessima annata 2017 è alle spalle. Il terreno è ancora duro e i primi tartufi si presentano meno rotondi e bitorzoluti. È chiaro che il prodotto non è ancora al top, ma i freddi e le piogge favoriranno una crescita ottimale". Spingendosi più a sud, in Molise, il sindaco di San Pietro Avellana, Francesco Lombardi (vice dell'associazione Città del Tartufo), parla di "buona annata, con un anticipo di maturazione per l'alternanza di sole e piogge estive. Ci aspettiamo dei quantitativi molto buoni, con prezzi di base già abbastanza bassi nelle prime fasi di contrattazione. Lo scorso anno un etto di tuber magnatum pico costava circa 400 euro, quest'anno potrebbe costare sui 220/250 euro. È chiaro che si entrerà nel vivo della stagione dalla terza settimana di ottobre".

Il mercato e la legge obsoleta

La tracciabilità è un traguardo attualmente difficile nel mondo del tartufo italiano. Al netto della correttezza di cavatori (cercatori) e raccoglitori (coloro che acquistano il tartufo dai cavatori), non c'è ad oggi un sistema certificato che consenta al consumatore di sapere con certezza la provenienza del prodotto. Bisogna fidarsi. Le fiere sono un'occasione importante per portarsi a casa un po' di oro bianco, ma resta aperto il problema dell'origine. L'attuale legge di settore è obsoleta, risale al lontano 1985, e il disegno di legge con le nuove regole giace da anni in Commissione agricoltura alla Camera. L'associazione nazionale Città del tartufo sta provando a riprendere, con l'attuale governo giallo verde, un percorso di dialogo e di confronto. Durante Expo 2015, l'iter sembrava doversi concludere positivamente sotto il dicastero di Maurizio Martina. Invece, si riparte di nuovo da zero sotto il governo Conte. Il risultato è che il tartufo italiano è ancora oggi in un'area grigia dai contorni alquanto sfumati.

Tartufai con i cani

Le conseguenze della legge attuale

In Italia, il giro d'affari del comparto (tra cavatori, coltivatori e commercianti) è stimato in una forbice tra 400 e 600 milioni di euro annui. Sono circa 230 mila (duecentotrenta mila) i cavatori attivi ma il mercato soffre la mancanza di un anello della catena proprio nelle prime fasi. Una falla che porta Città del Tartufo a stimare un 80% di mercato completamente in nero. La legge attuale prevede, infatti, che i raccoglitori (chi acquista i tartufi dai cavatori) possano autocertificare la provenienza del tartufo acquistato all'origine. Un vulnus, questo, che annulla ogni ipotesi di tracciabilità. Chi compra in Molise, ad esempio, può dichiarare di aver acquistato ad Alba o Acqualagna. Da un punto di vista fiscale, chi cerca il tartufo (considerato prodotto agricolo con Iva agevolata al 4%) è libero di vendere il prodotto senza obblighi di fatturazione. Una delle proposte discusse nel disegno di legge è, infatti, l'introduzione di una minimum tax per i cavatori (il cui incasso annuo è stimato con buona approssimazione in 12/15 mila euro).

"Il settore ha bisogno urgente di essere regolamentato", ammonisce Michele Boscagli, presidente dell'associazione nazionale Città del Tartufo, che aggiunge: "L'altro tema delicato è legato all'importazione di prodotti dall'estero". Di fronte a un mercato nazionale in cui prevale il nero, le aziende italiane di trasformazione e commercializzazione che necessitano di fatturare e tracciare gli acquisti di materia prima si stanno rivolgendo fuori confine. "All'estero, le fatture vengono rilasciate", fa notare Boscagli. E il risultato – che suona come un paradosso – è che i tartufi arrivano, regolarmente, da Istria, Albania, Iran, Cina, Est Europa. "Troviamo allora il modo" auspica Boscagli "di dire da dove provenga questo tartufo, che sia bianco o nero, e mettiamolo sul mercato con una chiara indicazione ai consumatori. Non c'è più tempo da perdere".

Il problema del bracconaggio fuori stagione

"C'è poi il problema del bracconaggio fuori stagione", conclude il presidente, con conseguenze gravi per l'ambiente di crescita di questo fungo ipogeo. Il settore, a tal proposito, chiede "più controlli". E ridurre il rischio di vedere scomparire un ecosistema, sta lavorando alla tutela degli ambienti boschivi, alla salvaguardia delle piante tartufigene (come pioppi, querce, salici, pini) nei terreni demaniali, ma soprattutto nelle proprietà private. Ad Alba, ad esempio, una parte degli incassi dell'imminente Fiera internazionale andrà ad alimentare un fondo per la manutenzione delle tartufaie. Non solo: la Regione Piemonte, come ricorda Antonio Degiacomi (Centro nazionale studi tartufo) sta incentivando gli oltre mille privati a non tagliare o a reimpiantare piante tartufigene. "I problemi del nostro comparto sono tanti e la candidatura Unesco" ricorda il sindaco di S.Pietro Avellana, Francesco Lombardi "nasce anche per accendere il faro su questi temi".

Mani che toccano un tartufo bianco pregiato

La candidatura Unesco

Il 2019 potrebbe essere l'anno del riconoscimento Unesco per l'arte della cerca e della cavatura del tartufo, un concentrato di conoscenza e tradizioni (compreso il delicato e affascinante rapporto tra il trifulau e il suo cane) su cui l'associazione nazionale Città del Tartufo (53 realtà in 14 regioni) ha lavorato intensamente, coinvolgendo istituzioni, enti pubblici, promuovendo ricerche storiche, antropologiche e organizzando una promozione capillare tuttora in corso in Italia. Il dossier è a Parigi, ma dovrà essere la Commissione italiana per l'Unesco ad annunciare a marzo 2019 il via libera alla candidatura a patrimonio intangibile. A quel punto, si tratterebbe di attendere le decisioni definitive dell'Unesco, previste a novembre 2019.

Il nero pregiato di Acqualagna verso la Dop

Il riconoscimento come patrimonio dell'Umanità sarebbe un grande traguardo per la tradizione italiana del tartufo. Ma dal lato economico, qualcosa si sta muovendo e anche rapidamente verso maggiori tutele del prodotto. Acqualagna (Pesaro Urbino) è uno dei maggiori distretti italiani. Qui, si lavorano tutte le tipologie, ci sono circa 2 mila cercatori tesserati, dieci punti vendita, otto aziende (alcune storiche e blasonate) che trasformano e commercializzano il tartufo e, infine, 15 rivenditori e commercianti esclusivi. Con la crisi del manifatturiero degli ultimi dieci anni, in particolare della meccanica, il tartufo rappresenta oggi la prima forma di economia del territorio. Le centinaia di migliaia di presenze in Fiera (al via a fine ottobre) confermano l'importanza di questo angolo d'Appennino. Ogni anno, fa sapere il sindaco Andrea Pierotti, da Acqalagna escono tra i 600 e i 700 quintali di tartufo lavorato. Da un po' di tempo, i proprietari di terreni coltivati a grano hanno riconvertito la produzione in quella dei tartufi. Non il bianco pregiato, che non può essere coltivato, bensì il nero pregiato, ovvero il Tuber melanosporum vitt (conosciuto anche come dolce di Norcia, di Spoleto o Perigord). La novità è che l'Associazione conduttori tartufaie, che lavora 400 ettari di terreno con 160 imprenditori agricoli iscritti, che coltivano sia il nero scorzone sia il nero pregiato, ha adottato un rigido disciplinare di produzione che porterà il distretto marchigiano a chiedere al Mipaaft il marchio europeo di Denominazione di origine protetta (Dop) per il "Tartufo nero pregiato di Acqualagna": "Siamo pronti a fare questo passo importante, stiamo lavorando al dossier e ci auguriamo di ottenere la Dop entro il prossimo anno", annuncia il sindaco di Acqualagna, Andrea Pierotti. A essere interessato sarà un vasto territorio, di circa trecento ettari, compreso all'interno dei confini di 15 comuni. Sarebbe la prima Dop italiana riservata a un tartufo: "Andremo incontro alle esigenze dei produttori e all'esigenza di trasparenza del consumatore più moderno".

Le fiere in Italia

Sono circa 2,5 milioni le presenze turistiche che ruotano attorno al tartufo italiano, secondo le stime di Città del Tartufo. Una lunga serie di appuntamenti, sagre ed eventi che richiamano gli appassionati dalla Campania al Piemonte. Alba, Acqualagna, San Miniato sono forse le più conosciute, ma sono decine gli appuntamenti lungo lo Stivale da segnare in agenda per acquistare il tartufo bianco o provarlo, nei ristoranti, in abbinamento al cibo e ai vini nelle ricette tradizionali e in quelle creative.

 

a cura di Gianluca Atzeni

foto di Davide Carletti

 

Calendario appuntamenti 2018 (fonte Città del Tartufo)

Borgofranco sul Po (Mantova)

5-6-7 / 12-13-14/ 19-20-21-22 ottobre

24° Fiera Nazionale del Tartufo Bianco

Alba (Cuneo)

Tutti i sabato e domenica da 6 ottobre al 25 novembre

87°Fiera Internazionale del Tartufo Bianco d’Alba

Calestano (Parma)

Tutte le domeniche dal 7ottobre all'11 novembre

29° Fiera Nazionale del Tartufo Nero di Fragno

Bondeno (Ferrara)

12-13-14 e 19-20-21 ottobre

14° Edizione della Sagra del Tartufo di Bondeno

Pietralunga (Perugia)

13-14 e 20-21 ottobre

Mostra del Tartufo

Castel di Casio (Bologna)

13-14 ottobre

Tartufesta

Colliano (Salerno)

12-13-14 ottobre

22° Mostra Mercato Nazionale del Tartufo

Bagnoli Irpino (Avellino)

20-21/ 26-27-28 ottobre

41° Sagra della Castagna e del Tartufo “Il Nero di Bagnoli”

Sasso Marconi (Bologna)

27-28 ottobre 1-3-4 novembre

Tartufesta

Acqualagna (Pesaro Urbino)

28 ottobre e 1-2-3-4/10-11 novembre

53° Fiera Nazionale del Tartufo Bianco di Acqualagna

Apecchio (Pesaro Urbino)

5-6-7 ottobre

36° Mostra Mercato del Tartufo e dei prodotti del Bosco Alogastronomia

Sant'Agata Feltria (Rimini)

7/14/21/28 ottobre

Pergola (Pesaro Urbino)

7/14/21 ottobre

23° Fiera Nazionale del Tartufo Bianco Pregiato e dei Prodotti Tipici

Sant'Angelo in Vado (Pesaro Urbino)

13-14/19-20-21/27-28 ottobre 3-4 novembre

55° Mostra Nazionale del Tartufo Bianco Pregiato delle Marche

Unione Valli Dolo (Modena)

27-28 ottobre 1-3-4 novembre

27° Mostra Mercato del Tartufo Modenese

San Pietro Avellana (Isernia)

fine ottobre e primi novembre

24° Mostra Mercato del Tartufo Bianco pregiato

Camugnano (Bologna)

4 novembre

Tartufesta

Gubbio (Perugia)

dal 31 ottobre al 4 novembre

Mostra Mercato Nazionale del Tartufo Bianco e dei Prodotti Agroalimentari

Città di Castello (Perugia)

dal 1° al 4 novembre

39° Mostra Mercato Nazionale Il Tartufo Bianco

Viano (Reggio Emilia)

28 ottobre, 4 novembre, 11 novembre

Le domeniche del Tartufo

Valsamoggia (Bologna)

3-4 / 10-11/17-18 novembre

35° Festival internazionale del Tartufo Bianco

Fabro (Terni)

9-10-11 novembre

31° Mostra Mercato del Tartufo di Fabro

Montalcino-San Giovanni d'Asso (Siena)

10-11/ 17-18 novembre

33° Mostra Mercato del Tartufo Bianco delle Crete Senesi

San Miniato (Pisa)

10-11/17-18/24-25 novembre

48° Mostra Mercato Nazionale del Tartufo Bianco

Vezza d'Alba (Cuneo)

18/25 novembre

39° Fiera Regionale del Tartufo Bianco e dei Vini

Valtopina (Perugia)

17-18 /24- 25novembre

38° Mostra Mercato Nazionale del Tartufo di Valtopina

Ceppaloni (Benevento)

24-25 novembre

5° edizione Tartufo al Borgo

 

 

 

Viewing all 5335 articles
Browse latest View live