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Vinitaly report: il negroamaro e le sue sfumature di rosato

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1943: è questa la data cui si fa risalire la nascita del primo rosato da uve negroamaro. Un vitigno che riserva non poche sorprese per gli amanti dei vini rosé.

 

Niuro Maru dal Salento agli States

Niuru Maru lo chiamano in dialetto, perché colpisce per il suo colore nero intenso. Il negroamaro ha una storia soprattutto di compensazione: andare a colorare quei vini che colorati non erano e offrire gli zuccheri necessari per elevare tenori alcolici non altissimi. Poi con il tempo ha trovato una sua strada che è quella della sua terra, la Puglia, la zone di Brindisi Lecce e Taranto, anche se negroamaro fa spesso rima con Salento. Si gioca la partita della popolarità con il primitivo, che per ora ha la meglio, soprattutto sui mercati internazionali. Ma il negroamaro ha una carta importante da potersi giocare ed è quella del rosato. Volendo può spendersi anche una data celebrativa, il 1943, anno di nascita del Five Roses, il rosato da negroamaro e malvasia nera della cantina salentina Leone de Castris che conquistò subito gli Stati Uniti con quel color corallo acceso. Il primo rosato imbottigliato del Paese, insomma, nasceva in Puglia.

 

I rosati d'Italia

A distanza di oltre 70 anni il "tema rosato" tiene banco, anzi, scalda gli animi perché la sua identità non è definita. La diatriba è tra rispetto della tradizione - quindi un vino dal colore carico - o gusto dei mercati, etichette rosa pallido di stile provenzale. L'ultimo Vinitaly ha offerto l'occasione per riparlarne e forse prende forma una terza via, quella dei rosati d'Italia, un "dream team pink" che vuole promuovere il prodotto nazionale tenendo conto però delle differenti peculiarità dei vitigni e dei territori. Il protocollo d’intesa per i vini rosati d’Italia vede coinvolti il Consorzio di Tutela dei Vini Castel del Monte, il Consorzio di Tutela del vino Bardolino, il Consorzio Valtènesi, il Consorzio di Tutela dei Vini d’Abruzzo e il Consorzio di Tutela dei Vini Salice Salentino.

Le cinque realtà ratificano il proprio impegno per la promozione e la diffusione, in Italia e all’estero, della cultura e della conoscenza del vino rosato autoctono italiano, in tutte le sue declinazioni locali. Un progetto di respiro ambizioso, che mira alla costituzione del Centro del Rosato Autoctono Italiano: un luogo di confronto, promozione e di ricerca in cui possano essere accolte anche le altre denominazioni italiane dotate di analogo retaggio culturale.

 

L'andamento del settore

L'accordo viene siglato nel momento in cui arriva la notizia che negli Usa i rosati hanno segnato un +53% di vendite. "Al contempo però il consumo dei rosati in Italia crolla"- sottolinea Angelo Peretti, direttore del Consorzio del Chiaretto di Bardolino, durante la conferenza di presentazione dell'accordo organizzata dall'associazione DeGusto Salento a Verona - "l'attitudine a pensare in rosa non ci appartiene, anzi, per anni ce ne siamo quasi vergognati, mentre dovremmo puntare a un comparto rosé autoctono italiano".

I numeri per ora danno in testa il rosato del lago di Garda con 10 milioni di bottiglie, segue il Cerasuolo d'Abruzzo con 4 milioni, il Valtènesi chiaretto con poco più di 1,5 milioni e Castel del Monte e Salice Salentino che assieme fanno circa mezzo milione di bottiglie. Impossibile invece stimare una cifra degli Igt o dei "vini rosati" generici, perché entrano nei calcoli statistici di bianchi e rossi. "E così l'unica domanda che ancora si fa a un appassionato di vino in Italia è...più rossista o bianchista?"- continua Peretti - in Francia la domanda corretta sarebbe...preferisci il rosso, il rosé, o il bianco?Nel paese che ancora ha tanto da insegnarci sul vino, il rosato copre un terzo dei consumi".

 

Millennial Pink

Se l'Italia arranca su volumi e valore, a livello globale i dati dell'Iwsr -International Wine&Spirits Research, parlano di un vero e proprio Millennial Pink, un fenomeno che mette assieme generazioni e generi - mettendo fine al binomio rosato=consumo femminile - e che ne fa uno stile di vita. Secondole previsioni del report di Vinexpo e Iwsr, le vendite di vino rosato sono destinate a crescere fino 2021. A guidare i consumi, e quindi il business del rosato, saranno i mercati del vino più solidi, come Stati Uniti, Francia, Sudafrica, Danimarca e Australia. Ecco quindi la necessità di "fare sistema" tra i consorzi dei rosati italiani, "per crescere e non per fagocitarsi tra regioni" come ha sottolineato il senatore DarioStefano, ex Assessore alle risorse agroalimentari della regione Puglia.

 

Il negroamaro

La storia

L'origine del suo nome è ancora dibattuta. Il termine "amaro" infatti potrebbe essere riferito alla potenza dei tannini, ma lo stesso termine potrebbe derivare dalla lingua greca - "mavro" che significa negro e che unito al termine latino "nigro" rafforzerebbe il concetto di impenetrabilità del suo colore. Una terza supposizione è quella della derivazione dialettale, "niuru maru" che mette assieme i concetti di amaro e nero. Ciò che c'è di certo è che questo vitigno viene citato per la prima volta solo nell'Ottocento. In una lettera riportata negli Annali di Viticoltura ed enologia Italiana, il docente di Botanica dell'Università di Napoli Achille Bruni scrive al professore Apelle Dei "un vitigno nero di grappoli mezzani, con acini poco rari e di forma di prugna o di oliva, con eccesso di materia colorante, alcolico, saporoso e dotato di un aroma speciale".

 

Il vitigno

Il Negroamaro è uva da climi caldi e asciutti - quelli conosciuti come warm climates wines - e vien bene su terreni argilloso-calcarei. Il periodo vendemmiale va di solito dalla fine di settembre ai primi quindici giorni di ottobre. In passato coltivato ad alberello, questo sistema di allevamento resiste accanto al più moderno cordone speronato. Potremmo definirla un'uva completa per il giusto equilibrio tra acidità, sostanze coloranti e grado alcolico. Elevatissima inoltre la presenza di polifenoli. Le zone di elezione sono quelle di Brindisi e Lecce, ma non manca nell'areale di Bari e Taranto. Infatti è un vitigno che ricade in moltissime Doc pugliesi. Per lo più vinificato in purezza, si sposa bene a un altro autoctono come la malvasia nera (uvaggio tradizionale del rosato ma anche della Doc Salice Salentino)

 

Il rosato da negroamaro

Una data l'abbiamo già riportata, il 1943, anno di nascita del Five Roses, il primo rosato imbottigliato. La tradizione del rosato in Salento in verità è ben più antica, ritenuto di gran lunga più raffinato dei rossi e offerto alle persone di riguardo dalla borghesia rurale. Era il vino "Lacrima", perché ottenuto dal primo mosto che fuoriusciva dal palmento, ma anche conosciuto come il "vino della notte" per la durata del contatto del mosto con bucce e vinaccioli che durava dalle 20 alle 24 ore. Non frutto solo della tecnica enologica, tanto meno solo degli obiettivi commerciali, anche il rosato ha una storia e un grip territoriale che dovrebbero sdoganarlo dall'idea di quanti credono ancora che sia una via di mezzo tra un bianco e un rosso o che nasca per un appagamento della vista.

Il rosato del Salento ha le carte in regola per essere un vino identitario, proprio di quel territorio perché ha una vocazione storica, pedoclimatica ed enologica. Dire rosato non vuol dire necessariamente rosa e il ventaglio di tonalità che possiamo riscontrare non sono solo frutto di effetti visivi ma rispecchiano le diverse caratteristiche gusto-olfattive dei vini. Detto questo produendo un rosato da uve negroamaro è normale, oltre che giusto, aspettarsi un rosa caldo, intenso, di carattere e che racconti quella parte viticola di Sud. Accade sempre? No. Ci sono rosati salentini che hanno scelto una "vie en rose" alternativa, quella che ricorda i vini provenzali o i Chiaretto di Bardolino o di Valtènesi. La motivazione? Non solo commerciale, ma un desiderio di "contemporaneità" che non vuol dire fare tabula rasa della tradizione, ma semmai aggiungere a questa l'evoluzione, percorsi nuovi in vigna e in cantina che danno prodotti più facilmente comprensibili a un mercato che parla una lingua internazionale, spesso fortemente semplificata.

 

Gli assaggi al Vinitaly

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Santi Dimitri

Una realtà agricola al contempo nuova e antica, perché Edoardo e Carlo Vallone iniziano a occuparsi di vino nel 2014 ma lo fanno ereditando un'esperienza che parte nel 1690 a Galatina, in provincia di Lecce. 200 ettari tra vigneto, uliveto e grano, di cui 60 destinati alla viticoltura. Uve autoctone e internazionali, ma è il negroamaro a giocare la partita più importante.

Santi Dimitri Brut Rosè - Salento Igp Negroamaro Rosato. Uno charmat lungo vinificato secondo la tecnica della "lacrima" - separazione della primissima parte del mosto dalla massa d'uva diraspata - dal colore tenue "buccia di cipolla", perlage fine e una buona acidità. Naso e bocca piuttosto neutri nei profumi, ma è un vino che gioca più sulla tensione.

 

Calitro

Anche qui storia recentissima - data di ri-inizio 2017 - legata a Francesco Lonoce, under 40, che non ha voluto disperdere la fatica del nonno. Un bell'impegno dovendo occuparsi di 100 ettari di terreno, di cui 60 a vigneto divisi soprattutto tra negroamaro, primitivo e verdeca. L'azienda è a Sava, in provincia di Taranto, e i vigneti di negraoamaro sono concentrati soprattutto a Lizzano.

Negroamaro Rosato Igp Salento 2017. Un altro rosato che sceglie la via del colore scarico. Se il precedente - il 2016 - era ancora nel solco della tradizione, l'annata più recente opta per una modalità più consona al mercato. Rosa pallido, naso delicato, sprigiona la forza del vitigno maggiormente in bocca con buona vibrazione e persistenza.

 

Cantina Fiorentino

Primo anno al Vinitaly per questa cantina che porta con sé l'esperienza di una delle aziende storiche del Salento, Valle dell'Asso, confluite in un'unica realtà. Agricoltura biologica dal 1996 in zona Galatina con vigneti su terreni calcarei ricchi di piromafo, il materiale utilizzato per costruire i forni a legna e che resiste benissimo alle alte temperature. Anche per questo, in una delle zone più calde d'Italia, è possibile fare aridocoltura.

Galatina Rosato Doc 2017. Il rosa corallo che ti aspetti dal negroamaro salentino grazie a otto ore di macerazione, naso di arancia e ciliegia. Una beva vibrante e tesa, fresco e sapido su finale di bocca, vinoso al punto giusto e succulento.

 

Castello Monaci

La tenuta di Castello Monaci nasce alla fine del 1400 e il suo castello è uno dei simboli della zona di Salice Salentino, circondato da migliaia di ulivi e da oltre 200 ettari di vigna. Da 20 anni la proprietà è confluita in Giv, mentre la famiglia Serraca Guerrieri continua a occuparsi dell'attività.

Kreos Negroamaro Salento Igt 2017. Un rosato alla sua terza "vita": partito super tradizionale, ha fatto un'esperienza tra i chiaretti per poi approdare all'ultima interpretazione che vuole essere un giusto compromesso tra un rosato d'Oltralpe e uno pugliese. Il risultato è un vino dal colore intenso ma non troppo carico, dal naso elegante e dalla bocca che denota una certa struttura. Sa di roccia e minerale con un allungo marittimo

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Claudio Quarta Vignaiolo

Una delle tre tenute di Claudio Quarta, Eméra, si trova a Lizzano in provincia di Taranto ed è una bella masseria di inizio '900 concentrata sui vitigni autoctoni come negroamaro, primitivo e verdeca, ma non mancano gli internazionali come chardonnay, merlot e syrah. 50 ettari di vigneto che distano pochissimo dal mare.

Rose - Salento Rosato Negraoamaro IGT 2017. "Rose" detto alla francese e il richiamo non è solo alla lingua d'Oltralpe ma anche alla scelta stilistica di questo rosato che appare delicato nel suo colore rosa pallido. È lo stesso Claudio Quarta che lo definisce "come un bianco che va oltre". In effetti il contatto con le bucce è brevissimo ed è un vino che gioca più sulla forte salinità che sui profumi di frutta e fiori, finale persistente e con note agrumate.

 

Conti Zecca

Una delle aziende agricole più antiche in Italia - data di fondazione 1580 - profondamente familiare, anzi "fratellare" visto che i quattro proprietari sono tutti maschi e fratelli e profondamente salentina - quartier generale, Leverano - con un corpo agricolo di quasi 1000 ettari, il 40 per cento dei quali a vigneto divisi tra le quattro tenute comprese tra i comuni di Leverano e Salice Salentino.

Venus IGP salento Rosato 2017. Negroamaro in gran parte, ma con una percentuale di malvasia nera per questo rosato che ha i colori del tramonto - non più di 10 ore di macerazione sulle bucce. Un vino davvero luminoso e brillante, tradizionale nella veste visiva, ma molto moderno e vivace al gusto che richiama l'arancia sanguinella e frutti rossi di rovi. Tanto gastronomico.

 

Vetrere

Questa azienda di Grottaglie è tutta declinata al femminile: Annamaria e Francesca Bruni la portano avanti con il supporto sempre più importante delle rispettive figlie, sia dal punto di vista commerciale che da quello agrario ed enologico. La tenuta è grande, oltre 300 ettari, dove si produce anche grano Senatore Cappelli e olio extravergine di oliva. Il loro inizio vitivinicolo - anno 2002 - è con un bianco, scelta alquanto inusuale in Puglia e che suona ancora più strana se si pensa a un bianco da uva minutolo (non confondetelo con il fiano!). Man mano arriva poi tutta gamma da vitigni autoctoni

Negroamaro Rosato Igp Taranta 2017. Questo negroamaro in coppia con la malvasia nera si presenta con una bella veste rosa squillante, quasi cerasuolo. Sa essere molto floreale e al contempo appetitoso grazie alla frutta vivace. La bocca accentua le caratteristiche olfattive, rivelando un carattere quasi tannico con un finale salato e appena speziato.

 

a cura di Francesca Ciancio

 

 


Libri. Partigiani a tavola. Storie di cibo resistente e ricette di libertà

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Un volume racconta il lato gustoso della lotta partigiana: quello legato al cibo, presenza sempre incerta ma densa di significati nella creazione del nostro immaginario collettivo e della nostra identità.

 

Come ogni festa che si rispetti, in Italia e non solo, anche il 25 aprile è un momento di condivisione e convivialità. Non vi sembri una forzatura: di quel che si mangiava durante la Resistenza (prima) e ai tempi della Liberazione (poi) si è molto discusso. Lo fa – pur se non in modo filologico – anche il sito dell'Anpi con una rubrichetta di ricette che intende restituire il panorama gastronomico dell'epoca, prima e (soprattutto) dopo la Liberazione. Si tratta di ricette povere, semplici e il più possibile nutrienti per ricavare il massimo dal poco che c'era e che il sistema annonario metteva a disposizione. Non erano tempi rosei, quelli. Non è difficile indovinarlo. La guerra aveva fiaccato spirito e corpo, quest'ultimo indebolito anche dalla malnutrizione. Le difficoltà economiche in cui versava l'Italia non concedevano al popolo che poche derrate alimentari, che la gente rimpinguava come poteva alla borsa nera. Andava un po' meglio per chi stava in campagna e poteva contare su orti o galline proprie (ah, le uova, che grande tesoro). Erano comunque scorte ridotte al lumicino. Non è neanche necessario sfogliare i testi dell'epoca, o leggere dei libri per saperlo. Le guerre hanno sempre sancito un'indigenza non del tutto indifferenziata, ma ben distribuita. Eppure un cibo di guerra c'è stato. La polenta, in certe zone, era il cuore dell'alimentazione, come in altre lo erano legumi, cipolle, rape o cavoli. La pasta era un lusso, il pane razionato, ed era una delle cose che mancava di più; spesso, quando c'era, era di cattiva qualità, con farine mischiate per ingrossare i sacchi ma non soddisfare a sufficienza lo stomaco, tanto meno la gola con quelle pagnotte umide e poco gradevoli. Le bucce di patate, poi, si friggevano (del resto lo si fa ancora). Il caffè era un bene di lusso e non di rado si sostituiva con la cicoria o altri surrogati. Il sale e il pepe diventavano merce sempre più rara e con loro insaccati e conserve di sorta. L'olio e i grassi animali beni preziosissimi e introvabili. I dolci - quando c'erano - rappresentavano, davvero, una festa. In un'epoca di ristrettezze mortali si comprendeva a tal punto il ruolo del cibo da voler italianizzarne i vocaboli in odor di esterofilia, con risibili soluzioni, come quella che imponeva il ragutto in sostituzione del più familiare ragù e il gonfiato in vece del soufflé.

 

La cucina dei partigiani

In questa situazione c'era anche chi stava peggio: i poveri tra poveri. Tra loro i partigiani che abitavano le montagne o vivevano in clandestinità nelle città. Per loro mangiare era quasi sempre un lusso e un'attività da sbrigare in fretta e in movimento, e le materie prime un bene da conquistare talvolta convincendo (con ogni metodo, anche le requisizione) i cittadini della necessità di una solidale benevolenza. Mangiavano riso stracotto, patate bollite, castagne e l'immancabile minestra, scrive Giorgio Bocca, ma a volte dovevano bastare i soli frutti raccolti in montagna. Erano cibi che dovevano salvare la vita, ma che davano ristoro anche alla fame di libertà, per questo più cari. E poi, all'arrivo (non si sa come) di una quantità abbondante di alimenti, ci si ingegnava per cucinarli in varie maniere e conservarli a lungo. Ma questo solo quando cucinare era possibile. Spesso no, per non attirare l'attenzione con fuochi, ancor più spesso bisognava dividere tra compagni il poco che si aveva. Del resto non è una coincidenza se l'etimo di compagno - come si legge nel bel libro di Elisabetta Salvini e Lorena Carrara Partigiani a tavola edito da Fausto Lupetti – è da cercare nel più unificante dei gesti: condividere il pane. Così condividendo pane, sofferenze e speranze s'è fatta la Resistenza. Quella partigiana era una cucina tesa a nutrire e sopportare freddo, fame, fatica e dolore. Ma era pur sempre una prova - in condizioni di fortuna - di abilità domestica attraverso le cui pieghe si può leggere, in modo nuovo, la storia. Attraverso storie minute, come quelle dei 35mila bambini nutriti dalle donne emiliane nell'inverno del ’45. O quella dei fratelli Cervi, che il 25 luglio 1943 offrirono al paese di Campegine 380 chili di pasta al burro per festeggiare la caduta del regime: è la cosiddetta pastasciutta antifascista. Senza contare “le lasagne della ricostruzione, gustate da Teresa Noce di ritorno dai campi della morte”. Un cammino tra storia e letteratura per tracciare le coordinate di quella cucina dei tempi di guerra e inserire, in una corretta dimensione storica (e politica), anche la più semplice delle azioni, il nutrirsi.

Il libro

Nel libro di Lorena Carrara (studiosa di cultura dell’alimentazione) e Elisabetta Salvini (storica di genere) tanti racconti legati al periodo della Resistenza e al rapporto con il cibo e l'alimentazione, con riferimenti alla letteratura, al cinema, ma soprattutto ai racconti e ai canti partigiani, fino a formare un tessuto narrativo che mescola la grande storia alle piccole storie. In più 70 ricette, alcune tradizionali, legate a quell'eredità gastronomica popolare fatta di ricette di recupero e circolarità, altre liberamente ispirate da storie e testimonianze di quel periodo della nostra storia recente chiamata Resistenza. Alla base di tutte, sempre, una materia prima semplice, quella disponibile a un prezzo contenuto oppure a portata di mano di chi abitava in campagna. In alternativa, arrivava in soccorso l'arte di arrangiarsi. Era una “cucina del senza” dove quel che mancava veniva sostituito da surrogati e fantasia: frittata senza uova, cioccolato senza cacao e via così. Una cucina povera e popolare, che riusciva però a sfamare intere famiglie con un tozzo di pane e poco altro, che moltiplicava pasti con l'ingegno e la forza della disperazione. In cui il riciclo era una necessità e non una moda. E la cucina povera non era un'etichetta ma una mancanza di alternative.

 

 

Passatelli degli sfollati

 

150 g di pangrattato

150 g di Parmigiano Reggiano grattugiato

3 uova

Noce moscata q.b.

1,5 l di brodo di cappone

Sale q.b.

 

Amalgamate le uova con il formaggio, il pangrattato, un pizzico di sale e una spolverata di noce moscata, fino a ottenere un impasto omogeneo. Tagliatelo in pezzi spessi circa un dito e schiacciateli con l’apposito attrezzo o con lo schiacciapatate a fori larghi, facendo cadere i pas- satelli direttamente nel brodo di carne bollente.

In circa cinque minuti di cottura saranno cotti. Serviteli tiepidi nel brodo.

 

Spinaci e uova dei tempi di guerra

 

1,5 kg di spinaci

6 di fette pane raffermo da crostoni

4 uova

3 cucchiai di parmigiano Reggiano grattugiato

Qualche foglia di maggiorana

Burro o olio extra vergine d’oliva q.b.

Sale q.b.

 

Togliete i grossi gambi degli spinaci, lavate con cura le foglie e mettetele a bollire in acqua, coprendo la pentola con il coperchio. Nel frattempo friggete nel burro (o nell’olio) sei fette di pane, del tipo adatto a fare crostoni.

Quando saranno tiepidi, strizzate bene gli spinaci e metteteli in una casseruola. Aggiungete un cucchiaio colmo di burro e un pizzico di sale, poi fateli soffriggere a fuoco basso. Con una forchetta sbattete quattro uova intere in una ciotola, aggiungete tre cucchiai di Parmigiano Reggiano e qualche foglia di maggiorana sminuzzata. Abbassate il fuoco al minimo e versate questo battuto nella casseruola con gli spinaci ormai soffritti, rimestando in fretta. Dopo un paio di minuti, sistemate gli spinaci al centro del piatto di portata che avrete già preparato, disponendo ai bordi le fette di pane dorate. Servite il piatto ben caldo.

 

Dolce della liberazione (mousse al whisky e cioccolato con gelato al tabacco)

 

400 ml di latte

100 ml di panna

175 g di zucchero

1 g di tabacco da pipa

3 g di farina di Guar

180 g di cioccolato fondente 75-80%

50 g di burro

3 uova

3 tuorli

1 bicchierino di Whisky torbato

Sale q.b.

Fave di cacao q.b.

 

Preparate il gelato scaldando il latte con la panna, lo zucchero, il tabacco e la farina Guar. Filtrate il tutto e, una volta raffreddato, incorporatelo ad un tuorlo d’uovo. Fate congelare la crema nella gelatiera. Nel frattempo, tagliate a pezzetti il burro e il cioccolato, poi scaldate- li nel microonde o a bagnomaria. Sbattete i restanti tuorli con 50 g di zucchero e il whisky, facendo una crema uniforme, poi versate a filo il cioccolato fuso, con cura.

A parte, montate gli albumi a neve ben ferma aggiungendo un pizzico di sale e incorporateli al composto al cioccolato, prestando attenzione a non far smontare le uova. Lasciate riposare la mousse in frigorifero per almeno una notte. Servitela ricoperta con fave di cacao sbriciolate e una pallina di gelato al tabacco. 

 

Partigiani a tavola. Storie di cibo resistente e ricette di libertà – Elisabetta Salvini, Lorena Carrara – Fausto Lupetti editore - 274 pp. - 15 euro

 

 

Pasta Madre a Bruxelles. La pizza di Francesco Oppido e la birra di Moeder Lambic per un progetto che parla italiano

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Francesco Oppido, a Bologna, si è fatto conoscere per la sua pizza contemporanea, la birre di qualità, la bella atmosfera che si respira nei suoi locali. Tra qualche giorno arriva una nuova insegna in città, ma intanto si lavora sodo per il primo progetto all’estero: un locale dal fascino ibrido, pizzeria contemporanea, pub, ristorante d’hotel. Con la squadra del Moeder Lambic. 

 

Un italiano a Bruxelles

A Bruxelles l'hotel A la Grande Cloche (dal 1840) è conosciuto come il più antico della città: ospitato in un palazzo ottocentesco che affaccia su Place Rouppe, poche centinaia di metri lo separano dalle facciate cesellate della Grand Place. Nei prossimi mesi, però, l'edificio andrà incontro a una grande ristrutturazione: il passaggio di proprietà si è concretizzato solo negli ultimi tempi, e all'inizio di luglio si aprirà il cantiere che ripenserà gli spazi nel rispetto della storicità del contesto, regalando all'hotel un nuovo appeal sul mercato dell'ospitalità della capitale belga. Più camere a disposizione – si arriverà a 48 – un nuovo look, un ristorante inedito a disposizione degli ospiti e aperto al pubblico, al piano strada, con bel dehors all'aperto per la bella stagione. Il risultato però sarà apprezzabile solo verso la fine dell'autunno, tra novembre e dicembre 2018, quando Pasta Madre svelerà i suoi assi nella manica. L'insegna dovrebbe essere d'aiuto: il ristorante in progress, che forse faremmo meglio a chiamare pizzeria con (piccola) cucina, parlerà italiano, perché dietro al progetto c'è l'italianissima intraprendenza di Francesco Oppido, con il suo amore per gli impasti (la sua è una famiglia di pizzaioli, ma lui è prima passato per la pasticceria) e gli ingredienti di qualità, la sua esperienza imprenditoriale. A Bologna, la città che l'ha adottato quand'è arrivato da Crotone, Francesco ha costruito negli ultimi anni un circuito di ristorazione fondato sulle sue grandi passioni: la pizza e la birra artigianale.

Pizza e birra a Bologna. Ranzani13 e Storie Dipinte

A partire da Ranzani13, inaugurato nel 2012 nei pressi della zona universitaria, insegna  cresciuta nel tempo (fino all'anno scorso gli è valsa i Due Spicchi sulla Guida Pizzerie d'Italia del Gambero Rosso), che Francesco ha ceduto a nuovi gestori all'inizio di quest'anno, per concentrarsi sugli altri progetti in divenire. Atmosfera informale, personalità spiccata, suggestioni da pub internazionale, ricerca sugli impasti (da farine Molino Quaglia e Antico Molino Rosso) insieme alla selezione di prodotti organici, stagionali, di territorio hanno fatto dell'esperienza un percorso che ha anticipato i tempi quando ancora in città era difficile proporre birre artigianali e pizza a degustazione. Se non bastasse, alla fine del 2016 è nato Storie Dipinte, a San Lazzaro di Savena: ancora una volta una tavola giovane concentrata sulla pizza (tradizionale, a vapore, crunch, fritta, a degustazione servita in spicchi), ma più indirizzata alla cena in un contesto rilassato, che avesse un'anima sua peculiare pur dichiarando l'appartenenza alla famiglia di Ranzani, con proposta di burger homemade, e, ovviamente la birra, sempre protagonista, con una rotazione di facce amiche (quelle dietro le etichette in tap list) e proposte di nicchia, per veri intenditori del genere. Fare rete, del resto, è sempre stato un suo pallino: “M’interessa scoprire e raccontare le storie di chi mi accompagna in questa avventura, sapere tutto dei prodotti che porto in tavola e che finiscono sulla mia pizza”. Ma la maniacalità di Francesco, seppur celata da quel fare scanzonato che strappa spesso un sorriso, sta pure nella definizione di obiettivi ragionati, perché solo così si può crescere con coerenza: “Nel tempo ho ricevuto tante proposte per aprire anche in altre città italiane, un passaparola tra amici, bei progetti che nascono insieme. Ho sempre rifiutato perché credo nel valore dei piccoli passi: anche i miei locali, specie il format Storie Dipinte, voglio siano così: non ho bisogno di troppi coperti, l'importante è lavorare bene per perfezionare costantemente la proposta, far divertire e stare bene il cliente”.

Lavori in corso al nuovo Storie Dipinte

Il raddoppio di Storie Dipinte

Eppure Francesco non è proprio il tipo che ama stare con le mani in mano. Così tra qualche giorno Storie Dipinte - “che ha avuto grandissimo riscontro di pubblico” - raddoppia in zona Mazzini (meno di 4 chilometri dal primo): “Apertura prevista intorno al 10-12 maggio, solo 35 coperti, le nostre pizze, la birra e una novità legata allo sviluppo del panino “cucinato”, ripieno di ribs, guancia di maiale, palamita. Tutto fatto da noi”. Un lavoro di cesello per consolidare tanti anni di lavoro, con la maturità di chi sa cosa vuole fare: “Abbiamo ripensato la carta in occasione della seconda apertura, avremo solo una decina di pizze tra napoletana, un paio di proposte al vapore, un paio di crunch, due a degustazione, la fritta e un'eventuale proposta del giorno”. Con la voglia di giocare su consistenze e cotture per valorizzare i singoli ingredienti e l’insieme delle parti, “per esempio, vorrei giocare a proporre una Margherita in 4 versioni alternative, per impasto, cottura, trattamento degli ingredienti”. Ma è Bruxelles la sfida più ambiziosa dei prossimi mesi: la città francofona è da tempo la seconda casa di Francesco: buon feeling, il fermento imprenditoriale locale, tante facce amiche, la birra. E non a caso partner del progetto Pasta Madre sarà il Moeder Lambic di Jean Hummler e Andy Mengal, che la mitica birreria di place Fontainas la gestisce da quasi dieci anni (più longeva la sede originale, a Saint Gilles dal 2006): lì, negli ultimi due anni, ha lavorato la compagna di Francesco, che del locale di Bruxelles sarà responsabile di sala.

Il brunch del Moeder Lambic

Pasta Madre a Bruxelles

180 metri quadri per 55-60 coperti – “non di più, perché vogliamo lavorare bene” – con due cucine a vista, “una di preparazione, l’altra di servizio”, forno a legna convenzionato a gas e tutte le attrezzature per replicare all’estero il format di Storie Dipinte, perché quello sarà il modello di partenza, anche se, come tutti i locali di Francesco, anche Pasta Madre vivrà di luce propria, captando le esigenze del pubblico belga. E degli ospiti dell’hotel, che al ristorante potranno anche fare colazione, “secondo una formula brunch piuttosto in voga in città, che al Moeder Lambic interpretano benissimo. La riprenderemo, perché non amo i buffet da hotel, e proporre un brunch di qualità a buon prezzo sono sicuro ci darà grandi soddisfazioni”. Il servizio sarà disponibile anche per gli ospiti esterni, poi il locale lavorerà a pranzo (con menu lunch in aggiunta alla carta serale), prima di riaprire verso le 18 e fino alle 23 circa (la cucina chiude alle 22.30), per il servizio della cena. L’offerta è quella che tutti si aspettano da Francesco: pizza contemporanea, burger, una piccola carta di primi di pasta (Gentile il pastificio), birra artigianale, “con 15 spine di cui si occuperà il team del Moeder Lambic, metà dedicate alla scena italiana”.

Tra i fornitori molti sono quelli di sempre, e tanti saranno i prodotti in arrivo dall’Italia: “Verdure, tuberi e qualche formaggio, invece, li selezioneremo tra le realtà locali. Comunque dovrà essere un trionfo di materie prime di grande qualità, e varietà. Vogliamo che la gente si diverta. Il pane per i panini e i croissant ce li fornirà una giovane realtà locale che ha preso a lavorare come le boulangerie di una volta, con farine di farro, segale, già partner del Moeder Lambic, Matinal”. Le aspettative? “Sono due anni che ne parliamo, aspettavamo solo lo spazio giusto. In città se ne parla da tempo, abbiamo un grande partner, spesso facciamo eventi portando la nostra pizza, ci conoscono e speriamo che arrivino numerosi. Io il primo anno sarò spesso a Bruxelles, almeno 3 settimane al mese, con una squadra di 4 ragazzi che porto dall’Italia; altri 4 invece saranno quelli della loro squadra”. C’è grande voglia di fare bene, e cominciare: gli architetti – gli stessi del Moeder Lambic – sono già al lavoro per dare un’anima al progetto; arriveranno anche a Bologna, per vedere i locali di Francesco, poi cercheranno di sommare tutti gli stimoli in un locale di personalità. E tra qualche mese si parte.

 

Storie Dipinte - Bologna - via Maurizio Padoà, 6 (dal 10-12 maggio) -  www.storiedipinte.it

Pasta Madre - Bruxelles - place Rouppe - da novembre 2018

 

a cura di Livia Montagnoli

Clare Smyth è la Best Female Chef 2018 per la World’s 50 Best Restaurants. Chi è la cuoca nordirlandese di Core

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Ad agosto 2017 il debutto solista, a Londra, dove gli ultimi 13 anni spesi al fianco di Gordon Ramsay, per cui ha guidato a lungo il ristorante bandiera del Royal Hospital Road. Classe 1978, originaria dell’Irlanda del Nord, Clare ha riversato nel suo ristorante di Notting Hill tutto l’amore per la sua terra e i suoi prodotti. Subito apprezzata da pubblico e critica, da qualche ora è la Best Female Chef secondo la classifica che premia i migliori 50 ristoranti del mondo. 

Da Gordon Ramsay a Core

Quarant’anni quest’anno e una carriera lanciata sulla scena della ristorazione londinese, dove dall’estate 2017 dirige la sua insegna a Notting Hill. E il suo debutto solista, dopo sei anni spesi alla guida della cucina di Royal Hospital Road – volto femminile di grande personalità e solidità del ristorante di Gordon Ramsay in città – non è certo passato inosservato. Clare Smyth del resto non è certo nuova a riconoscimenti importanti: al fianco del suo mentore per 13 anni, la chef originaria dell’Irlanda del Nord è stata la prima, e finora unica donna alla guida di un ristorante tristellato in Gran Bretagna: nel 2013 era arrivato il titolo di Chef dell’Anno, tra i più prestigiosi riconoscimenti del Regno Unito in ambito culinario; e dalla scorsa estate Clare ha scelto di riversare tutta la sua esperienza – forte pure di un passaggio al Louis XV di Alain Ducasse, prima del lungo percorso accanto a Gordon Ramsay, che gli è valso il ruolo di head chef di una delle cucine più in vista di Londra ad appena 28 anni, poi lanciata verso il rango di executive – nel locale cucito su misura al 92 di Kensington Road Park, Core by Clare Smith. Un sogno accarezzato a lungo, progettato per due anni e deciso a interpretare la ristorazione contemporanea in modo originale, valorizzando quella che è stata, sin da giovanissima, la sua terra d’adozione, l’Inghilterra, le sue materie prime e i produttori locali.

Il titolo di Best Female Chef. Ma ha senso la differenza di genere in cucina?

Da qualche ora Clare è la prima chef britannica ad aver conquistato il titolo di Best Female Chef 2018 della World’s 50 Best Restaurants, classifica che proprio a Londra è nata nel 2002, e nel 2017 aveva premiato Ana Ros, illuminando un’altra bella realtà della ristorazione europea, nata e cresciuta nelle campagne di Kobarid (Caporetto), Slovenia, a pochi chilometri dal confine con l’Italia. In entrambe i casi, parliamo di donne chef e imprenditrici di se stesse, che dimostrano una volta di più quanto la differenza di genere, per chi vuole fare carriera nella ristorazione, sia una barriera sociale e culturale che ha poco senso di esistere, nonostante le grandi chef che lavorano con merito nel settore (giusto qualche giorno fa abbiamo dato spazio a una di loro, Valeria Piccini, che dal 1978 a oggi ha sfidato tutte le convenzioni, facendo grande nel mondo la sua Maremma) siano ancora mosche bianche nelle classifiche che premiano l’eccellenza. Di Clare Smyth, e delle sue aspettative, invece, raccontavamo a ottobre scorsoa qualche mese dall’apertura del suo ristorante: 15 tavoli e 18 sedute nella zona bar, stile essenziale che non rinuncia ad accogliere gli ospiti in un ambiente familiare, cucina a vista separata dalla sala da una grande vetrata.

Chi è Clare Smyth

In Core Clare ha proiettato oltre 10 anni di esperienza passati a gestire una cucina di grande responsabilità come quella di Gordon Ramsay a Chelsea, oltre che l’indubbio talento e la grande sensibilità per il prodotto e per chi lo produce, in un percorso “fatto prima di tutto di persone e legami. È questo ciò che aggiunge ricchezza all'esperienza gastronomica”, ci raccontava qualche mese fa. E nelle prime parole di “insediamento” come Best Female Chef rilasciate online, Clare si accoda alle indicazioni suggerite nel 2017 da Ana Ros, ribadendo l’importanza di operare sempre meno distinzioni di genere nel settore: “Questo riconoscimento non appartiene a me, ma alle donne che lavorano nella ristorazione in tutto il mondo. Spero di riuscire a sfruttare il palcoscenico per incoraggiare e spronare un maggiore numero di donne ad avere successo”. Non resta che aspettare il discorso che pronuncerà sul palco di Bilbao il prossimo 19 giugno, in occasione della cerimonia di premiazione della World’s 50 best Restaurants 2018. Quando scopriremo anche il posto riservato a Core in classifica.

 

a cura di Livia Montagnoli

Le Petit Massif: il complesso residenziale a Courmayeur con baita gastronomica fra le Alpi

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Fra burro d'alpeggio, polenta e selvaggina, la tavola valdostana si presenta in tutto il suo splendore anche negli alberghi di lusso. Dal prossimo dicembre, due nuovi indirizzi si aggiungono alla lista delle tappe imperdibili a Courmayeur: l'hotel Le Massif e Checrouit, baita sulle piste da sci. In attesa del complesso residenziale Le Petit Massif.

 

Meta di turismo d'élite, polo sciistico d'eccezione, località incantevole adagiata su una conca a oltre mille metri sul livello del mare: Courmayeur, ultimo comune prima di prendere il traforo che collega l'Italia alla Francia, non ha bisogno di molte presentazioni. La cittadina alpina ai piedi del Monte Bianco si è guadagnata negli anni la fama di destinazione imperdibile per tutti gli amanti dello sci d'alta quota e non solo. Qui, infatti, è possibile godere delle bellezze di un centro storico elegante e raffinato, soggiornando in alberghi di lusso e sostando in ristoranti e baite tradizionali dove è possibile gustare tutto il meglio della Valdigne, dai funghi alla celebre fontina valdostana.

 

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Petit del Grand Hotel Royal e Golf

L'hotellerie di lusso

Tanti gli indirizzi pensati per il continuo flusso di turisti in arrivo dall'Italia e dall'estero, hotel eleganti incastonati fra catene rocciose dal fascino unico. Dove è inoltre possibile sperimentare cucine d'autore che coniugano le eccellenze gastronomiche del territorio a una tecnica impeccabile e un gusto contemporaneo, per una tavola moderna in grado di conservare l'identità del luogo. È il caso del Petit del Grand Hotel Royal e Golf, albergo con con 200 anni di storia alle spalle che dal dicembre 2017 può fare affidamento sul giovane e talentuoso Paolo Griffa, classe '91 e un curriculum di tutto rispetto che comprende insegne del calibro di Combal.Zero e Piccolo Lago.

 

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Auberge de la Maison

O ancora Auberge de la Maison, uno dei più caratteristici hotel della zona, nella frazione di Entreves, dove a regnare è l'atmosfera più tipicamente alpina, fra divani di stoffa, profumo di legno invecchiato, stampe d'epoca e il camino scoppiettante nella sala d'ingresso. Un'armonia di elementi folcloristici capaci di rievocare il calore della vera casa di montagna, un luogo immerso in un'atmosfera senza tempo con vista panoramica sul Monte Bianco. Qui, al ristorante L'Aubergine è possibile assaggiare una cucina di stampo tradizionale, all'interno della sala arredata con cura oppure nella splendida terrazza all'aperto. Piatti semplici e dal gusto autentico, fra pesci d'acqua dolce, selvaggina (imperdibile la tartare di cervo), funghi e dolci a base di castagne e panna fresca.

 

castagne

L'Aubergine

Le Petit Massif e Le Massif

Perché la ristorazione di livello passa sempre di più anche attraverso l'hotellerie di lusso. A conferma di questa tendenza, un nuovo progetto residenziale sta per prendere vita proprio a Courmayeur, grazie a Castello SGR Spa, una delle principali società italiane di gestione del risparmio indipendente specializzata in fondi comuni di investimento immobiliare. Fra le ultime iniziative presentate dall'impresa, Le Petit Massif, complesso residenziale con 22 unità abitative di alto pregio, 3 unità commerciali e 3 piani interrati con box e posti auto, che aprirà i battenti a metà 2019.

 

hotel

Nel frattempo, però, i turisti potranno sostare, a partire dal Natale 2018, all'hotel a cinque stelle Le Massif: 87 camere, 220 posti letto, 2 ristoranti, 2 bar, spa e area fitness. Un'opera di riqualificazione urbana, quella di Castello SGR, che nell'ottobre 2016 ha acquistato il complesso immobiliare Hotel Majestic, in disuso da oltre 17 anni, per avviare nuovi lavori destinati all'ospitalità, favorendo ancora di più il turismo locale e generando nuovi posti di lavoro. Col risultato di ampliare il proprio raggio d'azione, e consolidare un posizionamento forte di oltre 1900 camere distribuite su tutto il territorio italiano.

Checrouit: la baita sulle piste da sci

Hotel a parte, per gli sciatori appassionati c'è un altro indirizzo goloso da non perdere, parte del progetto Castello. È Checrouit, la baita sulle piste da sci pensata per completare l'offerta di lusso, una struttura complementare a Le Massif e Le Petit Massif situata all'ex arrivo della telecabina di Dolonne. Un bar, una ski room, un mini-club, una terrazza con vista panoramica e una piscina: il tutto a disposizione dei condomini e degli ospiti dell'hotel, anche nel periodo estivo.

 

checrouit

Distribuita su due piani, la struttura è stata ideata per accogliere un bancone per la caffetteria ma soprattutto per i cocktail, con angolo wine bar per chi volesse sostare per un buon aperitivo a fine giornata. Arredata nel classico stile di montagna, con tavoli di legno e un design essenziale, la baita ospita anche un reparto sushi-bar, alternativa ai piatti di carne più sostanziosi. Certo, non mancheranno selvaggina, fondute, taglieri di salumi e formaggi locali, primi piatti sostanziosi e corroboranti, zuppe di legumi e l'immancabile polenta. Senza tralasciare qualche contaminazione da altre regioni: un occhio di riguardo sarà riservato alla tradizione sarda, in omaggio al team di cuochi del Chia Laguna Resort, prestigioso complesso turistico nella provincia di Cagliari, parte della famiglia Castello.

 

baita

Gli obiettivi

Obiettivo principale del progetto è fornire agli ospiti delle strutture dinamiche, interconnesse e integrate fra di loro. Un'ulteriore struttura turistica sarà poi realizzata nell'area dell'ex stazione di servizio Agip a Courmayeur, i cui lavori inizieranno alla fine dell'anno. L'apertura della baita, invece, è prevista per il prossimo Natale, in concomitanza con l'inaugurazione dell'albergo. “L’operazione immobiliare che abbiamo realizzato a Courmayeur conferma la centralità dell’interesse che i nostri fondi hanno per il turismo, che rappresenta uno dei fattori di crescita e sviluppo dell’economia del nostro Paese”, ha dichiarato Giampiero Schiavo, amministratore delegato di Castello SGR. Che aggiunge:“l’investimento realizzato, di oltre 70 milioni di euro, porterà alla creazione di 100 posti di lavoro e le professionalità utilizzate per lo sviluppo del progetto sono quasi totalmente locali”.

Non solo alberghi: lo street food di Courmayeur

Hotel di lusso a parte, Courmayeur ha saputo negli anni sviluppare una ristorazione sempre più ampia e diversificata, restando al passo con i tempi, fra format innovativi e locali moderni. Fra le insegne di riferimento, spicca Sushiball, la creatura di Marco Salvato, ex chirurgo che dal 2015 si divide fra Milano e la Valdigne, fra la sua passione per la medicina e quella per il cibo. “Volevo abbinare il sushi di alta qualità con le bollicine – altro mio grande interesse – in un luogo che fosse un punto d’incontro fra un ristorante, un bistrot e un’enoteca, puntando soprattutto sulla clientela locale, e non quella turistica”. Un punto di riferimento per gli amanti della cucina giapponese, ma anche per chi ama sperimentare con sapori nuovi e abbinamenti insoliti: qui, infatti, è possibile trovare roll realizzati secondo i dettami nipponici più classici, ma anche prodotti preparati con ingredienti locali.

 

sushiball

Street food, ma all'interno di una bottega gastronomica: quando si è in vacanza a Courmayeur, non si può rinunciare a una tappa da Panizzi cheese and wine, storico indirizzo che conta diversi punti vendita, specializzato nelle eccellenze gastronomiche del territorio. Sul fronte dei formaggi c’è l’imbarazzo della scelta: fontine d’alpeggio, tome e tomini, caci ovini, formaggi caprini e uno yogurt artigianale che riesce a stupire anche i palati più raffinati. Ma il locale è un riferimento anche sul versante salumi, conserve, marmellate e confetture artigianali, sottoli e vini locali. Il tutto da consumare in loco, all’interno di un panino, oppure a casa, grazie ai comodi pacchetti sottovuoto. Sempre per gli amanti dei panini, La Luge, indirizzo di riferimento per sandwich d'autore, farciti con il meglio della gastronomia valdostana e non solo.

 

panizzi

Ristoranti e bar

C'è poi Tanina ravioli e dintorni, un'insegna che ha puntato tutto sulla qualità dei prodotti e una cucina semplice ed essenziale. Quella della signora Tanina, sarda trapiantata in Valle d'Aosta che propone un menu stagionale che va dalla trippa alle polpette, dai panini creativi alle focacce artigianali. Cavallo di battaglia, però, è la pasta fresca, a cominciare dai ravioli fatti in casa, senza dimenticare gnocchi, tagliatelle e tortelli.

 

american bar

Da provare anche la cucina dell'American bar, insegna centralissima dove assaggiare ottime crespelle francesi, sia in versione salata che dolce, e poi hamburger, insalate e pizze condite con i migliori prodotti locali. Per la colazione, invece, si va al Caffè della Posta, un ambiente caldo e raffinato dove fermarsi per un cappuccino o una buona tazza di caffè, ma anche per l'aperitivo, un cocktail o un calice di bollicine, da consumare di fronte all'imponente camino seicentesco in bella vista. Per l'aperitivo, altra indirizzo valido è Le Cadran solaire, trattoria dall’atmosfera familiare e accogliente, perfetta per una cena ma anche per un bicchiere di vino accompagnato da salumi e formaggi.

GLI INDIRIZZI

American bar - Courmayeur (AO) - via Roma, 43 - 0165846707 - www.facebook.com/American-Bar-125598407503341/

Auberge de La Maison – Courmayeur (AO) - Fraz. Entrèves, 11013 - 0165869811 - www.aubergemaison.it

Caffè della Posta | Courmayeur (AO) - via Roma, 51 - 0165842272 -

www.facebook.com/pages/Caff%C3%A8-della-posta-Courmayeur/183314775033837

Le Cadran solaire - Courmayeur (AO) - via Roma, 122 - 0165844609 - https://www.facebook.com/pages/Ristorante-Cadran-Solaire-di-Courmayeur/169228393129897

La Luge | Courmayeur (AO) - via Regionale, 1 - 0165843671 - www.facebook.com/lalugebar

Le Petit Massif – Courmayeur – Strada Regionale - www.lepetitmassif.com/

Panizzi cheese and wine - Courmayeur (AO) - via Roma 53 – 0165844429 – 3288681341- www.cheeseandwine.it

Petit de Grand Hotel Royale e Golf - Courmayeur (AO) - via Roma, 87 – 0165831611 - www.hotelroyalegolf.com/it/home.html

Sushiball - Courmayeur (AO) - via Circonvallazione 48 - 3495522464 - www.sushiball.it

Tanina ravioli e dintorni - Courmayeur (AO) - via degli Anziani,18 - 3409290930 - www.facebook.com/Tanina-Ravioli-e-dintorni-372792982917975

a cura di Michela Becchi

A Firenze apre The Student Hotel: skybar e ristorazione a cura di La Menagere. Ostello con cucina (e museo) anche al Castello di Santa Severa

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Due realtà molto diverse, due progetti di ospitalità ideati sulle esigenze di un pubblico trasversale, con tanti servizi da offrire. A Firenze debutta il primo Student Hotel d'Italia: numeri e intenti sono molto ambiziosi, ristorante e skybar vedono la collaborazione con La Menagere. Sul litorale laziale, invece, si punta su storia, paesaggio e prodotti del territorio, nel nuovo ostello della rocca di Santa Severa, con la proposta del Med Café. 

 

L'ostello più famoso in Europa

Firenze Lavagnini, 20mila metri quadri ripensati all'interno dello storico Palazzo del Sonno (mai nome fu più azzeccato) per il debutto italiano della celebre catena olandese concentrata sull'ospitalità informale a prezzi accessibili The Student Hotel. L'ostello – ma è riduttivo definirlo tale - aprirà le porte il 7 giugno di fronte alla Fortezza da Basso, in posizione strategica a breve distanza dalla stazione di Santa Maria Novella: i lavori di ristrutturazione sono già terminati all'esterno, mentre si procede a gran ritmo per completare gli interni, 390 camere e una moltitudine di spazi comuni destinati agli ospiti della struttura, ma anche aperti alla città, secondo la filosofia del gruppo fondato dallo scozzese Charlie McGregor e celebre in Europa, che entro il 2021 terrà a battesimo 13 strutture nelle principali città della Penisola, tra Bologna, Torino, Roma (all'ex Dogana di San Lorenzo), Napoli, Pisa, Siena e un secondo hotel a Firenze, in via Belfiore, che aprirà nel 2019. Col parallelo piano d'espansione in Europa il numero totale delle sedi salirà a 41. Dunque l'apertura di Firenze sarà il primo banco di prova di una formula inedita nel nostro Paese, almeno con i numeri che si prospettano per la struttura che mette il design al servizio della funzionalità per servire un modello ibrido di co-living e co-working.

Servizi per gli ospiti e per la città. Il ristorante e il bar de La Menagere

La clientela tipo? Trasversale: studenti, uomini d'affari in viaggio per lavoro, turisti internazionali, professionisti in cerca di uno spazio confortevole e moderno per conferenze e meeting, o – su abbonamento – di un ambiente di lavoro di cui usufruire abitualmente, in regime di co-working. “Albergo e piazza per la città insieme”, come ha definito il progetto Frank Huffen (responsabile dell'apertura italiana) in occasione della presentazione alla stampa di qualche giorno fa; col piano terra della struttura ripartito tra area studio, libreria, palestra, auditorium, negozi, ristorante, con la sorpresa della piscina sul tetto e rooftop bar che guarda sul Duomo. Un'accoglienza modulata sui servizi e sulla condivisione di spazi piacevoli da vivere per tutta la giornata. L'offerta gastronomica sarà seguita dalla squadra di La Menagere, concept-restaurant che in via De Ginori si è fatta conoscere per il suo approccio analogamente polifunzionale a una forma di accoglienza modulata su cocktail bar, cucina informale e proposta gourmet (da qualche mese affidata allo chef Fabio Barbaglini). Allo Student Hotel La Menagere seguirà con particolare attenzione la gestione dello skybar, con la drink list ideata dal bartender Luca Manni, sviluppando al contempo un nuovo concept per il ristorante del pian terreno. Si inaugura in grande stile con l'iniziativa Bed Talks, che porterà 100 relatori da tutto il mondo a confrontarsi su idee innovative, attualità, progetti in divenire sui letti delle camere dell'hotel: 50 coppie e 45 minuti ciascuno per suggerire spunti di riflessione inediti, sul modello iconico dei bed-in di Yoko Ono e John Lennon. Tra i relatori già annunciati, anche lo chef Simone Cipriani, che gioca in casa, e porterà in camera da letto la realtà di un giovane chef imprenditore che si confronta con la scena gastronomica di Firenze.

 

L'ostello al Castello di Santa Severa. E i prodotti laziali del Med Cafè

Cambiando set, direzione litorale laziale, ha già aperto i battenti un altro coraggioso esperimento di ospitalità che scommette sull'accessibilità e sulla condivisione degli spazi, all'interno del Castello di Santa Severa. In questo caso il progetto è tutto italiano, come ha ricordato il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti durante la cerimonia inaugurale, presentando il progetto come “l'ostello più bello d'Europa”. Certo aiutano moltissimo gli ambienti recuperati con cura della rocca a picco sul mare della popolare località turistica pochi chilometri a Nord della Capitale: un'imponente struttura medievale che dal 3 maggio metterà a disposizione 14 camere (per 42 ospiti) ricavate nei locali storici, con soffitto a travi e bagno interno. Ma il progetto è ben più articolato, e comprende il polo museale recentemente riaperto al pubblico visitato nell'ultimo anno da 50mila persone e un Innovation lab, che sfrutta la realtà aumentata per proporre un inedito tour della struttura. Ma l'idea è quella di creare un polo ancor più attrattivo, con spazi comuni destinati alla valorizzazione dell'enogastronomia locale, botteghe artigiane e ristorante interno. Già dall'anno scorso, tra gli spazi aperti al pubblico della rocca, ha inaugurato il Med Cafè, un punto ristoro per i visitatori del museo finora operativo con apertura stagionale (di nuovo in funzione dal 1 aprile scorso). Gestito da Coopculture, il caffè valorizza i prodotti locali: la frutta e la verdura dell'Azienda Agricola Morani, i prodotti ittici affumicati dell'Affumicheria Artigianale Sapor Maris di Ladispoli e le specialità casearie del Caseificio Caninese. Mentre i dolci arrivano dritti dalla Capitale, con la proposta di pasticceria e i croissant di Cristalli di Zuccheroe i gelati di Steccolecco. In attività dalla mattina all'ora dell'aperitivo, la buvette del mare propone soluzioni veloci per il pranzo, crudi di pesce, salumi e formaggi del territorio, vini alla mescita di aziende laziali. E poi la carta dei cocktail, per un tramonto insolito al castello, nel dehors del Med Café. Un format di ristorazione agile pensato al servizio del polo museale (e ora, perché no, anche dell'ostello) che presto replicherà, con nuovi protagonisti, all'interno di Palazzo Merulana, a Roma. Aggiornamenti a breve.

 

The Student Hotel Firenze Lavagnini – viale Spartaco Lavagnini, 70-72 – dal 7 giugno 2018- www.thestudenthotel.com

Med Cafè al Castello di Santa Severa – Santa Marinella (RM) – via Aurelia km 52,600 - www.castellodisantasevera.it

 

a cura di Livia Montagnoli

La pasta italiana in Puglia. 15 formati tipici e la ricetta delle orecchiette

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Orecchiette, cavatelli, tria, ma non solo: la pasta è un elemento fondamentale nella cucina pugliese, declinato in diverse sfumature a seconda della zona e della relativa tradizione. I formati tipici della regione e la ricetta per preparare le vere orecchiette pugliesi.

 

Una terra che nella semplicità dei suoi prodotti ha trovato la chiave di volta privilegiata per conquistare il palato di tutti: è proprio con i sapori autentici delle materie prime regionali che i pugliesi hanno saputo nel tempo creare una serie di piatti robusti e dal gusto inconfondibile, fatti di pochi ingredienti, spesso nati come ricette di recupero, per sfruttare gli avanzi del giorno prima. Anche il grano arso, farina che oggi simboleggia più di tutte l'arte bianca locale, è nata per recuperare le spighe di frumento cadute a terra. Dopo la trebbiatura, i campi venivano bruciati per dare maggiore fertilità alla terra, e le famiglie più povere raccoglievano i pochi grani bruciati rimasti e li macinavano ottenendo così una farina nera dal sapore affumicato, che veniva mescolata alle altre per produrre pane e pizza. Oggi, il grano arso viene realizzato in maniera diversa, con una semplice tostatura del grano, ma il suo impiego resta invariato nella maggior parte delle ricette tradizionali, dal pane ai formati di pasta più celebri. Paste che, proprio per la grande produzione cerealicola regionale, si colorano dei toni più scuri dell'orzo, farro e grano arso, assumendo consistenze e aromi singolari.

Anelletti

Fino agli anni '30, gli anelletti erano dei formati presenti in diverse forme e varianti nel Sud Italia, in particolare in Sicilia – dove ancora oggi sono molto popolari – e Puglia. Si dice che la prima versione, gli anelloni d'Africa (oggi scomparsi) fosse ispirata agli orecchini a cerchio delle donne africane. In Puglia prendono il nome dai cerchietti a campanelle che le donne portavano alle orecchie nei giorni di festa, e sono chiamate anche taraddhuzzi (Lecce) o cerchionetti (Ruvo di Puglia). La ricetta più conosciuta è quella siciliana del timballo con melanzane fritte, mentre in Puglia vengono solitamente consumati in brodo.

Cajubi

Ditalini, minchiareddhi, tubettini, o più comunemente cajubi: a Lequile e Matino, i protagonisti dei primi piatti sono questi cordoncini di pasta arrotolati su ferretto e lasciati essiccare. Serviti in brodo oppure lessati in acqua e insaporiti con ricotta salata e verdure, i cajubi sono spesso al centro di minestre tipiche regionali, come quella con i piselli. A conferire il sapore è il grano arso, che qui si esprime con tutte le sue note di tostatura, attenuate e bilanciate dal brodo caldo.

Calzoncelli

Detti anche agnolotti baresi, calzoncieddi o cazune, questi fagottini ripieni sono famosi soprattutto nella versione dolce, particolarmente diffusa durante le feste di Natale, con una farcia a base di castagne, miele, buccia d'arancia e cacao. In realtà, si tratta di una tipologia di raviolo nata dapprima come specialità salata e poi reinterpretata dalle massaie pugliesi nella variante dolce. In origine, i ravioli venivano consumati durante le feste oppure nelle occasioni speciali, come le visite da parte di parenti lontani: in questo caso, venivano fritti nell'olio o nello strutto e poi serviti freddi agli ospiti, come antipasto o merenda. L'impasto è a base di semola e acqua (talvolta con aggiunta di uova) e viene farcito con un composto di ricotta e uova, oppure con carne macinata. Possono essere anche lessati e conditi poi con sughi della tradizione, solitamente ragù di carne.

 

calzoncelli

Cavatelli

Nati in Molise, i cavatelli sono stati esportati in Puglia in tempi antichi, tanto da diventare parte del patrimonio gastronomico della regione. È una pasta di semola di grano duro e acqua dalla caratteristica forma allungata che, secondo una teoria, fu inventata sotto il regno di Federico II, anche per soddisfare le esigenze gastronomiche del re. Sono fatti a mano “incavando” - come si dice in dialetto locale - la pasta (talvolta arricchita con patate lesse) con la pressione dell’indice e del medio. In Puglia, vengono preparati con verdure come broccoli o funghi cardoncelli, oppure al sugo.

Cecatelli

Semola di grano duro, acqua, sale: sono questi gli ingredienti alla base dei cecatelli, pasta condivisa anche con la Campania, ma nata probabilmente a Lucera, dove viene consumata con rucola e pomodoro, e spesso preparata con farine integrali oppure di orzo o altri cereali. Il nome deriva dal tardo latino caecula, ovvero “anguilla di aspetto filiforme e trasparente”, e sta a indicare la forma allungata della pasta che ricorda, appunto, un'anguilla. Un formato che è stato un po' dimenticato nel tempo, ultimamente riportato in auge dai cuochi del territorio più dediti alle tradizioni locali.

Fainelle

Un altro formato a lungo dimenticato, oggi recuperato grazie agli chef in cerca delle ricette più antiche: le fainelle sono una delle paste più popolari del foggiano, un prodotto raro dalla forma simile a quella della carruba (chiamata, appunto, “fainella” in dialetto locale). Per realizzarle, si utilizza lo sferre, coltello senza manico dalla punta arrotondata col quale si tirano dei pezzetti di impasto fino a ottenere un cannello allungato e incurvato. La tradizione vuole che vengano lessate insieme a rucola e patate, e poi condite con un soffritto di acciughe o pancetta.

Mescuetille

Ancora una specialità quasi del tutto dimenticata, dalle origini antiche e il sapore caratteristico: le mescuetille (o miscuitili) sono una pasta particolarmente diffusa nella zona di Altamura e Monteparano, a base di grano duro, semola e acqua, ma quasi sempre realizzata con l'aggiunta di farine scure, grano arso in primis. Dalla sfoglia – tirata non troppo sottilmente – si ricavano dei quadretti di circa 2 centimetri, che vengono poi incavati con un dito. Il condimento tipico è a base di vincotto, prelibatezza riservata alle occasioni speciali: in passato, infatti, le mescuetille venivano solitamente preparate per la festa di San Giuseppe.

Orecchiette

Formato pugliese per antonomasia, le orecchiette sono tipiche della zona di Bari e risalgono al periodo fra il XII e il XIII secolo. Ogni pezzetto di impasto viene trascinato sulla spianatoia con lo sferre oppure con la punta del dito, fino a ottenere la tipica forma tonda concava, perfetta per accogliere i sughi più ricchi. Ogni provincia, poi, ha i suoi nomi e le sue ricette tipiche: cicateli nel foggiano, chagghiubbi o fenescecchie nel barese, stacchiodde nel leccese. Secondo una delle teorie più accreditate, questa tipologia di pasta trae ispirazione da un prodotto della Francia del Sud, dove venivano preparate con farina di grano duro e vendute secche, ideali per essere conservate a lungo dai marinai durante i loro viaggi. Un tempo, il condimento tradizionale era il ragù di castrato, ma oggi sono le cime di rapa a farla da padrone, anche se esistono anche altre versioni, come quella con il soffritto di acciughe tipica di Conversano. A Taranto, Massafra e Manduria esistono poi le chiancaredde (o recchietedde), delle orecchiette larghe 4 cm e leggermente più piatte di quelle tradizionali, che vengono consumate con cavolo e pancetta oppure sughi di carne. Il nome fa riferimento alle chianche, le pietre per la pavimentazione delle strade e dei giardini dei paesini pugliesi, dalla superficie ruvida proprio come quella della pasta. Nel foggiano, invece, ci sono le pestazzulle (chiamate anche pizzarelle), tirate a mano con forza in modo che il bordo non si sollevi: un'orecchietta meno incavata e più piatta.

 

orecchiette

Ravioli alle cime di rapa

Fiore all'occhiello dell'orticoltura del tavoliere, le cime di rapa non possono mancare fra le farce delle paste regionali. Nelle regioni del Sud, dove la pasta ripiena si è cominciata a diffondere a partire dall'Ottocento, vengono da sempre privilegiate le farciture a base di verdure e formaggi, come nel caso dei ravioli alle cime di rapa, che vengono lessati in acqua bollente e conditi con ciccioli di maiale e peperoncino.

Sagne incannulate

Diffuse in tutta l'Italia centro-meridionale, le sagne sono fra i formati più antichi della Penisola, declinate in vari modi a seconda della zona. In Puglia, le striscioline di circa 1 centimetro e mezzo vengono attorcigliate su loro stesse e “incannulate” (“girate”) per tre volte con il palmo della mano, oppure attorno a un cannello di legno. In passato, venivano confezionate dalle ragazze ricoverate nei conservatori per orfani: secondo la “Statistica del Regno di Napoli” del 1811 erano i due conservatori di Foggia, quello delle orfane e quello della Maddalena, a produrre la maggior parte delle sagne incannulate di tutta la regione. A base di semola e acqua, la pasta viene tradizionalmente condita con ragù di carne, oppure sugo di pomodoro e ricotta salata.

Scarfiuni

Ancora una pasta ripiena, famosa per le decorazioni realizzate con cura dalle massaie. Gli scarfiuni sono delle mezzelune prodotte con semola di grano duro e acqua, farcite con ricotta e pecorino, e servite con ragù di carne e pecorino brindisino. Per prepararle, la pasta deve essere tirata molto sottile, e poi tagliata in tanti cerchi della dimensione di un bicchiere d'acqua. In ogni disco, un cucchiaio di ripieno, ma la fase fondamentale è quella della chiusura: una volta ripiegato l'impasto a mezzaluna, si inizia a decorare il bordo con le dita o aiutandosi con i denti di una forchetta, realizzando cordoncini da intrecciare fra di loro oppure delle semplici righe.

Scorze di nocella

A Taranto la pasta assume la forma delle nocciole: sono le scorze di nocella, chiamate anche scagghjuzze o abissini, delle palline di impasto incavate al centro che ricordano il guscio di una nocciola. Alla base, farine scure, quelle derivate dalla macinazione di granaglie e leguminose: le più difficili da lavorare e mescolare insieme, che per questo venivano utilizzate per formati semplici e pratici da realizzare come questo. A insaporire il piatto, legumi, ricotta oppure brodo, per una minestra scura dalle note tostate e fortemente aromatica.

Strascinati

Non è facile tracciare le origini degli strascinati, termine con cui si intendono diversi tipi di pasta, tutti accomunati dalla pratica di “strascinare” con il dito l'impasto, per ottenere dei pezzi allungati e appiattiti. Una specialità condivisa fra Campania, Basilicata, Calabria e Puglia (dove vengono spesso preparati con grano arso), e che cambia nome a seconda della preparazione. Cavatello se schiacciato con un solo dito, cecatello con due e via dicendo. Possono essere più o meno ampi, con bordi più o meno sollevati, tirati a mano o con strumenti particolari. In Puglia si usa il coltello sferre, col quale si preparano le cuppetiedde (a forma di coppetta), i minchialeddi, tipici di Gallipoli, Parabita, Lecce, Castro e Alezio, i cavatelli lunghi e stretti, e poi quelli salentini, simili ma fatti di farina di grano e orzo.

Tria

Fra le più antiche ricette salentine, al centro di un rituale affascinante chiamato “Le Tavole di San Giuseppe”, in cui le famiglie benestanti dei vari paesi allestiscono banchetti per i meno abbienti della comunità, spicca la minestra ciceri e tria. Una specialità a base di ceci lessati e pasta tria, conosciuta anche come Massa di San Giuseppe, proprio per il legame con la festa del 19 marzo, un piatto composto da pasta di semola di grano, acqua e frizzuli, ovvero pasta fritta in olio extravergine di oliva. Ma cos'è, esattamente, la tria? Uno dei formati più antichi, già descritto dall'arabo Al-Idrisi nel 1154: “In Sicilia vi è un paese chiamato Trabia, luogo incantevole dotato di acque perenni e di mulini, in questo paese si fabbrica un cibo di farina a forma di fili in quantità tali da rifornire oltre i paesi della Calabria, quelli dei territori musulmani e cristiani”. Nonostante l'associazione con l'isola, la tria in realtà è, in Puglia, l'antica denominazione generica della pasta, come spiega Mastro Barnaba nel “De naturis et proprietatibus alimentorum” del 1338. Citata molto nei trattati arabo-andalusi (prima con il termine arabo fidaws, e poi con il castigliano fideos), la tria viene preparata a partire da una sfoglia sottile, dalla quale si ricavano paste di vari formati e misure a seconda dell'aria di produzione, solitamente molto simili a delle tagliatelle larghe e spesse.

Troccoli

Già descritti nelle opere di Bartolomeo Scappi, i troccoli sono un formato presente anche nella Sabina reatina, a Chieti e in Basilicata. In Puglia, si trovano soprattutto nella zona di Foggia, originariamente preparati con il ferro da maccaroni. Oggi, questa pasta simile a quella alla chitarra abruzzese, viene realizzata con uno strumento in legno chiamato torcolo o troccolo. Sugo ideale per questo formato, il ragù del macellaio, un insieme di carni che un tempo il macellaio era solito preparare con gli avanzi del giorno, fra cui erano sempre presenti agnello e maiale.

 

troccoli

La ricetta: orecchiette

Ingredienti

500 g. di semola di grano duro

200 g. di acqua

Versare la semola in una ciotola piuttosto capiente e unirvi l'acqua a poco a poco, iniziando a mescolare con le mani o con l'aiuto di una forchetta. La quantità di acqua necessaria può variare secondo il tipo di semola, dunque si consiglia di non versare tutta l'acqua subito e lavorare bene e a lungo il composto (più si fatica in lavorazione e più la pasta che si ottiene avrà dente!). In ogni caso l’impasto che si deve ottenere è piuttosto sodo. Far riposare in frigorifero per circa un'oretta. Trascorso il tempo necessario, dividere l'impasto in parti uguali e iniziare a stenderlo con le mani fino a ottenere delle corde piuttosto affusolate (circa un centimetro di diametro). Tagliare le corde ottenute a tocchetti di un centimetro. Su una superficie di legno esercitare una leggera pressione con il pollice su ciascun tocchetto, trascinandolo fino a ottenere la caratteristica forma dell'orecchietta. Adagiare le orecchiette su un vassoio precedentemente cosparso di semola e lasciar asciugare almeno un'ora.

a cura di Michela Becchi

La pasta italiana in Veneto. 6 formati tipici e la ricetta dei bigoli

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La pasta italiana in Piemonte. 10 formati tipici e la ricetta dei tajarin

La pasta italiana in Molise. 12 formati tipici e la ricetta dei cavatelli 

Montalcino che cambia vol. I. Parla Olivier Adnot nuovo ceo di Biondi Santi

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Rispetto del Brunello e della tradizione aziendale, senso di responsabilità verso il territorio, possibilità di comprare nuovi vigneti. Ecco i progetti a medio termine della nuova proprietà francese di Biondi Santi. Ma Epi non è l'unico gruppo straniero sul territorio. Inizia da qui il viaggio tra i nuovi investitori

 

Nel dicembre 2016 una delle più affascinanti e note griffe del vino italiano, l'azienda Biondi Santi, è passata sotto il controllo di Epi (Européenne de participations industrielles) di Christopher Descours. Il gruppo francese - si occupa di investimenti a lungo termine - ha un portafoglio che comprende gli ChampagnePiper-Heidsieck e Charles Heidsieck, Château La Verrerie in Provenza e altre attività legate all'artigianato di lusso e all'immobiliare. La storica azienda montalcinese era da tempo in difficoltà finanziarie e per dare continuità al marchio familiare, aveva cercato un partner in grado di sostenere e rilanciare l'attività, anche in campo internazionale. La scelta della famiglia Biondi Santi, a fronte di diverse offerte, si è orientata verso la holding transalpina, che ha rilevato l'azienda per una somma stimata – ma non confermata – di oltre 107 milioni di euro.

 

La presenza straniera a Montalcino

A Montalcino l'acquisizione da parte di fondi esteri di aziende locali ha riguardato cantine grandi e piccole, tra cui alcune protagoniste della storia moderna del Brunello. Nel 2016, Alejandro Bulgheroni aveva ulteriormente rimpolpato la branca toscana del suo gruppo ABFV (Alejandro Bulgheroni Family Vineyards) per cui nell'arco di pochi anni, nella sola Montalcino, ha assorbito, nell'ordine: Poggio Landi (2012), Podere Brizio (2013) e, infine, Tenute Vitanza che si vanno ad aggiungere a Dievole (Chianti Classico) e Bolgheri (Tenuta Le Colonne e Tenuta Meraviglia) oltre ad altre aziende vinicole in Francia e Sud America. Nel 2017 la famiglia Gloder, che dal 1984 aveva gestito Poggio Antico, ha ceduto l'attività al fondo belga Atlas Invest, impegnato nel settore energetico e immobiliare, al suo primo investimento nel settore vinicolo. In precedenza, l'azienda Cerbaiona di Diego e Nora Molinari era stata acquistata (2015) da un gruppo coordinato dall'americano Gary Rieschel della Qiming Venture Partners di Shanghai.

La serie di articoli che uscirà nelle prossime settimane avrà come argomento i progetti dei nuovi proprietari di queste aziende. Abbiamo parlato di Biondi Santi con il nuovo ceo francese, Olivier Adnot, enologo in forza dal 2006 nelle aziende vinicole del gruppo Epi, dove ha svolto varie funzioni, dalla direzione tecnica ad export manager. All'intervista, svolta a villa Il Greppo a Montalcino, ha partecipato anche Nathalie Meyer, marketing & communication manager Biondi Santi International.

 

 

Sappiamo che, per acquistare l'azienda, si sono sono fatti avanti molti gruppi, per lo più stranieri. Perché la famiglia Biondi Santi, alla fine, ha scelto voi come interlocutori per la trattativa?

Individuare il partner giusto è stato un passaggio molto importante. Quando la famiglia Biondi Santi ha iniziato a parlare con Christofer Descours di EPI, Jacopo Biondi Santi ha spiegato che poteva vendere a molte altre aziende, ma poi ha scelto come interlocutore chi aveva una visione, un progetto, con una dimensione e una proiezione internazionale. Per questo motivo, è stata conclusa la partnership. Per noi, il Brunello è stato una fortuna perché consideriamo Barolo e Brunello i due vini italiani più importanti. La nostra idea è di essere sempre al top di ogni tipologia. E Biondi Santi è il top del Brunello.

 

Avete in mente di operare dei cambiamenti in azienda?

Non abbiamo cambiato nulla. Ormai è da un anno che sono qui in azienda e ho compreso che per noi è una grandissima responsabilità avere questa partnership, perché ci dobbiamo confrontare con la storia. Prima di pensare a qualsiasi cambiamento bisogna aspettare per capire meglio sia il vino sia il territorio e poi comprendere se è possibile fare qualcosa di meglio. Sembra semplice, ma in realtà è molto complicato. Per me il Brunello, specialmente Biondi Santi, è uno stile che nell'approccio ricorda la Borgogna per la finezza e l'eleganza, non è come i Supertuscans che assomigliano ai Bordeaux.

 

I cambiamenti climatici, da cui Montalcino non è immune, stanno influendo sulla produzione del vino con vendemmie anticipate, gradazioni alcoliche elevate, ecc. Come pensate di affrontare questi nuovi scenari?

Come dicevo prima, abbiamo la necessità di capire meglio il suolo, il clima, il nostro terroir. Noi abbiamo quattro differenti parcelle: Scarnacuoia, Tre Querce, I Pieri che rappresenta la storia dell'azienda e il Greppo stesso. Hanno tutti altitudini diverse e ciò permette di fare un assemblage, a secondo delle caratteristiche dell'annata, con l'obiettivo di produrre un vino che si mantenga nel tempo e sia di alta qualità. La nostra idea è anche di capire, se per il futuro, ci sono dei vigneti a Montalcino che possiamo acquistare. Con il tempo capiremo cosa fare.

 

Lei prima d'ora aveva mai avuto esperienza con il sangiovese?

No, mai. Per questo ci occorre tempo per capire ma non siamo soli. La squadra in azienda conosce bene il sangiovese e ognuno porta qualcosa della propria esperienza con il vino. Jacopo ha una visione più moderna rispetto a quella di Franco, così come noi abbiamo esperienza di Champagne, Cote du Rhone, Provenza. Èuna diversità che rappresenta una fortuna per l'azienda. Io, comunque, non faccio il vino, il winemaker dell'azienda Biondi Santi è Jacopo, rimane lui l'enologo. La nostra prima vendemmia è stata il 2017, quindi del Brunello se ne parlerà tra 6 anni e del Rosso tra 3 anni, se ci sarà. Il Brunello Biondi Santi è un vino che nasconde tutto, molto discreto, che si apre con il tempo. Èun vino molto di testa, intellettuale, certe volte difficile da capire. E non è un vino per tutti. È come una Ferrari o una Porsche: non ci vuole solo la patente per guidare queste macchine, ci vuole qualcosa in più. All'inizio è stato un vino difficile per me, perché l'acidità è bella presente e dà una freschezza al vino rosso abbastanza rara, considerando l'equilibrio che esprime. In Francia non ci sono tanti vini rossi così.

 

Rientra nei progetti dell'azienda aumentare le quantità di Brunello prodotto?

Nathalie Meyer:Certamente rimpiazzeremo le fallanze, ma sappiamo benissimo che poi dobbiamo aspettare anni prima che la pianta abbia un numero di anni sufficienti per essere matura per il Brunello (il riferimento è all'età dei vigneti rispetto alla tipologia del vino secondo la tradizione aziendale: per il Rosso di Montalcino oltre 10 anni; Brunello da 10 a 25 anni; Brunello Riserva oltre 25 anni; ndr).

Olivier Adnot:Sicuramente dobbiamo reimpiantare, ma comunque non vogliamo aumentare la quantità, perché per fare un buon vino non occorrono tanti ettari di vigneto. In ogni caso, le aziende top non hanno mai tantissimi vigneti: hanno una dimensione umana. A ChâteauPetrus estirpano un ettaro ogni 10 anni in modo di assicurare sempre e comunque l'omogeneità della produzione. Dobbiamo anche capire il valore qualitativo delle nostre singole parcelle, perché senza dubbio dei pezzi di queste, sono ancora migliori. Motivo per cui, vogliamo fare uno studio accurato e una zonazione di tutti gli appezzamenti dell'azienda. In futuro, i vigneti si sposteranno in alto. Dobbiamo pensare ai prossimi 40 anni: per questo è importante avere qualche parcella di vigneto in zone più alte. Abbiamo solo un'uva, il sangiovese, l'unica cosa che possiamo fare è prendere scelte diverse su suolo e esposizione. Non possiamo stare fermi, dobbiamo sperimentare, provare. L'epoca è cambiata e, quindi, ci dobbiamo adattare a questo nuovo mondo.

 

Secondo voi è sottostimato il valore di una bottiglia di Biondi Santi? A parità di qualità, una bottiglia di un grande vino italiano costa meno della metà di un vino top francese.

Èuna domanda difficile perché tutti i vini sono diversi e non sono comparabili: Bordeaux con un cabernet come un Latour o un merlot come Petrus oppure un Masseto o anche un Grange. Solo sangiovese è Biondi Santi: è un mondo a parte, è difficile dire se è sottostimato oppure no, perché parliamo di prodotti totalmente diversi.

 

Una delle caratteristiche dei vini Biondi Santi è sempre stato il lungo invecchiamento e le scelte molto nette, quando la vendemmia non era considerata adatta a produrre un grande Brunello. Cambierà qualcosa?

Olivier Adnot:Assolutamente nulla. Anzi abbiamo deciso di ritornare all'invecchiamento di una volta, perché vogliamo andare incontro al gusto e alle esigenze dei consumatori di avere un prodotto pronto, ma con la potenzialità di invecchiare a lungo. Pertanto, la Riserva 2012 e l’Annata 2013 saranno pronte per la vendita nel 2019, rispettivamente 7 e 6 anni dopo la vendemmia, tanto più che abbiamo deciso di non produrre Brunello nell'annata 2014, ma solo Rosso di Montalcino Fascia Rossa: è una scelta coraggiosa perché per l'azienda si crea un problema finanziario, ma ci siamo trovati tutti d'accordo. Èraro nel mondo del vino ragionare in questo modo: si tratta di una decisione che abbiamo preso con Jacopo. Per noi era importante condividere queste scelte perché la famiglia Biondi Santi rappresenta la continuità, la memoria del vino e dell'azienda. Senza di loro sarebbe stato difficile.

Nathalie Meyer: D'ora in poi ogni anno vogliamo mettere sul mercato una grande annata del passato. Adesso è la volta del 1997, un grande Brunello con una struttura importante. Per noi è anche il modo per far capire ai giovani sommelier cosa significa e qual è il valore qualitativo di Biondi Santi. Un patrimonio non solo italiano ma anche mondiale. Èaffascinante bere un po' di storia, ma pensando al futuro.

Tenuta Biondi Santi - Montalcino (SI) - Villa Greppo, 183 - 0577 848087 - http://www.biondisanti.com/

 

 

a cura di Andrea Gabbrielli

 

Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri del 12 aprile Abbonati anche tu se sei interessato ai temi legali, istituzionali, economici attorno al vino. È gratis, basta cliccare qui.


A Roma le Cene dei Tre Gamberi 2018. A maggio tre appuntamenti a più mani con le migliori trattorie d'Italia

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Il 7, 21 e 28 maggio da Eataly Roma tre appuntamenti speciali con le tavole che in Italia tramandano la tradizione regionale, offrono un ottimo rapporto qualità/prezzo e valorizzano i prodotti del territorio. Trattorie premiate con i Tre Gamberi, che si ritrovano per una sera a cucinare insieme. Il menu della prima data. 

Ognuna ha la sua anima, calata in un contesto territoriale peculiare, costruita nel tempo affastellando memorie gastronomiche e guardando con slancio al futuro, per tramandare l'eredità di una tradizione che sa rinnovarsi. Sono le migliori trattorie d'Italia, simbolo della grande varietà gastronomica offerta dalla ristorazione italiana, sin negli angoli più remoti della Penisola, premiate ogni anno dalla guida Ristoranti d'Italia del Gambero Rosso con il vessillo dei Tre Gamberi, sinonimo di originalità, qualità della materia prima, passione e ricerca, attenzione costante per l'ospite. Senza perdere mai di vista il rapporto qualità/prezzo, come decalogo della buona trattoria comanda: i prodotti sono quelli del territorio, la capacità di valorizzarli presentandoli senza presunzione e nel pieno rispetto della stagionalità fa sì che tutto, sulla tavola, sia coerente alla filosofia del contesto. Prezzo compreso.

Tra qualche giorno, a Roma, alcune di loro saranno protagoniste di cene speciali – semplicemente, le cene dei Tre Gamberi 2018 – che il Gambero Rosso curerà negli spazi di Eataly Roma allestiti per l'occasione. Tre gli appuntamenti che si avvicenderanno il 7, 21 e 28 maggio, molte di più le cucine che idealmente si passeranno il testimone per farsi portavoce della grande tradizione della trattoria italiana nel corso di cene a più mani, dove ognuno preparerà una portata. Si comincia il 7 maggio in compagnia di Antichi Sapori di Andria (BT), Caffè La Crepa di Isola Dovarese (CR), Antica Osteria del Mirasole di San Giovanni in Persiceto (BO), Osteria Ophis di Offida (AP) e La Locandiera di Bernalda (MT). Questo il menu della serata, con vini in abbinamento:

 

Aperitivo con Antichi Sapori (chef Pietro Zito)

Fave novelle con aglio fresco, crostino di pane e pecorino canestrato

In abbinamento  Gran Cuvée Gold Brut dell’azienda Velenosi

 

Caffè La Crepa (chef F. Malinverno)

Insalata di Faraona alla Stefani

In abbinamento Franciacorta Pas Dosè Ris. 33 – ’10 dell’azienda La Ferghettina

 

Antica Osteria del Mirasole (chef Franco Cimini)

Lasagna verde all’ortica con ragù di cortile e panna d’affioramento.

In abbinamento Casal di Serra 2016 – Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico superiore dell’azienda Umani Ronchi

 

Osteria Ophis (chef Maurizio Citeroni)

Il Pollo Ngip Ngiap

In abbinamento Montepulciano d’Abruzzo Teramane Ris ’13 Neromoro dell’azienda Nicodemi

 

La Locandiera (chef Clara Gallotta)

Crema Chantilly all’italiana su crostata scomposta con Acinata

In abbinamento Moscato d’Asti Turna Lunga dell’azienda Belcolle

 

60 euro a persona il costo di ogni serata, acquistabile online sullo store del Gambero Rosso.

 

Maggio 2018 del Gambero Rosso, numero 316. La riscossa del servizio di sala e altre storie

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È in edicola il numero di maggio del Gambero Rosso, ricco di storie da scoprire. Una breve panoramica con gli highlight del mese, tra dossier, reportage di viaggio, ricette, classifiche, indirizzi utili. 

 

La riscossa dei camerieri

Esce oggi in edicola un nuovo numero del mensile del Gambero Rosso, che a maggio dedica l'ironica grafica di copertina (a firma Gianluca Biscalchin) alla rivincita della sala: “Sta partendo la riscossa dei camerieri sugli chef?” si chiede Antonio Paolini facendo il punto su passato, presente e futuro del servizio di sala. Un'analisi approfondita e ricca di punti di vista, che raccoglie le impressioni dei professionisti del settore, indaga tra problemi e criticità (con l'aiuto di Giacomo Gironi), passa in rassegna l'offerta formativa in merito delle principali scuole italiane.

I disegni sono sempre quelli sagaci, e inconfondibili, di Biscalchin; il racconto procede per tappe, dal declassamento della figura del cameriere, in un sistema che negli anni ha invece visto trionfare la figura dello chef star, ai primi semi del cambiamento. L'associazione Noi di Sala, i “figli di” diventati maestri d'accoglienza (Luca Vissani, Pascal Tinari, Alberto Santini), i monumentali professionisti dell'arte di sala, Beppe Palmieri, Alessandro Pipero, Marco Reitano, Matteo Zappile. La più recente esperienza di Intrecci, firmata Cotarella. Ma pure la fuga all'estero di camerieri talentuosi che l'Italia non riesce a valorizzare, e per contro lo scatto d'orgoglio degli istituti alberghieri (con l'infografica su numeri e percentuali, di iscrizioni e indirizzi), con l'auspicio che davvero la tendenza possa invertirsi. E un'ipotesi di decalogo per un servizio contemporaneo a firma di Federico De Cesare Viola.

Profilazione. Schedare il cliente al ristorante: si può?

Nei panni del ristoratore (ma pure del cliente), invece, Martina Liverani analizza com'è cambiata e sta cambiando la gestione di prenotazioni e profilazione dei commensali: come gestire il cliente quando ancora non c'è? E come offrirgli un servizio migliore, per indurlo a tornare? L'orientamento è quello che porta verso una gestione sempre più sartoriale, che sfrutta le potenzialità della tecnologia digitale. Dai software di prenotazione (utili anche per prevenire la piaga del no show, noi ne abbiamo presi in considerazione 10 tra Europa e Usa) alle mailing list, ai veri a propri archivi che custodiscono le “schede cliente”. Ma c'è anche chi ai software preferisce il fattore umano, e chi rifiuta la profilazione a tutti i costi. Intervengono sull'argomento Raffaele Alajmo, Antonia Klugmann e Romano De Feo, Sandra Ciciriello, Yoji Tokuyoshi.

L'anima gastronomica di Istanbul

Ma il mensile del Gambero Rosso è anche reportage di viaggio: stavolta il focus è concentrato su Istanbul e la sua vocazione gastronomica, più tenace e radicata di qualunque tensione internazionale, instabilità politica e repressione culturale. Una megalopoli sospesa tra Europa e Asia, raccontata da chi la città la conosce bene: Elvan Uysal ci mette le parole, Derya Turgut gli scatti di un luogo dalla bellezza antica e moderna insieme. Tra i caffè di Beyoglu e la nouvelle vague siriana, la cucina d'autore di Mehmet Gurs (raccontata da Margo Schachter) e giovani chef che rivendicano la propria maturità offrendo a chi visita la città grandi esempi di moderna cucina istanbuliota, da Yeni Lokanta a Nicole e Neolokal. Si procede per tappe, tra vecchi quartieri ottomani e nuovi microcosmi sociali cresciuti nell'ombra, oggi importanti ritrovi culturali e gastronomici di Istanbul. Ne esce fuori un'immagine potente e animata di una città che non ha accantonato la voglia di essere libera. Con tutti gli indirizzi utili per mangiare in città e 11 vini molto italiani per 11 ricette molto turche di Giuseppe Carrus.

Il caviale italiano, le ricette, la classifica delle uova, mangiare a Treviso

Altro giro, altra storia con Francesca Ciancio alla scoperta del caviale italiano: lo sapevate che l'Italia è uno dei primi produttori mondiali delle pregiate uova di storione apprezzate sulle tavole di tutto il mondo? Un dossier su numeri, aziende che lo producono (e come lo producono), ricette e chef che lo utilizzano in cucina, da Enrico Bartolini ad Antonio Guida e Marcello Trentini. E ancora le ricette di Valentino Palmisano del ristorante Vespasia di Palazzo Seneca a Norcia, la proposta Orto e primizie del Consorzio di Torino, la ricetta illustrata dei ravioli con i gamberi di Ravioli Wang (Siena) con le illustrazioni di Valentina Scannapieco. Il consueto appuntamento con le classifiche di Mara Nocilla, invece, ci porta alla scoperta delle migliori 8 uova di gallina provenienti da allevamenti virtuosi; mentre la miniguida al mangiar (e bere) bene in città di Valentina Marino questo mese ci porta a Treviso, la “piccola Venezia” con tanti assi gastronomici nella manica. Ultime notizie dal mondo del cibo, consigli di lettura, suggestioni di food design in apertura.

 

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È morto Giuseppe Nardini. Addio al re della grappa della distilleria più antica d'Italia

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Dal 1779 la distilleria Nardini di Bassano del Grappa rappresenta la storia del distillato più peculiare d'Italia. Negli anni Cinquanta Giuseppe Nardini prendeva la guida dell'azienda, facendone una delle realtà imprenditoriali più fiorenti del made in Italy. Imprenditore illuminato, scompare a 91 anni. 

Una storia di famiglia

Ieri la scomparsa di Pietro Marzotto, alle prime ore del mattino la notizia di una nuova perdita per il Veneto dell'imprenditoria illuminata ante litteram. Perché Giuseppe Nardini, (quasi) 91 anni all'anagrafe, ancor prima di diventare il re della grappa (il titolo con cui tutti oggi lo celebrano) è stato imprenditore di grande fiuto, capace di traghettare l'azienda di famiglia verso obiettivi di crescita che non rinnegassero la lunga storia della distilleria. A Bassano del Grappa, Nardini preserva da oltre due secoli una tradizione locale che sublima l'arte distillatoria: fondata da Bortolo Nardini nel 1779, oggi la distilleria che accoglie chi entra in città dal suggestivo Ponte degli alpini sul Brenta è la più antica azienda produttrice di grappa in Italia, e caso raro nel mondo dell'imprenditoria nazionale ha mantenuto nel tempo la sua conduzione familiare (siamo alla settima generazione, oggi sotto la direzione di 4 cugini, tra cui Cristina, figlia di Giuseppe e Marisa, prima donna ad avere un ruolo attivo in azienda). Poco meno di un anno fa, in occasione dell'apertura di Garage Nardini – il ristorante con cucina di territorio della grapperia – ripercorrevamo la storia della famiglia, le origini e le evoluzioni della ricetta di quello che è considerato il distillato italiano per eccellenza, ottenuto da vinacce fermentate (ironia della sorte, tra qualche giorno il mondo della grappa si ritroverà a Milano, per la prima edizione di Gocce di Stilla).

 

Un imprenditore illuminato

Il motto di Giuseppe - Innovare nel segno della tradizione – è quello che negli ultimi decenni ha guidato l'attività verso nuovi traguardi, e non solo in termini di fatturato: proprio Giuseppe, in occasione del 225esimo anniversario della distilleria, nel 2004 incaricava Massimiliano Fuksas di realizzare Le Bolle, complesso ispirato nelle forme agli alambicchi della distillazione, e destinato ad accogliere spettacoli ed eventi. Ma in oltre 50 anni alla guida dell'attività sono moltissime le conquiste maturate sul campo dal cavalier Nardini, uomo d'altri tempi che tra gli amici più cari vantava Indro Montanelli e alla valorizzazione della grappa ha dedicato tutta la vita, interpretando il suo mestiere più come una missione che come semplice professione. Classe 1927, laureato in Scienze Economiche e Aziendali a Ca' Foscari, in passato era stato anche alla guida della Banca Popolare di Vicenza e presidente dell'Associazione locali storici d'Italia. Oggi la distilleria che nel 1860 introdusse per la prima volta un sistema di produzione a vapore, in alambicchi a ciclo discontinuo, conta 70 dipendenti e produce due milioni di litri di grappa ogni anno, esportando in tutto il mondo. Giuseppe, colpito da un ictus 15 giorni fa, se n'è andato circondato dalla sua famiglia, nella tranquillità della sua casa di Bassano del Grappa. Certo che la storia della distilleria continuerà ancora a lungo.

 

a cura di Livia Montagnoli

Florence Coktail Week 2018. Una settimana per scoprire la migliore miscelazione fiorentina

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Dal 30 aprile al 6 maggio appuntamento con la terza edizione della rassegna che valorizza la cultura del buon bere consapevole e l'arte del bartending. Ne parliamo con Paola Mencarelli, ideatrice della manifestazione insieme a Lorenzo Nigro. 

Appuntamento a Firenze

7 giorni, 21 partecipanti tra caffè storici, bar d'albergo, insegne che stanno rinnovando il panorama della miscelazione cittadino. E 4 cocktail ciascuno, creazioni ad hoc ideate dai bartender per onorare la terza edizione della Florence Cocktail Week, di scena a Firenze dal 30 aprile al 6 maggio 2018. Sono questi i numeri della rassegna ideata da Paola Mencarelli e Lorenzo Nigro per valorizzare l'arte del bartending, le ultime tendenze della miscelazione locale, la storia di quella italiana e la cultura del bere (consapevolmente) di qualità. Della storia della rassegna sin qui, dal debutto nel 2016 alla vigilia della nuova tappa, che vede crescere il numero delle realtà partecipanti da 16 a 21, avevamo parlato tempo fa, anticipando i nomi dei protagonisti coinvolti. Durante la settimana l'evento disegnerà un percorso inedito in città - l'itinerario è facilmente percorribile a piedi, ma potrebbero tornare utili anche i servizi di bike sharing del Comune di Firenze, Mobike e Gobee – alla scoperta di una cocktail list decisamente articolata, e per tutti i gusti, tra twist sul Negroni (con anticipazione dei festeggiamenti per il centenario della nascita del celebre miscelato, in vista del 2019) e drink che valorizzano i prodotti made in Italy (protagonisti dell'appuntamento di venerdì 4 maggio RiEsco a Bere Italiano, presso la Fondazione Franco Zeffirelli), miscelati che guardano al futuro e persino cocktail family friendly, drink analcolici proposti da alcune delle insegne partecipanti.

Il cocktail di Rasputin

Il programma della manifestazione

Ma tante sono anche le occasioni di approfondimento. Tra gli appuntamenti da non perdere, sabato 5 maggio l'incontro con l'ospite internazionale Philip Bischoff, dal Manhattan Bar di Singapore all'Atrium Bar del Four Seasons di Firenze, e il curioso convegno Spirito and Spirits all'Auditorium di Santa Apollonia, sul tema religioni e lifestyle, che si protrarrà per tutta la giornata in compagnia di molti ospiti e relatori. Il calendario degli eventi collaterali, in realtà, prenderà vita in tutta la città, coinvolgendo ristoranti e botteghe gastronomiche (da Essenziale a 'Ino), palazzi storici e alberghi. A Paola Mencarelli abbiamo fatto qualche domanda sullo stato dell'arte della miscelazione a Firenze e in Italia e sugli obiettivi di una manifestazione che cresce anno dopo anno.

 

La miscelazione italiana oggi: come la descriveresti? Quali i punti di forza? E cosa migliorare per emergere ulteriormente a livello internazionale?

In una parola: affascinante! È il risultato di passione, storia e cultura, con lo sguardo rivolto all’estero e al futuro. I barman italiani sono grandi professionisti ricercati in tutto il mondo; i nostri prodotti e i nostri cocktail, primo fra tutti il Negroni, sono osannati ovunque. Abbiamo tutte le carte in regola per essere i numeri 1, manca forse la vera consapevolezza di chi siamo e cosa facciamo. Per questo crediamo che la nostra manifestazione possa contribuire a far crescere l’identità di questa professione e a farsene portavoce anche a livello internazionale.

 

Parte della Florence Cocktail Week sarà dedicata al "bere italiano": perché e quanto conta oggi la riscoperta della tradizione distillatoria nazionale e la valorizzazione di prodotti come amari e liquori italiani?

L’Italia ha una tradizione legata alla produzione di liquori e amari imbattibile a livello internazionale e la distillazione sta vivendo un momento di rinascita. Per questo motivo ci è sembrato necessario dare voce sia ai produttori, con la giornata RiEsco a Bere Italiano, sia alla miscelazione made in Italy, con un cocktail dedicato che verrà presentato nei cocktail bar durante l’intera settimana. L’utilizzo del prodotto italiano in miscelazione sta contribuendo a questo processo di valorizzazione (vedi il cocktail bar fiorentino Manifattura Tabacchi, tra i primi in Italia a sviluppare questo concetto), e si inserisce in un processo di valorizzazione del prodotto locale a livello internazionale testimoniato durante FCW dall’intervento di Sullivan Doh, bartender fondatore de Le Syndicat, Organisation de Défense des Spiritueux Français di Parigi.

Il cocktail di Manifattura Tabacchi

C'è qualche tendenza (tecniche, ingredienti, suggestioni) che sta andando per la maggiore?

Dopo il trend degli insetti e del foraging, adesso gli argomenti più in voga sono la miscelazione analcolica e il pairing con gli spirits in purezza.

 

Siete al terzo anno. Com'è cresciuta la scena della miscelazione fiorentina nel frattempo?

FCW ha indubbiamente contribuito alla crescita del livello della miscelazione in città, che in pochi anni ha vissuto una grande trasformazione imponendosi a livello nazionale. I maggiori segnali sono il numero crescente di insegne di qualità e, soprattutto, la grande attenzione da parte dell’hotellerie nel valorizzare i propri bar.

Dall’altra parte del bancone, i clienti adesso sono più consapevoli di cosa significhi bere bene.

 

Cercate sempre ospiti internazionali di grande personalità. Se dovessi scegliere la tua capitale preferita della miscelazione oggi, quale indicheresti?

In queste prime edizioni ci siamo concentrati su Londra, capitale indiscussa della miscelazione a livello mondiale, e abbiamo guardato a Oriente, passando dal Giappone a Singapore. Per il futuro puntiamo alla Grande Mela… 

 

Il pubblico della Cocktail Week: che target volete conquistare?

Riteniamo che non ci siano limiti di età e di appartenenza sociale: il bere (bene) è strumento di socialità trasversale e tutti devono potersi approcciare a questo mondo attraverso la cultura e la conoscenza. Dai profani che non si accontentano più di spritz e moijito alle famiglie con i bambini, per le quali in questa edizione proponiamo il cocktail “family friendly”.

 

 

I locali partecipanti alla FCW 2018 (bartender di riferimento e signature cocktail)

 

Atrium Bar - Four Seasons Hotel, Edoardo Sandri, El Falso Nueve (4-2-3-1)

Bitter Bar, Cristian Guitti, Golden Ticket

Ditta Artigianale Oltrarno, Kareem Bennett, La Belle Âme

Empireo - Plaza Hotel Lucchesi, Lorenzo Bianco, Lady Chatterley's Lover

Gilli 1733, Luca Picchi, Fu-Flux (aka Fluid Fux)

Gurdulù, Cristina Bini, Latte + Harry's Bar Thomas Martini Silver Spring

Inferno, Gennaro Caso, Fumo e Fiamme

La Ménagère, Cosimo Tarducci La Belle Équipe

Le Pool Bar - Villa Cora, MiròAbdel Rahman, Toscanillo

Locale, Marco Filippeschi, Desert Storm

MAD Souls & Spirits, Neri Fantechi, FAVoloso

Manifattura, Sarah Nardi, Un Bacione a Firenze

Osteria del Pavone, Silvano Evangelista, Florence's Red Carpet

Picteau Lounge Bar - Lungarno Hotel, Federico Pempori, L'Albero dei Racconti

Pint of View, Giorgio Lupi, Purple Sabbath

Rasputin, Francesca Lorenzoni, A Coffee with a Friend, a Whiskey with a Stranger

The Cloister - Belmond Villa San Michele, Lorenzo Aiosa, Orient Express Punch

The Fusion Bar - Gallery Hotel Art, Sacha Mecocci, Nuestra Tradición

Viktoria Lounge Bar, Paolo Marini, Midnight Breakfast

 

Florence Cocktail Week 2018 - Firenze - dal 30 aprile al 6 maggio - www.florencecocktaiweek.it

 

a cura di Livia Montagnoli

in apertura il Silver Spring di Thomas Martini, Harry's Bar

 

Winter Garden Bar - The St. Regis Florence, Christian Pampo, Midnight Namas-tè

Un mercato sempre più internazionale: la congiuntura Oiv per il 2017

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Il vigneto globale si stabilizza, la produzione è scarsa, gli scambi superano quota 30 miliardi di euro e confermano il momento di grande vivacità. In Italia, aumentano superfici vitate e consumi interni. Prime stime per la produzione 2018 dell'emisfero Sud.

 

Un potenziale viticolo che si mantiene stabile, una produzione tra le più basse di sempre, i consumi in ripresa per il terzo anno consecutivo e scambi internazionali vivaci che toccano per la prima volta i trenta miliardi di euro. Il quadro che emerge dalla consueta congiuntura primaverile dell'Oiv, Organizzazione internazionale della vigna e del vino, è da leggere con un certo ottimismo soprattutto per l'Italia. In primis, perché il commercio mondiale sta vivendo uno dei suoi momenti migliori di sempre e il nostro Paese, nonostante debba ancora migliorare il proprio posizionamento in diversi mercati, sta giocando un ruolo decisivo e da protagonista; in secondo luogo, perché i consumi interni dimostrano che l'aumento registrato nel 2015, dopo anni consecutivi di calo, rappresenta un trend in fase di consolidamento, che deve far ben sperare l'industria vitivinicola nazionale.

Il vigneto globale

Il direttore generale dell'Oiv, Jean-Marie Aurand, nella conferenza parigina sullo stato di salute del settore vino mondiale, ha parlato di stabilizzazione del potenziale viticolo. Con una superficie pari a 7,6 milioni di ettari, inclusi quelli destinati a uve da tavola e uve da essiccare, si può affermare che il quinquennio 2013-2017 abbia contribuito a frenare la costante erosione delle superfici, che era stata registrata a partire dal 2003. Spagna (13%, con circa un milione di ettari vitati), Cina (12%), Francia (10%), Italia (9%) e Turchia (6%) si spartiscono la metà delle superfici.

Nel corso del 2017, gli elementi da segnalare sono diversi: il rallentamento della progressione del vigneto cinese (che ha guadagnato 6 mila ettari), il forte calo del vigneto turco (-20 mila ettari) e di quello spagnolo (-8 mila ettari); infine, la buona notizia per l'Italia: l'unico Paese in Europa che ha visto aumentare le proprie superfici, con 5 mila ettari in più rispetto al 2016. Se si considerano i principali cambiamenti a partire dall'anno 2000, si nota una diminuzione del vigneto europeo (che ora è assestato a 3,3 mln/ha), di quello turco e di quello iraniano, un aumento di quello cinese e una stabilità per gli Stati Uniti e gran parte dei Paesi dell'emisfero australe.

 

Produzione storicamente bassa

Il 2017 ha toccato il minimo storico dal Duemila per quanto riguarda la produzione di vini e di mosti. I 250 milioni di ettolitri rappresentano infatti uno dei livelli più bassi di sempre, con un calo dell'8,6% sul 2016. Le ragioni sono da attribuirsi principalmente alle condizioni climatiche avverse che hanno condizionato il raccolto in Europa: Italia, Francia, Spagna e Germania hanno perso rispettivamente il 17%, 19%, 20% e 15%. Al di fuori dell'Ue, si registra una produzione superiore alla media degli anni precedenti negli Stati Uniti, Australia, Sudafrica e Brasile (con un balzo pari al +169% a 3,4 mln/hl dopo un 2016 disastroso).

Guardando nel dettaglio alla top ten mondiale, l'Italia con 42,5 milioni di ettolitri si conferma il primo produttore, seguita dalla Francia (36,7 mln/hl) e dalla Spagna (32,1 mln/hl). Alto anche il livello produttivo negli Stati Uniti (23,3 mln/hl) e Australia (13,7 mln/hl). Torna ai livelli medi anche l'Argentina (11,8 mln/hl) dopo anni difficili legati all'influenza negativa de El Niño nelle campagne. La Cina perde il 5% e si attesta al settimo posto nella classifica dei Paesi produttori seguita dal Sudafrica. Cile e Germania sono rispettivamente all'ottavo e al nono posto, ma perdono il 6% e il 15%. Decima piazza per il Portogallo: +10% a 6,6 mln/hl.

 

Consumi in ripresa

Alla voce consumi mondiali di vino, i 243 milioni di ettolitri stimati dall'Oiv per il 2017 segnano un leggero miglioramento rispetto all'anno precedente. "Dopo la flessione dovuta alla crisi economica del 2008/2009" ha sottolineato il segretario generale dell'Oiv, Aurand "il consumo mondiale di vino ritrova un'evoluzione positiva. E questa tendenza alla crescita si osserva dal 2014". Gli Stati Uniti restano in testa alla classifica dei Paesi consumatori, con 32,6 milioni di ettolitri nel 2017 e un primato non scalfito dal 2011 in poi. Seconda piazza per la Francia (27 mln/hl) seguita dall'Italia (22,6 mln/hl), Germania (20,2 mln/hl) e Cina (17,9 mln/hl). Questi primi cinque si spartiscono il 50% del consumo globale di vino. In linea generale, sembra essersi stabilizzato il calo che ha contraddistinto i Paesi storicamente consumatori (Francia, Italia e Spagna) e si conferma il continuo aumento negli Stati Uniti, in Cina e in Australia. In particolare, l'Italia registra il terzo incremento consecutivo dal 2014, con un consumo pro capite a 43,6 litri, terzo posto dopo Francia (51,2 litri) e Portogallo (51,4 litri).

 

Scambi vivaci

Nonostante il calo dei volumi pari al 3,4% rispetto al 2016, il mercato internazionale del vino dovrebbe raggiungere un valore di 30,4 miliardi di euro, con un aumento del 4,8%, confermando l'evoluzione positiva del commercio globale di vino partita nel 2001 e fermatasi solo per un anno (nel 2008). A volume, la Spagna si conferma primo esportatore (22,1 mln/hl); tra le crescite maggiori si segnalano quelle di Nuova Zelanda, Cile, Portogallo, Francia, Italia e Sud Africa, a fronte di un calo di Stati Uniti, Argentina e Spagna. Per quanto riguarda i valori, il superamento del tetto dei 30 miliardi di euro è determinato dai marcati incrementi registrati per Australia, Francia, Italia, Spagna, Portogallo e Nuova Zelanda, mentre si registrano diminuzioni per Stati Uniti, Argentina e Sud Africa. Nella speciale classifica a valore, la Francia, con 9 miliardi di euro mantiene il primo posto tra i Paesi esportatori, seguita da Italia, Spagna, Cile e Australia. Assieme, Francia e Italia dominano il mercato a valore con quote rispettive del 30% e del 19%.

Passando a considerare le tipologie di prodotto, i principali trend di mercato dicono che i vini fermi imbottigliati passano dal 54% al 57% delle quote, invertendo la tendenza ribassista osservata da diversi anni (tra 2000 e 2016 tale quota era scesa dal 65% al 54%). La Germania è il mercato con quote più elevate di import di vini in bottiglia, così come in Portogallo, Argentina e Francia. Se si considerano i valori, nel complesso i vini in bottiglia costituiscono il 72% di tutto l'export 2017.

Altro trend da tenere presente per il 2017 è quello legato agli spumanti che, con 8,6 mln di ettolitri esportati, sono protagonisti della crescita (+11,2% a volume e +8,9% a valore). Italia e Francia detengono rispettivamente il 18% e il 13% delle quantità esportate. Da notare che gli spumanti con l'8% del volume totale detengono il 19% del valore del vino scambiato a livello mondiale nel 2017.

Infine, tra i trend del 2017, il forte calo degli sfusi (contenitori superiori ai 2 litri) esportati che continuano a essere importanti per Spagna, Sud Africa, Cile, Australia e Usa, ma si riducono drasticamente in Germania, Argentina e Portogallo. Questa tipologia di prodotto con il 35% in termini di volumi rappresenta appena l'8% a valore.

 

Produzione emisfero sud (stime)

L'Oiv ha, infine, diffuso a Parigi le prime stime di produzione per l'emisfero Sud del mondo, che vedono una raccolta in crescita per Argentina (+14%), Cile (+19%), Nuova Zelanda (8,7%), Uruguay (+4%) e cali anche marcati per il Sud Africa (-20%) ma anche Australia (-8,7%) e Brasile (-11,2%). Troppo presto, ancora per le stime produttive dell'emisfero Nord, quello con la quota più importante. Se ne parlerà nei mesi estivi.

 

 

In sintesi

 

  • Con 7,6 mln di ettari nel 2017, la dimensione del vigneto mondiale sembra stabilizzarsi.

  • Nel 2017 sono stati prodotti 250 mln hl di vino, considerata una raccolta storicamente bassa, a -8,6% sul 2016, per via del clima sfavorevole nell'Ue (-14,6% a 141 mln/hl).

  • 243 mln hl di vino consumati nel 2017. Consumo quasi stabile dopo la crisi economica del 2008, che segna una tendenza positiva da 3 anni.

  • Commercio mondiale: saldo positivo per volume (108 mln hl, +3,4%) e per valore (30,4 miliardi di euro, +4,8%).

 

 

a cura di Gianluca Atzeni

 

 

Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri del 26 aprile. Abbonati anche tu se sei interessato ai temi legali, istituzionali, economici attorno al vino. È gratis, basta cliccare qui.

 

Ready to drink e cocktail invecchiati. Le “nuove” frontiere della mixology

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Si chiamano ready to drink e rappresentano la nuova frontiera (e opportunità) della mixology. Sono cocktail preparati da super barman, imbottigliati e pronti per essere bevuti dove si vuole, quando si vuole. E che molto spesso subiscono un processo di invecchiamento.

 

Per essere precisi i cocktail in bottiglia non sono una novità assoluta, nel mondo anglosassone se ne parla ormai da parecchi anni, ma qui in Italia questo nuovo modello di business è agli albori. A fare da apripista, nel 2014, Emanuele Broccatelli quando ancora era all'Hotel Majestic di Roma. “L'idea di imbottigliare i drink l'ho avuta in seguito a un'altra intuizione: in quel periodo mi stavo avvicinando al mondo del vino, così ho cominciato a pensare a cosa poteva succedere se avessi messo i miei drink in una bottiglia e li avessi lasciati lì ad invecchiare. L'ho fatto davvero. Li ho imbottigliati e li ho assaggiati dopo pochi mesi: erano cambiati, erano più divertenti, più armoniosi, più lunghi e meno alcolici. Poi gli ingredienti rimanevano legati anche senza l'apporto del ghiaccio, potevano essere bevuti lisci”. Gli esperimenti del barman romano sono continuati “ho cominciato a lavorare sulle ossidazioni, ho iniziato a vedere che succedeva se lasciavo il cocktail dentro un vaso di vetro parecchio scolmo. Ne è uscito un prodotto completamente diverso – da qui è nato il Negroni ossidato che proponeva al Majestic - dovevo assolutamente trovare il modo di commercializzarlo! Mi sono informato, ho anche collaborato con l'Agenzia delle Dogane affinché comparisse la casellina 'cocktail' nei moduli da compilare per la commercializzazione, alla fine insieme alla mia socia Valeria Bassetti abbiamo dato il via alla vendita dei nostri drink in bottiglia”. I due attualmente producono i loro Cocktail d'Autore in un liquorificio a Ciampino, peraltro salvato in corner dallo smantellamento; sono il Negroni, il Gin Martini e l'Amaro Perfetto fatto con un blend di vermouth italiani e amari. In tutte e tre la nota caratterizzante è data proprio dall'ossidazione e dall'invecchiamento.

I cocktail di KeyncoI cocktail di Keynco

I drink invecchiati

Un'altra pratica che sta prendendo sempre più piede tra i barman italiani è proprio l'invecchiamento dei drink. Negli Stati Uniti è iniziata una ventina di anni fa, ma la tendenza è decollata nel 2010 quando il super barman Jeffrey Morgenthaler ha pubblicato i suoi esperimenti con i barrel-aged cocktail. Sperimentazioni, iniziate già nel 2004, che trattano i cocktail come se fossero vino o whisky. “Come per i vini l’ossigeno affina anche i drink creando un gusto più morbido, più dolce e con note più profonde. È un cocktail per un lento e contemplativo sorseggiare”, spiega nel suo blog. E con lui concordano anche Valeria Sebastiani e Giada Panella di Keynco“Il nostro progetto nasce dalla volontà di mettere a disposizione un cocktail in bottiglia, equilibrato ed elegante, pronto così com'è per essere gustato. E con il tempo ci siamo rese conto che era proprio il tempo a consegnare prodotti di qualità, un po' come avviene per i vini”. Il parallelismo con i vini continua anche per la scelta del contenitore: acciaio, vetro, legno svolgono azioni diverse sui chimismi ossidativi perché influenzano la velocità di penetrazione dell’ossigeno e la sua solubilizzazione nel fluido. Brocatelli, per esempio, preferisce il vetro, mentre i ragazzi del The Mad Dog Social Club in collaborazione con Freni e Frizioni e il Jerry Thomas Speakeasy hanno avviato un paio di anni fa l'invecchiamento in botte per alcune aziende.

L'invecchiamento in botte degli aged cocktails al Mad Dog di Torino

L'invecchiamento in botte degli aged cocktails

Abbiamo accuratamente selezionato le nostre botti” spiega Leonardo Leucinuove quando vogliamo ottenere un risultato con note di vaniglia e legno molto intense o di secondo passaggio, cioè che hanno contenuto diversi tipi di distillati, vini o vermouth, quando vogliamo caratterizzare un cocktail o un distillato aggiungendo struttura, dolcezza, una delicata acidità o la tipica nota calda e pungente dei grandi vini liquorosi. Ogni botte viene pensata per un abbinamento con un determinato drink così da conferire ai nostri aged cocktails un carattere originale e personale, diverso da chiunque altro. Esattamente come per i grandi vini o i distillati pregiati, i nostri cocktail invecchiano fino a che la miscela non è perfettamente arricchita di quelle note calde dolci e fruttate che solo il lungo passaggio in legni può conferire”. L’invecchiamento in botte è dunque un processo lungo, che richiede pazienza e attenzione. Ma poi c'è anche Matteo Zed che invece si è inventato un invecchiamento istantaneo per mezzo di una semplice tecnica chiamata cavitazione al nitrogeno mediante un sifone che usa cariche di ossido di azoto.

 i drink in bustina chiamati NIO-Needs Ice Onlyo I cocktail di NIO-Needs Ice Onlyo 

I cocktail ready to drink

Il drink, dunque, non è più solo un prodotto preparato espresso, ma diventa una preparazione che viaggia nel tempo. E nello spazio. Già perché questi drink invecchiati ben si prestano a essere commercializzati in bottiglia; non a caso lo fanno Emanuele Broccatelli e Valeria Bassetti con i loro tre Cocktail d'Autore o le ragazze di Keynco. Ma i cocktail ready to drink non sono necessariamente riposati in legno o invecchiati. Pensiamo per esempio a Patrick Pistolesi che insieme a Luca Quagliano e Alessandro Palmarin ha ideato i drink in bustina chiamati NIO-Needs Ice Only o al nuovo progetto di Italian Cocktail Club (dietro ci sono sempre i ragazzi di The Mad Dog Social Club, di Freni e Frizioni e di Jerry Thomas Speakeasy). “Con i drink spillati direttamente dalla botte ci siamo resi conto del crescente interesse sul tema, abbiamo constatato che le persone oggi sono sempre più curiose e incuriosite, e sono disposte a bere i cocktail anche in contesti differenti rispetto al canonico bancone del bar”, ci spiega Luca Conzato, che insieme a Leonardo Leuci è il referente del progetto. “Così abbiamo realizzato 5 drink in bottiglia già diluiti e pronti per essere bevuti”. Sono l'Hanky Panky (in onore di Ada Colemar, il primo bar manager donna dell'American bar del Savoy Hotel di Londra), il Martini, il Negroni, il Martinez e il Milano Torino; tutti realizzati nella distilleria Quaglia (dove producono anche i prodotti del Professore). “Saranno reperibili da giugno nelle enoteche e in GDO, e il prezzo sarà di circa 20 euro per una bottiglia di 70 cl”.

Effettivamente se stare a casa is the new uscire, per le aziende di spirits e i barman il mercato casalingo rappresenta oggi un'occasione ghiotta, ma non l'unica. I cocktail ready to drink rappresentano una svolta per quei ristoranti e hotel che non hanno un barman, oppure per quegli alberghi, compagnie aeree o navi da crociera che vogliono proporre dei prodotti di qualità. Insomma c'è (ancora) spazio per tutti.

 

Cocktail d'Autore - Emanuele Broccatelli e Valeria Bassetti - facebook.com/smallbatchliquor

Keynco - Valeria Sebastiani e Giada Panella - keynco.it

NIO-Needs Ice Only - Patrick Pistolesi, Luca Quagliano e Alessandro Palmarin - nio-cocktails.com

Italian Cocktail Club - Luca Conzato e Leonardo Leuci – online da giugno

 

 

a cura di Annalisa Zordan

foto di copertina: I Cocktail d'Autore di Emanuele Broccatelli e Valeria Bassetti

 

 

 

Pink Lady Awards 2018. I premi alle più belle foto di cibo: vince la preghiera nel tempio hindu

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Dal 2011 il concorso internazionale di food photography aperto a professionisti e amatori individua gli scatti più belli ispirati dal cibo. Tra 8mila fotografie, quest’anno il premio più ambito spetta a Noor Ahmed Gelal. Ma sono molti i riconoscimenti di categoria, dal mondo del vino alle foto di famiglia, al premio per la migliore still life. Eccoli. 

Il concorso che premia la food photography

È il cibo rituale a scandire il ritmo nella foto di Noor Ahmed Gelal, che trasforma il momento della preghiera in un tempio Hindu in un pattern quasi geometrico di colori e forme. Lo scatto immortalato a Dhaka dal fotografo originario del Bangladesh si aggiudica quest’anno il premio più ambito del concorso Pink Lady, il più importante riconoscimento internazionale per la food photography, che dal 2011 richiama fotografi professionisti e amatori ispirati dal cibo nelle sue molteplici variabili e implicazioni sociali, economiche, culturali. Sono 8mila le immagini presentate per l’edizione 2018, in arrivo da 60 diversi Paesi del mondo; di queste 25 si aggiudicano i premi di categoria, a partire dal premio per il Food Photographer of the Year, che spetta proprio a Gelal. Praying with food si intitola in modo quasi didascalico lo scatto che gli vale 5mila sterline (e si aggiudica anche la vittoria nella categoria Cibo rituale), e se ha colpito la giuria è soprattutto per l’insolito punto di vista adottato per fermare un momento della preghiera nel tempio di Dhaka, ripreso dall’alto, l’offerta di cibo a disegnare forme che si ripetono sul pavimento, donne, uomini e bambini scrutati con discrezione, senza che nessuno si accorga del fotografo.

 

Vino, nature morte, ritratti di famiglia

Ma una sezione speciale del concorso è dedicata anche a chi sceglie di lasciarsi ispirare dal mondo del vino, con tre premi di categoria dedicati al miglior Wine Photographer dell’anno – l’australiano Victor Pugatshew che in viaggio nella regione della Champagne immortala il momento del travaso dello chardonnay – allo scatto che meglio rappresenta i luoghi del vino – quello di George Rose nei vigneti allagati di Sonoma – e al ritratto presentato dal francese Thierry Gaudillere, per la sezione People (Worker alla Maison Champy). Ogni anno il premio ha il merito di rappresentare uno spettro estremamente vario delle possibilità di indagine della food photography: l’inglese Guillame Flandre ruba uno scatto al mercato di Dakar, in Senegal, e si aggiudica il premio per la miglior fotografia agreste con un ritratto di gruppo… Di pecore; ancora lui, per la categoria Food for the family, vince con l’atmosfera intima di un pranzo in famiglia il giorno di Natale, immortalando suo padre e il nonno intenti a cucinare insieme. La curiosa natura morta di rose e mele di Michael Meisen vince come miglior Stll life, mentre il premio per la più convincente fotografia Food in action spetta a John Carey, con lo chef Calum Franklin scovato nel suo laboratorio di pasticceria mentre si appresta a terminare una torta. Premi speciali anche alla miglior foto scattata con smartphone (i bisonti di Paul Steven) e al miglior scatto da food blogger, che nel 2018 spetta all’inglese Aniko Lueff, con una composizione che esalta i colori e le consistenze del miele. Nessun italiano tra i vincitori. Qui una gallery delle foto premiate nel corso della cerimonia di qualche giorno fa alle Mall Galleries di Londra.

 

Qui tutti i vincitori

 

a cura di Livia Montagnoli


Libri. La cucina delle erbe spontanee in 40 ricette

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Due chef hanno scritto un libro sulle erbe spontanee, su come riconoscerle (qui si sono fatti aiutare da una naturalista) e come cucinarle. Noi vi sveliamo due ricette.

 

Mariangela Susigan e Alessandro Gilmozzi hanno in comune la passione per le erbe spontanee, da qui ne è nato un libro con 60 schede botaniche e 40 ricette.

Gli autori

Mariangela Susigane Alessandro Gilmozzi sono due cuochi: lei da quarant'anni è chef e anima del ristorante Gardenia, nel Canavese in provincia di Torino; Alessandro è il patron di El Molin di Cavalese (Trento). Entrambi sono appassionati di erbe, passione comune scoperta durante un evento gastronomico sulle sponde del lago Mergozzo, dove hanno gettato il seme di questo libro. “Cominciammo subito a raccontarci, scoprendo una passione comune per la ricerca innescata dalla conoscenza di valli, montagne, tradizioni dei nostri territori [Più parlavamo, più cresceva la voglia di intrecciare le nostre esperienze. È stato naturale cercare un'altra occasione per rivederci”. Così Mariangela è andata al ristorante di Alessandro, e viceversa, hanno raccolto le erbe assieme, si sono scambiati le informazioni, si sono svelati i rispettivi segreti fino a domandarsi se fosse il caso di condividere con tutti questa enorme ricchezza. “Ci siamo fatti aiutare da Lucia Papponi, etnobotanico esperto e capace, a raccogliere le informazioni scientifiche sulle erbe dei nostri territrori”. Et voilà ne è nato un libro.

Il libro

Si comincia con i piacevoli racconti dei rispettivi territori. Si parla di Canavese, il territorio di Mariangela, specie della Valchiusella, una piccola valle delle Alpi Graie, tra la Valle d'Aosta e la Valle Sacra. E ovviamente si racconta anche la Val di Fiemme, ricca di funghi, erbe, resine e licheni, che Alessandro ha imparato ben presto a usare in cucina. Dopo la parte narrativa (dove c'è anche un interessante focus sulla fitoalimurgia, la botanica delle piante alimentari) si passa ai suggerimenti per la raccolta e alle schede botaniche delle varie erbe, dall'acetosella al crespino, dal raponzolo alla viola mammola, con l'etimologia, le descrizioni botaniche e i suggerimenti per raccolta, pulizia, conservazione e utilizzo in cucina. Infine ci si può applicare ai fornelli grazie alle 40 ricette: quelle di Mariangela contrassegnate con un pallino rosa, mentre quelle di Alessandro con uno azzurro. Qui due ricette in anteprima.

Risotto Carnaroli, cipollotto, zenzero e achillea di Mariangela Susigan

Ingredienti per 4 persone

300 g di riso Carnaroli

1 l di brodo di gallina

2 cipollotti

50 g di achillea

140 g di olio extravergine di oliva

100 g di zenzero fresco

50 g di Parmigiano Reggiano

50 ml di vino bianco

2 pizzichi di sale fino

Pelate la radice di zenzero, tagliatela a fettine e tritatela gossolanamente. Scaldate sul fuoco basso 100 ml di olio con lo zenzero e lasciate cuocere lentamente per 10 minuti senza friggere. Frullate il composto con il frullatore a immersione per ottenere una purea. Mondate, lavate e tagliate a tocchetti il cipollotto. Salate e stufate rapidamente con olio extravergine di oliva. Lavate i rametti di achillea, asciugateli bene e sfogliateli con cura eliminando il gambo centrale, conservate a parte le foglioline avvolte con carta da cucina inumidita. Portate a bollore il brodo di gallina. Tostate il riso con l'olio rimanente, sfumate con il vino bianco e lasciate evaporare. Proseguite la cottura per 10 minuti bagnando progressivamente con il brodo bollente e mescolando di tanto in tanto. Aggiungete il cipollotto precedentemente stufato e terminate la cottura del riso. Mantecate il risotto con la purea di zenzero e parmigiano, regolate di sale, mantenendolo all'onda.

Presentazione: disponete il risotto nei piatti e cospargete con le foglioline di achillea.

Ricette del libro "La cucina delle erbe spontanee"

Pacche Senatore Cappelli ripiene di Graukäse e lichene biancodi Alessandro Gilmozzi

Ingredienti per la zuppa (per 4 persone)

50 g di cipolla

300 g di formaggio da fonduta a dadi

100 ml di latte

100 ml di brodo vegetale

100 g di panna

100 ml di olio extravergine di oliva

Appassite la cipolla con l'olio, unite il formaggio e mescolate bene. Aggiungete il latte, il brodo vegetale e infine la panna. Portate a bollore e ritirate dal fuoco. A questo punto frullate bene con il thermomix e filtrate con un colino a rete. Conservate in un contenitore ermetico.

Per la pasta

500 g di Pacche Senatore Cappelli

300 g di alghe miste dissalate (reperibili in pescheria)

8 licheni idratati (reperibili in erboristeria)

Ginepro, rosmarino e sale grosso q.b.

Versate la pasta in acqua bollente salata, insieme al ginepro e al rosmarino. Cuocetela per 9 minuti, spegnete e lasciatela 7 minuti in infusione nella stessa acqua. Scolatela, fatela raffreddare e conservatela in un contenitore in frigo.

Per gli stroizel

375 g di farina 00

2 tuorli

250 g di burro

125 g di Grana trentino

Amalgamate tutti gli ingredienti formando una frolla salata, dopodiché formate dei biscottini sferici e cuoceteli in forno a 170° C per 18 minuti.

Presentazione: in un piatto adagiate due cucchiai di zuppa, le pacche e, intercalandoli, gli stroizel, le alghe e i licheni. A piacere potete decorare con polvere di lattuga di mare, che si trova nei negozi specializzati, oppure preparate voi stessi una polvere con i fondi di alghe e licheni lasciati essiccare per qualche giorno e tritati.

 

La cucina delle erbe spontanee - Mariangela Susigan e Alessandro Gilmozzi – Giunti Editore – 223 pp – 25,00 €

 

a cura di Annalisa Zordan

 

 

Wikonsumer. Un portale per orientarsi nel mondo alimentare?

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Una guida online sugli alimenti della Gdo, per aiutare i consumatori a scegliere consapevolmente, e che si propone di diventare la Wikipedia del cibo. La strada da fare per Wikonsumer, però, è ancora lunga.

 

Il progetto

Un'enciclopedia online gratuita e alla portata di tutti, edita da un gruppo di volontari di tutto il mondo, e gestita da Wikimedia Foundation: Wikipedia è ormai da anni un punto di riferimento nel web per la ricerca delle informazioni più disparate, dalla storia al costume, dall'arte alla musica. Proprio su questo modello, nasce Wikonsumer, un portale online dedicato al cibo con l'obiettivo di fornire informazioni valide sui prodotti in vendita nella grande distribuzione. Un'idea nata nel 2015, l'anno di Expo Milano, per volontà degli ingegneri Antonella Fasano e Paolo Pannarale, insieme al tecnologo alimentare Marco Montemurro. E portata a termine da qualche tempo grazie alla collaborazione di una squadra di nutrizionisti, tecnologi, ricercatori e consumatori di tutta Italia, i membri della community che attraverso un innovativo sistema di gestione dei contenuti realizzano le guide e le classifiche dei prodotti in commercio. Tutti i contributori sono esterni e indipendenti, e ogni scelta viene condivisa con l'intera community: “Questo rappresenta una garanzia per i consumatori. Il lavoro dei contributori diventa patrimonio della collettività, perché è rilasciato con licenza open”, ha dichiarato Antonella.

I prodotti recensiti

A oggi, sono 7 le categorie di prodotti spiegate e classificate dal team: olio extravergine di oliva, farina, birra, latte di soia, latte di mandorla, burro vegetale, mandorle. Per ogni prodotto, le risposte a tutte quelle domande che la maggior parte dei consumatori si pone. Latte di soia: quale sono le controindicazioni? È adatto in gravidanza? La soia è OGM? Oppure le farine: cosa sono i grani antichi? Quali sono le proprietà delle farine alternative di mais e farro? O ancora la margarina: è vero che fa male al fegato? Aumenta il colesterolo? A ogni ingrediente, poi, la sua classifica. Ogni utente può porre domande o proporre nuovi prodotti da provare, “che gli esperti di Wikonsumer analizzeranno”, come recita il sito. Fra i progetti futuri, il coinvolgimento di nuovi produttori, marchi più piccoli e meno conosciuti, e l'ampliamento delle categorie, con l'inserimento delle classifiche di vino, pasta, legumi, tè, tisane, caffè, acqua.

Una guida sicura (?)

Uno strumento che può rivelarsi valido, purché utilizzato con consapevolezza: bisogna sottolineare, infatti, che la piattaforma non comprende brand artigianali o azienda di nicchia, ma solo prodotti che si trovano fra gli scaffali dei supermercati, che il team del progetto ha ritenuto migliori di altri secondo diversi parametri (nella selezione del burro vegetale, per esempio, i criteri di giudizio sono la certificazione biologica e le diciture “senza grassi idrogenati” e “senza olio di palma”). Prendiamo l'esempio dell'olio extravergine di oliva, un prodotto che da anni, attraverso la guida Oli d'Italia e non solo, cerchiamo di valorizzare al meglio, spiegandone pregi e virtù, proprietà nutraceutiche e qualità organolettiche. Ponendo l'accento su tutte le realtà più valide della Penisola, fra vecchie leve e nuove aziende che cominciando ad affacciarsi a questo mondo con impegno e dedizione, dal Garda alla Sicilia. Professionisti che hanno scelto di puntare sulla qualità, spesso a discapito della resa, prediligendo gusto e salute ai grandi numeri. Perché di frodi in campo alimentare, soprattutto in quello olivicolo, abbiamo - purtroppo - già avuto modo di parlare più volte, spiegando i dettagli della truffa dell'extravergine italiano nella Gdo.

Le contraddizioni di Wikonsumer

Un tasto dolente che continua a far male, una situazione delicata e complessa, per la quale sarebbe opportuno rivolgersi ad assaggiatori professionisti ed esperti del settore. Perché dopo il puntuale inno al valore nutrizionale dell'extravergine, sul sito di Wikonsumer si inizia a scorrere un elenco di grandi marchi industriali, fra bottiglie trasparenti (e dire che nella scheda della guida i membri avevano sottolineato l'importanza della bottiglia scura per tenere l'olio al riparo dalla luce...) e oli “grezzi”, ovvero non filtrati, prodotti che, anche qualora fossero stati buoni o quantomeno non difettati, sarebbero comunque pessimi oggi, a mesi dall'imbottigliamento, con la famosa “posa” sul fondo, difetto dovuto alla permanenza con i fanghi di decantazione. E tante altre bottiglie che recitano in etichetta la dicitura “da olive dell'Unione Europea”, prodotti finiti più e più volte sotto la lente di ingrandimento degli esperti del settore e che, come spiegavamo ormai tre anni fa, per la maggior parte non sono neanche extravergine.

Una guida completa di spiegazioni, dunque, ma certamente non sufficiente per aiutare il consumatore in una scelta consapevole. Perché una spesa di buon livello può essere fatta anche al supermercato, e noi del Gambero Rosso lo sappiamo bene, considerando le diverse classifiche che abbiamo dedicato ai prodotti della grande distribuzione, dalle passate di pomodoro ai ragù pronti. Ma sempre a seguito di una ricerca approfondita, curata nel minimo dettaglio, con il parere condiviso di un gruppo di assaggiatori professionisti.

a cura di Michela Becchi

Colazioni del mondo. Svezia: smörgåsbord, kanelbulle, knäckebröd, filmjölk

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Si chiama smörgåsbord ed è un pasto speciale tipico della Svezia, una colazione in stile buffet ricca di prelibatezze dolci e salate. Oggi vi raccontiamo le pietanze della prima colazione e la ricetta del kanelbulle, la celebre girella alla cannella.

 

La colazione in Svezia

Tempio dei frutti del mare, dalle ostriche agli scampi, dalle cozze al merluzzo, la Svezia ha nel tempo costruito la sua identità culinaria attorno alle conserve: la necessità di preservare gli alimenti il più a lungo possibile per via del clima rigido ha infatti contribuito a creare quella che oggi viene considerata la cucina tipica locale. Una tavola a base di piatti di carne, pesce e patate, ma anche frutti di bosco, di rovo, erbe aromatiche e selvatiche, gemme e licheni. Qui, come negli altri Paesi scandivi, sono i boschi a fornire le principali materie prime per le ricette, che oggi si fondono in maniera armonica con prodotti da tutto il mondo. Grazie al lavoro certosino dei grandi chef, la gastronomia svedese si è fatta conoscere in tutto il mondo con i suoi sapori unici, che rispecchiano in pieno il carattere della nazione. A cominciare dalle specialità del mattino, piatti sostanziosi e dal gusto inconfondibile.

Smörgåsbord: il pane imburrato

Innanzitutto, una precisazione: lo smörgåsbord non è un prodotto né un piatto, ma un rituale a tutti gli effetti, un pasto completo che comprende diversi tipi di pietanze. Il format è quello del buffet, con piatti caldi e freddi, dolci e salati, da consumare a metà mattino. Una tradizione condivisa – con le dovute varianti – anche con altri paesi nordeuropei: in Norvegia è chiamato koldtbord (o kaldtbord), in Danimarca detkoldebord (letteralmente, “tavolo freddo”), in Germania kaltesbuffet, in Olanda koudbuffet, hlaðborð in Islanda e külmlaud in Estonia. La lista dei nomi continua, ma il significato del termine, quello originario svedese, indica una tavolata colma di panini (da smörgås, panino ebord, tavolo), protagonisti principali della colazione. A sua volta, la parola smörgåssi compone di smör (burro) e gås,termine cheletteralmente si traduce in “capra”, ma che in questo caso si riferisce ai piccoli pezzetti di burro che iniziano ad affiorare sulla superficie della panna durante la produzione. In passato, fra i contadini svedesi era diffusa l'abitudine di spalmare queste piccole quantità di burro sul pane, e così, fin dal Cinquecento, la definizione att breda smörgåsar è stata utilizzata per indicare una fetta di pane imburrata.

 

buffet

Il buffet e il rito delle brännvinsbord

In lingua scandinava, però, lo smörgåsbord è un buffet che comprende varie pietanze, e non solo panini. Una tradizione antica riscoperta in tempi recenti, più precisamente nel 1939, grazie alla New York World's Fair, durante la quale nel Padiglione svedese venne imbandita una tavola con tutti i prodotti tipici. L'origine di questo rituale, però, affonda le sue radici in epoca ben più antica: nel Cinquecento, i membri dell'upper class svedese presero l'abitudine di servire ai loro ospiti una serie di antipasti diversi da consumare prima di sedersi a tavola, delle specie di tapas chiamate brännvinsbord. Specialità tipiche come pane, burro, formaggio e aringa, salmone affumicato, insaccati, accompagnati da liquori e distillati, da mangiare in piedi proprio come in un classico buffet, da due a cinque ore prima del pasto. Bisogna attendere la prima metà del Seicento perché la tradizione dello smörgåsbord inizi ad acquisire maggiore valore: col tempo, la colazione cominciò a essere servita non più in una stanza a parte, ma proprio sul tavolo centrale, quello destinato al pranzo, diventando così un pasto a tutti gli effetti. Oggi, quest'abitudine è riservata alle occasioni speciali, ma è ancora possibile provare l'antico rituale nei locali di stampo tradizionale e in alcune caffetterie tipiche. Fra le pietanze alla base del buffet, pane, burro, formaggi, salumi, salmone e anguilla, zuppe di legumi e i vari dolci tipici, come il kanelbulle, la girella di pasta lievitata aromatizzata alla cannella. Versione ancor più ricca dello smörgåsbord è il julbord (letteralmente “tavolo di Natale”), una ricca colazione natalizia con pesce, prosciutto cotto, patate, insalata di barbabietole, polpette, costolette di maiale, cavolo, pane intinto in brodo di prosciutto e budino di riso.

 

buffet

Kanelbulle, il successo della brioche alla cannella

Una tavola quasi tutta giocata sui sapori intensi e decisi dei latticini e del pesce affumicato, ma che non rinuncia al suo lato più dolce. Sul fronte della pasticceria, la Svezia può vantare una delle invenzioni più apprezzate in tutto il mondo, una brioche che ha riscosso successo in ogni dove, diventando uno dei punti forti di tante caffetterie artigianali e grandi catene di fama internazionale (Starbucks e Costa Coffee, tanto per citarne un paio), replicata in vari modi: con o senza glassa, di forma tonda o squadrata, più o meno alta, ma sempre profumata e fragrante. È il kanelbulle, la celebre girella ripiena di zucchero e cannella presente nella maggior parte dei paesi Nordeuropei e in tutti gli Stati Uniti, dove è conosciuta come cinnamon bun.

cinnamon bun

 

Le origini: dagli anni '20 a oggi

La ricetta si fa risalire agli anni '20, e viene spesso chiamata anche con il nome di fika, che identifica la tradizionale pausa caffè con dolce in Svezia. La guerra aveva portato con sé diverse restrizioni sull'importazione di prodotti alimentari, fra cui zucchero, uova e burro: così, non appena gli ingredienti tornarono sugli scaffali dei negozi, pasticceri, fornai e massaie celebrarono la fine della guerra attraverso la tavola, dedicandosi sempre di più alle ricette dolci, fino ad allora trascurate. Non ci sono dati certi circa l'origine precisa della girella, ma è molto probabile che abbia iniziato a diffondersi tra le famiglie attorno alla fine degli anni '20, quando la ripresa economica del Paese rese possibile per gli svedesi acquistare merci più prelibate e costose come le spezie, cannella in primis. La fama del kanelbulle nel tempo divenne tale che dal '99 venne istituita una giornata di festa nazionale dedicata alla brioche, il “Kanelbullens dag”, celebrato il 4 ottobre.

 

kanelbulle

Knäckebröd, il pane dei vichinghi

Che si tratti di un buffet completo o di una colazione veloce, in Svezia al mattino non può mancare il pane. Tante le tipologie diffuse nei forni locali, molte delle quali a base di farine scure e integrali, con semi e cereali, ma il più popolare per cominciare la giornata (consumato spesso anche come snack) è il knäckebröd. Un pane croccante simile a un cracker, un prodotto di origini remote presente già nel 500 d.C., principalmente a base di farina di segale. La leggenda vuole che questo fosse il pasto principale dei vichinghi durante le loro battaglie, perfetto per essere conservato a lungo e sostenere i guerrieri nei loro viaggi. Molto comune anche in Finlandia, il pane ha iniziato a diffondersi nelle case degli scandinavi attorno all'Ottocento, periodo durante il quale veniva solitamente preparato solamente due volte l'anno: dopo il raccolto e in primavera. La produzione industriale inizia invece nel 1850, grazie allo storico marchio AU Bergmans enka, che decide di confezionare il prodotto – finora fatto in casa nella classica forma tonda e schiacciata – in una versione più piccola e pratica, da mangiare come accompagnamento o merenda. Oggi, viene solitamente abbinato ad aringhe, salmone affumicato, oppure spalmato semplicemente con un velo di burro.

 

crispbread

Filmjölk, lo yogurt svedese

A metà fra uno yogurt, un latticello e una panna, il filmjölk si inserisce a pieno titolo nella lista di prodotti derivati dal latte e dalla sua fermentazione. Conosciuto anche come fil, questo latticino è molto utilizzato in tutti i Paesi nordici, in particolare in Svezia, dove ha avuto origine moltissimo tempo fa, secondo molti storici durante l'epoca vichinga. Non è facile, però, rintracciare notizie sicure circa la nascita di questa specialità, ma quel che è certo è che si tratta di una preparazione antichissima.

 

yogurt

Parliamo di un prodotto derivato dalla fermentazione del latte vaccino, per opera di una varietà di batteri della specie Lactococcus lactis e Leuconostoc mesenteroides, in grado di metabolizzare il lattosio e lo zucchero naturale del latte e trasformarlo in acido lattico. Il risultato dell'intero processo è un prodotto cremoso e denso, dal gusto simile a quello del burro, ma più delicato e acidulo. Per assaporarlo al meglio, gli svedesi lo accompagnano con cereali, muesli o knäckebröd ridotto in polvere, ma può essere anche insaporito con zucchero, confetture, salsa di mele, cannella, zenzero e frutta fresca.

La ricetta: kanelbulle

Ingredienti

25 g. di lievito

250 ml. di latte intero

2 cucchiai di olio di semi

1 cucchiaio di zucchero

1 cucchiaino di sale

3 cucchiai di cannella

400 g. di farina 00

75 g. di burro

75 g. di zucchero di canna

Sciogliere il lievito nel latte intiepidito poi aggiungere l'olio, lo zucchero, il sale e un cucchiaio di cannella, mescolando bene. Aggiungere la farina poco alla volta, fino a formare un impasto compatto e liscio. Mettere l'impasto a riposare in n luogo caldo in una ciotola capiente, leggermente unta e coperta da un canovaccio, fino a quando non raddoppierà il suo volume, per un'ora circa. In una ciotola più piccola mescolare il resto della cannella con lo zucchero di canna e il burro a temperatura ambiente. Quando l'impasto sarà pronto, stenderlo, formando un rettangolo di circa 40x50 cm e cospargere di crema di burro e cannella, aiutandosi con una spatola. Arrotolare l'impasto e dividerlo in 10-12 fette, che andranno sistemate in una teglia e coperte nuovamente per altri 30 minuti di lievitazione. Preriscaldare il forno a 220°C e cuocere per 12/15 minuti. Lasciar raffreddare e ricoprire con una deliziosa glassa di zucchero.

a cura di Michela Becchi

Colazioni del mondo. Francia: croissant, madeleine, crêpes

Colazioni del mondo. India: naan, upma, puttu, masala chai

Colazioni del mondo. Regno Unito: English breakfast, porridge, muffin inglesi

Colazioni del mondo. Stati Uniti: cereali, pancakes, doughnuts, bagel, French Toast

Colazioni del mondo. Brasile: açai bowl, bolo de fubà, pão de queijo, frutta tropicale

Colazioni del mondo. Grecia: baklava, loukoumade, koulouri, yogurt

Colazioni del mondo. Giappone: misoshiru, tofu, dashimaki, doroyaki

Colazioni del mondo. Italia: cappuccino e cornetto, biscotti, ciambellone, pane e marmellata

Colazioni del mondo. Australia: Vegemite, avocado con uova, lamingtons, anzac biscuits

Colazioni del mondo. Portogallo: pastel de Nata, torrada, galão, queijadas de Sintra

Colazioni del mondo. Russia: pane e kolbasa, blinis, syrniki

Colazioni del mondo. Marocco: msemen, baghrir, tè alla menta

Colazioni del mondo. Danimarca: wienerbrod, øllebrød, kanelsnegle

Colazioni del mondo. Ecuador: bolón de verde, humitas, empanadas de viento

Colazioni del mondo. Olanda: appeltaart, ontbijtkoek, hagelslag w

Colazioni del mondo. Egitto: ful medames, tamiya, basturma 

I festival gastronomici di maggio. 9 appuntamenti da non perdere

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Complice la bella stagione, maggio è un mese ricco di eventi gastronomici: tanto vino, ma anche buon cibo nei prossimi appuntamenti per buongustai di tutta Italia. 

Asolo Wine Tasting – Asolo
Il Consorzio Vini Asolo Montello si prepara per la settimana edizione dell’Asolo Wine Tasting, in programma domenica 6 maggio 2018 a Palazzo Beltramini, nel cuore del borgo di Asolo, in provincia di Treviso. Una giornata all'insegna della biodiversità del territorio e del recupero delle varietà più antiche, fra assaggi e laboratori. Novità di quest’anno sono le tre degustazioni guidate dai sommelier di AIS Veneto e dedicate alle diverse tipologie di Asolo Prosecco Superiore DOCG, ai vini rossi DOC e DOCG del Consorzio, all’Incrocio Manzoni e alla Recantina. Dalle 10.00 alle 19.00 saranno aperti al pubblico i banchi d’assaggio con i vini del Consorzio e specialità gastronomiche realizzate con la collaborazione di Slow Food.

Asolo Wine Tasting - Asolo (TV) - 6 maggio 2018 - www.asolomontello.it

 

Borgo DiVino - Nemi

Assaggiare i vini dei Castelli Romani ma non solo: torna Borgo DiVino, il festival che ogni anno richiama tantissimi appassionati da tutto il Lazio. Dall'11 al 13 maggio il centro di Nemi sarà invaso da produttori laziali, trentini e altoatesini, toscani, sardi, ma anche austriaci e sloveni. Tante le novità della quarta edizione, fra cui anche le pregiate bottiglie dalla California, Sudafrica, Nuova Zelanda e Cile. Sei le aree di degustazione previste dalla kermesse, una dedicata ai vini laziali (con un occhio di riguardo per quelli dei Castelli), la seconda incentrata sul panorama nazionale, la terza con focus sui vini naturali e biodinamici, la quarta zona pensata per dare spazio ai calici francesi, e poi quella dedicata agli spumanti metodo classico, oltre allo spazio per i vini stranieri.

Borgo DiVino - Nemi (RM) – dall'11 al 13 maggio 2018 - www.castelliexperience.it/eventi/borgo-divino

 

Cibus – Parma

Edizione numero 19 per il salone internazionale dell'alimentazione, come sempre ospitato a Parma, Città Creativa Unesco per la Gastronomia, dal 7 al 10 maggio prossimi. 1300 nuovi prodotti alimentari si affacciano sul mercato, e tutti saranno presentati alla manifestazione: dall'olio ai formaggi, dai salumi alla pasta, dai prodotti dolciari alle bevande. Per un totale di 3100 stand di aziende italiane. Nell’area di Cibus Innovation Corner, inoltre, verranno esposti 100 prodotti tra i più innovativi degli ultimi tempi. È proprio questo, infatti, il tema guida dell'edizione, sempre più incentrata sul tema del food tech e sulle tecnologie in campo agroalimentare. Non mancheranno, poi, convegni, incontri e workshop pensati per approfondire tutte le novità sull’industria italiana e del mondo del retail, e per affrontare i temi caldi del settore, dalla tutela del made in Italy alle fake news.

Cibus 2018 – Parma – dal 7 al 10 maggio 2018 - www.cibus.it/

 

Extravirgin Explosion – Roma

Olives Road è un'associazione romana fondata da un gruppo di assaggiatori professionisti e appassionati con l'obiettivo di promuovere la cultura dell'oro verde di qualità attraverso una serie di manifestazioni. Per il terzo anno di seguito, il prossimo 5 maggio torna nella Capitale Extravirgin Explosion, festival dedicato ai piccoli produttori, con banchi di assaggio liberi e degustazioni guidate. Fra gli ospiti della manifestazione, Giancarlo Casa, patron della pizzeria La Gatta Mangiona, che condurrà un seminario sul legame fra pizza e olio di qualità, e poi Ugo Palopoli, assaggiatore di riso che racconterà le eccellenze della produzione cerealicola italiana, in abbinamento agli oli migliori. E ancora Sandro Masci de Les Chef Blancs, che spiegherà ai visitatori l'utilizzo dell'extravergine per la frittura. Spazio anche ai più piccoli, con il laboratorio a cura di Loriana Abbruzzetti dell'Associazione Pandolea, e infine il minicorso di assaggio con Palma Esposito, capo panel dell'Università di Cassino.

Extravirgin Explosion – Roma – 5 maggio 2018 - www.olivesroad.it/home.html

 

Food&Science – Mantova

Analizzare e raccontare il cibo attraverso la prospettiva della scienza: è questo il cuore del Food&Science Festival, che si terrà dal 18 al 20 maggio a Mantova. Oltre cento gli eventi previsti tra mostre, laboratori e conferenze con speaker di fama nazionale e internazionale, oltre a diverse occasioni per scoprire le eccellenze della ricerca e dell'enogastronomia italiana. Tanti gli ospiti che animeranno il festival: lo studioso Dario Bressanini, il professor PatrickMcGovern, la paleoantropologa Silvana Condemi, la neurobiologa Anna d'Errico, il docente di genetica Michele Morgante, il ricercatore Alberto Grandi, la giornalista scientifica Alessandra Viola e molti, molti altri ancora. Per una fiera sempre più specializzata e densa di contenuti interessanti.

Food&Science – Mantova – dal 18 al 20 maggio 2018 - www.mantovafoodscience.it

 

 

Gourmandia – Santa Lucia di Piave

Nella provincia di Treviso, all'ex filanda di Santa Lucia di Piave, torna la festa del cibo artigianale ideata da Davide Paolini: è Gourmandia, festival giunto alla terza edizione, in scena dal 12 al 14 maggio 2018. una tre giorni dedicata alla ricerca delle materie prime, raccontata dagli artigiani del gusto e dagli chef che si alterneranno sul palco, per un programma fitto di appuntamenti, incontri, dibattiti e cooking show. Tra gli ospiti, Matteo Pisciotta del Ristorante Luce di Villa Panza e ideatore di Jarit a Milano, Davide Scabin del Combal.zero di Rivoli, Giuliano Baldessari di Aqua Crua di Barbarano Vicentino, ed Enrico Bartolini.

Gourmandia – Santa Lucia di Piave (TV) – dal 12 al 14 maggio 2018 - gourmandia.gastronauta.it/

 

Mercato dei Vini FIVI – Roma

Circa 200 vignaioli aderenti a FIVI, la Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti, si preparano ad accogliere, il 19 e 20 maggio al Teatro 10 di Cinecittà, gli appassionati e i curiosi per raccontare loro il mestiere del vignaiolo, dalla pianta alla bottiglia. Organizzato in collaborazione con Daniele De Ventura di Simposio - Trionfo del Gusto, l'evento non sarà solo l'occasione per assaggiare, ma soprattutto per acquistare le etichette delle diverse cantine. In una location d'eccezione che ben si sposa con la filosofia dell'evento: “Abbiamo scelto di fare questa seconda edizione del Mercato FIVI di Roma a Cinecittà perché rappresenta quanto più di territoriale ci possa essere nella Capitale”, ha dichiarato Luigi De Sanctis, vignaiolo in Frascati e consigliere della Federazione. Che aggiunge: “Cinecittà è per Roma quel che la vigna è per i vignaioli FIVI: come noi tuteliamo il territorio in cui viviamo con il lavoro nei campi e nel rispetto dei suoi frutti così Cinecittà attraverso i suoi film ha saputo portare nel mondo la vera essenza della città di Roma”.

Mercato dei Vini FIVI – Roma – 19 e 20 maggio 2018 - www.fivi.it/

 

Naturale, salone del vino artigianale - Capestrano

Continua a destare l'attenzione di sommelier, produttori ma anche dei consumatori più attenti all'ambiente il vino naturale, prodotto in maniera sostenibile ma che non rinuncia al gusto. E cresce di conseguenza anche il numero di eventi dedicati: ne è un esempio il Salone del vino artigianale, giunto quest'anno alla settima edizione, un evento che chiama a raccolta diversi vignaioli indipendenti, da Nord a Sud. A ospitare l'evento è il Convento di San Giovanni di Capestrano, in provincia di L'Aquila, struttura di metà Quattrocento completamente immersa nel verde più incontaminato dell'Appennino. Tante bottiglie in assaggio, accompagnate dalle specialità gastronomiche del territorio realizzate da piccole aziende artigianali locali. Degustazioni a parte, durante la manifestazione sarà possibile partecipare a due seminari con Sandro Sangiorgi, fondatore della casa editrice Porthos Edizioni e dell’Associazione Porthos racconta, che condurrà un assaggio di Montepulciano in abbinamento ai piatti dell'osteria Mammarossa di Avezzano.

Naturale, salone del vino artigianale – Capestrano (AQ) – dal 12 al 14 maggio 2018 - naturalesalonedelvino.it/

 

Sport&wine – evento itinerante

San Vincenzo, Suvereto, Sassetta, Campiglia Marittima, Castagneto Carducci e Piombino: 6 tappe uniche per il festival itinerante dedicato al cibo e vino in scena il 5 e 6 maggio 2018. Un tour in biciletta d'epoca per scoprire le cantine e i prodotti tipici del territorio, prima di rifocillarsi con un buon bicchiere di vino e un assaggio delle eccellenze enogastronomiche locali. Organizzata dall'Outdoor Sports Festival, la Ciclostorica 99 Curve prenderà le mosse da San Vincenzo, per esplorare l'entroterra toscano con un programma adatto a tutta la famiglia, bambini compresi, prima di proseguire verso Suvereto, per concludere poi la gita a Piombino. Per un totale di 90 chilometri di curve su strade bianche e asfaltate e diversi itinerari fra cui scegliere.

Sport&Wine – evento itinerante - www.99curve.it/

 

a cura di Michela Becchi

 

I festival gastronomici di maggio. 10 appuntamenti da non perdere

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Complice la bella stagione, maggio è un mese ricco di eventi gastronomici: tanto vino, ma anche buon cibo nei prossimi appuntamenti per buongustai di tutta Italia. 

Asolo Wine Tasting – Asolo
Il Consorzio Vini Asolo Montello si prepara per la settimana edizione dell’Asolo Wine Tasting, in programma domenica 6 maggio 2018 a Palazzo Beltramini, nel cuore del borgo di Asolo, in provincia di Treviso. Una giornata all'insegna della biodiversità del territorio e del recupero delle varietà più antiche, fra assaggi e laboratori. Novità di quest’anno sono le tre degustazioni guidate dai sommelier di AIS Veneto e dedicate alle diverse tipologie di Asolo Prosecco Superiore DOCG, ai vini rossi DOC e DOCG del Consorzio, all’Incrocio Manzoni e alla Recantina. Dalle 10.00 alle 19.00 saranno aperti al pubblico i banchi d’assaggio con i vini del Consorzio e specialità gastronomiche realizzate con la collaborazione di Slow Food.

Asolo Wine Tasting - Asolo (TV) - 6 maggio 2018 - asolomontello.it

 

Borgo DiVino - Nemi

Assaggiare i vini dei Castelli Romani ma non solo: torna Borgo DiVino, il festival che ogni anno richiama tantissimi appassionati da tutto il Lazio. Dall'11 al 13 maggio il centro di Nemi sarà invaso da produttori laziali, trentini e altoatesini, toscani, sardi, ma anche austriaci e sloveni. Tante le novità della quarta edizione, fra cui anche le pregiate bottiglie dalla California, Sudafrica, Nuova Zelanda e Cile. Sei le aree di degustazione previste dalla kermesse, una dedicata ai vini laziali (con un occhio di riguardo per quelli dei Castelli), la seconda incentrata sul panorama nazionale, la terza con focus sui vini naturali e biodinamici, la quarta zona pensata per dare spazio ai calici francesi, e poi quella dedicata agli spumanti metodo classico, oltre allo spazio per i vini stranieri.

Borgo DiVino - Nemi (RM) – dall'11 al 13 maggio 2018 - castelliexperience.it/eventi/borgo-divino

 

Cibus – Parma

Edizione numero 19 per il salone internazionale dell'alimentazione, come sempre ospitato a Parma, Città Creativa Unesco per la Gastronomia, dal 7 al 10 maggio prossimi. 1300 nuovi prodotti alimentari si affacciano sul mercato, e tutti saranno presentati alla manifestazione: dall'olio ai formaggi, dai salumi alla pasta, dai prodotti dolciari alle bevande. Per un totale di 3100 stand di aziende italiane. Nell’area di Cibus Innovation Corner, inoltre, verranno esposti 100 prodotti tra i più innovativi degli ultimi tempi. È proprio questo, infatti, il tema guida dell'edizione, sempre più incentrata sul tema del food tech e sulle tecnologie in campo agroalimentare. Non mancheranno, poi, convegni, incontri e workshop pensati per approfondire tutte le novità sull’industria italiana e del mondo del retail, e per affrontare i temi caldi del settore, dalla tutela del made in Italy alle fake news.

Cibus 2018 – Parma – dal 7 al 10 maggio 2018 - cibus.it/

 

Extravirgin Explosion – Roma

Olives Road è un'associazione romana fondata da un gruppo di assaggiatori professionisti e appassionati con l'obiettivo di promuovere la cultura dell'oro verde di qualità attraverso una serie di manifestazioni. Per il terzo anno di seguito, il prossimo 5 maggio torna nella Capitale Extravirgin Explosion, festival dedicato ai piccoli produttori, con banchi di assaggio liberi e degustazioni guidate. Fra gli ospiti della manifestazione, Giancarlo Casa, patron della pizzeria La Gatta Mangiona, che condurrà un seminario sul legame fra pizza e olio di qualità, e poi Ugo Palopoli, assaggiatore di riso che racconterà le eccellenze della produzione cerealicola italiana, in abbinamento agli oli migliori. E ancora Sandro Masci de Les Chef Blancs, che spiegherà ai visitatori l'utilizzo dell'extravergine per la frittura. Spazio anche ai più piccoli, con il laboratorio a cura di Loriana Abbruzzetti dell'Associazione Pandolea, e infine il minicorso di assaggio con Palma Esposito, capo panel dell'Università di Cassino.

Extravirgin Explosion – Roma – 5 maggio 2018 - olivesroad.it/home.html

 

Food&Science – Mantova

Analizzare e raccontare il cibo attraverso la prospettiva della scienza: è questo il cuore del Food&Science Festival, che si terrà dal 18 al 20 maggio a Mantova. Oltre cento gli eventi previsti tra mostre, laboratori e conferenze con speaker di fama nazionale e internazionale, oltre a diverse occasioni per scoprire le eccellenze della ricerca e dell'enogastronomia italiana. Tanti gli ospiti che animeranno il festival: lo studioso Dario Bressanini, il professor PatrickMcGovern, la paleoantropologa Silvana Condemi, la neurobiologa Anna d'Errico, il docente di genetica Michele Morgante, il ricercatore Alberto Grandi, la giornalista scientifica Alessandra Viola e molti, molti altri ancora. Per una fiera sempre più specializzata e densa di contenuti interessanti.

Food&Science – Mantova – dal 18 al 20 maggio 2018 - mantovafoodscience.it

 

 

Gourmandia – Santa Lucia di Piave

Nella provincia di Treviso, all'ex filanda di Santa Lucia di Piave, torna la festa del cibo artigianale ideata da Davide Paolini: è Gourmandia, festival giunto alla terza edizione, in scena dal 12 al 14 maggio 2018. una tre giorni dedicata alla ricerca delle materie prime, raccontata dagli artigiani del gusto e dagli chef che si alterneranno sul palco, per un programma fitto di appuntamenti, incontri, dibattiti e cooking show. Tra gli ospiti, Matteo Pisciotta del Ristorante Luce di Villa Panza e ideatore di Jarit a Milano, Davide Scabin del Combal.zero di Rivoli, Giuliano Baldessari di Aqua Crua di Barbarano Vicentino, ed Enrico Bartolini.

Gourmandia – Santa Lucia di Piave (TV) – dal 12 al 14 maggio 2018 - gourmandia.gastronauta.it/

 

Mercato dei Vini FIVI – Roma

Circa 200 vignaioli aderenti a FIVI, la Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti, si preparano ad accogliere, il 19 e 20 maggio al Teatro 10 di Cinecittà, gli appassionati e i curiosi per raccontare loro il mestiere del vignaiolo, dalla pianta alla bottiglia. Organizzato in collaborazione con Daniele De Ventura di Simposio - Trionfo del Gusto, l'evento non sarà solo l'occasione per assaggiare, ma soprattutto per acquistare le etichette delle diverse cantine. In una location d'eccezione che ben si sposa con la filosofia dell'evento: “Abbiamo scelto di fare questa seconda edizione del Mercato FIVI di Roma a Cinecittà perché rappresenta quanto più di territoriale ci possa essere nella Capitale”, ha dichiarato Luigi De Sanctis, vignaiolo in Frascati e consigliere della Federazione. Che aggiunge: “Cinecittà è per Roma quel che la vigna è per i vignaioli FIVI: come noi tuteliamo il territorio in cui viviamo con il lavoro nei campi e nel rispetto dei suoi frutti così Cinecittà attraverso i suoi film ha saputo portare nel mondo la vera essenza della città di Roma”.

Mercato dei Vini FIVI – Roma – 19 e 20 maggio 2018 - fivi.it/

 

Naturale, salone del vino artigianale - Capestrano

Continua a destare l'attenzione di sommelier, produttori ma anche dei consumatori più attenti all'ambiente il vino naturale, prodotto in maniera sostenibile ma che non rinuncia al gusto. E cresce di conseguenza anche il numero di eventi dedicati: ne è un esempio il Salone del vino artigianale, giunto quest'anno alla settima edizione, un evento che chiama a raccolta diversi vignaioli indipendenti, da Nord a Sud. A ospitare l'evento è il Convento di San Giovanni di Capestrano, in provincia di L'Aquila, struttura di metà Quattrocento completamente immersa nel verde più incontaminato dell'Appennino. Tante bottiglie in assaggio, accompagnate dalle specialità gastronomiche del territorio realizzate da piccole aziende artigianali locali. Degustazioni a parte, durante la manifestazione sarà possibile partecipare a due seminari con Sandro Sangiorgi, fondatore della casa editrice Porthos Edizioni e dell’Associazione Porthos racconta, che condurrà un assaggio di Montepulciano in abbinamento ai piatti dell'osteria Mammarossa di Avezzano.

Naturale, salone del vino artigianale – Capestrano (AQ) – dal 12 al 14 maggio 2018 - naturalesalonedelvino.it/

 

Sport&wine – evento itinerante

San Vincenzo, Suvereto, Sassetta, Campiglia Marittima, Castagneto Carducci e Piombino: 6 tappe uniche per il festival itinerante dedicato al cibo e vino in scena il 5 e 6 maggio 2018. Un tour in biciletta d'epoca per scoprire le cantine e i prodotti tipici del territorio, prima di rifocillarsi con un buon bicchiere di vino e un assaggio delle eccellenze enogastronomiche locali. Organizzata dall'Outdoor Sports Festival, la Ciclostorica 99 Curve prenderà le mosse da San Vincenzo, per esplorare l'entroterra toscano con un programma adatto a tutta la famiglia, bambini compresi, prima di proseguire verso Suvereto, per concludere poi la gita a Piombino. Per un totale di 90 chilometri di curve su strade bianche e asfaltate e diversi itinerari fra cui scegliere.

Sport&Wine – evento itinerante - 99curve.it/

 

Un mare di gusto: palamita in fiore

La manifestazione, organizzata dal Comune di San Vincenzo in collaborazione con la chef Deborah Corsi (ristorante La Perla del Mare, San Vincenzo), si propone di far conoscere il pesce azzurro, specie la palamita; un prodotto versatile, gustoso ed economico. Che quest'anno verrà accompagnato al mondo floreale. Durante la due giorni, ci saranno convegni tematici, street food, presentazioni di libri a tema e progetti di recupero, come quello dell’antica friggera di San Vincenzo, una piccola industria sorta negli anni '30, addetta alla preparazione di sardine in scatola. Non solo, nel corso della kermesse enogastronomica verrà organizzato il “Pranzo della domenica” a otto mani con gli chef Fabrizio Caponi (Osteria I’ Ciocio, Suvereto), Ivano Lovisetto (Il Baccanale, Piombino), Mirko Rossi (Il Doretto, Cecina) e ovviamente Deborah Corsi.

Un mare di gusto: palamita in fiore – San Vincenzo (LI) - 19 e 20 maggio - unmaredigusto.it

 

 

a cura di Michela Becchi

 

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