Quantcast
Channel: Gambero Rosso
Viewing all 5335 articles
Browse latest View live

Il vincitore della prima Wine Cup a Gourmet Food Festival si racconta

$
0
0

sssssLo abbiamo conosciuto come concorrente e vincitore del contest organizzato al Lingotto di Torino. Ma abbiamo scoperto anche un cantante punk-rock e un collezionista di vino che, per gestire la sua cantina, ha creato un programma informatico ad hoc.

Mi stappo Moet & Chandon, gusto ostriche Belon. Io non sono vegano, mi piace il manzo italiano”. Pochi, ma efficaci versi per conoscere da vicino Roberto Sironi: 54 anni, milanese (anzi di Cusano Milanino, “paese di Trapattoni”, ci tiene a precisare) e soprattutto vincitore della prima Wine Cup che il Gambero Rosso ha organizzato in occasione di Gourmet Food Festival di Torino. Ma non stiamo parlando semplicemente di un appassionato di enogastronomia, Sironi è anche fondatore e voce dei Radio Vudù, una punk-rock band con sede nella città meneghina, che di recente ha lanciato la hit Non sono vegano (da cui vengono, per l'appunto, i versi di cui sopra): il video è stato girato con la complicità dello chef Giuseppe Zen dei Mangiari di strada, Macelleria Popolare, Panificio Italiano, (R)esistenza casearia, Tagliatella di Milano.

Tutte cose che non sapevamo quando, insieme ad altri 15 concorrenti, il “nostro uomo” si è presentato al Lingotto di Torino per aggiudicarsi il titolo di miglior enofilo 2017, insieme a sei bottiglie di vino, tutte Tre Bicchieri della guida Vini d'Italia 2018.

 

A dirla tutta, nel curriculum c'è anche scritto: manager commerciale del settore IT. Manager di giorno, “bevitore seriale” e cantante punk di notte, quindi?

Qualcosa del genere. Cerco di coniugare lavoro e passione.

Tante passioni. AGourmet Food Festival ci è capitato per caso o era proprio interessato all'evento?

In quanto appassionato di enogastronomia, non potevo mancare al vostro primo appuntamento con Gourmet. Avendo saputo della manifestazione, ho pensato che potesse essere una buona occasione per una gita fuori porta. Poi, il contest mi è sembrata una cosa divertente e mi sono iscritto.

Si è divertito?

Decisamente sì. Il concorso era ben congegnato.

Grado di difficoltà?

La prima parte era fattibile: bisognava collegare 5 vino a 5 vitigni. Più difficili la seminifinale e la finale, in cui si trattava di indicare la provenienza geografica di 5 sangiovese e 5 nebbiolo. E qui, nonostante quest'ultimo lo conosca benissimo, mi ha tratto in inganno proprio uno Sforzato di Valtellina.

È comunque stato il migliore in gara. Quanti vini beve l'anno per avere un palato così allenato?

In media - tra casa, ristoranti e cantine - siamo sulle 500/600 etichette l'anno. Diciamo che per mio consumo personale tendenzialmente stappo quasi una bottiglia al giorno. Ma non bevo da solo: anche la mia compagna per fortuna è un'appassionata.

Quali sono i suoi vini/denominazioni preferiti?

Prima di tutto sono innamorato di pinot nero e chardonnay della Borgogna. Ma per restare in Italia, al primo posto metto il nebbiolo e, quindi, i rossi piemontesi. Sul fronte bianchi, direi trebbiano d'Abruzzo.

Qualche cantina ed etichetta in particolare?

Trebbiano d'Abruzzo Valentini per i bianchi; Monfortino di Conterno per i rossi. Ma è un po' troppo costoso per potermelo permettere.

Con la Wine Cup ha ricevuto sei bottiglie: tutte Tre Bicchieri dellla guida Vini d'Italia. Le conosceva tutte?

Non tutte. Solo tre su sei. Adesso sono nella mia cantina in attesa del momento giusto per stapparle.

Quindi, ha una cantina ben nutrita?

Beh, siamosulle 500 etichette. Tanto che – da perfetto maniaco della catalogazione – ho creato un programma ad hoc, con tanto di geocalizzazione, che filtra il vino per regione, anno, denominazione, vitigni, produttore e anno ideale per berlo.

Roba di alto livello: neanche nei migliori caveau. Perché non lo brevetta?

Ci penserò. Nel mio caso è nato per un'esigenza personale: non volevo rovinare le etichette ogni volta che andavo a tirare fuori un vino. Così è tutto a portata di click.

Di solito dove preferisce comprare il vino?

Quasi sempre direttamente dalle cantine.

Quindi, siamo praticamente davanti ad un prototipo reale di enoturista?

Diciamo che ogni fine settimana vado per cantine, infatti, ormai conosco molti produttori e consorzi. E non solo. Ho un club di amici – anche loro appassionati di vino – con cui spesso mi riunisco per fare delle degustazioni. Magari potrei pensare di proporre una Wine Cup anche a loro.

Ormai ci ha preso gusto! Curiosità: con cosa ha brindato durante le feste appena trascorse?

Per tradizione stappo sempre quattro bottiglie di bollicine: una a Natale, una il giorno di Capodanno e le altre due per la Notte di San Silvestro. Di solito la “mia carta dei vini” prevede Champagne, Trentodoc, Franciacorta, e Alta Langa. Stavolta, tra questi, è toccato anche al Brut Nature Zero Serafino, vinto grazie alla Wine Cup.

 

I sei vini in premio

- Enrico Serafino Alta Langa Metodo Classico Brut Nature Zero 2011 (Piemonte);

- San Leonardo Vigneti delle Dolomiti San Leonardo 2013 (Trentino);

- Poggio al Tesoro Bolgheri Superiore Sondraia 2014 (Toscana);

- Valle Reale Trebbiano d'Abruzzo Vigna del Convento di Capestrano 2015 (Abruzzo);

- Cascina Morassino Barbaresco Ovello 2014 (Piemonte);

- Guido Porro Barolo Vigna Lazzairasco 2013 (Piemonte).

 

a cura di Loredana Sottile

 


Luca Lacalamita lascia l'Enoteca Pinchiorri. Il ricordo degli ultimi anni, le aspettative per il futuro

$
0
0

Dopo 7 anni trascorsi a Firenze, nella squadra di Annie Feolde e Giorgio Pinchiorri, il miglior pastry chef 2018 (per la guida Ristoranti d'Italia del Gambero Rosso) lascia l'Enoteca e torna a Trani per un periodo di riposo, prima di scommettere su nuovi obiettivi. 

L'addio a Pinchiorri

Oggi è un giorno molto importante per la mia vita professionale”. Esordisce così, sul suo blog Note dalla cucina, Luca Lacalamita in apertura del post di commiato dall'Enoteca Pinchiorri. Non certo un addio a cuor leggero, dopo 7 anni trascorsi nella squadra guidata da Annie Feolde Giorgio Pinchiorri nel tempio della ristorazione fiorentina di cui raccontava lungamente il numero di dicembre 2017 del mensile del Gambero Rosso. Lui, classe 1985, è uno dei pasticceri più talentuosi del panorama nazionale, e il tempo passato nella brigata di Pinchiorri l'ha indubbiamente aiutato a maturare una visione sempre più competente ed efficace, che gli è valsa il premio come miglior Pastry Chef 2018 sulla guida Ristoranti d'Italia del Gambero Rosso. Pugliese, originario di Trani, Luca approdava a Firenze dopo anni al servizio delle più grandi cucine d'Europa, al fianco di Gordon Ramsay al Dorchester di Londra, poi in Spagna per un passaggio che molto l'ha influenzato da Akelarre, a San Sebastian, e ancor prima uno stage e Elbulli di Ferran Adrià. In Italia Carlo Cracco, Massimo Bottura, fino all'ingresso da Pinchiorri, per far crescere un lungo rapporto di stima, fiducia, successi. “GRAZIE Signora Annie, Signor Giorgio, Antonella, per avermi fatto sentire parte della vostra grande famiglia, per tutta la fiducia e il supporto che ho ricevuto, per tutto ciò che mi avete insegnato”, scrive oggi Luca nel rendere nota una decisione che maturava da tempo; e “GRAZIE alla brigata perfetta, di sala e di cucina, fatta di persone sensibili e attenti professionisti”. Ma cosa l'ha portato alla scelta? E quali prospettive si aprono adesso?

 

Conta la squadra. Gli ultimi 7 anni di Luca

La mia è stata una decisione ponderata, e condivisa con tutti, la mia famiglia e il gruppo di Pinchiorri” racconta Luca mentre organizza le scatole del trasloco, in procinto di tornare a Trani. “Mi sono reso conto di voler guardare verso nuove direzioni, ma soprattutto di aver bisogno di una pausa, un periodo di disconnessione totale dopo 15 anni ininterrotti di lavoro”. Una scelta serena, dunque, specie per com'è maturata, e per la consapevolezza di aver fatto bene finora: “In questi anni ho dato tutto quello che potevo, la cosa più bella è finire in modo amicale. Da Pinchiorri lascio una squadra formata, il mio secondo e altri 4 ragazzi perfettamente capaci. L'ho sempre detto, il singolo conta fino a un certo punto, è la coralità che fa la differenza. Sembra un concetto scontato, ma non è così: chi resterà saprà fare meglio di me, perché c'è sempre uno stimolo a migliorarsi”. E del resto gli anni trascorsi a Firenze gli hanno fatto capire quanto il segreto della longevità di Pinchiorri stia nella capacità di tenere insieme un gruppo solido: “Io in 7 anni ho spaziato, e fatto di tutto, proprio grazie alle persone al mio fianco. Di questa esperienza mi porto sicuramente dietro la capacità gestionale e soprattutto il livello della qualità umana: non è un caso che ci sia scarso ricambio del personale, sono la qualità del lavoro e il clima di fiducia che si respira a portare stabilità. Ecco cos'ho imparato: a dare fiducia, riuscire a capire cosa puoi dare agli altri e cosa loro possono dare a te”.

 

Le tappe di una carriera di successo. La prossima?

In parallelo c'è l'evoluzione professionale, “Sono arrivato a Firenze da un'esperienza forte in Spagna, venivo dall'avanguardia, entrare in Enoteca è stata una sfida. Sono riuscito a modulare meglio mano e testa, ma non è mai cambiata l'attitudine alla ricerca. Ho cercato di mettere in risalto l'italianità e negli ultimi 3 anni sono diventato più essenziale, è cambiata anche l'estetica. Sicuramente sono cambiato in meglio, e anche per merito del contesto stimolante”. Ora però la decisione di voltare pagina: “Ho sempre immaginato la mia carriera per tappe, come un giro ciclistico. Ogni tappa ha un inizio e una fine, ma resta il rapporto costruito con le persone”. Il futuro prossimo prevede molto riposo e quell'incertezza che precede la messa a fuoco di nuovi obiettivi - “prima di imbarcarsi in un nuovo progetto è necessario svuotarsi” - ma un sogno nel cassetto c'è: “Torno a Trani, e farò di tutto per restarci. Ora è il momento di recuperare i ritmi della vita quotidiana, quando lavori per 13-15 ore al giorno il rischio è quello di perdere il focus sulla prestazione. Lascio orgoglioso di quanto fatto, felice per l'ultimo premio ricevuto, ma non mi piace stare sulla ribalta. I meriti vanno distribuiti, e per quanto di bello è venuto finora sono grato e riconoscente all'Enoteca”.

 

Pausa di riflessione sia, allora. Ma con una certezza che rincuora tutti gli estimatori dei dolci di Luca: “Non lascerò la pasticceria, amo con tutto me stesso questo lavoro”.

 

a cura di Livia Montagnoli

foto di Alberto Blasetti

Michele Gioia è il nuovo chef de Il Pellicano di Porte Ercole. Il ritorno nella famiglia di Roberto Sciò

$
0
0

Da qualche giorno è al lavoro per pianificare la stagione, che nella prestigiosa cucina di Porto Ercole si aprirà il 12 aprile. Michele Gioia, dopo la parentesi con il gruppo di Roberto Naldi Collection che nell'ultimo anno l'ha visto lavorare a Parigi, torna a collaborare con la famiglia Sciò dopo gli anni trascorsi a La Posta Vecchia. 

Da Parigi a Porto Ercole

A Parigi ha trascorso buona parte dell'ultimo anno, ambasciatore della cucina italiana per conto del gruppo Roberto Naldi Collection, che nella capitale francese ha aperto alla fine del 2016 l'Hotel Splendide Royal Paris. Ma Michelino Gioia, dopo l'addio a La Posta Vecchia sul litorale di Palo Laziale nell'estate 2015, era entrato nella scuderia Roberto Naldi con l'obiettivo di presentarsi sulla scena romana come resident chef del nuovo, ambizioso progetto di ristorazione dell'hotel Parco dei Principi. Operazione mai andata in porto, per difficoltà burocratiche che hanno a più riprese fermato i lavori di ristrutturazione all'ottavo piano del prestigioso complesso romano, destinato in origine a ospitare l'insegna gastronomica dello chef (coinvolto in prima persona nella progettazione della cucina). Un'attesa che col tempo, nonostante il ripiegamento sul versante francese, si è fatta estenuante, tanto da spingere Michele Gioia a ripensare il suo futuro altrove. Per ritrovarlo oggi, all'inizio di una nuova avventura, non bisogna andare lontano: Gioia rientra dalla porta principale nella famiglia di Roberto Sciò, in qualità di executive chef dell'Hotel Il Pellicano di Porto Ercole (che insieme a La Posta Vecchia fa parte del pacchetto di ospitalità extralusso di Sciò). Una novità che è insieme un ritorno, dunque, e racconta di un buon rapporto con la proprietà che non si è mai interrotto, fino all'offerta arrivata lo scorso ottobre, quando Michele era tornato da qualche settimana disponibile sul mercato (nel passato recente, invece, ha rifiutato una proposta del Four Seasons di Ginevra) : “Mi sento un po' come il figliol prodigo, dal 15 gennaio sono al lavoro al Pellicano per impostare il lavoro dei prossimi mesi. Sarà un anno intenso, c'è tanto da pianificare in vista dell'apertura stagionale prevista per il 12 aprile. Intanto sono alla ricerca di un sous chef, devo ricostruire un gruppo giovane che possa affiancarmi”.

 

Cambio chef al Pellicano

Gioia prende il posto di Sebastiano Lombardi, a sua volta subentrato alla guida del ristorante di Porto Ercole dopo l'addio di Antonio Guida. E oltre al ristorante gastronomico gestirà anche l'offerta del Pelligrill, “con l'intenzione di farne un'osteria toscana nel senso più nobile del termine: una tavola informale in dialogo con piccoli fornitori locali dove scoprire la semplicità regionale di mare e terra, e l'italianità di piatti che oggi sono a torto snobbati... Un buon sautè di cozze, uno spaghetto alle vongole, piatti che ci rappresentano nel mondo”. Proprio l'esperienza parigina, in questo senso, è stata illuminante per chiarire ulteriormente una visione di cucina incentrata sulla semplicità: “In Francia ho avuto la possibilità di fare stage importanti, a Le Clarence di Parigi e a Colmar; poi ho curato lo start up del bistrot Tosca per Roberto Naldi, confrontandomi con una scena gastronomica stimolante, un bellissima esperienza per l'attitudine di clientela e fornitori. E lì ho capito: noi italiani all'estero, più proponiamo una cucina semplice, ma ben eseguita, più siamo vincenti. Il vero lusso è togliere, nel piatto dobbiamo portare quella pulizia e quella solarità che sono tipiche della nostra identità”. Considerazioni che certo influiranno sul futuro al Pellicano, “una scelta di cui sono davvero felice, anche se in passato ho creduto che i posti stagionali non facessero più per me, per un problema di continuità di lavoro con la brigata”. Ora, invece, Michele Gioia riparte con slancio, curioso di scoprire il territorio che sarà la sua nuova casa: “Voglio lavorare con tanti prodotti locali, proporre un'idea molto italiana di ristorante gastronomico, anche se non mancheranno materie prime importanti dal resto del mondo, come si conviene al prestigio della tavola”.  

Hotel Il Pellicano - Porto Ercole (GR) - Località Sbarcatello - www.pellicanohotels.com

 

a cura di Livia Montagnoli

Selezione dei migliori Champagne importati in Italia

$
0
0

La nostra selezione dei migliori 19 Champagne di maison e cave le cui etichette sono reperibili in Italia. Gli altri settantuno li trovate nel numero di gennaio del Gambero Rosso. 

Uno dei privilegi della professione di critico enologico? Avere la possibilità di assaggiare i migliori vini del mondo. Te ne rendi conto in occasioni come Modena Champagne Experience, organizzata dal Club Excellence. Lì tutto il nostro team (secondo qualcuno “il Real Madrid dei degustatori”), in una ben organizzata degustazione ha potuto valutare, assistito da bravi sommelier, oltre 400 cuvée. Qui vi presentiamo gli Champagne con un punteggio superiore a 90. Tutti gli altri li trovate nel numero di gennaio del Gambero Rosso.

Lo Champagne è (anche) un indicatore economico

Delle mille definizioni che si possono dare dello Champagne, e che fanno parte della sua agiografia, una è particolarmente fredda quanto intrigante: Indicatore Economico. Senza addentrarci in complesse analisi (e semplificando al massimo) se ne ricava una regola: quando le cose vanno bene e l’economia corre, si beve più Champagne. I dati recentemente rilasciati dal CIVC, l’associazione interprofessionale che regola la vita della più celebre denominazione d’origine del mondo, ci mostrano i numeri del 2016 (306 milioni di bottiglie commercializzate rispetto ai 312 del 2015) leggermente in calo, anche se ancora c’è strada da fare per recuperare quei 338 e passa milioni del 2007, ovvero l’ultimo anno pre-Lehmann. Il dato che ci interessa di più però è l’import italiano, che nel 2016 si assesta su 6,6 milioni di bottiglie, con un bel +6,4%. Vuol dire, in soldoni, che la ripresa dell’economia – di fatto – c’è, e gli italiani stappano con maggior spensieratezza.

Disegno di Finnano Fenno

Export: le conseguenze del terrorismo e della Brexit

I dati negativi vengono invece da Francia e Belgio, che hanno avuto un turismo pesantemente condizionato dal terrorismo, e dall’Inghilterra, primo mercato europeo, che inizia a pagare il dazio della Brexit e della svalutazione della sterlina con un -9%. Insomma, quei 6 milioni di bottiglie in meno vengono proprio da questi tre paesi. Detto questo, nel resto del mondo (Usa, Canada e Giappone in testa) si cresce eccome. E le proiezioni per il 2017 sono confortanti.
Il fascino delle bollicine francesi è indiscusso, inossidabile. Chi temeva che il fenomeno Prosecco con i suoi numeri da capogiro (tra Docg e Doc oltre 500 milioni di bottiglie vendute nel mondo) potesse essere un problema per i produttori transalpini, deve invece ringraziare lo spumante italiano, che ha sdoganato la bollicina da evento riservato alle ricorrenze a piacere quotidiano, convertendo al “tappo a fungo” mercati e fasce di consumatori, come i millennials e la Generation Z (o post-millennials: i nati da metà anni ’90), che prima sembravano piuttosto insensibili al suo charme. E che hanno imparato ad apprezzare, o lo faranno, il fascino delle grandi cuvée di Champagne.

Il fascino dello Champagne

Ma cosa rende questo vino così appassionante, al di là delle mode e delle congiunture economiche? Sicuramente il fatto che è il frutto di una viticoltura di alta qualità in una zona assolutamente vocata alla tipologia, vuoi per le varietà di uva (Pinot Nero, Meunier e Chardonnay) vuoi per le caratteristiche del suolo (terreni calcarei che assicurano ai vini la giusta acidità e quindi la freschezza del gusto) e infine per il clima più freddo di tante regioni viticole europee. Ma anche e molto per il know-how accumulato dai produttori champenois in trecento anni: è straordinario, e continua a fare scuola, in campo enologico, di marketing e di strategie commerciali. Chi conosce la Champagne e le grandi maison con la loro storia non può che rimanere affascinato dalla loro capacità di innovare e di rinnovarsi continuamente, dettando l’agenda al resto del mondo delle bollicine, che, Prosecco escluso (ma è un altro campionato...) è perennemente costretto ad inseguire.

Il territorio poi è bellissimo da visitare, pullula di ottimi ristoranti a qualsiasi livello e garantisce accoglienza di prim’ordine in ogni fascia di prezzo. Il paesaggio è tutelato con accanimento, e dal 2015 è patrimonio mondiale dell’UNESCO (come speriamo diventino le colline di Conegliano e Valdobbiadene: iter avviato).

Disegno di Finnano Fenno

La rivoluzione verde

Inoltre da qualche anno è in atto una vera e propria “rivoluzione verde”: è uno dei territori mondiali con il più alto tasso di crescita della viticoltura biologica e biodinamica, e la parola “sostenibilità” non è solo una chiacchiera, ma è entrata nei protocolli delle grandi maison come in quelli delle cooperative e dei vignaioli. Si pensi che il Comitato Interprofessionale continua a emanare direttive, come quella della riduzione del peso delle bottiglie e di emissione di CO2 alle quali nessuno si sogna di contravvenire... È stata questa la prima regione vinicola del mondo a calcolare, nel 2003, la sua impronta carbonica e a fissare una tabella di marcia che l’ha portata a ridurre le emissioni del 15% in 10 anni (grazie anche a un calo del peso del vetro del 7%), che sarà del 25% nel 2025 e del 75% nel 2050. Il livello qualitativo è indiscusso – come dimostrano le nostre degustazioni – ed è in crescita. Il riscaldamento globale non ha prodotto ancora grandi cambiamenti, tra queste verdi colline, se non quello di dare uve più mature e meno bisognose di “correzioni” a base di liqueur e di zuccheri. Champagne sempre più buoni e più verdi, insomma, che noi italiani, che siamo uno dei mercati dove si consumano più bottiglie di Champagne di alta gamma, apprezziamo sempre di più.

I migliori 19 Champagne

Vi presentiamo gli Champagne con un punteggio superiore a 90. Tutti gli altri li trovate nel numero di gennaio del Gambero Rosso, dove ci sono tutte (o quasi) le maison e le cave le cui etichette sono reperibili in Italia: le abbiamo degustate a Modena per Champagne Experience, la kermesse organizzata dagli importatori del Club Excellence.

La commissione d'assaggio: Stefania Annese, Antonio Boco, Giuseppe Carrus, Gianni Fabrizio, Costantino Gabardi, Eleonora Guerini, Elena Mozzini, William Pregentelli, Lorenzo Ruggeri, Marco Sabellico.

Disegno di Finnano Fenno

Valée de la Marne

Champagne Billecart-Salmon - Blanc de Blancs '06

Alla sesta generazione i Billecart-Salmon non hanno bisogno di grandi presentazioni. Questo millesimato è estremamente complesso al naso, con note di pera e regina Claudia, miele d’acacia, leggermente lattico e pastoso. La bocca ha una tensione graffiante e splendida, un finale affilato e lanciato, luminoso e brillante.

Punteggio: 92

Champagne Billecart-Salmon — Mareuil-sur-Ay - 40, rue Carnot - +33(0)326526022 – champagne-billecart.fr

 

Champagne Éric Taillet - Sur Le Grand Marais

Viticoltori prima che produttori, i Taillet, possono contare su circa 6 ettari distribuiti in sei comuni attorno a Baslieux-sous-Chatillon, nel cuore della Vallée de la Marne, patria del pinot meunier. Questa cuvée lo vede presente al 90%, con chardonnay a saldo. Profumi di fieno fresco e scorza d’arancia, pe runa bocca grintosa, fresca e molto asciutta.

Punteggio: 91

Champagne Éric Taillet - Baslieux-sous-Châtillon - 37, rue Valentine Régnier - +33(0)326581142 – champagne-eric-taillet.fr

Disegno di Finnano Fenno

Montagne de Reims

Champagne Paul Bara - Special Club Grand Cru '04

È difficile scegliere una bottiglia nella gamma di questa classica maison che risale al 1833. Grandi vigne e cure artigianali ne fanno da sempre un nome di spicco. Abbiamo optato per la bottiglia “special Club” dell’ottima vendemmia ’04. Di commovente ricchezza e profondità, di grande forza espressiva nei suoi toni di frutto e bouquet garni, ci ha davvero incantato.

Punteggio: 94

Champagne Paul Bara - Bouzy - 4, rue Yvonnet - +33(0)326570050 – champagnepaulbara.com

 

Champagne André Beaufort - Polisy Brut Millésimé ‘97

Jacques Beaufort è uno dei pionieri dell’agricoltura bio in Champagne, che pratica dal 1969. La famiglia elabora una serie di etichette di livello eccellente, come testimonia questo millesimato maturo che si esprime con straordinaria eleganza e finezza nei suoi toni di zafferano e fungo porcino, ma che sa essere allo stesso tempo sapido, teso, complesso e profondo, con un frutto di bella integrità.

Punteggio: 94

Champagne André Beaufort — Ambonnay - 1, rue de Vaudemanges - +33(0)326570151 – champagnebeaufort.com

 

Champagne Monmarthe - Brut Millésimé 1er Cru ’09

Maison familiale diretta da Jean-Guy e Sandrine Monmarthe, vanta 17 ettari classificati premier cru. Nella sua curata gamma ci ha colpito questo millesimato che ha riposato in cantina ben 84 mesi prima del dégorgement. Ha materia, è sapido, teso verticale, cremoso e speziato al palato, elegante e di straordinaria beva.

Punteggio: 93

Champagne Monmarthe — Ludes 38, rue Victor Hugo - +33(0)326611099 – champagne-monmarthe.com

 

Champagne Michel Arnould & Fils - Memoires de Vignes Grand Cru ‘11

Ha solo 12 ettari di vigne la maison, ma tutti quotati Grand Cru. Eccellente, a dir poco, questo blanc de noirs. Esprime intensità ed eleganti toni di frutti rossi al naso come al palato, dove è polposo, sapido, di bella struttura ma anche di straordinaria beva nonostante la profonda complessità e il lungo finale fumé.

Punteggio: 92

Champagne Michel Arnould & Fils - Verzenay - 28, rue de Mailly - +33(0)326494006 – champagne-michel-arnould.com

 

Champagne Paul Déthune - Blanc de Noirs Grand Cru ’12

Pierre Déthune è erede di una tradizione secolare di viticoltori e coltiva in regime bio le sue pregiate vigne di Ambonnay, circa 7 ettari. Di questo vino colpiscono il colore ramato brillante, la finezza del perlage, la freschezza del bouquet e le nitide note di frutto rosso. Complesso, armonico, moderno.

Punteggio: 92

Champagne Paul Déthune - Ambonnay - 2, rue du Moulin - +33(0)326570188 – champagne-dethune.fr

Disegno di Finnano Fenno

Aube

Champagne Drappier - Cuvée Charles De Gaulle

Una delle migliori aziende dell’Aube, e non solo, offre una serie di etichette di altissimo livello. Il Charles De Gaulle, da pinot nero (80%) e chardonnay riposa tre anni sui lieviti, e ci ha conquistato per la struttura sapida e piena, per le note nitide di frutto sia bianco sia nero, per la fresca vena agrumata e l’eleganza dell’insieme.

Punteggio: 92

Champagne Drappier - Urville - rue des Vignes - +33(0)325274015 – champagne-drappier.com

 

Champagne Fleury - Millésimé ’04

Fleury è tra le aziende pioniere della biodinamica in Champagne. Jean-Pierre Fleury infatti ha convertito le sue vigne - 15 ettari – in biodinamica già nel 1989. Il ’04, da pinot nero in prevalenza, ha maturato circa nove anni sui lieviti. Un vino dall’effervescenza cremosa, fine ed elegante nei toni di frutti rossi, di sapida e vitale fruttuosità, ha un avvincente finale boisé.

Punteggio: 92

Champagne Fleury - Courteron - 43, Grande-Rue - +33(0)325382028 – champagne-fleury.fr

Disegno di Finnano Fenno

Côte des Blancs

Champagne Agrapart & Fils - Extra Brut Terroirs

Uno Champagne semplicemente fantastico, come ci si aspetta da una maison di récoltant manipulant (RM) di questo livello. Chardonnay in purezza, sui lieviti per quattro anni, unisce una mineralità luminosa e quasi elettrica a sensazioni fruttate mature ma elegantissime, amalgamate da un raffinato tratto di panetteria e lieviti nobili. Una meraviglia.

Punteggio: 94

Champagne Agrapart & Fils - Avize - 57, avenue Jean Jaurès - +33(0)326575138 – champagne-agrapart.com

 

Champagne Larmandier-Bernier - Vieille Vigne du Levant '08

Pierre Larmandier è uno dei più apprezzati produttori di tutta la Champagne. Coltiva le sue vigne in regime biologico in vari comuni della Cote de Blancs, realizzando vini affilati e personali. Il Vieille Vigne du Levant è l’espressione lucente delle vigne di charddonay a Cremant. È una scheggia di sale e frutta, purissimo nell’affondo mentolato. Rigenerante.

Punteggio: 94

Champagne Larmandier-Bernier - Vertus - 19, avenue du Général de Gaulle - +33(0)326521324 – larmandier.fr

 

Champagne Pascal Doquet - Diapason Grand Cru Le Mesnil sur Oger Brut

L’azienda rinasce sulle ceneri della storica Doquet-Jeanmaire nel 2004, quando Pascal Doquet rileva l’attività di famiglia. Dal Mesnil-sur-Oger proviene il Diapason, una cuvée di solo Chardonnay che si affina 8 anni sur lies. Uno Champagne complesso (fiori bianchi, agrumi e brioche) e raffinato dove tensione e ricchezza si bilanciano perfettamente.

Punteggio: 92

Champagne Pascal Doquet - Vertus - 44, chemin du Moulin de la Censé Bize - +33(0)326521650 – champagne-doquet.com

 

Champagne De Sousa - Brut Réserve Grand Cru Blanc de Blancs

Erick De Sousa ha vigne Grand Cru nei comuni di Avize, Oger, Cramant e Le Mesnil, per quanto riguarda lo chardonnay, ma anche parcelle di pinot noir ad Aÿ e Ambonnay. Tutte allevate con metodi biodinamici e tecniche volte ad esaltare il terroir. Questo Champagne è la quintessenza della Cote Blanc, esaltata da vini di riserva che danno complessità e ampiezza.

Punteggio: 91

Champagne De Sousa - Avize - 12, place Léon Bourgeois - +33(0)326575329 – champagnedesousa.com

disegni di Finnano Fenno

Maison Classiche

Champagne Jacquesson - Cuvée 736 Dégorgement Tardif

Jacquesson, fu acquistata nel 1974 da Jean Chiquet che, con i figli Laurent e Jean-Hervé, iniziò a produrre Champagne senza compromessi. Poche bottiglie (350mila) quasi interamente da vigneti di proprietà, lunghe permanenze sulle fecce e dosaggi minimi sono i dettami della famiglia. La 736 D.T. frutto del blend paritario dei 3 vitigni e base 2008, abbina struttura, freschezza e lunga persistenza.

Punteggio: 93

Champagne Jacquesson - Dizy - 68, rue du Colonel Fabien - +33(0)326556811 – champagnejacquesson.com

 

Champagne Bruno Paillard - Blanc de blancs Extra Brut Grand Cru

Sugli scudi la batteria proposta. In particolare, ci piace il carattere essenziale e luminosissimo di questo Blanc de Blancs che sosta 50 mesi sui lieviti. Ha un incedere naturale e molto puro, con suggestioni di cedro e tè verde: sorso lieve, delicato, lunghissimo. Bevibilità fuori dal comune: per noi la migliore versione di sempre.

Punteggio: 92

Champagne Bruno Paillard - Reims - avenue de Champagne - +33(0)326362022 - champagnebrunopaillard.com

 

Champagne Charles Heidsieck - Rosé Vintage '06

Solidissima la batteria di Champagne presentata da questo celebre marchio. In un livello qualitativo medio molto alto, eccelle il complesso Rosé 2006, affinato per 9 anni sui lieviti, frutto di Pinot Noir e Chardonnay. Si offre sfaccettato su toni intensi di fiori rossi, caffè e nocciola. Denota un sorso ampio e reattivo, dall’allungo finale di grande classe ed energia.

Punteggio: 92

Champagne Charles Heidsieck - Reims - 12, allée du Vignoble - +33(0)326844350 – charlesheidsieck.com

 

Champagne Louis Roederer - Brut Rosé '11

Una vera delizia. Il 2011, 63% pinot nero e 37% chardonnay, si offre smaliziato su fresche sensazioni floreali, e di menta, con un frutto rosso maturo e golosissimo. La bocca è cremosa e dirompente, con un finissimo profilo tostato che allunga un finale di straordinaria fragranza e lunghezza. Chiude tonico e vibrante.

Punteggio: 92

Champagne Louis Roederer - Reims - 21, boulevard Lundy - +33(0)32644211 – louis-roederer.com

 

Champagne Pol Roger - Brut Vintage '08

La Casa creata da Pol Roger più di 160 fà, deve il suo successo allo statista inglese Winston Churchill. Posseduta ancora oggi dai pronipoti del fondatore, la Maison può contare su 92 ettari di vigne. Il Brut Millesimato (Pinot Noir 60% e Chardonnay 40%) si fa apprezzare per la potenza unita alla finezza. Ha un frutto rosso più che carnoso, grande slancio e incisività.

Punteggio: 91

Champagne Pol Roger - Epernay - 1, rue Winston Churchill - +33(0)326595800 – polroger.com

 

Champagne Bollinger - La Grand Année '07

Il classico tono di caffè e liquirizia si avverte intenso in questo millesimo, poi, tocco di miele d’arancio e un profilo di cedro. La bocca esalta una polpa matura e succosa, con un finale intenso e prolungato su sensazioni di nocciola. Più pronto rispetto ad altre versioni, gioca una carta speziata affascinante e complessa.

Punteggio: 90

Champagne Bollinger - Aÿ - 16, rue Jules-Lobet - +33(0)326533366 – champagne-bollinger.com

 

a cura di Marco Sabellico

disegni di Finnano Fenno

 

QUESTO È NULLA...

Nel numero di gennaio del Gambero Rosso, un'edizione tutta nuova in questi giorni in edicola, trovate la selezione completa dei migliori 90 Champagne, con tutti gli appunti di degustazione e punteggi. Un servizio di 27 pagine dedicato alle bollicine più famose del mondo, che include anche una guida alla regione francese, con le tappe imperdibili, due racconti inediti di Emiliano Gucci e di Nicola Ravera Rafele, le interviste agli enologi e ai produttori e le bellissime illustrazioni di Finnano Fenno.

Il numero lo potete trovare in edicola o in versione digitale, su App Storeo Play Store Abbonamento qui

Michele Gioia è il nuovo chef de Il Pellicano di Porto Ercole. Il ritorno nella famiglia di Roberto Sciò

$
0
0

Da qualche giorno è al lavoro per pianificare la stagione, che nella prestigiosa cucina di Porto Ercole si aprirà il 12 aprile. Michele Gioia, dopo la parentesi con il gruppo di Roberto Naldi Collection che nell'ultimo anno l'ha visto lavorare a Parigi, torna a collaborare con la famiglia Sciò dopo gli anni trascorsi a La Posta Vecchia. 

Da Parigi a Porto Ercole

A Parigi ha trascorso buona parte dell'ultimo anno, ambasciatore della cucina italiana per conto del gruppo Roberto Naldi Collection, che nella capitale francese ha aperto alla fine del 2016 l'Hotel Splendide Royal Paris. Ma Michelino Gioia, dopo l'addio a La Posta Vecchia sul litorale di Palo Laziale nell'estate 2015, era entrato nella scuderia Roberto Naldi con l'obiettivo di presentarsi sulla scena romana come resident chef del nuovo, ambizioso progetto di ristorazione dell'hotel Parco dei Principi. Operazione mai andata in porto, per difficoltà burocratiche che hanno a più riprese fermato i lavori di ristrutturazione all'ottavo piano del prestigioso complesso romano, destinato in origine a ospitare l'insegna gastronomica dello chef (coinvolto in prima persona nella progettazione della cucina). Un'attesa che col tempo, nonostante il ripiegamento sul versante francese, si è fatta estenuante, tanto da spingere Michele Gioia a ripensare il suo futuro altrove. Per ritrovarlo oggi, all'inizio di una nuova avventura, non bisogna andare lontano: Gioia rientra dalla porta principale nella famiglia di Roberto Sciò, in qualità di executive chef dell'Hotel Il Pellicano di Porto Ercole (che insieme a La Posta Vecchia fa parte del pacchetto di ospitalità extralusso di Sciò). Una novità che è insieme un ritorno, dunque, e racconta di un buon rapporto con la proprietà che non si è mai interrotto, fino all'offerta arrivata lo scorso ottobre, quando Michele era tornato da qualche settimana disponibile sul mercato (nel passato recente, invece, ha rifiutato una proposta del Four Seasons di Ginevra) : “Mi sento un po' come il figliol prodigo, dal 15 gennaio sono al lavoro al Pellicano per impostare il lavoro dei prossimi mesi. Sarà un anno intenso, c'è tanto da pianificare in vista dell'apertura stagionale prevista per il 12 aprile. Intanto sono alla ricerca di un sous chef, devo ricostruire un gruppo giovane che possa affiancarmi”.

 

Cambio chef al Pellicano

Gioia prende il posto di Sebastiano Lombardi, a sua volta subentrato alla guida del ristorante di Porto Ercole dopo l'addio di Antonio Guida. E oltre al ristorante gastronomico gestirà anche l'offerta del Pelligrill, “con l'intenzione di farne un'osteria toscana nel senso più nobile del termine: una tavola informale in dialogo con piccoli fornitori locali dove scoprire la semplicità regionale di mare e terra, e l'italianità di piatti che oggi sono a torto snobbati... Un buon sautè di cozze, uno spaghetto alle vongole, piatti che ci rappresentano nel mondo”. Proprio l'esperienza parigina, in questo senso, è stata illuminante per chiarire ulteriormente una visione di cucina incentrata sulla semplicità: “In Francia ho avuto la possibilità di fare stage importanti, a Le Clarence di Parigi e a Colmar; poi ho curato lo start up del bistrot Tosca per Roberto Naldi, confrontandomi con una scena gastronomica stimolante, un bellissima esperienza per l'attitudine di clientela e fornitori. E lì ho capito: noi italiani all'estero, più proponiamo una cucina semplice, ma ben eseguita, più siamo vincenti. Il vero lusso è togliere, nel piatto dobbiamo portare quella pulizia e quella solarità che sono tipiche della nostra identità”. Considerazioni che certo influiranno sul futuro al Pellicano, “una scelta di cui sono davvero felice, anche se in passato ho creduto che i posti stagionali non facessero più per me, per un problema di continuità di lavoro con la brigata”. Ora, invece, Michele Gioia riparte con slancio, curioso di scoprire il territorio che sarà la sua nuova casa: “Voglio lavorare con tanti prodotti locali, proporre un'idea molto italiana di ristorante gastronomico, anche se non mancheranno materie prime importanti dal resto del mondo, come si conviene al prestigio della tavola”.  

Hotel Il Pellicano - Porto Ercole (GR) - Località Sbarcatello - www.pellicanohotels.com

 

a cura di Livia Montagnoli

Care's 2018. La cucina etica in 3 concetti: tradizione, cultura, tecnica

$
0
0

Care's: la cucina etica in tre parole chiave, quelle emerse nelle masterclass durante Care's,manifestazione voluta da Norbert Niederkofler e Paolo Ferretti che ha portato tra le montagne della Val Badia oltre 30 chef da tutto il mondo per riflettere sull'etica del cibo. 

Nell'edizione 2018 di Care's, manifestazione voluta da Norbert Niederkofler e Paolo Ferretti in Val Badia, la cucina etica si declina attraverso alcuni concetti chiave durante le masterclass, momenti di incontro in cui la condivisione di riflessioni, tecniche e saperi è uno snodo fondamentale. “Sostenibilità è anche non sprecare le idee” diceTomaž Kavcic (Ristorante Pri Lojzetu a Vipava) sloveno veterano della manifestazione. Tra i valori di cui si fa portavoce Care's anche la riconquista di un andamento lento in cucina, con preparazioni che richiedono pazienza e attesa.

Norbert Niederkofler e Paolo FerrettiNorbert Niederkofler e Paolo Ferretti

La sostenibilità è in fermento

Per esempio la fermentazione, tecnica sempre più utilizzata per le caratteristiche di conservazione, trasformazione degli alimenti, recupero degli scarti, ampliamento dello spettro aromatico dei cibi, aumento del loro valore nutrizionale. Terreno di sperimentazione per tanti chef che declinano tecniche orientali (ma non solo) su prodotti nostrani: è quello che accade al St. Hubertus, dove Norbert Niederkofler e il suo team (tra cui il bravo Michele Lazzerani) sperimenta salsa di soia, garum, miso, aglio nero a partire da lenticchie di montagna, mele, anguilla e altri ingredienti, potendo contare anche sul rapporto stabilito nel tempo con i suoi fornitori, per esempio gli agricoltori con i quali programma di anno in anno il paniere cui attingere. Sperimenta anche Antonia Klugmann che, dal suo Argine a Vencò e con la collaborazione del sous chef giapponese, mira a liberare la complessità insita nella natura dei prodotti attraverso l'impiego di lavorazioni differenti, con i fermentati a dare lo slancio a nuovi sapori e texture, così come accade nel laboratorio di Valeria Mosca madrina della wild mixology con il suo Wood*ing, laboratorio cocktail bar a tutto erbe spontanee e fermentati in cui si sperimentano pratiche arcaiche legate alla nostra cultura più antica e nuovi trend di consumo.

Antonia KlugmannAntonia Klugmann

Sostenibilità è cambiamento culturale

Un affondo sul valore più profondo della cucina non può ignorarne l'aspetto culturale e il legame con la storia personale di ognuno. Quando Takeshi Iwai (Ada e Augusto a Gaggiano, località Cascina Guzzafame) è arrivato in Italia, circa 12 anni fa, già conosceva la nostra cucina e intendeva approfondirne gli ingredienti per realizzare ricette autenticamente tricolori, qui ha scoperto i prodotti più semplici, quelli che – forse più di altri – si differenziano da ciò che si trova all'estero. Lavorare in un posto come Cascina Guzzafame dove si usano materie prime autoprodotte, gli ha rivelato il ruolo di un ingrediente di cui non aveva finora tenuto conto: la memoria. Quell'impronta scritta nella storia di ognuno che rende una cucina profondamente differente da quella di un altro. “Ho capito che non potrò mai fare una vera cucina italiana, perché i miei ricordi sono diversi da quelli di un italiano”. Ha compreso allora che doveva guardare al proprio passato per trarne nuovo materiale. In questa riappropriazione della propria identità, di giapponese in Italia, nascono ricette contaminate, arricchite dall'incontro tra culture ingredienti, tecniche e sapori diversi.

Jock Zonfrillo, invece, parte dalla Scozia e arriva ad Adelaide sulla costa dell'Australia Meridionale. Italo scozzese, nella sua formazione ci sono la grande tradizione francese ed esperienze da Marco Pierre White, nel suo DNA la molteplicità delle culture gastronomiche, e oggi il suo ristorante, Orana, è pienamente immerso nella millenaria storia alimentare aborigena, nei prodotti locali, nei modi per produrli, prepararli e consumarli. La ricerca del cibo delle origini dell'Oceania – per certi versi ancora un paesaggio vergine - lo ha portato a esplorare deserti e foreste, incontrare persone, vincere la resistenza di popoli sradicati che hanno visto calpestata la propria storia e il tessuto sociale. Così è nata la Orana Fondation con i suoi progetti di archeologia culinaria, istituto che opera proprio per dare voce alle comunità native e preservare il patrimonio aborigeno che è strettamente connesso con questo territorio che offre prodotti incredibili.

Mitsuharu TsumuraMitsuharu Tsumura

Un ulteriore viaggio dentro e fuori la propria storia culturale è quello di Mitsuharu Tsumura, (Maido di Lima), tra i maggiori esponenti della cucina Nikkei e numero uno per la Latin Americas's 50 Best Restaurants. Per lui – alle spalle studi negli Stati Uniti ed esperienze in Giappone - il rientro in Perù ha coinciso con la riconquista della propria identità. “Mi sono reso conto che non potevo fare una cucina semplicemente giapponese” spiega, perché la sua vicenda è quella di un sudamericano, che vive a contatto con prodotti incredibili, con una storia di contaminazioni (come quella tra peruviani e giapponesi che ha dato vita alla cucina Nikkei) e una biodiversità straordinaria che occorre tutelare per valorizzare prodotti e produttori, creare una maggiore consapevolezza del patrimonio a disposizione, migliorare la vita degli agricoltori e dei nativi. A un certo punto è emersa l'esigenza di investigare sui prodotti locali, primi tra tutti quelli dell'Amazzonia. Per esempio il mocambo, grosso frutto selvatico del Theobroma bicolor, di cui si usano polpa e semi in vari modi (Tsumura ne fa un gelato), cugino del cacao e della noce di cocco, base dell'alimentazione dei nativi e tra i cibi poveri per eccellenza. La sfida è costruire una rete commerciale virtuosa che possa inserire il mocambo in un mercato locale e non solo, secondo dinamiche sane, eque e solidali che permettano alla popolazione di rinsaldare il legame con il proprio territorio e la propria cultura gastronomica.

L'etica della tradizione

Un viaggio in più tappe nelle tradizioni di diversi paesi mira a dimostrare come la cucina contemporanea sia il frutto di una relazione dinamica e personale con il proprio background culturale. “Se non hai tradizioni vive” ammonisce MaksutAskar del Neolokal di Istanbul “non ci può essere futuro né sostenibilità, perché per mantenere le tradizioni occorre avere i prodotti, e per questi bisogna preservare territori e persone”. In questo modo la tradizione è un veicolo per la sostenibilità. Bisogna trasferire alle nuove generazioni la conoscenza delle preparazioni classiche, educare le persone. Il percorso, per Askar, passa attraverso la ricerca del prodotto fresco, il rispetto per la stagionalità e il territorio, la riduzione degli sprechi (calcolati giornalmente nel suo ristorante per valutare le procedure per eliminarli completamente), la conoscenza e la consapevolezza, anche della varietà del suo paese. Lui lo chiama Anatolia per dar conto della ricchezza di popolazioni e dunque di culture gastronomiche che compongono “un mosaico variegato di minoranze etniche: l'impero ottomano ha assimilato parecchie popolazioni, non poteva cancellarne la storia e ha fatto sì che ci fosse tra loro un denominatore comune: la tradizione. La sua sopravvivenza è legata alla tradizione”. Non esiste dunque una sola cucina turca, ma molte cucine, tante quante le storie personali. Un esempio si ha con l'hummus: “ogni popolo in Medio Oriente pensa che il suo hummus sia il migliore, in realtà non esiste una ricetta, ma mille ricette nate dall'esperienza di ognuno, dalla testa, dal cuore e dal gusto”. È una preparazione simbolo che Askar trasforma nel ritratto di una regione, creando nel piatto le altitudini dell'Anatolia e il panorama olfattivo con 10 spezie ed erbe tipiche “l'hummus è un piatto che vive e cambia continuamente, bisogna farlo riposare e assaggiarlo prima di completare la ricetta”.

 Ivan e Sergey BereutsiyIvan e Sergey Bereutsiy

Il territorio è il panorama di riferimento anche di Ivan e Sergey Bereutsiy, del Twins Garden di Mosca, che hanno portato a Care's una sintesi del paesaggio russo, interpretato in due piatti a base di elementi iconici locali: la betulla, che è una presenza costante nel loro paese, e i funghi “che per noi sono la base dell'alimentazione, il cibo più elementare, come le patate o il pane per altri”.

Il punto di partenza è il piccolo ecosistema che si crea intorno all'albero che in questi piatti è condensato in tutti i suoi elementi, dalla terra alla cima: foglie, radici, corteccia, e il fungo, un boleto che cresce alla base della pianta. Elaborati in una sorta di mousse - in modo più tradizionale – o in un brodo, preparati “alla maniera russa” cioè lavorando insieme tutti gli ingredienti. Sono due interpretazioni diverse di una stessa tradizione, a testimonianza che non ci sia un modo univoco di rapportarsi con questa ma che un rapporto dialettico sia forte inesauribile di prospettive.

Tomaz Kavcic, di Pri Lojzetu di Vipava in Slovenia, racconta di un paese in cui la sostenibilità (“attenzione a non trasformarla in uno slogan solo per cavalcare una moda”, ammonisce) e la riduzione degli sprechi fanno parte della cultura di ognuno, anche per la storia segnata dagli anni difficili del regime. Nella sua cucina a scarto zero c'è passato e futuro: “senza rispetto del passato, con la conoscenza della propria cultura, non si può guardare al futuro”. Da lui, quasi al confine con l'Italia, c'è una cucina del cucchiaio con brodi e zuppe alla base dei pasti, come lo sono da Pri Lojzet: “ogni giorno da noi si fanno tre brodi: di pesce, di manzo, di verdure”. Preparazioni base che consentono un impiego più razionale degli ingredienti – dalla cui qualità non si può prescindere - anche sfruttando tecniche contemporanee (per esempio il sottovuoto per marinare a freddo la carne, l'essiccazione per le verdure usate nel brodo poi reimpiegate nei piatti) per migliorare la tradizione e proiettarla nel futuro. Il Riso non riso e assaggio di trotaè un piatto a base di frammenti di sedano rapa – prodotto iconico del territorio - usato per il brodo di trota (preparato con i resti del pesce) insieme a carota, pomodoro e prezzemolo (seccati e polverizzati per aromatizzare il piatto), il filetto di trota, leggermente affumicato, diventa una crema suadente. Un piatto che lascia la cucina pulita: “non è rimasto nulla: abbiamo usato ogni cosa. Perché lo scarto è nobiltà”.

www.care-s.it

 

a cura di Antonella De Santis

 

 

Il risiko delle storiche botteghe gastronomiche di Torino. Chiude Steffanone, arriva Biraghi all'ex Paissa

$
0
0

Chi trasloca, chi debutta... Quanto spazio c'è ancora per le storiche insegne che tramandano la tradizione gastronomica piemontese a Torino? Steffanone chiude bottega in centro città e trasloca in periferia. Mentre in piazza San Carlo, a 4 anni dal fallimento di Paissa, arrivano i formaggi di Biraghi. 

Steffanone. Oltre 130 di storia nel cuore di Torino

Che la difficoltà a sostenere le spese per mantenere alzate le serrande dello storico negozio in centro città avrebbero posto fine a un'attività durante oltre 130 anni già si vociferava da mesi. E il 31 dicembre scorso, la bottega gastronomica di Steffanone, ritrovo torinese gourmand fondato nel lontano 1886, ha chiuso definitivamente i battenti. Un epilogo analogo a quello che un anno fa portava alla serrata della bottega del cioccolato di Peyrano in Corso Vittorio Emanuele, più recente per fondazione (1962), ma di indubbio valore identitario per una città legata alla longevità delle sue tradizioni gastronomiche come Torino. All'inizio del 2017, Peyrano, che oggi si identifica nella figura volitiva di Bruna Giorgio, di fronte alla difficoltà di pagare l'affitto sceglieva di mantenere in vita il laboratorio storico di Corso Moncalieri, concentrando la produzione nei locali che nella prima metà del Novecento hanno visto nascere il cioccolato della Casa Reale.

Dal centro alla periferia

Al contrario, Steffanone, nato tra le mura del negozio di via Maria Vittoria, al civico 2, ripensa il suo futuro prossimo in periferia, spostando l'attività in zona Vanchiglietta, dove la famiglia di Luigi e Lidia Valente, da sessant'anni alla guida dell'attività, ha aperto da tempo il laboratorio di produzione della gastronomia – a gestirlo è il figlio Marco - che supporta servizi di catering e banqueting, dove ha trovato spazio anche una formula di ristorazione informale, sotto l'insegna VaStè Bistrot. Proprio al bistrot di via Lessolo, d'ora in avanti, dovranno recarsi gli abituée della bottega per continuare a onorare il rito della tavola tradizionale piemontese, tra insalata russa e vitello tonnato, agnolotti e finanziera, che l'insegna storica nei pressi di piazza San Carlo serviva a portar via o per pranzo, con una proposta del giorno modulata sulle esigenze di una pausa veloce, da consumare in bottega. L'alternativa per chi non vuole spingersi in periferia? Approfittare del servizio a domicilio, che resterà attivo. Ma anche una visita al VaSté Bistrot dovrebbe riservare belle soddisfazioni, con un'offerta che si arricchisce a comprendere un più ampio catalogo di eccellenze, tra prosciutti pregiati, formaggi, salmone e dolci della casa, diventata famosa pure per le brioches artigianali servite a colazione in via Maria Vittoria.

 

Da Paissa a Biraghi

Non molto distante, intanto, un nuovo attore esordiente sulla scena cittadina promette di riabilitare nel giro di qualche mese i locali sotto i portici di piazza San Carlo di Paissa, che ormai quattro anni fa chiudeva per bancarotta fraudolenta, scrivendo la parola fine sull'attività di un'altra storica istituzione della gastronomia torinese (enoteca e compendio di delizie), fondata nel 1884 dai Fratelli Paissa. Al fallimento della primavera 2013 è seguito un periodo di lunga inattività del fondo di proprietà di Intesa Sanpaolo, che ora ha ceduto i locali in affitto a Biraghi, celebre brand dell'industria casearia piemontese. E così lo spazio si trasformerà presto in un moderno store monomarca dell'azienda produttrice di formaggi, il primo nella storia della realtà nata negli anni Trenta a Cavallermaggiore (che oggi lavora 155 milioni di litri di latte all'anno), in provincia di Cuneo, dove lo spaccio continuerà l'attività di vendita al pubblico. Il progetto torinese, invece, è ben più ambizioso, con prodotti a scaffale a marchio Biraghi, dal gorgonzola al burro di panna fresca ai formaggi stagionati, e una selezione di eccellenze piemontesi in vendita e disponibili per l'assaggio. L'obiettivo? Raccontare la storia dell'azienda, ma pure l'identità gastronomica regionale, in una vetrina moderna in centro città. Il cantiere, che si apre in questi giorni, fa definitivamente tramontare l'idea di destinare i locali a una nuova gastronomia di qualità, progetto suggestivo avanzato in passato da Baudracco, altra storica bottega alimentare cittadina, finora capace di resistere ai tempi che cambiano.  

 

VaStè Bistrot - Torino - via Lessolo, 17/b - www.vastetorino.it 

 

a cura di Livia Montagnoli

Dove mangiare a Rimini durante Sigep 2018

$
0
0

Countdown per Sigep 2018: il salone dedicato a pasticceria, panificazione, gelato, cioccolato e caffè giunge alla 39esima edizione. Qui una selezione dalle nostre guide per una colazione d'autore, una buona pizza o una cena di livello; per tutti coloro che si recheranno a Rimini nei prossimi giorni.

Dal 20 al 24 gennaio apre di nuovo i battenti, all'interno degli spazi di Rimini Fiera, Sigep, il salone internazionale dedicato a pasticceria, panificazione, gelato, cioccolato e caffè. Una rassegna che anticipa tendenze e innovazioni del settore, e che come ogni anno richiamerà nella città romagnola migliaia di visitatori - lo scorso anno più di 160mila - tra appassionati e professionisti.

Sigep 2018 a Rimini

Giunto quest'anno alla 39esima edizione, Sigep come ogni anno si propone di anticipare le tendenze del settore, mostrando materie prime, ingredienti, impianti, attrezzature, arredamenti e servizi innovativi. Sigep è anche uno show che premia i talenti, investe sulle giovani generazioni, porta l’eccellenza italiana nel mondo e l’eccellenza mondiale in Italia. È qui che si volgono i campionati più attesi dai professionisti, come la Coppa del Mondo della Gelateria o i campionati italiani dedicati ai baristi: Campionato Italiano Baristi, Campionato Italiano Latte Art, Campionato Italiano Coffee In Good Spirits, Brewers Cup, Campionato Italiano Cup Tasting, Campionato Italiano Ibrik e Campionato Italiano Roasting. E poi corsi, seminari e presentazioni, tra cui quella della nostra Guida Gelaterie d'Italia 2018 (lunedì 22 gennaio ore 13.30, Stand Orion, Padiglione C6) e del libro di Maurizio Santin Dolcemente con (lunedì 22 gennaio ore 11.00, Stand Molini Spigadoro, Padiglione B7).Il tutto dislocato in cento mila metri quadri di esposizione. Ma una volta usciti dalla fiera, dove si può andare a mangiare? Ecco 15 indirizzi, in città e provincia, selezionati dalle nostre guide.

Guida Ristoranti d'Italia 2018

Cappelletti al ragù di Abocar Due Cucine a Rimini

Abocar Due Cucine - Rimini

Abocar in spagnolo significa avvicinare, ed è questo il nostro intento: aiutare i nostri ospiti ad accostarsi a una cucina giovane e creativa”. Un intento decisamente riuscito per Mariano Guardianelli e Camilla Corbelli, uno spazio curato e accogliente ma non formale nel centro storico. Mariano, argentino, si occupa dei fornelli, mentre Camilla è una garbata e preparatissima responsabile di sala. Si sceglie da un divertente menu stampato e appiccicato a una tavola di legno, dove sono esposti i pochissimi piatti alla carta e i divertenti, interessanti e vantaggiosi percorsi guidati. Se vi va di sperimentare e - come vorrebbero i titolari - essere introdotti a questa linea “meticcia” a metà strada fra il Sudamerica e l’Italia (come si intuisce dall’insegna) allora lanciatevi senza indugio su uno dei degustazione, come il menu Abocar. In esordio una sequenza di bocconi: tapioca e soia, chipà ed epazote (pane ed erbe), mate e caprino, tortiglias e lattuga. A seguire pescato marinato, cime di rapa e burro di bufala e manzo, patate e lenticchie al tamarindo. Si continua con i ravioli di pollo e semi di girasole, la seppia, arachide e cavolfiore e la guancia di manzo, scorzonera e mandarino. Dulcis in fundo: topinambur, nocciola e mela rossa (tutto a 49 €).

Punteggio 79/100 - Una Forchetta

Abocar Due Cucine – Rimini – via Carlo Farini, 13 – 0541 22279 - abocarduecucine.it

 

Riso con pescatrice, ricci e sogliola del ristorante Guido

Guido - Rimini

Come in ogni località dove è il turismo che determina l'altezza dell'asticella, a Rimini il rischio di pagare conti salati per cene discutibili è all'ordine del giorno. Per fortuna resistono posti come questo, che da oltre settant'anni, e sempre sotto l'attenta gestione familiare dei fratelli Raschi, mantiene alto il buon nome della cucina locale e lo fa, peraltro, in un contesto che vale la visita solo per il fascino della posizione. Da Guido si mangia fronte spiaggia, in una sala elegante ma non ingessata, e si pesca da un menu che valorizza le risorse e le ricette adriatiche con tecnica, stile e sapienza. La carta è dettagliata anche sui fornitori (con tante eccellenze del territorio) ed è possibile costruire liberamente la propria degustazione se non si opta per quella disponibile a 80 euro. Si comincia con la battuta di triglie e gallinelle crude con funghi di stagione e crema di topinambur e con il crudo di cefalo, yogurt e olio al basilico. Ai primi ecco “il riso in bianco”, cioè cotto in brodo di mare concentrato, mantecato con burro di pesce e servito con cuore di ricci di mare e polvere di sogliola. Poi uno squisito nasello mantecato al burro, accompagnato da broccoli su un crumble di

cavolfiore. Se volete viziarvi un po' c'è anche una bella selezione di ostriche.

Punteggio 82/100 - Due Forchette

Guido - Rimini – lungomare Spadazzi, 12 – 0541 374612 - ristoranteguido.it

 

Carne alla griglia di Lazaroun a Santarcangelo di Romagna

Lazaroun - Santarcangelo di Romagna

La bellissima Sant'Arcangelo vale da sola una visita per una passeggiata rilassata. Ma,voleste fermarvi per placare la fame, consigliamo il Lazaroun: in un antico palazzo ottocentesco nel cuore dello storico e affascinante borgo, questo locale ha ormai una fama consolidata. Il menu spazia da piatti tradizionali a salumi e formaggi selezionatissimi, a carni di prima qualità in mille declinazioni. Provate la carne salada fatta in casa con pere e formaggio di fossa di Sogliano, la porchettina di coniglio disossato al forno, crema di porri e patate croccanti oppure optate per l'antipasto misto. Ottimi i primi come gli strozzapreti con ragù di salsiccia e radicchio rosso, le pappardelle all'agnello o i passatelli romagnoli in brodo. Poi le carni alla brace e le tagliate, tra cui quella di bisonte. Per chi volesse, accanto al ristorante, anche otto appartamenti indipendenti per concedersi un soggiorno all'insegna del relax.

Lazaroun - Santarcangelo di Romagna (RN) – via del Platano, 21 – 0541 624417 - lazaroun.it

 

Locanda dell'Ambra

La Locanda dell'Ambra - Talamello

Proprio nella piazza centrale del paese, una sosta di assoluta piacevolezza, perfetta per chi in cerca di una cucina di territorio solida e ben fatta. L’ambiente è accogliente, articolato in diverse salette su più piani, tutte in pietra naturale e travi in rovere a vista. Il menu è un piccolo viaggio alla scoperta dei sapori tipici della zona, a cominciare da salumi e formaggi (Talamello è la patria del formaggio di fossa, specialità da non perdere). Si comincia con il ricco tagliere di affettati e lo sformatino di squacquerone e fonduta al fossa. Poi buone paste fatte in casa: ravioli alle erbe con ragù, cappelletti in brodo, tortelloni di grano saraceno con verza e speck. Gustosi i secondi, come l’arrosto di vitello al forno, la scaloppina al tartufo, la grigliata mista di carne, la tagliata di scottona con pomodorini e formaggio di fossa. Si chiude con dolci semplici, golosi e d'antan: pannacotta ai frutti di bosco, crema catalana, tortino di cioccolato con cuore fondente e crema al rum. Poche accoglienti camere permettono, a chi ne ha voglia, di fermarsi qualche ora in più.

Punteggio Due Gamberi

La Locanda dell'Ambra - Talamello (RN) – piazza G. Garibaldi, 28 – 0541 920902 - lalocandadellambra.com

 

Cappelletti in brodo dell'Osteria de Borg a Rimini

Osteria de Borg - Rimini

Nel delizioso Borgo San Giuliano, denso di locali dedicati alla cucina di pesce, questa è l'unica osteria di terra. Inutile chiedere spaghetti allo scoglio e fritture di paranza, qui si viene per i salumi di Mora Romagnola, i crostini, i passatelli tradizionali e i primi fatti in casa con mattarello e olio di gomito (cappelletti, ravioli, strozzapreti...), le zuppe, le polpette in umido, la costata e la fiorentina di bovini allevati in Val Marecchia, il misto di Mora e il castrato alla brace, la selezione di formaggi, i rotolini di piada farcita con squacquerone di San Patrignano. Diversi piatti di verdura e svariati dolci, dalla zuppa inglese alle torte del giorno. Da cinque anni pure la pizza fatta con farine biologiche macinate a pietra e lievito madre, condite con Presidi Slow Food e proposte in un'ampia scelta di gusti. Due menu, della tradizione e dell'Osteria. Da bere birre artigianali e vini della zona, anche al bicchiere.

Punteggio Due Gamberi

Osteria de Borg - Rimini – via dei Forzieri, 12 – 0541 56071 - osteriadeborg.it

 

Cervo con zucca e nocciole del Il Piastrino a Pennabilli

Il Piastrino - Pennabilli

Raggiungere il Piastrino non è semplicissimo (a meno che non abitiate da queste parti), la strada è lunga e le curve non mancano, ma sarebbe davvero un peccato farsi frenare da questa piccola fatica, perché quella di Riccardo Agostini e Claudia Bucci è una vera oasi di piacevolezza, dove ogni volta si ha voglia di ritornare. A un ambiente caldo e accogliente, si accostano un servizio attento e preciso senza essere affettato e una cucina che viaggia su alti livelli, con la capacità di divertire e stuzzicare restando sempre comprensibile. Delizioso il sandwich di coniglio, carpaccio di finocchio e mela con olive e cumino, meritano anche il carciofo, lumache alle erbette e zabaione all‘aceto o il porcino, baccalà e limone. Ottimi i primi: dal riso, fondente di lepre, zucca gialla e cardamomo, agli spaghetti aglio dolce, mandorle e anguilla o agli gnocchi di patate, cime di rapa, trota, guanciale e fumo. Fra i secondi, piccione rosato ai carboni, zucca violina e vermut o cervo, zucca e nocciole. A dir poco lodevole la politica dei prezzi. Alla carta si affiancano tre degustazione: Radici a 48 euro, Contemporaneo a 58 e Occasione (dieci creazioni a mano libera) a 90.

Punteggio 85/100 - Due Forchette

Il Piastrino - Pennabilli (RN) – via Parco Begni, 9 – 0541 928106 - piastrino.it

 

Passatelli con le vongole del ristorante Le Vele a Misano Adriatico

Le Vele - Misano Adriatico

Non è facile trovare un indirizzo giusto in un tratto di costa che pullula di locali turistici di dubbia qualità, ma qui per fortuna la musica è completamente diversa. Il regno di Fabio Leardini e Antonella Patrignani è molto carino, moderno e luminoso, arredato con gusto, poi è proprio di fronte al mare. La linea di cucina è ovviamente a base di pesce, lavorato con fantasia ma allo stesso tempo con cotture rapide e accostamenti che lo valorizzano senza stravolgerne freschezza e profumi. Si comincia con tempura di mazzancolle e verdurine dell'orto, tartare di tonno rosso Balfegò e grani di senape o alici del Cantabrico, bufala, pane speziato e datterini. Le paste fresche sono uno dei cavalli di battaglia della casa, quindi non stupitevi della bontà dei cappelletti di pescato, colatura di alici, burro fuso e bottarga o dei quadrucci alle canocchie. Merita anche il risotto con sugo di pesce e poveracce (vongole locali). Tra i secondi, calamari al forno con finocchio gratinato e baccalà, quinoa e cipollotto caramellato.

Le Vele - Misano Adriatico (RN) – via Litoranea Sud, 70 – 0541 611399 - ristorantelevele.net

 

Gnocchi di patate ripieni di Vite a Coriano

Vite - Coriano

Qui il Made è in SanPa. Il che vuol dire che i prodotti utilizzati ai fornelli sono praticamente a metro zero. Vite è in primo luogo una tavola di livello, in secondo la messa in pratica della filosofia della Comunità di San Patrignano (da qui la denominazione di cui sopra), i cui ragazzi curano un servizio attentissimo e sono impiegati nella gestione dell'attività in generale. Lodevole certo, ma soprattutto di grande spessore, a tutti i livelli. Bella la struttura, con una vista che arriva al mare e spazi ampi che volendo si prestano a eventi con tante persone (occhio al sito, aggiornatissimo). Intrigante il menu, dove terra, stagione e territorio dettano le regole di una cucina fresca e stimolante, ben fatta ed equilibrata. C'è la degustazione di salumi tipici con squacquerone e piada di Romagna per aprire o la pappa al pomodoro, ossia pane, pomodoro, erbe di campo, gelato al pecorino "riccio" affumicato, poi i tortelli verdi con bieta, ricotta affumicata e limone candito, il brodetto di pesce dell'Adriatico o in alternativa il piccione cotto nella creta, con le cosce ripiene con i suoi fegatini, le alette fritte, le verdure dell'orto. Oppure il tempeh marinato allo zenzero, salsa di mandorle e verdure croccanti. Oltre alla carta, ci sono vari percorsi guidati, tra cui quello vegetariano, a prezzi più che vantaggiosi (32 o 42 euro).

Punteggio 85/100 - Due Forchette

Vite - Coriano (RN) – via Monte Pirolo, 7 – 0541 759138 - ristorantevite.it

 

Guida Pizzerie d'Italia 2018

Pizza di Birrodromo August aRiccione

Birrodromo August - Riccione

Nell'insegna gli intenti sono più che dichiarati: birra, di qualità e servita come si deve. E tutto il resto gira intorno a questa grande passione, senza rinunciare a due importanti e imprescindibili principi: qualità e attenzione estrema. Ecco perché le tonde che si servono qui sono senza dubbio tra le migliori della zona. Si può scegliere tra le classiche, le speciali (che si differenziano per dei topping fantasiosi e ricercati) e le ormai famose lievitate, che si distinguono per un impasto che si lascia lievitare in tegame a temperatura e tempi controllati e che risulta più alto e soffice. Ma veniamo al dunque, provate pure la Napoletana con pomodoro, mozzarella, acciughe e origano, tra le speciali la Gratella con pomodoro, bufala in cottura, salsiccia e pomodori gratinati, mentre sul fronte lievitate vi consigliamo vivamente di partire con la semplicissima Ingegnera con burrata e prosciutto crudo San Daniele. Accanto alle pizze ruotano golosi hamburger e club sandwich, piatti unici e insalate, preparati nella bella cucina a vista.

Punteggio - Due Spicchi

Birrodromo August – Riccione (RN) – viale Lungorio, 1 – 0541 1836650 - birro.it

 

Piazza di Pizza & Pasta a Cattolica

Pizza & Pasta - Cattolica

Il gusto di Napoli a due passi dal mare Adriatico. Vivace, variopinto a volte chiassoso, il locale gestito da Gustavo De Leo resta un punto di riferimento per l'autentica pizza napoletana. E l'accento partenopeo sta su tutte le voci del menu: dall'antipasto alla pizza, dal dessert al servizio. Potrete scegliere tra diversi impasti: oltre al tradizionale, anche quello con farine integrali di farro, al Kamut, di soia e per gli intolleranti, il senza glutine. Le pizze vengono servite con la forma classica, rotonda con cornicione alto, semplice o ripieno di ricotta, o al metro. Si parte ovviamente dalle classiche: Margherita, Marinara, con la gustosa mozzarella di bufala o il salame piccante. Poi le speciali tra cui spicca quella con salsiccia e friarielli, la bianca con pomodori, rucola e grana, e il Calzone fritto ripieno di ricotta e salame piccante. Per finire con le tonde d'autore tra cui l'eccellente Gambrinus con gamberi, patate e zucchine. Oltre alle senza glutine troverete anche un'ampia proposta di vegane.

Punteggio - Uno Spicchio

Pizza & Pasta - Cattolica (RN) – largo della Pace, 5 – 0541 831166 - pizzaepastacattolica.it

 

Pizza di SP.accio a Coriano

SP.accio - Coriano

Una location trendy e informale, un antico casale sulle colline su più piani con terrazza e una suggestiva vista mare che il restyling di qualche anno fa ha vestito di un look moderno rendendolo la cornice perfetta per questo poliedrico contenitore. Emporio, ristorante, pizzeria, negozio col plus dell'utilizzo e vendita dei propri prodotti e del progetto di reinserimento sociale dei ragazzi della comunità. Tutto questo è SP.accio, un locale sempre sulla cresta dell'onda. Dalla pizzeria tonde (solo la sera) realizzate con lievito madre (e proposte in tre tipologie di impasti: farina tipo 2, grano saraceno, soia), che si presentano ben lievitate e cotte. Sono divise tra Tradizionali e Creative. Tra le prime ben riuscita la Diavola a modo nostro con fiordilatte, pomodoro giallo Lucariello, salame piccante, peperoncini verdi e rossi, tra le seconde la Margherita sbagliata con pomodorini gialli, salsa di datterini, bufala campana Dop e salsa verde al basilico. In alternativa (anche a pranzo) la stirata romana al metro, soffice e croccante nei punti giusti, anche questa in farciture classiche e creative, saporita e gustosa quella con fiordilatte, salsiccia, cime di rapa e scamorza affumicata. Si chiude con i golosi dolci della casa e per annaffiare il tutto bella scelta di etichette e birre.

Punteggio - Due Spicchi

SP.accio – Coriano (RN) – via San Patrignano, 66 – 0541 362488 - spaccio.sanpatrignano.org

 

Piadina di Taverna da Bruno a Bellaria Igea Marina

Taverna da Bruno - Bellaria Igea Marina

Un locale situato in un piacevole angolo della Riviera dove non manca nulla della cucina tradizionale, fra piatti di pesce, carne e la buonissima piadina, così come ampia è l'offerta che riguarda la pizza. Si parte dagli impasti che potrete scegliere fra tradizionale, di Kamut, senza glutine, integrale, multicereali, di farro, oppure arricchito con curcuma, zenzero, carbone vegetale, cicoria, canapa. Sotto l'attenta supervisione di Matteo Giannotte dal forno a legna escono pizze classiche, come la Margherita o la Capricciosa, ma anche le speciali: la Duca di Grant con mozzarella, pomodoro, filetto di tonno, capperi, pomodorini, origano e la Mari e Monti, con pomodoro, mozzarella, funghi misti e insalata di mare. Tanta l'attenzione a celiaci, vegani e intolleranti al lattosio. La pizza è ben cotta, sottile e dal cornicione basso. Accanto al locale c'è anche una piccola bottega con prodotti senza glutine.

Punteggio - Uno Spicchio

Taverna da Bruno - Bellaria Igea Marina (RN) – via Panzini, 150 – 0541 344556 - tavernadabruno.com

 

Guida Pasticcerie d'Italia 2018

Torta della Pasticceria Canasta a Cattolica

Pasticceria Canasta - Cattolica

Il calore di una lunga tradizione di famiglia, la maestria di un'arte consolidata nel tempo. Dal 1948 la famiglia Ercoles gestisce questo locale e dopo il papà e lo zio ora tocca a Marco e al fratello Luigi tenere alto il nome del locale. Iniziando dal cioccolato, autentico fiore all'occhiello della produzione, declinato in ottime tavolette, dragée, creme spalmabili. Poi l'offerta di stampo classico, realizzata con attenzione e rigore. Il banco è invitante sin dalle prime ore della giornata, quando si può trovare un buon ventaglio di lieviti per la colazione: croissant semplici e ripieni, krapfen, fagottini e sfoglie per accompagnare un corroborante caffè o un cremoso cappuccino. Alla tradizione rendono omaggio preparazioni come il Miacetto (dolce tipico di Cattolica), le torte da forno e l'ampia offerta di biscotti. Il viaggio nelle dolcezze continua con la piccola pasticceria che spazia dai bignè alle tartellette di frutta, dai cannoli di sfoglia alla crema alle recenti invenzioni del maestro pasticcere Marco Ercoles, che uniscono ingredienti di stagione a sapiente creatività che si ritrova pure nelle torte.

Punteggio 83/100 - Due Torte

Pasticceria Canasta – Cattolica (RN) – via Risorgimento, 22 – 0541 961101 - pasticceriacanasta.it

 

Torta di Rinaldini a Rimini

Rinaldini - Rimini

Roberto Rinaldini, il couturier della pasticceria italiana, ha voluto mantenere nella sua Rimini il cuore pulsante e pensante del suo mondo. È qui che vengono ideate e create le sue famose collezioni di dolci, poi proposte nei vari punti vendita, tra Milano, Firenze, Roma (recentissima l'apertura presso La Rinascente). Le novità si susseguono senza sosta, come nella moda, basate su tecniche di lavorazione rigorose e materie prime di qualità. Tutto è curato nei minimi dettagli, compresa l'estetica e il packaging. La moda è seduzione e così pure la pasticceria, deve colpire, attrarre, ingolosire. Ed è proprio ciò che avviene davanti alla irresistibile varietà di MacaRal, i macaron secondo Rinaldini, alle sfioziose Gnam-belline o alle coloratissime gelée alla frutta. Tra i suoi talenti pure l'abilità nella lavorazione artistica dello zucchero, ma ha firmato pure torte diventate ormai celebri (proposte anche in monoporzione) come la Venere Nera e la Sweet Melody, di indiscutibile bontà. Nella maison non mancano i lievitati per la colazione. A completare il quadro, il grande mondo del cioccolato, partendo dai variopinti ChocoColor, cremini rivisitati, i ChocoCuore e la gelateria. I colori sgargianti sono ormai un tratto distintivo del locale in riva all'Adriatico, dove si può toccare con mano l'intera produzione di casa.

Punteggio 90/100 - Tre Torte

Rinaldini – Rimini – via E. Coletti, 131 – 0541 27146 - rinaldinipastry.com

Rinaldini – Rimini – piazza Mazzini, 32 – 0541 1833631

 

Dolce di Staccoli Caffè

Staccoli Caffè - Cattolica

C'è di tutto nel mondo di Staccoli. L'ampio locale nel centro della cittadina balneare della Romagna è un posto da scoprire a qualunque ora del giorno. Tra una piccola carta per il pranzo, che comprende hamburger e hotdog, piatti di pasta e piadine farcite, l'angolo del pane a lievitazione naturale e della pizza al taglio, troverete anche molto altro. Come gli eterei e fragranti lieviti per la colazione: croissant da farcire a piacere, bomboloni e muffin, con una buona proposta vegana.Ricca e articolata la gamma di piccola pasticceria: babà, bignè al cioccolato e alla crema, cannoli di sfoglia farciti alla crema, cestini di frolla alla frutta e diplomatici, tanto per citarne alcuni. Poi meringhe, mascarpone e diverse tipologie di biscotti da tè. Tramezzini e panini, sul fronte salato, completano l'offerta. Un locale adiacente è dedicato alla vendita del cioccolato, presente in mille fogge e declinazioni, poi creme spalmabili, confetture e altre delizie maison oltre a una fornita selezione di etichette di vino.

Punteggio 82/100 - Due Torte

Staccoli Caffè – Cattolica (RN) – via Ferri, 2 – 0541 968309 - staccoli.it

 

a cura di Annalisa Zordan

 

Sigep | Rimini Fiera, via Emilia, 155 - 47921 Rimini | 20 – 24 gennaio 2014 | www.sigep.it


Manifattura a Firenze e Iter a Milano. Nei cocktail bar si beve italiano

$
0
0

Due bar, uno a Firenze e uno a Milano, che usano solo prodotti italiani, o per lo meno che hanno a che fare con l’Italia. Il primo si chiama Manifattura, dall'ex Manifattura dei tabacchi fiorentina, il secondo Iter - From Italy to the World a Milano.

Due appassionati di birra, due architetti e due falegnami - Davide Campagnolo, Paolo Anania, Matteo Crini, Giuseppe Tedesco, Michele Guida e Pierpaolo Carta - aprono un locale a Firenze, in quella che una volta era una vecchia rimessa, e decidono di proporre solo drink fatti con prodotti italiani. No, non è l'incipit di una barzelletta o di un manifesto futurista. È la storia di Manifattura, bar in Piazza San Pancrazio, proprio di fronte al Museo Marino Marini (chiuso per lavori all’impianto di climatizzazione fino alla prossima primavera, ha deciso di utilizzare questo tempo per lanciare la prima edizione della call internazionale Playable Museum Award).

Manifattura a Firenze

Il nome deriva dall'adiacente ex Manifattura dei tabacchi, nata agli inizi degli anni ‘30 dalla necessità di riunire in un unico edificio le lavorazioni allora divise nell'ex convento di Sant'Orsola e nella chiesa sconsacrata di San Pancrazio (dove oggi c'è il Museo Marino Marini). Un complesso imponente che ha cessato però di operare nel 2001. Dietro al nome del locale anche un aspetto semantico: l'attività manifatturiera riguarda principalmente l'approvvigionamento delle risorse naturali e la loro trasformazione. Che traslato nella mixology significa lavorazione sartoriale delle materie prime per ottenere le basi dei drink creati da Fabiano Fabiani, punto di riferimento per la mixology fiorentina, utilizzando solo ed esclusivamente prodotti italiani. Una sorta di rivoluzione autarchica che, come ci spiega Davide Campagnolo, “non tende alla chiusura bensì alla libertà di scegliere quali etichette italiane proporre ai clienti”, magari privilegiando quelle che rischiano di scomparire, incalzate dai giganti (brand) della miscelazione. “Prodotti che hanno caratterizzato il nostro paese fino agli anni '70, di aziende che spesso lavorano più con l'estero che con l'Italia; e che spesso trovi al bar di paese ma non nei locali più fashion”.

Indoor Manifattura a Firenze

Il locale e la drink list

Nel salotto italiano anni '50 - con giardino verticale alle pareti, tavoli in marmo nero e legno laccato, rifiniture in ottone, vetrata ad arco, specchi, luci soffuse, con tanto di musica, sempre italiana, dell’epoca - si beve Cedrata Tassoni, Chinotto, Spuma bionda. E ancora i drink creati da Fabiano Fabiani: “Partendo da una bottiglieria italiana mi sono sbizzarrito, ho iniziato per prima cosa a fare ricerca - ma voi lo sapete che abbiamo una produzione liquoristica incredibile? Siamo nell'ordine delle quattrocento etichette – cercando i sostituti dei prodotti stranieri. Per esempio al posto del bourbon si doveva trovare un distillato scuro, così ho pensato al brandy. Sono due prodotti ovviamente differenti (il primo è un whiskey mentre il secondo è un distillato di vino), ma ho cercato di trovare nuovi equilibri”. Senza però rinunciare alla varietà dell'offerta. “Abbiamo a disposizione molti gin italiani, vermouth o vodka, come per esempio la toscana VKA o la ligure 0.1 Origine. Attingendo da questo patrimonio ho realizzato la drink list, che ora vorremo cambiare”. Qualche esempio? “C'è il Grapperacco che è l'italianizzazione di un Sazerac dove al posto del cognac uso la grappa Nardini Riserva 40. o il Vecchio fascino con brandy, Caffè Borghetti, liquore Vanil Isolabella alla vaniglia, bitter al cioccolato (per ricreare le note del bourbon invecchiato) e scorza d'arancia. Si gioca, e molto. Non vogliamo prenderci troppo sul serio”.

Fabiano Fabiani

Va di pari passo la proposta gastronomica - ad opera di Michael Pellegrini - per ora solo domenicale (ma è in previsione durante tutta la settimana), per non far rimpiangere i pranzi dalla nonna. Ci si può confortare con crostini misti, zuppe, brodini, lasagne, gnocchi, oppure arista al forno, polpette al sugo o polpettone d'antan (4 portate + il dolce a 30 €).

Una vera dichiarazione d'intenti da parte dei proprietari, ovvero far rivivere, magari in maniera un po' nostalgica - decisamente più romantica che anacronistica - le dinamiche dei vecchi bar, senza scimmiottare i locali newyorkesi o londinesi, e soprattutto senza troppa ammirazione verso prodotti internazionali, come la vodka, il bourbon o il mezcal (per parlare di un prodotto molto in voga ultimamente). Una dichiarazione made in Italy, in una città come Firenze che purtroppo negli anni si è spesso (s)venduta al turismo di massa. La rivincita del bar italiano, insomma, in barba agli speakeasy o ai secret bar. Che poi, a pensarci, l'Italia non ha mai vissuto l'embargo dell'alcol!

Cocktail di Iter a Milano

Iter – From Italy to the World a Milano

Sono partiti dall'Italia, ma con divagazioni estere, anche i ragazzi di Iter (inaugurato a settembre), che in latino significa per l'appunto “viaggio”. Dietro una macchina da guerra, ça va sans dire, che vede all'attivo locali come Mag, 1930, #Backdoor43 e Barba. Nicola Scarnera, socio insieme a Flavio Angiolillo e Marco Russo, ci racconta che si tratta di un progetto che volevano intraprendere da un po' di tempo: “volevamo creare un locale che non fosse mai uguale a se stesso. Così, dopo aver trovato un posticino a due passi dal Mag, dove c'era la possibilità di creare anche un piccolo bistrot per via della cucina, ci siamo buttati in questa nuova avventura. Il Mag rimane il cavallo di punta, ma chi vuole rilassarsi può venire in via Fusetti, al riparo dalla confusione dei Navigli”. Bancone che sembra un tavolo sociale e sedute larghe, e comode, per questo cocktail bar fusion che predilige prodotti italiani con incursioni di distillati o liquori esteri, che comunque hanno a che fare con l’Italia, come lo scotch whisky della linea The Speakeasy, rielaborato e imbottigliato da un italiano, o il rum Capovilla nato dalla passione di Gianni Capovilla, “ne è pieno il mondo di italiani che si innamorano della materia prima estera e iniziano a lavorarla”.

Il menu della domenica di Iter a Milano

La drink list

La drink list attuale è tutta italiana ed è costituita da una serie di cartoline, una a regione, con un cocktail dedicato ai prodotti più rappresentativi della zona. In Toscana si trova il drink con ginepraio, anisetta, granatina al pompelmo rosa e arancia, in Lombardia il Campari, Major gin (gin del Lago Maggiore), marmellata di arance e tintura di camomilla e in Friuli c'è quello con il distillato d’uva Prime Uve, Carruba spirit fatto da loro, Vermouth Cinzano, Sangue Morlacco, anisetta e shrub ai frutti rossi. Una drink list che cambia ogni sei mesi, ispirata dai viaggi che il team fa periodicamente. “L'ultimo è stato in Olanda, siamo andati insieme allo chef Vincenzo Mignuolo per studiare anche l'enogastronomia locale”. Così da marzo ad agosto menu e cocktail saranno ispirati all'Olanda, sempre con un unico fil rouge: l'italianità. “D'altra parte i più grandi esploratori del mondo sono stati italiani e in ogni angolo del mondo c'è sempre un italiano che fa qualcosa di eccezionale. Quindi ci saranno drink olandesi riproposti in chiave italiana o viceversa, oppure dei twist che mettono insieme prodotti italiani con quelli olandesi, in primis il Jenever, il distillato creato in Olanda, che è il vero antenato del gin. Un modo per far viaggiare i clienti comodamente seduti al bancone del bar”. Sul versante gastronomico le proposte della cucina cambiano quotidianamente, si va dalla tartare di dentice con le puntarelle, al risotto pere cacao e whiskey, al maiale porri carote e mandorle (2 piatti a 14€). Poi la domenica c'è il brunch dedicato alle nonne italiane. “Con una quota fissa di 20 euro proponiamo 6 piatti delle varie tradizioni caserecce, dalla domenica dedicata alla nonna pugliese a quella tutta ispirata a quelle venete”.

 

Manifattura - Firenze- Piazza San Pancrazio - 055 2396367 – facebook.com/Manifattura

Iter – From Italy to the World – Milano - via Mario Fusetti, 1 - 02 3599 9589 - facebook.com/IterFromItalyToTheWorld

 

a cura di Annalisa Zordan

 

 

Gli insetti per uso alimentare in Italia sono vietati. Lo dice il Ministero della Salute

$
0
0

Con un'informativa arrivata a chiarire l'entrata in vigore del nuovo regolamento europeo sui Novel Food (2283/2015), il Ministero della Salute specifica che, almeno per il momento, gli insetti non arriveranno sulle tavole degli italiani. Il motivo? Mancano le autorizzazioni attuative. Ripercorriamo l'iter degli ultimi anni. 

Insetti sì o no?

Si era detto “con il 2018 largo agli insetti sulle nostre tavole”, tra allarmismi di sorta per l'invasione di una consuetudine gastronomica ben poco affine al gusto e alla tradizione italiana, reazioni di totale schizzinosa chiusura da un lato, curiosità per l'arrivo di cavallette e grilli in menu dall'altro (significativamente meno rappresentato del primo). Ma il via libera dell'Europa al commercio e al consumo degli insetti annoverati nell'aggiornamento del catalogo dei Novel Food aveva generato pure una riflessione più ponderata sull'entomofagia, giocata in sede istituzionale con dettagliati rapporti della Fao su valori nutrizionali e importanza strategica degli insetti commestibili in termini di sostenibilità ambientale e lotta alla fame nel mondo. Dell'eventualità che gli insetti potessero farsi largo tra pasta e bistecche anche in Italia si era cominciato a parlare alla fine del 2015, quando il Parlamento europeo prendeva in esame per la prima volta la possibilità di aggiornare quell'elenco, ormai obsoleto, di alimenti, ingredienti e tecniche di produzione “per i quali non è dimostrabile un consumo significativo in ambito comunitario”, ma che necessariamente devono essere regolati dalla legislazione alimentare comunitaria (Regolamento CE 258/1997).

 

All'inizio dell'iter. Il nuovo catalogo dei Novel Food

All'epoca, con parere positivo dell'Efsa, la candidatura degli insetti all'ingresso in catalogo veniva presa in seria considerazione, ponderando rischi e benefici dell'operazione, con propensione a favorire i secondi. Un anno dopo, e in vista dell'applicazione del nuovo regolamento (in Italia a partire dall'inizio del 2018), l'Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare diramava le sue linee guida per presentare al vaglio della commissione i prodotti candidati all'ammissione tra i novel food: per autorizzarne il consumo, si diceva, l'Efsa avrebbe dovuto convalidare di volta in volta un dossier dettagliato sulla composizione organica e gli allergeni dell'alimento, ed essere messa a parte della tracciabilità della filiera, e delle modalità d'uso e dei contesti di distribuzione del prodotto. Ultimo lasciapassare, non meno importante, l'evidenza che l'aspirante novel food in esame fosse già consumato senza conseguenze per la salute da almeno 25 anni in un altro Paese extracomunitario. Intanto, in avvicinamento al passaggio d'anno, gli ultimi mesi hanno visto imperversare il dibattito: c'è chi ha puntato ad approfondire con serietà il tema dell'entomofagia, sul piano scientifico e culturale (vedi il libro On Eating Insects di Phaidon, ma anche la pubblicazione a cura di Carlo Spinelli e Gianluca Ferretti in uscita la prossima primavera per Blu Edizioni: un guida al consumo di insetti commestibili, con note culturali, antropologiche, gastronomiche e scientifiche). chi come Coldiretti ha raccolto l'umore degli italiani, trovando il 54% di loro contrari al via libera agli insetti (solo il 16% favorevole). Ricordiamo pure che nel frattempo il regolamento UE 893/2017 approvato il 24 maggio scorso ha autorizzato anche in Italia l'allevamento di insetti a uso alimentare.

 

Gennaio 2018. Entra in vigore il regolamento. Ma...

E dal 1 gennaio anche il tanto discusso regolamento 2283/2015 sui novel food è entrato in vigore. Largo agli insetti, dunque? No. È servita poco più di una settimana al Ministero della Salute per diramare un'informativa condivisa con il Ministero delle Politiche Agricole, gli assessorati alla Sanità delle Regioni e Province e il comando dei Nas. L'oggetto? L'uso di insetti in campo alimentare, “in riferimento all'applicabilità del regolamento sui novel food”. Sentenza: in Italia, al momento, commercio e consumo di insetti restano vietati, in attesa della preventiva autorizzazione prevista a livello UE, che dovrà definire anche le quantità di assunzione proposte. “Alcuni Stati membri” scrive il Ministero “hanno ammesso a livello nazionale la commercializzazione di qualche specie di insetto in un regime di ‘tolleranza’. È stato comunque stabilito, con lo stesso articolo (del Regolamento), che per le specie in questione deve essere presentata una domanda di autorizzazione, al fine di definire le condizioni atte a garantirne la sicurezza d’uso per una libera circolazione sul mercato Ue. Nel frattempo gli Stati membri che ne hanno ammesso la commercializzazione prima del 1 gennaio 2018 possono continuare a mantenerle sul loro mercato”.

 

In Italia (per ora) gli insetti sono vietati

L'Italia, invece, si adegua all'articolo di cui sopra (il 35), non applicando il regime di tolleranza di cui altri Paesi (come il Belgio) si sono avvalsi, sancisce il Ministero. Che ribadisce: “Ai fini dell’impiego alimentare gli insetti e i loro derivati si configurano tutti come novel food e al momento nessuna specie di insetto (o suo derivato) è autorizzata per tale impiego”. La palla, dunque, passa di nuovo all'Efsa, che dovrà accertare l'esistenza delle condizioni indispensabili per autorizzare il commercio: delle 1900 specie di insetti commestibili riconosciute nel mondo, le candidate a ottenere per prime l'ok potrebbero essere larve della farina, grilli e bachi da seta, mentre in Italia sono già una decina gli allevatori che hanno deciso di specializzarsi nel settore, riconoscendone le grandi potenzialità future. Per il momento dovranno aspettare anche loro.  

 

a cura di Livia Montagnoli

Cresce lo shopping online di Alibaba. La prossima mossa? Esportare la pizza italiana in Cina

$
0
0

Poche presentazioni per Alibaba, il colosso dell'e-commerce cinese che ha fatto (anche) del cibo uno dei suoi punti di forza. I nuovi progetti, e un'analisi dei numeri e delle potenzialità del mercato cinese per l'Italia.

I numeri di Alibaba

Giusto per capire di cosa stiamo parlando: un fatturato annuo di circa 500 miliardi di dollari, un gruppo che conta 10 milioni di aziende e propone circa 1 miliardo di prodotti a 400 milioni di clienti in Cina. Fondata nel '99 a Hangzhou da Jack Ma, ex insegnante di inglese che riuscì a raccogliere 80mila dollari per creare un sito di e-commerce, e in Borsa a New York dal 2014, con un valore attuale di circa 470 miliardi di dollari, Alibaba è la piattaforma dell'online shopping per eccellenza a livello internazionale. Un colosso che tra alimentazione, moda e design, oggi dà spazio a 190 imprese italiane.

Le potenzialità del mercato cinese

A rappresentare l'Europa del Sud per il gruppo cinese, Rodrigo Cipirani Foresio, managing director che trascorre in Cina circa una settimana al mese. “Alibaba rappresenta una grande opportunità per il mercato italiano: in Cina abbiamo 488 milioni di utenti, tutti potenziali clienti”, spiega, “200 milioni dei quali ogni giorno passano venti minuti sull'app dedicata all'e-commerce”. Alcuni si limitano a curiosare, “ma poi se qualcosa piace, la comprano”. Ma di che cifre stiamo parlando?“Ogni giorno attraverso le nostre piattaforme vengono scambiati 1 miliardo e mezzo di prodotti”.

I prodotti più venduti

Un mercato, quello cinese, che Foresio non poteva immaginare essere“così promettente”. E una società, quella orientale, “che per certi versi somiglia alla nostra: i cinesi tengono molto alla famiglia e sono grandi commercianti”. Un progetto, dunque, da sviluppare sempre di più, soprattutto considerando i numeri positivi dell'azienda (il fondatore, Jack Ma, è oggi l'uomo più ricco della Cina e il 17esimo al mondo, con un patrimonio di 45,5 miliardi di dollari). Il settore di shopping online più promettente nel mercato cinese? “Quello di cibo per cani e gatti”. Ma il prodotto più venduto è il latte, al punto che “da poco abbiamo anche quello della Centrale del Latte d'Italia”.

Alibaba e il vino

Un gigante di queste dimensioni non poteva ignorare, poi, il mondo del vino. Fra le tante iniziative, infatti, una delle più chiacchierate dagli eno-appassionati è stato il Tmall 9.9 Global Wine & Spirits Festival (che in cinese si pronuncia “Jiu Jiu”, omofono di vino e nove) del settembre 2016, una giornata (replicata nel 2017) che ha trasformato i portatili di Alibaba in una vetrina per la vendita di vino proveniente da ben 50 Paesi da tutto il mondo. Seconda solo alla Francia, la nazione che più di tutte è stata rappresentata durante l'evento è stata proprio l'Italia, con 50 cantine e 500 diverse etichette. La piattaforma Tmall, poi, con oltre 10 milioni di consumatori, soprattutto giovani, è una realtà che ha continuato a esistere anche dopo il festival, inaugurando proprio in Italia il suo primo ufficio per l'Europa, in modo da affiancare gli imprenditori nelle pratiche per approdare sulla piattaforma online cinese.

Le prossime mosse

Ma non finisce qui. Alibaba ha anche una piattaforma online per la prenotazione di viaggi, Fliggy, una realtà “che nel 2016 ha portato in Italia 3 milioni di turisti”. Viaggiatori curiosi alla scoperta del patrimonio artistico e culturale, ma anche delle ricchezze agroalimentari e gastronomiche. “I turisti cinesi scoprono musei e monumenti, ma anche prodotti da comprare”. E soprattutto, “una volta tornati in Cina li cercano online”. La prossima mossa? “Far arrivare la pizza in Cina”, una delle specialità made in Italy per eccellenza, recentemente ancora di più sotto la lente di ingrandimento dei giganti del settore alimentare, dopo il riconoscimento dell'Arte del Pizzaiuolo Napoletano come patrimonio immateriale dell'Unesco dello scorso 7 dicembre.

a cura di Michela Becchi

Cerchiamo colazioni. Mare Culturale Urbano cerca un buon progetto per servire la colazione a Milano

$
0
0

Un bando per selezionare il progetto imprenditoriale più interessante in termini di qualità del prodotto, originalità del menu, sostenibilità dell'impresa, attenzione alle intolleranze alimentari. Richiesta tanta voglia di confrontarsi con uno spazio creativo in cui fervono le attività, alle periferia ovest di Milano. Ecco come proporsi per servire una “colazione a Mare”.  

Mare Culturale Urbano. Cos'è

Da quando è operativo alla periferia ovest di Milano, frutto di un'efficace riorganizzazione della Cascina Torrette, Mare Culturale Urbano si è distinto per la qualità delle proposte culturali offerte alla città. Il polo creativo – quasi 8mila metri quadri aperti al pubblico 365 giorni all'anno – inaugurava nel maggio 2016 con la volontà di rappresentare “un luogo che non c'era”, prestando il fianco a progetti di inclusione sociale, offrendo residenze artistiche contemporanee, pianificando un cartellone di attività che favorisse la contaminazione di generi e discipline. Proprio a poche settimane dall'esordio, per esempio, l'estate di Mare Culturale Urbano si colorava all'insegna di United Food of Milano, manifestazione di grande richiamo coordinata da Don Pasta. E molte sono state, nei mesi a seguire, le iniziative orientate a valorizzare la cultura enogastronomica (come l'appuntamento dedicato alla storia milanese a tavola, che prenderà forma il prossimo 2 febbraio). Vissuto in tutto l'arco della giornata, dalle 7 del mattino alle 2 di notte, il polo si è dotato dall'inizio di uno spazio dedicato all'offerta gastronomica, particolarmente attivo sul versante della sperimentazione e della condivisione a tavola e in cucina.

Ora, Mare birra e cucina – come si chiama il settore che riunisce le attività di ristorazione della struttura, con spazi dedicati tra pranzo, cena e birreria – ha deciso di indire una chiamata pubblica per dotarsi di un servizio dedicato principalmente alla colazione, operativo dalle 10 alle 15 durante il fine settimana, a partire dal mese di febbraio.

 

Cercasi colazione “a Mare”

La proposta è interessante perché garantirà al progetto imprenditoriale vincente di crescere in un contesto di incubazione particolarmente stimolante, avendo a disposizione spazi, attrezzature e know how per le preparazioni, che Mare Culturale Urbano si impegna a fornire. In cambio, il bando consultabile online sul sito del centro culturale fissa una serie di requisiti per i candidati che vorranno cimentarsi con la sfida. Possono rispondere alla chiamata gruppi imprenditoriale italiani e stranieri che non possiedono una sede operativa aperta al pubblico, con preferenza per chi può offrire un'esperienza già consolidata (almeno 3 mesi) di servizio colazioni/brunch a domicilio. Ulteriori requisiti opzionali, al vaglio della commissione, competenze nell'ambito di panificazione e pasticceria, attenzione alle intolleranze alimentari, buona presenza sui social network.

Mare metterà a disposizione i suoi laboratori di cucina nel weekend, dalle 6.30 alle 10.30, e garantirà l'utilizzo del bar con le sue attrezzature negli orari di servizio al pubblico, mentre l'accordo economico sarà definito in sede di colloquio, con proposta di contratto di sei mesi rinnovabili.

La domanda dev'essere inviata entro il 28 gennaio tramite email, corredata di video di presentazione, breve documento che illustri la proposta di colazione con menu e prezzi, curriculum di riferimento. L'esito sarà pubblicato solo qualche giorno dopo, entro il 31 gennaio.

 

Il bando di Colazione a Mare

 

a cura di Livia Montagnoli

Cu_cina apre a Roma. Stella Shi, giovanissima chef in armonia tra Marchesi e Hong Kong

$
0
0

Origini cinesi, formazione marchesiana, esperienza in grandi cucine. E ora un progetto suo, nel centro di Roma, per dimostrare che Oriente e Occidente possono incontrarsi in cucina senza strizzare l'occhio alla fusion. La storia della giovane chef Stella Shi. 

La scelta di Stella

La storia di Stella Shi, pur condensata in appena 25 anni di età, è di quelle che fanno guardare con ottimismo alla forza del libero arbitrio. Una storia di rigore personale, prima ancora che professionale, stemperato dall'energia un po' scanzonata dei vent'anni, che strappa spesso un sorriso. Come quando, tornando con la mente all'inizio del suo percorso in cucina, ti racconta di quella sera passata davanti alla tv, a guardare un film, uno dei tanti che negli ultimi anni hanno fantasticato sul mondo della ristorazione,Amore cucina e curry: la storia di una famiglia indiana trapiantata in Francia, dove decide di aprire un ristorante per cominciare una vita migliore. “Una sciocchezza, ma per assurdo l'input che mi ha dato finalmente la forza di fare quello che desideravo da tempo, cucinare per gli altri”. Stella, nata in Italia da una famiglia originaria di Shangai, fino a quel momento aveva seguito una direzione piuttosto chiara: il Convitto Nazionale di Roma per studiare italiano e francese, l'iscrizione alla Luiss, indirizzo Giurisprudenza. Circa tre anni di frequentazione e un Erasmus in Francia: “Mio padre è una persona tradizionalista, ha sempre creduto nel valore della carriera, il buon partito... L'investimento sulla mia formazione è stato grande, ho temuto di deluderli”. Intanto però, non proprio convinta ad accantonare la sua passione, Stella si è sempre tenuta aggiornata su corsi e scuole di cucina, fin quando il momento giusto non è arrivato: “Era diventato un pensiero ricorrente, e sapevo non sarebbe stata una sciocchezza. Volevo approcciare da subito la professione come scelta di vita, così ho chiamato l'Alma. E con sorpresa, dopo uno scontro iniziale, anche mio padre mi ha appoggiato, 'se sei felice così, devi farlo', mi ha detto. Sono arrivata dove sono ora spinta dalla voglia e dall'appoggio della ma famiglia, e di questo sono grata”.

 

L'Alma, i grandi ristoranti, il ritorno a Roma

Ecco perché oggi, e da qualche giorno appena, Stella si ritrova alla guida di un ristorante suo (nessun socio, né investitore) nella parte meno battuta del rione Monti, a Roma. Un progetto disegnato su misura per raccontare la sua idea di cucina mediterranea contemporanea, con influenze cinesi, “nel modo più assoluto non fusion”. Quello che è stato prima, lo ripercorriamo brevemente: il corso base e superiore all'Alma, all'inizio del 2015; la stage a La Locanda di Piero, in provincia di Vicenza, poi un periodo a La Peca di Lonigo. A Londra con Michel Roux, in brigata a Le Gavroche, ma anche sei mesi a Hong Kong, in un ristorante di cucina cinese moderna, “impostazione francese e italiana applicata a metodi e prodotti locali”. Con la Cina, Stella – che per molti versi è profondamente italiana – ha cercato di mantenere un legame costante: “è la mia identità, e influenza il mio approccio gastronomico. Ma conoscere a fondo la cucina cinese è molto complesso: le nostre 8 regioni gastronomiche sono molto diverse l'una dall'altra, e questo è anche un vantaggio, perché posso scegliere quali elementi riprendere secondo il mio gusto, e quello occidentale”. Prima di cimentarsi con un progetto suo, però, Stella aveva davanti a sé un altro periodo intenso: “Rientrata a Roma ho cominciato a inviare curriculum, Adriano Baldassarre mi ha consigliato al team di Pianostrada. Sono stata 7 mesi con loro, come responsabile di cucina”. Intanto però cresceva la voglia di mettersi in gioco in prima persona: “Quando sposi un certo tipo di vita, e sviluppi un'idea molto precisa di ciò che vuoi fare, è difficile rientrare negli schemi degli altri”. Lo dice senza presunzione Stella, sorpresa lei stessa di quello che sarebbe successo nei mesi a seguire: “Non avevo intenzione di aprire un posto mio a Roma, da Londra continuavo a ricevere proposte, il mio sogno era trovare una dimensione rilassata in campagna, magari in Toscana. Poi ho visto il locale in via Salita del Grillo, mi sono innamorata subito. 'Se non lo faccio adesso, non lo faccio più' mi sono detta”.

Cu_cina al rione Monti

A settembre scorso la firma, a ottobre l'inizio dei lavori, una ristrutturazione totale sostenuta da un investimento importante, “senza l'idea di stupire, anche se il risultato è uno spazio piuttosto innovativo in città. L'ispirazione è arrivata una sera a cena, da Clare Smyth, a Londra: da lei ho ripreso il concetto della vetrata, facendolo mio”. Il che significa abbattere la divisione tra sala e cucina, offrendo ai clienti di Cu_cina un'esperienza sicuramente diversa, fin quasi straniante, ma frutto di un pensiero ponderato: “La cucina è anche intrattenimento, essere sempre sotto gli occhi di tutti può spaventarci, ma forma il carattere della brigata, aiuta a migliorare la coordinazione, l'obiettivo è raggiungere l'armonia perfetta. Ed è anche una questione di rispetto per il cliente, che è sempre più esigente e globalizzato”. Così la parete vetrata che separa i tavoli dalla cucina si rivela all'occorrenza una porta automatizzata, e permette a Stella di uscire in sala, confrontarsi con i commensali: “Ho la mia visione, ma la ristorazione è un'attività a scopo di lucro. Se mi fanno una critica ho il dovere di ascoltarla e farmi delle domande”. Considerando pure che “Roma è una piazza difficile, la sperimentazione non può essere subito aggressiva”. Real politik. Specie quando giochi sulla complementarità di cultura gastronomiche molto diverse tra loro, che Stella vuole far convivere per arrivare al risultato migliore.

Oriente e Occidente in cucina

Alla base c'è il desiderio di applicare la formazione marchesiana (“il mio insegnante più significativo? Marco Soldati”) all'idea di pulizia che le deriva dalla sua cultura d'origine: “Mi piace mettere 2-3 ingredienti al massimo nel piatto, non amo la grassezza, preferisco che il cliente finisca il pasto con un pizzico di voglia di mangiare ancora”. La carta è breve, 5 proposte per portata, e ruoterà ogni 2 mesi.

 

Poi c'è la degustazione, 5 portate a 60 euro per scoprire come le due anime di Stella possano felicemente convivere nel piatto: il bun al vapore con genovese di agnello e cavolo fermentato, la medusa con durelli di pollo e salsa all'ostrica - “una scelta coraggiosa, molti si fanno scoraggiare dall'ingrediente, in realtà il connubio è molto equilibrato: la medusa arriva dalla Cina sottosale, la servo cruda, come tradizione” – i ravioli con coda alla vaccinara, impasto cinese con farina di riso e ripieno di tradizione romana, rinfrescato da gel al sedano e lime. E ancora una rana pescatrice affumicata al tè nero, con salsa allo zafferano e polvere di liquirizia. Conclude un dolce rinfrescante, agli agrumi: a firmarlo è la giovane pastry chef in arrivo da Glass, “con lei abbiamo pensato a una linea di dessert che offra sempre 4 alternative complementari: la freschezza, il cioccolato, lo speziato, la monoporzione a strati”.

Gli ingredienti, le tecniche

I prezzi sono alti, ma non troppo, considerando la qualità del prodotto e i tempi di lavorazione: alla carta, 13-17 euro per gli antipasti, 18-22 per un primo, 18-27 i secondi. In sala, coordinata dalla sorella di Stella, 53 coperti, “15 tavoli tondi per richiamare la tradizione cinese”. E tutta la brigata, con i ragazzi in arrivo dall'Alma che affiancano la chef in cucina, si attesta tra i 25 e i 30 anni. Sul versante fornitori, invece, il pesce arriva dalla Puglia, ogni 2 giorni, le verdure sono del Cimotto, gli ingredienti più esotici dalla zona di piazza Vittorio (altri direttamente dalla Cina), la carne è quella della Macelleria 916 degli Abbattista, “carne vera, da animali sani, quindi più tenace”. Sul discorso, Stella si accalora: “Cerco sempre di spiegare il progetto alle spalle, il cliente deve capire perché questa carne è differente. In Cina siamo abituati alle consistenze croccanti, qui è più difficile, gli occidentali amano le lunghe cotture. Io invece non amo il roner e la bassa temperatura: le mie costine di maiale, per esempio, non si staccano subito dall'osso. Le faccio come mia nonna, 2-3 ore stufate in salsa di soia e spezie, mai portate a sfaldarsi”. L'avventura di Cu_cina (aperta solo a cena) è appena iniziata, Stella è ottimista, “la risposta iniziale è stata buona, ci piacerebbe conquistare un pubblico eterogeneo, non chiuderci sulle nostre idee”. L'età e l'entusiasmo sono dalla sua parte. La sensazione è che ne sentiremo parlare.

 

Cu_cina – Roma – Salita del Grillo, 6b - 0645615220 - Pagina Fb

 

a cura di Livia Montagnoli

Care's 2018: la sostenibilità si fa pensando in grande (e riducendo gli sprechi)

$
0
0

Dalla Val Badia una riflessione sulla sostenibilità: la cucina etica, le scelte responsabili, le pratiche da adottare.

La sfida del futuro comincia oggi ed è quella della sostenibilità alimentare. Che è un concetto esteso che parte dall'agricoltura e finisce con le abitudini dei consumatori, senza fare sconti a nessuno: il grande come il piccolo, il singolo come la politica. Lo si è visto al Care’s Talk moderato da Lisa Casali, intitolato “Think BIG, Think Sustainable. Seminare in piccolo, coltivare in grande”. Una giornata di riflessione sui temi dell'etica legata al cibo che animano Care's, manifestazione voluta da Paolo Ferretti e Norbert Niederkofler (chef del St. Hubertus dell'hotel Rosa Alpina a San Cassiano), evoluzione di Chef Cup – prima – e di Cook the Mountain poi, che sintetizza il percorso dello chef. “A un certo punto alcune cose non mi rappresentavano più” racconta Niederkofler “ho capito che devo fare riferimento al luogo in cui mi trovo. Così è nata l'idea di Cook the Mountain. Ci sono voluti anni perché si sviluppasse completamente, per esempio eliminando quel che non rappresenta questo territorio, come olio di oliva o agrumi. Ho capito poi di dover evidenziare l'aspetto etico di questa cucina”. Quello che fa riferimento all'impegno con i produttori, artigiani che lavorano con ritmi e quantitativi spesso diversi dalle esigenze di un ristorante, e che mette in campo una conoscenza delle basi classiche della cucina, quella che valorizzano i prodotti in ogni loro parte e solo nel momento in cui sono pronti. Uscendo dalla nicchia del piccolo-piccolissimo per aprirsi alle grandi industrie che adottano soluzioni virtuose, basti pensare al colosso Costa Crociere al fianco di Banco Alimentare per recuperare cibo in esubero, al progetto Tierra di Lavazza e alla sua Fondazione che dal 2004 opera a favore dei coltivatori di caffè o quello verso una mobilità il più possibile green di Audi. Quest'anno è stato chiesto agli sponsor di presentare i loro progetti etici durante gli incontri, a sottolineare che non esistono vincoli all'approccio sostenibile: “grandi o piccoli, tutti possono pensare in grande e sviluppare la loro visione etica”. La sostenibilità come pratica da perseguire, a casa e fuori, fino a diventare un'abitudine.

cares

Agricoltura: piccoli produttori, reti, grandi gruppi e parchi didattici

Bisogna sviluppare nuovi modelli di business, basati sulla qualità e il rispetto dei prodotti, dei consumatori e anche dei lavoratori, perché la sostenibilità è vivere in equilibrio e una distribuzione più equa della ricchezza ne è la base”. È la voce di Oscar Farinetti, impegnato a presentare F.I.CO.  in giro per l'Italia: “abbiamo coinvolto 150 realtà, di cui 95 microaziende. Tutte, a prescindere dalle dimensioni, devono avere lo stesso obiettivo: pensare in grande. Vogliamo riportare l'attenzione sull'agricoltura e le specificità dell'Italia, ricordare che anche se la terra è bassa, tutto in cucina parte da lì”. Dal prodotto, dunque, coltivato nel modo giusto: sostenibile, in armonia con l'ambiente. Una prerogativa delle piccole realtà o è possibile anche in grandi aziende? “Bisogna creare una rete di piccole aziende che lavorano bene, non trasformare i piccoli in grandi” risponde Harald Gasser (Aspinger Raritaten), che in montagna coltiva con metodi supergreen ortaggi eccezionali e rari, amati dai grandi cuochi: “I feedback degli chef mi hanno convinto che ero nella direzione giusta. Non mi interessava usare la chimica o produrre alimenti morti: volevo fare prodotti che avessero l'anima ancora dentro. Certo, serve molto più lavoro sul campo: faccio yoga tutto il giorno” scherza “ma ho una resa del 300% in più”. Faticoso ma produttivo, quindi sostenibile, anche economicamente. Perché un buon progetto è quello che sopravvive, e questo vale anche anche in agricoltura, settore che - secondo Farinetti - ha ampi margini di crescita “dagli anni '80 abbiamo perso 6 milioni di ettari di terreno agricolo e abbiamo troppe colture generiche che non valorizzano le tipicità”. Per questo occorre costruire un sistema di agricoltura, export, turismo. Un modello di business moderno.

 

Produrre meglio

Quel che ci alimenta consuma le nostre risorse” dice Christian Fisher (Scienze Agrarie e Agroambientali dell'Università di Bolzano): è indispensabile produrre in modo sostenibile, ridurre l'uso di acqua e suolo e la dipendenza da combustibili fossili, avere stalle più efficienti, irrigazioni intelligenti, rotazione delle colture e quelle pratiche che tutelano risorse biotiche e abiotiche. Servono agricoltori giovani e “strutture imprenditoriali adeguate che sappiano sfruttare le opportunità date dall'Iot, l'Internet delle cose, dichiaraAlessandro Canzian di Vodafone; Iot che non è riservato solo alle grandi imprese. Terra Institute riorganizza le aziende per renderle più green: “Si rivolgono a noi grandi e piccole imprese” spiega Gunter Reiferche veicolano ai loro dipendenti e ai clienti i principi etici verso i quali si sanno muovendo” basti pensare a quanto, nel settore dell'ospitalità, si possano informare, educare e abituare al buono gli ospiti di alberghi e ristoranti. Certo, spesso si tratta di compromessi, ammette Paul Ivic (ristorante vegetariano Tian, a Vienna) perché quello verso la sostenibilità è un percorso lungo che si alimenta con nuove idee una volta partito, “e che è necessario emozionalizzare”.

 

La rivoluzione parte dalla fine. Verso un consumo responsabile

Produrre in armonia con la natura non basta, è necessario prima di tutto usare meglio quel che abbiamo. Basta qualche cifra “Un terzo del cibo si butta” interviene Fisher “un terzo della popolazione mondiale è in sovrappeso, l'11% sottonutrito e tra poco saremo 10 milioni di persone: servirà il 60% in più di cibo” ma la terra non è illimitata, non si può sfruttare a oltranza. Per questo bisogna cambiare il modo di consumare (e conservare, un terreno di sfida fondamentale nell'agroalimentare) oltre che quello di produrre. Per esempio limitare il consumo di carne, la cui produzione pesa enormemente sul pianeta.

Ridurre gli sprechi è il mantra che nasce in cucina e ha il suo portavoce più illustre in Massimo Bottura, frontman del progetto Food for Soul sviluppato con Lara Gilmore da cui sono partiti i Refettori (dopo il primo, l'Ambrosiano di Milano nato con Expo, seguito da Modena, Bologna, Rio de Janeiro, Londra), mense sociali che reimpiegano eccedenze di cibo in arrivo dalla GDO elaborate con l'aiuto di grandi chef capaci di trasformare cibi sgraditi in piatti invitanti. Mentre si prepara l'apertura di Parigi (metà marzo), di Napoli e si lavora di concerto con la Rockfeller Foundation per individuare le città degli Stati Uniti che ospiteranno le nuove mense, la Gilmore presenta il libro Il pane è oro, che non solo partecipa alla raccolta fondi per il progetto dei Refettori, ma porta nelle case ricette che rivelano preziose riserve alimentari nei cosiddetti scarti: “le dispense non sono mai davvero vuote: basta guardare meglio e si trova il necessario per un pasto” dice la Gilmore. Per questo nel 2016 la legge Gadda (con i recenti emendamenti) ha rappresentato un fondamentale passo avanti verso una gestione più equa e umana delle risorse, come ha spiegato la stessa Maria Chiara Gadda. La lotta agli sprechi (non solo alimentari) e la regolamentazione delle donazioni sono passaggi fondamentali, come l'educazione alimentare e alla comprensione delle etichettature: “molti prodotti perdono valore commerciale ma non alimentare, per questo si devono inserire nel sistema della ristorazione sociale, la filiera della donazione è un giacimento inestimabile di cui partecipa anche il recupero della dignità delle persone”. Per questo “sprecare non ha senso” spiega la deputata “dal punto di vista economico, etico, sociale”. I risultati dall'entrata in vigore della legge parlano di un 20% in più di donazioni. Ed è solo l'inizio.

 

Dalla parte dello chef

Chi cucina e chi fa ospitalità ha la responsabilità di far conoscere prodotti con il loro potenziale salutare e le buone pratiche al consumatore finale, educarlo, ma anche prendersi carico della sua salute, “e questo è un lavoro che comincia sul campo, non in cucina” spiega Paul Ivicdobbiamo dare un insegnamento ogni giorno” aggiunge, farlo in cucina e attraverso la sala. Nel suo ristorante l'assenza di prodotti animali è stimolo per la creatività e sfida per trovare il prodotto migliore: “le persone che provano la qualità e la riconoscono, la cercano anche successivamente”. Lavorare sulla qualità implica un approccio più responsabile che porta a pensare ai cibi nella loro interezza, e a usare certe procedure (fondi bruni, brodi e fumetti di pesce, per esempio, come spiega anche Niederkofler). Applicare le buone pratiche non è sempre indolore, richiede tempo, energie e investimenti. Per Filippo La Mantia (Oste e cuoco di Milano) la difficoltà è coinvolgere tutta la squadra, dal lavapiatti (avete mai pensato a quanta acqua si spreca?) al cuoco, al direttore di sala e condividere con loro pratiche e impegni “visti i ritmi di un ristorante come il mio, dove trovo il tempo di andare a trovare il contadino?”, replica Andrea Sinigaglia di Alma “infatti bisogna formare personale di sala e cuochi pensanti, non solo cuochi”, più consapevoli, sensibili alle istanze etiche, che possano farle proprie: “conoscere da vicino la natura e recuperare il contatto con la terra è un passaggio indispensabile che abbiamo nel percorso di studi, per sollecitare un cambio di prospettiva rispetto ai beni che abbiamo a disposizione, la loro origine e le loro potenzialità”.

 

I resti, che grande opportunità

Maksut Askar del Neolokal di Istanbul ha calcolato con precisione la quantità di scarti prodotti giornalmente per capire come ridurli. Nella sua decostruzione della tradizione anche le pratiche di economia domestica, derivate dalla sua esperienza familiare, concorrono a comporre un quadro dove passato e futuro sono in armonia perfetta, oltre a incidere sul bilancio del ristorante. Lavorare il prodotto in ogni parte è uno dei punti fermi per una cucina sostenibile: lo fa Niederkofler (che serve alcuni alimenti in due portate, la parte nobile e quella meno nobile, impiegata in varie preparazioni) e lo fa con la sua cucina a scarto zero lo sloveno Tomaz Kavcic, di Pri Lojzetu, in modo similela colombiana Leonor Espinosche combatte gli sprechi alimentari nel suo ristorante Leo Cocina y Cava di Bogotà, ed è impegnata con la fondazione Funleo su più fronti per il recupero della cultura e della tradizione locale attraverso il lavoro con i campesinos, la valorizzazione delle comunità rurali e la loro cultura agricola, ponendo la cucina come alternativa alle piaghe del narcotraffico, impegnandosi per sconfiggere l'emergenza alimentare in un paese in cui quasi metà della popolazione vive in condizioni di estrema indigenza. Un progetto che le è valso il Basque Culinary World Prize 2017e che vede la cucina come chiave di volta. Gli avanzi? Sono un'opportunità... ma smettiamo di chiamarli così.

 

www.care-s.it

 

 

a cura di Antonella De Santis

 

 

A Copenhagen riapre il Noma. Cosa ci aspettiamo da René Redzepi?

$
0
0

Il 15 febbraio riapre, sempre a Copenhagen, il Noma 2.0. Ecco cosa si aspettano da René Redzepi gli addetti al settore.  

Noma ha aperto nel 2003. Prima piano, poi forte, poi fortissimo. Ha cambiato il mondo dell’alta cucina a livello planetario. In epoca contemporanea prima di René Redzepi solo Ferran Adrià era riuscito a raggiungere questi livelli di ricerca gastronomica. All’inizio del 2017 Noma ha chiuso, all’inizio del 2018 riapre in un luogo nuovo, con un approccio evoluto, con uno spirito rinnovato. L’attesa è grande, per non dire spasmodica. Basta sapere che le prenotazioni per aggiudicarsi i primi tavoli disponibili del Noma 2.0 da febbraio ad aprile sono andate esaurite in pochissime ore. Abbiamo chiesto agli opinion leader del mondo dell’enogastronomia cosa si aspettano dalla più grande novità dell’anno. C’è chi sostiene che il nuovo Noma punterà l’attenzione sulla selvaggina, chi invece giura che ci parlerà di erbe e orto. Ecco una selezione delle 20 opinioni uscite nel numero di gennaio del Gambero Rosso.

 

Massimo Bottura - Cuoco di Osteria Francescana a Modena

Lo spazio approntato per il ristorante sarà sicuramente straordinario, non ho dubbi. Quando si porta la luce illuminando l’oscurità e c’è una grande energia positiva, questa è sempre contagiosa. Non è tanto il fatto che ci sia un nuovo Noma, se vogliamo, quanto l’importanza di un luogo che cambia la percezione per tutto quello che c’è intorno. Ed è quello che ha sempre fatto René, cambiando il modo di pensare e di vivere il ristorante da parte dei nordici. Con una cucina che è cultura, formazione, turismo e tante altre cose insieme.

Enrico Cerea - Cuoco di Da Vittorio a Brusaporto

Ricordo bene quando ho mangiato da Noma, perché è stata un’esperienza estremamente interessante. Per la scoperta di prodotti che noi utilizziamo poco o sono assolutamente sconosciuti, per i cuochi che uscivano in sala a spiegare i piatti, le tecniche utilizzate e i prodotti, per la piacevolezza di un ambiente essenziale e minimal, tipicamente nordico. C’è da aspettarsi anche nel nuovo ristorante una serie di novità stimolanti, e sarà curioso vedere il processo creativo di un cuoco che dopo aver chiuso il suo locale ha girato il mondo con dei ristoranti pop up per poi ritornare a casa sua dimostrando notevole forza e coraggio.

Eleonora Cozzella - Giornalista

Mi aspetto che con il nuovo Noma René continui sulla strada di un forte orgoglio legato ai prodotti e alla cucina del Nord. Lui è stato tra i primi a concepire un fine dining che muoveva da tecniche di cucina internazionali applicate sulla materia prima locale. Con il valore aggiunto di aver creato un movimento, ed essere stato fonte di ispirazione per molti giovani, perfino nella lontana Islanda. Ricordo come fosse ieri un piatto evocativo del vecchio Noma come The Jensen’s Hard Winter of 1941, fatto di tuberi, rape e radici marinate. Riportava alla mente quello che si cucinava in Danimarca nell’inverno più freddo del secolo scorso, durante l’occupazione nazista, ma con la classe e l’eleganza della cucina moderna di René.

Luca Iaccarino - Giornalista

Dice Il saggio: se vivi un’esperienza straordinaria, non tentare mai, mai di ripeterla. Grazie al cielo non sono saggio e pure mi piace il rischio, dunque il 28 febbraio – a un anno praticamente esatto dalla mia prima e unica visita – tornerò al Noma. Ma sarà un Noma diverso da quello che provai, sarà la famigerata “fattoria” di cui Redzepi parla da tempo. Premetto: il pranzo al “vecchio” Noma è stato il pasto più indimenticabile della mia vita. Non penso di subire il fascino delle mode, ma sono convinto che la fama del lavoro di Redzepi fosse ben meritata: un tasso di creatività, di abnegazione, determinazione, elaborazione e gusto (tanto gusto!) mai visto. Torno al nuovo Noma sperando di replicare quell’emozione, sapendo però che di prima volta ce n’è una sola. Tuttavia mi è bastato vedere l’annuncio – quel quadretto acquerello con il disegno di una cozza e una sola parola, “Seafood” – e ho detto agli amici: “Dobbiamo prenotare”. Mi aspetto di passare nella “fattoria” l’intera giornata come feci nel “vecchio” locale, di farmi raccontare tutti i loro pazzi esperimenti, di vagare per campi innevati immaginando come saranno al ritorno del caldo, di mangiare meravigliose creature marine - al Noma d’inverno si viene per il mare, in primavera per le verdure – trattate come uova di Fabergé, come solo loro fanno. Mi aspetto il nitore e il freddo e la luce desaturata del Grande Nord; mi aspetto un posto accogliente in mezzo al gelo, un focolare con tanti ragazzi e ragazze sorridenti che si prenderanno cura di noi. Mi aspetto il fascino irresistibile del bel René che quando parla fa l’effetto di San Francesco e ammansisce pure i lupi. Mi aspetto anche di separarmi da 429 euro, quelli che spesi la prima volta, cosa che fa soffrire e molto il mio tratto di DNA cresciuto in Liguria. Ma magari le attese verranno smentite, come lo è stata la prima: credevo fosse praticamente impossibile prenotare, così come lo era stato un anno fa, e invece è bastato collegarsi al sito al momento dell’apertura delle iscrizioni, pagare in anticipo e il tavolo era nostro. Grazie al cielo i bagarini non hanno ancora scoperto il mondo della ristorazione.

Paolo Marchi - Giornalista

In un’epoca nella quale si va nei ristoranti e a disposizione c’è spesso un solo menu, quindi ci si deve per forza adattare, devo dire che la scelta di René Redzepi dice molto della personalità del cuoco. Che, lo sappiamo è geniale e non ci sono certo dubbi sulla riuscita del progetto Noma 2.0. Il quale si preannuncia da subito come l’evento imperdibile del 2018, visto che i biglietti del primo menu denominato Seafood sono andati letteralmente a ruba in poche ore. Sono molto curioso di come sarà organizzato il nuovo ristorante, anche perché in questi casi si entra in una dimensione che è esattamente il contrario della cucina al servizio del cliente. Qui è il cliente che si mette nelle mani del cuoco, il quale decide tutto. È un po’ come andare a messa, oppure osservare le opere di un’artista.

Alessandra Meldolesi 
- Giornalista

Leggendo l’autobiografia di Marco Pierre White, forse l’archetipo dello chef contemporaneo, si sviscera il dilemma dello chef di successo: che succede dopo il traguardo? Una situazione di cui ha scritto anche Freud, a proposito del successo e di Macbeth. White si è ritirato, Ferran Adrià ha rovesciato la cucina in non-cucina, per parafrasare Croce, concentrandosi sul sapere e anche esplorando nuovi concept. Sono curiosa di scoprire quale sia la strada scelta da René Redzepi per marcare un prima e un dopo in una situazione topica per il mondo dell’alta cucina. Sarà sicuramente altrettanto geniale del Noma.

Ana Ros - Cuoca di Hisa Franko a Caporetto

René è una delle persone più intelligenti che io abbia mai incontrato. È un saggio ed è un visionario. Mi aspetto un nuovo capitolo della storia della cucina.

Lorenzo Sandano
 - Giornalista

Se è vero che per il nuovo Noma uno dei punti ideologici fondamentali vuole evidenziare una qualità del prodotto che fa rima con stagionalità, mi aspetto grande attenzione e ricerca rivolte al gusto nella sua essenza più naturale, spontanea e selvaggia. Spazio ai sapori veri e ai frutti della Madre Terra in assoluta libertà. Rimanendo sul tema della decantata importanza della materia prima, anche tramite il rispetto e la trasformazione ai fornelli, mi aspetto meno assemblaggio e piùfuoco. Ritorno a cotture, tempi e gesti ancestrali. I trascorsi devoti e assoli vegetariani maturati dal Noma negli anni, mi fanno ben sperare in nuove letture e frontiere rivolte al comparto vegetale e al mondo delle fermentazioni. Perché no, anche nella capacità di rendere più interessante e coerente l’inflazionato concetto dell’orto urbano.

Lido Vannucchi
 - Fotografo

Dal Noma mi attendo sicuramente che chiami uno dei fotografi non dico più bravi ma più visionari e affascinanti dello scibile mondiale, per vedere i suoi piatti fotografati da tale fotografo. Non mi aspetto nulla, ma attendo un loro pensiero visto che mi hanno sempre entusiasmato per il loro modo di fare. Ecco forse solo una cosa mi aspetto realmente, che continuino a fare scuola e ad essere una voce spesso fuori dal coro.

Paolo Vizzari
 - Giornalista

René Redzepi per me è stato cronologicamente l’ultimo uomo in grado di innovare davvero i concetti di cucina e ristorante, trasformando le difficoltà di un territorio spoglio nel punto di forza della sua proposta. Ora ha avuto tempo di studiare il passo successivo girando il mondo per trarre ispirazioni varie e, sono sicuro che sarà nuovamente in grado di spostare l’asticella con un progetto da cui mi attendo un ulteriore stimolo per l’intero mondo della ristorazione.

 

a cura di Gualtiero Spotti

 

 

QUESTO È NULLA...

Nel numero di gennaio del Gambero Rosso trovate anche le opinioni di: Francesco Apreda (Cuoco dell’Imago a Roma), Claes Bech Poulsen
 (Fotografo), Ivan Berezuckiy 
(Cuoco di Twins Garden a Mosca), Riccardo Camanini (Cuoco di Lido 84 a Gardone Riviera), Terry Giacomello (Cuoco dell’Inkiostro a Parma), Andrea Grignaffini 
(Giornalista), Jakob Mielcke (Cuoco di Mielcke & Hurtigkarl a Copenhagen), Oliver Piras 
(Cuoco di Aga a San Vito di Cadore), Alessandro Proietti Refrigeri 
(Ex cuoco al Noma, oggi chef coordinatore delle pizzerie Berberé), Alberto Schieppati 
(Giornalista). Non solo, abbiamo raccontato la storia del Noma e di René Redzepi, il quale ha passato gli ultimi tempi incontrando farmer svedesi, vagando per i boschi e frequentando le scogliere e le baie più nascoste per recuperare il giusto spirito e l’approccio verso il prodotto locale. Uno speciale di 10 pagine, arricchito con i disegni di Marcello Crescenzi (alcuni li vedete anche qui), dove abbiamo spiegato cos’era il Noma e che cosa sarà dopo il 15 febbraio, con divagazioni sui progetti del Nordic Food Lab - organizzazione open source fondata nel 2008 da Rene Redzepi e Claus Meyer come supporto di ricerca del Noma, che dal 2014 fa parte del Dipartimento di scienze del alimentari dell'Università di Copenaghen - sui piatti must di René Redzepi e sulle altre novità che riguardano la capitale danese, tra cui un nuovo fenomeno: quello del pane bruciato, il cui massimo esponente è Richard Hart.

Il numero lo potete trovare in edicola o in versione digitale, su App Store o Play Store. Abbonamento qui

 


Paesaggi storici, l'Italia aggiunge altri 6 territori. Valorizzata la tradizione agricola

$
0
0

Dalla Toscana alla Sicilia, dal Molise al Veneto, salgono a dieci le aree inserite nel Registro nazionale. Viti e ulivi i protagonisti di questa tornata dell'osservatorio Mipaaf. Il ministro Martina: "Un patrimonio unico in Europa". 

Promuovere il paesaggio rurale

Nell'Anno del cibo italiano, si arricchisce il patrimonio dei paesaggi rurali. L'Osservatorio del Mipaaf ha, infatti, deciso l'iscrizione di 6nuove aree in questa prestigiosa lista. Dalla Sicilia al Veneto, i paesaggi rurali intesi come aree geografiche salgono a dieci, mentre diventano due le pratiche agricole tradizionali che fanno parte del Registro nazionale, istituito a fine 2012 con l'obiettivo di tutelare e valorizzare il vasto patrimonio culturale del nostro Paese. Di fatto, il Registro è un valore aggiunto per i territori, ma soprattutto una sorta di anticamera verso le più importanti e prestigiose candidature a patrimonio mondiale dell'Unesco.

 

La Toscana

Due nuovi ingressi sono toscani, si tratta del paesaggio rurale di Lamole in Chianti, patria del vitigno Sangiovese, principale componente del vino Chianti: un territorio caratterizzato da terrazzamenti in pietra a secco che, a giudizio dell'osservatorio, rappresenta un esempio di come sia possibile fare agricoltura di qualità nel rispetto del paesaggio storico, con risvolti positivi anche per le produzioni locali. Altra area riconosciuta è il paesaggio policolturale di Trequanda: esempio di tipico paesaggio di origine mezzadrile, composto da oliveti, vigneti, seminativi nudi o arborati e boschi a dominanza di querce, che può vantare anche la presenza di terrazzamenti in pietra a secco che sostengono gli oliveti.

 

Umbria, Molise, Sicilia

Nella confinante Umbria, ottiene il via libera dell'osservatorio la fascia pedemontana olivata fra Assisi e Spoleto, la principale area olivicola dell’Umbria. Qui, il rapporto tra olivicoltura e storia si presenta particolarmente forte: borghi storici, castelli e complessi religiosi immersi negli oliveti che ricoprono le pendici, arricchiti da terrazzamenti, lunette e ciglioni. Nella parte pianeggiante, le querce monumentali delimitano i seminativi.

Nel Mezzogiorno, in Molise, ottiene l'iscrizione il parco regionale storico agricolo dell'olivo di Venafro. Coltivato già dai tempi dei Romani, questo territorio della provincia di Isernia si basa sulla olivicoltura, la cui qualità fu citata già da Plinio e da Catone. Tra olivi monumentali e terrazzamenti in pietra, è diffusa ancora oggi la pratica del pascolo, in un ambiente che ancora oggi conserva i caratteri del paesaggio storico dell'Appennino meridionale.

E, in Sicilia, fa un altro passo avanti l'isola di Pantelleria, che dopo il riconoscimento Unesco per la pratica della coltivazione della vite ad alberello, ora vanta anche l'iscrizione del paesaggio della pietra e secco, formato da chilometri di muretti a secco ornati di viti ad alberello, capperi, agrumi e olivi che vengono lavorati in modo da crescere a poche decine di centimetri da terra.

 

Le pratiche agricole

Tra le pratiche agricole tradizionali, dopo la transumanza, entra nel registro del Mipaaf la piantata veneta, antica pratica agricola dalle lontane radici etrusche, molto diffusa al Centro e al Nord Italia. La piantata è costituita da diverse colture, principalmente viti, associate a filari alberati (gelsi, salici, olmi) che oggi sopravvivono nelle province di Padova, Vicenza e, in particolare, Treviso nella frazione di Baver - Pianzano (comune di Godega di Sant'Urbano), dove si conservano straordinari esempi di vite maritata a gelsi e aceri campestri.

"Non c’è Paese in Europa che abbia un patrimonio di paesaggi rurali così diffuso in tutte le sue Regioni" dichiara il ministro per le Politiche agricole, Maurizio Martina, per il quale le nuove iscrizioni "confermano questa ricchezza unica di identità e di capacità degli agricoltori di formare e conservare i luoghi come veri e propri beni comuni".

 

Elenco iscritti al Registro nazionale dei paesaggi rurali storici

Paesaggi rurali (10)

  • Colline vitate del Soave

  • Colline di Conegliano Valdobbiadene – Paesaggio del Prosecco superiore

  • Paesaggi silvo pastorali di Moscheta

  • Oliveti terrazzati di Vallecorsa

  • Paesaggio agrario della piana degli oliveti monumentali di Puglia

  • Fascia pedemontana olivata fra Assisi e Spoleto

  • Paesaggio della pietra a secco dell'isola di Pantelleria

  • Parco regionale storico agricolo dell'olivo di Venafro

  • Il paesaggio rurale storico di Lamole in Chianti

  • Il paesaggio policolturale di Trequanda

 

Pratiche agricole tradizionali (2)

  • La transumanza

  • La piantata veneta

 

http://www.reterurale.it/registropaesaggi

 

a cura di Gianluca Atzeni

Gelato. Le nuove tendenze 2018

$
0
0

Da sfizio estivo a prodotto sempreverde aperto a nuove tendenze. Con l'ausilio sempre più consolidato della ricerca, che oggi si concentra sulla selezione delle materie prime (latte in primis), sulla salubrità, la sostenibilità e gli abbinamenti con piatti e cocktail.

Il gelato di oggi non va mai in ferie, è aperto a tutto il commestibile, dialoga con la cucina e con le bottiglierie dei bar. È attento ai nuovi trend e si muove su diversi livelli di ricerca. Ecco quali tendenze abbiamo individuato durante la stesura della Guida Gelaterie d'Italia 2018 del Gambero Rosso, realizzata con Orion, che verrà presentata a Sigep di Rimini lunedì 22 gennaio nello stand di Orion (Padiglione C6).

L'evoluzione del gelato gastronomico

Sono sempre di più i maestri del sottozero che si cimentano con il gelato gastronomico. Un prodotto che si propone come esperienza gastronomica a tutto tondo, che gioca con materie prime e sapori principalmente salati, studia ricette come per un piatto d'alta ristorazione per creare gusti sempre più arditi, originali, esclusivi. Un gelato che ha cominciato a dialogare con mondi diversi, che sia quello della cucina o della mixology, in cerca di abbinamenti studiati, ragionati e interessanti. Come ci spiega Paolo Brunelli, dellaGelateria Cioccolateria Paolo Brunelli di Senigallia (che lo scorso anno abbiamo premiato per il Miglior gelato al cioccolato): “Più che “gastronomico” lo chiamerei gelato contemporaneo”. Ovvero un prodotto tradizionale abbinato a ingredienti non usuali in gelateria e servito al piatto.“In poche parole cerco di sfruttare l'appeal del gelato per dare visibilità a tutti quei giacimenti gastronomici italiani che spesso non trovano grandi vetrine. Così il gelato può essere un pretesto per parlare di altro”.

Il gelato contemporaneo di Paolo Brunelli

Un gelato tradizionale, dunque, che si lega a sua volta a prodotti della tradizione: “Il gelato al pistacchio, per esempio, lo metto dentro a un panino all'orzo a lievitazione naturale e lo abbino alla mortadella, quello alla mandorla della Val di Noto, invece, lo accompagno al pecorino dei Monti Sibillini e alla sapa, ovvero lo sciroppo d'uva che i contadini marchigiani preparavano con il mosto appena pronto”. Lo stesso piatto (perché di piatto si deve parlare), in occasione dell'evento di solidarietà “7 Chef per Amatrice” organizzato dall'Associazione Italiana Ambasciatori del Gusto, Paolo lo ha impreziosito con una granella di guanciale di Amatrice caramellata. “O ancora ho abbinato i moscioli - le cozze selvatiche che vivono sulla costa del Conero – ad un sorbetto di mandarino, allungato con uno spumante di Verdicchio”. Già perché il gelato si abbina bene col dolce, il salato e anche con gli alcolici. È proprio il caso di dire che siamo entrati nell'era dell'ice cream paring.

cocktail rosa in coppa martini

Gelati alcolici e Ice cream paring

E qui entra in gioco l'altro protagonista che ben si sposa col gelato: l'alcol. Sia sotto forma di ingrediente, che in abbinamento (e quindi all'interno di un drink) per un aperitivo alternativo. Certo è che il matrimonio non è dei più immediati, e perché fili tutto liscio c'è bisogno di studiare e di applicare tecniche ben precise, come ci spiega Dario Rossi, patron e artigiano di Greed Avidi di Gelato a Frascati (che lo scorso anno abbiamo premiato per il Miglior gelato gastronomico): “L’alcol rende difficile la mantecatura del gelato, quindi per ovviare a questo problema va diminuita la quantità di zucchero. In poche parole bisogna sostituire una parte dello zucchero con l’alcol, evitando la cristallizzazione del gelato. Così il gusto ci guadagna, e il prodotto acquista un maggior piglio”. Meno problemi tecnici, ma con il rischio di risultati comunque disastrosi, quando si entra nel campo del paring. Un argomento scivoloso che affronteremo a Sigep domenica 21 gennaio, nello stand di Orion al Padiglione C6, con il gelatiere di Frascati e Solomiya Grystychyn, barmaid e braccio destro di Massimo D'Addezio al Chorus Cafè di Roma.“Quando Dario mi ha detto che avrebbe portato un gelato con broccolo romanesco, pecorino romano, olio (ndr. olio extravergine di oliva di Paola Orsini di Priverno. Equi entra in gioco un altro paring) e alici, ho subito pensato a un cocktail avvolgente e vellutato, perfetto in abbinamento con la freschezza del gelato. Così ho optato per una variante di Pisco sour con gocce di acqua ai fiori d'arancio, limone, acqua di miele e albume per emulsionare il tutto”. Il cocktail l'ha chiamato Pisco honey (a proposito di trand: il Pisco è la nuova tendenza nella mixology), dove il miele richiama il pecorino, e l'acqua ai fiori d'arancio restituiscono un aroma in più, addolcendo la presenza del broccolo.

È questione di latte

Il confronto con la cucina e la mixology permette ai gelatieri di uscire dalla loro comfort zone (e dai laboratori) e implica necessariamente il dover mettersi in gioco attraverso una ricerca continua che punta all'abbinamento perfetto. Ma c’è un'altra ricerca – forse meno vistosa, pubblicizzata e glamour – che arriva direttamente al cuore del gelato: quella del latte migliore. Che passa per il latte nobile, per quello senza lattosio, fino ai sapori primordiali di quello crudo. Sergio Dondoli dell'omonima gelateria a San Gimignano, per esempio, usa solo latte crudo dalla Fattoria di Camporbiano sempre a San Gimignano. “Latte proveniente dalle 10 mucche “adottate” dalla gelateria e alimentate solo con foraggi di fattoria 100% da agricoltura biodinamica e senza antibiotici”. Molto romantico, ma nel gusto finale del gelato - che per legge, nella fase della miscelazione, deve essere pastorizzato - si percepisce? “C'è una differenza fondamentale: noi lo pastorizziamo solo una volta, per l'appunto nella fase della miscelazione con tutti gli altri ingredienti. Se invece si usa il latte pastorizzato, lo si deve ripastorizzare. È vero dunque che qualche caratteristica del latte crudo si perde ma non così tanto come un latte pastorizzato e ripastorizzato. Vi assicuro che nei miei gelati i sentori di erba, di fiori, di verde si sentono eccome”.

Una peonia

Un gelato salubre e sostenibile

Non potevano poi non comparire tra le nuove tendenze (e per fortuna!) due concetti: salubrità e sostenibilità. Anche i gelatieri hanno iniziato, ormai da alcuni anni, ad andare incontro alle esigenze salutistiche, con gelati senza lattosio, gluten free e ipocalorici. Non solo, si dimostrano attenti al verde e alla sostenibilità ambientale con prodotti biologici, a basso impatto e a chilometro zero. Un gelato sostenibile sotto tutti i punti di vista. Candida Pelizzoli, Presidente dell'Associazione Maestri della Gelateria Italiana, per esempio, studia e sperimenta frutti, ortaggi e fiori per un gelato leggero e al tempo stesso intenso nel gusto. “Trent'anni fa, quando ho cominciato, non c'erano scuole o corsi, esistevano solo aziende che vendevano macchine e prodotti. Così lo studio delle materie prime lo dovevi fare autonomamente: difficile ma stimolante. E devo dire che ha dato i suoi frutti: il bagaglio di conoscenze che ho non è canonico”. Oggi, dopo aver sviluppato ricerche sugli ortaggi, con l'Associazione Maestri della Gelateria Italiana Candida si sta concentrando sui fiori eduli.“Se ne faceva uso ai tempi dell’antica Cina, dei greci e dei romani. Rappresentano una ricercatezza per il colore e il sapore che danno: ogni fiore trasmette il suo specifico profumo e aroma, ma bisogna sapere come trattarlo. Certamente non si tratta di mettere in infusione il gelsomino e poi preparare il gelato con acqua e zucchero: il suo sapore va potenziato con altri ingredienti, che vi sveleremo durante Sigep (martedì 23 gennaio nello stand di Orion al Padiglione C6). Il risultato è un gelato che sa di fiore, e che ne mantiene anche tutte le proprietà nutrizionali, dato che l'infusione non è alcolica”.

Anche Stefano Roccamo è impegnato sul fronte sostenibilità a tutto tondo. Il gelatiere di Stefino a Bologna ha dato vita (in realtà in tempi non sospetti) a un gelato completamente naturale e certificato bio, privo di glutine, grassi idrogenati, emulsionanti, stabilizzanti, aromi sintetici e coloranti artificiali. Ma Stefano non si è fermato al prodotto: la sua gelateria è eco sostenibile a 360 gradi grazie a un accurato sistema che recupera l'acqua di raffreddamento dei frigo e dei pozzetti. In più il packaging è totalmente biodegradabile. Insomma oggi la tendenza è quella di restituire al gelato il suo ruolo fondamentale di alimento fonte di nutrienti, ma anche di elevarlo a prodotto sostenibile, che sappia interagire con mondi differenti. Senza mai dimenticare le sue proprietà psicotrope e neuroemozionali, sia chiaro.

 

Sigep | Rimini Fiera, via Emilia, 155 - 47921 Rimini | 20 – 24 gennaio 2014 | www.sigep.it

 

Attività nello Stand Orion (Padiglione C6):

Domenica 21 gennaio, ore 11.30: L'arte della pasticceria e il gelato con Salvatore De Riso

Domenica 21 gennaio, ore 15.30: Cocktail e Gelato con Dario Rossi e Solomiya Grystychyn

Lunedì 22 gennaio, ore 13.30: Presentazione della Guida Gelaterie d'Italia 2018 del Gambero Rosso

Martedì 23 gennaio, ore 12.30: Gelato e salute, tra gusto e ricerca con Candida Pelizzoli

Martedì 23 gennaio, ore 16.00: L'evoluzione del Gelato Gastronomico con Paolo Brunelli


Main sponsor della Guida Gelaterie d'Italia 2018 del Gambero Rosso



a cura di Annalisa Zordan

Oltre 1.700 italiani a ProWein. Le novità della super fiera tedesca presentate a Roma

$
0
0

Al via il 18 marzo, l'appuntamento fieristico di Düsseldorf ospiterà un gran numero di espositori italiani, come ha raccontato in occasione dell'anteprima romana Marius Berlemann, giovane direttore della fiera. Tutte le novità di ProWein 2018. 

Torna l'attesa tre giorni di Düsseldorf, con l'Italia primo Paese per numero di espositori, in crescita rispetto alla passata edizione del 2017. L'appuntamento fieristico, giunto alla sua XXV edizione, prenderà il via il 18 marzo e ospiterà 6.700 aziende. Per i produttori italiani, si tratta di un'occasione importante per il consolidamento di uno dei tre grandi mercati storici per il nostro vino, in cui nel 2017 (primi 9 mesi) le vendite hanno fatto segnare un incremento del 2% a 710 milioni di euro, con una previsione di chiusura d'anno del +3%.

La presentazione della manifestazione si è svolta ieri mattina a Roma sulla terrazza del Marriott Grand Hotel Flora. "Per festeggiare questo importante traguardo" – ha raccontato Marius Berlemann, giovane direttore della Prowein – abbiamo scelto per la prima volta la Capitale come palcoscenico privilegiato per presentare la manifestazione".

 

L'Italia a Prowein

Kermesse in cui l'Italia gioca un ruolo fondamentale, proprio per lo stretto rapporto tra i due mercati: "quello con l'Italia è un sodalizio che dura da ben 25 anni e che si rafforza di edizione in edizione. Basti pensare che nel 1994 gli espositori italiani erano appena 29, nel 2017 si è arrivato al record senza eguali di 1600 (oltre il 24% del totale, davanti alla Francia con 1.500) e quest'anno addirittura a 1.700: negli ultimi cinque anni l'incremento è stato del +48%". Un'unione che si è rafforzata anno dopo anno, ma che "all'inizio ha vissuto qualche difficoltà" come ha ricordato Armando Honegger, Rappresentate dell'Italia per il Prowein: "la chiave del successo va cercata nello stringente orientamento B2B della fiera, che vive esclusivamente di operatori selezionati e di propensione all'internazionalità; gli espositori si recano a Düsseldorf ma sanno che lì incontreranno il Mondo. Oggi abbiamo una lista d'attesa di nuove aziende che vorrebbero partecipare, mentre altre avrebbero interesse ad accrescere i propri spazi; ma le regole tedesche sono ferree: la crescita della manifestazione deve essere proporzionale all'aumento dei visitatori".

 

Le novità del 2018

I numeri dell'edizione 2017 dicono che sono stati oltre 6.600 gli espositori, provenienti da 62 Paesi con 58.500 visitatori da 131 nazioni. "Lo scorso anno" ricorda Berlemann "due visitatori su tre erano perlopiù manager di categoria medio-alta. Quasi il 60% dei visitatori professionali ha concluso degli affari o ha programmato degli ordini subito dopo la fiera, mentre il 54% ha avuto la possibilità di trovare nuovi fornitori". Alla data d'esordio nel febbraio 1994, quella che si chiamava Pro Vins vide poco più di 1.500 visitatori, divenuti oltre 58 mila nel 2017, con metà delle presenze estere.

Oltre 500 le iniziative in programma: Nicole Funke, Senior Project Manager e membro del team della Prowein, ha spiegato che "accanto agli eventi negli stand degli espositori, verrà dato ampio respiro ai vini da tutti i continenti durante le degustazioni nel Forum (padiglioni 10 e 13)". E continua: "Ci sarà ancora il Premio Internazionale Mundus Vini e riaprirà la Champagne Lounge che ospiterà complessivamente 150 marchi. Infine, punteremo l'attenzione anche sulle tendenze e sugli sviluppi nel settore confezionamento, a cominciare dallo speciale show Packaging & Design".

 

Non mancheranno alcune novità: l'ampio spazio per il biologico con tutte le più rilevanti associazioni di Agricoltura Biologica di Germania, Italia e Francia, con numerosi espositori individuali provenienti da tutto il mondo verrà arricchito da un adeguato concetto gastronomico, la Organic Lounge, e da una propria area per conferenze. Ci saranno inoltre uno stand collettivo del governo giapponese sul Sake; uno stand dell’Ungheria con i diversi tipi di acquaviti di frutta (Palinka); il cambiamento di posizione degli espositori dalla Grecia, al fianco dell‘Austria e dentro la ProWein tasting area by Mundus Vini.

 

Same but Different. Birra, spirits e sidri

Ma la novità più rilevante sarà certamente la sezione ospitata dal padiglione 7.0, "Same but Different" dedicata a birra, spirits e sidri artigianali, "un trio di tendenza che svolge un ruolo sempre più importante sulla scena enogastronomica internazionale – ha spiegato Marius Berlemann – abbiamo aperto a questi artigiani proprio per venire incontro alle esigenze dei nostri visitatori che lo scorso hanno, in un sondaggio, si sono detti interessati ad alcolici e birre prodotti artigianalmente". Ma la Prowein sarà anche un fondamentale momento di analisi e di confronto con opinion leader e addetti del settore per comprendere e approfondire le dinamiche che attraversano i diversi mercati del vino in un'ottica globale. Per questo, per il secondo anno, verrà riproposto il Bussiness Report, realizzato in collaborazione con l'Università di Geisenheim, studio che nella precedente edizione ha coinvolto 1500 esperti del settore vitivinicolo (tra produttori e distributori) provenienti da 46 Paesi, fornendo una panoramica aggiornata sulla situazione economica, sui mercati già consolidati e su quelli in crescita, sul marketing e sui futuri canali di vendita.

 

 

a cura di William Pregentelli

La nuova sfida di McDonald’s: entro il 2025, il nuovo packaging 100% riciclabile

$
0
0

Continuano i progetti di McDonald’s, fra linee di hamburger “gourmet” e confezioni eco-sostenibili. Il colosso dei fast food riuscirà a (ri)conquistare la fiducia dei clienti? Intanto, l'iniziativa per il packaging riciclabile.

La voglia di rinnovarsi

Si fa sempre più controverso l'argomento McDonald’s, una delle multinazionali del cibo più solide al mondo che da anni sembra determinata a riconquistare la fiducia di una clientela sempre più esigente, attenta alla linea, alla salute e in generale più consapevole del ruolo di un'alimentazione corretta. Un colosso che, fra iniziative, progetti, nuovi format e piccole ma radicali modifiche, continua a voler cambiare pelle, reinventarsi, presentarsi sotto veste nuova con buoni (?) propositi. Un desiderio di riposizionarsi dettato dalla richiesta crescente dei consumatori dell'agognato binomio gusto/salute, un connubio che McDonald’s difficilmente è riuscito a garantire negli anni.

I molti esperimenti di McDonald's

È ormai pressoché impossibile citare tutti gli esperimenti messi in campo dall'azienda per far fronte ai nuovi bisogni del pubblico, da quel primo tentativo con Gualtiero Marchesi all’inaugurazione di Next, format di Hong Kong aperto all'inizio del 2016, più attento alla qualità degli ingredienti nel servire – oltre alla canonica carta di burger e patatine fritte – quinoa, insalate fresche, zuppe di verdure e dolci casalinghi. E poi ancora il progetto Create Your Taste, pensato per dare la possibilità al cliente di comporre l’hamburger a proprio piacimento attraverso macchine interattive touch screen, una delle svolte più considerevoli intraprese dall’azienda, che dopo tanti anni ha eliminato le solite proposte prestabilite, consentendo ai consumatori di scegliere quali ingredienti mangiare e quali no. È stato poi il tempo del Mc Cafè di Parigi di rue Rambuteau, un nuovo locale dall'offerta originale (caffè 100% arabica, tè, zuppe, macaron) che abbandona burger e fritti e lascia spazio alle proposte canoniche delle caffetterie estere, dal bagel con pastrami ai panini con salmone affumicato.

La selezione di Bastianich

Per non parlare dell'ultima mossa made in Italy, una delle più chiacchierate (e criticate), la selezione speciale firmata Joe Bastianich, il celebre giudice di Masterchef e grande imprenditore della ristorazione italo-statunitense che ha scelto le combinazioni di ingredienti per una gamma di panini nuova, una collezione proposta negli oltre 560 locali italiani della catena di fast food per i prossimi 3 anni. Una collaborazione che Bastianich sembra aver accettato per un ricordo affettivo che lo lega al gigante a stelle e strisce, e che lo ha spinto a dare una “seconda vita” agli hamburger: “Quando ero bambino vedevo l’insegna di McDonald’s dalla finestra di casa, nel Queens, dove ho assaggiato il mio primo hamburger, accompagnato da mia nonna Erminia perché mi ero comportato bene: essendo cresciuto in una famiglia di esuli istriani grazie agli hamburger riuscivo a sentirmi un po’ più americano”. Una decisione discutibile che sottolinea però, ancora una volta, gli intenti della catena di cambiare look.

Il nuovo packaging. All'insegna del riciclo

E parlando di veste nuova, anche il packaging, ora, è sotto la lente di ingrandimento dei responsabili del colosso. Perché se l'alimentazione sana cattura sempre più l'interesse del pubblico, tema altrettanto caldo del momento è quello del riciclo e della sostenibilità ambientale. Così, McDonald’s ha dichiarato all'agenzia di stampa britannica Reuters di voler rendere scatole, confezioni, bicchieri e bustine 100% biodegradabili e compostabili. Ci vorranno 7 anni per la trasformazione completa del packaging, e per la messa in opera di cestini appositi in ogni singola sede. Attualmente, circa la metà delle confezioni sono eco-friendly, e solamente il 10% dei 37mila store sparsi per il mondo mette a disposizione cestini per la raccolta differenziata. Una condizione che, stando alle dichiarazioni dell'azienda, dovrebbe cambiare entro il 2025. Sarà davvero così? E soprattutto, packaging a parte, a quando un miglioramento autentico della qualità degli ingredienti?

a cura di Michela Becchi

Libri. Come è profondo il mare

$
0
0

Ritrarre il mare e i suoi abitanti, raccontare un concetto di cucina che racchiude un intero territorio. Spingere il pedale sull'acceleratore della narrazione pur fotografando i pesci come fossero gioielli.

Prima è nato il programma televisivo, poi il progetto editoriale, successivamente sono arrivate le foto firmate da Lido Vannucchi, infine il progetto grafico. A tenere banco, nel libro di Gianfranco Pascucci, è il mare e tutto quel che ci gira intorno, dall'area costiera con la cornice aromatica della macchia mediterranea, alla battigia e da questa ai fondali.

 

 

Il progetto editoriale mi è piaciuto, così ho cominciato a studiare la zona, e anche Pascucci” racconta il fotografo Lido Vannucchiche conoscevo di vista, sapevo che fa una cucina particolare, ma non avevamo mai parlato”. Qualche telefonata per prendere accordi e l'arrivo. Come è andata? “Che sono arrivato a Fiumicino alle 10, e alle 11.30 eravamo già in perfetta sintonia, ci siamo trovati a pelle e capiti al volo” esclama “insomma:un incontro fortunato, con Gianfranco e con la sua famiglia”. A ribadire quel concetto di ospitalità che fa, di Pascucci al Porticciolo, una delle mete predilette di tanti, non solo romani. E Pascucci? “Quando mi hanno detto che il libro lo avrebbe fatto lui mi sono sentito tranquillo, come a casa, pur non conoscendolo bene”.

 

Vanessa MelisVanessa Melis

Dal ristorante ai pescherecci

A quel primo incontro, per discutere del libro, ne sono seguiti altri, a stabilire un rapporto di fiducia e scambio: “io ho imparato da lui, mi ha regalato la sua grandissima conoscenza sul mare e sui pesci, e lui si è lasciato portare da me per quanto riguarda l'immagine, gli equilibri, l'uso dello spazio, gli impiattamenti”. Dunque un lavoro a 4 mani (e più) nato dalla collaborazione stretta tra cuoco e food photographer. “Sì, non ho solo fotografato dei piatti, ma ho vissuto con Gianfranco per entrare nel suo mondo: mi sono fatto raccontare le sue passioni, e sono stato con lui anche fuori dal ristorante. Abbiamo seguito questa strada”. Così è nato il libro, lavorando per tre quarti del tempo dentro al ristorante e per il resto del tempo fuori, al porto, nei posti dove va a fare la spesa e dove trova le erbe, insomma tra le sue cose “lì è stato naturale fotografarlo, il suo è un mondo semplice e accattivante”.

 

Il_muggine_nelloasi_di_Burano.jpgIl muggine nell'oasi di Burano

Il progetto editoriale

Sei capitoli che affrontano diverse tematiche: prima spiaggia (fino a 15 metri), sottocosta (15-50 metri), mare aperto (da 50 a 200 metri), in profondità (da 200 a 500 metri), i viaggiatori (sui pesci migranti) e le acque salmastre. In ogni capitolo un focus su specie e tecniche: per esempio la tellina nel primo, la marinatura nel secondo, il calamaro e il fritto nel terzo, il centrolofo nel mare aperto e il plancton a raccontare i grandi o piccoli viaggiatori del mare, fino al muggine, uno dei simboli dell'impegno di Pascucci nei confronti dell'ambiente oltre che in cucina, parte di un progetto nell'oasi di Burano. Poi preparazioni di base e ricette, 60. Un volume che non è solo una raccolta di ricette, ma il racconto di un territorio, il litorale laziale, da scoprire e valorizzare, come da anni fa – con un approccio a tutta sostenibilità – Gianfranco Pascucci, artefice della rivalutazione di specie locali sconosciute e considerate povere, e della riscoperta dell'ecosistema del litorale a nord di Roma. “Essendoci un progetto editoriale forte ho cercato un taglio personale, quello di Gianfranco Pascucci” spiega Vannuchi, che aggiunge “anche se ha dei punti fermi, il mio modo di lavorare cambia ogni volta, in questo caso c'era uno storytelling da fare: un racconto di territorio e di mare molto importante”. Cominciano a scattare in vari modi, “per dare diverso materiale a chi impaginava, poi si è scelto”. A quel punto è nato il progetto grafico.

 

Cannolicchio

La fotografia

Sono partito studiando Pascucci e il suo territorio” racconta Vannucchi “ma poi mi sono lasciato trasportare, ho seguito la pancia, l'istinto” e aggiunge “abbiamo scattato più di 1000 foto: ci sarebbe materiale per un altro libro”. Il primo punto è stato come valorizzare quella materia prima unica “pesci interi, vivi, non i trancetti e il pesce sfilettato che trovi di solito; però non parlo solo dei pesci” aggiunge “ma di tutto, perché la sua non è una cucina di pesce, ma una cucina di mare, che entra per vicinanza, per atmosfere, per gli aromi dati dalle erbe e dagli altri prodotti di terra cresciuti sul litorale e influenzati dal mare”.

 

alice. foto VannucchiAlice

Avere a che fare con un certo tipo di prodotto ha dato una spinta alla scelta delle immagini: “volevo ritrarre questi pesci come se fossero dei gioielli, evidenziarli usando come sfondo il nero assoluto, quello degli abissi, illuminandoli con una grande luce per esaltarli”. Insieme al prodotto c'era da raccontare anche un pensiero, quello che c'è dietro questo libro e dietro la cucina di Pascucci: “ho cercato attraverso luci e angolazioni di riportare il pensiero di Gianfranco, valorizzare quel che gli sentivo raccontare”. Ma poi ci sono gli scatti in esterna, il porto, il mercato del pesce, i pescherecci.

 

Spaghetti_allo_scorfano_olive_e_bottarga. Foto VannucchiSpaghetti allo scorfano olive e bottarga

Un lavoro a 4 mani

Ma quale è il segreto di una buona fotografia? “Per fare un buon lavoro ti devi fidare del cuoco, devi andare verso di lui come lui deve farlo con te” spiega Vannucchi. “Ci deve essere uno scambio profondo”. Lo sguardo del fotografo cosa porta al cuoco? “Mentre imparavo a conoscere il mare e il pesce, Gianfranco ha accolto con entusiasmo ogni suggerimento per quanto riguarda l'immagine”. Dalla scelta del piatto e del materiale in cucina, al modo di impiattare perché ci fosse un filo logico, “abbiamo impiattato in modi diversi anche tre volte una stessa ricetta, sempre con entusiasmo ed energia” mettendo in campo uno scambio di concetti, conoscenze, idee e suggerimenti che dall'uno sono passati all'altro: “abbiamo portato una maggiore pulizia di fondo nei piatti, per evidenziare meglio l'ingrediente. C'è più essenzialità, ora” e aggiunge “credo che ci sia stata una bella crescita dal punto di vista estetico, ed è merito di Gianfranco” riflette e conclude “un lavoro così profondo sono riuscito a farlo con pochi: Crippa, Baronetto, Baiocco”.

 

Brodo di pesce. foto VannucchiBrodo di pesce

Piatti da fotografare e da mangiare

Mi è piaciuto molto il lavoro che abbiamo fatto con le paste secche” spiega ancora Vannucchi, “piatti partiti un po' più sporchi che siamo riusciti a rendere essenziali e puliti. E poi mi è piaciuto fotografare i fondi, i fumetti, oltre che il pesce intero”. Ma provando e riprovando, ci saranno stati anche degli assaggi. Il piatto preferito? “Lo stracotto di tonno è un piatto fantastico, è gourmet, è comfort food. Poi tanti altri: l'ostrica, il tiramisù di acciuga, la frittura di camalari, ha un calamaro fantastico”. Difficile scegliere.

 

{gallery}come profondo il mare{/gallery}

 

 

Come è profondo il mare

Com'è profondo il mare - Gianfranco Pascucci - Gambero Rosso ed. - 192 pp. - 28,50 €

 

 

a cura di Antonella De Santis 
foto Lido Vannucchi

 

 

Viewing all 5335 articles
Browse latest View live