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Ricette golose per giovani chef. Il ricettario dei cuochi italiani per imparare a mangiare bene

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12 artigiani italiani, tra chef e pizzaioli, uniti per contrastare il fenomeno dell'obesità infantile e della malnutrizione fra i più giovani. Il nuovo progetto di Helpcode Italia e Associazione Italiana Ambasciatori del Gusto. 

 

Obesità infantile

Un ricettario sui generis, realizzato da alcuni dei migliori chef italiani, una raccolta di preparazioni studiate in collaborazione con i nutrizionisti dell'Ospedale Gaslini di Genova per creare menu bilanciati per ragazzi in crescita. È l'ultimo progetto nato per combattere l'obesità infantile, piaga che affligge circa il 10% dei ragazzi, e ben 1.3 milioni di bambini con abitudini alimentari scorrette. Una problematica che continua a destare l'interesse degli addetti al settore, che ora hanno scelto di unire le forze e pensare a nuove ricette cucite su misura, per mangiare bene ma senza rinunciare al gusto.

Il progetto

Ricette golose per giovani chef è il nome del progetto promosso dall'organizzazione Helpcode Italia e realizzato insieme all'Associazione Italiana Ambasciatori del Gusto, l'Università di Genova, l'Ospedale Gaslini e la cooperativa OcchiAperti di Scampia. L'obiettivo? Diffondere la cultura alimentare e formare giovani consumatori consapevoli in grado di scegliere, selezionare e abbinare fra loro gli ingredienti in maniera corretta. Un'iniziativa che si inserisce all'interno della campagna sf_amarsi di Helpcode, realtà dedicata alla tutela dei bambini, che da anni si impegna a realizzare progetti di educazione, formazione e sostegno per i meno fortunati. Una campagna nata per far fronte, in maniera concreta, al dilemma della malnutrizione infantile, come è stato ricordato durante il convegno organizzato lo scorso febbraio a Genova.

Il ricettario e gli chef

Per combattere l'obesità giovanile, nasce quindi il ricettario, disponibile in formato cartaceo e digitale, che insieme a un webinar – seminario interattivo – tenuto dallo chef e Ambasciatore del Gusto Eugenio Boer al laboratorio di cucina della cooperativa OcchiAperti, si propone di fare luce sugli aspetti più intricati dell'alimentazione. A contribuire alla stesura del volume, gli Ambasciatori del Gusto, chef alleati che nell'ottobre 2016 hanno deciso di lavorare fianco a fianco per valorizzare l'agroalimentare, la gastronomia, la ristorazione, le piccole imprese, tutto ciò che compone il mosaico del mangiar bene made in Italy. Salvatore Avallone, Cesare Battisti, Cristina Bowerman, Eugenio Boer, Renato Bosco, Alessandro Gilmozzi, Paolo Gramaglia, Paolo Griffa, Andrea Ribaldone, Marta Scalabrini, Cristoforo Trapani, Pietro Leemann: questi i professionisti che hanno scelto di creare e donare una loro ricetta costruita ad hoc insieme ai medici nutrizionisti per tutti i ragazzi in fase di crescita.

La raccolta fondi

Educare i giovani sui principi di una sana alimentazione è oggi una responsabilità sociale, per questo la nostra associazione è in prima linea a fianco di Helpcode Italia in questo progetto”, ha commentato la Bowerman, presidente dell'associazione. “Siamo pronti a dare un contributo concreto con ricette sane e gustose, scritte con un linguaggio semplice ma coinvolgente”, con la speranza di “raggiungere grandi risultati”. Un'iniziativa che promette bene, tanto da essere stata selezionatatra i cinque finalisti della "call for Crowdfunding" di Bper Banca, destinata a progetti di carattere sociale, culturale e di educazione alla sostenibilità, per ragazzi e ragazze dai 13 ai 19 anni. La raccolta fondi continuerà fino al 17 ottobre 2018.

Per partecipare: www.produzionidalbasso.com/project/ricette-golose-per-giovani-chef/.

a cura di Michela Becchi


Libri. Gelati. Le ricette casalinghe di Lydia Capasso e Simone De Feo

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Idee, consigli e ricette d'autore per realizzare un ottimo gelato anche in casa. Dalla frutta fresca e secca al cioccolato, dalla crema in tutte le sue varianti al latte. Arrivando al gelati gastronomici e a quelli da pasticceria.

 

Potrei vivere di gelati, potrei mangiarne sino allo sfinimento”. Per Lydia Capasso, nota food writer in forza al Corriere della Sera e autrice di diversi libri (suoi Santa Pietanza e Gli aristopiatti) quella per il gelato è una passione antica. Da quando, da bambina, giocava a mantecare un dolce immaginario e - poco tempo dopo - a pasticciare con crema ghiacciata per i primi esperimenti in cucina. La sua ricerca del gelato perfetto l'ha portata a incrociare penna e cucchiaini con Simone De Feo, uno dei maggiori artigiani italiani, che alla sua Cremeria Capolinea di Reggio Emilia (premiata con i Tre Coni, massimo riconoscimento per la guida Gelaterie d'Italia del Gambero Rosso) fa un gelato cremoso, avvolgente e gustoso “proprio come piace a me”.

L'idea del libro che si intitola - laconicamente - Gelati, è semplice: coniugare le competenze e la professionalità di Simone De Feo con la gola di Lydia Capasso. Ma anche con la sua voglia di sperimentare. Al punto da decidere di mettere mano a un ricettario, ricco e completo, rivolto a chi vuole provarsi con la produzione del gelato in casa propria. In fondo anche lo stesso De Feo ha cominciato così, con una crema pasticcera ghiacciata per errore che ha dato il là a tutto. Ora continua per la sua strada, quella che trova nel sapore l'elemento indispensabile, più della struttura, più della conservabilità - “il sapore è sempre ciò che mi guida” dice – e lancia un monito sulla selezione degli ingredienti. I suoi sono gelati dalle ricette estremamente corte e dalla grande ricchezza aromatica. Facili da replicare a casa e di piena soddisfazione; gli attrezzi necessari sono alla portata di tutti: una gelatiera aiuta, ma non è indispensabile. Non più di una frusta, di un frullatore a immersione o di un termometro.

I gelati: ricette, strumenti, preparazioni base

Così, dopo un rapido passaggio tra strumenti, ingredienti e consigli pratici, arrivano le ricette: un centinaio o poco meno, di gelati, semifreddi, sorbetti, granite. Ma anche preparazioni base, componenti a loro volta di altre ricette, per esempio salse per variegature (alla pera, alle amarene, ai fichi, mou), passando per cose come le paste di frutta secca, il croccante, la meringa all'italiana. In un breve quanto fondamentale capitolo illustrato dal titoloCome fare. Non manca, in fondo, anche un breve ricettario di pasticceria da casa, con dolci semplici e familiari, buoni da soli, perfetti se accompagnati da una pallina di gelato, oppure destinati a diventarne ingrediente principale. Perché tra i diversi tipi di gelato, indicati con un bollino di immediata comprensione, c'è anche un capitolo dedicato ai gelati di pasticceria, quelli in cui torte e biscotti sono dentro, a costituirne l'anima e l'essenza; via libera dunque a gelati alla carrot cake o al cannolo, ai cookies o allo strudel, al pane burro e marmellata, al tiramisù, alla pastiera. Frutta secca e frutta fresca costituiscono due ampi capitoli, come pure cioccolato e cacao, uova, latte, caffè e caramello. Macrofamiglie più o meno tradizionali, con grandi classici (come fiordilatte o zabaione, sorbetto di amarene o gelato alla nocciola o al cioccolato fondente e rum) che si prestano a infinite variazioni sul tema, complici erbe aromatiche, spezie, e altri ingredienti rubati dalla cucina, basti pensare a gusti come mascarpone capperi e caffè, ricotta miele e rosmarino, robiola miele e pere, pinoli e cardamomo bianco, pesche sciroppate e streusel di nocciola e lavanda. A questi si aggiunge un ultimo capitolo che indaga un orizzonte solo recentemente esplorato, quello del gelato gastronomico. Ovvero salato, da gustare nel piatto più che in una coppetta, certamente non su un cono, gusti in alcuni casi diventati classici contemporanei, come burro e alici, gorgonzola e peperoni, baccalà mantecato alle erbette.

 

Se anche voi volete cimentarvi nella realizzazione di un dolce freddo vi consegniamo 3 ricette tutte da replicare, ricordandovi che, laddove non ci fosse a disposizione una gelatiera, si può facilmente ovviare con delle vaschette per il ghiaccio dentro le quali mettere a congelare la miscela della ricetta. All'occorrenza basterà tirare fuori dal freezer i cubetti congelati e frullarli fino a ottenere delle briciole da mescolare poi con u cucchiaio fino ad avere i composto cremoso e ghiacciato. Se invece non trrovate la farina di semi di carrube, che serve come addensante, potreste sostiuirla con 3 tuorli d'uovo mescolati e cotti a 85 gradi.

 

 

Gelato al pistacchio

100 g. di pistacchi

200 g. di zucchero semolato

700 g. di latte fresco intero

2 g. di farina di semi di carrube

Tostate e tritate i pistacchi per ottenere una pasta. Mettete il latte, lo zucchero, la farina di semi di carrube e la pasta di pistacchio sul fuoco e fate scaldare a fiamma bassa, senza arrivare a ebollizione. La temperatura di riferimento è di 85 gradi. Spegnete il fuoco, fate raffreddare e versate il tutto nella gelatiera per ottenere un gelato omogeneo e cremoso.

 

Gelato al pane burro e marmellata

50 g. di burro

750 g. di latte fresco intero

200 g. di zucchero semolato

2 g. di farina di semi di carrube

100 g. di salsa alle amarene (pag. 187)

70 g. di pan brioche

 

Scaldate in un tegame il latte con il burro, lo zucchero e la farina di semi di carrube, avendo cura di mescolare fino al raggiungimento degli 85 gradi. Fate raffreddare la miscela velocemente e mettetela in gelatiera. Al termine, unite al preparato qualche cucchiaiata di composta di amarene e il pan brioche sbriciolato.

 

Gelato alla cassata

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150 g. di ricotta mista (di capra e vaccina)

20 g .di mandorle

180 g. di zucchero semolato

650 g. di latte fresco intero

2 g. di farina di semi di carrube

100 g. di cioccolato fondente

40 g. di canditi

Tostate e frullate le mandorle sino a ridurle in pasta. Mettete sul fuoco il latte, la ricotta, la pasta di mandorle, lo zucchero e la farina di semi di carrube e continuate a mescolare: il composto deve raggiungere la temperatura di 85 gradi ed essere ben amalgamato. A questo punto potete toglierlo dal fuoco, farlo raffreddare velocemente e lavorarlo nella gelatiera. Solo alla fine aggiungete il cioccolato in scaglie e i canditi.

 

Gelati - Lydia Capasso e Simone De Feo – Guido Tommasi Editore – 224 pp. - 25€

 

a cura di Antonella De Santis

 

Apre a Varsavia il museo della vodka polacca. Così si celebra una tradizione che ha più di 500 anni

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In perenne disputa con la Russia per accertare il primato sulle origini della vodka, la Polonia vanta una storia distillatoria molto antica, che intreccia rivendicazioni sociali e privilegi economici. Prodotta da segale o patate, la vodka nazionale ora ha un museo interattivo che la racconta ai turisti. 

 

Un museo per la vodka polacca

Installazioni interattive, testimonianze storiche, il fascino di un'ex fabbrica per la produzione di vodka alla periferia della città, persino un Vodka Academy Bar dove concludere il tour con una degustazione guidata ad alto tasso alcolico (ma con moderazione). L'investimento che ha portato all'apertura del primo museo della vodka polacca nel mondo è ingente: 600mila euro destinati alla causa dal governo della Polonia, che gestisce uno degli stanziamenti per lo sviluppo degli Stati membri dell'Unione Europea tra i più generosi. E proprio per incentivare l'attrattività della capitale Varsavia, città in crescita economica che si è riscoperta negli ultimissimi anni pure meta turistica di richiamo, parte del budget ha finanziato il museo che mancava al liquore nazionale, il Muzeum polskiej wodki inaugurato lo scorso 12 giugno nel polo del Koneser Praga Center (anch'esso frutto di un recente progetto di riqualificazione che riunisce bar, ristoranti, attività commerciali, un auditorium e la sede polacca di Google). E proprio nella storica fabbrica della vodka Koneser, edificio in mattoni rossi del XIX secolo che a lungo ha onorato una tradizione vecchia di oltre 500 anni.

La storia della vodka polacca

Tradizionalmente fatta di segale (anche se esiste anche la variante con patate di Stobrawa, più costosa da produrre), la prima citazione della wodka in un documento ufficiale risale al 1405, in testi giudiziari che si riferiscono a medicinali e cosmetici a base alcolica. Ma solo un secolo e mezzo più tardi, il re polacco approverà una legge per consentire la produzione e la vendita di alcolici nel regno. È quindi dalla metà del XVI secolo che la produzione di vodka, spesso aromatizzata con erbe e frutta, trova ampia diffusione nel contesto familiare, e allo stesso tempo cresce vertiginosamente il numero di distillerie concentrate nelle grandi città, Cracovia e Danzica in testa. Poi produzione e commercio del distillato – diventato uno dei business più fiorenti del regno – si intrecciano con i privilegi sociali: alla metà del XVII secolo la nobiltà polacca ottiene il monopolio in tutto il Paese, la ricetta della vodka di segale viene canonizzata, mentre solo a partire dal XIX secolo anche in Polonia si diffonde l'abitudine di distillare le patate. E nel corso del Novecento la produzione passa al monopolio di stato, con un controllo che si rafforza progressivamente fino al 1973, quando le distillerie di proprietà statale vengono ribattezzate Polmos. Alla fine degli anni Novanta, però, il comparto è stato privatizzato, aprendo la strada alla moltiplicazione dei marchi. Il nuovo museo racconta ai visitatori tutto questo, tracciando anche l'evoluzione di consumo e gli esiti sul costume nazionale; per esempio, “in epoca di crisi economica e di povertà”quando“la vodka era utilizzata come moneta di scambio contro altri prodotti difficilmente trovabili”, ha spiegato il presidente della Fondazione vodka polacca Andrzej Szumowski in occasione dell'inaugurazione del museo.

Il percorso museale

Quattro anni di lavori sono serviti per rimuovere i vecchi macchinari e articolare un percorso multimediale che alterna spazi espositivi, una sala proiezioni, la stanza dedicata all'esposizione delle bottiglie che hanno fatto la storia della vodka polacca (perennemente in disputa con la Russia per stabilire il primato sull'origine del distillato). Facilmente individuabile per l'alta ciminiera che ricorda il passato industriale dell'edificio, il museo è raggiungibile in auto (o mezzi pubblici) in 20 minuti dal centro di Varsavia. L'auspicio è che possa diventare presto un'altra attrazione turistica della città (noi, qualche suggerimento e gli indirizzi giusti per scoprire Varsavia a tavola ve li abbiamo raccontati qualche tempo fa).

 

a cura di Livia Montagnoli

Dove mangiano gli chef in vacanza. I ristoranti del cuore di Moreno Cedroni e Salvatore Tassa

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Mangiare cullati dalle onde del mare o il fruscio dei boschi di montagna, ma anche in città: la guida gastronomica per le vacanze estive in Italia si arricchisce di tanti golosi indirizzi grazie ai consigli dei nostri migliori chef. I ristoranti preferiti di Moreno Cedroni e Salvatore Tassa. 

 

Mai come quest'anno, scegliere il ristorante perfetto per le vacanze estive diventa un'operazione alla portata di tutti. Con le indicazioni dei grandi chef italiani, anche il meno esperto potrà godersi un pasto d'autore, seguendo i consigli degli addetti ai lavori. A tracciare l'itinerario gastronomico per l'estate, questa volta sono Moreno Cedroni (La Madonnina del Pescatore, il Clandestino Susci Bar, Anikò) , anticipatore di tendenze, inventore di uno dei primi concept restaurant e di formule innovative che hanno segnato la strada di un'avanguardia ristorativa, e Salvatore Tassa (Le Colline Ciociare), interprete di una cucina rurale, tutta tecnica e prodotto, una cucina dalla matrice contadina e raffinatissima, calibrata in ogni dettaglio, capace di regalare emozioni intense.

Al Nord della costa marchigiana

Porto Recanati è il più settentrionale dei borghi sul litorale di Macerata, un comune che, fra acque cristalline, spiagge, agriturismi e villaggi, ha fatto del turismo estivo il suo punto di forza. E che non rinuncia a una ristorazione di qualità, con insegne di livello dove è possibile gustare il meglio delle eccellenze locali. Uno dei punti di riferimento è Il Tiglio in Vita, fra gli indirizzi del cuore di Cedroni, un locale che rappresenta a pieno la forza d'animo e lo spirito orgoglioso dei marchigiani: dopo che il terremoto ha distrutto Il Tiglio di Montemonaco, Enrico Mazzaroni e Gianluigi Silvestri si sono rimessi in gioco, ricreando il ristorante sulla costa, con tanto di vista panoramica. Le proposte, stavolta, sono quelle di mare, elaborate da Enrico con la stessa cura che poneva nei suoi piatti di carne, accompagnate da una carta dei vini sempre ottima che continua ad ampliarsi per andare incontro al nuovo menu.

 

seta

A Senigallia, per la cucina di tradizione

Torniamo a Senigallia, casa dello chef, per scoprire un locale intimo e dall'atmosfera informale e accogliente. È Seta, ristorante dalla cucina solida che riprende i grandi classici della gastronomia locale, dai piccioni ripieni alle tagliatelle al ragù, dagli gnocchi con sugo di papera al coniglio. E poi antipasti ricchi, succulenti, con formaggi e salumi del territorio, serviti in porzioni generose in abbinamento a una selezione contenuta ma ben studiata di vini marchigiani. A completare l'offerta, il servizio caldo e familiare in grado di far sentire ogni ospite speciale.

Sulla costa livornese

Non solo Marche, però: amante del mare, lo chef non rinuncia a una gita fuori porta, sul versante opposto, sulle spiagge livornesi. In particolare, è a Marina di Bibbona che Moreno va per gustare le specialità della costa toscana da La Pineta, il locale di Luciano Zazzeri, guru della provincia livornese (nonostante gli abitanti del luogo definiscano affettuosamente il ristorante “la baracca dello Zazzeri”). Un altro uomo di mare, un pescatore con un rispetto profondo per la materia prima, che ai fornelli si diletta fra crudi di livello e affumicature da maestro. Un pesce fresco declinato in tante varianti, dai primi saporiti e veraci ai secondi più ricercati, da gustare insieme alle bottiglie della cantina rifornita, con una selezione di champagne straordinaria.

 

ai due platani

A Parma, per gli amanti della pasta

Mare e montagna a parte, per l'estate c'è anche chi sceglie di andare (o restare) in città, dove un buon pasto è sempre assicurato. Salvatore Tassa, amante di una cucina di sostanza, ci indica tre trattorie, dove la materia prima fa la parte del leone e le proposte sono schiette e senza fronzoli. A cominciare da Ai Due Platani di Parma, il convincente locale di Giancarlo Tavani, cresciuto professionalmente all'Ambasciata di Quistello, un oste dalle idee chiare, che si ispira ai sapori della vera cucina emiliana. Tanta pasta, naturalmente, soprattutto quella ripiena, preparata espressa da Gianpietro Stancari, che si destreggia fra tortelli d'erbette con parmigiano e due ricotte, ravioli di coniglio di Carmagnola con il suo fondo, aneto e datterini e tante altre specialità fatte in casa, tirate sottilmente, come impone la tradizione. E poi salumi del territorio, carni e l'immancabile Parmigiano Reggiano, proposte ideali per cominciare il pasto insieme a un buon bicchiere di vino o Champagne scelto dall'ampia carta a disposizione.

Trattoria come una volta a Bologna

Restiamo in Emilia, precisamente a Bologna, capoluogo che negli ultimi anni ha destato l'attenzione degli appassionati gastronomi grazie alle tante nuove aperture e alle ghiotte novità non solo di tradizione. Qui, però, lo chef ama pranzare in un'osteria dal fascino retrò e l'atmosfera ferma nel tempo, un locale frequentato sempre dalla stessa clientela affezionata, dal servizio accogliente e i piatti robusti e golosi. Niente carta dei vini alla Trattoria Bertozzi, ma solo proposte del giorno alla mescita scritte sullo specchio nella sala interna, e poi grandi classici bolognesi, dalle tagliatelle al ragù ai tortellini. Un approdo sicuro per tutti i buongustai in cerca di un locale d'altri tempi, che nelle giornate più calde potranno rilassarsi nel bel dehors esterno.

In Lombardia, per ritrovare il senso della convivialità

Quella dello sharing table, il tavolo sociale da condividere con gli altri commensali, è oggi una scelta che fanno in molti, soprattutto i titolari dei locali più d'avanguardia, bistrot moderni e polivalenti. All'Osteria della Villetta dal 1900, le lunghe tavolate sono presenti da sempre, da tempi non sospetti, proprio per sottolineare il valore della convivialità durante i pasti. Si tratta, infatti, di un'osteria storica e moderna al contempo, situata in un punto strategico, a fianco alla stazione ferroviaria di Palazzolo sull'Oglio, Brescia, con un ambiente rustico che non stanca mai. Non fatevi ingannare, però, dall'aspetto familiare: la sala gira come un orologio e l'offerta, seppur profondamente legata alla cucina di casa, è curata nei minimi dettagli, dalla ricerca delle (squisite) materie prime all'impiattamento. La cantina è coadiuvata dal patron Mauri, amante del buon bere con un debole per il Franciacorta, che qui troviamo declinato in tutte le sue sfumature.

GLI INDIRIZZI

Ai Due Platani – Parma – fraz. Coloreto s.da Budellungo, 104 a – 0521645626 - www.facebook.com/aidueplatani/

Il Tiglio in Vita – Porto Recanati (MC) – l.mare Scarfiotti, 47 – 0719798839 - www.facebook.com/IlTiglioInVita/

La Pineta – Bibbona (LI) – loc. Marina di Bibbona via dei Cavalleggeri Nord, 27 a – 0586600016 – www.lapinetadizazzeri.it

Osteria della Villetta dal 1900 – Palazzolo sull'Oglio (BS) – via G. Marconi, 104 – 0307401899 – www.osteriadellavilletta.it

Seta – Senigallia (AN) – Strada intercomunale in fraz. di San Silvestro, 174 -
071665039- www.facebook.com/Ristorante-Seta-358988044357/

Trattoria Bertozzi – Bologna – via Andrea Costa, 84/2 d - 0516141425- www.facebook.com/Trattoria-Bertozzi-154194264612997/

GLI CHEF

Le Colline Ciociare – Acuto (FR) – via Prenestina, 27 – 077556049 – www.salvatoretassa.it

La Madonnina del Pescatore – Senigallia (AN) – lungomare Italia, 11 - 071698267- www.morenocedroni.it/la-madonnina-del-pescatore/il-locale/

Il Clandestino Susci Bar – baia di Portonovo (AN) - 071 801422- http://www.morenocedroni.it/clandestino/il-locale/

Anikò – Senigallia (AN) - piazza Saffi, 10- 071 7931228- http://www.morenocedroni.it/aniko/il-locale/

I treni storici del gusto. L'itinerario gastronomico sulle linee ferroviarie siciliane

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Un viaggio della memoria alla scoperta della Trinacria, in una carrozza anni '30 in giro per le più suggestive linee ferroviarie dell'isola. Torna il programma itinerante della Fondazione FS Italiane e Regione Sicilia, che quest'anno si arricchisce di tanti percorsi gastronomici. 

 

Il progetto

Attraversare la Sicilia, con i suoi paesaggi, i suoi scorci mozzafiato, le sue sfumature cromatiche, assaporandone tutti i sapori migliori: è l'itinerario studiato da Fondazione FS Italiane e Regione Sicilia, un percorso alla scoperta delle bellezze regionali, quelle storiche, naturalistiche, artistiche, ma anche gastronomiche. Si chiama I treni storici del gusto e, come si intuisce dal nome, si tratta di un'iniziativa (già collaudata lo scorso anno) che in questa edizione si arricchisce di tante ghiotte novità. 23 itinerari a bordo di una carrozza anni '30, da Ragusa a Siracusa, passando per i centri storici di Modica, Noto, Scicli, Ragusa Ibla, e poi le linee costiere, la jonica e la tirrenica, che approderanno a Taormina, Catania, Cefalù, Palermo e Messina.

La gastronomia

Un viaggio che comincerà il prossimo 28 luglio e proseguirà fino a dicembre, fra patrimoni archeologici (la linea storica Agrigento, da Porto Empedocle al parco archeologico di Akragas, da Palermo a Segesta), e gastronomici. Sarà infatti la ricca cultura culinaria dell'isola la protagonista dell'iniziativa: i viaggiatori potranno degustare - a bordo del treno e a terra - tanti piatti tipici locali, prendendo parte a sagre, manifestazioni culturali, eventi e festival in scena nei vari comuni, alla scoperta dei prodotti del territorio, le specialità e le ricette più antiche che nel tempo hanno forgiato l'identità dei vari borghi.

Il turismo lento

Una manifestazione itinerante concepita all'insegna del turismo lento, modello di viaggio sempre più in voga che alla fretta e la velocità preferisce il relax e la calma, ritrovando del tempo di qualità da spendere in visite guidate, lunghe passeggiate nella natura e soste rinfrancanti di fronte a un buon piatto. 50 corse per esplorare gli angoli più belli della Sicilia e assaggiare i prodotti migliori, all'insegna della condivisione e della convivialità, facendosi guidare dalla celebre carrozza “centoporte” dal fascino retrò.

I percorsi

A inaugurare il percorso, il “Treno dei pani votivi, feste del mare e dolci conventuali”, che percorrerà la valle dei templi di Agrigento, ma ci sarà anche il “Treno della cucina di strada e dei riti del mare”, che da Catania arriverà alle Gole dell'Alcantara, il “Treno del pistacchio” e quello del barocco, il “Treno del torrone, del cioccolato e di altre dolcezze”, da Caltanissetta a Modica, il “Treno delle pizze, focacce e ciambelle”, il “Treno delle dolci devozioni”, da Catania a Dittaino, il “Treno del gelato nelle terre dei Nebrodi”, da Messina a Palermo, il “Treno dei dolci e dei formaggi del Val di Mazara”, da Palermo a Caltanissetta, il “Treno dell'olio e del pane nero”, da Palermo a Castelvetrano, tanto per citarne alcuni. Per un viaggio del gusto che ai profumi della Sicilia coniuga i tesori più belli dell'isola.

www.fondazionefs.it/content/fondazione/it/it/notizie/archivio/2018/7/12/treni-storici-del-gusto-sicilia-2018.html

a cura di Michela Becchi

Francesco Guccini racconta il Lambrusco

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In occasione di uno speciale sul Lambrusco, uscito nel numero di giugno del Gambero Rosso, abbiamo chiesto al cantautore Francesco Guccini di raccontarci i suoi ricordi legati al Lambrusco. Leggete e godete.

 

Beh, qui non siamo nelle osterie di fuori porta… Il Lambrusco si beve a Modena, non a Bologna. È quella la capitale del Lambrusco, anzi “dei” Lambruschi: da giovane preferivo il Salamino, più frizzante, più aspro e secco; ora invece mi oriento sul Castelvetro, più corposo. In tavola, quando qualcuno di Modena ti invita a cena, mette sempre del Lambrusco, quel vino che sta dentro al pistoun, così si chiama la bottiglia in dialetto. Da ragazzi, andavamo spesso a farci un pistoun, dagli amici che avevano una casa in campagna vicino alla città: ricordo l’odore del mosto; era un vino che non aveva l’etichetta, quasi tutti quelli che avevano un po’ di terra se lo facevano in casa. Arrivavamo, si affettava un salame e si faceva merenda immersi in nuvole di moscerini mentre si beveva il Lambrusco vecchio: il nuovo si stava ancora facendo.

Mio nonno e i parenti da parte di madre, a Carpi, avevano il loro Lambrusco. Mentre mio padre, che era di Pavana, beveva un vino che era il Sangiovese della piana di Pistoia, un simil Chianti. Il Lambrusco, i toscani, proprio non lo concepivano, tanto che esso era al centro di polemiche e divertenti sfottò. I toscani lo vedono male il Lambrusco. E i piemontesi pure. Più volte ho discusso nel passato con Carlin Petrini: lui ci prendeva in giro, diceva che il Lambrusco non era un vino, ma una bibita gasata. Ma non è così. È un vino conosciuto, anche nel mondo. Ricordo in particolare due episodi riguardanti il Lambrusco e legati ad alcune mie esperienze di viaggio negli Stati Uniti: anni fa insegnavo Italiano agli studenti del College di Carlisle, in Pennsylvania. Vicino al college c’era un bar notturno: entro con un amico e vedo due ragazzi chiedere al barista “a glass of Lambrusco wine, please!”. Lui non fa una piega, tira fuori un bottiglione da due litri pieno a metà, prende un bicchiere di plastica pieno di ghiaccio, ci versa il vino e ci spruzza dentro del seltz. “Ma questo non è Lambrusco”, ribatto subito io. Lui, imperterrito, mi guarda e fa: “Beh, a noi piace così”.

Negli anni ’70 il Lambrusco approdò in America, tanto che era abbastanza conosciuto lì. Certo, a modo loro! Ricordo che da giovane, mentre ero in vacanza a New York, il padre di un mio amico portò me e suo figlio a mangiare in un ristorante italiano di livello. Arrivano i salumi e il papà del mio amico mi chiede consiglio su quale vino bere. Io mi lancio: “Un Lambrusco, direi”. Il cameriere messicano sorride e va a cercare. Torna con una bottiglia che non so da quanti anni fosse lì, piena di polvere. La prendo in mano e leggo in etichetta: “addizionata con anidride carbonica”. Guardo il messicano e commento: “Ma questo non è Lambrusco!”. Il cameriere sembra quasi offendersi e insiste, giura che il vino è quello giusto. Ma quando gli ribatto – in dialetto e a muso duro – che non può mica venirlo a dire a me, che son modenese, allora decidiamo di prendere un altro vino, più tradizionale.

Insomma, anche se Giacobazzi, all’inizio degli anni ’80, cominciò a vendere Lambrusco (che in realtà era un vino rosso o bianco, senza indicazione del vitigno) in lattina – 8 e ½ lo chiamava, giocando tra grado alcolico e la fama del film di Fellini – e anche se in quegli anni sembrava essere quello il futuro, in realtà non andò proprio così. E il Lambrusco non è quello. È l’essenza stessa di Modena, fa pendant con lo zampone. E ha tutto il diritto di essere considerato un vero vino.

 

a cura di Francesco Guccini

 

Articolo uscito sul Gambero Rosso di giugno. Un numero tutto rinnovato che potete trovare in versione digitale su App Store Play Store

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COSA TI SEI PERSO

Nel numero di giugno del Gambero Rosso trovate il racconto completo sul Lambrusco metodo ancestrale con le interviste ai rappresentanti più virtuosi. Un servizio di 9 pagine che comprende anche il punto di vista di Marco Sabellico e Francesco Beghi, e del maître e sommelier dell'Osteria Francescana Giuseppe Palmieri. Non solo, c'è poi un utile glossarietto per orientarsi al meglio, la spiegazione delle 4 denominazioni del modenese, gli indirizzi utili dove poter bere un eccellente Lambrusco metodo ancestrale e le note di degustazione. Il tutto reso ancor più comprensibile dalle infografiche di Alessandro Naldi.

Altrove 2018: il festival delle arti di Catanzaro apre le porte alla ristorazione

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Le manifestazioni artistiche che si aprono al mondo dell'enogastronomia: accade a Catanzaro, dove l'8 e il 9 agosto 2018 andrà in scena il festival delle arti Altrove, che quest'anno raduna anche diversi chef italiani. 

 

Il festival

Rieducare il pubblico al concetto di bellezza, in luoghi ormai rassegnati al degrado, dimostrando che costruire un futuro diverso è possibile. È questa la filosofia che da cinque anni a questa parte delinea il festival delle arti Altrove, manifestazione di Catanzaro che chiama a raccolta artisti di tutto il mondo, e che quest'anno torna nella città calabrese i prossimi 8 e 9 agosto. La quinta edizione fa il punto sul lavoro fatto in questi anni, ponendo ancora al centro di tutto la sperimentazione artistica d'avanguardia e la riflessioni sui nuovi modi di vivere, abitare e ripensare la città contemporanea. Saranno 10 gli artisti provenienti da tutta Europa protagonisti della due giorni all'insegna dell'arte, impegnati in una storica mostra collettiva al Museo Marca e nella realizzazione di una nuova opera d'arte pubblica contemporanea.

La gastronomia come forma d'arte

Titolo di questa edizione è Post-Graffiti Stress Disorder, per sottolineare l'importanza del fenomeno artistico più discusso degli ultimi 50 anni, tra talk show, presentazioni, seminari e dibattiti fra ospiti internazionali intenti a discutere della possibilità di un'avanguardia artistica. Ma ci saranno anche gli artisti italiani, chiamati a raccontare la propria esperienza. Vera novità di quest'anno, però, è l'introduzione di un'altra forma d'arte, la gastronomia, fortemente voluta dall'agenzia di comunicazione e studio creativo “Cultivar” di Alberto Bloise e Nanni Scardina, specializzata nel mangiare e nel bere e impegnata nell'intera organizzazione della nuova rassegna di gastronomia per Altrove.

I protagonisti

E così, proprio nell'Anno del Cibo Italiano, che si propone di approfondire l'indissolubile legame che c'è fra arte e cibo, all'Altrove ci sarà Luca Abbruzzino, pluripremiato chef di Catanzaro, a rappresentare la ristorazione locale. E poi Sarah Cicolini di Santo Palato, Roma, Luciano Monosilio, che dal prossimo settembre debutterà per la prima volta con un progetto tutto suo nel cuore della Capitale, Arcangelo Tinari, figlio d'arte alla guida del ristorante di famiglia Villa Maiella di Guardiagrele, in provincia di Chieti, che porterà alla manifestazione la sua esperienza di chef ma anche di allevatore, e Nino Rossi, classe '81, che dopo anni in giro per l'Italia e l'Europa è tornato in Calabria al Qafiz, uno dei migliori esempi della ristorazione contemporanea della regione.  Per dimostrare ancora una volta quanto quello artistico e quello gastronomico siano due universi da sempre vicini e convergenti, attraverso una mostra dinamica, in movimento, che rompe gli schemi dei classici vernissage, e si propone come punto di congiunzione fra i due mondi.

Altrove – Catanzaro – 8-9 agosto 2018 - www.altrovefestival.it/

È morto Joel Robuchon. Dopo Paul Bocuse, l’addio a un altro grande chef della cucina francese

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Classe 1945, Robuchon si era ritirato dalle cucine a 50 anni, dopo aver conquistato tutto. Ma aveva continuato a divulgare un’idea di cucina basata sul perfezionismo al servizio della semplicità, protagonista in tv e in libreria. Celebre l’intuizione de L’Atelier, moderna formula di ristorazione gourmet che ha avuto successo in tutto il mondo. 

 

Si era aperto con la perdita di Paul Bocuse e continua nel segno dei grandi lutti il 2018 della cucina francese. Joel Robuchon, classe 1945 e chef più stellato del mondo (con la sua trentina di stelle conquistate un po’ in tutto il mondo, ben 32 prima della recente chiusura di due insegne del gruppo a Singapore), si è spento qualche ora fa a Ginevra, in Svizzera, dove era ricoverato in gravi condizioni. Un anno fa, riferisce Le Figaro dando ampio spazio alla notizia che getta la Francia in lutto nazionale, il cuoco 73enne era stato operato per un tumore al pancreas, e il suo fisico era rimasto molto debilitato. Nato a Poitiers, figlio di un minatore e in giovane età avviato a prendere i voti, la scoperta della cucina arriva presto e repentina, tanto da cambiare i piani del giovane Robuchon, che di brigata in brigata conquista tra pentole e fornelli la sua autorevolezza nel mondo della ristorazione francese, fino al riconoscimento come Miglior artigiano di Francia (MOF) al compimento dei 30 anni (nel 1976).

Gli anni Ottanta sono ricchi di traguardi e riconoscimenti: dopo le due stelle conquistate al ristorante dell'hotel Nikko, apre il suo primo ristorante a Parigi, Le Jamin, nel 1981, che lo porterà ad appuntarsi sul petto i tre macaron della Michelin (tre stelle in tre anni). Ma sarà l’altra celebre guida nazionale, Gault&Millau, a consacrarlo nell’Olimpo dell’alta cucina francese all’inizio degli anni Novanta, assegnandogli il titolo di cuoco del secolo.

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La divulgazione e L’Atelier: la cucina è semplicità

Molto incline alla divulgazione e alla condivisione dell’arte gastronomica, Robuchon ha pubblicato moltissimi libri, diventando al contempo un volto televisivo molto amato, promuovendo sempre la semplicità in cucina, “che è la cosa più difficile”, come amava ripetere, fedele a una condotta sul lavoro quasi maniacale, che nulla lasciava al caso. E insieme ha saputo costruire un impero della ristorazione ideando il modello de L’Atelier, un concetto di alta cucina accessibile e felice di mostrarsi in tutta la sua schiettezza, esaltando il prodotto e mettendo al suo servizio creatività, tecnica ed estetica del piatto (con cucina a vista progettata per interagire col commensale). Una formula vincente e innovativa -  esemplata sul modello del sushi bar filtrato attraverso l'esperienza del tapas bar, ma senza rinnegare la storia della ristorazione francese pur rinfrescandone la liturgia all’insegna della convivialità -  che dopo il debutto quasi simultaneo a Parigi e Tokyo nel 2003, si è rapidamente moltiplicata nel mondo, prima in America (dove di recente ha riaperto la sede di New York) e ancora nel Sud Est Asiatico, dove il locale di Singapore ha chiuso definitivamente prima dell’estate. Mentre alle parole di Carlo Cracco la primavera scorsa era affidata la speranza che presto L’Atelier potesse debuttare anche a Milano, all'Arco della Pace. Era insieme cuoco geniale e imprenditore di successo Joel Robuchon, proprio come l’amico e collega Paul Bocuse, scomparso lo scorso gennaio. Dalle cucine si era ritirato a 50 anni (solo un anno dopo l’apertura, nel 1994, del ristorante Joel Robuchon), e gli ultimi 20 anni li ha dedicati tutti a trasmettere la sua idea di cucina in Francia e nel mondo, senza inutili virtuosismi: tra i suoi piatti più famosi, non a caso, c’è il purè di patate - diventato un'icona degli anni Ottanta -  ma tante sono le ricette che valorizzano gli ingredienti del territorio con soluzione moderne e senza tempo, che di Robuchon hanno fatto "un genio visionario della gastronomia", come titola oggi Le Figaro.

Non si fa attendere l'omaggio dei colleghi: "Se n'è andato il migliore tra noi" scrive Pierre Gagnaire; "Era formidabile, straordinario, il Principe della cucina francese" dice Marc Veyrat "e mi ha ispirato molto". E lo ricorda con stima e affetto anche Gordon Ramsay, che con lui, a Le Jamin, ha mosso i primi passi in cucina: "Abbiamo perso 'the Godfather of Michelin'. Grazie chef". "Un giorno di grande tristezza" anche per Anne Sophie-Pic "perché con la scomparsa di questo grande visionario c'è un po' della nostra storia che se ne va"; e per la sua unicità lo ricorda anche David Chang: "Ho sempre pensato a te come fossi il Bill Walsh della cucina, hai completamente cambiato le regole del gioco, in ogni modo possibile". L'omaggio dei fratelli Adrià, invece, passa attraverso la Tarta Robuchon che i due avevano dedicato in vita al maestro. "Grazie per tutto quello che hai fatto", scrive semplicemente Dominique Crenn.


Stefano Callegari senza freni. Apre La Rossa a New York e a Miami, rilancia lo storico Charro Cafe a Roma

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Con un gruppo di soci italiani e italoamericani, il pizzaiolo romano scommette su un nuovo progetto a New York, dopo il lancio di Trapizzino. Prima a Soho, poi al West Village, La Rossa sarà pizzeria con bar per colazione ed aperitivo. In menu pizza tonda e in teglia. E a settembre parte anche il progetto Charro Cafe a Roma, con Flavio De Maio. 

 

I prossimi progetti di Stefano Callegari. Charro Cafe

Si chiamerà semplicemente La Rossa, ed è l’ennesima scommessa sulla pizza di Stefano Callegari. Con il lancio di una nuova insegna il pizzaiolo romano continua la sua avventura oltreoceano, dove ha già dimostrato quanto vale con i suoi Trapizzini - la tasca di pizza ripiena di specialità della Roma popolare – che oggi vantano due locali a New York, in società (da 10 anni) con l’amico di sempre Paul Pansera. Che Stefano sia incapace di stare fermo, ed estremamente generoso nel condividere con altri la sua passione per la pizza e il cibo, lo dimostrano i moltissimi progetti inanellati con frequenza crescente negli ultimi tempi: oltre alle pizzerie Sforno, Tonda, Sbanco e al Trapizzino che in Italia vanta punti vendita a Roma, Firenze e Milano, oggi alla voglia di giocare con gli impasti e il buon cibo artigianale tout court fanno capo pure la pizzeria ER di Maccarese (sul litorale romano, “sta andando benissimo, abbiamo conquistato soprattutto gli abitanti di Maccarese, e questo ci fa ben sperare per l’inverno”), il Dopolavoro non distante da piazza San Pietro, il work in progress del Charro Cafe, con la complicità di un altro amico storico, Flavio (al Velavevodetto) De Maio. Proprio lo storico locale di ispirazione messicana che per vent’anni ha animato le notti della movida testaccina sarà la prima delle novità di fine estate che Stefano ha in serbo per chi ama la pizza: “Lo spazio giusto per lavorare sulla pizza romana, che è pronta per vivere la sua rinascita, come dimostrano le ultime aperture in città. Con Flavio ci divertiremo anche a rispolverare un po’ di cultura anni Ottanta, una goliardata che passa per i tortellini con la panna, il cocktail di gamberi, le pennette alla vodka… Ma ci saranno anche un paio di piatti messicani, in omaggio alla storia dell’insegna”. Tempi d’attesa previsti? “Alla fine di agosto arriverà il forno Valoriani, dalla metà di settembre ci piacerebbe essere operativi”. E pronti ad accogliere anche gruppi numerosi, visto gli spazi generosi che il locale al Monte dei Cocci porta in dote.

La Rossa a New York

Prima però, Stefano volerà ancora una volta a New York per perfezionare il nuovo progetto di cui sopra, La Rossa, “una catena di pizzerie che prenderà le mosse da New York per replicare presto anche a Miami, e in contemporanea in Italia”. Il progetto è frutto dell’incontro tra più soci italiani e italoamericani, per vari motivi legati a New York, come l’ex proprietaria del ristorante italiano Le Streghe, ma il collante è stato un giovane imprenditore di Noci (provincia di Bari), che ha coinvolto Stefano con l’intenzione di creare un brand dedicato alla pizza di appeal internazionale: “Specialmente il primo locale, al 267 di Lafayette Street, non distante da Soho, avrà un’atmosfera piuttosto raffinata, con soluzioni che speriamo faranno presa sul target che gravita intorno agli atelier della zona”. Non a caso la pizzeria lavorerà in soft opening durante la Fashion Week newyorkese, dal 6 settembre, anche se l’inaugurazione al pubblico è prevista per il 21 del mese. Ottanta metri quadri in tutto per un locale che vivrà da mattina a sera, “non solo una pizzeria con servizio al tavolo, ma pure un bar con caffetteria al mattino e proposta per l’aperitivo, operativo dalle 8 alle 23”. Proprio per questo, oltre alla tonda (da forno Neapolis), La Rossa proporrà anche pizza in teglia “da bigiotteria”, come la definisce con ironia Stefano facendo riferimento al particolare bancone del bar, “tutto in vetro trasparente, con le teglie in bella mostra sotto al piano d’appoggio di caffè e bicchieri”; a scelta tra rossa, margherita, fiori, focaccia pugliese, bianca, anche da riempire. Una trentina in tutto i coperti, compreso qualche posto su strada, supplì per cominciare, poco più di una decina di pizze classiche e d'autore in menu (dalla Rossa alla Cetara, dalla mitica Cacio e Pepe alla Greenwich, e poi Tropeana, Spilinga, Elorina) e qualche piattino da spizzicare, “burrata e pomodori, zucchine alla scapece e stracciatella, mortadella affettata con la Berkel, il mio roman humus con rosmarino, aglio e una goccia di pomodoro: tutto l’insieme dovrà parlare di italianità”.

 

Il piano d’espansione

Entro la fine di ottobre l’insegna raddoppierà in uno spazio più grande al West Village, al 64 di Downing Street, “con 100 coperti e un’impostazione decisamente più legata alla pizzeria tradizionale, che vivrà soprattutto del servizio serale al tavolo”. Poi, entro Natale, il debutto a Miami. E, per non farsi mancare niente, un paio di aperture anche a Noci, in Puglia: “Il mio socio ci crede molto, e anch’io sono convinto che la pizza possa diventare un punto d’attrazione anche in località non proprio centrali. Basti pensare a quel che ha fatto Franco Pepe a Caiazzo!”. L’impasto è quello che Stefano porta con sé, “sempre lo stesso sulla carta, ma ricordiamoci che la pizza è viva, cambia secondo l’umore, il contesto, la mano… E questo è il suo pregio”. Al lavoro, a New York, ci sarà una squadra di pizzaioli italiani, che Stefano (con loro in affiancamento per la prima settimana) conosce bene: “Un ragazzo pugliese già al lavoro a Maccarese, Mario Panatta di Pizza Chef, una giovane pizzaiola di Avezzano”. Tutto è pronto per cominciare, in una città dove la pizza (e i pizzaioli italiani) ormai sono di casa.

 

La Rossa - New York - 267, Lafayette street - dal 21 settembre - larossalove.com

 

a cura di Livia Montagnoli

Uazz’America, la cucina a stelle e strisce: side dishes, i contorni degli States

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Negli States si chiamiamo side dishes, e accanto al secondo – oltreoceano detto main course – si possono trovare verdure d’ogni genere, mais, funghi, tuberi al cartoccio ma anche sorprese come una tazza di minestra, riso o la rielaborazione della pasta. Tutte le opzioni che affiancano il secondo negli States sono figli di una particolare tradizione.

 

Fra i side dishes più popolari ci sono quelli che impiegano un ingrediente nato in America ma elaborato in tutto il mondo: le patate. Oltreoceano, sono centinaia le ricette con le patate, incluse quelle che adoperano le patate dolci, le yams arancioni, o quelle viola, tutte originarie dell’America centrale e meridionale. Originarie del Cile e Perù, le patate arrivarono in Europa verso il 1500, portate dai primi esploratori di ritorno dalle spedizioni nel Nuovo Mondo. Le coltivazioni su vasta scala iniziarono solo nel ‘700, grazie a un'iniziativa del re di Francia Luigi XVI. Nelle Americhe, invece, la patata è sempre stata una parte molto importante dell'alimentazione base, tanto che le popolazioni native Inca ne conoscevano addirittura 60 varietà differenti. Quest'abbondanza permetteva di coltivarle nei luoghi e climi più disparati, dalle zone aride alla costa, passando per valli lussureggianti fino a rilievi di oltre 4000 metri. Oggi è in corso una riscoperta delle varietà tipiche e una rivalutazione della biodiversità anche a partire dal lavoro di grandi chef come Gaston Acurio e Virgilio Martinez, impegnati proprio nella tutela e valorizzazione del patrimonio locale.

Potato salad

Fra le ricette di side dishes con le patate, la più golosa è la potato salad, ovvero l’insalata di patate, che molto probabilmente ha avuto origine da ricette portate negli Stati Uniti da coloni tedeschi ed europei durante il XVIII secolo. Si tratta di un piatto semplice, fatto con patate lesse e una varietà di altri ingredienti, che ricorda la nostra insalata russa. L'insalata di patate è generalmente considerato un contorno in quanto solitamente accompagna il piatto principale di carne. Si tratta di un classico da picnic, e un must da barbecue in giardino, da servire tassativamente fredda. Tra gli ingredienti si trovano spesso la maionese - ma anche sostituti quali yogurt o panna acida – erbe e spezie, e verdure come cipolla e sedano. Io amo metterci anche una julienne di carote e qualche cetriolino sminuzzato. C’è chi in America ne fa un piatto più sostanzioso includendovi anche le uova sode.

La potato salad è incredibilmente semplice da preparare. Si fanno bollire le patate con la buccia, preventivamente ben lavate. A seconda di come vi piace, una volta raffreddate, tagliate o affettate le patate. Io amo la mia potato salad a pezzettoni grandi, taglio quindi le patate in cubi da 2cm circa. Se le patate non sono del tutto raffreddate, prima di condirle, passatele un’ora nel frigo. Nel frattempo lavate e tagliate a piccole rondelle i gambi di sedano, tagliate a julienne le carote e tritate cipolla rossa e cetriolini. Il condimento è altrettanto semplice, 2-3 cucchiai di maionese (meglio se fatta in casa!), un pizzico di sale e pepe nero, mescolando bene in modo che la maionese sia ben distribuita. La potato salad va tenuta in frigo fino al momento di servirla, appena spolverata di paprika affumicata ed erba cipollina finemente tritata.

French fries

La diffusione delle patate nella dieta americana di tutti i giorni si deve però anche ai cugini d’oltralpe. Infatti non si può parlare di patate negli States senza parlare di Frenchfries. I francesi sostengono che le patate fritte a bastoncino siano state inventate a Parigi nel 1789 durante la rivoluzione francese in seguito ad una campagna voluta da Antoine Parmentier per la promozione delle patate in Francia. Altri invece, nonostante il nome, sostengono che le Frenchfries non siano affatto francesi ma che siano originarie del Belgio, dove si dice che le patate si friggevano già alla fine del 1600. Secondo la tradizione locale belga, gli abitanti più poveri dei villaggi della Valle Meuse spesso mangiavano piccoli pesci fritti catturati nel fiume. Durante i mesi invernali il fiume si congelava rendendo impossibile la pesca e costringendo gli abitanti dei villaggi a trovare altre fonti di cibo. Una di queste era il tubero, che cresceva abbondante in quelle terre a seguito della diffusione in Europa nel secolo precedente. Le patate erano affettate e fritte nello stesso modo in cui si preparava il pesce. E proprio così, pare siano nate le prime patate fritte. I soldati americani di stanza in Belgio assaggiarono per la prima volta questa specialità durante la prima guerra mondiale. La lingua ufficiale dell'esercito belga era il francese, e i soldati soprannominarono quindi i bastoncini di patate fritti French fries. Il nome rimase quello e a oggi c'è chi sostiene che in USA stiamo ancora dando credito al paese sbagliato per questa ricetta.

 

Ma i contorni degli States vanno ben oltre le patate, sia ben chiaro.: ci sono insalate d’ogni genere che non passano mai di moda, oppure – fra i trend più popolari degli ultimi tempi – i cavoletti di bruxelles, il cavolfiore (usato anche per burger vegani e purée senza patate) e l’avocado, attuali protagonisti indiscussi delle tavole d’oltreoceano. Poi ci sono verdure al forno, vellutate varie e soluzioni vegetariane d’ogni genere. Ma se vogliamo puntare la lente d’ingrandimento sui contorni tradizionali d’America, i side dishes più amati – oltre alle patate - restano coleslaw e baked beans.

Cole slaw

Gli immigranti olandesi che si stabilirono a New York (a quell'epoca chiamata New Amsterdam), coltivavano cavoli attorno al fiume Hudson, e lo stato di New York è ancora oggi il primo produttore di cavoli in America. Gli olandesi introdussero nella loro nuova terra anche la "koosla". Parola formata dai termini "kool" parola olandese per cavolo, e insalata, "sla". Nel tempo, il koosla è stato americanizzato in cole slaw. La ricetta apparve per la prima volta 1785, appena 30 anni dopo la nascita della maionese.

La coleslaw viene generalmente consumata come contorno di pietanze quali pollo fritto e costine alla brace, hot dog, pulled pork o bistecche. Può anche essere il ripieno di sandwich, hamburger e altri piatti tipici. La cole slaw viene anche usata nella variante del Reuben sandwich, che con l'insalata di cavolo al posto dei crauti diventa Rachel sandwich. In questa pantagruelica rassegna di golosità, vorrei spezzare una lancia a favore della coles law, che con il suo indice glicemico estremamente basso (il cavolo ha come indice 10) e ricchezza di fibre è un alimento consigliabile per chi, come me, deve correggere le proprie abitudini alimentari.

Boston baked beans

I baked beans sono fagioli che vengono prima stufati in pentola, e poi cotti al forno. La salsa agrodolce che gli conferisce il loro tipico gusto è ottenuta dalla cottura lenta di melassa o sciroppo d’acero e pomodoro, e insaporita con carne di maiale salata o bacon. L'origine di questo piatto è da cercare indietro nel tempo: già i nativi americani consumavano abitualmente pane fatto con farina di mais e fagioli al forno. I pellegrini della colonia di Plymouth conobbero queste ricette intorno al 1620 (a testimonianza di questo basta vedere il menu della celebrazione del Thanksgiving) e probabilmente aggiunsero l'orzo alla farina di mais per inventare il pane nero del New England. Il commercio degli schiavi nel XVIII secolo contribuì a rendere Boston un centro d'esportazione di rum, prodotto dalla distillazione della melassa fermentata. A quel tempo, la melassa veniva aggiunta alle ricette di fagioli al forno locali, dando vita così ai Boston baked beans. Nel New England coloniale, i fagioli cotti venivano tradizionalmente bolliti il sabato in pentole di coccio, e lasciati in caldo nei forni per la notte. La domenica i fagioli erano ancora caldi. La popolarità dei fagioli al forno ha contribuito inoltre a dare alla città di Boston il soprannome di "Beantown”, ovvero città dei fagioli. Pane integrale, baked beans e wurstel alla griglia continuano ad essere a tutt’oggi un popolare menu del sabato sera in tutto lo Stato del Massachussetts.

Pochi, se non noi irriducibili amanti delle pietanze preparate in casa, cuociono i laboriosi baked beans, preferendo la semplice apertura di una scatoletta. Ma il sapore – e la soddisfazione - dei baked beans fatti in casa è, inutile dire, mille volte meglio. Si mettono a bagno i fagioli (preferibilmente piccoli, tipo tondini) per tutta la notte in acqua fredda. Si cuociono poi nella stessa acqua per circa 1-2 ore. Si scolano tenendo da parte l'acqua di cottura. Si scalda il forno a 160° e si dispongono i fagioli in una casseruola facendo degli strati con il bacon e cipolla finemente tritati. In un'altra casseruola, si unisce melassa a sale, pepe, una punta di ketchup, salsa Worcestershire e abbondante zucchero di canna, si porta a ebollizione la miscela e si versa poi sui fagioli. Qui entra in gioco l'acqua di cottura dei fagioli: bisogna aggiungerne abbastanza per coprire appena i fagioli. Con un foglio di alluminio si chiude il recipiente e si cuoce il tutto in forno per 3-4 ore, fino a quando i fagioli saranno teneri. Si rimuove il coperchio a metà cottura e si aggiunge altro liquido se necessario per evitare che i fagioli si secchino troppo.

Che fame!

 

a cura di Eleonora Baldwin

 

Questi e altri racconti li trovate in Uazz’America, un programma che va in onda tutti i lunedì alle ore 22:00 su Gambero Rosso Channel SKY 412; in replica sabato alle 12:30; e domenica alle 19:30

 

Leggi anche le altre puntate di Uazz’America

 

 

Accordo tra Starbucks e Alibaba per rivoluzionare l’esperienza del caffè in Cina. Fiducia al digitale

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Fidelizzazione e personalizzazione del servizio sono alla base della strategia di espansione che il gruppo americano del caffè sta intensificando sul mercato più appetibile del momento. L’accordo con la piattaforma di e-commerce di Jack Ma apre la frontiera della consegna a domicilio in tutto il Paese. Ecco cosa cambia. 

 

Aspettando Starbucks a Milano

In Italia l’attesa sta per finire: tra un mese esatto Starbucks farà il suo debutto a Milano in grande stile, dal palcoscenico di piazza Cordusio, dove l’ex Palazzo delle Poste, rinnovato grazie a ingenti e dispendiosi lavori, è pronto a condensare tutta l’eredità che l’insegna americana porta in dote. Non solo una caffetteria come le (numerosissime) altre marchiate dalla Sirena sparse ai quattro angoli del mondo, ma un quartier generale di prestigio, in più grande in Europa, con torrefazione annessa, per sancire una conquista che per Howard Schultz è probabilmente paragonabile allo sbarco sulla Luna. Starbucks Milano inaugura il 6 settembre, ed è l’apertura che più catalizza l’attenzione in città dopo l’esordio del futuristico Apple Store di piazza Liberty. Tra le mire espansionistiche del colosso di Seattle è certamente una pedina importante, dopo anni di strategie d’avvicinamento al nostro Paese (e una partnership con Princi che ha già regalato soddisfazioni oltreoceano), e solo l’inizio di un’avanzata che porterà il marchio anche a Roma.

 

Starbucks in Cina. Da Shanghai all’accordo con Alibaba

Ma è sul versante asiatico che negli ultimi giorni si è giocata una delle partite più importanti di Starbucks: proprio in Cina, a Shanghai, alla fine del 2017 il gruppo inaugurava la sua Roastery più grande e ambiziosa, poco meno di tremila metri quadri per il primo vero centro del caffè in Asia, in uno spazio dotato di tecnologie all’avanguardia e allestimenti da fare invidia alla casa madre di Seattle e al grande punto vendita di Londra (tra poche settimane anche Milano entrerà nel ristretto circolo degli Starbucks Reserve). Ora l’accordo con Alibaba segna più marcatamente le ambizioni di Starbucks sul mercato cinese, intenzionato a offrire un’esperienza di consumo inedita sulla piazza di consumo più appetibile del momento. Per farlo, il gruppo americano sfrutterà a proprio vantaggio gli strumenti digitali sviluppati dalla potentissima piattaforma di e-commerce ideata da Jack Ma, avviando una strategia di potenziamento dei propri servizi digitali via app, e contrastando al contempo l’espansione del gruppo cinese Luckin Coffee, che ha lanciato la volata alla consegna di bevande a domicilio nel Paese e così promette di aprire oltre duemila punti vendita nei prossimi anni.

 

La caffetteria virtuale

Starbucks invece si muove alla conquista capillare di un territorio dove già conta 3400 filiali (in 140 città), cominciando da Pechino e Shanghai, a partire da settembre, per poi estendere entro l’anno il servizio di consegne a domicilio tramite corriere in scooter elettrico ad altre duemila caffetterie in 30 città. Assecondando così un’espansione rapida in tutta la Cina, dove si calcola che Starbucks sia arrivata a inaugurare in media un nuovo locale ogni 15 ore: entro il 2022, l’obiettivo è quello di raddoppiare il numero di punti vendita cinesi, e Alibaba – tramite la piattaforma Ele.me (e i suoi 3 milioni di autisti addetti alle consegne), facente parte del suo ecosistema – sicuramente sarà utile al raggiungimento del traguardo. In parallelo, infatti, la collaborazione con la catena di supermercati Hema (ugualmente riconducibile all’universo Alibaba) permetterà di sviluppare una rete di Starbucks Delivery Kitchen, cucine di supporto per la consegna a domicilio, che ottimizzeranno il nuovo servizio offerto ai clienti cinesi. Dal lato utente l’accordo si concretizzerà nella possibilità di interagire online con la prima caffetteria virtuale nella storia di Starbucks, che offrirà un’ampia gamma di servizi, puntando a fidelizzare il cliente anche tramite sistemi di registrazione, promozioni e vantaggi personalizzati. Non a caso alla soddisfazione del gruppo americano fanno eco le dichiarazioni del direttore generale di Alibaba Group, Daniel Zhang, che parla di accordo epocale, e opportunità di “creare in Cina un nuovo stile di vita e una nuova cultura del caffè per mezzo dell’innovazione e della tecnologia”.

 

a cura di Livia Montagnoli

Pic nic d’autore. I pranzi all’aria aperta per la notte di San Lorenzo e Ferragosto

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Il mese di agosto invita a soste rinfrancanti all’aria aperta, pranzi al sacco da condividere con amici e familiari, immersi nella natura più verde oppure vista mare. E cene sotto le stelle. Specialmente nelle giornate di festa, come il 10 o il 15 agosto. Gli appuntamenti più curiosi da non perdere. 

 

C’è chi fa una passeggiata all’aria aperta, chi ne approfitta per scoprire posti nuovi o per praticare sport, chi sceglie di trascorrere una giornata al mare e chi invece attende i giorni di festa per concedersi un pranzo al ristorante. Ma in occasione della notte di San Lorenzo e di Ferragosto, sono tanti, sempre di più, i fedelissimi del pic nic, che si rifanno a poche ma ferree regole da osservare: individuare la zona preferita, preparare il pranzo al sacco, partire alla volta della meta con largo anticipo e godersi la giornata in aperta campagna. Per chi non avesse voglia, tempo o possibilità di mettersi ai fornelli, diverse iniziative da Nord a Sud della Penisola consentono di gustare un pic nic d’autore preparato dagli esperti. Fra manifestazioni gastronomiche e brindisi notturni attendendo le stelle cadenti, ecco quali sono gli appuntamenti più interessanti di quest’anno.

La Dolomitica

A cominciare dall’Alta Badia, un pic nic ad alta quota per gli amanti della natura. Perché, si sa, la montagna in estate può riservare belle sorprese. Come un piacevole pranzo sull'erba circondati da pascoli d'altura, malghe e vette suggestive. Se poi i prati sono quelli del Parco Naturale Fanes-Senes-Braies, e sulle coperte stese sull'erba sfilano i piatti di grandi chef che della cucina di montagna si sono fatti portabandiera nel mondo, il discorso si fa ancora più interessante. Il 9 agosto torna La Dolomitica, il simposio gastronomico di San Cassiano, un evento nato dalla collaborazione fra gli chef e i ristoratori del territorio, che quest'anno vede la partecipazione di Norbert Niederkofler, Matteo Metullio e Nicola Laera, che porteranno le loro specialità dedicate ai sapori di montagna. Tema principale, infatti, è il legame con lo straordinario territorio che dà vita a prodotti unici e dal gusto inconfondibile, interpretati dai cuochi con estro e creatività. Un’occasione perfetta per scoprire nuove specialità e prepararsi alla notte di San Lorenzo.

La Dolomitica – Alta Badia – 9 agosto 2018 - www.altabadia.org/it/vacanze-dolomiti/mangiare-e-bere/la-dolomitica.html

Calici di Stelle

Impossibile, poi, non menzionare la rassegna enologica dell'estate italiana per eccellenza, un appuntamento fisso per tutti gli appassionati del buon bere, che quest’anno torna in molte cantine e città della Penisola con un programma ricco di iniziative e attività, aspettando la notte di San Lorenzo. Un count down cominciato lo scorso 2 agosto, per accompagnare gli amanti di vino ed enoturismo fino alla notte delle stelle cadenti, con il naso all'insù aspettando la festa del 10 agosto. Come ogni anno il Movimento Turismo Vino in collaborazione con Città del Vino organizza Calici di Stelle, la manifestazione vinicola che accomuna i wine lover di tutta Italia nella condivisione di un brindisi all'aria aperta in vigna, alla scoperta di quel tessuto capillare di cantine radicato sul territorio della Penisola, con una serie di eventi attivi da Nord a Sud. Un festival originale e romantico, che si adatta a ogni esigenza e che offre una vasta scelta fra visite guidate, laboratori, degustazioni, tutte in località d’eccezione.

Calidi di Stelle – evento diffuso – dal 2 al 12 agosto 2018 - www.movimentoturismovino.it/it/eventi/3/calici-di-stelle/

Tiberio Cinepicnic

La dimostrazione del ruolo determinante che ogni cittadino gioca nella propria comunità: sarà la Società de’ Borg, associazione culturale nata nell’84 per volontà degli abitanti di Borgo San Giuliano di Rimini, a gestire lo stand gastronomico del Tiberio Cinepicpic, in scena dall’11 al 15 agosto a Rimini. Un evento in collaborazione con il Notorius Rimini Cineclub, che coniuga il cinema, dai film d’essai a quelli d’animazione, al cibo, tanto buon cibo preparato dall’associazione, da sempre attenta a promuovere la vita collettiva del paese. Street food, birre artigianali e tante specialità locali accompagneranno la proiezione di Dreamworks Baby Boss, per i più piccoli, Il diritto di contare di Theodore Melfi, la storia di tre matematiche afroamericane alla Nasa che devono fare i conti con il razzismo dei colleghi e dei superiori, per un pubblico più adulto. E ancora pellicole per grandi e piccini, per ritrovare il piacere di sgranocchiare piatti sfiziosi durante la visione di un buon film.

Tiberio Cinepicnic – Rimini – dall’11 al 15 agosto 2018 - www.facebook.com/tiberiocinepicnic/

Pic Nic a Villa dei Vescovi

Per gli amanti dell’arte, poi, un pranzo al sacco insolito a Padova, alla Villa dei Vescovi di Luvignano, frazione di Torreglia. Qui, adulti e bambini potranno divertirsi in un’atmosfera ferma nel tempo, riscoprendo il legame con il passato. Visite guidate per i genitori e tour animati per i figli, attività ludiche per imparare la storia divertendosi, ma anche piccoli percorsi di orientamento fra i giardini della villa, laboratori per costruire un aquilone e tanto buon cibo. Quello preparato dalla Caffetteria della Villa, con un menu speciale per le esigenze dei più piccoli. Un cestino da richiedere su prenotazione da gustare nel parco, per un pic nic sui generis, in un ambiente originale e suggestivo.

Pic Nic a Villa dei Vescovi – Padova – 15 agosto 2018 - www.fondoambiente.it/luoghi/villa-dei-vescovi

Pic Nic diffuso

Del progetto di Alte Terre – la natura su misura, nato grazie all’impegno del Consorzio Salariaè, ve ne avevamo già parlato qui. Ma iniziative come quella del pic nic diffuso vanno promosse e valorizzate fino alla fine. Cominciato lo scorso luglio, continua per tutta l’estate il festival del pranzo fuori porta nelle terre colpite dal sisma. Partecipano al circuito ristoranti, agriturismi e produttori (ma anche un birrificio artigianale e diversi b&b) che fanno capo a 4 aree di confine, tutte celebri per le proprie produzioni enogastronomiche: Amatrice-Accumoli, Cittareale, Posta e Antrodoco, Cittaducale e Castel Sant'Angelo. I visitatori possono usufruire di visite guidate in azienda e ospitalità presso le strutture agrituristiche che hanno aderito al progetto, e possono inoltre disporre di speciali cestini da pic nic ideati dal Consorzio: packaging in cartone facilmente trasportabile per un pranzo al sacco sul prato o da riportare con sé come ricordo del viaggio (dai 5 ai 15 euro). Fra gli appuntamenti più curiosi, la gara della ruzzola di Cittareale, dal 15 al 19 agosto, ma sono tante altre le iniziative nate per fare luce sui territori feriti che non smettono di lottare, tutte consultabili sul sito.

Pic Nic diffuso – www.alteterre.it

a cura di Michela Becchi

Cucina tipica degli Emirati Arabi Uniti. 8 piatti (abbinati a 8 vini italiani)

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Vi proponiamo degli insoliti abbinamenti: 8 piatti emiratini con altrettanti vini italiani. Provare per credere.

 

Gli Emirati Arabi Uniti non sono solo datteri. Certo, questi frutti rappresentano un'indispensabile risorsa alimentare e sono l'epicentro di un vivace commercio locale, ma viaggiando ad Abu Dhabi e Dubai abbiamo provato e apprezzato molti altri prodotti tipici, come per esempio il latte di cammello, e piatti caratteristici. Qui ve li proponiamo abbinati a dei vini italiani.

Thareed (o Fareed)

Si tratta di uno dei piatti più consumati in casa e uno dei più principali durante il mese del Ramadam. È un piatto unico a base di carne stufata (pollo o altre carni), verdure e rgaag (il tipico pane sottile come una crepes cotto su una piastra rotonda) con un brodo di carne.

Pinot Nero 2014 – Podere della Civettaja. Per il Thareed abbiamo pensato a un rosso di grande eleganza, profumato e fresco, dalla bella acidità che riesca a pulire bene il palato. Nell’Appennino toscano è ormai conclamata la qualità dei Pinot Nero. È proprio questo il vino che fa per noi.

 

Rubyan Mujafaf - gamberetti essiccati tipici degli Emirati Arabi

Rubyan Mujafaf

Gamberetti essiccati al sole dopo la cottura in acqua molto salata, è un apetizer molto consumato in ogni stagione.

Murgo Brut - Scamacca del Murgo. Il Rubyan Mujafaf è un piatto di entrata, ma soprattutto una preparazione da consumare in qualsiasi occasione, dall’antipasto allo spuntino. In questi casi la bollicina fa proprio al caso nostro. Non siamo andati nelle zone più classiche del Nord, però. Al Sud, sull’Etna si produce un grande Metodo Classico da uve nerello mascalese. Ecco servito l’abbinamento ideale.

 

Moadam rubyan, piatto tipico delle zone costiere degli Emirati Arabi, a base di riso e gamberi

Moadam rubyan

Un profumatissimo piatto tipico delle zone costiere, a base di riso e gamberi. Ha coriandolo fresco e secco, loumi, curcuma, cannella, cumino.

Vermentino di Sardegna Canayli VT 2016 – Cantina di Gallura. Per un piatto delle zone costiere ci vuole un vino della costa. Abbiamo pensato a un bianco ricco, voluttuoso, caldo, ma di grande sapidità. Siamo andati in Sardegna e abbiamo scelto un grande Vermentino, secco ma frutto di una vendemmia tardiva.

 

Marguga, Stufato di carne profumato di spezie e loumi. Piatto tipico degli Emirati Arabi

Marguga

Stufato di carne profumato di spezie e loumi, arricchito da Marguga, pane che ricorda le nostre piadine, mescolato alla carne al sugo.

Campi Flegrei Piedirosso 2015 – Agnanum. Per il Marguga abbiamo pensato a un rosso del Sud Italia. Non troppo strutturato però, ma fresco e profumato, giocato più su bevibilità e scorrevolezza che non sulla struttura. Siamo andati in Campania, nei Campi Flegrei e abbiamo scelto un grandissimo Piedirosso. Ideale col nostro piatto, lo accompagna sino alla fine senza mai coprirlo.

 

Semak magli, piatto emiratino a base di pesce

Semak magli

Il semak magli è una ricetta di pesce condito con spezie, infarinato e fritto che si può accompagnare con il riso e arricchire con il ghee, ma si impiega anche in altre preparazioni per cui si eliminano pelle e spine.

Franciacorta Soul Satèn 2009 – Contadi Castaldi. Altro piatto, altro Metodo Classico. Perché se c’è il fritto la bollicina ci sta sempre bene. Per il Semak Magli la scelta cade su un territorio oramai diventato una garanzia di qualità in tutto il mondo. La tipologia è il Satèn, setoso e vellutato Franciacorta tutto da bere.

 

Harees, zuppa a base di carne e grano. Piatto tipico degli Emirati Arabi

Harees

È uno dei più popolari piatti degli Emirati e del Golfo, una zuppa a base di carne e grano tipica delle feste consumata anche durante il Ramadam. Il grano si unisce alla carne già lessa solo dopo una notte di ammollo. A cottura completata si pesta il grano e si completa con il ghee.

Reggiano Lambrusco Concerto 2016 - Ermete Medici e figli. La moltitudine dei vitigni, dei vini e delle tipologie diverse prodotte in Italia non ci fa scoraggiare neanche di fronte all’abbinamento perfetto col la zuppa Harees. Il Lambrusco Reggiano è il vino che fa per noi. Non copre i sapori, si affina aromaticamente e lascia la bocca pulita, fresca e pronta per un cucchiaio in più.

 

Lgeimat, Dolcetti dalla forma piatta, a base di farina, lievito, uova, cardamomo e zafferano, fritto e poi arricchiti di miele, sciroppo o melassa

Lgeimat

Dolcetti dalla forma piatta, a base di farina, lievito, uova, cardamomo e zafferano, fritto e poi arricchiti di miele, sciroppo o melassa. Sono i dolci favorito durante il Ramadam o altre festività.

Malvasia Passito Vigna del Volta 2010 - La Stoppa. La Malvasia prodotta da La Stoppa è dolce, calda, morbida, dalla grande aromaticità, mai stucchevole ma sempre elegante e fine grazie alla bella freschezza e alla sapidità finale. I profumi poi, di miele e spezie dolci, ci convincono ancor di più che è il vino perfetto col Lgeimat.

 

Balaleeet, dolce emiratino a base di spaghettini

Balaleeet

Dolce a base di spaghettini con ghee (burro chiarificato) zucchero cardamomo e zafferano, sovrastato da una specie di frittatina spesso arricchita con cipolle.

Moscato d’Asti 2016 – Paolo Saracco. Il Balaleeet è un piatto particolarissimo. Non è facile in questi casi abbinare il giusto vino, ma noi (pensiamo) di esserci riusciti con un grande Moscato. Arriva dal Piemonte e non può che essere un Moscato d’Asti. Quello di Paolo Saracco è veramente una delizia, ma soprattutto si sposa benissimo col nostro dolce.

 

a cura di Giuseppe Carrus

 

Articolo uscito sul Gambero Rosso di aprile. Un numero tutto rinnovato che potete trovare in versione digitale su App Store o Play Store

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COSA TI SEI PERSO

Nel numero di aprile del Gambero Rosso trovate l'itinerario completo, dove Antonella De Santis ci porta alla scoperta di Abu Dhabi, Dubai e Doha, con le attrazioni turistiche da non perdere e una mappa dell'alta ristorazione chiara e completa. A completare il servizio di 8 pagine, un focus sul vino tra divieti e curiosità, a firma di Lorenzo Ruggeri, e lo speciale di Giovanni Angelucci sul caffè arabo in Qatar.

 

 

In memoria di Anthony Bourdain. Il prossimo autunno arriva l'ultima stagione di Parts Unknown

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Se ne è andato proprio durante le riprese dell'ultima stagione di quello che era uno dei programmi di gastronomia più apprezzati al mondo, Parts Unknown. Ma la memoria di Anthony Bourdain rimane viva nel cuore dei suoi fan, che il prossimo autunno potranno seguire gli ultimi episodi che la Cnn ha deciso di mettere comunque in onda. 

 

Bourdain e Parts Unknown

Sono trascorsi appena due mesi da quell'8 giugno, un giorno che ha portato, nel settore gastronomico e non solo, una delle notizie più scioccanti, di cui ancora fatichiamo a parlare. La morte di Anthony Bourdain, un comunicatore, ancora prima che cuoco o esperto gastronomo, ma anche molto, molto altro ancora, anticipatore di tendenze e fautore di progetti illuminati, i più disparati, creati in tempi non sospetti. Trovato morto nella camera di albergo in cui soggiornava in Francia, a Strasburgo, impegnato sul set di una delle sue serie televisive più celebri, Parts Unknown (l'undicesima stagione ha esordito sulla Cnn giusto tre mesi fa).Il programma che ha segnato l'inizio di un nuovo percorso per il genio della gastronomia, il concretizzarsi del desiderio di raccontare la vita degli altri, indagando nella storia e tra le abitudini sociali di comunità agli antipodi, attraverso il “pretesto” del cibo.

Il programma

5 Emmy Awards vinti, 11 nomination per scrittura, musica, editing e cinematografia, un Peabody Award e un inenarrabile successo a livello internazionale. Tutto questo – e molto di più – era Parts Unknown, uno show dal respiro interculturale, cosmopolita e aperto come solo lo stile Bourdain sapeva essere, dinamico e in continuo movimento. Dopo lo sconforto e lo shock per la sua scomparsa, i fan più affezionati hanno temuto per la brusca interruzione della trasmissione. Ma Parts Unknown, fra i progetti gastronomici televisivi più innovativi di sempre, non finisce qui. La 12esima stagione della serie – già in produzione prima del lutto – non ha ancora una data di messa in onda ufficiale, ma tornerà sullo schermo il prossimo autunno, ancora sulla Cnn.

L'ultima stagione, senza Bourdain

Solo un episodio, quello di un viaggio in Kenya con l'ospite speciale Kamau Bell, era stato completato prima della sua morte, ma secondo quanto riportato dal The Hollywood Reporter, la Cnn non demorde e sceglie di continuare l'avventura anche senza il suo ideatore. Anzi, proprio per lui, come omaggio alla mente che ha creato l'intero concept, una dedica al più istrionico e irriverente dei personaggi del settore, portatore sano di un'idea di cultura gastronomica che non conosce confini. Protagoniste degli episodi, saranno la Lower East Side di Manhattan, l'area Big Bend del Texas, le Asture. A dirigere, i direttori della compagnia di produzione di Bourdain. “Ci sarà la presenza di Tony, lo vedremo, lo sentiremo, lo percepiremo. Mancherà il suo strato di narrazione, ma ci saranno altre voci da ascoltare”, ha dichiarato Amy Entelis, vice presidente alla Cnn.

A concludere la serie, ultimo tassello di un percorso sui generis, indimenticabile e irripetibile, l'unica puntata girata dal maestro prima della sua morte, la chiusura di un cerchio indistruttibile, che rimarrà per sempre nel cuore di tutti gli amanti della cucina.

a cura di Michela Becchi

Professione tecnico di frantoio. A Perugia torna il corso per imparare a fare l'olio

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L'oro verde di qualità è il frutto di un lavoro certosino, che inizia in campo e finisce in frantoio, il luogo dove le olive vengono trasformate in olio. Per imparare a utilizzare al meglio i macchinari d'avanguardia, un corso a Perugia si propone di fare luce sul mestiere del frantoiano. 

 

Il valore del frantoio

Un anno di cure, attenzioni, potature, monitoraggi costanti e poi, in autunno, l'ultimo passo di un percorso lunghissimo e faticoso. La molitura. Un momento cruciale per ogni olivicoltore, che vede i frutti del suo lavoro trasformarsi nel prodotto finale, l'olio extravergine di oliva. Dopo essersi assicurati la massima salute delle piante in campo, i produttori si giocano tutto nel frantoio, dove tempi, temperature e tecniche di estrazione sono scelte determinanti per ottenere la massima qualità dell'oro verde. Due, tre fasi, gramole verticali o orizzontali, frangitori a lame o a martelli, e poi tante, tante altre varianti che cambiano a seconda delle esigenze del frantoiano e delle aziende produttrici.

Il corso

Un mondo complesso, quello dell'estrazione dell'olio, fatto di numeri, dati, tanta meccanica, e soprattutto esperienza, conoscenze e uno studio intenso e costante. Per questo motivo ogni settembre, a Perugia, la società agricola Aprol organizza il corso per tecnico di frantoio, un percorso di studi articolato in 5 lezioni, pensato per i produttori ma rivolto anche agli assaggiatori e tutti coloro che credono nella qualità dell'extravergine. Tante le fasi di lavorazione, dal lavaggio delle olive al filtraggio finale, che concorrono per determinare il gusto dell'olio, ma produrre un buon extravergine implica anche avere a che fare con procedure burocratiche e amministrative. Fare i conti con la legislatura delle etichette e far fronte ai temi più disparati, come quello della riduzione dell'impatto ambientale, il risparmio energetico e molto altro ancora. Per rispondere a questi e altri quesiti, il team tecnico di Aprol Perugia, presieduto da Giulio Scatolini, presenta il corso rivolto a coloro che, già in possesso di conoscenze tecniche e competenze pratiche di base, intendono completare la loro formazione sulla corretta conduzione di un frantoio oleario.

Le lezioni

Cinque giornate pensate per aggiornare i professionisti sulle ultime innovazioni relative alla tecnologia e ai macchinari, grazie al contributo di vari esperti del settore, dai rappresentati dei maggiori marchi di impianti ai professori di agraria. E così, si parlerà degli aspetti pratici della gestione di un frantoio, di quelli legali, dell'influenza dei processi tecnologi sulla qualità dell'olio, ma anche di comunicazione e vendita. A concludere il percorso, la degustazione finale guidata dal capo panel Scatolini, che condurrà i partecipanti nell'intricato mondo dell'analisi sensoriale dell'oro verde, fra profumi intensi e gusti inconfondibili.

Per iscriversi al corso (400,00 Euro + IVA): info@aprolperugia.it. Sede delle lezioni sarà proprio l'Aprol di Perugia, dal 24 al 26 settembre, e poi dal 1 al 2 ottobre 2018.

Aprol – Perugia – via Settevalli, 326/c - www.aprolperugia.it/

a cura di Michela Becchi


Dove mangiare a Berlino. I consigli di Per Meurling, ideatore di Berlin Food Stories

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Abbiamo chiesto a Per Meurling, ideatore di Berlin Food Stories (uno dei siti più attendibili in fatto di enogastronomia a Berlino), di darci qualche dritta su dove mangiare in città.

 

Nessun’altra città europea è cresciuta sul piano gastronomico come Berlino. È vero, si partiva da un livello basso: solo 10 anni fa qui c’era pochissimo, ma l’esplosione, specialmente degli ultimi 3-4 anni, è stata fenomenale. Dal 2008, mezzo milione di persone sono arrivate a Berlino, soprattutto dall’Italia e dalla Spagna: hanno fatto crescere la domanda che si riflette in tantissime aperture di qualità. Sia chiaro, su scala nazionale Berlino è decisamente davanti a città come Colonia o Monaco.

Piatto di Einsunternull

Piatto di Einsunternull

I trend

Trend? Il primo in atto è la ricerca di ingredienti locali: penso a ristoranti come Nobelhart & Schmutzig e Einsunternull. Non è per niente facile fare alta cucina solo con prodotti locali, ma loro stanno facendo un lavoro straordinario con i fornitori perché reinventano le regole di produzione a partire dalla qualità, lavorano a stretto contatto con i contadini, li seguono in tutto.

L’altro trend è quello della contaminazione, con tantissimi fusion: dal filone asiatico alla cucina new British. St. Bart è un grande esempio del meltin pot berlinese: chef australiano, team di cucina tedesco, tanti expat. Cucinano grandi piatti in un contesto molto casual. Adoro quel posto.

La colazione di  EngelbergLa colazione di  Engelberg

24 ore a Berlino

La mia giornata tipo? Partiamo dalla cultura della colazione che è una cosa molto seria a Berlino. Engelberg, a Pranzlauer Berg, è un indirizzo classico perfetto, poche cose e tutte buone. Per pranzo, scelgo Lebensmittel in Mitte, cucina solida, autentica e molto attenta alle stagioni, tipica del Sud della Germania. Altrimenti il Michelberger Hotel, a Friedrichsain, offre un incredibile menu per pranzo. Per cena? Il top per me è Ernst, lo chef canadese Dylan Watson-Brawn (24 anni) regala un viaggio di 30 mini assaggi, con prodotti tedeschi. Solo 12 coperti: intensità e straordinaria purezza di sapori.

Piatti di Madam Ngo

Piatti di Madam Ngo

Indirizzi etnici

Terreno asiatico? Il mio vietnamita è Madam Ngo, le zuppe pho sono eccezionali, mentreKin Dee è un Thai innovativo e d’autore. In cucina Dalad Khambu, una ragazza thailandese nata a New York. Vi divertirete.

 

www.berlinfoodstories.com

a cura Per Meurling

 

Articolo uscito sul Gambero Rosso di giugno. Un numero tutto rinnovato che potete trovare in versione digitale su App Store Play Store

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COSA TI SEI PERSO

Nel numero di giugno del Gambero Rosso trovate due itinerari ai due estremi della Germania: a Berlino e ai confini con l’Alsazia, nel Palatinato, dove abbiamo raccontato le nuove leve della ristorazione e dell’enologia tedesca, tra contaminazioni e nuove sensibilità. È un servizio di 10 pagine che comprende anche il racconto di Veronika Crecelius, food journalist per la rivista Weinwirtschaft, i ristoranti e le cantine da non perdere nel Palatino e a Berlino, le mappe per orientarsi al meglio, i giovani chef che stanno cambiando l'enogostranomia tedesca e 11 vini selezionati per il loro rapporto qualità/prezzo.

 

GLI INDIRIZZI

Nobelhart & Schmutzig - Friedrichstraße 218 - nobelhartundschmutzig.com

Einsunternull - Hannoversche Str. 1 - +49 30 27577810 - restaurant-einsunternull.de

St. Bart - Graefestraße 71 - +49 30 40751175 - stbartpub.com

Engelberg - Oderberger Str. 21 - +49 30 44030637 - engelberg-berlin.de

Lebensmittel in Mitte - Rochstraße 2 - +49 30 27596130

Michelberger Hotel - Warschauer Str. 39-40 - +49 30 29778590 - michelbergerhotel.com

Ernst - Gerichtstraße 54 - ernstberlin.de

Madam Ngo - Kantstraße 30 - +49 30 60274585 - madame-ngo.de

Kin Dee - Lützowstraße 81 - +49 30 2155294 - kindeeberlin.com

Vicoli & Sapori. Palazzolo Acreide da scoprire fra gusto e cultura

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Sette chef uniti per promuovere il proprio territorio. Una due giorni dedicata ai sapori e alla tradizione gastronomica palazzolese. Un bell’esempio di come unire risorse ed energie per un obiettivo comune: valorizzare la propria terra. 

 

Tornando da una visita a Palazzolo Acreide ci si sente un po’ disorientati, perché ci si trova ad accogliere una quantità inaspettata di immagini, voci, storie. Le chiese barocche, i vicoli, i palazzi ottocenteschi, i balconi ricolmi di vasi e fiori. Le pietre antiche del teatro greco, le colline, le campagne circostanti con gli animali che brucano indolenti. Gli alberi carichi di frutti che invitano all’assaggio, le stradine sterrate e quelle lastricate. Il paese che sembra possedere due volti: di giorno stanco e assolato, con le piazze che sembrano immense, semideserte. Al calar del sole si trasforma: le piazze si animano e sembrano rimpicciolirsi, con i tavolini dei bar, la musica che riempie le strade, il chiacchiericcio della gente che passeggia per il corso, il fare operoso e fiero delle persone dietro ai banconi, nelle cucine, nei negozi. Succede spesso, tornando dalla Sicilia, di portarsi addosso quella sensazione di pienezza, come di chi è rimasto, per un istante, “abbagliato”. Sarà per la luce che sembra deformare colori e forme, spiazzando chi arriva dalle grandi città. A Palazzolo Acreide forse risulta tutto più inatteso perché si tratta di un paese che, pur nella sua bellezza, è ancora fuori dai grandi circuiti turistici. Eppure, una volta visitato, non si può immaginare un itinerario della Sicilia sud orientale che non passi per Palazzolo.

Palazzolo Acreide

Akrai, così si chiamava il paese fondato dai siracusani nel 664 a.C sull’Acremonte, la collina che divide le valli del Tellaro e dell’Anapo. Luogo affascinante che ancora conserva le testimonianze delle numerose dominazioni che si sono succedute nel corso dei secoli: romana, bizantina, araba, normanna. In provincia di Siracusa, Palazzolo Acreide fa parte del comprensorio dei monti Iblei e nel 2002 è stata insignita del titolo di Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco e inclusa fra le “Città Barocche del Val di Noto" (insieme a Caltagirone, Catania, Modica, Militello Val di Catania, Noto, Ragusa Ibla, Scicli). Si tratta di città ricostruite mirabilmente in seguito al terremoto del 1693. Palazzolo stupisce per la ricchezza dei suoi paesaggi, con le molteplici possibilità che questo territorio offre al visitatore per scoprire le sue bellezze. Dalla zona archeologica, fra le più antiche in Italia, con il bellissimo teatro greco e le rovine della polis, ai percorsi naturalistici, con la Riserva naturale Valle dell’Anapo-Pantalica e la Riserva Naturale Orientata di Cava Grande. E ancora la possibilità di osservare un mulino ad acqua funzionante e di visitare il Museo della macina che vi è annesso.


La tradizione gastronomica

La ricchezza di questo territorio si ritrova anche nella sua tradizione gastronomica: Palazzolo infatti è un paese incredibilmente “denso” anche da questo punto di vista, con oltre 30 ristoranti per circa 9000 abitanti. La cucina è legata soprattutto alla terra: valorizza le materie prime locali, quelle provenienti dalle campagne come gli ortaggi e la frutta, ma anche i formaggi e la carne degli allevamenti delle campagne circostanti.  Fra i prodotti tipici spicca la salsiccia palazzolese, presidio Slow Food che omaggia l’antica tradizione norcina di questa terra. La ricetta originaria prevede che questa salsiccia venga preparata con nove tagli diversi di suino nero: lardo, coppa, gola e guancia, la lonza o il lombo, la pancetta, la coscia, lo zampino e una parte di grasso. Alla carne, che la tradizione vuole tagliata rigorosamente al coltello, si aggiunge poi il sale, il finocchietto selvatico, il peperoncino e il vino rosso del Val di Noto che ha la funzione principale di sciogliere il sale, ma conferisce anche un profumo particolare. La salsiccia palazzolese si mangia fresca o essiccata e con il suo gusto deciso e intenso ben rappresenta questa terra. Fra gli altri prodotti che caratterizzano la gastronomia di Palazzolo Acreide vi è poi il tartufo, che si trova in abbondanza in questo territorio grazie anche alla natura calcarea del terreno e al clima umido che ne favoriscono la crescita. Diverse sono le specie che si possono trovare in questi territori, a seconda delle stagioni, tutte apprezzabili. La scoperta dei tartufi a Palazzolo Acreide è piuttosto recente (risale agli anni Novanta) e ha avuto il merito di stimolare la curiosità dei ristoratori locali che hanno iniziato a utilizzarlo nei loro piatti, nel tentativo di avvicinare anche i visitatori talvolta poco avvezzi a sentir parlare di tartufo nel sud Italia. Un esempio di utilizzo originale del tartufo palazzolese ce lo fornisce lo chef Andrea Alì che nel suo ristorante “Da Andrea – Sapori montanti” fra i dessert propone un soffice di ricotta, olio Evo e tartufo, mettendo insieme tre ingredienti semplici di ottima qualità che rappresentano un vero e proprio omaggio al territorio. 

 

Vicoli & Sapori

Proprio con lo scopo di valorizzare il territorio e rilanciarlo con iniziative ed eventi ad hoc, lo scorso anno nasce l’associazione “Vicoli e Sapori”, costituita da sette Chef di Palazzolo Acreide: Paolo Di Domenico (Lo scrigno dei Sapori), Giorgio Migliore (La corte di Eolo), Massimo Iacono (La taverna di Bacco), Andrea Alì (Da Andrea – Sapori montani), Marco Giuliano (Settecento), Calogero Maltese (agriturismo Giannavì) e Gianni Savasta (Trattoria del Gallo). Sette cuochi illuminati che hanno compreso la necessità di associarsi, senza antagonismi né inutili protagonismi. Il loro impegno, naturalmente, si attua nel settore enogastronomico che, tuttavia, agisce poi da volano per veicolare le bellezze di Palazzolo Acreide nella sua interezza, fra tradizione, storia e cultura. Fra gli eventi promossi dall’associazione, spicca Vicoli & Sapori – Vivere gli Iblei, che il 29 e 30 luglio scorsi ha animato l’antico quartiere dell’orologio di Palazzolo Acreide. Due serate per scoprire sapori e tradizioni di questi luoghi in un’atmosfera gioiosa e rilassata: attraversare i vicoli e le piazze del paese, illuminate dalla luce delle lanterne, fermarsi ad ascoltare un po’ di musica eseguita dal vivo da piccoli gruppi, assaggiare i prodotti o i vini locali e, naturalmente, i piatti proposti dai sette chef. Questo è il clima in cui si svolge una manifestazione che, alla sua terza edizione, quest’anno ha raddoppiato le presenze rispetto al 2017 (2800 fra sabato e domenica). La chiave del suo successo si trova proprio nella passione vera e spontanea dei ristoratori che l’hanno ideata e nel fatto che siano loro a promuoverla e animarla in prima persona.  A dimostrare che non esiste modo di migliore di conoscere un luogo con le sue tradizioni e il suo bagaglio gastronomico se non quello di viverlo attraverso l’esperienza e il racconto delle persone che lo vivono.

 

a cura di Valentina Ferraro

Pranzo di ferragosto in agriturismo: 270mila italiani scelgono di festeggiare in campagna

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C'è chi ama il mare, chi la montagna e chi decide di restare in città. Qualunque sia la meta per il pranzo di ferragosto, un dato è certo: ai ristoranti di ricerca e i bistrot più moderni, gli italiani preferiscono la cucina di tradizione degli agriturismi. I dati dell'analisi di Turismo Verde. 

 

Gli agriturismi in Italia

Sono una realtà importante su tutto il territorio italiano, da Nord a Sud, le strutture agrituristiche che raccolgono in modo crescente le preferenze degli italiani in cerca di un ritrovato contatto con la natura. Destinazioni sempre più scelte per le vacanze estive, specialmente per la giornata di ferragosto, una tendenza che sottolinea come la cucina sia elemento fondamentale per la scoperta del territorio, e come il movente culturale sia uno degli obiettivi primari di chi visita un agriturismo. Gli agrichef, infatti, sono al contempo testimonial e produttori di questa cucina rurale che sa raccontare le tradizioni contadine e valorizzare le materie prime non solo locali, ma di tutta la zona, privilegiando lo scambio tra prodotti di provenienze diverse.

Il pranzo di ferragosto, in campagna

Proprio per questi motivi, anche nei periodi di maggiore crisi economica, la domanda negli agriturismi non è mai diminuita. E il 2018 non fa eccezione: secondo le previsioni di Turismo Verde, l'associazione per l'agriturismo promossa da Cia, saranno circa 270mila i vacanzieri che sceglieranno di trascorrere la giornata del 15 agosto in una struttura agreste, all'insegna della buona tavola e del relax all'aria aperta. Il luogo ideale dove poter riscoprire il piacere di un pasto gustato con ritmi lenti e cadenzati dal rumore della natura circostante, ritrovare il senso della convivialità e dei piaceri del cibo. Senza fretta, abbandonando la velocità della vita quotidiana, la frenesia delle grandi città e del lavoro di tutti i giorni. Godendo a pieno dei sapori intensi, netti, dei piatti senza fronzoli realizzati dai padroni di casa con ciò che la terra mette loro a disposizione: verdure, ortaggi, frutta, cereali ma anche formaggi, carni e salumi, se in presenza di un agriturismo con animali.

Buon cibo, paesaggi incantevoli e attività ludiche

Una stima, quella di Turismo Verde, che sottolinea una sostanziale tenuta rispetto allo scorso anno. Il motivo? Principalmente l'opportunità di conciliare la buona cucina, quella rustica e casereccia, con la possibilità di bearsi di panorami suggestivi e rigeneranti. Avvalendosi anche delle tante comodità e dei servizi offerti dalle varie strutture, dalle attività per i più piccoli, fattoria didattica in primis, alla visita guidata ai caseifici, dai massaggi con prodotti naturali ai laboratori di cucina. Oltre al cibo locale, infatti, fra le ragioni che spingono gli italiani verso la campagna, le proposte sempre più diffuse di programmi ricreativi come l'equitazione e il trekking, oltre alle attività culturali lungo percorsi archeologici e naturalistici.

L’azienda Fonte Margherita salvata dal fallimento. E l’acqua del Pasubio rinasce grazie all’imprenditoria italiana

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Un ultracentenario impianto di imbottigliamento di acqua del Pasubio che rischia di chiudere, due professionisti con trascorsi diversi che fanno squadra e recuperano l’azienda. La storia dell’acqua delle Piccole Dolomiti salvata da un duo di imprenditori. 

 

L’azienda, dal 1845 a oggi

Ai piedi delle Piccole Dolomiti, da oltre 100 anni, due stabilimenti storici sorvegliano la natura circostante: Fonte Margherita e Sorgente Alba, che insieme rappresentano il più antico impianto di imbottigliamento del Veneto. Acquistata nel 2017 da Denis Moro, giovane imprenditore dell’alto vicentino a cui si è aggiunto, nel 2018, il Ceo dell’azienda metalmeccanica padovana Sariv Nicola Sartore, la realtà conta oggi tre sorgenti diverse da cui ogni stabilimento attinge: Camonda e Alba, Alba e Azzurra e Bolfe Giotti, per un totale di 13 milioni di bottiglie. Un’azienda che va da avanti da oltre un secolo, ma che rischiava di scomparire. Una storia che avrebbe potuto interrompersi, se non fosse stato per la lungimiranza del duo Moro/Sartore.

Risollevarsi a un passo del fallimento

Due professionisti che hanno scelto di unire le forze per rilanciare quello che fino a poco tempo fa era un impianto a un passo dal fallimento. E che oggi si presenta invece in una nuova veste, quella di un’azienda in attivo economico, grazie all’acquisizione da parte di Moro, che ha rilevato lo stabilimento di Valli del Pasubio, e la spinta imprenditoriale di Sartore, che si è impegnato fin da subito per far compiere al marchio quel salto di qualità necessario nel campo gestionale. “Quando sono arrivato, l’azienda veniva da oltre dieci anni di bilanci in rosso”, spiega, “è stato subito messo in atto un piano di rilancio che ha permesso di salvaguardare il patrimonio aziendale a quindici posti di lavoro già tre mesi dopo l’acquisizione”. E che ha consentito di raggiungere il giusto equilibrio e poter porre poi le basi per una crescita in positivo, “volevo portare all’interno nuove competenze”.

L’ampliamento dell’azienda

Un anno fondamentale, il 2018, che segna l’inizio di una nuova vita per il più antico impianto del Veneto. Un anno cominciato con nuovo vigore, una forza ritrovata e uno stimolo continuo, “grazie a un ulteriore ampliamento dell’organico e alla creazione di un nuovo reparto, le operations”. Ovvero l’attività principale, il core business che caratterizza la gestione operativa di un’azienda. “con l’esperienza di Nicola, le nostre forze sono concentrate nel ridisegnare i processi interni e portare assieme Fonte Margherita a un altro livello”.

Perché la necessità di una gestione di impresa

Perché, quando si parla di impresa, che si tratti di gastronomia, ristorazione o un altro settore, la capacità di reinventarsi, ripartire da zero, ricostruire e delineare nuovamente le linee di progetto, senza perdersi d’animo, con intelligenza e accortezza, ma anche con la giusta dose di coraggio per scommettere ancora, è fondamentale. Serve una mentalità aperta e dinamica, ma anche tanta esperienza, come quella di Moro, che ha alle spalle tanti anni nel mondo della finanza, un lavoro che lo ha portato a girare il mondo e fondare una sua banca d’affari, la Sky Island, che si occupa proprio di operazioni di salvataggio di aziende in difficoltà. E occorre anche l’arguzia di Sartore, che nel 2008 ha riconcepito la Sariv, trasformandola da azienda a gestione familiare a caso studio per la digitalizzazione industriale e Industry 4.0. La loro missione, oggi, è salvaguardare le acqua delle Piccole Dolomiti, tenendo sempre un occhio di riguardo al tema della sostenibilità ambientale: “Vogliamo prenderci l’impegno di sensibilizzare ed educare i consumatori”. L’imbottigliamento, infatti, avviene direttamente alla fonte, senza dover ricorrere alle aree industrializzate per l’estrazione, e la produzione è esclusivamente in vetro.

a cura di Michela Becchi

Si mangia meglio a Milano o a Roma? Parola agli esperti

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Nel numero di agosto del mensile del Gambero Rosso abbiamo chiesto agli esperti di settore di mettere a confronto Milano e Roma. Ecco cosa è emerso.

 

Milano & Roma. Capitali a confronto. A nord il dopo-Expo ha dato vita a un vorticoso restyling di luoghi noti, ri-aperture e a tanto design come valore aggiunto. A sud, la Capitale investe molto su nuovi format, dalla moderna trattoria (alias wine bistrot) ai tempi del bere miscelato e del vino alla mescita, per non parlare di streetfood. Nel numero di agosto del mensile del Gambero Rosso abbiamo chiesto agli addetti di mettere a confronto Milano e Roma. Ecco cosa è emerso.

Milano-Roma… 6 a 2

Enzo Vizzari“Sullo slancio di uno spettacolare rinnovamento della città, spinto anche da Expo 2015, l’austera seconda città d’Italia si è trasformata, in dieci anni, in una città di straordinaria modernità…”, ha scritto qualche mese fa il corrispondente da Roma de Le Monde. Vero. Com’è vero che la ristorazione s’è rinnovata, è cresciuta, continua ad aggiornarsi nella varietà dell’offerta: dalla trattoria più semplice e di tradizione ai ristoranti top, dalle pizzerie alle cucine etniche, c’è sempre più scelta e più qualità. Si può dire la stessa cosa di Roma? Francamente, no. Senza far spoiler sui giudizi della nostra Guida che sta chiudendosi in queste settimane e anche soltanto riferendoci all’edizione scorsa, il numero di “cappelli” assegnati ai ristoranti di Milano sopravanza quelli di Roma. E sono anche più “pesanti”, nel senso che a Milano sono (e saranno) più numerosi i tre e quattro “cappelli”. Per intenderci, se da una parte parliamo della fascia in cui si collocano Pergola e Pagliaccio, dall’altra troviamo (in ordine alfabetico…) Bartolini, Berton, Contraste, Cracco, Lume, Seta… Se poi dal vertice della piramide scendiamo alla fascia medio-alta e media è vero che Roma recupera qualche posizione, ma resta il fatto che Milano si conferma più dinamica in fatto di apertura di nuove tavole di qualità un po’ in tutte le categorie.

a cura di Enzo Vizzari, direttore guide de L’Espresso

 

Il primato della vitalità ambrosiana

Albert Sapere

La ristorazione, non solo quella d’autore è lo specchio della società. Lo stato di salute della ristorazione nelle due più grandi città italiane, Roma e Milano, rispecchia in pieno quello che è l’andamento dell'Italia. Milano in questo momento è l’unica “città europea” del Bel Paese. Aperta, curiosa, avida di tutto quello che è nuovo e che fa tendenza, perché di fatto ne è la capitale economica. Roma è più legata alle proprie tradizioni, a formule e schemi consolidati che deve molto spesso proporre all’enorme massa di turisti che ogni giorno affolla la capitale politica. C’è un “ritorno” alle trattorie moderne in entrambe le città e la ricerca di nuovi format aperti per tante ore e con una proposta molto varia. Nella fascia dell’altissima ristorazione, entrambe si reggono per lo più sui ristoranti dei grandi alberghi. Basti pensare al Vun nel Park Hyatt o al Seta nel Mandarin, per Roma cito su tutti La Pergola del Waldorf Astoria e l’Imago dell’Hassler: a dimostrazione, probabilmente, di quanto conti un pubblico straniero e con un potere di spesa importante.

a cura di Albert Sapere, direttore editoriale de Le Strade della Mozzarella

 

Roma in terrazza, Milano più etnica

Luigi Cramona

Abito a Roma, frequento molto Milano, ma tutto sommato sono forse più esperto della ristorazione in giro per l’Italia che di quella delle due più importanti città. Differenze e somiglianze? Siamo in estate e forse in questa stagione le differenze si notano di più: Roma è la capitale indiscussa della ristorazione in terrazza. Funziona tutto quello che è in alto, meglio se con vista e ormai ce ne sono a decine a cominciare dalla Pergola di Beck. La ristorazione all’aperto su marciapiede è vista come di serie B, quella al top deve elevarsi di livello anche fisico. A Milano non mancano i ristoranti sul roof, ma di certo sono di meno in numero e qualità. Un’altra differenza importante è la qualità dell’etnico. Ristoranti come Wicky’s, Gong, Iyo ecc… non ci sono a Roma dove l’etnico ha un profilo qualitativo più basso, anche se con qualche nobile eccezione. Comunque sono città vive e in continua apertura di novità spesso di tendenza e interessanti. Anche dopo l’exploit milanese legato a Expo 2015, Roma nel complesso non è poi tanto indietro grazie anche alla ristorazione negli alberghi che trova nella Capitale il suo punto di forza rispetto al resto d’Italia.

a cura di Luigi Cremona, guida Touring Club e presidente WItaly

 

Milano? Bella e attraente, ma dovrebbe imparare di più da Roma

Paolo marchi

Facile dire, soprattutto ora dopo il successo di Expo 2015, che non c’è confronto tra Milano e Roma, viva e brillante la prima, caotica e invivibile la seconda. Ho amici romani che trascorrono, davvero una novità incredibile, i fine settimana tra Navigli, Duomo e Isola perché oggi Milano è bella e, per di più, attrae un turismo ben diverso da quello delle città d’arte. Però Milano potrebbe studiare la tradizione gastronomica romana, la capacità di proporre i suoi capolavori per ritrovare i propri. Quando un milanese si muove attorno al Tevere, è conformato dal sapere che può essere stregato da Amatriciana e Carbonara, Grigia o Cacio e pepe. Possiamo dire altrettanto di Milano con il risotto? Sushi piuttosto. E la pizza? A Roma c’è da tempo e in forme originali. Vogliamo snobbare pizza&mortazza? Noi gastro-fighetti meneghini abbiamo scoperto la pizza solo adesso perché costa. Quando valeva spiccioli era appannaggio di studenti, nonne e nipoti. Roma non è da buttare.

a cura di Paolo Marchi, giornalista, ideatore di Identità Golose

 

Una crescita parallela con diverse punte

Roberta Schira. Foto di Monica Silva Foto di Monica Silva

Roma-Milano: più che una gara, è una crescita parallela. A Milano c’è più sperimentazione. Il milanese è curioso e non suda freddo se il conto supera i 100 euro, il romano abbiente preferisce farsi tre volte una cacio e pepe. Roma difende le trattorie. A Milano sale la febbre Oriental style, il sushi è soppiantato dal dim sum: i locali che propongono questo approccio giappo-cinese raggiungono livelli imprevedibili. Milano vince sulla cocktability (ma il romano Jerry Thomas se li mangia tutti), Roma sovrasta sul numero di terrazze allestite a convivio. Aumenta il divario tra ristorazione turistica e indirizzi giusti per pochi. Ma anche se glielo dici, ai turisti, qual è locale giusto, loro lo capiranno? Riconoscere la buona cucina, dal porchettaro allo stellato, rimane una questione culturale. La scoperta più interessante a Roma? Retrobottega: anticipa la ristorazione del futuro. Tavoli collettivi e chef che si alternano e producono piatti di livello. Roma vince nella pizza al taglio. C’è persino la guida digitale della pizza al taglio: teglieromane.it. Il Bonci style ha seminato bene! A Milano sono decine le aperture di livello, soprattutto pizza tonda di scuola napoletana e nella variante che definirei scuola dei Berberè. Finiti i tempi di farine scadenti, mozzarelle annacquate e prosciutto cotto che non darei a un gatto randagio. Milano e Roma pari nel poco rispetto per il turista. I Navigli e Brera si stanno “trasteverizzando” a scapito dello straniero. Il pasto migliore? Quello pizzicando qua e là al Mercato Centrale di Termini mentre aspetto il Frecciarossa per Milano.

a cura di Roberta Schira, scrittrice, giornalista, gourmet

 

Molte le affinità, da godersele entrambe

Eleonora Cozzella

Dopo tre (bellissimi) anni a Roma adesso vivo a Milano da maggio scorso. In realtà vedo diverse affinità con Roma: voglia di nuovo, giovani intraprendenti e capaci di mettersi in gioco, pubblico sempre più gastronomicamente coinvolto e con la mente aperta. Il trasferimento poi mi ha portato a un personalissimo parallelismo. A partire da un nuovo ristorante il cui chef in un certo senso ha fatto il mio stesso recente viaggio: l'Alchimia di Alberto Tasinato a Milano ha in cucina Davide Puleio, già secondo di Monosilio quando erano da Pipero. Nel suo "riso Roma Milano", un risotto allo zafferano con una fettina di coda alla vaccinara a sostituire il classico midollo, ritrovo un po' l'idea del mio trasferimento, di casa e nel piatto. Ho la fortuna, peraltro, che l'Alchimia si trovi a due passi dal mio indirizzo milanese e questo mi ricorda un ristorante romano che amo e frequentavo assiduamente: L'osteria Fernanda, dove l'alchimia non è il nome ma sta nel mix di cucina, creatività, atmosfera. Volendo continuare per affinità elettive, ho adorato Cu_cina, dove la giovanissima Stella Shi propone a Roma con naturalezza, grazia e intelligenza, la sua italianità di cinese di seconda generazione. Assolutamente da provare. Come da non perdere è a Milano la cucina di contaminazione nippo mediterranea di Yogi Tokuyoshi, esaltata da mente feconda e padronanza tecnica. E se gli amanti capitolini della carne e del quinto quarto trovano il loro piccolo tempio nella saletta di Mazzo o in quella di Santo Palato, i milanesi hanno per faro Trippa. Chi ha voglia diironia e golosità tenga a mente Eggs (che come è facile capire ha le uova per protagoniste) nella Capitale e Manna a Milano dove divertirsi col geniaccio burbero di Matteo Fronduti.

a cura di Eleonora Cozzella, giornalista, Repubblica Sapori

disegno di Maurizio Ceccato

 

 

QUESTO È NULLA...

Anteprima mensile di agosto

Nel numero di agosto del Gambero Rosso, un'edizione rinnovata in questi giorni in edicola, trovate anche i pareri di Alfredo Tesio, che regala un punto di vista internazionale, e di Carlo Ottaviano, direttore di Leggere: tutti. Il confronto tra Roma e Milano fa parte di un servizio più ampio, che comprende anche la selezione dei locali aperti nelle due città ad agosto,dalla prima colazione al dopocena.

 

Il numero lo potete trovare in edicola o in versione digitale, su App Store o Play Store

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