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Vini bianchi del Sud. Parte Seconda: Calabria, Sicilia e Sardegna

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Continuiamo il nostro viaggio alla scoperta dei grandi vini bianchi del sud Italia per rompere quel preconcetto che ancora vuole bianchi al nord e grandi rossi al meridione. Dopo l'Abruzzo e la Campania, oggi andiamo a scoprire le migliori etichette bianche di Calabria, Sicilia, Sardegna.

 

Alcuni vini delle cantine citate in questo articolo sono acquistabili su Tannico.it, l’enoteca online partner di Gambero Rosso. 

 

Viaggio nel sud Italia alla scoperta dei migliori vini bianchi, quelli premiati con i Tre Bicchieri, ovvero il massimo riconoscimento nella guida Vini d'Italia del Gambero Rosso. Nella prima tappa siamo andati in Abruzzo e Campania, oggi approdiamo in Calabria, Sicilia, Sardegna.

 

Calabria

La Calabria negli ultimi anni ha messo il turbo e nell'ultima edizione della Guida piazza quattro Tre Bicchieri, mai così tanti. Interessante è notare come due di questi siano vini bianchi, provenienti da due aziende ecosostenibili e attente all'ambiente, entrambi da uve pecorello, autoctono calabrese alla ribalta, di cui qui si danno due letture complementari.

 

Roberto Ceraudo – Grisara '16

Roberto Ceraudo è uno dei pochi produttori calabresi che già vent'anni fa aveva abbracciato con entusiamo l'agricoltura biologica così come adesso quella biodinamica. Caterina, la giovanissima figlia ha saputo in pochi anni tirar fuori una gamma di vini brillanti, aromaticamente complessi, e capaci di emozionare. Come ilGrisara '16, profumato di anice stellato, erbe officinali e frutti esotici, dal sorso sapido e ricco di polpa.

 

Spiriti Ebbri – Neostòs Bianco '16

Tre amici accomunati dalla passione per il vino decidono di mettersi a fare sul serio e danno vita a questa giovane azienda. La filosofia aziendale parla di una produzione senza l'uso di prodotti chimici, additivi o lieviti selezionati.Il Pecorello Neostòs '16 presenta profumi intensi e fruttati, venati da una nuance di zafferano e sentori più freschi di macchia mediterranea, mentre il sorso è intenso, vitale e profondo.

 

Sicilia

Non stupisce trovare all'apice delle nostre preferenze siciliane diversi vini bianchi. L'Etna ormai si è guadagnato lo spazio che merita tra le più importanti e prestigiose denominazioni italiane, e questo non solo in virtù di rossi di grande finezza: anche sul versante bianchista il vulcano e le sue altitudini riescono a garantire freschezza, acidità, armonia e eleganza.

 

Planeta – Etna Bianco '16

Planeta ha rappresentato un punto di svolta nel modo di intendere l’imprenditoria in Sicilia: la qualità come missione, l’attenzione a tematiche come l’ambiente, le tradizioni culturali, l’arte, la tutela e la promozione delle denominazioni. L’Etna Bianco ‘16 sfodera un ventaglio di profumi di eccezionale pulizia e definizione: pesca bianca, nespola e agrumi che ritroviamo intatti in una materia fresca e sapida.

 

Cusumano – Etna Bianco Alta Mora '16

È una delle icone del vino siciliano la bella azienda di Alberto e Diego Cusumano, che ha iniziato il suo felice cammino agli inizi del Duemila, sulla scia di antiche tradizioni familiari. L'Alta Mora Bianco '16 sfoggia raffinate nuance di pesca e ardesia, vino vibrante e di forte personalità, assai persistente e piacevole.

 

Cantine Nicosia – Etna Bianco Fondo Filara Contrada Monte Gorna '16

I vigneti aziendali sull’Etna si trovano sotto al Monte Gorna e raggiungono quota 700 metri. Da qui provieneil Fondo Filara ‘16: ha un naso intrigante di agrumi e fini note balsamiche di resina, in bocca si apre in un frutto pieno, croccante e sostanzioso, lungo e terso in fondo.

 

Rallo – Sicilia Bianco Maggiore '16

I vini di questa storica cantina, negli ultimi anni, convincono sempre più per eleganza, complessità e affidabilità nel tempo.Il Bianco Maggiore è un grillo dai profumi netti e intensi di nespola, mandorla e agrumi, sapido e freschissimo al palato, dove invita decisamente alla beva.

 

Alessandro di Camporeale – Sicilia Catarratto V. Di Mandranova '16

Un territorio, Camporeale e le colline intorno alla pianura di Mandranova nella Valle dello Jato, e una famiglia, gli Alessandro, che da quattro generazioni qui coltiva la vite. Cru di catarratto a denominazione Sicilia, il Vigna di Mandranova è profondo ed elegante nelle note perfettamente definite di nespola, agrumi e spezie, in bocca apre fresco e sapido, con una polpa dalla texture di splendida consistenza e un finale lungo e netto.

 

Sardegna

Su 12 Tre Bicchieri totali per la Sardegna, ben sei - la metà - sono andati a vini bianchi. Mentre sul fronte dei rossi è il cannonau a dettare legge, tra i bianchi è il vermentino, con la denominazione regionale, ma anche con la DOCG Gallura, a fare la parte del leone. Gli fanno compagnia il meno conosciuto torbato, autoctono spagnolo coltivato nella zona di Alghero già dal tempo della dominazione catalana dell'Isola, e la Vernaccia di Oristano, un gioiello della vitivinicoltura sarda e italiana, da preservare gelosamente.

 

Tenute Sella&Mosca – Alghero Torbato Terre Bianche Cuvée 161 '16

Acquisita dal gruppo Terra Moretti, l'azienda prosegue sulla scia di progetti iniziati qualche anno fa, volti a individuare alcune vigne in zone particolarmente vocate dell’Isola.Il Torbato Terre Bianche Cuvée 161 regala al naso note di pera, elicriso e camomilla, mentre al palato è leggermente buccioso, sapido, dalla trama fitta e affascinante.

 

Masone Mannu – Vermentino di Gallura Sup. Costarenas '16

Il meticoloso lavoro in vigna e il particolare microclima costituiscono una buona base per la produzione di vini molto puliti ed eleganti, dai profumi tipici e di ottima longevità.Il Costarenas si rivela uno dei più centrati Vermentino di Gallura: sapido e fresco, complesso e lungo, regala note di elicriso e agrumi, fini e persistenti.

 

Siddùra – Vermentino di Gallura Sup. Maìa '15

Siddura nasce a Luogosanto, in una zona paesaggistica di assoluta bellezza, dove vigneti, macchia mediterranea e boschi di querce si alternano con armonia.Il Maìa profuma di anice, ma non manca un tocco di mandorla fresca, che si affianca ai sentori di fiori bianchi e frutti esotici.

 

Pala – Vermentino di Sardegna Stellato '16

È incredibile il lavoro fatto da Mario Pala e dalla sua famiglia negli ultimi anni. La qualità del vino è cresciuta tantissimo e ora il marchio Pala è presente in tantissimi paesi del mondo. Lo Stellato ’16 è affascinante e territoriale. La sapidità unita a freschezza caratterizza un palato profondo e pulito, mentre al naso ai profumi di frutto bianco si affiancano sentori di fiori, erbette e cenni iodati.

 

Giovanni Maria Cherchi – Vermentino di Sardegna Tuvaoes '16

Usini, piccolo paesino del Logudoro, è anche il nome di un grande territorio del vino, un’area su cui ha scommesso dagli anni Settanta Giovanni Maria Cherchi, fondatore dell’azienda oggi guidata dai figli Salvatore e Grazia. Il Tuvaoes ’16, forte di una buona annata, sorprende per finezza ed eleganza, basate su profumi di fiori bianchi, sapidità e tanta freschezza.

 

Cantina Sociale della Vernaccia – Vernaccia di Oristano Sup. Jughissa '08

Piccola cantina sociale, la Cantina della Vernaccia è il riferimento cooperativo per la produzione di Vernaccia di Oristano,Jughissa è una Vernaccia di Oristano di grande complessità e carattere; ha profumi esplosivi di frutta secca, spezie, frutta disidratata e fiori appassiti. In bocca è secca, molto sapida, lunga e affascinante nel suo sviluppo fresco.

 

 

 

Alcuni vini delle cantine citate in questo articolo sono acquistabili su Tannico.it, l’enoteca online partner di Gambero Rosso. 


www.tannico.it


Pasqua 2018. Giraudi e le uova preistoriche di Giacomo

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Giraudi chiude il tris delle uova pasquali d’autore. Le gioiose e giocose proposte di una storica azienda piemontese votata al cioccolato di qualità

 

Sono belle, colorate, smaglianti, in diversi gusti. Parliamo delle uova pasquali di Giacomo Boidi, nipote d'arte, che ha unito le attività artigiane ereditate dagli zii: di Giraudi cioccolataio (ma già a inizio Novecento un antenato, Giovan Battista, era mugnaio e panettiere) e di Boidi pasticcere. Nel 1982 Giacomo entra in pista e comincia a mettere le mani in pasta. Nell’87, venuti a mancare entrambi gli zii suoi maestri e mentori, diventa il titolare della pasticceria Giraudi, che a partire dal '93 si trasferisce a Castellazzo Bormida, paese di origine della famiglia, e grazie a investimenti di risorse e a una bella spinta di entusiasmo e creatività da piccola bottega diventa un'azienda con le spalle forti che scommette su una produzione innovativa e di alto profilo.

 

La produzione

Giacomo continua a fare i nugatelli e i mandrugnin, “cioccolatini ai distillati, una raffinata evoluzione del cuneese”,spiega Giacomo Boidi“realizzati senza meringhetta e profumati con superalcolici pregiati, come whisky, rum, Cointreau, brandy, maraschino..., ma non molto alcolici per dare più spazio al cioccolato”. Ma le specialità sono anche altre, soprattutto dal 2005 con il trasferimento della produzione nell’attuale laboratorio, in una zona defilata dal centro di Castellazzo Bormida, dove Giacomo oltre ai classici piemontesi e alle creazioni storiche Giraudi si dedica al cioccolato da meditazione, a tavolette di fondente e al latte di qualità estrema, da esperienza gourmet.

 

Lo stile Giraudi-Boidi

Giacomo Boidi non è un artigiano from bean to bar, dalla fava alla tavoletta, come si dice in gergo, la filiera è troppo lontana,”, sorride il cioccolatiere di Castellazzo Bormida. Le sue creazioni di oro nero sono ottenute da massa di cacao. Ma che cacao! La materia prima proviene dalle migliori zone di coltivazione, “masse di preferenza caraibiche, venezuelane o comunque del Centro America”, precisa Giacomo, “ma non disprezziamo quelle africane. Impieghiamo massa di monorigine per i napolitains e le tavolette ‘cru’, dove privilegiamo il fondente 70%, la percentuale di cacao che per noi si adatta meglio alle degustazioni, fino ad arrivare al fondente puro 100%, mentre per gli altri prodotti usiamo un blend da Centro America e Costa d’Avorio, un fondente 61%: un giocoso omaggio al mio anno di nascita”, scherza.

E tutta la produzione di Boidi, che sia un cioccolatino, una pralina, un ricoperto, una crema spalmabile (la Giacometta, in 5 gusti) o un napolitains, è figlia di un processo di lavorazione curato. Un cioccolato classico e rassicurante, pulito, diretto e immediato, ma non banale, godibile sia da parte del neofita che dell'esperto. E sempre ben costruito e “accompagnato”, dove oltre alla massa di cacao e allo zucchero entrano in gioco il burro di cacao, la lecitina di soia e la vaniglia naturale del Madagascar (ma non nella gianduja), il latte intero in polvere (nei prodotti che non siano di cioccolato fondente) e le spezie (negli aromatizzati). Tutti le creazioni Giraudi sono contraddistinte da un bell’equilibrio tra dolce e amaro, rotondità, persistenza, uno stile elegante e gentile, una consistenza liscia e solubile. E se il cioccolato è ottenuto da massa di cacao acquistata, i semilavorati della frutta secca sono realizzati in proprio. “In laboratorio avviene la tostatura delle nocciole, quelle piemontesi Igp che provengono dalle nostre colline, delle mandorle pugliesi e dei pistacchi di Bronte”entra nei dettagli Giacomo, “con i quali produciamo i prodotti a base di gianduja, i cremini, i pralinati”.

 

L'occhio vuole la sua parte

Un altro plus delle creazioni Giraudi è l'impatto estetico, il bel colpo d'occhio colorato e seduttivo frutto di una ricerca per il bello e di un’innata sensibilità artistica. I cioccolatini e le praline pentagonali sembrano gioielli, diamanti o pietre dure di anelli importanti. Gioiose e giocose, di grande effetto cromatico, come sgorgate da un animo bambino, le confezioni delle tavolette illustrate (qualche anno fa) da Georgia Galanti, tanto per citare un nome dei diversi artisti che hanno collaborato con Giraudi. E nelle tavolette Maya, la linea più ricercata di Giraudirealizzata con una selezione dei migliori cacao origineprovenienti dal Centro e Sud America, la specialità della casa insieme ai prodotti a base di nocciola Piemonte, l’effetto estetico è affidato allo stampo che lascia sulla superficie della barretta di cioccolato l’impronta di un disegno stilizzato precolombiano.

 

 

Le uova ancestrali

E anche le uova pasquali non sono da meno. La forma è quella classica, come da tradizione. È tutto il resto che esce fuori dal consueto: nel gioco dei colori e degli abbinamenti degli ingredienti, e nell’Uovo Maya nella ricca presenza di frutta secca. La base è il cioccolato blend che incontriamo in altri prodotti Giraudi, che unito alla granella di frutta a guscio tostata e frutta fresca disidratata forma la materia del contenitore. Se l’uovo di cioccolato al latte e nocciole, dolce, morbido e immediato, richiama la fanciullezza, quello di cioccolato bianco e lamponi riporta al mondo della prima infanzia per il colpo d’occhio pink, il profumo caramelloso, la dolcezza assoluta e diretta arrotondata dall’acidità fresca della frutta. Infanzia al cubo nell’uovo di cioccolato bianco e pistacchi, un uovo di dinosauro dolcissimo, intrigante e piacione nei profumi, al gusto e nella struttura grassa e morbidosa. Preziose, golose e ridondanti le Uova Maya, nella versione nocciolata e in quella con la frutta a guscio intera e bacche di goji incastonati sulla superficie. Le nostre preferenze? L’uovo di cioccolato bianco e lamponi, nella cinquina Giraudi il più compiuto: centra il bersaglio della Pasqua.

Uova di cioccolato 200 g prezzo 32 euro

Uova Maya 300 g prezzo 45 euro

 

Giraudi - Castellazzo Bormida (AL) - loc. Micarella via Baudolino Giraudi, 498 - tel. 0131 278472 - www.giraudi.it- info@giraudi.it

 

a cura di Mara Nocilla

Umami a Roma. Il ramen bar di San Giovanni: foto, menu e prezzi

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Ancora una scommessa per Marco Pucciotti, giovane imprenditore romano che sta colonizzando il VII municipio della Capitale. Del resto, lontano dai nuovi progetti, non sembra riuscire a stare, e a poche settimane da Blind Pig arriva il ramen bar con lo chef Giuseppe Milana. Ecco com'è. 

Ramen bar mania

Quando una tendenza prende piede, al punto persino di modificare le abitudini di consumo di un pubblico trasversale, è difficile tornare indietro a pensare come (e perché) tutto abbia avuto inizio. Fino a un paio d'anni fa, chi in Italia proponeva una cucina giapponese che fosse altro rispetto a sushi e sashimi rappresentava una nicchia gastronomica per appassionati della cultura nipponica. Mosche bianche devote alla causa di ramen, yakitori e cucina kaiseki, perché a propria volta affascinati dal Giappone e dalle sue tradizioni alimentari: Casa Ramen e Zazà Ramen a Milano, Waraku a Roma, e pochi altri in giro per la Penisola. Poi il montare di un interesse crescente per la formula ramen bar, spesso filtrata da esperienze europee di successo: l'intuizione - fondata - che si trattasse di un'ottima opportunità imprenditoriale, come spesso si rivelano le cucine esotiche più popolari, dal ceviche peruviano all'ultima mania per il pokè hawaiano. E nuove realtà pronte ad affacciarsi su piazze inesplorate, da Koto Ramen a Firenze alla più recente scommessa di Lorenzo Costa a Bologna, con Sentaku (gyoza e ramen). Diversa, ed estremamente più dinamica, la situazione a Milano, dove oggi non solo si registra il proliferare di valide iniziative made in Italy, ma pure l'arrivo di grandi realtà giapponesi e internazionali (da Toridoll all'imminente apertura in centro città di Wagamama, alla misteriosa, per ora, sfida del gruppo Tenoha in un grande spazio su via Vigevano).

Umami. Il ramen bar di Marco Pucciotti

A Roma il panorama dei ramen bar si è arricchito di pari passo, e oggi sono diversi gli attori che si dividono la scena: Waraku ha traslocato in uno spazio più grande e più confortevole, in zona Ostiense sono arrivati Mamaya e Akira, che nel frattempo si è moltiplicato in altre zone della città. Ora in partita entra pure un giovane imprenditore romano che certo non difetta in fiuto per gli affari. Nel caso specifico, però, pesa pure la passione per il Giappone, dove Marco Pucciotti è stato più volte inseguendo il suo amore per la birra anche dall'altra parte del mondo. Il quadrante di riferimento, ca va sans dire, è quello che gli è più caro, il VII municipio, dove ormai gestisce un vero e proprio impero del food&beverage, dall'Hop&Pork di Cinecittà (che in serbo ha belle sorprese) al Barley Wine, da Sbanco a Santo Palato, da Epiro al recente cocktail bar con pizza gourmet Blind Pig, non distante da piazza Lodi. Umami, invece, accoglie gli ospiti a pochi metri dalla basilica di San Giovanni in Laterano, un ingresso nascosto ma preannunciato dalla luce calda che filtra dall'interno, su via Veio, civico 45.

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Dentro si intuisce la passione di cui sopra, e insieme il gusto per il dettaglio (vogliamo chiamarlo perfezionismo?) di chi l'ha ideato: una sala accogliente, circa 45 coperti distribuiti su due livelli, perché sul fondo è stato ricavato uno spazio rialzato, all'occorrenza schermato da pannelli scorrevoli in stile giapponese. Legno chiaro che disegna intrecci geometrici alle pareti, ma senza intaccare la pulizia dell'insieme; tavoli e sedie altrettanto essenziali, come la mise en place, che all'arrivo del ramen può contare su belle ciotole decorate in bianco e nero. 

 

E all'ingresso la bottigliera, con la selezione di sake e shochu, “per ora un centinaio, ma siamo al 60%”, selezionati con l'aiuto di Luca Rendina per avere un range di proposte articolato, fino alle etichette più pregiate e particolari. Da bere, Umami, proporrà mensilmente anche una sua birra, prodotta in collaborazione con diversi birrifici artigianali del territorio, a cominciare dalla Pacific Pale Ale di Free Lions, con luppoli giapponesi, “ma già stiamo studiando una blanche con yuzu e pepe di Sichuan per il prossimo mese”. Molto fornita anche la carta dei distillati, dal gin al whisky, anch'essi tutti prodotti in Giappone.

La cucina di Giuseppe Milana

Stessa attenzione maniacale all'autenticità della proposta sul menu, che al momento preferisce attenersi alle ricette tradizionali giapponesi, anche se – bisogna riconoscerlo, e non è detto che non sia un pregio – la mano italiana dello chef Giuseppe Milana (che è pure socio, insieme a Davide Frattali, al lavoro in sala con Ilaria Picone) interviene ad alleggerire diverse preparazioni. Basti pensare al ramen, disponibile in 4 varianti – Toriniku con brodo di pollo, Yasay con verdure, tofu e brodo di alghe, Umami con brodo di maiale, Spicy Umami con aggiunta di peperoncino, dai 12 ai 14 euro – tutte caratterizzate da un brodo trasparente, “che si ispira più che altro alla tecnica del consommè” racconta lo chef. Per quello vegetariano, per esempio, lavora molto sulle verdure e sull'estrazione di umori vegetali che diano complessità all'insieme, giocando su cotture e consistenze.

I noodles, invece, sono stati pensati in collaborazione con Mauro Secondi, più simili a un tonnarello che al classico spaghetto orientale: “Avevamo bisogno di un certo nerbo, in vista del servizio delivery (operato da Foodora, ndr), che presto attiveremo nel raggio di 3 chilometri dal locale: così la pasta mantiene una buona resa fino a 15 minuti da quando finisce nella ciotola”. Uovo fondente ben eseguito, selezione accurata anche sulla carne, in arrivo da Pork & Roll e Bottega Liberati, che da Umami è protagonista anche nella costruzione di un piatto come lo Shabu Shabu, che deve avvalersi di una materia prima di qualità: “In tavola arriva la ciotola col brodo bollente, insieme serviamo una selezione di carni scelte e verdure di stagione, e il prezzo varia secondo disponibilità. La differenza la fa la marezzatura, che rilascia nel brodo i grassi della carne, e lo arricchisce: ora serviamo una carne finlandese e una galiziana, ma non escludiamo il wagyu, che chiaramente fa salire il prezzo (si parte da 20 euro per il piatto da condividere in 2, ndr)”.

Oltre il ramen

In menu anche yakitori di pollo cotti alla brace con salsa teriyaki, pollo fritto karaage e cotoletta di maiale tonkatzu, takoyaki di polpo con katsobushi. E poi bun al vapore con pulled pork all'orientale o verdure in tempura e maionese al miso, gyoza in tre varianti (maiale, gamberi, verdure e tofu), tempura e sashimi di tonno con citronette al passion fruit, aria di salsa di soia, cipollotto in tempura. Per cominciare chips di radici di loto, goma wakame (l'insalata di alghe che dà dipendenza), edamame e tsukemono (ora con cetrioli e daikon).

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Per i dolci ulteriore collaborazione di rilievo, con i gelati ideati insieme a Marco Radicioni di Otaleg (zenzero fermentato, tè matcha, cocco e wasabi) o un dorayaki homemade. Lo scontrino medio è volutamente basso, per un totale che si aggira su 25-30 euro, con l'idea di accogliere un pubblico trasversale. Per ora solo a cena, ma già da questo fine settimana anche il sabato a pranzo.

 

Umami – Roma – via Veio, 45 – 3312630870 - www.facebook.com/umami.roma/

 

a cura di Livia Montagnoli

foto di Alberto Blasetti

Nuovi progetti e consulenze. Dal raddoppio di Zunica ad Ascoli a Matteo Metullio a Trieste. E Gigi Nastri cucina a Cortona

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Si muovono su e già per la Penisola per dare la propria impronta a nuovi progetti di ristorazione o insegne già avviate, che vogliono cambiare pelle. Concept originale, ad Ascoli, per Daniele Zunica e il suo chef Sabatino Lattanzi; consulenze per Matteo Metullio a Trieste e Vittorio Fusari a Bergamo; ripartenza a Cortona per Gigi Nastri, addio di Gennaro Esposito a Capri. 

Zunica ad Ascoli Piceno, con Osteria Marca

La targa recita TE, provincia di Teramo, ma Civitella del Tronto, circa 5000 abitanti, è quello che si potrebbe definire un approdo di confine. Una ventina di chilometri la separano dal capoluogo di provincia, altrettanti sono quelli che bisogna percorrere tra le colline dell'entroterra per arrivare ad Ascoli Piceno, scavallato il valico regionale in direzione Marche. E proprio all'identità territoriale fa riferimento l'insegna Osteria Marca Zunica, ultimo progetto di Daniele Zunica, che con passione porta avanti l'attività di famiglia a Civitella del Tronto, dove gestisce il Gourmet Hotel Zunica 1880, all'attivo quattro generazioni impegnate nel settore dell'ospitalità. A proposito di Zunica, l'originale, si potrebbe parlare della calorosa accoglienza di Daniele e del suo staff, della bellezza dei luoghie dell'impegno di chi si spende per valorizzarli e farli conoscere. E della cucina di Sabatino Lattanzi, giovane di talento che il territorio lo mette nel piatto in modo per nulla banale, e con ottimo rapporto qualità prezzo. Doti che nel complesso valgono a Zunica 1880 Due Forchette e 85 punti sulla guida Ristoranti d'Italia 2018.

La nuova avventura di Daniele e Sabatino li vede protagonisti, da qualche giorno appena, nel centro storico di Ascoli, all'interno del cinquecentesco Palazzo Guiderocchi, dove l'Osteria Marca Zunica proporrà piatti del territorio ascolano e teramano - dalla pasta e fagioli 2.0 alla modernità del pancotto, dai vincisgrassi al coniglio fritto alle mandorle -  per 50 ospiti (più 20 nella corte esterna). Disponibile anche un menu degustazione da sette portate (55 euro) e la proposta per pranzo, a 25 euro per antipasto, primo paitto, dessert e un calice di vino. Lattanzi, quindi, si dividerà tra Civitella e Ascoli. A coadiuvarlo ci sarà sempre Maurizio Neri, che cura la carta dei vini. Ma il locale, in cui Daniele ha voluto investire per premiare e sostenere l'impegno della cittadina marchigiana a rialzarsi dopo il terremoto del 2016, ospiterà anche esposizioni e mostre d'arte.

Matteo Metullio all'Harry's Restaurant

Ampliando l'orizzonte sulla ristorazione nazionale non sono poche le nuove realtà degne di nota, che spesso coinvolgono chef già noti alle cronache gastronomiche. Nel mare magnum delle consulenze, l'accortezza di puntare su progetti solidi è fondamentale. Qualche tempo fa, per esempio, parlavamo dell'arrivo di Nino Di Costanzo (o meglio, del suo secondo Emanuele Petrosino) a Bologna, per dirigere la cucina dell'Hotel I Portici dopo l'addio di Agostino Iacobucci. Ma pure a Trieste suona musica nuova, nelle eleganti sale dell'Harry's Restaurant, al pianterreno dell’Hotel Duchi d’Aosta, in un palazzo signorile della fine dell’800 che si affaccia su piazza dell’Unità d’Italia. La proprietà ha deciso per un rilancio in grande dell’offerta gastronomica, affidando la cucina, con la consulenza di Matteo Metullio e del suo sous-chef Davide De Pra, alle mani di Alessandro Buffa, con esperienze pluriennali alla Siriola di San Cassiano e nel gruppo Alajmo (Le Calandre e La Montecchia) e di Fabio Santo (esperienze alla Trota di Rivodutri e al Bye Bye Blues di Mondello). La proposta prevede l’apertura di un bistrot fortemente orientato sulla tradizione mediterranea (il menu dovrebbe chiamarsi Da Nord a Sud), aperto pranzo e cena sette giorni su sette e tutto l’anno, e un gourmet con non più di quatto tavoli (eventualmente sei in estate, nel dehors affacciato sulla piazza) con un menu di alto livello a caratura internazionale, aperto dal martedì al sabato solo la sera. La pasticceria avrà sede in un ambiente separato, ed è previsto che diventi in breve un vero e proprio punto vendita. I locali sono stati rinnovati, la carta dei vini aggiornata, l’inaugurazione è prevista per il 24 aprile.

 

Vittorio Fusari al Balzer di Bergamo

Su Bergamo, invece, si concentrano gli sforzi di Vittorio Fusari dopo l'addio al Pont de Ferr di Milano. Lo chef bresciano è impegnato con la rinascita (dietro c'è l'investimento dell'imprenditore Patrizio Locatelli) di un locale storico della città, il Balzer (dal 1850), che nelle ultime ore ha riaperto i battenti, in fase di rodaggio in attesa di girare a pieno regime. L'intenzione è quella di restituire ai bergamaschi uno spazio che per anni è stato il salotto buono della città, sotto i portici del Sentierone, dopo un restyling che ne ha voluto valorizzare la storia (sul soppalco, le belle poltroncine del teatro Donizetti, che ha ispirato anche la veste grafica del menu, sul pavimento il recupero dei mosaici policromi di inizio Novecento). Come? Cucina curata - “buona, sana ed emozionante” la definisce lui – e proposta di pasticceria (colazione all'italiana con brioche, pane, burro, marmellata bio e spremuta) affidata a Gregory Chabert,  che si avvarrà della consulenza di altri maestri italiani. All'esterno 60 posti a sedere, apertura dalle 7 del mattino alle 21.

Gigi Nastri a Cortona con Creta

Riscendendo la Penisola, a Cortona, da qualche giorno è rientrato in cucina Gigi Nastri, reduce dalla fine del rapporto con Pino Cau e le sue insegne (Eit e Stazione di Posta) nella Capitale. Il nuovo progetto di ristorazione si chiama Creta (ex Osteria Borgo Syrah) e nasce all'interno dell'azienda vitivinicola Tenimenti d'Alessandro del patron Pino Calabresi. In cucina Nastri propone piatti da osteria contemporanea, con suggestioni che dalla Toscana si amplieranno a comprendere la cultura mediterranea e le influenze dell'Oriente. Proposte di terra e mare, pasta fatta in casa, sperimentazione creativa, ma solida. In abbinamento una carta dei vini che spazia tra i terroir d'Italia e d'Europa.

Gennaro Esposito lascia Mammà

E per finire segnaliamo una consulenza che si chiude: Gennaro Esposito lascia Capri e il progetto Mammà, che aveva seguito sin dall'inizio (5 anni fa l'esordio), per concentrarsi sulla Torre del Saracino. Ma in queste ore l'insegna si presenta alla riapertura stagionale sotto la guida di Salvatore La Ragione, da sempre responsabile della cucina sotto l'egida di Esposito. Nessuno strappo con l'approccio che finora ha garantito buoni riconoscimenti all'insegna isolana: cucina mediterranea e piatti della tradizione caprese.

 

Osteria Marca Zunica – Ascoli Piceno – via Cesare Battisti, 3 – www.marcazunica.it

Harry's Restaurant – Trieste – Hotel Duchi d'Aosta, piazza Unità d'Italia, 2 – dal 24 aprile 2018

Balzer – Bergamo – Portici Sentierone, 41 – www.balzer.it

Creta – Località Manzano, Cortona (SI) – Tenimenti d'Alessandro - www.tenimentidalessandro.it

Mammà – Capri – via Madre Serafina, 6 – www.ristorantemamma.com

 

a cura di Livia Montagnoli

(in apertura Vitello, yogurt e vongole di Gigi Nastri)

Il Coco Pazzo riapre a New York. La cucina toscana di Pino Luongo torna alla ribalta

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Pino Luongo è stato uno dei ristoratori italiani più apprezzati all'estero, un imprenditore lungimirante in grado di creare, fra gli anni Novanta e Duemila, un impero di locali a suo nome, a New York e non solo. Dopo la chiusura forzata del 2008, la sua insegna più celebre, il Coco Pazzo, riapre in una nuova location.

I ristoranti toscani a New York

Gli amanti della cucina italiana a New York lo conoscono bene: il Coco Pazzo, aperto nell'88 e chiuso nel 2008 causa bancarotta, è stato per anni uno dei punti di riferimento della ristorazione made in Italy negli Stati Uniti. Una tavola incentrata sulle specialità toscane che ha portato nell'Upper East Side cultura e tradizioni italiane, grazie al grande interprete della cucina tricolore Pino Luongo. Classe '52, lo chef italiano ormai americano d'adozione da tanto tempo, è stato uno dei più fulgidi esempi di imprenditoria della ristorazione all'estero. Il Cantinori, Le Madri, Centolire, Coco Pazzo, Coco Pazzo Cafè, Coco Pazzo Teatro, Tuscan Square, Sapore di Mare, Morso: la lista dei locali firmati Luongo, distribuiti fra New York e Chicago, è lunga e articolata. E ora, con il socio Alessandro Bandini, ci riprova di nuovo con la riapertura del suo successo più celebre, il Coco Pazzo.

Pino Luongo e la cucina italiana

Caratteristica comune di tutti i ristoranti è la matrice toscana, radici profonde, impossibili da dimenticare, percepibili in ogni indirizzo del gruppo: cresciuto a Porto Santo Stefano, il cuoco ha iniziato a cucinare fin da giovanissimo, ispirandosi ai piatti della mamma. Dopo l'esperienza militare, una strada intrapresa senza molta convinzione, su consiglio del padre, nell'81 vola a New York, dove comincia a lavorare come cameriere in un ristorante italiano molto popolare a quel tempo, Da Silvano, di cui presto diventa manager. Due anni dopo apre il suo primo locale, Il Cantinori, insieme ad altri due soci, e poi nell'88 Sapore di Mare a Wainscott, Long Island. Da quel momento, lo chef dal carattere brusco e il forte temperamento, caratteristiche che negli anni gli hanno fatto guadagnare il nomignolo di “Pino Noir”, comincia un percorso di evoluzione unico, che ha fatto da esempio ha tanti altri ristoratori che hanno lasciato la Penisola per avventurarsi nella metropoli americana. Un “pioniere della cucina toscana in America”, come lo ha definito il New York Post, che negli anni si è dedicato anche alla stesura di diversi volumi: A Tuscan in the Kitchen, Simply Tuscan, Fish Talking, La Mia Cucina Toscana, Dirty Dishes – A Restaurateur's Story of Passion, Pain and Pasta, uno dei suoi libri più acclamati, una biografia dallo sguardo sincero e introspettivo (il titolo, letteralmente, significa “Piatti Sporchi – Storia di Passione, Dolore e Pasta di un Ristoratore), e Two Meatballs, scritto a quattro mani con Mark Strausman.

 

coco pazzo

Il ritorno del Coco Pazzo

La strada del successo però – si sa – è fatta anche di ostacoli. Dopo il periodo d'oro fra gli anni Novanta e i primi del Duemila, complice la crisi economica di quel tempo, nel 2007 Luongo si ritrova a fare i conti con numeri negativi, una gestione dei costi che inizia a sfuggirgli di mano, e una bancarotta ormai impossibile da arginare. Un anno dopo, la decisione più dura: chiudere il Coco Pazzo, una delle sue insegne più rappresentative. Ma l'impegno costante, l'esperienza di una vita passata dietro ai fornelli, e la fermezza di un uomo risoluto e tenace, uniti alla passione smodata per questo mestiere che non lo ha mai abbandonato, a distanza di 10 anni lo hanno ripagato di tutti gli sforzi. Il Coco Pazzo ha riaperto i battenti, in una nuova location in Prince Street, a SoHo. Con lo stesso spirito di una volta, la stessa voglia di far conoscere le ricette toscane al pubblico americano, ma con un menu nuovo, più fresco e moderno.

 

coco pazzo

Il ristorante

La specialità della casa? I piatti unici, dalle linguine alle vongole alle pappardelle con lo stracotto di maiale. A curare la consulenza, Marta Pulini, chef e storica collaboratrice di Luongo, che ha voluto inserire in menu anche insalate e panini. Si tratta, infatti, di un format dinamico, che cambia pelle da mattina a sera: a pranzo si parla di Coco Pazzo Kitchen, prettamente a base di piatti freddi e veloci, dalle polpettine di pollo e ricotta al panino con mortadella e pecorino, tutti a prezzi contenuti che vanno dagli 8 ai 15 dollari. La sera si trasforma invece in Coco Pazzo Trattoria, con zuppe, antipasti di mare, piatti unici e le portte principale pensate per essere condivise fra tutti i commensali, come l'arrosto di maiale, il brasato e simili. Nel retro del ristorante, infine, un piccolo angolo per il take away, per poter assaporare i piatti dello chef anche a casa propria.

Coco Pazzo – New York -160, Prince Street – cocopazzonyc.com

a cura di Michela Becchi

Football’s Kitchen, seconda stagione. Le star del calcio in cucina, tra cibo e pallone

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Torna su Gambero Rosso Channel il programma che mette insieme cibo e pallone, due grandi passioni degli italiani. Con Massimo Ugolini e Maurizio Rosazza Prin alla scoperta di gusti e preferenze dei calciatori italiani. Da mercoledì 4 aprile, canale 412 di Sky.

L'appuntamento è per mercoledì 4 aprile, su Gambero Rosso Channel, canale 412 di Sky, alle 12 e alle 21.30. E gli abituè della Coppa dei Campioni che per una sera volessero rinunciare all'appuntamento fisso con la partita, potrebbero ricevere una gradita sorpresa: alla seconda stagione (dopo il successo che ha premiato il format l'anno scorso), Football’s Kitchen ripropone il binomio tra calcio e cibo, mettendo insieme due grandi passioni degli italiani. E indaga tra le abitudini e i gusti di famosi calciatori italiani, per una volta protagonisti in cucina, per scoprire quanto siano a proprio agio lontano del campo.

Massimo Ugolini, uno dei più noti giornalisti sportivi di Sky, e lo chef Maurizio Rosazza Prin entreranno nelle case e nelle cucine di grandi star del calcio alla scoperta dei loro gusti e delle loro preferenze, in un racconto che coinvolgerà anche mogli e compagne. In ogni puntata Massimo incontrerà il campione di turno per scoprirne passioni e abitudini lontano dai campi di gioco; Maurizio invece si addentrerà nelle cucine dei protagonisti per preparare, grazie alla complicità delle mogli o compagne, una sorprendente cena per il campione, che al rientro, si troverà a tavola con amici speciali, compagni di squadra compresi. Trenta minuti divertenti e scanzonati per un ritratto inedito dei campioni italiani che, senza tralasciare le glorie sportive, privilegerà il racconto dell’uomo e dei suoi rapporti con amici, famiglia e città. Tutto merito del cibo: chiave di volta privilegiata per arrivare al cuore della gente. Il primo a mettersi in gioco? Silvan Widmer (seguiranno Sergio Floccari, Duvan Zapata, Stefano Sorrentino e molti altri).

Il programma andrà in onda ogni mercoledì, in replica sabato e domenica alle 14, alle 18.30 e alle 20.30.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Con la partecipazione di


Si ringrazia

 
 
 
 

Morto Andrew Balducci, pioniere delle gastronomie gourmet a New York

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Italo-americano, fu il primo a importare il prosciutto di Parma in America e dare lustro alle cime di rapa. Dal padre ereditò il mitico chiosco di frutta e verdura al Greenwich Village; nel 1972, costretto a traslocare, ideò il primo negozio specializzato in prodotti gourmet, che fece proseliti in città. Muore all'età di 92 anni. 

Il chiosco al Greenwich Village

Quella di Andrew Balducci è una storia di emigrazione come tante, tra gli italiani nati nei primi decenni del Novecento, in cerca di fortuna oltreoceano. Papà Louis era arrivato a New York nel 1916, da Corato, impiegandosi nel settore delle costruzioni, in società con suo fratello Frank. Andrew nasceva nel 1925, dapprima al lavoro nell'impresa di famiglia, poi, durante la Seconda Guerra Mondiale, imbarcato in Marina, per partecipare con le truppe americane allo sbarco in Normandia. Intanto suo padre e lo zio Frank, nel 1946, aprivano una rivendita di frutta e verdura al Greenwich Village, all'angolo tra Christopher Street e Greenwich Avenue. Nasceva così l'insegna Balducci's, destinata a ben altri sogni di gloria. All'epoca il chiosco open air era spartano, una vasca sul retro per lavare le verdure, aperto h 24 per 365 giorni l'anno. Eppure ebbe successo: anche James Beard, raccontano le cronache del tempo, fu cliente abituale del chiosco, capace di proporre “il meglio del meglio, al giusto prezzo”.

 

La prima grocery specializzata in cibo gourmet

Ma nel 1972, quando la famiglia fu costretta ad abbandonare lo spazio che aveva gestito per quasi 30 anni, Andrew ebbe l'intuizione di trasformare l'attività in qualcosa di più ambizioso: un grocery store con tanti prodotti di importazione italiana che ha fatto scuola – specie perché per la prima volta nasceva un negozio specializzato in gastronomia gourmet - pioniere di un genere che nei decenni a seguire avrebbe fatto la fortuna di insegne come Dean&Deluca, per citare la più celebre a New York. Il locale individuato si trovava sulla Sesta Avenue, e per la prima volta cominciò a vendere anche salumi e prodotti di norcineria, formaggi freschi e conserve, pane, dolci e cibi già pronti, con una sezione dedicata alle delicatessen e ai prodotti gourmet. Come il prosciutto di Parma, che per primo Balducci riuscì a importare in America. Ma all'italo-americano con il pallino per il buon cibo e il ricordo dell'Italia sempre in testa si deve anche il merito di aver fatto scoprire le cime di rapa agli agricoltori statunitensi. Negli anni a seguire si preoccupò di consolidare il successo della sua attività, sempre in cerca di nuovi prodotti da proporre alla sua clientela, mozzarella, pane realizzato da artigiani selezionati, interi settori del negozio dedicati a macelleria, pasticceria e prodotti del mare. Basti pensare che già nel 1978 l'attività si dotava di un catalogo digitale, inviato via email, per organizzare gli ordini: nel 1984 il catalogo si sarebbe trasformato in un compendio a colori di 70 pagine e più, che in città, e all'America, raccontava le specialità del negozio al Greenwich Village, contribuendo a consolidarne il mito.

 

Gli ultimi anni di Balducci's

Qualche giorno fa, Balducci è scomparso all'età di 92 anni: nel 2016 riceveva il Lifetime Achievement Awards della Specialty Food Association. Ma già alla fine degli anni Novanta, la Balducci Enterprises era migrata sotto l'ala della Sutton Place Gourmet, compagnia specializzata del Maryland. Gli anni a seguire non sarebbero stati particolarmente felici: nel 2003 chiudeva i battenti il flagship store al Greenwich Village, alla fine del 2005 Balducci apriva di nuovo in città sulla Eight Avenue di Manhattan, a Meatpacking, mentre il nuovo assetto societario provava a rilanciare il brand con nuove inaugurazioni sul territorio statunitense, dal Connecticut al Maryland, alla Virginia. Ma nel 2009 arrivava un nuovo cambio di proprietà, con l'acquisto di Balducci's da parte di King's Food Market. E nel 2012, ancora a New York, il lancio di un nuovo format, Balducci's Gourmet on the Go Cafè, al Bloomberg Children's Center. Più di recente, nel 2015, l'ultimo cambio di proprietà, sotto l'egida di KB Holding Inc, che oggi possiede 11 store sulla East Coast (solo uno, a Midtown West, a New York). Ma il mito di Andrew Balducci, che in passato ha fondato pure il distributore di specialty food Baldor, è rimasto inalterato nel tempo.

 

a cura di Livia Montagnoli

Anteprima Oli d'Italia 2018. Nord: i migliori extravergine premiati

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Terminate le degustazioni della guida Oli d'Italia 2018 del Gambero Rosso, attualmente in stampa. Nell'attesa di scoprire i giudizi della commissione durante la presentazione del prossimo 16 aprile 2018 al Sol di Verona, qualche anticipazione sugli oli migliori. Cominciando dal Nord Italia.

La guida

E siamo a otto. Otto anni di assaggi, di confronti, di panel test eterogenei e ben bilanciati, fra vecchie leve e assaggiatori nuovi, per uno scambio sempre più dinamico e aperto sulle principali tematiche del settore. Otto anni di etichette nuove, bottiglie già note, prodotti innovativi frutto dello studio dei produttori più giovani. Otto anni trascorsi a suon di “strippaggio”, la tecnica di assaggio dell'olio extravergine di oliva, con tanto di suono di accompagnamento (meno elegante della degustazione di vino, sicuramente, ma concedetecelo...). Soprattutto, otto anni in cui abbiamo avuto la possibilità di assistere da vicino al duro lavoro degli olivicoltori, impegnati a far fronte ai tanti ostacoli che la natura ha posto loro davanti, osservando l'andamento delle campagne, fortemente condizionate da un clima sempre più incerto.

 

ulivo

Anche nelle annate più difficili, i professionisti dell'oro verde sono riusciti a portare a casa un buon risultato. Lo dimostra ancora una volta, la guida Oli d'Italia del Gambero Rosso, realizzata in collaborazione con l'Unaprol: l'ultima edizione, la 2018, non fa eccezione, e si compone di ben 476 aziende e 743 oli recensiti, numeri che evidenziano un significativo aumento quantitativo e qualitativo della produzione. 20 Premi Speciali, 1.500 indirizzi per mangiare, comprare e dormire nei dintorni delle aziende olearie, e tante informazioni utili per orientarsi nel mercato dell'extravergine: questi e molti altri i dati all'interno del manuale.

 

guida

Il fattore umano

Se parliamo di qualità, l'extravergine è un prodotto artigianale in cui l’esperienza, la sapienza, la tradizione di chi lo realizza è parte fondamentale del prodotto. E non è cosa da poco: trovare la giusta linea di produzione nei diversi territori di un paese come l'Italia che ha circa 500 cultivar e quindi una vasta biodiversità, necessita di un'esperienza e di un contatto diretto con la materia prima che l'industria difficilmente può mettere in campo”. Le parole del Presidente del Gambero Rosso Paolo Cuccia descrivono il ruolo determinante del fattore umano all'interno di questo settore. E la conseguente, necessaria formazione specifica: “Occorrono aggiornamenti sia sulla tecnologia che sulle tecniche agronomiche, temi a cui rispondono i corsi e i Master che Gambero Rosso Academy gestisce in proprio e in Joint Venture con primarie Università italiane e Academy internazionali”. Altro aspetto del fattore umano è quello vissuto dal consumatore.

 

degustazione

A fare da tramite con il produttore è il degustatore, figura fondamentale che sta iniziando (finalmente) ad assumere un valore sempre più riconosciuto: “È un lavoro complesso e pensiamo che sia l'unico modo per tener viva la cultura che abbiamo alle spalle e per dare alla nostra storia la possibilità di un futuro”. Terzo punto del fattore umano, il racconto, “anche questo è parte del nostro lavoro”. Assaggiare, ma anche “far degustare e raccontare nel mondo il prodotto della fatica e della conoscenza dei nostri agricoltori, una parte tra le più sane della nostra Italia”.

I giudizi

Chiudere una guida, specialmente quando si tratta di analizzare il frutto di un intero anno di sacrifici e fatica, un prodotto unico e immutabile, almeno fino alla prossima annata, non è mai semplice. Assegnare numeri, punteggi, riconoscimenti (Una, Due, Tre Foglie, più le Due Foglie Rosse) e premi speciali (che presto vi sveleremo) è un lavoro delicato e, per fortuna, sempre più arduo. Perché aumentano i prodotti in assaggio, e si amplia anche il nostro panel test, la commissione dedita alla degustazione di olio, tema caldo che a breve tratteremo in maniera più approfondita, affidandoci alle parole dell'esperto Alberto Grimelli, agronomo, giornalista e fondatore del sito specializzato Teatro Naturale.

 

assaggio

E soprattutto cresce il numero degli oli d'eccellenza, i cavalli di razza che si distinguono per trama aromatica, equilibrio, precisione, pulizia del palato, persistenza ed eleganza. Sempre più difficile, dunque, effettuare una distinzione netta fra le tante etichette in degustazione. Difficile, sì, ma non impossibile. Nell'attesa della presentazione ufficiale della guida 2018 al Sol di Verona, abbiamo deciso di rivelare qualche anticipazione: gli oli premiati con le Tre Foglie – massimo riconoscimento – e le Due Foglie Rosse, giudizio riservato agli oli di ottima qualità. A cominciare dalle regioni del Nord Italia.

a cura di Michela Becchi

 

I premiati del Nord

Tre Foglie

Friuli Venezia Giulia

Olio Extravergine di Oliva - Il Roncal - Cividale del Friuli (UD) -www.ilroncal.it

Liguria

Monocultivar Prempesa – Belfiore - Castelnuovo Magra (SP) - www.agricolabelfiore.it

Pria Grossa - Domenico Ruffino - Finale Ligure (SV)

Extremum Gran Cru Colabella Monocultivar Taggiasca - Paolo Cassini - Isolabona (IM) - www.oliocassini.it

Lombardia

Monocultivar Casaliva – Comincioli - Puegnago sul Garda (BS) - www.comincioli.it

Nepos Monocultivar Sbresa - Maurizio Ribola - Monte Isola (BS) - www.oliomonteisola.it

Tondello Dop Laghi Lombardi - Olio Gaiatto - Perledo (LC) - www.oliogaiatto.com

Dop Laghi Lombardi – Lario - Stefania Mattarelli - Perledo (LC)

Trentino Alto Adige

46° Parallelo Monocultivar Casaliva - Frantoio di Riva - Riva del Garda (TN) - www.agririva.it

Monocultivar Frantoio - Madonna delle Vittorie - Arco (TN) - www.madonnadellevittorie.it

Emozioni Monocultivar Coratina – OlioCRU - Arco (TN) - www.oliocru.it

Monocultivar Casaliva Bio – OlioCRU - Arco (TN) - www.oliocru.it

Veneto

Monocultivar Grignano - Frantoio di Cornoleda - Cinto Euganeo (PD) - www.frantoiodicornoleda.com

Dop Veneto Valpolicella - La Contarina Illasi (VR) - www.lacontarina.it

Le Passioni - Lucia Repele - Nogarole Vicentino (VI)

Dop Garda Orientale Monocultivar Drizzar - Paolo Bonomelli Boutique Olive Farm - Torri del Benaco (VR) - www.paolobonomelli.com

Dop Veneto Valpolicella – Redoro - Grezzana (VR) - www.redoro.it

 

Due Foglie Rosse

Liguria

Monocultivar Leccino – Belfiore - Castelnuovo Magra (SP) - www.agricolabelfiore.it

Monocultivar Razzola – Belfiore - Castelnuovo Magra (SP) - www.agricolabelfiore.it

Monocultivar Taggiasca - Frantoio Secondo - Montalto Ligure (IM) - www.frantoiosecondo.it

Tumai Dop Riviera Ligure Riviera dei Fiori Monocultivar Taggiasca - Olio Anfosso - Chiusavecchia (IM) - www.olioanfosso.it

Extremum Gran Cru Crosa Monocultivar Taggiasca - Paolo Cassini - Isolabona (IM) - www.oliocassini.it

Mortedo – Zangani - Santo Stefano di Magra (SP) - www.zangani.it

Lombardia

Selezione Monocultivar Casaliva - Casa del Tempo Ritrovato - Toscolano Maderno (BS) - www.casadeltemporitrovato.com

Monocultivar Casaliva - La Meridiana - Puegnago sul Garda (BS) - www.lameridianaleali.com

Monocultivar Frantoio - La Punta - Monte Isola (BS)

Dop Laghi Lombardi – Lario - Olivicoltori Lago di Como - Perledo (LC) - www.olicoop.it

Uliveti del Mauro Dop Laghi Lombardi Lario – Poppo - Bellano (LC) - www.biosio.it

Piemonte

Robur - Piero Veglio - Moncalvo (AT) - www.olioveglio.it

Trentino Alto Adige

46° Parallelo Bio - Frantoio di Riva - Riva del Garda (TN) - www.agririva.it

Ulìva Dop Garda Trentino Monocultivar Casaliva - Frantoio di Riva - Riva del Garda (TN) - www.agririva.it

Dop Garda Trentino - Madonna delle Vittorie - Arco (TN) - www.madonnadellevittorie.it

Origini Monocultivar Casaliva – OlioCRU - Arco (TN) - www.oliocru.it

Veneto

Dop Veneto Valpolicella - Frantoio Bonamini - Illasi (VR) - www.oliobonamini.com

Green Selection - Frantoio di Cornoleda - Cinto Euganeo (PD) - www.frantoiodicornoleda.com

Monocultivar Rasara - Frantoio di Cornoleda - Cinto Euganeo (PD) - www.frantoiodicornoleda.com

Doge - La Contarina - Illasi (VR) - www.lacontarina.it

Dop Veneto Valpolicella Monocultivar Grignano – Montenigo – Verona - www.montenigo.it

La Vallarga – Montenigo – Verona - www.montenigo.it

TreFórt - Paolo Bonomelli Boutique Olive Farm - Torri del Benaco (VR) - www.paolobonomelli.com

Olio Extravergine di Oliva Bio – Redoro - Grezzana (VR) - www.redoro.it

Monocultivar Grignano – Sisure - Mezzane di Sotto (VR) - www.sisure.it


Pasqua in Svizzera: conigli di cioccolato, osterfladen e zopf

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Come si festeggia la Pasqua in Svizzera? Con tanto cioccolato, ovviamente, ma anche con crostate di riso e pane dolce lievitato. Ecco le specialità svizzere tipiche della festa.

La Pasqua in Svizzera

Pasqua si avvicina, e in Svizzera sono già cominciati i preparativi per la festa. Oltre ai significati religiosi, infatti, anche nel Paese elvetico questo periodo rappresenta l’arrivo della primavera, la rinascita della terra con tutti i suoi frutti. Tante le usanze del luogo, diverse a seconda del cantone, alcune nate recentemente e scollegate al significato religioso della festa: se in passato era d’obbligo installare un santo sepolcro nelle chiese (rituale quasi del tutto scomparso e dimenticato), oggi adulti e bambini attendono l’arrivo del coniglio di Pasqua, portatore di uova di cioccolato e sorprese. Ed è sempre il coniglio (secondo la tradizione) a nascondere durante la notte i doni nel giardino di casa, dove i più piccoli possono divertirsi a cercarli in una caccia al tesoro all’insegna di gusto. E a proposito di uova: la località di Rougemont ogni anno ospita 12 uova di cioccolato giganti, decorate a tema ed esposte nel villaggio come fossero delle sculture. Sempre nel cantone di Vaud, a Nyon, cittadina sul lago Lemano, si dipingono invece le fontane, che in tempo di festa diventano un’attrazione turistica a tutti gli effetti. Nella Svizzera tedesca si svolge invece l’eierütschen (letteralmente “pestaggio delle uova”), una sfida casalinga che consiste nel rompere con la punta di un uovo sodo il guscio delle uova degli avversari. Una tradizione che a Berna diventa un evento pubblico, con tanto di gara a punti in scena ogni anno in pieno centro storico.

 

easter bunny

Uova a parte, sul fronte gastronomico la Pasqua porta con sé una carica di dolcezza con diverse specialità golose cariche di significato. Sono due le ricette tipiche della domenica che, come sempre, variano di zona in zona: la crostata di riso e lo zopf. Non mancano poi le tante creazioni in cioccolato, dalle uova alle praline; capitolo a parte, però, va riservato ai coniglietti, fra i simboli più antichi e affascinanti della festa.

La tradizione del cioccolato

Non sono una prerogativa solamente svizzera, ma qui trovano senza dubbio la loro massima espressione grazie alla profonda tradizione cioccolatiera del Paese: nelle cittadine elvetiche è possibile acquistare dei coniglietti di cioccolato (schokohase) deliziosi, decorati ad hoc e perfettamente confezionati, ma soprattutto impreziositi con gli ingredienti più disparati. Dal cioccolato bianco alle nocciole, dalle mandorle alla gianduia, dai cereali ai confetti, sono tanti i prodotti che vengono aggiunti dagli artigiani per rendere queste piccole sculture di cioccolato ancora più invitanti. Quella dei cacao più pregiati, infatti, per i mâitrechocolatier svizzeri è una vera passione, una tradizione antica che affonda le sue radici nel Settecento con la nascita delle prime botteghe impegnate nell’arte dolciaria.

 

cioccolato

La svolta avviene poi nel 1819 a Vevey, con l’apertura della fabbrica di François-Louis Cailler, che rivoluziona il settore fondando la prima (tuttora esistente) marca di cioccolato svizzero. Dopo il primo esperimento di Cailler, in tutto il Paese, in particolare a Ginevra, Berna, Zurigo e Lucerna, iniziano a nascere altre case produttrici, e con loro nuovi prodotti. La seconda evoluzione accade ancora una volta a Vevey, nel 1875, anno in cui Daniel Peter, dopo molti tentativi, riesce finalmente a unire il latte al cacao, creando il primo cioccolato al latte, una gioia per il palato dei più piccoli. Il settore continua così a crescere, conoscendo il periodo di massimo splendore nei primi decenni del Novecento, con lo sviluppo del turismo.

 

coniglio cioccolato

Il coniglio, dal luteranesimo a oggi

Fra uova e creazioni di ogni tipo, a Pasqua in Svizzera è il coniglio a farla da padrone. Ma perché proprio questo animale? Fra i simboli pasquali più conosciuti al mondo, il coniglio è una figura folcloristica nata con il luteranesimo in Germania, pensata per ricoprire il ruolo di giudice, in dovere di valutare se i bambini fossero stati buoni o disobbedienti durante l’eastertide, ovvero il Tempo pasquale, il periodo che va dalla domenica di Pasqua al giorno di Pentecoste. Una sorta di versione primaverile di Babbo Natale, portatrice di doni durante la notte che precede la mattina di festa. Fra i primi volumi a menzionare questo personaggio, De ovis paschalibus (“Sulle Uova di Pasqua”) di Georg Franck von Franckenau del 1682, che racconta di un leprotto carico di uova per i bambini. Il termine utilizzato nei testi antichi, infatti, parla in realtà di un hare, una lepre, ma nei secoli la tradizione è andata sempre più modificandosi, scegliendo la figura del coniglio, più piccolo e grazioso, come simbolo di rinascita e condivisione.

 

coniglio cioccolato

Il coniglio come simbolo di prosperità

Sia il coniglio che la lepre sono animali molto prolifici, da sempre associati al tema della prosperità, fortemente legato alla festa pasquale. Quella della lepre, poi, è una figura carica di significati simbolici sin da tempi antichi: diversi filosofi greci si erano interrogati sulla sua sessualità, convincendosi che fosse un animale ermafrodita, ma soprattutto in grado di riprodursi senza un rapporto sessuale. In epoca medioevale, le tesi portate avanti da Plutarco, Plinio il Vecchio, Filostrato e Claudio Eliano vennero interpretate come un riferimento alla Vergine Maria. In diversi dipinti dell’arte ecclesiastica del periodo, infatti, viene raffigurata la lepre accanto a Maria con Gesù Bambino, metafora di fertilità e al contempo purezza della carne.

Osterfladen, la torta di Basilea

Cioccolato a parte, protagonista assoluta della colazione pasquale è l’osterfladen, chiamata anche Gâteau de Pâques (torta di Pasqua), antica specialità nata in Basilea, originariamente pensata per essere benedetta dal prete durante la messa domenicale. Secondo alcuni storici della gastronomia, le prime tracce di questo dolce si riscontrano già nel 962, anche se per le testimonianze scritte dobbiamo attendere il Sedicesimo secolo. Nel volume Einköstlich new Kochbuch di Anna Wecker, pubblicato nel 1598, viene descritta una torta simile all’attuale osterfladen: un guscio di pasta brisé ripieno di semolina o riso cotto nel latte. In passato, veniva spesso aggiunto del parmigiano all’impasto della tartelletta, mentre verso la fine del Settecento uno dei ripieni più in voga era il pane raffermo bagnato nel latte o nell’acqua, e aromatizzato con vino e acqua di rose.

 

osterfladen

Oggi sono tante le varianti disponibili nelle diverse città del Paese, arricchite con uvetta, frutta candita o gocce di cioccolato, anche se le versioni più classiche restano quelle al semolino o al riso. Con il nome osterfladen, inoltre, si intende anche una torta di pasta lievitata ripiena di uvetta e mandorle (ancora una volta originaria di Basilea), in principio preparata per la domenica santa, ma oggi disponibile quasi tutto l'anno.

 

osterfladen

Zopf, la treccia delle vedove

C’è poi lo zopf, o züpfe, il tipico pane condiviso anche con l’Austria e la Baviera, a base di farina, latte, uova, burro e lievito. Una treccia lievitata soffice e dorata, immancabile sulla tavola della festa. Quello dell’arte bianca è un settore da sempre molto sviluppato in Svizzera, che strizza l’occhio alle tradizioni francese e tedesca, due punti di riferimento per la panificazione a livello mondiale. Sono quasi 200 le tipologie di pani presenti nel Paese, e non esiste un pasto, dalla colazione alla cena, che non preveda come accompagnamento una buona fetta di pane. Nonostante sia nato in occasione della Pasqua, oggi lo zopf viene consumato anche in altre occasioni, solitamente di domenica mattina.

 

zopf

Molto legato alla regione Emmental-Oberaargau, il pane è nato attorno alla metà del Quattrocento, e si è fin da subito diffuso in tutte le altre zone. Non sono certe le origini della ricetta, ma la leggenda popolare più nota vuole che la forma di questo lievitato dolce derivi dall’antica usanza delle vedove di tagliarsi la treccia di capelli e seppellirla insieme al marito. Oggi sono tanti i modi in cui viene consumato, sia nella versione dolce che salata: formaggio, salumi, burro e marmellata, creme spalmabili o burro d’arachidi, ogni ingrediente è ammesso purché il pane sia fresco e di ottima qualità, meglio ancora se fatto in casa.

a cura di Michela Becchi

Pasqua nel Regno Unito: hot cross buns e simnel cake

Pasqua in Spagna: sopa de ajo, torrijas, monas

Pasqua in Francia: gigot d'agneau, osterlammele, torteau fromager

Pasqua in Polonia: babka, mazurek e il cestino pasquale 

Bella Dentro, la nuova start-up contro lo spreco alimentare

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La bella storia di due giovani milanesi che a bordo della loro apecar restituiscono dignità a frutta e verdura che altrimenti andrebbe buttata.

 

Ridurre gli sprechi è il mantra che coinvolge oramai diverse realtà, dalla ristorazione alle GDO, alla politica, ai singoli cittadini. Ricordiamo il progetto Food for Soul sviluppato da Lara Gilmore e Massimo Bottura, uno dei portavoce più illustri dell'anti spreco, da cui sono partiti i Refettori - dopo il primo, l'Ambrosiano di Milano nato con Expo, seguito da Modena, Bologna, Rio de Janeiro, Londra, Parigi - mense sociali che reimpiegano eccedenze di cibo in arrivo dalla GDO elaborate con l'aiuto di grandi chef capaci di trasformare cibi sgraditi in piatti invitanti. O le tante, tantissime start-up nate sotto il segno dell'anti spreco (qui i 10 progetti premiati dal Mipaaf ). In questa ondata etica non poteva mancare l'impegno politico con la legge Gadda (e i recenti emendamenti), che ha rappresentato un fondamentale passo avanti verso una gestione più equa e umana delle risorse, tanto da avere avuto degli effetti immediati: i risultati dall'entrata in vigore della legge parlano di un 20% in più di donazioni. Ma la strada è tutta in salita (e globale).

I dati FAO

Lo spreco infatti non riguarda solo gli ultimi anelli della catena commerciale, quindi gli acquirenti, che siano i ristoratori o i semplici cittadini; ma spesso è generato già nella fase produttiva e nella fattispecie, parlando di produzione agroalimentare (frutta e verdura) nel momento della raccolta. Qualche dato concreto per rendere più chiara la situazione dell’Italia: secondo l’Istat nel 2009, più di 7 milioni e 500 mila tonnellate di prodotti ortofrutticoli (frutta, ortaggi, cereali, legumi) sono stati scartati in fase di raccolta e dunque non sono mai arrivati nei nostri mercati, negozi e cucine. Ma quali sono i motivi principali di questo scarto? Sono motivi puramente estetici dettati da criteri imposti dalla grande distribuzione, completamente indipendenti dalla qualità organolettica del prodotto. Un fatto sconcertante che ha messo in moto le menti di Camilla Archi e Luca Bolognesi.

Apecar di Bella Dentro, start up Milanese

Luca e Camilla

Entrambi classe 1988, si conoscono da quando avevano undici anni. Lui determinato, ambizioso, attratto dai numeri e laureato in economia, lei più affascinata dalle parole e dalle immagini, non a caso laureata in lettere e storia del costume. Entrambi intraprendono due strade coerenti con i loro percorsi di studio: Luca nell’headquarter di una grande multinazionale e Camilla nel mondo dell’editoria e della pubblicità. Fino a che non si imbattono in un reportage pubblicato da National Geographic che illustra per filo e per segno le dimensioni e l’ impatto socio-economico dello spreco produttivo nel comparto agroalimentare. “La cosa che ci ha colpito maggiormente è proprio il fatto che gran parte di questo spreco viene generato solamente da canoni estetici definiti a tavolino dalla grande distribuzione e dunque del tutto innaturali. Gli agricoltori oggi sono costretti a scartare (rimettendoci gran parte dei loro già scarsi guadagni) tutta quella parte della loro produzione, buona, ma che magari non è perfetta per via del vento, della grandine o dello sfregamento con altri frutti, oppure non ha una forma regolare o una dimensione standard”. Stiamo parlando di “difetti” del tutto inevitabili e naturali nella vita di una pianta che comportano uno scarto fisso di circa il 20% della produzione totale, che arriva fino al 50-60% nel caso della grandine. “Se poi l'agricoltore riesce a vendere all'industria questi “scarti”, per la produzione di succhi e distillati, gli viene riconosciuto mediamente il 10% del valore di mercato della merce. Ma se si considera che i prezzi al produttore di alcuni frutti di prima scelta sono talmente bassi che alle aziende agricole non conviene nemmeno sostenere i costi di raccolta, potete immaginare quanto sia difficile caricarsi degli stessi oneri per la merce di “scarto” che quindi viene lasciata marcire nei campi”.

Bella Dentro

Mettici la testardaggine di entrambi e l’incoscienza dei 28 anni, i due fondano Bella Dentro. Un progetto che vuole privilegiare la qualità e non l'apparenza, attraverso una filiera alternativa, che racconti la naturalezza e la bontà di un “difetto”. “Volevamo dare la possibilità ai consumatori di fare una scelta di buon senso, ridando giusto valore non solo a quel prodotto ingiustamente definito “scarto”, ma soprattutto a chi ogni stagione, con pazienza e dedizione, ha investito tempo, denaro e fatica per vederlo nascere”. Come funziona? “Acquistiamo direttamente dagli agricoltori quella parte di produzione ortofrutticola buona, ma che gli viene scartata dalle cooperative e dalla grande distribuzione per motivi estetici. Poi raccontiamo la storia di questi prodotti attraverso eventi e attività di comunicazione, per far capire a più persone possibili quanto siano naturali questi difetti e quanto la qualità e il gusto vadano oltre le apparenze”.

I produttori coinvolti

Ad appoggiare il loro progetto molti produttori, soprattutto romagnoli. “Il viaggio di Bella Dentro è partito dalla Romagna, più precisamente tra Faenza e dintorni. Inutile dire che l’accoglienza è stata meravigliosa. Sono bastate tre settimane, pochi incontri e qualche lunga chiacchierata per coinvolgere nel progetto una bella schiera di agricoltori appassionati”. Tutti produttori che quando si trovano tra le mani frutta o verdura non standard, come le romantiche prugne a forma di cuore, i kiwi detti farfalloni (frutto dell'unione di due fiori femminili) o i porri giganti che proprio non ci vogliono entrare nelle confezioni standard, ecco quando si trovano di fronte a queste “stranezze” (che poi tanto stranezze non sono) contattano Luca e Camilla per vendere la merce che altrimenti sarebbe svenduta o addirittura buttata.

Frutta brutta ma buona, della start up Bella Dentro

Dove si trovano i prodotti belli dentro

La fase di vendita è partita da sole due settimane e avviene nella loro ApeBellaDentro, che per ora gira a Milano ed è riconoscibile in quanto ricoperta d’erba, ma in progetto c'è un calendario con tutte le tappe: “Avendo una licenza di commercio ambulante itinerante, non possiamo sostare per più di due ore nello stesso luogo; così a breve metteremo un calendario online con tutte le tappe. Statisticamente è molto probabile che l'ape la troviate vicino all'ufficio, alla scuola di vostro figlio o vicino a casa. In futuro, una volta rodata la vendita su strada, ci sarà anche la possibilità di fare gli acquisti online, ma il punto di ritiro rimarrà comunque la nostra apecar”. Un progetto virtuoso, il loro, che è stato promosso anche da alcuni ristoranti milanesi, come Rob de Matt o il ristorante di Mare cultura urbano.

 

www.belladentro.org

 

a cura di Annalisa Zordan

 

 

Che Vinitaly ci aspetta? Ecco tutte le novità

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Presentata a Roma la 52esima edizione. Il focus della fiera? Sui mercati del futuro: Cina, Russia e Usa motori dei consumi entro il 2022. Mantovani: "L'Italia deve lavorare sul posizionamento di qualità". Pronto il primo piano di comunicazione dell'Agenzia Ice.

 

 

Nella celebre smorfia napoletana, il numero 52 rappresenta la madre. E quando si pensa al vino Vinitaly è un po' la madre, reale e non certo onirica, di tutte le fiere. L'esposizione internazionale del vino e dei distillati stacca nel 2018 il cinquantaduesimo tagliando con diverse novità in programma dal 15 al 18 aprile prossimi, in attesa dell'eventuale nuovo ministro delle Politiche agricole. Su tutte, l'occhio sui mercati strategici d'esportazione, con l'obiettivo di dare un contributo importante alle imprese ponendosi sempre più come strumento di business.

La Fiera e la Città

Non è più, da qualche tempo, il Vinitaly che gareggiava con se stesso per battere i record di presenze annue. Perché è cambiata l'idea di fiera. Il grande pubblico (i cosiddetti wine lover) sarà accolto nel centro storico della città Patrimonio Unesco, e nei territori limitrofi da Soave a Bardolino fino a Valeggio sul Mincio, mentre gli addetti ai lavori si concentreranno tra i padiglioni dell'area espositiva. Va letto in questo contesto il dato sulle (sole) 128 mila presenze del 2017 rispetto alle 150 mila del 2015. Il presidente di Veronafiere, Maurizio Danese, lo spiega così: "Abbiamo iniziato un percorso di potenziamento del profilo professionale del visitatore e siamo stati l'unico organizzatore fieristico ad aver dichiarato di voler decrescere nel numero delle presenze generiche, aumentando al contempo quelle professionali. E ci siamo riusciti. Il lavoro non è ancor terminato, ma siamo sulla buona strada".

I numeri del Vinitaly 2018 e nuovi strumenti digitali

I numeri del Vinitaly 2018 dicono che saranno 4.310 gli espositori provenienti da 33 Paesi oltre l'Italia, su una superficie netta di centomila metri quadrati, sold out da dicembre 2017. "Dedicheremo grande importanza a due macro aree come il Nord America e Russia/Cina. Abbiamo investito risorse per attirare i buyer di un mercato più esteso", ha spiegato il dg di Veronafiere, Giovanni Mantovani. Lo scorso anno le presenze straniere sono state 48 mila con 30 mila top buyer stranieri accreditati (+8% sul 2016).

Tra gli strumenti nuovi per favorire l'incontro domanda/offerta c'è sicuramente la "Vinitaly directory", la piattaforma digitale in italiano, cinese e inglese e che sostituisce il tradizionale catalogo, utile agli operatori per selezionare in anticipo le imprese che interessano di più: circa 13 mila i vini inseriti e 4.319 gli espositori registrati. La directory funzionerà anche tutto l'anno, in modo da consentire all'espositore di inserire e promuovere eventi e degustazioni. Sono mille quelli direttamente invitati da Veronafiere, che sono interessati anche all'olio e al cibo di Sol&Agrifood. Vinitaly non è solo vetrina per gli italiani ma anche per gli stranieri, in aumento del 25%: da questa edizione, il salone a loro dedicato si chiama International wine hall. Previsti, come da diversi anni, il Vinitaly Bio e il salone dei vini artigianali Vivit e la collettiva della Fivi (federazione italiana vignaioli indipendenti).

Degustazioni speciali e food

Sarà un Vinitaly un po' meno congressuale e più da gustare. Oltre 90 le degustazioni, le mastrerclass e i walkaround tasting. Gambero Rosso schiera, domenica 15 aprile alle 11.30, i vini premiati nella guida Vini d'Italia con Marco Sabellico e Gianni Fabrizio. Tra le altre, i vini dolci dell'Austria, le donne del vino nel mondo, i vini seguiti dall'enologo Riccardo Cotarella, i seminari di Vinitaly academy sui vini santi italiani o sui bianchi invecchiati. La serata di gala sarà dedicata allo scomparso maestro Gualtiero Marchesi. Confermata la presenza dell'ambasciatore americano in Italia, Lewis M. Eisenberg (molto vicino a Donald Trump) durante l'evento Opera Wine, il grand tasting che apre il Vinitaly. Sarà inevitabile il discorso sulle tasse. Dopo la firma di Trump per quelle sull'industria pesante, gli occhi sono puntati su vino e agroalimentare. Su questo punto, il numero uno di Ice, Michele Scannavini, è guardingo ma ottimista: "Quando si parla di guerra commerciale e, considerando che la guerra fa solo vittime, penso anche che a questo non si arrivi mai. Il tema dazi Usa va certamente seguito con molta attenzione. Ma faccio anche notare" dice a Tre Bicchieri "che l'Italia nutre grandi aspettative sui trattati di libero scambio che ha appena firmato col Giappone, col Canada e col Vietnam. Si sta andando in una direzione, secondo me, favorevole per l'industria italiana e mi auguro che non si torni indietro".

Focus su mercati strategici

Stati Uniti, Cina, Russia, Giappone e Germania: cinque grandi clienti del made in Italy sui cui, a partire dal continente americano, Vinitaly, in collaborazione con Wine Monitor, ha deciso di dedicare dei focus specifici d'approfondimento. L'outlook Il futuro dei mercati, i mercati del futuro, illustrato in anteprima a Roma durante la conferenza di presentazione del Vinitaly, dice che cambierà la geografia dei consumi, concentrandosi via via al di fuori dei confini europei, con una redistribuzione del peso dei Paesi acquirenti. Entro il 2022, questo il dato macro da tenere ben presente per l'Italia, saranno nell'ordine Cina (+38,5%), Russia (+27,5%), Stati Uniti (+22,5%) e Giappone (+10%) i motori della crescita dei consumi, grazie a tre fattori congiunturali definiti decisivi: l'aumento delle classi benestanti (la upper class in Russia rappresenterà anche il 25% della popolazione); lo spostamento degli abitanti verso le grandi città, con tassi di urbanizzazione che nella sola Cina arriveranno al 63%; la crescita del Pil pro capite che, ad esempio, negli Stati Uniti passerà dai quasi 60 mila dollari annui a 70 mila dollari e in Cina è previsto in incremento del 10,6%.

Il futuro del vino italiano

Nel dettaglio, entro il 2022, la Germania importerà vino dall'Italia con un tasso annuo a valore tra -0,2% e +0,8% a fronte di consumi tra -0,4% e +2%; qui l'Italia detiene il 36% del mercato, con prezzi medi tra 2,2 euro per i fermi e 2,9 euro per gli spumanti. Pressoché stazionario anche un altro mercato decisivo per la nostra bilancia commerciale come il Regno Unito (Italia ha il 21% delle quote), con incrementi annui nei consumi tra 0,7% e 1,5% e import da Italia tra 0,5 e 1,5%. Dal Giappone, dove l'Italia ha il 12% delle quote di mercato, considerando un trend crescente dei consumi tra 2012 e 2017, entro il 2022, c'è da aspettarsi una crescita annua degli acquisti dall'Italia tra 1% e 3% a fronte di un +0,5/2% nei consumi, con fattori chiave come ready to drink e vini fermi, ma anche un incremento del Cava spagnolo. In Russia, la domanda di vino in ripresa, così come il Pil pro capite, porteranno il Paese a consumi nei prossimi cinque anni tra +2,5% e +6%, con un import dall'Italia (oggi al 29% delle quote) tra 4% e 7%, sia sui fermi sia sugli spumanti. La Cina, dove l'Italia vale il 6% del mercato, vanta un tasso stimato di crescita tra 6% e 9% nei consumi a valore e tra 7% e 8,5% sul valore dell'import dall'Italia; qui gli 800 milioni di utenti dell'e-commerce e i vini fermi rossi faranno la differenza. Infine, gli Stati Uniti, dove l'Italia detiene il 31% delle quote a valore, si prevede un consumo crescente tra 2% e 4%, con un import dall'Italia tra 3,5% e 5,5% a valore; la partita si gioca sulla Prosecco-mania, su rosati e sui vini locali.

La posizione dell'Italia

Come collocare l'Italia in questo scenario? Bene e male, allo stesso tempo. Bene, perché negli ultimi dieci anni è stata una sorta di locomotiva, con una crescita in valore doppia (+69%) rispetto a quella francese, con 16 Paesi in cui il vino italiano è market leader (ma con una Francia che ne detiene ben 29). Male, perché "c'è una lontananza siderale dai mercati del futuro", come ha fatto notare il responsabile di Wine Monitor, Denis Pantini. In altre parole, l'Italia che viaggia bene nell'emisfero boreale, non sfonda nel sud del mondo e in Cina, con quote di mercato che, tranne poche eccezioni, mai raggiungono la doppia cifra. Ecco perché non c'è troppo da esultare per il nuovo record delle esportazioni nel 2017, quasi a 6 miliardi di euro. Maurizio Danese, presidente di Veronafiere, parla di motivi strutturali, geopolitici, di marketing e di una Italia troppo poco organizzata e decisiva nel posizionamento di un prodotto "il cui vero discriminante sarà sempre più quello del prezzo e non del volume". Per uscire da un certo "nanismo" delle imprese italiane e affrontare i mercati serve "un brand ombrello", ha osservato Danese. "Siamo una superpotenza enologica ma dai numeri emergono segnali contraddittori. In futuro" ha evidenziato Giovanni Mantovani, dg di Veronafiere "dobbiamo essere in grado di cavalcare alcune tendenze che ci favoriscono, come quella degli sparkling, che per l'Italia è stata l'arma vincente degli ultimi anni, con una crescita tra 2007 e 2017 del 240% a fronte di una media del segmento del +50%". Motivo per cui Vinitaly punta a lavorare "sempre di più fuori dai confini nazionali, anche in stretta collaborazione con l'Agenzia Ice".

La campagna dell'Ice

Proprio la conferenza di presentazione romana è stata la sede in cui Agenzia Ice ha scelto, dopo la serata di New York del 26 marzo, di presentare il video, della prima Campagna di comunicazione globale per la promozione del vino italiano. Italian wine – Taste the passion è il claim col quale si punta ad affermare un posizionamento esclusivo per i vini italiani associandolo a contenuti simbolici che puntano su cultura, territorio, lifestyle tipicamente italiani. Tra maggio e luglio e tra settembre e dicembre, l'iniziativa partirà negli Stati Uniti, a cui seguirà la Cina. La campagna è frutto del lavoro collettivo del Tavolo vino convocato un anno fa da Mise, Mipaaf e Ice, in collaborazione con Uiv, Federvini e Federdoc. Con un investimento nei primi 12-18 mesi di otto milioni di euro negli Stati Uniti (che saranno 20 in tre anni) e di tre milioni di euro in Cina, il progetto vino dell'Agenzia Ice prevede l'organizzazione di piani di formazione, missioni in Italia per trade e giornalisti, eventi specifici negli Usa (negli stati di New York, Florida, California, Illinois e Texas), collaborazioni con catene di distribuzione e ristorazione, e l'apertura del desk vino presso l'Ice di New York, con funzioni di assistenza per le aziende italiane. "La sfida" per il presidente Ice, Michele Scannavini "è elevare il posizionamento italiano nel mercato statunitense e riconquistare la leadership assoluta in valore".

 

a cura di Gianluca Atzeni

 

Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri del 29 marzo

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Il Rum è Servito a Roma. La cena da Livello1 con Ron Zacapa e la cucina di Mirko Di Mattia

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L'11 aprile quinto appuntamento del tour Il Rum è Servito, giunto alla sesta edizione. Protagonisti in tavola i piatti di Mirko di Mattia e i rum di Ron Zacapa. Il menu della serata. 

Procede spedita la carovana de Il Rum è Servito, la rassegna dedicata alla cultura del rum tra le migliori tavole della Penisola, per un insolito abbinamento a tutto pasto tra le etichette guatemalteche di Ron Zacapa e la cucina creativa di talentuosi chef italiani. Con la collaborazione di Gambero Rosso, la storica azienda guatemalteca vuole raccontare l'arte della distillazione della canna da zucchero e insegnare come si può bere consapevolmente concedendosi il piacere di degustare un prodotto di qualità. Per farlo, da qualche anno a questa parte, propone tre delle varianti della sua gamma - Ron Zacapa 23 – gusto morbido e sentori di frutta tropicale e vaniglia – Ron Zacapa 23 Etiqueta Negra – più intenso, con note di cioccolato e spezie – Ron Zacapa XO – aroma di tabacco, caramello e cannella - agli ospiti di cene speciali, all'insegna di The art of slow, un motto che strizza l'occhio al desiderio di rallentare il ritmo per godere dei piaceri della tavola, e del buon bere.

La cena da Livello1

Aprile si aprirà a Milano, sui Navigli del Pont de Ferr (appuntamento il 3, qui il menu), e proseguirà alla volta della Capitale, dove Ron Zacapa sarà protagonista l'11 del mese, accolto al quartiere Laurentino, nell'elegante spazio di Livello1, cucina di mare di grande personalità. A ideare il menu il giovane chef Mirko Di Mattia, ispirato dalla freschezza del pesce in arrivo dal litorale laziale e da una capacità spiccata per l'accostamento di sapori, che privilegia sempre la materia prima. Nel corso della serata, con l'inaspettato coupe de teatre riservato al dessert (un risotto ai ricci!), anche un cocktail a base rum, il Purple Daiquiri. Ecco il menu, proposto al costo di 70 euro a persona, abbinamenti inclusi:

 

 

Degustazione di olio extravergine Itrana Villa Pontina con pane di nostra produzione a lievitazione naturale

 

Salmone lock fyne in consistenza di barbabietola rossa

Zacapa Purple Daiquiri

 

Cazziarielli al rafano, zuppetta di ceci, gel di pepe di Sichuan, salsa al rafano e tartare di tonno

Zacapa Gran Reserva Edicion Negra

 

Ricciola marinata, crema di patate alle erbe, cipolla, lamponi, crema di nocciole e polvere di burro affumicato

Zacapa Gran Reserva Edicion Negra

 

Risotto ai ricci

Zacapa X.O.

 

Si prenota ai recapiti del ristorante.

 

Livello 1 – Roma – via Duccio di Buoninsegna, 25 – 065033999 – www.ristorantelivello1.it

I festival gastronomici di aprile. 8 appuntamenti da non perdere

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Tanta pizza e tanto vino nel mese di aprile, che insieme alla primavera e al risveglio della natura, porta con sé una serie golosa di manifestazioni gastronomiche. Gli eventi da appuntare in agenda.

 

Fish&Chef - Lago di Garda

I migliori prodotti del Lago di Garda a Fish&Chef 2018. Saranno sei gli appuntamenti previsti per la nona edizione del festival dedicato al territorio lombardo, dal 22 al 27 aprile: un tour itinerante che partirà dal Desco di Matteo Rizzo, Verona,per concludersi nel “gran finale a dieci mani” con gli chef del Dream Team (Baiocco, Costantini, Mantovanelli, Bufi, Di Novo) all’Hotel Bellevue San Lorenzo di Malcesine (VR) il 27 aprile. In mezzo, l’appuntamento del 24 aprile al Grand Hotel Fasano di Gardone Riviera (BS) con Anna Corradi, quello del 26 aprile presso Palazzo Arzaga con Alessandro Gilmozzi, Terry Giacomello al Regio Patio Gourmet Restaurant Garda il 25 aprile. Per una kermesse di 6 serate, 6 cene esclusive che portano la firma di chef talentuosi che hanno tratto da questo lago l'ispirazione per la loro cucina. Un punto di incontro tra i cuochi migliori del territorio, e le tante eccellenze che caratterizzano la gastronomia locale, dal pesce d'acqua dolce ai vini, dall'extravergine alla carne.

Fish&Chef - evento diffuso - dal 22 al 27 aprile 2018 - www.fishandchef.it

La Città della Pizza – Roma

Seconda edizione per la rassegna promossa da Vinòforum per raccontare la cultura della pizza e i suoi protagonisti più meritevoli. Torna La Città della Pizza, una tre giorni al Guido Reni District, trasformato per l'occasione in una grande fucina della pizza, in compagnia di 40 pizzaioli italiani. Un'occasione per approfondire la conoscenza di un settore in crescita e sempre più diversificato, riunendo nel grande spazio attrezzato ambasciatori dei differenti approcci alla materia. Gabriele Bonci, Ciro Salvo, Stefano Vola, Isabella De Cham, Matteo Aloe, Franco Pepe, Enzo Coccia, Marzia Buzzanca, Gino Sorbillo: sono solo alcuni dei nomi dei grandi artigiani che prenderanno parte alla kermesse dedicata all'arte bianca a Roma. Ai fritti, Arcangelo Dandini e Pasquale Torrente. 12 le postazioni attrezzate con i forni per ospitare ogni giorno 12 differenti pizzerie in rappresentanza degli stili che oggi identificano la varietà dello scacchiere italiano (l'ingresso è gratuito, la pizza si acquista in gettoni da 1 euro). In abbinamento le birre di Baladin e le bollicine del Consorzio di tutela Prosecco Doc.

La Città della Pizza – Roma – Guido Reni District - dal 6 all'8 aprile 2018 - www.lacittadellapizza.it

Pizza a Vico 2018 - Vico Equense

Ancora pizza, stavolta in una terra che ha fatto del disco di pasta lievitata il suo simbolo nel mondo. In Campania, a Vico Equense, torna Pizza a Vico, la festa dedicata all'arte bianca e pensata per valorizzare il lavoro dei maestri pizzaioli e dei migliori produttori locali. Sono 25 le pizzerie protagoniste della seconda edizione dell'evento, durante il quale i grandi artigiani dell'impasto proporranno al pubblico le loro specialità, con un occhio di riguardo alle materie prime del territorio. Una manifestazione ancora una volta a scopo benefico (la prima edizione ha contribuito al rifacimento della facciata dell'ex cattedrale locale, l'incasso della seconda è stato interamente devoluto al Comune per il miglioramento delle strutture sanitarie). Fra le pizzerie protagoniste Al Buco, Cerasè, Frate Cosimo, Pizza a Metro, Ma che Bontà, Mordi e Fuggi, Oasi Saltimbocca e molte altre ancora.

Pizza a Vico - Vico Equense (NA) - dal 15 al 17 aprile 2018 - www.pizzaavico.it

Porcelli d'Autore

Un appuntamento culturale e gastronomico,un viaggio attraverso i sapori della tradizione italiana e le usanze contadine e popolari che hanno scandito, in passato, i tempi della vita delle comunità. Dal 12 al 15 aprile va in scena la prima edizione di Porcelli d'Autore, un evento dedicato a tutti i prodotti di derivazione suina, alle tecniche di allevamento e di lavorazione delle carni. Un'occasione imperdibile per scoprire le origini di alcune delle specialità più apprezzate in Italia e nel mondo, attraverso laboratori, dibattiti, convegni e forum, all'insegna del confronto con i produttori, gli allevatori, e i vari esperti del settore. Tanti gli assaggi e le degustazioni guidate, così come i seminari tenuti dai professionisti, ma altrettanti anche gli spettacoli, i giochi, la musica dal vivo e le attività pensate per i più piccoli. Per una festa all'insegna del gusto e del divertimento nel capoluogo emiliano.

Porcelli d'Autore – Bologna – Parco Nord, via Stalingrado – dal 12 al 15 aprile 2018 - porcellidautore.com/

Salumi da Re - Polesine Parmense

Manca sempre meno alla quinta edizione di Salumi da Re, che come ogni anno sarà occasione di approfondimento, assaggi e confronti dedicati all’arte della norcineria italiana. L'evento ideato e organizzato dai fratelli Spigaroli e dal Gambero Rosso a Polesine Zibello, nel cuore della Bassa Parmense, sarà ospitato ancora una volta dall’Antica Corte Pallavicina, no dei templi della salumeria italiana famoso a livello internazionale, situato in un castello rinascimentale ristrutturato che oggi ospita un relais, un ottimo ristorante (Due Forchette nella nostra guida Ristoranti d’Italia 2018) e le cantine di stagionatura di mitici culatelli. Un'occasione per assaggiare e acquistare alcune delle espressioni più alte della salumeria nazionale, accompagnarle a vini e birre artigianali, conoscere i più validi interpreti della norcineria made in Italy. Ma il cuore della manifestazione sarà nuovamente il Gran Palco del Maiale, dove sabato e domenica si avvicenderanno gli appuntamenti del programma 2018, una maratona di incontri serrati sugli argomenti più caldi, condotti da Mara Nocilla, giornalista del Gambero Rosso e curatrice per l'editore della guida Grandi Salumi. Ad accompagnarla, ci saranno Giorgio Melandri (giornalista enogastronomico, collaboratore della nostra guida Vini d’Italia) e Mauro Pellegrini (presidente dell’UDB). E soprattutto, Salumi da Re 2018 vedrà la partecipazione di Fulvio Pierangelini, un vero artista dei fornelli, per tanti anni primo chef italiano e Tre Forchette nella nostra guida dedicata ai ristoranti.

Salumi da Re - Antica Corte Pallavicina, Polesine Zibello (PR) - dal 7 al 9 aprile 2018 - www.salumidare.it

S. Pellegrino Sapori Ticino – Canton Ticino

Si protrarranno dal 9 aprile al 17 giugno le cene con gli ospiti della manifestazione che valorizza il territorio del Canton Ticino, nelle realtà più prestigiose dell'hotellerie svizzera. Grandi Chef, altissima gastronomia, vini di eccellenza e luoghi magici dall’accoglienza unica: tutto questo è S.Pellegrino Sapori Ticino, che oggi costituisce una delle manifestazioni d’eccellenza per l'intero territorio. “Quest’anno abbiamo voluto portare in Canton Ticino un assaggio di quelle che sono le tradizioni culinarie di Paesi lontani, naturalmente in chiave di alta gastronomia” ha spiegato Dany Stauffacher, patron del Festival, “in tempi come i nostri, nei quali la cucina etnica è una realtà sempre più all’ordine del giorno, abbiamo scelto di aprirci al mondo invitando grandi chef internazionali che, quest’anno più che mai, rappresenteranno stili, usanze e sapori sempre diversi tra loro. Un’edizione ricca di spunti e cultura come non mai, voluta non a caso proprio per il 2018, anno che vede Lugano diventare Città svizzera del Gusto”. Si comincia il 9 con Oltre Gottardo, per proseguire poi all'Hotel Schweizerhof di Berna, e ancora all'Hôtel Beau-Rivage di Ginevra. Anand Gaggan, Claudio Bollini, Frank Oerthle, Paolo Casagrande: questi e molti altri gli chef protagonisti delle cene d'autore in scena nei prossimi mesi.

S. Pellegrino Sapori Ticino – evento itinerante – dal 9 aprile al 17 giugno 2018 - www.ticino.ch/it/events/details/Sapori-Ticino-2018/110276.html

Vinitaly – Verona

Appuntamento immancabile ogni anno ad aprile è Vinitaly, la grande manifestazione dedicata agli amanti del buon bere, in scena a Verona dal 15 al 18 aprile. Giunta alla sua 52esima edizione, la fiera enologica si prepara a ospitare ancora una volta aziende, produttori e appassionati, con uno sguardo sempre più internazionale, e anche molto più naturale. 4.319 espositori da 33 Paesi, e diverse new entry: questi i numeri di Vinitaly, che dopo l'ingresso di Andorra, Kosovo e Giappone per la prima volta presenti nell'edizione dello scorso anno, per questa edizione apre le porte anche a Etiopia, Danimarca e Santo Domingo. Tante nuove aziende in arrivo da Francia, Spagna, Croazia, Georgia, Portogallo, Ungheria, Azerbaijan, Usa, America del Sud, Australia, per un salone dei vini di ampio respiro, aperto e dinamico, soprattutto in grado di trasformarsi di anno in anno. Sempre più alta anche l'attenzione all'offerta “green” con le aree ViVIT, VinitalyBio e Fivi. Presente, come sempre, il Gambero Rosso, con la grande degustazione Tre Bicchieri, e poi il 16 aprile al Sol, con la presentazione della guida Oli d'Italia 2018.

Vinitaly - Verona - VeronaFiere viale del Lavoro, 8 - dal 15 al 18 aprile 2017 - www.vinitaly.com

VinNatur – Vicenza

Un evento unico nel suo genere, pensato per avvicinare il pubblico al mondo dei vini naturali: VinNatur, l'associazione impegnata nella preservazione dell’individualità del vino dall’omologazione che chimica, tecnologia e industrializzazione hanno portato nelle attività vitivinicole, torna a Villa Favorita per una tre giorni all'insegna del gusto della terra. Un festival che chiama a raccolta i viticoltori europei vogliosi di condividere tecniche ed esperienze per produrre vino in maniera naturale, sia in vigna che in cantina. Fra degustazioni, assaggi e confronti, la festa del vino naturale pone nuovamente l'attenzione sull'obiettivo dell'associazione, ovvero quello di restituire valore al lavoro dei vignaioli naturali, facendo rete tra i vari produttori e dando visibilità a tutti quegli artigiani che lavorano in maniera etica, e in armonia con l'ambiente.

VinNatur – Roma – Villa Favorita – dal 14 al 16 aprile 2018 - www.vinnatur.org/

a cura di Michela Becchi

 

Cucina di Casa. Il menù di Pasqua 2018: Fiadoni, Torta pasqualina, Crespelle agli asparagi, Agnello e Pastiera napoletana

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Cinque ricette per un menù di Pasqua che tocca varie regioni italiane. Si comincia con i fiadoni, tipici della prima colazione pasquale in alcune zone dell'Abruzzo, e la ligure torta pasqualina. E si continua con le crespelle agli asparagi, l'immancabile agnello e la pastiera napoletana.

 

Uova, agnello, ricotta, piselli e primizie, carciofi, erbette, cioccolato. Siamo di nuovo giunti alla “saga della Pasqua”. Una festa religiosa, la festa della rinascita, la festa della primavera, della natura che fiorisce dopo il freddo inverno. E allora, il cibo diventa sia simbolico che stagionale. A cominciare dall'agnello generalmente cucinato arrosto e accompagnato dalle primizie di stagione, patatine novelle, asparagi, carciofi, spinaci e insalatine di misticanza. Per continuare con le uova, simbolo per eccellenza della vita che rinasce; di cioccolato per i bambini (qui le migliori 3 creazioni d’autore, le uova 3D di Marco Colzani, le uova torronate di San Marco dei Cavoti, e Giraudi e le uova preistoriche di Giacomo) e sode, magari con il guscio colorato, per l’antipasto o la per la prima colazione. Le ricette che vi proponiamo per l'occasione non seguono una tradizione regionale particolare, anzi coinvolgono diverse regioni. Abbiamo i fiadoni, la torta pasqualina, le crespelle agli asparagi e l'immancabile agnello. Per concludere? O la pastiera napoletana oppure la colomba che vi consigliamo di comprare da chi la sa fare. Qui la nostra classifica.

Fiadoni

Questi saporiti fagottini salati sono uno dei prodotti tipici della prima colazione pasquale in alcune zone dell'Abruzzo. Una colazione decisamente ricca che prevede fra l'altro la coratella di agnello con i carciofi e la "caciata" (una spessa frittata arricchita con salsicce e pecorino grattugiato) e che viene offerta anche agli amici in visita. Durante la cottura considerate che l'impasto di formaggio e uova cresce, si gonfia e di conseguenza tende a sfiatare formando il caratteristico "ricciolo". Volendo evitare la fuoruscita del ripieno, si può incidere la parte superiore con la punta delle forbici o con due taglietti incrociati.

Ingredienti per la pasta

500 g di farina

4 uova

1 tuorlo per dorare

1 cucchiaio d'olio d'oliva

Sale

Per il ripieno

5 uova

250 g di formaggio grattugiato (metà pecorino e metà parmigiano)

Pepe

Preparazione: 40 + 30 minuti di riposo per la pasta. Per la pasta, setacciate la farina sulla spianatoia, amalgamatevi un cucchiaino da caffè di sale, fate la fontana e versatevi le uova sbattute e un cucchiaio d'olio. Dopo aver amalgamato le uova fra di loro con la forchetta, incorporate poco per volta la farina e impastate energicamente per una decina di minuti ottenendo una pasta soda ed elastica. Raccoglietela a palla, avvolgetela con la pellicola e lasciatela riposare per almeno mezz'ora.

Per il ripieno, rompete le uova in una ciotola, unite i formaggi e abbondante pepe appena macinato e mescolate ottenendo un composto semidenso. Stendete la pasta formando delle strisce di sfoglia non troppo sottile (se utilizzate la macchinetta, effettuate l'ultimo passaggio nel penultimo spessore). Allineatevi dei mucchietti di ripieno grandi come una noce distanziandoli di 7-8 centimetri. Ripiegate sopra il lembo di pasta libero e premete con le dita intorno al ripieno in modo da far uscire l'aria. Ritagliate i fiadoni con la rotella dentata formando delle mezzelune e, tenendo la rotella di piatto (orizzontale), premetela tutto intorno per sigillare bene. Allineate i fiadoni in una placca foderata di carta da forno, pennellateli con il tuorlo diluito con un cucchiaio d'acqua e cuoceteli nel forno a 180° C per poco più di 20 minuti, fino a quando saranno dorati. Serviteli tiepidi o freddi.

 

Torta pasqualina

Torta pasqualina

La torta pasqualina è una delle preparazioni classiche della cucina ligure e, come dice il nome, è il piatto tipico del giorno di Pasqua. La ricetta originale prevede infatti che le sfoglie che racchiudono il ripieno siano ben 33 a simboleggiare gli anni di Cristo. Con gli anni il numero di sfoglie è andato diminuendo e la torta pasqualina la si trova anche chiusa da due soli fogli di pasta.

Ingredienti

400 g di farina

3 cucchiai di olio extravergine d'oliva

Sale

Per il ripieno

1 kg di bietola da taglio

400 g di ricotta di pecora freschissima

5 uova

1/2 cipolla tritata

2 manciate di parmigiano grattugiato

Olio extravergine d'oliva

Poco burro

Maggiorana

Sale e pepe q.b.

1 cannuccia

Preparazione: 60 minuti + il tempo per il riposo dell'impasto. Mondate le bietole, conservando soltanto la parte verde, lavatele in abbondante acqua corrente, tagliatele a striscioline e scottatele per due o tre minuti in acqua salata in ebollizione. Scolatele e lasciatele raffreddare.

Setacciate la farina sulla spianatoia, fate la fontana e versatevi i tre cucchiai d'olio, il sale sufficiente e tanta acqua tiepida per ottenere una pasta morbida. Amalgamate gli ingredienti con la punta delle dita incorporando, poco per volta, tutta la farina. Lavorate energicamente la pasta fino ad averla liscia e ben amalgamata. La pasta deve risultare morbida e soffice ma, se si attacca alle mani, aggiungete ancora farina. Quando è pronta, raccoglietela a palla, copritela con un canovaccio piegato in quattro e lasciatela riposare per almeno mezz'ora sotto una ciotola rovesciata. Rosolate la cipolla in una padella con due cucchiai d'olio, unitevi le bietole strizzate e fatele insaporire qualche minuto. Quindi mettetela in una ciotola e mescolatela con la ricotta, il parmigiano, due uova sbattute, un cucchiaio di maggiorana, sale e pepe. Dividete la pasta in quattro parti e stendetene una a disco e assottigliatelo il più possibile, allargandolo con il dorso delle mani. Ungete d'olio una tortiera (22 centimetri) a bordi alti e svasati, infarinatela e foderatela con la sfoglia preparata lasciando debordare quest'ultima. Versatevi il ripieno preparato (se fosse troppo consistente, diluitelo con qualche cucchiaio di latte), pareggiatelo e ritagliate la pasta a circa due dita dal bordo. Praticate tre fossette nel ripieno, a distanza regolare e rompetevi le uova. Mettete un fiocchetto di burro sopra ogni uovo quindi preparate un altro disco di pasta e coprite il ripieno. Ritagliate la pasta tutto intorno nelle stesse dimensioni del primo disco e inserite una cannuccia da bibita fra il ripieno e la sfoglia di copertura. Pennellate d'olio tutta la superficie della torta. Tirate le altre sfoglie e sovrapponetele a questa sempre ungendo e ritagliando l'eccedenza. Durante tutte le operazioni, conservate i pezzi di pasta ben coperti per non farli asciugare. Partendo dalla cannuccia, rivoltate verso l'interno gli strati di pasta che debordano dalla tortiera formando un cordolo. Soffiate dentro la cannuccia fino ad avere la torta ben gonfia quindi sfilatela sigillando contemporaneamente il foro. Mettete la torta nel forno già scaldato a 180° C lasciandola cuocere circa un'ora. Servitela tiepida o fredda. Può essere preparata anche il giorno prima, conservandola in frigorifero.

 

Crespelle agli asparagi

Crespelle agli asparagi

Ingredienti per le crespelle

190 g di farina

380 g di latte

3 uova

45 g di burro più un poco per la padella

Sale q.b.

Per la farcitura

24 asparagi grossi (o 36 se più piccoli)

100 g di burro

380 g di latte

50 g di farina

80 g di parmigiano grattugiato

Noce moscata

Sale e pepe bianco q.b

Preparate la pastella per le crespelle (mescolando tutti gli ingredienti) e dopo averla fatta riposare preparate l2 crespelle con una padellina antiaderente da 16 centimetri. Via via che sono pronte, impilatele in una piatto. Radunate gli asparagi, pareggiateli dalla parte delle punte e tagliateli a l5 centimetri di lunghezza. Usando il pelapatate, spellateli partendo da tre dita dalla punta, facendo attenzione a non romperli. Dopo averli ben lavati, riunite gli asparagi a mazzetti, legateli in due punti con spago da cucina e lessateli, sistemando i mazzetti in piedi, in una pentola alta e stretta con due dita di acqua salata in ebollizione. Lasciateli cuocere per un quarto d’ora scarso (un po’ meno se li asparagi sono piccoli).

Scaldate il latte. Fate sciogliere il burro in una piccola casseruola e, mescolando, unitevi la farina setacciata. Continuate a mescolare e quando il composto comincia a schiumare, togliete la casseruola dal fuoco e unite il latte caldo e il sale mescolando energicamente per non fare grumi. Rimettete la casseruola sul fuoco moderato e continuate a mescolare fino a che la salsa non prende l'ebollizione. lasciate cuocere per una decina di minuti e, infine, insaporite con pepe e noce moscata. Fuori dal fuoco, amalgamate alla salsa il parmigiano lasciandone da parte due cucchiaiate. Allargate le crespelle sul tavolo e farcite ognuna con tre asparagi e una cucchiaiata di salsa. Arrotolatele e accomodatele in una pirofila. Spalmate con un velo di salsa e spolverate con il parmigiano. Passatele per 15 minuti nel forno scaldato a 200° C. Fate riposare la preparazione per qualche minuto prima di servirla.

 

Agnello pasquale

Agnello pasquale

Ingredienti

1 cosciotto di agnello di circa 1,2 kg

800 g di patatine novelle

4 cucchiai d’olio extravergine d’oliva

1/2 bicchiere di vino bianco

3 spicchi d’aglio

6 cipollotti freschi

Rosmarino

Sale e pepe q.b.

Dal macellaio fatevi tagliare l’agnello a grossi pezzi. Fate scaldare il forno a 180° C. Scaldate la metà dell’olio in una teglia e fate rosolare i pezzi di carne a fuoco vivo per qualche minuto, girandoli continuamente per farli colorire in maniera uniforme. Insaporite con sale e pepe e rosmarino e sfumate con il vino. Trasferite la teglia nel forno già caldo e proseguite la cottura per circa 1 ora girando un paio di volte i pezzi di carne. Chiudete le patatine dentro un panno ruvido insieme a una manciata di sale grosso e strofinate energicamente fra le mani per togliere la pelle (in alternativa usate il pela patate). Lavatele, asciugatele e mettetele in una teglia. Unitevi gli spicchi d’aglio in camicia, i cipollotti (mondati dal ciuffo di foglie), il rosmarino, l’olio e il sale e mettetele nel forno già caldo per circa mezz’ora. Trascorso questo tempo, quando agnello e patate sono quasi cotti, mescolate il contenuto delle due teglie e terminate la cottura. Servite l’agnello ben caldo.

 

Pastiera napoletana

Pastiera napoletana

Immancabile nella tavola di Pasqua dei napoletani, la pastiera è un dolce di antica tradizione che è rimasto pressoché immutabile nei secoli. Tranne ovviamente per il grano cotto che, una volta, veniva preparato esclusivamente in casa e che richiede tempi lunghissimi di ammollo e di cottura.

Ingredienti per la pasta frolla

300 g di farina

150 g di burro

150 g di zucchero

2 uova

1 pizzico di sale

Per il ripieno

1 scatola da 400 g di grano cotto (in alcuni supermercati e drogherie)

500 g di ricotta di pecora

100 cc circa di latte

200 g di zucchero

3 uova intere

3 o 4 cucchiai di acqua di fiori d'arancio

100 g di scorza di arancia candita

1 pizzico di sale

Cannella

Scorza di arancia

Poco burro e farina per lo stampo

Per la pasta frolla, setacciate la farina con un pizzico di sale in una ciotola larga, fate la fontana e mettetevi il burro morbido a pezzetti. Amalgamate burro e farina sfregandoli con la punta delle dita fino ad ottenere delle grosse briciole. Fate nuovamente la fontana, metteteci i tuorli e lo zucchero e impastate rapidamente, quel tanto che basta per ottenere un impasto omogeneo. Raccoglietelo a palla, avvolgetelo con la pellicola trasparente e lasciate riposare nella parte meno fredda del frigorifero per almeno un'ora.

Per il ripieno, fate bollire il latte in una piccola casseruola quindi, fuori dal fuoco, unitevi il grano e lavoratelo un po' con la forchetta per scioglierlo e ammorbidirlo (aumentate leggermente la dose di latte se necessario). Aggiungete anche lo zucchero e mescolate bene. Passate la ricotta dal setaccio lasciandola cadere in una ciotola. Unitevi il composto di grano ormai freddo, le uova intere, l'acqua di fiori d'arancio, il candito tagliato a dadini e la scorza grattugiata di mezza arancia. Amalgamate il tutto con cura.

Imburrate e infarinate una tortiera di 28 cm a bordi svasati di 4 cm di altezza. Stendete i due terzi della pasta frolla a uno spessore di circa mezzo cm e foderate la tortiera, ritagliando l'eccesso di pasta tutto intorno. Versatevi il ripieno quindi stendete il resto della pasta e, con la rotella dentata, ritagliate delle strisce larghe un paio di cm che disporrete a griglia sulla torta, formando dei rombi. Mettete la pastiera nel forno precedentemente scaldato a 180° C lasciandola cuocere per circa un'ora, fino a quando il ripieno sarà rassodato. Sfornate e lasciate raffreddare la torta senza toglierla dallo stampo. Preparatela con un giorno o due di anticipo, conservandola in frigorifero e servitela nello stesso recipiente di cottura.

Visite aperte all'Orto di Piazza Duomo. Ad Alba per scoprire l'importanza dell'orto per Enrico Crippa

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Si apre giovedì 5 aprile il calendario di visite guidate all'orto della Tenuta Monsordo della famiglia Ceretto, dove Enrico Crippa e il suo staff coltivano un orto che ha dell'eccezionale, per varietà di specie vegetali e sapere contadino applicato alla resa ottimale di un terreno che vive in tutte le stagioni dell'anno. Ed è linfa vitale per la cucina di Piazza Duomo. Ecco come partecipare. 

Enrico Crippa e i Ceretto. Un sodalizio vincente

Dal 2005 Enrico Crippa è parte della famiglia Ceretto. Un sodalizio professionale longevo, merito di una visione comune, tra la terza generazione di una prestigiosa dinastia del vino che ha saputo farsi mecenate di artisti e intellettuali (e il risultato si apprezza passeggiando tra le vigne dell'azienda e visitando il quartier generale di Alba) e lo chef originario di Carate Brianza, allievo di Gualtiero Marchesi, che da più di dieci anni guida con successo il ristorante Piazza Duomo, nel centro storico della cittadina piemontese. Ad Alba, sotto l'ala dei Ceretto – evidentemente mecenati per l'arte quanto in ambito gastronomico – Crippa ha trovato quella dimensione protetta e al contempo stimolante che gli ha permesso di affinare la sua sensibilità, mettere a sistema il bagaglio di competenze e attitudini maturate nel tempo, trovare un equilibrio fortemente identitario. Alimentato con forza dal rapporto che lega la sua cucina alla cura dell'orto, dove converge l'esperienza degli anni trascorsi in Giappone, quella al fianco di Gualtiero Marchesi e Michel Bras e la tradizione orticola locale “con particolare attenzione alla fitoalimurgica piemontese”, spiega il sito del ristorante.

L'orto di Piazza Duomo. L'idea e gli esiti

L'orto di Piazza Duomo è nato così, già nel 2005, dalla comune visione di Enrico Crippa e della famiglia Ceretto, sui terreni della Tenuta Monsordo Bernardina, a pochi chilometri da Alba (con l'aiuto, fondamentale, di Walter Danusso). Quattromila metri quadri d'appezzamento, più una serra di coltivazione, che lo chef visita ogni mattina per selezionare ortaggi, erbe e fiori per i menu del ristorante. Non certo l'unico esempio di chef che dall'orto tra ispirazione e linfa vitale per la sua cucina (tra gli esempi più celebri, oltralpe, quello di Alain Passard), ma di sicuro uno dei più proficui e tecnicamente congegnati, stando al risultato che si apprezza in tavola. E questo anche per la serietà delle ricerche che hanno ispirato la messa a coltura di circa 400 specie vegetali, tra botaniche e orticole, con grande attenzione alla selezione di piante edibili e sementi provenienti da circuiti locali e referenze da tutto il mondo. Ma anche il desiderio di riscoprire varietà antiche e particolari, per riportarle in auge e custodirne memoria. A seguire personalmente l'orto e la serra c'è un team rodato di giardinieri-ortolani: Enrico Costanza, Pietro Merlo, Nicola Borio, che provvedono alla cura delle coltivazioni con preparati ammessi in regime biologico e biodinamico. Banditi prodotti chimici e fertilizzanti di sintesi, nel rispetto di una filosofia cara alla famiglia Ceretto.

Foto di Lido Vannucchi

Dall'orto alla cucina

Dunque come risponde l'orto alle esigenze del ristorante? E come a sua volta ne influenza l'incedere? Chi ha avuto il piacere di sedersi almeno una volta alla tavola di Piazza Duomo, sa quanto maniacale sia l'esaltazione di primizie e prodotti serviti quando ancora sono in stadio di germogliazione, perché gusto e consistenza siano all'apice della freschezza, e l'impatto esteticamente perfetto: l'insalata 21-31-41-51, storico signature dello chef, è l'incarnazione più nota di questo pensiero, tra fiori, erbe e foglie che contribuiscono a regalare l'emozione d'insieme, seguendo un principio di iperstagionalità reso possibile proprio dal legame giornaliero con l'orto (e infatti il piatto è mutevole, con ingredienti in numero variabile, secondo stagione). Ma la ricerca applicata all'universo vegetale si esprime pure in passioni meno consuete, come quella che alimenta la collezione delle alofite: piante coltivate per la loro nota minerale e marina, come la salicornia, la mertensia, l'atreplice. Analoga attenzione per le erbe spontanee e i fiori edibili – dalla violetta alle primule, ai fiori di sambuco – e per le specie che in cucina si prestano alla trasformazione in prodotti fermentati e sottaceti.

 

Le visite all'orto

La (lunga) premessa, che definisce l'importanza dell'orto nel sistema Piazza Duomo, si rende necessaria per introdurre l'opportunità di visitarlo, quell'orto (che nel 2015 vinceva il premio Roero: orti e frutteti, dell'Enoteca Regionale del Roero, in passato andato pure a Michel Bras, Alain Ducasse, Victor Arguinzoniz), grazie al calendario di visite guidate che si attiveranno a partire dal 5 aprile, e ogni giovedì a seguire, in abbinamento alle degustazioni dei vini della Cantina Ceretto (25 euro con degustazione Le Langhe, 45 per le Sfumature del nebbiolo, 65 per i cru di Barolo e Barbaresco). L'appuntamento, solo su prenotazione e per un massimo di 12 persone per gruppo, è alle 10.30 in località San Cassiano 34, sede della Tenuta Monsordo. Qui, dopo la visita in cantina con degustazione, dalle 11.30 si procederà alla volta di serra e orto, accompagnati dagli ortolani che ci lavorano ogni giorno. Due ore per entrare in punta di piedi nel mondo di Enrico Crippa e di Piazza Duomo.

 

Per prenotazioni www.piazzaduomoalba.it o visit@ceretto.com

 

a cura di Livia Montagnoli

foto d'apertura di Bruno Murialdo


Pasqua 2018. L'uovo con le bacche di goji ispirato al Tamagotchi

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Ve lo ricordate quel giochino elettronico a forma di uovo in cui bisognava prendersi cura sin dalla nascita di una specie aliena chiamata Tamagotchi; ecco ora c'è un uovo ispirato a lui ed è buonissimo!

 

È rosa, healthy, esteticamente impeccabile. Gli ingredienti sono tutti nipponici, a cominciare dalle bacche di goji che ne caratterizzano il sapore equilibrato, elegante, rotondo e senza spigoli, con una struttura setosa, i giusti accenti acidi accompagnati da un’aureola di emozionanti sensazioni e da una pulizia esemplare. Un uovo che soddisfa il corpo e lo spirito, il neofita come il gourmet, i bambini come gli appassionati di designer che di fronte alla decorazione di bacche di goji a forma di Tamagotchi, non se la sentiranno di romperlo per mangiarlo e scoprire la sorpresa che vi è all'interno. Che sorpresa? La versione 2.0 del giochino elettronico degli anni '90. Un sogno realizzato per tutti i nostalgici. 

1 kg prezzo 999 euro

 

 

Colazione di Pasqua. Le specialità del giorno di festa e la ricetta della coratella con i carciofi

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Sono tante le ricette della cucina italiana per il giorno di Pasqua, una festa profondamente cristiana che anche a tavola si esprime con specialità dolci e salate cariche di significati simbolici. Fra le tante tradizioni della Penisola, una delle più popolari, soprattutto nelle regioni centrali, è quella della colazione.

Pasqua in Italia

Pur essendo ufficialmente uno stato laico, il calendario italiano è costruito attorno alle tante festività cattoliche celebrate in tutto lo Stivale. Dopo il Natale, è la Pasqua il momento più sentito dalle famiglie italiane che, come sempre, scelgono di onorare la festa attorno alla tavola. La domenica, naturalmente, ma anche il lunedì di Pasquetta, una ricorrenza nata in tempi moderni, nel secondo dopoguerra, per prolungare i festeggiamenti. Si comincia la Domenica delle Palme, con la messa e la benedizione dei ramoscelli di ulivo, e si prosegue poi il Venerdì Santo, giorno della Via Crucis, per terminare con il Lunedì dell'Angelo, in ricordo dell'incontro del messaggero con le donne giunte al sepolcro vuoto. Ogni regione ha i suoi riti e le sue tradizioni, che nei piccoli borghi trovano la loro espressione migliore, quella più autentica e dal fascino antico, tra processioni, rievocazioni storiche e cortei.

 

domencia delle palme

La tradizione della colazione

Sul fronte gastronomico, sono tante e diverse le ricette tipiche da Nord a Sud Italia, molte delle quali a base di agnello, simbolo della Pasqua, e uova, che rappresentano la nuova vita, la Resurrezione. Fra le tante usanze italiane ce ne è una, nata a Roma, che accomuna gran parte delle regioni del Centro, e che si è ormai diffusa anche in altre parti del Paese: la colazione di Pasqua. Una tavola imbandita colma di prelibatezze, dalle uova sode alla pizza al formaggio, dai salumi alla colomba, senza dimenticare torte rustiche e lievitati. Un banchetto sontuoso, con pietanze ricche e caloriche, pensate per una rottura netta dal digiuno quaresimale, un pasto che comincia al mattino e prosegue poi fino all'ora di pranzo.

 

colazione

Nonostante si tratti di una consuetudine fortemente radicata nella cultura romana, la colazione di Pasqua si compone anche di tante specialità di altre regioni. Raccontarle tutte è impossibile, per cui abbiamo cercato di riunire le più popolari a livello nazionale. In più, un'immancabile ricetta romana: la coratella con i carciofi.

Coratella: la tradizione del quinto quarto a Roma

Un piatto saporito, una delle tante ricette capitoline basate sul quinto quarto, ovvero le interiora degli animali, scarto della macelleria che i romani hanno saputo valorizzare al meglio. In principio furono i “vaccinari” del mattatoio di Testaccio, addetti allo scuoiamento dei bovini, a iniziare a cucinare questi sottoprodotti: il quinto quarto, infatti, era la loro paga, la ricompensa per il duro lavoro svolto in mattatoio. Nascono come piatti di recupero, per non sprecare queste parti meno pregiate, tanti grandi classici della cucina laziale, dalla coda alla vaccinara alla trippa. La coratella è l'insieme delle interiora di abbacchio: sì, perché a Roma non si parla di agnello, ma di abbacchio, “il figlio della pecora ancora lattante o da poco slattato”, come si legge nel vocabolario romanesco di Chiappini. Animale diverso dall'agnello che, invece, è il “figlio della pecora presso a raggiungere un anno di età e già due volte tosato”.

 

coratella

L'agnello, simbolo del sacrificio cristiano

Comunque lo si chiami, l'agnello è fra i simboli della Pasqua più significativi, e non solo in Italia. Il suo legame con la festività è descritto nella Bibbia, in particolare nel racconto della liberazione degli ebrei dalla schiavitù egizia. Prima di mettersi in viaggio verso la Terra Promessa, ogni famiglia di ebrei dovette sacrificare un agnello, segnando con il sangue dell'animale le imposte della propria casa, così che l'Angelo del Signore, giunto nella notte per fare giustizia uccidendo tutti i primogeniti degli egizi, potesse riconoscere le loro abitazioni e risparmiare i figli degli innocenti. “Non lo mangerete crudo, né bollito nell'acqua, ma solo arrostito al fuoco con la testa, le gambe e le viscere. Non ne dovete far avanzare fino al mattino: quello che al mattino sarà avanzato lo brucerete nel fuoco. Ecco in qual modo mangerete: con i fianchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano; lo mangerete in fretta. È la pasqua del Signore!”. È l'Agnus Dei, l'agnello di Dio della liturgia che per il Cristianesimo rappresenta il figlio di Gesù Cristo, pronto a sacrificarsi per la redenzione dei peccati dell'umanità.

La torta al formaggio, il lievitato dei monasteri

Fra le torte salate, protagonista assoluta della colazione è la torta (o pizza o crescia) al formaggio, un grande lievitato soffice e saporito tipico dell'Italia centrale, in particolare di Umbria, Marche e Toscana. Parmigiano e pecorino sono i due latticini immancabili nella preparazione, ma sono tantialtri i formaggi che possono essere aggiunti all'impasto, da quelli a pasta morbida ai più stagionati, a seconda del gusto personale e delle tradizioni del territorio in cui viene realizzata la ricetta, quel ricco impasto che si gonfia durante la lavorazione, il termine dialettale crescia – infatti - fa riferimento alla grande crescita dell'impasto durante la lievitazione e la cottura in forno.

 

crescia

È una specialità tipica della tradizione contadina, secondo la leggenda nata nei monasteri medioevali, in particolare in quello di Santa Maria Maddalena di Serra de' Conti, in provincia di Ancona. Fra le prime testimonianze scritte, il ricettario del 1848 “Memorie delle cresce di Pasqua fatte nel 1848”, e poi “Il cuoco delle Marche” del 1864. A raccontare le origini della ricetta, però, è Tommaso Lucchetti ne “La cucina delle monache”, che descrive la tradizione del Venerdì Santo, giorno destinato alla preparazione della crescia, realizzata con 40 uova, a simboleggiare i giorni di Quaresima.

La corallina, il salame di Norcia

Immancabile compagno della torta di Pasqua è la corallina, uno degli insaccati più conosciuti e diffusi in tutta l'Umbria, composto da tre parti di carne magra di prima scelta come la spalla e le rifilature del prosciutto finemente macine, più una parte di grasso tagliato a dadini. Il nome deriva dal corallo budello gentile, ovvero il primo tratto del colon del suino, l'elemento che contiene il salame e che permette all'impasto di carne di conservarsi naturalmente a lungo senza alternarne le qualità organolettiche. Caratteristica di questo salame è la distanza fra i cubetti di grasso, di dimensioni piuttosto grandi, distribuiti in modo da non toccarsi mai tra di loro.

 

corallina

Da sempre un prodotto legato alla Pasqua, in passato veniva realizzato nei laboratori solo in occasione della festa, per essere consumato con la pizza al formaggio e le uova sode. A dare i natali a questa specialità, Norcia, una delle località più note per l'arte norcina (che deve, appunto, il nome alla cittadina umbra), dove da sempre si prepara con sale, pepe macinato e in grani, e aglio macerato nel vino.

Il casatiello, la torta del re

Originario della Campania ma ormai diffuso in tutta la Penisola, un posto d'onore sulla tavola pasquale è riservato al casatiello, tipica torta rustica della cucina napoletana. La sua nascita risale al Seicento, e a darne testimonianza è la favola “La gatta cenerentola” di Giambattista Basile, che descrive la tavola imbandita del re: “E,venuto lo juorno destenato, oh bene mio: che mazzecatorio e che bazzara che se facette! Da dove vennero tante pastiere e casatielle? Dove li sottestate e le porpette? Dove li maccarune e graviuole? Tanto che nce poteva magnare n’asserceto formato”. Molti, però, ritengono che questo ciambellone salato sia nato ben prima del Diciassettesimo secolo, e che il suo nome faccia riferimento alla parola “casa”, che in dialetto napoletano significa formaggio.

 

casatiello

Si tratta, infatti, di una pasta lievitata ripiena di formaggio e salumi e cotta in forno con tanto di uova intere con guscio sulla superficie, una ricetta che riprende tutti gli elementi tipici della primavera – formaggi e uova – e li unisce in una golosa e soffice torta salata. Simile, ma non identico, il tortano, in cui cambia la disposizione delle uova, che invece di essere intere e poste in superficie, sono inserite - sode e a pezzetti - nel ripieno, insieme a formaggi e salame.

La torta Pasqualina e i 33 strati di sfoglia

Altra regione, altra ricetta ormai consumata in ogni dove. E soprattutto, altre uova. Tipica di tutta la Liguria, ma in particolare della zona di Genova, la torta Pasqualina è un grande classico che celebra l'arrivo della primavera. I due ingredienti principali sono le uova e il formaggio, quelli che tradizionalmente in passato erano riservati alle grandi occasioni, e che insieme a biete, ricotta, spinaci ed erbe di campo varie, compongono il ripieno di questo guscio di pasta sottile. Un prodotto che conserva un forte legame con la liturgia: una leggenda popolare narra che in passato le massaie fossero solite sovrapporre ben 33 strati di sfoglia, numero scelto per omaggiare l'età di Cristo. Una torta rustica antica, descritta già nel “Catalogo delli inventori delle cose che si mangiano et si bevano” di Ortensio Lando, un testo del 1548, quando la ricetta era ancora nota con il nome di gattafura, perché le gatte “volentieri le furano et vaghe ne sono”. E anche lo stesso scrittore ne era ghiotto: “A me piacquero più che all'orso il miele”.

 

torta Pasqualina

Le uova decorate e quelle di cioccolato

Elemento più importanti della Pasqua ci sono le uova, emblema della rinascita, ma anche della protezione, da sempre uno dei doni più utilizzati dai popoli antichi (i persiani, per esempio, li consideravano un segno di benvenuto alla stagione primaverile, celebrata con riti per la fecondità) e nasce proprio da questa abitudine ancestrale la tradizione moderna delle uova dolci. Pegno d'amore tra coppie e trofeo per gli sportivi nel Medioevo, bisogna attendere il Trecento perché le uova, rivestite da una foglia d'oro, diventino un regalo tipico della Pasqua, come si legge nei libri contabili di Edoardo I di Inghilterra. A raffinare l'arte della decorazione, Peter Carl Fabergé, orafo alla corte dei Romanov che, su ordine dello zar Alessandro III di Russia, nel 1887 creò delle uova dipinte con smalti e abbellite con pietre preziose, con un gioiello all'interno, diventate poi oggetto di collezionismo.

 

uova decorate

Più incerte, invece, le origini delle uova di cioccolato: una delle ipotesi più accreditate vuole che sia stato Luigi XIV il primo a realizzarle, una teoria plausibile considerando che fu proprio lui a concedere a David Chaillou, primo mâitre chocolatier francese, il diritto esclusivo di vendere cioccolato a Parigi; ma c'è chi sostiene che l'idea provenga invece dall'America Latina, paese d'origine della pianta del cacao. Quale sia la loro storia, un dato è certo: le prime uova di cioccolato iniziano a comparire in Francia e Germania attorno all'Ottocento, ma senza la sorpresa interna: le creazioni, infatti, non erano vuote, ma interamente ripiene di cioccolato.

 

uova cioccolato

La colomba, il simbolo della pace

Non c'è Pasqua senza uova, ma neanche senza colomba: il lievitato lombardo a base di farina di frumento, zucchero, uova, scorze di agrumi canditi, lievito e sale è la conclusione perfetta per la colazione (o pranzo) della festa. Pace e salvezza: questi i significati religiosi legati alla colomba, ripresi ancora una volta da un racconto biblico, il ritorno della colomba all'arca di Noè con un ramoscello di ulivo, segno della fine del diluvio universale. Diverse le storie all'origine della ricetta: fra le più famose, quella di Re Alboino, che nel 572 salvò la città di Pavia dal saccheggio proprio nel giorno della vigilia di Pasqua, mosso a commozione in seguito all'assaggio di un pane dolce squisito a forma di colomba.

 

colomba

Un'altra leggenda popolare vuole invece che il lievitato sia nato a Legnano, in seguito alla battaglia del 1176 vinta dalla Lega dei comuni lombardi contro Federico Barbarossa: per celebrare la vittoria, il condottiero fece confezionare dei pani speciali in omaggio alle tre colombe che avevano sorvegliato le insegne lombarde. Col tempo, sono nate tante versioni della colomba, arricchite con cioccolato, creme, confetture e frutta secca, ma tutte accomunate dalla stessa singolare forma e dall'impasto base.

La pastiera napoletana: la leggenda della sirena e della Regina che non sorride mai

Nata in Campania ma ormai preparata in tutta Italia, la pastiera napoletana è un dolce sempre presente nel capoluogo durante questi giorni di festa. Un dolce che nasconde tante storie sulla sua origine, a cominciare da quella della sirena Partenope, simbolo della città e protagonista della fontana di Piazza Sannazzaro. Secondo la leggenda, la figura mitologica emergeva ogni primavera dalle acque per offrire canti alle popolazioni locali, che per ringraziarla incaricarono sette tra le più belle ragazze dei villaggi intorno al golfo di consegnarle alcuni doni: grano, farina, ricotta, uova, acqua di fiori d'arancio, zucchero e spezie. La sirena portò le specialità agli dei, che le mescolarono insieme ottenendo una torta.

 

pastiera

Un altro racconto narra invece che la pastiera sia nata per caso, dopo che le mogli dei pescatori avevano lasciato durante la notte delle ceste con ricotta, frutta candita, grano, uova e fiori d'arancio come offerta per il Mare, affinché facesse tornare i loro mariti sani e salvi a casa. C'è poi la storia della “Regina che non sorride mai”, soprannome di Maria Teresa d'Austria, moglie del re Ferdinando I di Borbone: goloso di natura, il re convinse la consorte ad assaggiare questa torta di primavera, che riuscì a strapparle il suo primo sorriso. La versione attuale della pastiera, comunque, sembra sia stata messa a punto nella cucina della Chiesa di San Gregorio Armeno. Un dolce che, ancora una volta, racchiude tutti i simboli primaverili per antonomasia, il grano – il ciclo delle rinascite – l'uovo, la nuova vita, e l'acqua di fiori d'arancio, l'annuncio della primavera.

La ricetta: coratella con i carciofi di Max Mariola

 

a cura di Michela Becchi

La Città della Pizza 2018 a Roma. Il menu della festa di piazza che riunisce 50 maestri pizzaioli

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Il prossimo week end Roma si trasforma nella capitale della pizza, con l'arrivo dei migliori maestri di impasti e lievitazioni della Penisola. Tre giorni per scoprire uno dei prodotti più apprezzati del mondo in tutte le sue forme, tra assaggi, laboratori e approfondimenti. Ecco cosa si mangerà. 

Una “città” per celebrare la pizza

La Città della pizza a Roma, bis. Il menu della precedente edizione - al debutto della manifestazione organizzata da Vinoforum (alias Emiliano De Venuti) con l'apporto di un comitato scientifico che riunisce Tania Mauri, Luciana Squadrilli, Luciano Pignataro e il maestro pizzaiolo Stefano Callegari – aveva stupito per ricchezza, qualità e varietà dell'offerta, a dir poco pantagruelica. Quest'anno si replica con le migliori intenzioni, tante conferme e belle novità, dal 6 all'8 aprile, sempre ospiti del Guido Reni District (di fronte al MAXXI), attrezzato di tutto punto per accogliere oltre 50 maestri pizzaioli (e i loro forni) distribuiti nell'arco delle tre giornate.

 

I protagonisti, il menu

Per ogni giornata saranno 12 i maestri che prenderanno possesso delle “case” equipaggiate di forni, fulcro della kermesse. Ognuno preparerà la propria versione di Margherita e Marinara, più una proposta creativa special edition e un cavallo di battaglia: in tutto oltre 100 pizze differenti, tra napoletane e fritte, al taglio e da degustazione, o all'italiana. E tanti prodotti tipici dei territori di provenienza dei maestri, in arrivo da tutta la Penisola: un'occasione per scoprire specialità dello sconfinato paniere nazionale, dal broccolo Aprilatico di Paternopoli (Sicilia) all'nduja di Spilinga (Calabria), dal prosciutto di Mora Romagnola alla bufala di Amaseno, ai peperoni cruschi lucani. Presente per tutta la manifestazione, invece, la pizza gluten free di Teresina (Roma). E i fritti d'accompagnamento, con Franco Gallifuoco, Arcangelo Dandini e Salvatore Di Matteo. Ma ci sarà spazio anche per i laboratori amatoriali, anche per i più piccoli, per i pranzi e le cene della serie Maestri in cucina e per i workshop destinati agli addetti ai lavori, con approfondimenti tecnici in compagnia dei maestri dell'arte (il dettaglio lo trovate qui). Quando manca meno di una settimana all'inaugurazione della Città della Pizza ecco l'elenco (enciclopedico) delle pizze in assaggio. L'ingresso è gratuito, le pizze si acquistano ricaricando la card dedicata. Chi riuscirà a provarle tutte?

 

Qui il menu completo e i pizzaioli che si avvicenderanno giorno per giorno

 

La Città della Pizza | Roma | Guido Reni District, via Guido Reni, 7 | dal 6 all'8 aprile | ingresso gratuito | www.lacittadellapizza.it

Steven Raichlen Grills Italy. Quinta puntata: grigliata di pesce a Portofino

Pasquetta 2018. Tutto il buono della festa in un panino

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7 panini d'autore da portare con sé per la scampagnata di Pasquetta. Pesce, carne, formaggi, uova o o verdure: tutto il buono della festa tra due fette di pane.

 

Che sia in aperta campagna o in un parco cittadino, facendo i turisti nella propria città o altrove, la Pasquetta è l'occasione per pranzi informali, merende da portare con sé, senza impegnarsi in ore e ore di preparazione ma concentrandosi, soltanto, sul relax della giornata. Nulla di meglio, allora, di un panino, preparato con cura e con ingredienti di qualità. Il classico pane e prosciutto è un evergreen che piace sempre, come pure il buon pane e frittata. Ma per chi volesse qualcosa di meno tradizionale, ci siamo fatti suggerire 7 panini speciali da altrettanti indirizzi di riferimento che fanno del pane (o la pizza) farcito il loro punto di forza. Come vedete in alcuni casi le dosi non ci sono, ma solo la lista degli ingredienti, perché nei panino è così, si lavora di precisione ma senza regole fisse, liberi di fare dei piccoli cambiamenti in corso d'opera per seguire istinto e gusto personale.

 

Foto: Monica Silva courtesy Guido Tommasi ed.

 

Panino con guancia, trippa e fegato di baccalà – Mangiari di strada

Pane, carne, formaggi e poi tutto il meglio dello street food italiano da nord a sud. Quella di Giuseppe Zen per il cibo buono - proposto in veste informale e senz'altra regola che non sia la qualità assoluta – è un marchio di fabbrica che nel tempo ha trovato diverse espressioni. Quel che è certo e inderogabile è l'attenzione per i metodi di produzione di ogni singolo ingrediente e da ogni punto di vista, e le sue insegne la dicono lunga: Macelleria Popolare, R(esistenza) Casearia (ma ci sono anche Tagliatella e Panetteria Italiana) sembrano più dichiarazioni d'intenti che nomi di botteghe come sono, e che botteghe: tra le migliori sul mercato meneghino. Oggi è al suo Mangiari di Strada che siamo andati a bussare per farci suggerire un panino per il Lunedì dell'Angelo.

 

panino di segale e grano
100 g tra trippe, guancette e fegato di baccalà
brodo vegetale (o in alternativa acqua)
aglio
cipolla dolce
erbette di stagione (tarassaco, spinacini, erbette rosse e verdi)
scorza di arancia
pepe bianco di Sarawak Maricha
olio extravergine di oliva
sale

 

Far rosolare in padella uno spicchio di aglio in camicia con un po' d'olio per 30 secondi, eliminarlo e aggiungere 40 grammi di cipolla dolce (di Tropea o biondona) affettata finemente e stufarla per 10 minuti, aggiungere il quinto quarto di baccalà unendo mezzo bicchiere di brodo vegetale secondo esigenza (in alternativa acqua) e far arrostire per 7-8 minuti.

Prima di concludere la cottura, aggiungere le erbette di stagione e cuocere ancora per un minuto e mezzo. Aggiustare di sale e aggiungere una spolverata di pepe bianco di Sarawak Maricha. Aggiungere qualche zest di arancia.

Mettere nel panino tagliato a metà.

 

Mangiari di strada al Mercato – Milano - Mercato della Darsena - piazza XXIV maggio

 

Due ciuffi - Dalla Zita

Un'istituzione a Padova, Dalla Zita, con la sua parete letteralmente rivestita dei molti foglietti colorati, ognuno con la proposta di un panino. Per Pasquetta hanno scelto una farcitura non tropo complicata: “frutto della tradizione e del senso innato del gusto di questa terra per le cose semplici” spiegano.“Due ciuffi rappresenta al meglio la sintesi tra un passato glorioso e un futuro contrassegnato dal recupero dei solidi valori di concretezza del Veneto”.

 

filone
baccalà mantecato
radicchio di Treviso tardivo
gherigli di noce
pepe nero

 

Tagliare il pane a metà, spalmare il baccalà mantecato, adagiare le foglie di radicchio precedentemente tagliate a julienne, e infine aggiungere i gherigli di noce.

 

Dalla Zita – Padova – viale Gorizia, 12 - 049 654992 - https://www.facebook.com/pages/Dalla-Zita/135324679848609

 

Il panino con la spalla friulana - Generi Alimentari Da Panino

Paninoteca, bottega di alimentari, ma non solo: Generi Alimentari Da Panino nel corso degli anni si è fatto notare per il moto perpetuo con cui organizza eventi e cambia d'abito, alterna novità a una proposta solida e di gusto. Ma, soprattutto, è famoso per la bontà di quanto in lista: dagli imperdibili tortellini alla superpanna, ai panini. Quello di oggi, proposto dal patron BeppePalmierie da Christian d'Asmaraè un panino in cui giocano un ruolo determinante le texture oltre che i diversi sapori. “Questo paninocambierà a seconda della sensibilità di chi lo prepara” avvisano “perché ognuno di noi preferisce diverse consistenze dei vari ingredienti”. Che non sono moltissimi, ma scelti con cura. In poche parole: “il lusso della semplicità!

 

pane di Matera
spalla friulana arrosto
scamorza affumicata
indivia belga
miele profumato all'anice stellato
olio extravergine di oliva
sale
pepe

 

Cuocere l'indivia al forno condita con olio, sale e pepe per 1 ora a 180 gradi. Unire due fette di pane di Matera e tostarle in forno fino al punto da rendere l'esterno croccante e leggermente dorato mantenendo l'interno morbido.

Farcire una delle fette con scamorza affumicata e la spalla, ripassare 20 secondi in forno per scaldare gli ingredienti, unire l'indivia belga calda, rifinire con miele quanto basta e chiudere con la seconda fetta di pane.

 

Generi Alimentari Da Panino – Modena – via Rua Freda, 21 – 059 8754382 - www.dapanino.it

 

Pan’ino Mazzancolla - 'Ino

Un panino pensato per utilizzare il pesce in una chiave inconsueta ma comunque semplice”spiega AlessandroFrassica, creatore di 'Ino,che subito aggiunge: “dando importanza alla qualità della materia prima, nel rispetto di equilibrio e armonia. Ecco quindi che abbiamo utilizzato un crostaceo un salume e un formaggio...!” Semplice semplice, si direbbe, eppure non è così, perché ogni proposta di 'Ino è calibrata al millimetro, per il massimo gusto. Non ci credete? “Le note del capocollo si andranno ad equilibrare alla dolcezza e cremosità della stracciatella ed al gusto inconfondibile della mazzancolla” commenta Alessandro, a spiegare cosa si nasconde dietro il suo pan'ino.

 

frusta (versione fiorentina della baguette)
3 mazzancolle
50 g di capocollo di Martina Franca
2 cucchiai di stracciatella di burrata
corza di limone (facoltativo)
olio extravergine di oliva

 

 

Sciacquate le mazzancolle, pulitele e saltatele velocemente in una padella con un filo di olio in modo che la parte interna rimanga morbida e con una discreta consistenza.

Tagliate il pane, scaldatelo e su un lato disponete le fette di capocollo, la stracciatella e poi le mazzancolle.

Aggiungete un filo di buon olio extravergine e volendo anche una grattata di scorza di limone, chiudete con l’altra parte del pane e mordete!

 

'Ino – Firenze - via dei Georgofili 3r/7r – 055219208 - www.inofirenze.com

 

Pizza farcita con agnello porchettato con uovo strapazzato e asparagi selvatici - Osteria Birra del Borgo

Deviamo dal classico panino per la pizza bianca aperta a metà e farcita. Un grande classico capitolino che sostituisce alla grande le due fette di pane. Tra le versioni più amate c'è quella con la mortadella, ma non solo: salumi, verdure ripassate, insalata di pollo e quant'altro suggerisce la fantasia vanno benissimo. In questo caso Luca Pezzetta, all'Osteria di Birra del Borgodi Leonardo Di Vincenzo & co, suggerisce un ripieno che più pasquale non si può. E ci dà anche la ricetta per realizzare in casa la pizza.

 

1 kg di farina tipo 2
5 g di lievito fresco di birra
20 g di sale fino
25 g di olio extravergine di oliva
800 g di acqua

 

pancia di agnello
aglio
rosmarino
uova
burro
asparagi
sale
pepe

 

In un recipiente unire farina, acqua e lievito ed impastare fino a ottenere un impasto liscio e omogeneo, aggiungere sale e olio un po’ alla volta e continuate a lavorare per mantenere l'impasto sempre liscio e omogeneo. Dopodiché chiuderlo con un la pellicola da cucina e lasciarlo riposare in frigo per 24 ore. Passate le 24 ore capovolgere l’impasto su una teglia oliata stendendolo fino a portarlo ai bordi della teglia. Infornare a 220 gradi per circa 15 minuti.

 

Prendere la pancia di agnello già disossata e farcirla con un trito di aglio, rosmarino, sale e pepe; legarla con la rete da cucina e lasciare cuocere in forno a 180 gradi per circa 1 ora

Prendere una padella antiaderente e far sciogliere dolcemente una noce di burro, aggiungere 4 uova e girare con una frusta a fuoco basso, spegnere quando l’uovo inizia a rassodare.

Prendere gli asparagi selvatici puliti e arrostirli su una padella antiaderente fino a che prendono un colore dorato.

Finite le cotture, aprire la pizza con un coltello e mettere all'interno l’uovo, gli asparagi arrostiti e una fetta di agnello porchettato. Rinfornate il tutto per circa 5 minuti.

 

Osteria di Birra del Borgo – Roma – via Silla, 26a - 06 8376 2316- http://osteria.birradelborgo.it/

 

Panino Pasquale – 50 Panino

È un po’ la ricetta dell’agnello che si mangia a Pasqua da noi, cucinato con patate e piselli, ma adattato al panino”. Spiega così la sua limited edition per la Pasqua Ciro Salvo, uno dei nostri migliori pizzaioli, che circa un anno fa ha affiancato alla sua pizzeria 50 Kalò la panineria 50 Paninodove declina, con lo chef Gianluca D’Agostino, la sua filosofia di lavoro in versione street food, e lo fa a suon di ricerca della materia prima, rielaborazione di ricette tradizionali, grande studio e attenzione per i particolari. Per esempio il pane: realizzato con lievito madre e 24 ore di lievitazione, dal panificio Malafronte di Gragnano, secondo la ricetta di Ciro Salvo

 

bun da hamburgher
coscia di agnello
piselli
caciocavallo
guanciale
patate fritte a cubetti
sale 
pepe

 

Prendere la polpa di coscia d'agnello, tritarla e aggiustare di sale e pepe. Formare un hamburger e cuocerlo sulla piastra lasciandolo leggermente rosato al cuore.

Sbollentare i piselli in acqua e freddare immediatamente in acqua e ghiaccio. In una padella mettere del guanciale, toglierlo appena il grasso si è sciolto e far appassire la cipolla nel grasso. Frullare i piselli con la cipolla.

Tagliare le patatine stick in modo da avere dei cubetti di circa 2 cm per lato e friggerle

Comporre il panino spalmando prima la crema di piselli, poi aggiungendo il lamb burger, i caciocavallo, altra crema di piselli e le patatine fritte.

 

50 Panino Hamburgeria di Ciro Salvo - Napoli - viale Antonio Gramsci, 15c - 081 7618144 -www.50panino.it

 

 

Foto: Elisia Menduni

Eg Burgher Ister Ediscion - Fud

Andrea Graziano & friends sono gli artefici di Fud, una delle più valide e amate insegne isolane, che – tra appuntamenti mensili e attività collaterali – sta diventando uno dei punti di ritrovo di certo modo di fare ristorazione: tutto sostanza, tecnica e grandi materie prime, ambiente informale, senza orpelli o inutili civetterie. Insomma: uno stile underground dall'anima rock che è sinonimo di grande cibo. Per il Lunedì Santo propongono una variante pasquale del classico hamburger.


Pane soffice preparato con burro yogurt farina sale e semi di sesamo150 g di spalla di agnello
80 g di pancia di agnello
30 g di fette di guanciale (circa 3 fette)
1 uovo bio di fattoria fritto
20 g di lattuga iceberg tagliata finemente a julienne
2 ciuffi di insalata lollo rossa
2 fette di pomodoro rosso
3 fette di provola delle Madonie
60 g di yogurt naturale di bufala (o mucca o capra)
2 g di aglio rosso di Nubia
20 g di prezzemolo fresco
10 g di succo di limone filtrato
sale 
pepe 

 

Preparare l'hamburger di agnello macinandoinsieme spalla e pancia di agnello e regolare di sale e pepe secondo il proprio gusto. Cuocere su una piastra rovente, leggermente oleata, per un paio di minuti per entrambi i lati.

Terminare la cottura in forno con la provola dolce delle Madonie sulla superficie della carne per fondere il formaggio.

Preparare la salsa di yogurt mettendo in una ciotola lo yogurt di bufala, l’aglio precedentemente schiacciato e privato della sua anima, succo di limone. Amalgamare bene gli ingredienti con una frusta, regolare di sale e pepe secondo il proprio gusto. Infine aggiungere il prezzemolo, sia gambo che foglie, tritato finemente a coltello.
Asciugare il guanciale in forno su una placca rivestita di carta forno per un paio di ore a 150° con la porta del forno leggermente aperta.

Comporre il panino dal basso verso l’alto disponendo, in ordine, salsa yogurt di bufala, insalata lollo rossa, pomodoro, hamburger di agnello con provola fondente, guanciale dry, uovo di fattoria fritto, insalata Iceberg.

 

Fud – Catania - via Santa Filomena, 35- 095 7153518 - www.fud.it

Fud – Palermo - piazza Olivella, 4- 091 6112184 - www.fud.it

 

a cura di Antonella De Santis

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