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Al Mèni 2018: a Rimini il circo mercato dei sapori e delle tradizioni artigianali

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Due giorni di festa dedicati alle eccellenze dell'Emilia Romagna e ai suoi chef migliori, ma anche ai talenti della cucina internazionale, in arrivo sul lungomare di Rimini per cucinare insieme. Dal 23 al 24 giugno 2018 torna Al Mèni, con laboratori, degustazioni, mercato contadino e seminari. 

 

L'evento

Quinto anno, quinto successo di pubblico annunciato, con la squadra di sempre capitanata da Massimo Bottura. E così anche nel 2018 Rimini si prepara ad accogliere il tendone di Al Mèni per cominciare l'estate romagnola con il piede giusto. L'immaginario è ancora una volta quello ispirato all'8 ½ di Federico Fellini, che a Rimini era nato e particolarmente legato, ma il titolo della manifestazione attinge a piene mani – è proprio il caso di dirlo – da una poesia di Tonino Guerra, altro ambasciatore della cultura regionale: semplicemente Al Meni. Le mani in questione sono quelle degli chef e degli artigiani del gusto riuniti sotto al tendone e nello spazio antistante con vista sul mare per celebrare una festa che li vede protagonisti insieme alle loro migliori creazioni e produzioni, tra made in Italy d'eccellenza e proposte d'autore internazionali.

I protagonisti

Come sempre, lo slogan della manifestazione è “cose fatte con le mani e col cuore”, le mani che cucinano e i cuori che aderiscono a Food for Good, iniziativa promossa da Federcongressi&eventi, Banco Alimentare ed Equoevento Onlus per recuperare il cibo in eccesso e donarlo a chi ha più bisogno. L'appuntamento è per il 23 e 24 giugno, per un weekend all'insegna del gusto grazie alla partecipazione di 12 chef internazionali selezionati da Enrico Vignoli di Postrivoro e Andrea Petrini. Fra cookingshow e degustazioni guidate, i professionisti del settore interpretano le eccellenze regionali, mentre i banchi di cibo da strada rielaborano le ricette della tradizione in chiave moderna, ancora una volta facendo affidamento sulle migliori materie prime dell'Emilia Romagna. Davide di Fabio (sous chef Osteria Francescana), Emily Walden Harris (Hisa Franko, Kobarid), Gianluca Gorini, August Lill, Piergiorgio Parini, Rafa Salinas (Sa Lola, Blanes) e molti altri i protagonisti della manifestazione.

Il programma

Assaggi a parte, la manifestazione si propone anche di coinvolgere il pubblico di appassionati attraverso una serie di laboratori e forum dedicati a tematiche diverse. Ci sarà il seminario sull'educazione dei sensi, l'allenamento del palato e il fascino dell'analisi sensoriale, ma anche quello sui prodotti simbolo della regione, dal Parmigiano Reggiano ai vini autoctoni, con il contributo di esperti degustatori. L'Alleanza Slow Food, poi, fornirà preziosi consigli sulla scelta dei prodotti per una spesa consapevole, mentre gli amanti del buon bere potranno imparare a creare aperitivi sfiziosi a base di vini locali. Non mancheranno, inoltre, i focus sul sale di Cervia, l'aceto balsamico di Modena, l'olio extravergine di oliva, il pesce di mare, e poi il convegno sullo spreco alimentare, tema caro a Bottura e filo conduttore del festival. Per gli aspiranti panificatori, infine, gli esperti del settore sveleranno tutti i segreti per conservare e utilizzare al meglio il lievito madre, ma ci saranno anche i dibattiti sui formaggi al latte crudo, il suino nero di Romagna e le farine. Per una due giorni di gusto, ma soprattutto di cultura alimentare.

Al Mèni – Rimini – 23 e 24 giugno 2018 – piazzale Fellini - www.almeni.it


In viaggio. Il Palatinato, culla del Riesling e di nuove leve della ristorazione tedesca

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Per lungo tempo la Germania ha tralasciato il suo patrimonio enogastronomico, imitando la Francia e sognando l’Italia. La nuova generazione, però, sta cambiando direzione sulla traccia di sapori locali e sostenibili. Qui un estratto del racconto che potete leggere, integrale, nel numero di giugno del Gambero Rosso.

 

La Germania sta riformulando la sua identità gastronomica. Le nuove leve della ristorazione e dell'enologia, tra contaminazioni e nuove sensibilità, hanno imboccato con decisione la strada del territorio e della sostenibilità. Dando nuova forza alla tradizione. È quello che abbiamo scoperto, nel numero di giugno del Gambero Rosso, in due itinerari ai due estremi del paese: a Berlino e ai confini con l'Alsazia, nel Palatinato.

WachenheimWachenheim

Tutto inizia e finisce sulla Deutschen Weinstraße. 85 chilometri di vigne collegano Schweigen-Rechtenbach, confine al sud con l’Alsazia, e Bockenheim su a nord. Eccoci nel Pfalz, il Palatinato. È la patria del Riesling. Del Riesling secco e solare, potente e longevo. Prima tappa Wachenheim, siamo con l’enologo della Dr. Bürklin-Wolf, fondata nel 1597, 85 ettari di viti condotte in biodinamica dal 2005: la più grande realtà biodinamica d’Europa. Alla guida Nicola Libelli, piacentino, 32 anni, da cinque è il kellermeister della cantina nata dall’unione delle famiglie Bürklin e Wolf. “Qui l’effetto del fiume non si sente, abbiamo tantissime ore di luce e i boschi sono fondamentali per mantenere l’umidità. L’obiettivo è far diventare il Pfalz il primo distretto interamente biologico”, racconta Nicola. La Pfälzerwald è la più estesa foresta della Germania, da cui le tipiche grandi botti di legno che ritroviamo in cantina.

Palatinato culla del Riesling

Il riesling è una diva. Va trattata con i guanti, pressatura soffice e lunga, non sopporta chiarifiche, ha un tannino difficile, mal tollera i legni piccoli”. Assaggiamo da botte. Nel bicchiere profumi inebrianti, dal limone appena spaccato allo zenzero, dalla frutta gialla succosa a cenni più esotici. “Chi cerca riesling più agili e balsamici preferirà Deidesheim, Ruppertsberg e i suoi terreni argillosi per chi cerca vini più fruttati”, aggiunge Nicola. Ci fermiamo davanti all’unica botte di Pechstein, il solo cru figlio di terreni ricchi di basalto, di origine vulcanica. A metà sorso, ha un cambio di passo mostruoso: mineralità scura e infiltrante. In poche parole, energia pura. Accanto, più che una botte, una reliquia: il Kirchenstück (“la parcella della chiesa”), la mini-porzione di vigneto che già nella classificazione del 1828 strappava il prezzo di mercato più alto. È un vino più lento, luminoso e ricco di sponde e ricami di sapore. Qui i terreni mixano basalto, arenaria e quarzo. Dieci minuti di macchina e siamo tra le volte del bistro bio Hofgut Ruppertsberg, in un’ex officina del 1800. “I primi anni sono stati duri, abbiamo ricostruito un rapporto con i fornitori locali, dalle verdure che mi arrivano a poche ore dalla raccolta, alle carni, ai pesci del Reno – commenta lo chef Jean Philippe AiguierCon la guerra è andata distrutta anche la nostra ricca cultura gastronomica. Siamo ripartiti da zero. I nostri chef sono andati in Francia a formarsi e hanno riportato tutte quelle tecniche e prodotti”. Assaporiamo delle ottime lumache, piccantine il giusto, il luccio, il carré d’agnello. Carta dei vini profondissima a ricarichi contenuti; al Riesling Auslese del 1976, assaggiato alla cieca, non diamo più di 15 anni. Esistono altri bianchi al mondo capaci di viaggiare, con questa disinvoltura, nel tempo?

 Martin e Georg FußerMartin e Georg Fußer

Il gruppo Wine Changes

Il gruppo Wine Changes è tra le più belle sorprese del viaggio: un’associazione spontanea di 13 produttori del Pfälz, nata nel 2009. In scena un gruppo di ragazzacci, amici prima che colleghi, che hanno studiato insieme, condividono un’idea e un percorso. Il loro motto? Uno per tutti, tutti per il vino. Facciamo tappa dai fratelli Fußer, Martin e Georg, a Deidesheim. Poche annate alle spalle ma già tra i nomi emergenti. Viticoltura biodinamica, pressatura a grappolo intero anche qui, fermentazione spontanea, affinamento in acciaio. I 2016 hanno una marcia in più, il Reiterpfad è il loro cru più celebre, letteralmente il sentiero equestre, l’origine del nome è romana. Particolarmente potente e intenso in un profilo di erbe spontanee. Un gioiellino il Parardiesgarten: “È quella vigna lassù incastonata nella parte alte del bosco. Ci soffia sempre un vento particolarmente fresco”, commenta Georg. Nel bicchiere una sferzata rigenerante di anice e ginepro, bocca a dir poco elettrizzante. “Il Pinot Nero is the next big thing. Abbiamo piantato cloni francesi, prima erano tedeschi. It’s a very long way”, sorride Martin Fußer. Sul pinot nero scommette anche Philippe Weisbrodt: giriamo l’angolo e lo troviamo a imbottigliare in cantina. Dal 2009 ha convertito tutto in biodinamica. Il suo Riesling Mäushöhle (“la cava del topo”) ha un profumo di menta selvatica che entra in testa, freschissimo. “È un mistero dal punto di vista tecnico, di sicuro accanto da queste parti la menta cresce spontanea ovunque”. Dello stesso cru il Pinot Nero è più di una promessa. Intermezziamo con la succulenta Pfälzersaumagen, la pancia del maiale cotta alla moda del Palatinato, il piatto preferito dell’ex cancelliere Kohl.

cantina ChristammnCantina Christammn

Quindi raggiungiamo la cantina Christammn, in quel di Neustadt. “Il capitale del nostro vino sono i nostri suoli. Se li distruggiamo, cosa ci rimane?”, ribatte Sophie Christamn, l’ottava generazione. Lo stile della casa è sempre più essenziale e preciso, dal 2012 si è deciso di anticipare la vendemmia per evitare la botrite. Tra gli assaggi, spicca il Riesling Paradiesgarten 2016, un fenomeno di purezza espressiva, e l’Olberg, austero e salatissimo, timbro che ritroviamo nel Pinot Nero, il pallino di Sophie. Riprendiamo la Weinstraße e scendiamo verso sud. I vini di Rebholz sfoggiano una complessità sapida fuori dall’ordinario. “Nella buccia del riesling c’è una componente minerale importantissima, il potassio e tanti altri elementi. Diraspiamo e lasciamo a contatto per 24 ore. Poi lieviti indigeni, acciaio e lunga sosta sulle fecce fini”, ci spiega Hans. Il figlio Valentin ha fatto esperienze da Elisabetta Foradori ed è tornato con il pallino delle anfore. Assaggiamo le prime prove, già su livelli incredibili. Il fiore all’occhiello della gamma? Il Kastanienbusch, “l’albero delle castagne”.

Un piatto di IntenseUn piatto di Benjamin Peifer - Intense a Kallstadt

Risaliamo in direzione Francoforte e ci fermiamo a Kallstadt. Benjamin Peifer è l’enfant prodige degli chef di zona. 31 anni, ha iniziato come panettiere. Nel 2017 ha aperto Intense, la prima stella è arrivata nel giro di pochi mesi. Menu fisso fatto di piccoli assaggi, plasmato sul concetto degli omakase giapponesi, pochi ingredienti per piatto e tanto carattere. L’aspetto piccante è un filo comune, ma perfettamente dosato, la successione del menu è perfetta, con sali e scendi che funzionano molto bene; perfetto il punto di cottura della coda. Materie prime? “L’unico di cui non conosco il fratello è il produttore del Wagyu Beef”, butta lì Benjamin, a sottolineare che tutto è locale e si conoscono tutti i fornitori. In sala la sua compagna, Bettina, si occupa con grande professionalità della materia vinosa. In chiusura, un’infusione di una menta raccolta localmente: semplicemente prodigiosa. Ci accompagna anche quando la Weinstraße è già lontana.

La seconda fermata del nostro viaggio è Berlino, una capitale che ritroviamo in autentico stato di grazia sul piano enogastronomico. Molto meno poor (solo nel 2017 gli affitti sono saliti del 20%: mercato immobiliare letteralmente impazzito) but still very sexy, per aggiornare la celebre definizione dell’ex sindaco Klaus Wowereit. Potete scoprire tutti gli indirizzi nel numero di giugno del Gambero Rosso.

 

a cura di Lorenzo Ruggeri

foto di apertura: un piatto di Intense

 

QUESTO È NULLA...

Nel numero di giugno del Gambero Rosso, un'edizione rinnovata in questi giorni in edicola, trovate il racconto completo, compresa la tappa berlinese tra bistrot, ristoranti, gastropub, mercati, pizzerie, laboratori di panificazione e indirizzi vegan (Berlino è capitale europea della cucina vegetariana e vagana). Un servizio di 10 pagine che comprende anche i racconti di Veronika Crecelius, food journalist per la rivista Weinwirtschaft, e di Per Meurling, food journalist e autore di berlinfoodstories.com. E ancora i ristoranti e le cantine da non perdere nel Palatino e a Berlino, le mappe per orientarsi al meglio, i giovani chef che stanno cambiando l'enogostranomia tedesca e 11 vini selezionati per il loro rapporto qualità/prezzo.

 

Il numero lo potete trovare in edicola o in versione digitale, su App Store o Play Store

Abbonamento qui

 

 

Torna Stazione di Posta, il bistrot gourmand dell'estate romana. I progetti di Pino Cau

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Una riapertura molto attesa dal pubblico romano, quella di Stazione di Posta, l'indirizzo nel cuore di Testaccio, all'ex mattatoio, che nel tempo ha visto chef di rango darsi il cambio ai fornelli. Ci siamo fatti raccontare da Pino Cau come sarà la proposta per l'estate 2018. 

 

Il locale

Negli anni, ha saputo dimostrarsi capace di evolversi, ampliarsi, cambiare pelle, pur mantenendo intatta quella ricerca minuziosa per le materie prime, l'approccio internazionale e l'ampio respiro che caratterizzano la sua cucina. Stazione di Posta è una tappa gastronomica imperdibile per gli amanti del gusto della Capitale, un'insegna sempre valida che ancora una volta si rinnova, ponendosi come luogo ideale per chi voglia godersi un pasto d'autore, ma anche per tutti i romani e turisti in cerca di un piatto veloce e ben fatto o uno spuntino da consumare a tarda ora. Due, infatti, le offerte principali del ristorante: la proposta bistrot, con ricette semplici a base di ingredienti freschi, e il menu creato dal nuovo chef Luca Pistinizi, con piatti di grande pulizia, essenziali e concreti, ma sempre ragionati.

 

stazione di posta

L'offerta

Per un'offerta sempre più variegata, in grado di rispondere alle diverse esigenze della clientela, con prezzi medi che si aggirano attorno ai 15/20 euro per la linea bistrot e i 25/35 per la selezione più ampia. Una soluzione perfetta per concedersi piatti di livello a prezzi accessibili. In abbinamento ai drink sapientemente miscelati del cocktail bar, anch'esso rinnovato e perfezionato con una ricerca sempre maggiore sui distillati di pregio, coniugati ad arte con sciroppi fatti in casa, spezie e tanta frutta fresca. E per sottolineare sempre di più il ruolo centrale della mixology di qualità, in programma anche degli abbinamenti studiati con i piatti di Pistinizi.

 

Pino Cau

L'obiettivo

Un locale dinamico, in continuo movimento che, complice la riapertura della celebre discoteca romana Gay Village nella sede originaria di Testaccio, si propone sempre più come indirizzo polifunzionale per tutte le ore e tutte le tasche: “Il ritorno della discoteca nel quartiere ci ha spinto a prolungare gli orari della cucina, che rimarrà aperta fino alle 2 del mattino”, spiega il proprietario Pino Cau. Che aggiunge: “La natura di Stazione di Posta è sempre la stessa: piatti pensati ma non eccessivamente impegnativi. E poi proposte più semplici come hamburger e tartare”. L'ambizione, quindi, è quella di catturare una fetta sempre più ampia di clientela, dai gourmet della Capitale ai giovani affamati di ritorno da una serata di festa. “Lo chef è molto giovane e preparato, ha già lavorato in diversi ristoranti a Roma e da poco ha creato un suo locale, Quel che c’è, chiamato così perché tutti i piatti sono realizzati in base ai prodotti disponibili al mercato”. Intanto, Pino continua il lavoro da Eit all’hotel Rex, “un format che mi piace molto e a cui mi sento legato. Col tempo, voglio essere sempre più presente all’interno dei miei locali”. A cominciare da Stazione di Posta, dove è già disponibile il nuovo menu dell’estate.

Stazione di Posta – Roma – Largo Dino Frisullo, 1 -  065743548 – aperto tutti i giorni (tranne il martedì) dalle 19.00 alle 2.00 - www.stazionediposta.eu/

a cura di Michela Becchi

 

Mare e Vitovska 2018 Report. L'incredibile varietà di un vino di confine

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29 cantine, oltre 40 etichette per scoprire l'essenza di un vino di confine che unisce Italia e Slovenia sotto un unico vitigno che rivela un'incredibile varietà espressiva.

 

Il fascino discreto del Carso

Il Carso ha il fascino misterioso di uno sguardo sfuggente, il sapore di un lontano rimpianto per un incontro sfiorato, il sospiro di un soffio di vento che confonde per un attimo i pensieri. È una terra irrequieta, un vibrante confine tra sud e nord, tra la cultura pigra e solare del Mar Mediterraneo e l’asburgica tradizione Mitteleuropea. Un instabilelimestra Oriente e Occidente, segnato da un’irrisolta faglia tra due diverse visioni del mondo. Terra d’incontri e scontri, di contraddizioni e contaminazioni, il Carso non appartiene che a se stesso, alla sua natura riservata e generosa, arida e pietrosa. Dalla romana Tergeste alle invasioni barbariche, da libero comune in lotta con la Serenissima al protettorato degli Asburgo, fino allo statuto di Porto Franco dell’Impero, Trieste ha coltivato nei secoli la sua vocazione geografica cosmopolita e multietnica, faro della moderna cultura europea. Una terra ferita in modo profondo dal dramma di due guerre mondiali e dalla scia di luttuosi ricordi, che ancora oggi affiorano in controluce nella memoria dei luoghi e nell’animo delle persone. L’indole transnazionale e paneuropea del Carso triestino, ha reso ancor più assurdo il confine tracciato maldestramente su una carta, che ha fatto di questa sottile lingua di terra un luogo dal carattere schivo e sfuggente, con lo sguardo malinconicamente rivolto all’orizzonte infinito e libero del mare.

La terra del Carso

È su questa roccia arsa dal sole e battuta dalla fredda Bora che vive la vitovska. Una terra di pietra e vento, dal carattere aspro e selvaggio. Le vigne disegnano ordinati filari tra gli arbusti della macchia mediterranea, che punteggia di verde le nude rocce. Le chiome argentate, scosse dal vento, raccontano l’ostinato coraggio degli ulivi, saliti così a nord per seguire gli ultimi miti respiri del Mediterraneo. Suoli poveri, di poca terra rossa, che poggia su un duro e fragile calcare bianco, percorso daun’irrequieta anima nera, che scava fiumi nella profondità della roccia. Acque che s’inabissano e scorrono in arabeschi sotterranei, come in un oscuro inconscio della terra, celando nell’abisso, arcani e insondabili misteri.

 

La vitovska, un vitigno di confine

In un ambiente dai contrasti così violenti, solo un antico vitigno autoctono poteva mettere radici e trovare il suo habitat naturale. Figlia di un incrocio spontaneo tra malvasia e glera, la vitovska è coltivata da secoli sui terrazzamenti che dall’altopiano del Carso, scendono ripidi verso il blu del mare. Un vino di confine, teso e vibrante, fresco, sapido e pietroso, che sa di fiori di campo ed erbe aromatiche, di ricordi iodati e sensazioni marine. Come la ribolla gialla nelle vicine zone del Collio e della Goriška Brda, anche la vitovska è un vitigno che unisce nazioni e popoli. Cancella i confini e accomuna le genti, nel semplice e fraterno piacere di bere insieme un calice di vino. Le cantine si trovano a pochi chilometri di distanza l’una dall’altra e poco importa la nazione di appartenenza, conta soprattutto l’impegno tenace di appassionati vignaioli nel valorizzare una varietà autoctona, da sempre legata alle tradizioni del territorio.

L'area di Prepotto di Duino-Aurisina e la zona di Sgronico

Sul versante italiano del Carso, è soprattutto nella piccola frazione Prepotto di Duino-Aurisina e nella zona attorno al comune di Sgronico, che si concentrano le cantine dei più famosi produttori: Škerk, Zidarich, Lupinc, Kante, Skerlj, Bajta, Ostrouska e Milič. Qui nascono alcune delle migliori espressioni di Vitovska in assoluto. Ottime le etichette in commercio di Sandi Škerk (2016) e di Benjamin Zidarich (2015), con una personale predilezione per quest’ultima, mentre di Škerk ho trovato insuperabili la Malvasia (2016) e l’Ograde (2016). L’assaggio delle loro annate 2007 e di una meravigliosa e freschissima 2004 di Zidarich, ha confermato la splendida tenuta del tempo della Vitovska, con interessanti evoluzioni verso decise note sapide e minerali, tipiche del terroir.

 

La zona intorno alla città di Muggia

Spostandosi verso sud, l’altopiano del Carso scende ad abbracciare, con un profondo e stretto golfo, la piccola cittadina di Muggia, già parte della penisola istriana. Qui la composizione dei suoli cambia profondamente. I terreni sono costituiti dal flysch eocenico di marne e arenarie, simile alla ponca del Collio e dei Colli Orientali. Le vigne sono coltivate ad altitudini più basse, sui primi rilievi collinari che circondano il golfo di Muggia. La poncae un clima più caldo, con meno escursioni termiche, donano ai vini un profilo più ricco e solare, morbido e mediterraneo. Anche in quest’area sono molti i produttori interessanti: Kocjančič, Zahar, Lenardon, Grgič, Merlak, Urizio. Eccellenti per finezza ed eleganza la Vitovska (2016) e la Malvasia (2016) di Rado Kocjančič, che produce anche il bianco Brežanka, realizzato da un uvaggio di 15 vitigni provenienti da un vigneto centenario con alcune varietà ancora a piede franco e non certificate nella banca mondiale del DNA. La Cantina Zahar, oltre alla Vitovska ferma, realizza una versione Spumante Sur Liedalle piacevoli note fresche e sapide. Infine, Bruno Lenardon imbottiglia un’ottima Malvasia da una vecchia vigna a pergola di oltre 60 anni, un blend di moscato bianco e moscato giallo di grande equilibrio e L’Elysium, preziosa etichetta prodotta con il raro moscato rosa di Parenzo.

 

Mare e Vitovska al Castello di Duino

Capita raramente di trovarsi a degustare vini in un luogo così bello come il Castello di Duino. Costruito sulla cima di un promontorio roccioso, offre una vista meravigliosa sulla costa e sull’orizzonte del mare aperto. Difficile non distrarsi tra i lussureggianti viali degli splendidi giardini del maniero, un percorso sinuoso, che disegna il profilo del promontorio regalando scorci di rara bellezza, impreziositi dalle atmosfere della calda luce del tramonto.

L’edizione 2018 di Mare e Vitovska ha visto la partecipazione di 29 cantine, tra italiane e slovene, con oltre 40 etichette in degustazione. Il livello dei vini si è dimostrato non solo alto, ma anche caratterizzato da una notevole tipicità varietale e territoriale. Pur nelle diverse versioni interpretative, che vanno dalle classiche vinificazioni in bianco alle macerazioni di poche ore o di alcune settimane, la Vitovska ha dimostrato di esprimere i suoi caratteri in modo preciso e riconoscibile. Le piccole dimensioni delle cantine e un approccio ancora artigianale al mondo del vino, hanno consentito di conservare una genuinità e una schiettezza espressiva, in altri territori ormai smarrita da tempo. È proprio questo desiderio di far conoscere e portare in luce tutte le sfumature di questo piccolo vino territoriale, che rende Mare e Vitovska un evento così affascinante. Al successo della manifestazione hanno contribuito anche i ristoratori della zona, che hanno offerto, in abbinamento ai vini, alcuni assaggi dei loro migliori piatti e di prodotti tipici del territorio.

 

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I migliori assaggi di Mare e Vitovska 2018:

Spumante Sur Lie Vitovska 2016 - Zahar

Carso Vitovska DOC 2016 - Škerk

Carso Vitovska DOC 2015 - Zidarich

Carso Vitovska DOC 2016 - Lupinc

Carso Vitovska DOC 2016 - Kocjančič

Carso Vitovska DOC 2016 - Milič

Carso Vitovska DOC 2016 - Skerlj

Carso Vitovska DOC 2016 - Bajta

Kras Vitovska DOC 2016 - Stoka

Kras Vitovska DOC 2016 - Kodric

Kras Vitovska DOC 2015 - Tavkar

Carso Malvasia DOC 2017 - Lenardon

 

a cura di Alessio Turazza

foto di Robi Jakomin

 

 

Festa in Piazza a Salina. Nelle Eolie l'evento della pizza per celebrare il primo compleanno di Franco Manca

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Due giorni di festa in piazza fra musica, cibo e un buon bicchiere di vino. Il 30 giugno e 1 luglio a Salina si celebra il primo anniversario di Franco Manca, catena di pizzerie londinesi che ha scelto l'isola siciliana come unica sede italiana. 

 

Franco Manca

Lunghe lievitazioni, forno a legna artigianale napoletano, selezione attenta delle materie prime. Così nasce la fortuna delle pizzerie londinesi Franco Manca, nome omaggio alla prima insegna di Brixton aperta da Franco Pensa nel 1985. Un successo ottenuto grazie alla capacità imprenditoriale di Giuseppe Mascoli, che insieme all'amica ed esperta panificatrice Bridget Hugo nel 2008 ha rilevato il locale di Pensa, trasformandolo grazie a una selezione di ingredienti sempre più mirata e attenta. Sono nate così nel tempo le altre sedi della pizzeria, acquistata poi da Fulham Shore, di proprietà di David Page già socio di minoranza del gruppo, che ha pagato più di 27 milioni di sterline per aggiudicarsi una quota maggioritaria di Franco Manca. Un progetto di successo, approdato anche in Italia, a Salina, nel 2017, e che non ha tardato a conquistare il palato dei siciliani.

Franco Manca, un anno dopo

Per festeggiare il primo anniversario della pizzeria, Mascoli ha deciso di dare vita a Festa in Piazza, evento gastronomico organizzato da Italia Cibum Projects, in scena il 30 giugno e 1 luglio 2018 alla pizzeria di Franco Manca, situata nella piazza all’interno della zona pedonale del grazioso borgo di Lingua, con posti a sedere all'aperto e una vista incantevole sul delle Eolie.Una manifestazione che si propone di ricreare l'atmosfera tipica delle celebrazioni di paese, con pizza, panini, prodotti e vino del territorio, oltre alla partecipazione di chef, produttori e artigiani locali e non.

I protagonisti

Ci saranno, naturalmente, le pizze firmate Franco Manca e realizzate da Pascual Campus e Sebastiano Campisi di Franco Manca UK, insieme a Fortunato Anastasi e Hamza L. Mselek, ma anche le specialità di Ciro Oliva, in arrivo da Concettina ai Tre Santi del rione Sanità di Napoli, che porterà nell'isola due pizze fritte ispirate ai sapori locali. Ci sarà poi Martina Caruso, la chef del Signum, ristorante dell'omonimo hotel di Salina, che proporrà la sua pizza Eoliana, ispirata alla tipica insalata locale e condita con pomodori del Piennolo, patate, cipolle rosse, mozzarella, olive nere di Nocellara del Belice e menta fresca. Al pane, invece, Francesco Arena del panificio messinese Masimo Arena, insieme a Davide Longoni, punto di riferimento per l'arte bianca milanese, che porterà un pane di grani antichi siciliani ripieno di panzanella con verdure degli orti di Salina. Dulcis in fundo, la granita del bar Da Alfredo, mecca gastronomica per tutti i golosi in visita sull'isola.

I prodotti e il progetto di agricoltura biologica

Un anno di Franco Manca, ma anche del vino naturale prodotto in anfora e delle coltivazioni a conduzioni biologica avviate da Mascoli una volta approdato in Sicilia. “Ho scelto Salina perché me ne sono innamorato anni fa, quando stavo cercando il cappero perfetto per le mie pizze. È un'isola produttiva, con una popolazione attiva e una biodiversità incredibile”, che passa per le foreste di castagni a 1000 metri di altezza, i corbezzoli, le ginestre o i caprifogli alle pendici dei monti. “Salinaa mio avviso dovrebbe uscire dall'Unesco, che spesso trasforma i luoghi in una sorta di Disneyland dove gli abitanti si riducono a vendere cartoline. Quest'isola è differente e non si merita questa fine. Così, il sogno rimasto nel cassetto per anni, oggi è il mio contributo a Salina”.Festa in Piazza, infatti, è anche l'occasione ideale per scoprire le tante eccellenze locali, dalla Malvasia ai capperi di Salina Presidio Slow Food. Per una due giorni all'insegna del gusto e della convivialità.

Franco Manca Salina – Salina - via Marina Garibaldi, Lingua (Messina) – 0909843070 - www.francomanca.co.uk/restaurants/salina

a cura di Michela Becchi 

Guida Roma 2019 del Gambero Rosso. Tutti i premi

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La Roma del 2019 è quella di nuovi locali, raddoppi e restyling. Lo abbiamo visto in questi ultimi mesi con tanti rinnovi (e riletture) di posti storici e meno storici. Format che hanno portato una ventata di reale novità e altri talmente semplici da risultare disarmanti, ma di tale qualità da sbaragliare le carte. Ecco il meglio del panorama capitolino.

 

Il mondo di Roma

A Roma c’è spazio per tutti. Quest’anno ancora di più, e in senso letterale, e la nuova guida del Gambero Rosso lo certifica. Spazio dicevamo. Quello con la “s” maiuscola è stato il casus gastronomico dell'ultima stagione, e porta la firma di Niko Romito, che spostando e rinnovando totalmente un format già di successo, ha riscritto lo standard della polifunzionalità metropolitana con il tocco autorale di una cucina di ricerca ma comprensibile, e idee realmente originali - ed esserlo, oggi, non è così scontato come sembra - nei contenuti (vedi il discorso sul pane, non più mero comprimario ma protagonista dalla colazione alla cena). E che ha impresso un sprint imprenditoriale paragonabile solo a quello che Carlo Cracco ha fatto a Milano. Tanto per puntualizzare che questa Roma sconfinata e zoppicante, enorme luogo comune dei luoghi comuni, non sta immobile a guardare realtà più agili e veloci, ma è altrettanto capace di scommettere, mettersi in gioco, accogliere il nuovo. In un modo tutto suo, però.

Che, è vero, il più delle volte non è lineare e di semplice e immediata interpretazione, almeno nel breve termine di un’annata, e soprattutto in una città che, provincia inclusa, conta poco meno di 4 milioni e mezzo di abitanti, circa 125mila turisti al giorno, 116 comprensori tra rioni centrali, quartieri periferici, suburbi e aree dell’Agro Romano. In sintesi, la megalopoli d’Italia. Ma se una guida ha l’obiettivo primario di fornire un servizio e una direzione al cliente che non ama scegliere a caso, lo scopo è altresì quello di estrapolare tendenze, umori e possibilità. E pure di fare qualche pronostico sull’anno che verrà.

Roma 2019 (appunto), alla sua ventinovesima edizione, seleziona circa 1500 insegne tra tutti i settori specifici (nuovo arrivato, giocoforza data la vitalità della categoria, quello dei cocktail bar), scelte dopo accurate perlustrazioni zona per zona - ognuna con contesti e peculiarità differenti -, cogliendo quello che attualmente è definibile “il meglio” in relazione a clientela (o clientele), portafoglio, copertura territoriale (tra Urbe e Regione), coerenza. Dove si va, quindi?

 

La sala e i nuovi format d’autore

Sicuramente in terrazza, sempre, perché quello sulla “magia” della luce e dei tramonti sui tetti è il luogo comune più vero che ci sia. Proprio La Terrazza è il nome del ristorante dell’hotel Eden, per esempio, sofisticato cinque stelle che, dopo l’azzeccato restyling dello scorso anno, ha alzato l’asticella a 360 gradi e oggi assicura anche un eccellente servizio di sala. Ma si va pure verso i menu light, gourmet sì ma non complicati: dopo la scommessa vinta dal Mercato Centrale (che ha compiuto un anno in autunno) col doppio binario “cheap e chic” posizionato nello snodo più nevrotico - ed emblematico - della città, e lo sbarco, nel settembre scorso, di Igles Corelli e dei suoi “bottoni” di “high street food” di Mercerie, ecco il boom di Spazio(doppio il premio: Novità dell’anno e Tre Cocotte), la crescita di Retrobottega (altra novità dell’anno), sorto come bistrot gastronomico ed evolutosi in ristorante in piena regola senza mutare l’approccio informale, il piglio contemporaneo del cibo, il mood internazionale e innovativo, nonché realtà sfiziose - sin dal nome - come Assaggia (cucina “della nonna” in un boutique hotel deluxe, in taglia small nelle porzioni e servita in tegamini).

 

La reinvenzione dei classici e l’immortalità della tradizione

Poi si va dove c’è da divertirsi, e se a dirigere l’orchestra, da vicino o da lontano, c’è uno come Angelo Troiani, il gioco è più serio di quello che sembra. C’è il suo zampino dietro al sopracitato Assaggia, ma soprattutto ci sono la solidità e il rigore di un professionista con trent’anni di mestiere alle spalle dietro al restyling del Convivio: la tavola classica e compassata è stata smontata e rimontata, per continuare a essere fine dining ma in uno spazio eclettico, al passo con i tempi, fresco e dinamico. E si continua, felicemente, ad andare in trattoria, in una Capitale legata a doppio filo con la sua veracità più che mai, che siano le insegne comfort dove amatriciana, animelle e abbacchio sono fatte come nonna (la stessa di prima) comanda, e l’atmosfera è morbida come quella del suo tinello (e se ce n’è un prototipo, è Armando al Pantheon della famiglia Gargioli, che si riprende i Tre Gamberi), o le neo-osterie dove la liturgia di tradizione e territorio è più incentrata sul prodotto di filiera, la conduzione è giovane e il mood coinvolgente, e la lavagna del giorno racconta di un approccio giocoso e non convenzionale sulle ricette note, che è ciò che accade da Mazzo, defilato come zona ma centralissimo nel concetto, ultimo arrivato nella squadra delle migliori osterie.

 

Vini, birre e cocktail

E ancora, si va dove si beve bene. Mixology di qualità con food pairing intrigante, il gastropub impegnato che funziona da evoluzione e completamento della “vecchia” birreria, banconi che si rinnovano (uno tra tutti quello di Bulzoni, nome navigato nel panorama delle enoteche, e novità dell’anno per il lucido restyling dell’ambiente e l’ampliamento dell’offerta culinaria), e banconi che vedono la luce e sono subito adulti, come quello intitolato al protettore dei vigneti dalla grandine, San Barnaba, dove formula disinvolta, cantina costellata di chicche (con focus sui vignaioli indipendenti) e menu “di pancia” sono le ragioni di un successo arrivato a stretto giro dall’inaugurazione, e dell’ingresso - con le Tre Bottiglie - nel Gotha dei migliori wine bar d'Italia.

 

Uscendo da Roma

Insomma, in termini di empatia, capacità di fare rete, capitale umano, Roma, a tavola, qualche ottima carta da giocare ce l’ha. In città e fuori. Senza dimenticare i big: tre dentro al GRA, altrettanti fuori, questi ultimi rispettivi grandi interpreti del mare (Gianfranco Pascucci a Fiumicino), del fiume (i fratelli Serva a Rivodutri), del bosco e della terra (Salvatore Tassa). Raffinati cantori, e instancabili ricercatori, del senso “glocale” della nuova cucina italiana, come insegna il “cuciniere libero” di Acuto, alchimista in perenne sperimentazione nel suo laboratorio Le Colline Ciociare, e oste verace nell’adiacente Nu' Trattoria Italiana dal 1960.

 

a cura di Valentina Marino


Guida Roma 2019 Gambero Rosso – 288 pp. - 10€ - disponibile in edicola, libreria e on line



I PREMIATI


TRE FORCHETTE

95

La Pergola dell'Hotel Rome Cavalieri | Roma

92

La Trota | Rivodutri (RI)

90

Imàgo dell'Hotel Hassler | Roma
Il Pagliaccio | Roma
Colline Ciociare | Acuto (FR)
Pascucci al Porticciolo | Fiumicino (RM)

 

TRE GAMBERI

Armando al Pantheon - Roma
Mazzo - Roma
Sora Maria e Arcangelo | Olevano Romano (RM)

 

TRE BOTTIGLIE

Barnaba - Roma

Roscioli | Roma

Trimani | Roma

Del Gatto | Anzio (RM)

 

TRE BOCCALI

Open Baladin | Roma

L’Osteria di Birra del Borgo | Roma

 

TRE COCOTTE

Caffè Propaganda | Roma
Spazio Niko Romito | Roma

 

I Premi Speciali


Le novità dell'anno

Assaggia (Bistrot) | Roma
Barnaba (Wine Bar) | Roma
Retrobottega (Ristorante) | Roma
Spazio Niko Romito (Bistrot) | Roma
Torcè (Gelateria) | Roma
 


Miglior servizio di sala

Metamorfosi | Roma


Miglior servizio di sala in albergo

La Terrazza dell'Hotel Eden | Roma

 

Proposta al bicchiere al ristorante

Il Convivio Troiani | Roma


Proposta al bicchiere al wine bar

Bulzoni | Roma

 

Qualità/prezzo

Assaggia | Roma
Cento | Roma
L'Osteria di Monteverde | Roma
Umami | Roma
Satricvm | Latina
Osteria Numero Sette | Roma
Essenza | Pontinia (LT)
Materiaprima | Pontinia (LT)
Danilo Ciavattini | Viterbo



Premi Gruppo del gusto - Associazione Stampa Estera

TRATTORIA
Maledetti Toscani | Roma
I toscani a Roma fanno sempre colore, ma anche grandi piatti a prezzi per tutti. Una trattoria tra le preferite dai corrispondenti scandinavi.


TRATTORIA
Da Roberto e Loretta | Roma
Da tranquilla trattoria di quartiere, è diventato un posto elegante dove si mangia sempre bene e a prezzi giusti. La cucina romana come la vedono oggi i giornalisti esteri.

RISTORANTE
La Rosetta | Roma
Lo stile di Massimo Riccioli è in costante ricerca. Quando si vuole una sosta gourmet si va alla Rosetta per gustare il meglio della cucina di pesce a Roma e grandi abbinamenti con i vini.

RISTORANTE
La Parolina | Acquapendente (VT)
Un posto meraviglioso, dove Iside e Romano propongono eleganti rivisitazioni della cucina tradizionale e rendono felici italiani e corrispondenti esteri.

CAFFÈ & BAR
Gruè Roma
Innovativa, creativa, giovane, croccante, la pasticceria degli anni Duemila.

GELATERIA
Il Cannolo Siciliano Roma
Agrumi e creme che anche d’inverno fanno rivivere l’estate. Il gelato romano preferito dalla stampa estera.
 

Origine, modi di dire e ricette della frittata

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Piccole e grandi curiosità sulla frittata, dalle origini ai modi di dire. In più, 3 ricette, di cui una dolce e un outsider.

 

Semplice com'è da preparare, la frittata è la svolta-cena per eccellenza. Poi è democratica, golosa e si abbina a tutto... come il nero. Ma esiste da sempre? Chi l'ha inventata? E come si prepara? Abbiamo cercato di rispondere a ogni curiosità, in più vi regaliamo tre ricette: frittatina di maccheroni, frittata di patate e cipolle e kaiserschmarren.

L'origine della frittata

La frittata è probabilmente una delle preparazioni più antiche e diffuse, d'altra parte le uova sono un alimento povero che si presta bene a mille preparazioni. Premesso questo, è ragionevole ammettere non vi sia un unico inventore della frittata, così come non c'è un'unica ricetta. In “Storia dell'alimentazione” di Jean-Louis Flandrin e Massimo Montanari si legge siano stati gli arabi (come per le polpette) a portare la frittata in Europa – pare che uno dei piatti più ricercati in Oriente fosse il tirrîkh, un piccolo pesce di lago tritato e proposto nella frittata – ma quel che è certo è che questa preparazione, il cui nome deriva dal latino frixùra(fritto), ha sbizzarrito la fantasia di molti cuochi. Da Apicio, che nel “De re coquinaria” l'ha fatta rientrare nel capitolo intitolato “Pandette”, nome di origine greca che significa “contenitore di ogni cosa”, e ne propone anche una versione dolce con il latte e il miele. A Maestro Martino, che nel “Libro de arte coquinaria” dedica un intero capitolo alle uova, doveparla anche di frictata con borragine, menta, maiorana, salvia”.

Il classico panino con la frittata

Le uova (sbattute) in Europa

Venendo ai giorni nostri, ciascun paese ha il suo modo di sbattere le uova. In Spagna c'è la tortilla di patate e in Francia c'è l'omelette, che a differenza della frittata deve rimanere più cremosa e prevede l'aggiunta degli altri ingredienti solo a fine cottura, quando l’omelette viene ripiegata su sé stessa da un lato. In Germania e in Austria la frittata, a forma di tagliatelle, viene servita in brodo (un po' come le scrippelle 'mbusse abruzzesi), mentre sono tipiche dell'english breakfast le uova strapazzate. La differenza tra frittata e uova strapazzate? Sta nel fatto che la prima non va rivoltata prima che la parte inferiore si rassodi. Da qui il modo di dire.

Perché si dice “non rivoltare la frittata”

Se “fare una frittata” (leggi: fare un pasticcio) è abbastanza intuitivo - significa che si sono rotte per sbaglio le uova – perché si dice “non rivoltare la frittata”? Semplice, quando si cucina la frittata, non la si deve mai rivoltare, almeno mai prima che si sia assodata la parte di sotto. Lo scrive Maestro Martino - “nota che per farla bona non vole esser voltata né molto cotta” -e lo ribadiscePellegrino Artusi ne 'La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene': “Chi è che non sappia far le frittate? E chi è nel mondo che in vita sua non abbia fatta una qualche frittata? Pure non sarà del tutto superfluo il dirne due parole. Le uova per le frittate non è bene frullarle troppo: disfatele in una scodella colla forchetta e quando vedrete le chiare sciolte e immedesimate col torlo, smettete. Le frittate si fanno semplici e composte; semplice, per esempio, è quella in foglio alla fiorentina che quando un tale l'ebbe attorcigliata tutta sulla forchetta e fattone un boccone, si dice ne chiedesse una risma. Però riesce molto buona nell'eccellente olio toscano, anche perché non si cuoce che da una sola parte, il qual uso è sempre da preferirsi in quasi tutte”. E conclude: “Quando è assodata la parte disotto, si rovescia la padella sopra un piatto sostenuto colla mano e si manda in tavola”. Per concludere, vi sveliamo due ricette più un outsider, ma per la frittatina di maccheroni, questo e altro.

Frittatina di maccheroni

Frittatina di maccheroni

La frittatina (sottinteso di maccheroni) occupa un posto d'onore nello street food napoletano e, come la pizza, vanta tanti fan quante scuole di pensiero. La ricetta base prevede un piccolo timballo di pasta condito con besciamella, sugo di carne macinata, piselli e provola, infine impanato e fritto. Le scuole di pensiero si dividono sul tipo di pasta (bucatini o vermicelli), sull'utilizzo o meno del soffritto con la besciamella, sulla quantità di pepe, sul tipo di latticino da usare nel ripieno (provola di Sorrento o fiordilatte di Agerola?). Inutile dire che ogni napoletano ha la propria versione.

Ingredienti

300 g di maccheroncini

200 g di piselli freschi

80 g di prosciutto cotto

1 cipollina fresca

80 g di provola affumicata

2 cucchiai di parmigiano grattugiato

500 g di latte

60 g di burro

2 cucchiai di farina

4 uova

Farina

Pangrattato

Olio extravergine d'oliva

Tritate la cipollina e fatela soffriggere con olio extravergine d'oliva. Tagliate il prosciutto cotto a cubetti, aggiungetelo alla cipolla e unite i piselli; salate e cuocete per 30 minuti. In una pentola antiaderente fate fondere il burro e unite a poco a poco la farina setacciata. Versate il latte tiepido mescolando per evitare che si formino grumi. Spegnete la besciamella solo quando sarà piuttosto densa, salate solo alla fine. Tagliate la provola a dadini e mettete da parte. Cuocete i bucatini in abbondante acqua bollente e salata e scolate quando sono ancora molto al dente. Versate la pasta in una ciotola molto capiente e aggiungete la besciamella mescolando bene. Unite i piselli, la provola e in ultimo i due cucchiai di parmigiano grattugiato. Ungete una teglia rettangolare di media grandezza e versatevi la pasta fino a ricoprirla tutta a uno spessore di 3 cm. Lasciate riposare almeno due ore. Ricavate dei dischi di pasta con l'aiuto di un coppapasta di 7 cm di diametro. Sbattete le uova in una ciotola e aggiungete un pizzico di sale, preparate un piatto piano con la farina e un altro con del pangrattato. Passate le frittatine di pasta prima nella farina, poi nell'uovo e in ultimo nel pangrattato. Friggete in abbondante olio extravergine ben caldo e scolate su carta assorbente.

 

Frittata di cipolle

Frittata di cipolle

Ingredienti

6 uova

2 grosse cipolle rosse

300 g di provolone

Pepe nero

Olio extravergine d'oliva

Sale

Sbattete le uova e conditele con sale, pepe e provolone a dadini. In una padella antiaderente, fate appassire lentamente in qualche cucchiaio d'olio le cipolle tagliate a julienne, aggiungendo, se necessario, poca acqua. Una volta ammorbidite le cipolle, unite le uova, coprite con il coperchio e lasciate cuocere a fiamma vivace. Appena cotta la parte inferiore, rigirate la frittata con l'aiuto di un coperchio e completare la cottura.

 

Kaiserschmarren

Kaiserschmarren

Il Kaiserschmarren è un dolce tradizionale altoatesino a base di uova.

Ingredienti

300 g di latte

140 g di farina

4 uova

1 cucchiaiata di uvetta sultanina

40 g di zucchero

40 g di burro

Zucchero a velo

Sciacquate l'uvetta a fatela rinvenire in una tazza di acqua tiepida. Mettete i tuorli d'uovo in una terrina (conservate gli albumi), unitevi la farina e il latte e mescolate con una frusta in modo da avere una pastella liscia e senza grumi. Montate a neve ferma gli albumi con lo zucchero e amalgamateli delicatamente alla pastella con un movimento dall'alto in basso. Scaldate la metà del burro in una padella, versatevi l'impasto e cospargetelo con l'uvetta, scolata e ben asciugata. Regolate la fiamma a metà altezza e fate dorare il kaiserschmarren nella parte inferiore. Dopo cinque o sei minuti fatelo scivolare su un piatto, cospargetelo con qualche fiocchetto di burro, appoggiatevi sopra la padella e rovesciatelo con un colpo deciso. Terminate la cottura nel forno già caldo a 180° per un decina di minuti. Spezzettatelo con due forchette ottenendo dei pezzetti irregolari di tre o quattro cm e servitelo caldo spolverato abbondantemente con lo zucchero a velo.

 

a cura di Annalisa Zordan

 

 

Mangiare e bere all'aperto a Milano: novità 2018 per l'estate in città

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Suggerimenti di gusto per scoprire una Milano più verde di quanto ricordavamo, che invita a farsi scoprire anche d'estate. Le ultime novità. 

 

Fino a qualche anno fa suggerire a qualcuno di trascorrere l'estate a Milano sarebbe stato impensabile (a meno di non essere preparati a raccogliere qualche colorito improperio). L'afa che intorpidisce la città in questo periodo dell'anno, e almeno fino alla fine di agosto, è un appuntamento fisso che non lascia scampo. Ma il volto della città è in evoluzione costante, e asseconda quell'attitudine alla mondanità che molti riconoscono ai milanesi, in una direzione però nuova, più concentrata sul concetto di orgoglio civico. Milano non è mai stata verde come oggi, si moltiplicano gli spazi di condivisione all'ombra di progetti urbanistici all'avanguardia, l'energia è quella giusta per stimolare il desiderio di uscire per scoprire come cambia la città, e goderne. Pure d'estate, meglio se all'orizzonte si profila qualche oasi dove prendere un po' di respiro, mangiare e bere bene, trascorrere una bella serata all'aria aperta o una pausa pranzo piacevole, seppur veloce. Dunque passiamo in rassegna le novità più interessanti, e curiose, per mangiare all'aperto a Milano: suggerimenti per tutte le tasche e per tutti i gusti.

 

Caffè in Giardino alla Triennale: Da tempo il polo artistico di viale Alemagna ha sposato la causa della gastronomia d'autore, ripensando i suoi spazi anche in funzione di una proposta di ristorazione all'altezza dello storico spazio museale. Dunque ferma restando la soluzione di un aperitivo o una cena in Terrazza, con vista su Parco Sempione (e la cucina di Stefano Cerveni), da qualche giorno ha riaperto i battenti pure il Caffè in Giardino affacciato sui Bagni Misteriosi di Giorgio De Chirico. La novità è garantita dal recente arrivo in squadra di Cristian Marasco, pizzaiolo d'esperienza da qualche mese alla guida di Triennale Social Pizza: in giardino la carta proporrà diverse variazioni sul tema della focaccia, cotta al tegame a bassa temperatura, poi abbattuta e rigenerata ad alta temperatura, prima di essere completata con gli ingredienti del caso. 7 proposte di stagione, dalla Napoli Parma alla vegan, alla golosa focaccia con patata viola, stracciatella e gamberi rossi. Alternativa più modaiola l'Italian Cirasci di Stefano Cerveni: riso lavorato alla giapponese e servito in bowl, condito però con ingredienti della tradizione mediterranea. Sotto il pergolato o al tavolo social, anche per l'aperitivo, dalle 18 alle 21.30, con coktail, vino, bollicine e snack d'accompagnamento.

Viale Alemagna, 6 - dalle 12 alle 21.30

 

Social Market Fish&Chips: Ci spostiamo in Darsena per scoprire un'altra idea dello stesso gruppo, nata come costola take away di Vista Darsena, ma all'interno del mercato di piazza XXIV maggio. Di fatto una friggitoria devota al fish&chips (anche con gamberi e melanzane, o pollo con salsa allo yogurt), con la pastella studiata da Cerveni: farina di riso e birra. E salse fatte in casa. Il packaging è ideale per il take away, ma fermarsi a bere un drink sgranocchiando il “fritto della settimana” nel dehors esterno o su uno dei maxi cuscini vista Darsena a disposizione dei clienti è un'esperienza decisamente piacevole.

Piazza XXVI maggio - dalle 9 alle 2

 

Il dehors di Giuseppe Zen al Mercato della Darsena: Ancora al polo gastronomico della Darsena per salutare con piacere l'ultima trovata del maestro Zen, che del mercato è il vero mattatore, ormai con 4 progetti (Macelleria Popolare, Resistenza Casearia, Panificio Italiano, Tagliatella), uno diverso dall'altro, ma tutti fondati sulla stessa, indomita difesa delle produzioni genuine e del prodotto autentico. Ora, a disposizione dei clienti, c'è anche il bel dehors (con orto) affacciato sull'acqua. Un must per l'estate? Il latte (Salvaderi) e menta (dell'orto) da sorseggiare in terrazza.

Piazza XXVI maggio

 

Pandenus in Gae Aulenti: Ultima apertura in ordine di tempo (e recentissima) per il gruppo di Filippo Lecardane che alla fine del 2017 ha incrociato la sua strada con quella di Enrico Bartolini. Così dopo la Locanda con bistrot di via Mercato è arrivato il secondo, grande, spazio all'interno dell'edificio sede di Coima, in vista del Bosco Verticale dall'altra parte della piazza. Il locale vive tutto il giorno: è caffè (con il caffè di Gianni Frasi) per la colazione e la pausa pranzo, cocktail bar, bistrot e anche pizzeria (da forno elettrico), vero esordio nel mondo della pizza per lo chef del Mudec. Qui ci interessa sottolineare il bel progetto architettonico che ha modulato con modernità gli interni, e lo spazio all'esterno, con tavoli ordinati sotto gli ombrelloni che dialogano con lo spazio antistante.

Piazza Gae Aulenti, 12 

Nicol: Su Corso Italia, all'ombra della Torre Velasca, l'insegna esiste da tempo, ma oggi è quello che potremmo definire un bar di quartiere evoluto. Il merito? Di Luca Mortillaro, che ha investito per ripensare il locale di famiglia, riqualificando pure il marciapiede antistante, con regolari permessi del Comune. Quindi ora ci si accomoda nel dehors/terrazza su strada, tra piante, divani, ombrelloni. L'offerta? Specialty coffee, dolci per la colazione, carta dei cocktail e tavola fredda che punta sui prodotti di qualità.

Piazza Bertarelli, 4

Mio Lab dell'Hotel Park Hyatt Milano: Al cocktail bar dell'elegante hotel in Galleria (che vanta pure la cucina di Andrea Aprea, anche per il nuovo format bistrot della Cupola) è arrivato Oscar Quagliarini. Così il bancone si trasforma in lab, giocando sull'immaginario dei Tarocchi, con la cocktail list che diventa mazzo di carte (con i disegni del fumettista Sergio Gerasi) da interrogare. Le risposte le fornisce il bartender di origini romane, grandi esperienze in Italia e nel mondo (tra gli ultimi progetti ricordiamo l'Herbarium di Parigi, per l'Hotel National des arts et metiers), celebre per la sua inesauribile vena creativa. Agli ospiti divertirsi a scoprire il Matto e La Papessa, La Temperanza e L'Eremita. O consultare il bouquet di fragranze che ispirano la ricerca e i preparati homemade di Quagliarini. Ovviamente non manca il dehors: un suggestivo spazio verde affacciato direttamente sulla Galleria.

Via Silvio Pellico, 3 - dalle 17 all'1

Paper Moon Giardino: Non certo una novità per chi conosce il panorama della ristorazione meneghina, Paper Moon serve cucina tradizionale in città dal 1977, in un contesto classico senza picchi, nel frattempo diventato franchising da esportazione (a Beirut, Hong Kong, Manila). Ora allo storico locale di via Bagutta si affianca la proposta di un ristorante all'aperto nel giardino segreto di Palazzo Reina, sempre in via Bagutta. Il progetto è stato curato da AB Concept, prevede anche uno spazio interno e un cocktail bar con la possibilità di mangiare al bancone. Ma il vero gioiello è il giardino ripensato per ospitare tavolini in ferro battuto, in uno spazio che si rivela inaspettato in centro città. In menu tanti crudi di carne e di pesce, e classici della cucina marinara.

Via Bagutta, 12

Foto di Marco Scarano

Tranvai: Da qualche mese, lo storico tram 1522 del 1928 ospitato all'interno del Parco della Martesana è diventato bar con dehors aperto da mattina a sera (già in passato, per dir la verità, ritrovo per birra e gelati, rimpianto di tanti abitué del parco). Il recupero dello spazio si deve a 4 ragazzi di Milano che hanno dato vita al Tranvai all'inizio della primavera: si arriva per colazione (dalle 10), per un pranzo veloce o un aperitivo, per lavorare al computer o prendere fiato dopo una corsa. La proposta alterna hamburger e taglieri pugliesi, cocktail e bevande analcoliche. Ma è lo spazio a fare la differenza. Anche con musica dal vivo.

Via Gianfranco Zuretti - dalle 10 alle 2

 

Ristorante Torre in Fondazione Prada: Impossibile non citare tra i dehors d'eccellenza dell'estate milanese la terrazza con vista al sesto piano della Torre di Rem Koolhaas, che dall'inizio di maggio ospita il ristorante in stile italiano della Fondazione Prada.

Largo Isarco, 2

 

Exit: Già rodato anche il format del team che con il patrocinio di Matias Perdomo e Thomas Piras (Contraste) ha ripensato un vecchio chiosco come moderna evoluzione di chiringuito urbano. Le soddisfazioni non hanno tardato ad arrivare, e il chiosco-bistrot di piazza Erculea gode di numerosi avventori abituali e curiosi che arrivano per provare le idee del giorno della cucina. Sin dall'inizio l'obiettivo è stato quello di far rivivere un angolo di città dimenticato: ora i tavoli e gli ombrelloni all'aperto concretizzano ancor di più la missione. 

Piazza Erculea

 

a cura di Livia Montagnoli


Il Ristorante Solidale di Just Eat arriva anche a Roma. Come il mondo del food delivery combatte lo spreco (anche all'estero)

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Dopo Milano e Torino, la piattaforma specializzata nel food delivery inaugura anche a Roma il suo ristorante solidale, con il supporto di 14 locali partner, impegnati a garantire pasti a domicilio, per i più bisognosi, con il cibo in eccesso. E nel mondo si moltiplicano le iniziative che mettono la rete di consegna a domicilio al servizio della solidarietà. 

L'idea del Ristorante Solidale

L'iniziativa nasceva a Milano, all'inizio del 2017, per suggellare un percorso di crescita che dal 2011, quando Just Eat ha cominciato a operare in Italia, ha portato la piattaforma leader nella consegna a domicilio di cibo nel mondo a marcare stretto il proprio territorio anche di fronte all'avanzata di concorrenti locali e nuove multinazionali del food delivery. Un progetto solidale che potesse beneficiare della rete di contatti e mezzi della piattaforma per combattere lo spreco alimentare e portare il cibo anche a chi non ce l'ha. Così debuttava il Ristorante Solidale firmato Just Eat, in collaborazione con Caritas Ambrosiana e PonyZero, società di servizi specializzata nella distribuzione urbana ecologica, fondamentale supporto per le operazioni di ritiro e consegna del cibo. Non un vero e proprio ristorante, a dir la verità, ma una rete di locali – che di Just Eat usufruivano per il tradizionale servizio a domicilio – impegnati a trasformare le eccedenze alimentari (avanzi di prodotti freschi, pane, alimenti integri non utilizzati, ma anche donazioni dirette cucinate per l’occasione) in proposte appetitose da consegnare agli indigenti supportati dalle comunità della Caritas in città. In meno di un anno, già lo scorso autunno, l'iniziativa – programmata secondo un calendario cadenzato – aveva garantito 900 pasti caldi attraverso quasi 300 consegne solidali, contribuendo così a recuperare parte di quel surplus di cibo con cui circa l'80% dei ristoranti italiani si ritrova a dover fare i conti.

 

Da Torino a Roma

Così, visti i buoni risultati dell'esperienza meneghina, lo scorso ottobre l'iniziativa replicava a Torino, coinvolgendo 11 realtà cittadine - tra paninoteche, hamburgerie, piadinerie, ristoranti – nel percorso di recupero e redistribuzione già rodato a Milano, sempre in collaborazione con la Caritas. Un'assunzione di responsabilità che indubbiamente fa bene al settore (nel frattempo, a Natale scorso, Just Eat ha lanciato anche il progetto Piatto Sospeso), recentemente al centro di ben altre cronache per l'annosa questione sulle retribuzioni e l'inquadramento contrattuale dei fattorini impegnati con le consegne (nell'occhio del ciclone, da più di un anno, Foodora, protagonista del primo atto di governo del Ministro di Lavoro Luigi Di Maio, deciso a regolamentare il settore). Nel frattempo il computo dei pasti caldi donati è salito a 3mila – tra Milano e Torino – per un totale di 1600 persone bisognose raggiunte. E allora perché non proseguire su questa strada? Da un giorno appena, anche Roma ha il suo Ristorante Solidale “a domicilio”: di nuovo schierati Caritas e PonyZero, nella Capitale Just Eat potrà contare sull'impegno di 14 locali partner, dal fast good di Banco agli hamburger di Tyler, alle piadine di Pani&Ripieni. E poi Naturale, Bakery House, TBSP, Brasserie 28, T-Bone Station. Con cadenza mensile, ognuno destinerà il cibo al Centro Pronto Intervento Minori Tata Giovanni, Centro Pronto Intervento Minori Venafro e alla Casa Famiglia Villa Glori.

 

I precedenti nel mondo

Intanto anche dall'altra parte dell'oceano l'urgenza di sostenere la lotta allo spreco (ricordiamo anche il precedente danese di Too good to go) e dare il buon esempio facendo di necessità virtù ha dato vita a un'app dedicata alla consegna di eccedenze alimentari prodotte dalla ristorazione (significativo l'esempio di No Food Waste, in India). A raccogliere la sfida DoorDash in collaborazione con Feeding America: la prima è l'azienda statunitense che ha sviluppato l'applicazione e assoldato una rete di fattorini preposti alle consegne “speciali”, la seconda un'organizzazione no profit che opera come banca alimentare (la più capillare negli States, con una rete di 200 centri di raccolta). DoorDash Drive – operativo dal 2013 per mettere in contatto ristoranti e clienti finali, favorendo, per esempio, l'organizzazione di catering - è lo strumento che traduce l'idea in operazione concreta, ripensato dall'inizio dell'anno in chiave solidale: a fine turno, sono i ristoranti che avanzano cibo a chiamare un rider per consegnare le proprie eccedenze ai centri di raccolta alimentare gestiti da Feeding America. Un sistema di consegna a domicilio al contrario – la richiesta arriva dal ristorante – che giù sfiora i 2 milioni di pasti donati in pochi mesi tra New York e Los Angeles, e conta di raggiungere i 6 milioni entro la fine del 2018.

 

www.justeat.it/domicilio/ristorante_solidale_roma/

 

a cura di Livia Montagnoli

Morto Alessandro Narducci. Incidente fatale a Roma per il giovane chef di Acquolina

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Un incidente violento, in scooter, nella notte romana, al termine della serata di festa e cucina a Vinoforum. Così la ristorazione romana dice addio ad Alessandro Narducci, giovane chef di talento alla guida di Acquolina. 


Ieri una serata di cucina, e di festa. Alessandro Narducci, e il suo team – che con lui avevano dato nuova linfa al ristorante Acquolina con il trasloco nel centro di Roma, giusto un anno fa - ieri sera erano di scena a Vinoforum, per fare quello che meglio gli riusciva: comunicare la propria passione per il cibo e l'energia di una giovane squadra al pubblico che numeroso era accorso per scoprire la proposta di Acquolina – il mare nel piatto – in un contesto insolito, nell'atmosfera rilassata dell'estate romana. Poi la fine del servizio, adrenalina e stanchezza che si stemperano nei giusti riconoscimenti per, l'ennesima, buona riuscita. E il rientro a casa, in scooter: con lui una giovane collega, professionista di sala (Giulia Puleio, 25 anni, già al resort Capofaro e alla Locanda Locatelli di Londra). Lo scontro frontale, violento, con un'auto, sul lungotevere della Vittoria, all'una di notte: nessuna prova d'appello, incidente mortale per entrambi i ragazzi.

 

Classe 1990, giovane chef under 30 (come gran parte della sua brigata) di grande talento, Alessandro era da un paio d'anni il frontman del progetto che da tempo lo legava ai fratelli Troiani: oltre 10 anni di storia iniziati a Collina Fleming, nel locale che Angelo, Giuseppe e Massimo Troiani pensavano all'epoca come trattoria di mare, e invece presto è diventato punto di riferimento per la cucina di pesce nella Capitale, con Giulio Terrinoni. Alessandro, invece, aveva mosso i primi passi nella grande ristorazione al Convivio Troiani, poi un passaggio negli Emirati Arabi con Heinz Beck, e il ritorno al Roma, per prendere un testimone importante: la guida della cucina di Acquolina: “Subentrare alla guida di Acquolina mi metteva molta ansia. Ma la famiglia Troiani non solo mi ha dato fiducia, ma mi ha aiutato a focalizzare gli obiettivi”, ci diceva un anno fa, alla vigilia del trasloco in piazza del Popolo, all'interno del The First Luxury Art Hotel di via del Vantaggio, continuando con una dichiarazione d'amore per il suo lavoro: “Mi sono innamorato del progetto Acquolina, è diventata la mia prima ragione. L'ho sentita mia”. Non a caso del progetto era diventato anche socio, al fianco della famiglia Troiani (alla fine di febbraio scorso, una bella cena a 4 mani con Angelo Troiani aveva ribadito l'affinità e la stima tra i due) e del restaurant manager Andrea La Caita.

Al rooftop di Selfridges arriva alto, nuovo ristorante italiano del gruppo San Carlo

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Una cena d’inaugurazione speciale, che chiama a raccolta alcuni dei migliori chef italiani: alto apre i battenti in grande stile sulle vette di Selfridges, il più prestigioso dei grandi magazzini britannici nella via dello shopping londinese. E la cucina italiana continua a conquistare le capitali europee. 

 

Selfridges

Londra, Oxford Street. Fra boutique di lusso e caffetterie, negozi per tutte le tasche e piccoli bistrot, procedendo verso la parte sud di Marylebone, è impossibile non fermarsi per una tappa da Selfridges, sede principale della catena di grandi magazzini britannici fondata dall’imprenditore americano Harry Gordon Selfridge. Casa di tanti negozi, che non ha mai rinunciato a un buon comparto alimentare, fra generi comuni e specialità di nicchia, ma soprattutto a essere un punto di ritrovo per la vita cittadina: tanti, infatti, gli eventi e i progetti che hanno preso vita sull’affascinante rooftop del magazzino, con un’attenzione particolare alla ristorazione, come il pop up WastED di Dan Barber, lo chef statunitense dell’alta cucina sostenibile, che all’inizio del 2017 ha portato le sua idea di cucina sostenibile a Londra, coinvolgendo altri cuochi di fama internazionale.
 
 
alto by san carlo

alto, ancora cucina italiana all’estero

Non è dunque la prima volta che Selfridges si trasforma in mecca gastronomica per tutti i buongustai della città. Per l’estate 2018, il ristorante sul tetto parla italiano: si chiama alto (con la “a” minuscola) e ha aperto da poco i battenti sotto il cielo di Londra creando uno spazio unico nel suo genere, che riprende tutti i canoni classici di una cena italiana alfresco così come concepita nell’immaginario collettivo inglese: alberi di chinotto, fiori, sedie di vimini e un tetto scorrevole ricoperto di glicine da utilizzare in caso di maltempo. Gli arredi e il design sono tutti giocati sullo stile della Dolce Vita italiana che negli anni ha conquistato cuore e palato degli stranieri, e anche la cucina è quella della tradizione, con forti richiami alla gastronomia siciliana. Tartare di tonno, zuppa di cozze, arancini, panzerotto, tiramisù abbinato al Marsala: sono solo alcuni esempi delle specialità che potranno essere gustate da alto, insieme alle immancabili tagliatelle alla bolognese e alla lasagna, a conferma dell’appeal della cucina italiana all’estero (fra le aperture più recenti,
ugualmente spettacolare per contesto e investimento, ricordiamo La Felicità a Parigi, la food hall aperta h24 del gruppo Big Mamma).
 
 
alto

Il gruppo

A ideare il progetto, il San Carlo Group, impresa di ristoranti italiani nel Regno Unito che conta una serie di indirizzi validi in tutto il Paese, da Londra a Manchester, passando per Bristol, Liverpool, Leeds, Birmingham. Un colosso nato dall’intraprendenza di Carlo Distefano, siciliano arrivato in Gran Bretagna nel ’62, all’età di 17 anni, con in mano 12 sterline, il permesso di lavoro e la promessa di un posto in un negozio di barbiere. Giovane ma con le idee ben chiare, Carlo a soli 20 anni apre il suo primo salone di parrucchieri a Leeds. La sua passione, però, resta il cibo, un interesse che matura nel tempo frequentando i migliori ristoranti di Londra, fino a dare vita, nel ’92, a un locale tutto suo a Birmingham, che ben presto diventa meta prediletta di celebrità e campioni sportivi. Un successo travolgente che lo porta ad aprire, 4 anni dopo, a Bristol, e poi ancora a Leicester, Manchester, fino ad arrivare alla capitale. Oggi il suo impero inglese conta 21 insegne, più le filiali a Bangkok, in Qatar, nel Bahrain e a Riyad.
 
 
alto

L’evento di inaugurazione

Il ristorante è già aperto, ma l’inaugurazione ufficiale è prevista per mercoledì 27 giugno, con una cena d’autore ideata in collaborazione con Identità Golose, che per l’occasione ha radunato alcuni dei più grandi chef italiani nella cucina del rooftop. Alessandro Negrini e Fabio Pisani de Il Luogo di Aimo e Nadia a Milano, Annie Féolde e Alessandro Della Tommasina dell’Enoteca Pinchiorri a Firenze, Cristina Bowerman di Glass Hostaria, Alfonso Caputo della Taverna del Capitano e Corrado Assenza di Caffè Sicilia a Noto: sono questi i protagonisti dell’evento Viaggio in Italia, una cena degustazione con le ricette degli chef in abbinamento a diverse etichette di vino e birra artigianale italiane, al prezzo di 160 euro.
 
alto by San Carlo – Londra – Oxford Street, 400 – 2073183287- www.selfridges.com/GB/en/features/events/alto-by-san-carlo
 
a cura di Michela Becchi

Quali pesci preferire in estate nel versante Tirreno Centro. I consigli di: Luciano Zazzeri, Fulvietto Pierangelini e Gianfranco Pascucci

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Ha senso parlare di stagione e territorialità, o meglio di coste, anche quando si tratta di pesce. Ecco i consigli per gli acquisti di Luciano Zazzeri, Fulvietto Pierangelini e Gianfranco Pascucci.

 

Consigli per gli acquisti del pesce: ci siamo affidati a chi, il pesce, lo cucina tutti i giorni (e con risultati eccellenti!) per capire come orientarsi tra i banchi dei mercati ittici quest'estate. Nella prima puntata abbiamo interpellato Enrico Marmo, Davide Cannavino e Valentino Cassanelli per sapere quali pesci preferire nel versante Tirreno Nord; ora ci dirigiamo verso sud con le dritte di Luciano Zazzeri, Fulvietto Pierangelini e Gianfranco Pascucci.

Luciano Zazzeri

I consigli di Luciano Zazzeri

Semplice uomo di mare, ma oratore di grande carisma e complessità quando parla di pesce, Luciano Zazzeri, della Pineta a Marina di Bibbona (in quella che tutti continuano a chiamare la “baracca del Zazzeri”), è ormai diventato un guru di questo pezzo di costa toscana. Lui è un cuoco, sì, ma ha l'animo del vero pescatore, e dunque non potevamo non chiedere a lui quali sono i pesci da preferire in questo periodo dell'anno. “Le barche ora vanno a fondale per pescare dentici, naselli, rane pescatrici. Questi pesci ci sono tutto l'anno, ma ora sono la nostra più grande risorsa perché il pesce bianco è carente negli ultimi anni. Dobbiamo attingere alla pesca di fondale o a traino, questa si usa per pescare la ricciola, ma non si può dire sia una pesca di selezione”. Giugno è sicuramente il mese delle acciughe e delle triglie,“anche se tra un po' scarseggeranno pure loro perché ora tutti vanno a triglie”. O ancora, del cappone che “in estate è delizioso, è gentile”. Tra giugno e luglio ci sono generalmente anche seppie e mazzancolle, ma “quest'anno sono state pochissime, forse per via del tempo, ha piovuto moltissimo, e ugualmente i ricci hanno scarseggiato”. Ma lo Zazzeri non si è dato per vinto: “Ho iniziato a usare i pesci grandi, sfilettandoli e facendo cotture sottolio o sottovuoto”. Un piatto che consiglierebbe di provare assolutamente? “Il risotto con pesce azzurro tirato con il brodo di frutti di mare frullati, leggermente mantecato con parmigiano e ultimato con quenelle di pesce azzurro marinato. Pesce che oltre a far bene è anche meno costoso”.

Fulvietto Pierangelini

Fulvietto Pierangelini e i consigli di cottura

Da Marina di Bibbona ci dirigiamo verso San Vincenzo, un pezzo di Tirreno che al tramonto regala il meglio di sé. Qui Fulvietto Pierangelini si è fatto progettare da Massimiliano Fuksas il Bucaniere, a poche decine di metri dal vecchio ristorante del padre Fulvio. Un locale nel mare, dove lo chef rende onore alla grandissima materia prima che si nasconde fra queste onde. “Tra giugno e luglio, di interessante ci sonole code di rospo, il pesce balestra, le razze, le sogliole; ovvio che il tutto è vincolato dalle norme di pesca vigenti”. Fulvietto si affida a due pescatori, uno specializzato nelle seppie - “che stranamente ci sono ancora” - e l'altro per tutto il resto, compreso il morone: “Una volta, facendo la pesca dei pesci spada, vennero pescati per sbaglio i moroni, ma appurata la loro bontà, si è iniziato a pescarli volutamente. Parlo del Centrolophus niger, da non confondere con centrolofo viola”. Il morone lui lo propone al semivapore con scarola e acciughe. “Se il pesce è grosso consiglio delle cotture lente, come appunto il semivapore, se invece si tratta di pesci piccoli si va di grigliata o di cottura in padella”. La cottura veloce alla griglia vale anche per le parti posteriori, le code, dei pesci grandi. Un consiglio per fare acquisti oculati? “Ci vogliono trent'anni di esperienza per capire se un pesce è buono oppure no, dunque affidatevi al pescivendolo di fiducia o, se ne avete la possibilità, andate direttamente alle barche senza, chiaramente, chiedere cose assurde!”.

Gianfranco Pascucci

La periferia iodata di Gianfranco Pascucci

Dalla Toscana arriviamo al Lazio, a Fiumicino, in quella che oramai tutti conoscono come la periferia iodata di Gianfranco Pascucci. Qui lo chef, con impegno e fatica, è riuscito a trasformare il ristorante dell’albergo di famiglia in una meta per appassionati gourmet che da Pascucci al Porticciolo vengono per una cucina capace di essere sorprendente e creativa, esaltando sempre e comunque le risorse del litorale senza mai snaturarle. “Adesso ci sono tutti i pesci migratori, come i tonni e i pesci spada, che potete trovare anche sui banchi laziali. È infatti il momento giusto per acquistarli perché la pesca è appena cominciata, dunque ci sono ancora le quote tonno”.Affrettatevi, dunque, perché poi ci sarà di nuovo il fermo pesca. “È anche periodo del pesce azzurro, con le alici e le sarde, le cozze, poi, iniziano ad essere belle piene, così come le vongole”. Infine, la grande passione dello chef: il muggine (aka cefalo), al quale ha dedicato un progetto con l'oasi del lago di Burano di Orbetello, volto a rendere giustizia a questo pesce ancora legato a un retaggio storico difficile da superare. Pascucci, il muggine lo presenta marinato e accompagnato a verdure di stagione, così come il tonno, di cui ci regala la ricetta.

Tonno rosso in misticanza aromatica

Ingredienti per 4 persone

300 g di tonno rosso del Mediterraneo

100 g di uova di tonno o 50 g di bottarga di tonno

120 g di miso di ceci

20 grammi di chartreuse

Marinare il tonno e le uova (le uova essiccate possono essere sostituite dalla bottarga di tonno dimezzandone la quantità) nel miso, togliere dal miso ed essiccare le uova bagnando di tanto in tanto con lo chartreuse, per poi frullarle. Coprire il tonno con la polvere di uova e lasciare in frigorifero per una notte. Dopodiché, al momento di servire, tagliare in dadi regolari il tonno.

Per la polenta bianca

400 g di farina bianca per polenta

1,8 l di brodo vegetale

Scorza di arancia

Realizzare una classica polenta aggiungendo, per ultime, le scorze d’arancia.

Per i funghi

100 g di funghi

Favette fresche e piselli sbianchiti

Semi di sesamo bianco tostati, aceto balsamico

Olio extravergine d'oliva

Colatura di alici

Aceto balsamico

Tagliare i funghi in maniera sottile saltare in padella con un filo di olio, aggiungendo per ultimo le favette fresche, i piselli, il sesamo tostato. Regolare di sapore con una punta di aceto balsamico e colatura di alici.

Per la maionese

100 g di maionese

Tandoori Masala

Aggiungere la polvere di tandoori nella maionese.

Per completare il piatto

Misticanza

1 alice dissalata

Disporre in un piatto da portata: la polenta, i funghi, il tonno, la misticanza, la maionese e l’alice dissalata.

 

 

La Pineta – Marina di Bibbona (LI) – via dei Cavalleggeri Nord, 27a – 0586600016 - lapinetadizazzeri.it

Il Bucaniere - San Vincenzo (LI) – viale G. Marconi – 3358001695 - ristoranteilbucaniere.com

Pascucci al Porticciolo - Fiumicino (RM) – via Fiumara, 2 – 0665029204 - pascuccialporticciolo.com

 

a cura di Annalisa Zordan

Polosud. Anche a New York arriva il gelato artigianale siciliano

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Una gelateria italiana autentica nel cuore di New York? Sì, è possibile. Si chiama Polosud e l'ha aperta il palermitano Giacomo D'Alessandro. Ex guida turistica oggi pasticcere e gelatiere nella Grande Mela.

 

Ha l’aria di una sfida l’apertura di una nuova gelateria a New York: portare il vero gelato artigianale siciliano in un quartiere, Little Italy, che di italiano oggi ha ben poco.

Al 166 di Mott Strett, esattamente dove nel 1910 fu aperta una delle prime gelaterie di New York, il Raffaele Venezia Caffè, il pasticciere palermitano Giacomo D’Alessandro apre Polosud, gelateria e caffetteria siciliana, con l’obiettivo di offrire un gelato italiano artigianale, nella terra che ha dato i natali all’ice cream.

 

Giacomo D’Alessandro

Ex guida turistica convertitosi sulla via dell’arte dolce, sua grande passione sin da bambino, prima di sbarcare oltreoceano Giacomo D’Alessandro tenta la fortuna in Australia, ma è a New York che sperimenta la carriera di pasticciere e imprenditore per la gelateria MÒ, dove per tre anni è stato managing partner. Oggi negli Stati Uniti lo conoscono come lo “scienziato dei cannoli”, appellativo che il Wall Street Journal gli ha dedicato per via del metodo innovativo che ha studiato per conservare la ricotta: usa l’azoto liquido che, congelando in meno di sessanta secondi, mantiene intatto il sapore e la qualità della ricotta di pecora siciliana acquistata direttamente dai produttori di San Biagio in Platani, in provincia di Agrigento, e poi spedita a New York.

Gelato e cannoli

Oggi si confronta con il gelato: Polosud è una “piccola bottega del gusto a conduzione familiare” dice il pasticciere siciliano. “Il gelato artigianale è prodotto fresco nel laboratorio dietro il locale e venduto lo stesso giorno, usiamo solo ingredienti naturali e di qualità importati dall’Italia come il pistacchio di Bronte, il cioccolato di Modica e le nocciole Gentile del Piemonte. I coni 'waffle' vengono realizzati da noi in house mentre gli 'sugar cone' vengono prodotti su nostra richiesta da una ditta produttrice a New York” spiega, e continua “Compriamo la frutta locale mentre per il latte abbiamo selezionato una fattoria al Nord dello stato di New York, che ci fornisce un prodotto ad hoc con il 60% in meno di grasso. In questo modo l’elemento base del gelato è praticamente identico a quello italiano”.

Ventuno gusti in produzione, dalla stracciatella alla nocciola, caramello, mandorla, i sorbetti al cioccolato fondente alla fragola, limone e mango. Gusti italiani con qualche apertura alle abitudini alimentari americane: L’Americano, con banana e burro di arachidi, Amore e Odio, al rum e menta e Polo Sud, il gusto a sorpresa.

Non solo gelateria: Giacomo non tradisce le sue origini e si fa ambasciatore della sua terra natale portando i cannoli siculi con la ricotta di pecora, cialde croccanti e interno di cioccolato. C’è anche il profiteroles riempito di panna dolce, il ciambellone della nonna a colazione e la brioche con gelato tipicamente siciliana, “ma questa volta calda fuori e fredda dentro” precisa Giacomo.

 

Little Italy, un quartiere in trasformazione

Aprire a Little Italy, nel Lower East side a Manhattan, è una scelta coraggiosa, visto che negli ultimi venti anni o più il quartiere dei primi emigrati italiani è stato fagocitato da Chinatown e dal punto di vista culinario offre poco di italiano.“Ho deciso di aprire il primo locale di Polosud a Little Italy, proprio dove i nostri 'emigranti' sono arrivati. Io sono un emigrante del secondo millennio e l’ispirazione di questo quartiere e la storia che c'è dietro è affascinante. Il quartiere sta cambiando e qui i cambiamenti sono velocissimi” dice Giacomo. In che modo? E come è oggi quest'angolo della Grande Mela? “Ristoranti di tutti i tipi, nuovi locali di tendenza stano riscoprendo questa zona che è diventata una delle aree più trendy di New York. A un blocco da noi, Lanny Kravitz ha disegnato 75 Kenmare, una serie di condomini da milioni di dollari, tutti già venduti. I locali storici come la gastronomia Di Palo sono a pochi metri dal nostro negozio e quindi affianchiamo la tradizione con l’innovazione”.

Gelato e ice cream. La piazza di New York

È recente la curiosità degli americani per il gelato artigianale italiano e la ricerca di prodotti artigianali e naturali che coinvolge anche questo prodotto. Resta forte il dominio dell’ice cream con gusti tipicamente americani anche se crescono le gelaterie italian style nella Grande Mela. “Il mercato del Gelato a New York è ancora molto vergine”conferma Giacomo D’Alessandro. “Ci sono gelaterie italiane che di artigianale hanno ben poco considerando che il prodotto viene confezionato mesi prima, surgelato e spedito negli Usa. Pochi oggi producono il gelato artigianale, direi che si possono contare sulle dita di una mano. Si deve poi considerare” aggiunge“che la piazza di New York è molto complicata, bisogna essere produttori artigianali ma anche attenti imprenditori considerati i costi altissimi degli affitti. Qui un locale di poco più di 50mq può costare 15/18 mila dollari al mese”.

Francesco Realmuto è stato il primo italiano, anche lui siciliano, ad aprire nel 2005 L’Arte del Gelato, la prima gelateria italiana artigianale a New York, dentro il famoso Chelsea Market. Ha da poco inaugurato un chiosco nella zona di Bowery dove vende il gelato nei pozzetti, e tra qualche giorno aprirà un carrettino al World Trade Center davanti l’Oculus, la famosa struttura di Santiago Calatrava. “Le difficoltà principali” diceFrancesco“sono state all’inizio due: fare conoscere il gelato italiano e superare la stagionalità del business in una città dagli inverni lunghi e rigidi”. Come c'è riuscito? “Un attento lavoro di comunicazione e soprattutto le materie prime di qualità locali e importate dall’Italia hanno portato il nostro brand ad essere tra i più apprezzati e riconosciuti in città”. A Brooklyn, nel 2013, Alessandro e Monia hanno inaugurato l’Albero dei gelati, una gelateria artigianale riconosciuta da Slow Food di cui condivide e promuove i principi e la scelta di materie prime biologiche acquistate da piccoli produttori locali attenti alla sostenibilità. Sempre a Brooklyn, questa volta nel quartiere trendy di Williamsburg, da Bari è arrivata la famiglia Gentile con l’omonima gelateria. Anche loro supportano concetti come l’artigianalità, materie prime di qualità e freschezza.

Un piano di sviluppo imprenditoriale

Polosud ha appena aperto nel giorno del solstizio d’estate, inaugurando la calda estate newyorchese, e già Giacomo D’Alessandro insieme alle sue socie Francesca, Linda e Magi pensa alle prossime aperture. “Il progetto prevede l'apertura di cinque punti vendita a New York, sia con carrettini come quello a Basley Park aperto la scorsa settimana, che con negozi veri e propri. E poi l'espansione con il progetto in franchising partendo dalla West Coast - San Diego, San Francisco, Los Angeles - e il Texas”ci anticipa “insomma un progetto ambizioso che come tale ci stimola sempre di più in quanto portare il vero prodotto italiano di qualità ovunque negli Usa con costi di apertura competitivi e ragionevoli è sempre stato il mio obiettivo”.

 

Polosud Gelato, Coffee, Pastries – Usa – New York - 160 Mott Street  https://polosudnyc.com

 

a cura di Liliana Rosano
foto di Francesco Sapienza

 

 

 

 

I bistrot di Parigi siano patrimonio Unesco. La Francia si appella al simbolo dell'esprit de vivre

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Chi sostiene la candidatura all'Unesco del bistrot parigino lo fa soprattutto in difesa di uno stile di vita che nei tradizionali caffè con cucina e dehors della capitale francese trova il suo approdo naturale. Perché? Troppo feroce la concorrenza di fast food e paninoteche: valori culturali sì, ma contano anche gli interessi economici di categoria. 

 

Il bistrot sta scomparendo?

Diventati simbolo dell'esprit de vivre francese dopo il sanguinoso attacco terroristico di novembre 2015 al Bataclan, e da sempre colonna portante della narrazione gastronomica legata alla ristorazione d'Oltralpe, i tradizionali bistrot parigini, sono stati pure ispirazione, negli ultimi anni, per la moderna rivoluzione della bistronomie – però molto lontana dal punto di origine - fenomeno da esportazione capace di ribadire, ancora una volta, quanto l'universo gastronomico internazionale sia debitore alla cucina francese e ai suoi stilemi. E certo il folclore che lega l'immaginario comune all'idea di boulevard parigini affollati di caffè con cucina dall'atmosfera retrò e rilassati dehors dove sorseggiare un bicchiere di vino provando la quiche lorraine della casa è ancora ben vivo nel pensiero di molti turisti. Eppure, dicono i dati, oggi quei bistrot raccontati nei testi più celebri di scrittori illustri e immortalati dall'arte rappresentano solo il 14% dei ristoranti censiti nella capitale francese, schiacciati dal proliferare di fast food e paninoteche. Sorte comune, peraltro, alle insegne storiche e tradizionali di molte città d'Italia e del mondo.

 

Il bistrot come stile di vita

La Francia, però, notoriamente parecchio attaccata alle sue radici, ha deciso di fare fronte comune per difendere quello che molti considerano un patrimonio culturale che unisce la comunità, “un modo di vivere e condividere, trascorrere il tempo e incontrarsi”, come sottolinea Alain Fontaine, presidente dell'associazione dei bistrot, nel suo accorato appello alla salvaguardia dei bistrot, finanche spingendosi a qualche accento d'enfasi caricaturale: “I bistrot sono un ecosistema fragile come il Museo del Louvre o la Torre Eiffel e sono il luogo dove le persone si incontrano e conoscono, uscendo dalle loro case e dal loro isolamento. In un certo senso sono stati i precursori dei social network”. Apologia funzionale alla presentazione della candidatura dei bistrot di Parigi per l'inserimento in lista del patrimonio immateriale dell'umanità protetto dall'Unesco, che si concretizzerà la prossima primavera con la consegna di un fascicolo al Ministero della Cultura francese, a propria volta chiamato a presentarlo alla commissione Unesco. Un iter lungo e complesso, dunque, che l'Italia ricorderà per l'ultima campagna intrapresa, e andata a buon fine, a sostegno dell'arte del pizzaiuolo napoletano, e che la Francia si appresta a risalire anche per difendere un altro simbolo indiscusso della gastronomia nazionale, la baguette (ma solo quella artigianale).

 

La candidatura all'Unesco

Ma la specificità di un bistrot, esattamente, qual è? Dicono i suoi sostenitori, in mancanza di un codice che ne definisca i confini (complicando così la stessa decisione dell'Unesco), che il bistrot è sempre pronto ad accogliere i suoi avventori, cucina operativa no stop, prezzi accessibili, clientela (molti gli habitué) libera di trattenersi al tavolo per sfogliare il giornale, o leggere un libro. Un'accezione ben diversa, dunque, da quella che del bistrot ha fatto un'etichetta da piegare alle esigenze più disparate nel resto del mondo. Di fatto il grido di aiuto che i proprietari di bistrot rivolgono al mondo si scontra pure con mutate abitudini alimentari – dei francesi, in primis: quanti giovani parigini ancora considerano un rito incontrarsi al bistrot? – e con la difficoltà conseguente di fare cassa in un mercato sempre più concorrenziale da un lato, contratto dall'altro. È quanto analizza all'indomani della proposta un lucido articolo del New York Times, muovendo dal concetto di resilienza – come detto sopra: la voglia di contrastare il terrore con l'energia della vita – alla considerazione che, per esempio, limitare la richiesta di tutela ai soli bistrot di Parigi (perché non cercarli a Lione, o Marsiglia?) sia piuttosto parziale, e figlia di considerazioni meramente economiche. Inutile dirlo, in loco l'idea ha invece già riscosso molti consensi tra personalità pubbliche e associazioni di categoria. Di certo per la tenacia con cui difende i suoi “feticci” la Francia non è seconda a nessuno. 

 

a cura di Livia Montagnoli

Eneko Bilbao. Lo chef di Azurmendi arriva a Bilbao: prima volta in città per Eneko Atxa

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Ha aperto poco meno di un mese fa all'interno di Palacio Euskalduna il primo ristorante in città dello chef basco patron di Azurmendi, apprezzato rifugio gastronomico alle porte di Bilbao. Al palazzo dei congressi e della musica, Atxa replica un format che gli ha già portato successo: Eneko. 

 

Appena qualche giorno fa, Palacio Euskalduna è stato palcoscenico di un trionfo italiano bellissimo e foriero di tante speranze, per la portata del messaggio che il ritorno di Massimo Bottura in vetta alla lista dei 50 migliori ristoranti del mondo trasmette al comparto della ristorazione italiana, all'Italia stessa in un momento di smarrimento che mette in discussione i valori che contano, e perché proprio sulla fiducia in quei valori – l'umanità in primis – lo chef dell'Osteria Francescana, un cuoco che non ha paura di diventare modello per gli altri nella vita ancor prima che in cucina, ha saputo costruire il suo successo. Ma perché ci piace continuare pure a raccontare della genialità in cucina – materia che Bottura padroneggia senza molti eguali nel mondo  - proprio il moderno centro congressi e della musica di Bilbao ci offre un'opportunità in più per celebrare la ristorazione d'autore.

 

Gli ultimi 10 anni di Eneko Atxa

Da neanche un mese, al terzo piano dell'edificio ha inaugurato il ristorante di Eneko Atxa, primo avamposto in città dello chef basco anima e mente di Azurmendi, che nel 2005 debuttava nella campagna di Larrabetzu, non molto distante da Bilbao. Lui, classe 1977, tre stelle Michelin e un curriculum che annovera i fondamentali per un rampante giovane cuoco basco (da Berasategui a Extebarri) oltre alla breve ma intensa esperienza giapponese a Kyoto presso Yoshihiro Murata, in poco più di 10 anni è diventato una delle figure più apprezzate dell'avanguardia gastronomica spagnola e internazionale. E non si ferma mai: nel suo scrigno di vetro e legno sulle colline alle porte di Bilbao coltiva l'amore per la sua terra, sostiene le piccole produzioni locali (lui che è nipote del più grande produttore di vino txakoli della regione), introduce gli ospiti alla sua filosofia in un suggestivo spazio pensato per favorire l'interazione, dà lavoro a una squadra di circa 70 persone, promuove la ricerca gastronomica finalizzando gli sforzi al miglioramento della società  (a questo scopo, nasceva alla fine del 2017 la fondazione Jaki(N), mentre proprio nel corso dell'ultima cerimonia dei 50 Best Azurmendi, al numero 43, ha ricevuto il premio per la sostenibilità, già conquistato nel 2014). In passato ha provato anche a esportare il suo format sull'isola thailandese di Phuket, dove nel 2013 inaugurava Aziamendi, oggi chiuso definitivamente, mentre continuano le esperienze a Londra e Tokyo (Eneko Basque Kitchen & Bar a Covent Garden ed Eneko nella metropoli giapponese).

 

Eneko. Da Larrabetzu a Bilbao

E immediato successo ha riscontrato la seconda insegna, più informale, inaugurata nella primavera 2017 sempre a Larrabetzu: già alla fine dell'anno scorso, Eneko conquistava la sua prima stella. L'ultimo progetto, invece, lo vede protagonista a pochi chilometri dal suo quartier generale, in uno spazio votato alla convivialità e alla buona cucina ribattezzato semplicemente Eneko Bilbao, che riprende il format lanciato un anno fa. Una sfida fondata sull'elasticità e la possibilità di incontrare il gusto dei clienti, intuendone desideri e aspettative: una forma di “gastronomia diretta”, come l'ha definita lui al debutto della nuova cucina. Al lavoro una squadra di 15 persone già in brigata a Larrabetzu, e lo stesso chef, presente spesso sul posto, con la volontà di interagire quanto più possibile con gli ospiti, nella cucina a vista sulla sala, progettata da Patricia Urquiola. Lo spazio è anche caffè e cocktail bar, mentre la proposta gastronomica alterna piatti alla carta del tradizionale ricettario vizcaino (ma alla maniera di Atxa) e due menu degustazione. Con l'idea di seguire una politica dei prezzi competitiva (il lungo menu degustazione a 98 euro, piatti in carta tra i 20 e i 40 euro per le proposte di pesce più complesse). L'accesso è garantito da un ascensore panoramico indipendente, e il ristorante resta aperto per cena solo dal giovedì al sabato (sempre a pranzo, martedì escluso).

 

Eneko Bilbao – Palacio Euskalduna - https://enekobilbao.restaurant/

 

a cura di Livia Montagnoli


Libri. La cuoca selvatica, storie e ricette per portare in tavola la natura

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Le erbe selvatiche sono un mondo affascinante, ricchissimo di esemplari e specie diverse, ognuna con una tradizione, una storia e un sapore da scoprire.

 

Una storia antica

Avevo poco più di due anni, e con le piccole dita passavo in rassegna tutte le erbe che conoscevo: centocchio, cicoria, pratolina, ogni tanto mi imbattevo in un cuculicchio, che come lo sfioravo si attorcigliava e diventava una pallina. E ancora: boccione, violetta, piscialucertola”. Piscialucertola è un nome inventato, quello vero è caccialepri, non meno fantasioso. Comincia così, con un ricordo personale, La cuoca selvatica, il libro di Eleonora Matarrese, un volume fitto fitto che parla di piante selvatiche, erbe, bacche, norme, modi di dire, ricette e ancora ricordi, aneddoti e racconti. Ma tutto nasce da lì, da quella passione cominciata nella più tenera età, quando conoscenza e fantasia si mescolano passandosi la palla senza confitto. E senza subire l'ombra di preconcetti, scoprendo la meraviglia dove c'è senza limitare il tempo delle stagioni. Del resto, la fitoalimurgia – letteralmente la scienza che riguarda le attività per eliminare la fame con le piante – spesso detta semplicemente alimurgia, nasceva in tempi di carestia, quando bisognava trovare di che nutrirsi anche se il cibo non c'era, e in qualsiasi stagione.

Vale lo studio: considerazioni generali e precauzioni preventive

Perciò i frutti spontanei della terra da sempre sono stati guardati con sguardo affamato e scoperti nel loro potenziale alimentare, fossero essi foglie, tuberi, radici o bulbi. Insomma: altro che foraging, la raccolta delle erbe spontanee è pratica antica, che però oggi si riveste di nuovo fascino. Pur venendo a mancare la spinta fondamentale, la fame, ci sono altre ottime ragioni per le quali cercare e usare erbe selvatiche. Al punto che vale la pena informarsi e studiare un po': “è molto importante non improvvisarsi raccoglitori: il foraging presuppone conoscenza ed esperienza, per evitare di arrecare danni a nostro organismo”. Identificare senza margine d'errore le erbe e impiegarle nel modo più corretto in cucina è una priorità ineludibile, “molte erbe commestibili hanno sosia tossici, pericolosi per l'uomo e persino letali, alcune piante diventano tossiche unicamente in alcune fasi della loro crescita, altre hanno solo alcune parti dannose per l'organismo, altre ancora sviluppano tossicità perché colpite da malattie, muffe o funghi o perché conservate, cucinate o consumate in modalità sbagliata”. Occorre, quindi, non rischiare: raccogliere le erbe giuste nel momento giusto, usare le parti giuste e consumarle solo dopo averle trattate nel modo corretto. Senza dimenticare altre precauzioni, come introdurle per gradi nella propria alimentazione e solo dopo averne verificato la compatibilità nei confronti di ogni soggetto: alcune spesso non sono adatte a bambini o donne incinte, a persone con particolari allergie o patologie. In sintesi: non prendete alla leggera la questione, non basta che una pianta sia bella perché sia buona e – soprattutto – non basta che una cosa sia naturale perché sia salubre.

 

I punti di vista

Nell'affrontare il mondo delle erbe selvatiche la Matarrese sceglie un tono intimo, sempre molto familiare, fitto di ricordi e rimandi alla sua infanzia, a quella casa dei nonni in Puglia in cui tutto è cominciato e che continua ad accompagnare il suo percorso anche oggi che la sua casa nel bosco (che è anche il nome del suo blog) è in Brianza. Torna continuamente a quel terreno in parte incolto “dove ho le mie radici, dove non si estirpa l'anima”. Lì lei osservava il prato da un punto di vista che “coincide con quello delle piante che lo popolano”, conoscendolo da piccola ha potuto “coglierne le diversità, la complessità e la ricchezza, che per un adulto ignaro altro non sono che erbaccia”. Mentre lei, a tu per tu con un papavero, alla stessa altezza del tarassaco imparava a conoscerli e amarli, mentre gli adulti l'accompagnavano con il ritornello dei nomi scientifici. Un punto di vista, dicevamo, che si è rivelato punto di partenza fenomenale per la conoscenza ravvicinata che ha sviluppato negli anni a venire. E che ha dato vita ad altri punti di vista, quelli che, nel libro edito da Bompiani, consentono di organizzare per temi il ricco materiale. Si parte dal Punto di vista del prato (cicoriette, misticanze, malvaceae, erbe da bollire, piantaggine, silene, brassicaceae, ortica, lamio, finocchietto selvatico), si passa al Punto di vista del bosco (corbezzolo, lazzeruolo e biancospino, sorbo, germogli, ghiande, acetosa, acetosella), poi quello della montagna (achillea, bietola selvatica, spinaci selvatici: farinello e buon enrico, barba di becco, bardana, salvia, conifere, artemisie, cariofillata, frutti di bosco) e del mare (critmo, smirnio, salicornia, opuntia). A questo si aggiungono i fiori commestibili. Mentre nelle prime pagine una tavola sinottica mette insieme stagionalità, zona di raccolta, parti eduli.

 

Mille e una pianta

Pescando qua e là ci legge del lamio, simile all'ortica ma non urticante, per questo detta anche falsa ortica o dolcimiele, per via del sapore del nettare dei fiori che attira gli insetti fin dentro la corolla. Non mancano riferimenti alla poesia e alla letteratura (nel caso specifico a Lamia, la figura mitologica cui John Keats dedica il suo ultimo poema), e soprattutto ai luoghi di raccolta, alle molte specie esistenti, fino ai consigli di utilizzo in cucina. Si parla di acetosa e acetosella, simili nel nome ma non nella sostanza, la prima infestante e dal sapore pungente, da raccogliere in primavera specialmente quando le foglioline sono ancora attorcigliate e usare – come è tradizione in Francia – per condire patate lenticchie e fagioli, e che in Piemonte si impiega nella fondua 'd zeile, da consumare con parsimonia se si hanno problemi renali. L'acetosella, invece, con le foglie che si aprono a formare tre cuori uniti dallo stelo; ha un sapore che ricorda la buccia d'uva poco matura, in Brianza se ne fa una zuppa tradizionale chiamata zupa d'imbroi. C'è poi la salicornia, della stessa famiglia degli spinaci selvatici e della quinoa, con i fiori minuscoli, da pulire con attenzione e tenere a bagno solo per poco tempo. Si mangia cruda, in insalata (ma senza aggiungere il sale!), gli esemplari più grandi si lessano e condiscono con poco burro come gli asparagi, oppure si mangia fritta o si fa sott'aceto; un tempo si conservava dopo averla passata in forno tiepido in vasi di terracotta coperta di aceto e aromi. Si usava per accompagnare formaggi o secondi, se ne faceva un pesto.

 

Le ricette selvatiche

In questo lungo percorso non possono mancare le ricette, illustrate (come alcune erbe) da Anna Regge e precedute indicazioni sugli ingredienti e ricette di base, e alternative utili in mancanza di certi ingredienti. Del resto nel passato di Eleonora c'è anche un ristorante in cui, ovviamene, il cibo selvatico era protagonista. 20 ricette selvatiche, antipasti, primi, secondi e dolci. Eccone due.

 

Radici selvatiche al forno

Tuberi selvatici misti a piacere, 4 per tipo (carote selvatiche, pastinache, topinambur, tuberi di betonica, di barba di becco, di bardana)

Rizomi selvatici misti a piacere, 1 per tipo (cariofillata, polipodio, rizoma di allaria, di billeri primaticcio per un sapore più piccante)

bulbi misti a piacere, qb (aglio orsino, aglio delle isole, lampascioni)

1 cucchiaio di semi selvatici misti a piacere (finocchietto, nigella, alliaria, smirnio)

3 fette di pane di ghiande e semi selvatici

olio

sale

vincotto selvatico (preparato con 5 kg di fichi o fioroni, melagrana, opuntia, fichi d'India o altra frutta zuccherina selvatica, acqua )

 

Per il vincotto selvatico

Tagliate la frutta a spicchi (opuntia e fichi d'India vanno despinati e pelati), mettetela in una pentola capiente ricoperta d'acqua e cuocete a fuoco basso finché la frutta non si sarà sfaldata. A quel punto spegnete il fuoco e passate la purea ottenuta in un imbuto rivestito di un canovaccio a trama molto fine, premendo bene per ottenere quanto più succo possibile. Versare il succo ancora bollente in bottiglie di vetro a chiusura ermetica, che si conserveranno a lungo: per questo propongo qui di prepararne in gran quantità, anche se per questa ricetta ne utilizzerete solo una piccola parte. Il vincotto selvatico si presta a condire yogurt, formaggi, gelati, dolci, ma anche sfiziose ricette salate. Naturalmente potete aromatizzarlo con semi e polveri all'occorrenza.

Passate a pulire i tuberi, i rizomi e i bulbi, avendo cura di eliminare tutte le impurità e le foglie esterne. Sbianchite i tuberi più grandi e coriacei. Tagliati tuberi, rizomi e bulbi a metà o i quattro a seconda della grandezza e sistemateli in una teglia di terracotta; conditeli con olio e due terzi dei semi selvatici. Cuoceteli in forno preriscaldato a 180° per circa un'ora, irrorando a metà cottura con i vincotto selvatico ristretto. A cottura terminata, salate e cospargete di mollica di pane di ghiande e con i semi selvatici rimanenti. Servite la teglia di radici calda.

 

La cuoca selvatica, storie e ricette per portare in tavola la natura - Eleonora Matarrese -illustrazioni Anna Regge – Bompiani -242 pp. - €22

 

a cura di Antonella De Santis

 

Mangiare e bere all'aperto a Bologna 2018. Le novità per un'estate di gusto in città: pizza, picnic e street food d'autore

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Continua la nostra rassegna di suggerimenti per chi trascorre l'estate in città. Anche a Bologna sono diverse le opportunità per mangiare e bere all'aperto: dal cocktail bar sotto le stelle sui colli all'orto di un ex convento. Allo street food d'autore al Mercato delle Terra. 

 

Vivacizzata da uno scenario gastronomico in grande fermento – specificando che accanto all'invasione di mangifici turistici di scarso interesse, aumentano, per fortuna, i progetti di ampio respiro e ambizione che diversificano il panorama ristorativo cittadino – Bologna è oggi una meta da consigliare non solo a chi è in cerca di tavole della tradizione, ma pure a chi spera di imbattersi in nuove idee e stimoli gastronomici. Basti pensare alla crescita qualitativa delle gastronomie etniche (pensiamo per esempio a Yuzuya), ai giovani progetti all'avanguardia (da Sentaku al recentissimo Scarto), alla rivoluzione di panificazione e pizza (Forno Brisa e Berberé come pionieri dei rispettivi generi), alla riqualificazione di mercati cittadini e spazi urbani. E anche d'estate la città dimostra di sapersi trasformare in un polo d'attrazione culturale e gastronomico, offrendo festival per tutti i gusti e tanti spazi all'aperto per mangiare e bere di gusto, combattendo la calura dei prossimi mesi. Ecco i nostri suggerimenti, tra novità e graditi ritorni.

 

Pizzeria Portici: Sulla terrazza dell'hotel I Portici l'estate porta con sé una carta tutta dedicata alla pizza, da forno a legna, con 4 proposte fisse in menu e un'alternativa del giorno, con tanti ingredienti in arrivo dalla Campania (di cui è originario anche il nuovo chef del ristorante, Emanuele Petrosino), ma pure l'omaggio all'Emilia con la Pizza Portici, dove trionfano il Parmigiano Reggiano stagionato 36 mesi e il Prosciutto di Parma 18 mesi. Si mangia all'aperto, con vista sul Parco della Montagnola e sulla scalinata del Pincio. E musica di sottofondo. Solo uno dei tanti progetti gastronomici nati in seno al gruppo di ospitalità.

Via dell'Indipendenza, 69

Scaccomatto agli Orti: Un appuntamento fisso dell'estate bolognese che trasferisce la cucina di Mario Ferrara nei giardini di via della Braina, fino a settembre, ma solo per tre giorni alla settimana. Il contesto è quello particolarmente suggestivo di un cortile seicentesco nascosto alla vista, che ha preservato la memoria di un orto conventuale di origine medievale (nello stesso complesso dove da pochi giorni ha aperto, in soft opening, il cocktail bar no waste Scarto, che sullo stesso giardino segreto affaccia sul retro). Il Salotto nell'Orto apre ogni martedì, giovedì e sabato, dalle 19.45 con incontri con i produttori, presentazioni di libri, degustazioni. La cena, invece, inizia alle 21, con menu fisso, sempre diverso, secondo estro dello chef patron dello Scaccomatto (50 euro a persona).

Via della Braina, 7

 

Kinotto: Prima estate per il bar nato su iniziativa di Locomotiv a Baumhaus Network all'interno del Dopolavoro Ferroviario, a marzo scorso. Si mangia all'interno, nello spazio ripensato in stile vintage con tanti oggetti di modernariato, ma anche all'aperto, seduti ai tavoli intorno alla locomotiva allestiti per l'estate. Ma nel parco delle Ferrovie di via Serlio si può optare anche per la cucina etnica di Al Binéri, della cooperativa sociale Arca di Noè, o per la pizza a taglio di PizzArtist, vecchia conoscenza degli abitué del parco.

Via Sebastiano Serlio, 25/2

 

L'altra sponda al Giardino del Cavaticcio: L'estate al Giardino del Cavaticcio sarà ancora una volta ricca di eventi in programmazione per il festival ideato dal Cassero Lgbti Center, fino al 23 settembre 2018 (in concomitanza con il cartellone del Biografilm Park, sempre al Cavaticcio). La proposta gastronomica è particolarmente efficace: Berberè con 4 pizze del suo menu estivo, e Go Fresh, con insalate e ghiaccioli alla frutta, tutti i giorni, dalle 19.

 

Dynamo Picnic alla Velostazione: Dalla scorsa primavera, il cortile di Dynamo in Velostazione ha cominciato a vivere di giorno, dalle 10 alle 22 per un pranzo o una cena informale che poggia sull'insolito servizio di picnic a domicilio in collaborazione con La Svolta (e la sua cucina di territorio e piccole produzioni) e i corrieri in bici di Ubm. Da un mese la proposta si è arricchita con l'arrivo di Pancake, un'hamburgeria su ruote nata ad Imola e per tutta l'estate “parcheggiata” nel parco. E ancora, focacce, pizza e cheesecake di Olmo. Ma pure la possibilità di portare con sé il cibo da casa, usufruendo dei tavoli ordinando semplicemente qualcosa da bere.

Via Indipendenza, 71/Z

Mercato Ritrovato: Il mercato della Terra di Slow Food è approdato in piazzetta Pasolini all'inizio della primavera 2017, con apertura fissa ogni sabato mattina. Nei prossimi mesi, proprio la vicinanza con la cineteca del Biografilm, darà l'opportunità al mercato di restare aperto anche di sera, ogni lunedì e fino alle 23, con una proposta gastronomica che affianca i banchi di produttori e vignaioli: 12 realtà bolognesi in versione festa di piazza, con il pane e la pizza del Forno Brisa, il kebab di Pollo Samoggia, il pesce di Pescevia e tante altre proposte. Mentre tutti i giorni resta aperto il bar estivo della cineteca ribattezzato Cameo, sotto la guida di Camera Sud, con proposte di cucina per tutta la giornata.

Via Azzo Gardino, 65

 

Rudere a Monte Donato: Il Rude Bar e Osteria di via Rialto è un locale molto conosciuto della movida bolognese, proprio in centro città. Aperto nel 2016 da 4 giovani soci, è paninoteca con cucina fredda, ma pure vineria, cocktail bar e piccolo club dove godere di buona musica. La novità dell'estate 2018 si chiama Rudere, e prende forma sui colli bolognesi, in località Monte Donato, nel giardino del Podere Canova all'interno del parco pubblico di Forte Bandiera. Ogni sera e per tutto il giorno durante il weekend, la proposta è quella che ha fatto conoscere i ragazzi in città, taglieri, prodotti locali, birra artigianale, drink list. Proiezioni e concerti serali.

Via Gaibara, 1, parco di Forte Bandiera

 

a cura di Livia Montagnoli

 

 

Dove mangiano gli chef in vacanza. I ristoranti del cuore di Massimiliano Alajmo e Tonino Mellino

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Selezionare i ristoranti da provare in vacanza con i consigli degli chef: questa volta, abbiamo chiesto a Massimiliamo Alajmo e Tonino Mellino di indicarci i loro indirizzi preferiti per mangiare bene al mare e in montagna. 

 

Per molti, le ferie estive sono ancora un miraggio lontano, ma ogni occasione è buona per concedersi una gita fuori porta, per una giornata di relax cullati dalle onde del mare o immersi fra i profumi della vegetazione più fitta e rigogliosa. Mare o montagna, purché ci sia la natura a fare da sfondo, lontano dai ritmi frenetici della vita cittadina. Per godere a pieno di un weekend in campagna o in spiaggia, è d’obbligo concedersi un assaggio della tipica cucina locale, ancor meglio se gustata in una location d’eccezione. Per scovare i ristoranti migliori per l’estate, abbiamo chiesto aiuto ai più grandi chef italiani: per il Nord, i consigli di Massimilano Alajmo, per il Sud, quelli di Tonino Mellino a indicarci le insegne più valide.

 

Da Marcello

Mangiare sulla costa marchigiana

Se Rubano, in provincia di Padova, è stato eletto negli anni a luogo spillato sul mappamondo gourmet, è grazie all’impero creato da Massimiliano e Raffaele Alajmo, un duo instancabile che non smette di creare, diversificare, ampliarsi, in una ricerca continua all’insegna della cucina più alta e raffinata. Nelle rare giornate libere, chef Massimiliano sceglie di rifugiarsi in riva al mare, sulla costa marchigiana, a Portonovo. Qui, nell’omonima baia, è il ristorante di cucina di pesce Da Marcello a catturare la sua attenzione, un locale semplice dai sapori autentici. Affacciata sul mare, la tavola si distingue per l’utilizzo del pescato del giorno, dalle vongole ai moscioli, dai calamari agli scampi, prodotti sempre freschi che creano un menu in continuo movimento, basato su ciò che la Riviera del Conero ha da offrire. Oste d’eccezione ormai da oltre 15 anni, Marcello riserva a ogni cliente le premure necessarie per sentirsi a casa, grazie a un servizio attento e cortese che rende ancora più speciale l’insegna.

 

Laite

A Sappada, fra le Dolomiti

Non solo mare, però: lo chef ricerca anche i sapori di alta montagna, nella bellissima valle delle Dolomiti che conduce a Sappada, in provincia di Belluno, nelle deliziose stuben tirolesi riscaldate dalla grande stufa della tradizione che caratterizzano l’ambiente unico del ristorante Laite. Un luogo immerso in un’atmosfera senza tempo, fra mobili antichi e tendine con i merletti, dove si viene accolti ai tavoli con una mise en place di rara eleganza. La regia è quella di Fabrizia Meroi e Roberto Brovedani, cuoca e responsabile sala che da sempre fanno coppia fissa, nel lavoro così come nella vita. Una straordinaria conoscenza delle materie prime permette a Fabrizia di destreggiarsi fra prodotti di prima scelta, dalle carni ai pesci, tutti accompagnati dalle erbe che coglie personalmente nei boschi vicini. I suoi sono piatti legati al territorio, che seguono il ritmo della natura privilegiando solo gli ingredienti di stagione. A rendere l’esperienza da Laite ancora più indimenticabile, la cultura di Roberto, sommelier esperto che sa guidare ogni cliente nella scelta dell’abbinamento migliore, tenendo con eleganza e scioltezza le redini di un servizio efficiente e perfetto nei tempi.

 

Lo Scoglio

Sulla Costiera Amalfitana, in cima agli scogli

Fra le mete predilette per le vacanze italiane, c’è poi l’incantevole Costiera Amalfitana, dove i sapori intensi della terra e del mare si mescolano a tavola in un’atmosfera rilassata e conviviale. Nella località di Marina del Cantone, affacciata sul golfo di Salerno, nel comune di Massa Lubrense, è il ristorante Quattro Passi a guidare la scena della ristorazione locale. Cuoco d’eccezione e maestro d’ospitalità, Tonino Mellino conosce bene la sua terra e la valorizza in ogni piatto. Per questo ci siamo affidati alla sua esperienza per scovare delle insegne di qualità nella zona. Prima fra tutte, Lo Scoglio, “sulla costa di Nerano, un ristorante ottimo gestito da alcuni amici che lavorano molto bene il pesce”. Un locale storico, arroccato sugli scogli e sorretto da palafitte, in pieno stile amalfitano, arredato con semplicità e cura, dove è possibile assaporare tutto il meglio del territorio, dalle verdure – dell’orto proprio – al pesce fresco del giorno, fra frutti di mare crudi e primi piatti della tradizione realizzati in maniera impeccabile.

 

lo stuzzichino

Fra il golfo di Napoli e quello di Sorrento

Altra frazione di Massa Lubrense da visitare è Sant’Agata sui Due Golfi, località incastonata su una collina fra il golfo di Napoli e quello di Salerno. Qui, per rilassarsi e godersi un buon pasto tradizionale realizzato a puntino, lo chef si affida alla famiglia De Gregorio, che nel ristorante Lo Stuzzichino offre le ricette tipiche della cucina campana. Una struttura accogliente ed elegante, con cucina a vista, dove i grandi classici vengono elaborati ogni giorno con gusto e amore. Specialità della casa è la pasta e patate con Provolone del Monaco, piatto storico del locale, ma ci sono anche gli scialatielli ai frutti di mare o i ravioli al profumo di limoni di Sorrento e vongole. “Ci lavora anche un ragazzo che prima era da me. Molto in gamba, con un gran potenziale”. Un indirizzo sicuro, di quelli che non riservano mai cattive sorprese: “La bontà è assicurata”.

a cura di Michela Becchi

GLI INDIRIZZI

Da Marcello – Poggio di Ancona (AN) – loc. Portonovo – 071801183 - /www.facebook.com/portonovoristorantemarcello/

Laite – Sappada (BL) – b.ta Hoffe, 10 – 0435469070 – www.ristorantelaite.com

Lo Scoglio – Marina del Cantone (NA) – piazza delle Sirene, 15 – 0818081026 - www.hotelloscoglio.com/

Lo Stuzzichino – Sant’Agata sui Due Golfi (NA) – via Deserto, 1 – 0815330010 – www.ristorantelostuzzichino.it

GLI CHEF

Le Calandre – Rubano (PD) – fraz. Sarmeola via Liguria, 1 – 049630303 – www.alajmo.it

Quattro Passi – Massa Lubrense (NA) – loc. Marina del Cantone via A. Vespucci, 13 n – 0818081271 – www.ristorantequattropassi.com

 
 

Jungle Farm in Sicilia: il progetto dedicato ai fiori eduli e la fattoria didattica per bambini

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Una scuola incorniciata nella natura più incontaminata, fra colture  di nasturzio e bocca di leone, dove è possibile studiare le tecniche agricole fin dall'infanzia. È l'ambizioso progetto di Jungle Farm, azienda di fiori commestibili che aspira a diventare una fattoria didattica. 

 

Dalla coltivazione di tulipani a oggi

Negli anni '70, le tenute di Contrada Policara, nel Comune di Motta Sant'Anastasia, in provincia di Catania, erano quelle di una delle tante famiglie contadine della zona, dedite alla coltivazione di tulipani e altri fiori. Oggi, a quasi 60 anni dall'inizio dell'attività cominciata da nonno Salvatore e zio Peppino, i terreni sono molto più estesi e specializzati, grazie all'intervento di Andrea Calcione, 27 anni, amante della natura e grande studioso. È lui, insieme alla mamma, ad acquisire 13 ettari di terreno per dar vita a una scuola privata - di cui la madre è titolare - circondata da una fitta vegetazione: “C'era la possibilità di prendere in gestione l'intera area, e così, insieme all'istituto, abbiamo deciso di occuparci anche della campagna attorno. Un lavoro duro, che ancora continua: ci sono zone che dobbiamo finire di bonificare”, racconta Andrea. “L'occasione era buona, per cui ci siamo detti: perché non unire i due progetti?”.

La scuola: l'orto e la fattoria didattica

Così, comincia un percorso parallelo fra scuola e campagna, “vogliamo portare i nostri prodotti sulle tavole di tutte le famiglie della scuola”, ma non finisce qui: “L'obiettivo? Creare una fattoria didattica, con tanto di animali, per poter iniziare fin da subito a fare educazione alimentare e ambientale con i bambini”. Un istituto sui generis, che non si limita all'orto scolastico o ai laboratori per i più piccoli, iniziative già presenti nella Penisola da qualche tempo, ma dà origine a un nuovo concetto di istruzione, in completa sintonia con la natura circostante. La scuola che educa al rispetto per la natura e il territorio che stimola l'apprendimento, la curiosità, la voglia di scoprire il meccanismo delle coltivazioni e della crescita delle piante, in un progetto sinergico che sul legame fra uomo e ambiente ha fondato le sue radici.

I fiori in cucina

Sono queste le premesse di Jungle Farm, azienda dedita al commercio di fiori eduli, tutti biologici, seppur senza certificazione, “dobbiamo attendere la bonifica completa per ottenere il marchio”, curati con amore e pazienza da Andrea, che rifiuta ogni tipo di trattamento. Protagonisti delle tenute, oltre ai fiori, le erbe aromatiche, le micro verdure e l'alchechengi. “Per la maggior parte, vendiamo in Sicilia, soprattutto agli chef, ma abbiamo anche diversi clienti nella scuola. Siamo presenti a Fondi, Milano e in Sardegna, e speriamo col tempo di poter guadagnare una fetta sempre più ampia di clientela”. Naturalmente, sono i cuochi i più interessati al prodotto, “soprattutto per il colore, perfetto per decorare il piatto”.Un fiore, però, non sono solo un dettaglio estetico, ma un ingrediente a tutti gli effetti, che conferisce gusto a una pietanza: “Il colore e il profumo affascinano tutti. Noi vogliamo puntare sul sapore”.

I fiori dell'azienda

Attualmente, sono circa 17 le specie commercializzate, “ma ne stiamo studiando un'altra quindicina, una selezione ancora più particolare. Viola del pensiero, nasturzio, borragine, bocca di leone, lavanda, pianta del ghiaccio, calendula: questi e molti altri i fiori acquistabili nel punto vendita aziendale oppure online. Fra le colture di stagione, Andrea consiglia il nasturzio “oppure il fiore elettrico (Sechuan Buttons, ndr), in grado di rilasciare piccole vibrazione al palato, che aumentano la salivazione e, di conseguenza, la percezione del gusto”. Ad aiutarlo nella ricerca, Daniela Romano, agronoma specializzata nelle colture ortive e floreali, “che ci ha accompagnato durante la fase di avviamento”, e poi la professoressa Cinzia Oliveri, “che mi sostiene e guida nelle scelte”.

Un progetto che – ne siamo certi – troverà presto piede anche altrove, guadagnando il favore degli addetti ai lavori ma anche dei consumatori. Un consiglio per una ricetta casalinga semplice? “Un'insalata di lattuga, foglia di quercia, pomodoro, formaggio e poi petali di vegetes erecta, una specie caratterizzata dai toni accesi del giallo e dell'arancione”.

Jungle Farm - Motta S. Anastasia (CT) – c.da Policara - 3493374548 - www.junglefarm.it/

a cura di Michela Becchi

Le migliori gelaterie d'Italia. Premio sostenibilità: Stefino di Bologna

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Il concetto di sostenibilità è sempre più al centro del giudizio degli esperti durante la valutazione di un prodotto. E il gelato non fa eccezione. Ecco perché Stefino di Bologna è l'indirizzo migliore per assaggiare un gelato buono per noi e per l'ambiente.

 

In tempi non sospetti ha dato vita a un gelato completamente naturale e certificato bio, primo passo per un prodotto – e un sistema - che fosse il più possibile sano ed etico. Quella di Stefano Roccamo è una gelateria eco sostenibile a 360 gradi: un accurato sistema recupera l'acqua di raffreddamento dei frigo e dei pozzetti, il packaging è totalmente biodegradabile, gelati e sorbetti sono privi di glutine, grassi idrogenati, emulsionanti, stabilizzanti, aromi sintetici e coloranti artificiali. È proprio la sua insegna bolognese, Stefino, ad aggiudicarsi il premio sostenibilità nella guida Gelaterie d'Italia 2018 del Gambero Rosso.

Come nasce l'attività?

Ho aperto la gelateria 20 anni fa in via Galliera, dove ora c'è Galliera 49, altra insegna di qualità gestita da ragazzi formati da me. Nel 2008 ho aperto Stefino Veg, un'altra gelateria tutta vegana, che ho portato avanti fino al 2011.

E poi cos'è successo?

Nel 2012 mi sono trasferito in zona universitaria, partecipando a un bando di riqualificazione urbana indetto dal Comune. Nel frattempo, ho chiuso la gelateria vegana e ho lasciato la sede di via Galliera in mano ai soci. Nello stesso anno, l'intera filiera è stata certificata biologica. Poi, nel 2014, c'è stato un terzo e ultimo trasferimento, sempre nell'area universitaria, perché un'ordinanza del sindaco aveva imposto la chiusura di tutti i laboratori artigianali alle 23: una follia per una gelateria, che d'estate lavora fino a tarda notte.

Un percorso lungo e articolato. Com'è Stefino oggi?

Nella nuova (attuale) sede si trovano sia gelati vegani che tradizionali, tutti biologici.

Il laboratorio di produzione però si trova in collina, giusto?

Sì. Produco tutto lì e poi porto le miscele in gelateria, dove finisco di mantecarle.

Dove acquisti i prodotti?

Il latte è di un allevatore che sta a 6 chilometri dal laboratorio, e viene da vacche pezzate rosse di pascolo: lo acquisto crudo nella stalla e poi lo pastorizzo. La panna è prodotta sull'Appennino tra Modena e Reggio, mentre la frutta fresca – a parte gli agrumi, che vengono dalla Sicilia – arriva dall'Associazione CampiAperti di Bologna, che raduna tutti i piccoli produttori biologici locali.

Veniamo ai gusti. Quale va per la maggiore?

Oltre ai classici crema, pistacchio e nocciola, piace molto quello alla curcuma, realizzato con il latte di riso: un gelato dal sapore intenso che sta conquistando un po' tutti.

Fai anche gelato gastronomico?

Molto poco. Il gusto più estremo e insolito che ho è quello al wasabi, ma solitamente preparo gelati salati solo su richiesta degli chef.

Il prossimo gusto in carta?

Attualmente sto lavorando con i gelsi bianchi. Uno dei contadini di CampiAperti ne ha molti e non vedo l'ora di assaggiare il risultato finale.

Fai anche altri prodotti?

Sì, molte granite e poi le torte gelato, su richiesta.

Nell'estate 2015 hai aperto anche una sede a Roma. Che fine ha fatto?

È chiusa da un po', ci sono state delle incomprensioni con la gestione locale. Però c'è un nuovo punto romano dove poter provare il mio gelato: è NaturaSì – Bistrot e Gelateria Biologica di Boccea, che acquista le mie preparazioni e le manteca in loco. E poi sto cercando nuovi partner.

20 anni di Stefino. Qual è, secondo te, il segreto del successo?

Devo ammetterlo: sono un autodidatta. Soprattutto, mi definisco un gelatiere “d'impulso”: più istinto che studio. Quando mi sono trasferito da Roma a Bologna, 25 anni fa, mi sono ritrovato a far fronte a un caldo estivo ancor più torrido e afoso di quello capitolino. Semplicemente, mi sono chiesto perché fosse tanto difficile trovare una buona granita in città, e allora ho pensato di farmele da solo. Ho cominciato così, senza tante pretese, e poi mi sono innamorato di questo mestiere.

Fin da subito, però, hai puntato sulla qualità.

Sì. Sono un amante del gusto, mi è sempre piaciuto fare ma soprattutto mangiare molti dolci. Quando mi sono approcciato a questo lavoro, mi sono detto: “Realizza un prodotto che tu stesso vorresti mangiare”. Qualcosa di buono, sano, autentico. Per farlo, è indispensabile partire da ottime materie prime.

Qual è la filosofia dietro Stefino?

Oltre al concetto di sostenibilità, la parola chiave per me è “pulizia”. Fin dall'inizio non ho voluto aggiungere emulsionanti o utilizzare semi-preparati e basi pronte. Andando avanti col tempo, mi sono dedicato sempre di più alla sottrazione degli ingredienti. Cerco di realizzare gusti solo con lo stretto indispensabile: lo yogurt, per esempio, è fatto solo di yogurt e miele. Pulire e semplificare, questo è il mio motto.

Progetti per il futuro?

Mi piacerebbe portare il mio gelato su scala internazionale, ma naturalmente devo prima ampliare il personale. Staremo a vedere, per ora mi godo il mio lavoro, che mi porta via molto tempo ma mi dona emozioni uniche.

Stefino – Bologna – via San Vitale, 37 a – 0515874331 - www.stefino.it/

a cura di Michela Becchi

Gelaterie d’Italia del Gambero Rosso 2018 – pp. 240 – 8,90 euro – disponibile anche online

Guida Gelaterie d'Italia 2018 del Gambero Rosso. La classifica e i premiati 

Le migliori gelaterie d'Italia. Premio Gelatiere Emergente: Gelati d'Antan di Torino

Le migliori gelatiere d'Italia. Miglior Gelato al Cioccolato: Il Gelatiere Stefano Dassie di Treviso

Le migliori gelaterie d'Italia. Miglior gelato gastronomico: Cremeria Scirocco di Bologna 

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